Sotto la grazia, senza legge? – Ellet J. Wagoner & James White

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CAPITOLO 1 – “Non siete sotto la legge, ma sotto la grazia”

[ROMANI 6: 12]

“Under the Law” The Signs of the Times, 6 maggio 1886. E. J. Wagoner.

Una delle particolarità della mente umana è che mentre accetta prontamente una storia piacevole o una favola, è in grado di rifiutare la verità fino a quando non è costretta ad accettarla. Questa tendenza all’errore è così forte che i filosofi intellettuali sono obbligati a tenerne conto. Una delle regole di Bacon per evitare conclusioni errate è la seguente:

“In generale, lo studente della natura consideri come regola il seguente fatto: qualsiasi cosa sulla quale la mente si soffermi con particolare piacere deve essere vista con sospetto”.

La verità non si ottiene con facilità. Infatti la verità, in modo naturale, verrà combattuta e respinta. E questo è proprio ciò che dice anche la Bibbia:

“L’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio” {1 Corinzi 2: 14}.

“La mente controllata dalla carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomessa alla legge di Dio e neppure può esserlo” {Romani 8: 7}.

“Poiché dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, maldicenze” {Matteo 15: 19}.

Queste cose sono direttamente in contraddizione alla legge di Dio; e quindi, come regola generale, prima che gli uomini accettino la verità della Bibbia riguardo alla Legge, ogni aspetto deve essere reso perfettamente chiaro. Non è sufficiente che i princìpi siano spiegati, ma deve essere mostrata l’armonia di tutti i testi che trattano l’argomento in questione.

Di conseguenza, è necessario dedicare una spiegazione speciale al testo di {Romani 6: 14} e altri simili ad esso. Questo versetto dice così:

“Infatti il peccato non avrà più potere su di voi, poiché non siete sotto la legge, ma sotto la grazia”.

La tendenza naturale a rifiutare la verità è così forte che, nonostante le prove schiaccianti per dimostrare che la legge è eternamente valida per ogni essere razionale creato, molte persone approfittano dell’espressione: “non siete sotto la legge”, e affermano che ci siano per lo meno alcuni che non hanno il dovere di osservare la legge. La prontezza con la quale questo punto di vista viene accolto e sul quale si insiste così tanto, dovrebbe fin da subito destare sospetti sulla sua giusta interpretazione. Perciò, per non sollevare alcun dubbio, proponiamo di esaminare non solo questo testo, ma ogni testo che contiene la frase “sotto la legge”.

In {Romani 6: 12} l’apostolo dà questa esortazione:

“Non regni quindi il peccato nel vostro corpo mortale, per ubbidirgli nelle sue concupiscenze”.

La Parola di Dio ci dice che:

“il peccato è la trasgressione della legge” {1 Giovanni 3: 4}.

Pertanto, quando l’apostolo ci dice di non peccare, ci dice praticamente di non trasgredire la legge. Questa è già una prova del fatto che la legge sia obbligatoria per noi; perciò l’affermazione che troviamo nel versetto 14 non può significare che la legge non ha più alcuna pretesa su di noi.

L’apostolo continua dicendo:

“Non prestate le vostre membra al peccato come strumenti d’iniquità, ma presentate voi stessi a Dio, come dei morti fatti viventi, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia” {Romani 6: 13}.

Questa non è che una ripetizione dell’argomento presentato nel paragrafo precedente. Poiché ci dice che non dobbiamo peccare, cioè che non dobbiamo trasgredire la legge; e che dobbiamo prestare le nostre membra come strumenti di giustizia.

La giustizia è obbedienza ai comandamenti di Dio {Deuteronomio 6: 25; Salmo 119: 172; Isaia 51: 6-7}. Quindi il versetto 13 è un’esortazione a non trasgredire la legge e allo stesso tempo un’esortazione ad osservare la legge, entrambe arrivano alla stessa conclusione, e mostrano il fatto che l’apostolo riconosce l’esistenza della legge e la necessità di obbedirle.

Poi arriva la conclusione:

“Infatti il peccato non avrà più potere su di voi, poiché non siete sotto la legge, ma sotto la grazia” {Romani 6: 14}.

Nota alcune conclusioni e aspetti necessari:

1) Poiché “il peccato è la trasgressione della legge”, l’assenza di peccato deve indicare l’obbedienza alla legge. Pertanto, quando l’apostolo dice a qualcuno: “il peccato non avrà più potere su di voi”, ciò è una prova del fatto che essi osservano la legge.

2) Coloro sui quali il peccato non ha potere sono quelli che non sono sotto la legge. “il peccato non avrà più potere su di voi, poiché non siete sotto la legge”. Il fatto che il peccato non ha alcun potere su di loro è la prova del fatto che essi non sono “sotto la legge”. Pertanto, non essere “sotto la legge” equivale ad essere liberi dal potere del peccato.

3) Ma noi abbiamo già visto che essere liberi dal potere del peccato rappresenta uno stato di obbedienza alla legge; quindi, dire che uno non è “sotto la legge” equivale a dire che sta rispettando la legge.

Queste proposizioni resisteranno alla prova di qualsiasi critica e dimostreranno che l’argomento dell’apostolo si basa sul fatto che la legge è ancora in vigore, obbligatoria per tutti e che ci sono solo due categorie di persone; quelli che osservano la legge e quelli che la trasgrediscono. Coloro che osservano la legge non sono sotto di essa, e naturalmente quelli che la trasgrediscono sono sotto di essa. In altre parole, quelli su cui il peccato ha potere sono sotto la legge; e quelli su cui il peccato non ha potere, non sono sotto la legge.

In armonia con ciò, l’apostolo continua dicendo:

“Che dunque? Peccheremo noi, perché non siamo sotto la legge, ma sotto la grazia? Così non sia” {Romani 6: 15}.

Cioè, trasgrediremo la legge perché non siamo sotto di essa? Assolutamente no. Evitiamo di stare sotto di essa astenendoci dal peccato.

Finora non abbiamo mostrato il significato profondo dei termini “sotto la legge” e “non siate sotto la legge”, ma abbiamo semplicemente mostrato due aspetti: il primo è che nessuno si trova al di fuori della giurisdizione della legge e il secondo è che quelli che sono “sotto la legge” la stanno violando, mentre quelli che “non sono sotto la legge” la stanno rispettando.

I prossimi due versetti che leggeremo ci daranno un indizio riguardo alla vera profondità dei termini. Ci viene detto:

“Non sapete voi che a chiunque vi offrite come servi per ubbidirgli, siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia? Ora sia ringraziato Dio, perché eravate servi del peccato, ma avete ubbidito di cuore a quell’insegnamento che vi è stato trasmesso” {Romani 6: 16-17}.

“O del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia”. Il peccato, la trasgressione della legge, porta alla morte.

“Infatti il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” {Romani 6: 23}.

Chiunque pecca è condannato a morte; e poiché, come è stato ampiamente dimostrato, coloro che peccano sono “sotto la legge”, ne consegue che “sotto la legge” è un’espressione che significa “sotto la condanna della legge”. Ora osserva come questo significato si adatta perfettamente ai versetti 14 e 15.

“Non siete sotto la condanna della legge, ma sotto la grazia. Che dunque? Peccheremo noi, perché non siamo sotto la condanna della legge, ma sotto la grazia? Così non sia”; poiché ciò ci porterebbe di nuovo sotto condanna. Evitiamo di peccare e quindi non saremo più condannati.

Come possiamo essere liberati dalla condanna della legge?

“Sono gratuitamente giustificati per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Lui ha Dio preordinato per far l’espiazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare così la sua giustizia per il perdono dei peccati, che sono stati precedentemente commessi durante il tempo della pazienza di Dio” {Romani 3: 24-25}.

Avendo accettato Cristo, la Sua giustizia ci viene attribuita, il che ci rende puri davanti alla legge, e quindi diventiamo oggetto della grazia e della tolleranza di Dio.

Ecco un esempio: un uomo è stato condannato per omicidio. La legge dello stato proibisce l’omicidio e quindi condanna l’uomo. L’assassino è quindi “sotto la legge”, perché la mano della legge è su di lui. Nulla di ciò che egli possa fare eviterà la terribile punizione. Potrebbe essere dispiaciuto per il suo crimine e può decidere di non infrangere mai più la legge; ma questo non farà alcuna differenza. Ha già infranto la legge e deve subirne la pena. Ma ora, grazie all’intercessione di un amico con molta influenza, e per via del suo pentimento e delle sue promesse di obbedienza futura, il Governatore è indotto a perdonare il criminale. Ora non è più “sotto la legge” – un prigioniero condannato – ma un uomo libero. È libero in virtù della grazia o del favore del Governatore. Quindi si può dire che ora l’uomo in questione si trovi “sotto la grazia”.

Adesso sorge una domanda: quest’uomo ora è libero di commettere un omicidio, perché non è più sotto la legge, ma sotto la grazia del Governatore? Tutti direbbero: “No, affatto!”. Ora è ancora più obbligato ad osservare la legge, più di quanto lo fosse prima, perché ora è soggetto al favore speciale del Governatore; e quel favore non gli sarebbe stato concesso se non per la sua promessa che da ora in poi avrebbe rispettato la legge.

Il peccato ha portato condanna e morte, ma se siamo purificati dal peccato e dalla condanna, attraverso la continua obbedienza o attraverso la giustizia, ciò porterà la vita eterna attraverso Cristo. Questa cosa è indicata dall’espressione: “servi dell’ubbidienza per la giustizia” {Romani 6: 16} e “il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” {Romani 6: 23}.

Concludendo questo studio preliminare dei termini “sotto la legge”, il lettore può confrontare proficuamente ciò che ha letto con i seguenti versetti:

“Per cui, come per una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure con un solo atto di giustizia la grazia si è estesa a tutti gli uomini in giustificazione di vita. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati costituiti peccatori, così ancora per l’ubbidienza di uno solo i molti saranno costituiti giusti. Or la legge intervenne affinché la trasgressione abbondasse; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata, affinché come il peccato ha regnato nella morte, così anche la grazia regni per la giustizia a vita eterna per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” {Romani 5: 18-21}.

CAPITOLO 2 – “Se siete condotti dallo Spirito, voi non siete sotto la legge”

[GALATI 5: 18]

“Under the Law” The Signs of the Times, 4 settembre 1884. E. J. Wagoner

Oltre a {Romani 6: 14}, che è stato esaminato la settimana scorsa, ci sono anche altri versetti in cui vengono usati i termini “sotto la legge”. Vogliamo esaminare anche questi passaggi per vedere se la nostra conclusione, secondo la quale l’espressione in questione indichi uno stato di condanna, sia giusta. In primo luogo, riprenderemo {Romani 6} da dove eravamo rimasti. Nel versetto 15, Paolo esprime stupore riferendosi a quelle persone che pur essendo sotto la grazia pensano di poter peccare nuovamente. Nel versetto 16 dice:

“Non sapete voi che a chiunque vi offrite come servi per ubbidirgli, siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia?”

Qui viene introdotta l’idea della schiavitù. Se gli uomini si arrendessero al peccato, diventerebbero suoi servi. Nei due versetti seguenti viene espressa la stessa idea. Mentre erano legati al peccato, in una schiavitù che poteva finire solo con la morte, ora sono resi liberi e diventano servitori della giustizia. Ma i servitori della giustizia, quelli che osservano la legge, sono uomini liberi; poiché la legge stessa è una legge di libertà {Giacomo 1: 25}; anche Davide, con grande autorità, afferma che coloro che osservano la legge camminano nella libertà {Salmo 119: 45}. Persino Cristo dice ai Suoi discepoli:

“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” {Giovanni 8: 32}.

Nel libro di Galati il termine “sotto la legge” ricorre più volte, non lasciando in questo modo alcun dubbio sul suo significato. Andiamo innanzitutto al capitolo 5 e leggiamo assieme:

“Camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne” {Galati 5: 16}.

Il lettore troverà un parallelo a questo versetto in {Romani 8: 9}:

“Se lo Spirito di Dio abita in voi, non siete più nella carne ma nello Spirito. Ma se uno non ha lo Spirito di Cristo, non appartiene a lui”.

Al versetto 17 si stabilisce l’inimicizia tra la carne e lo Spirito di Dio.

“La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l’una all’altra, cosicché voi non fate quel che vorreste” {Galati 5: 17}.

Confronta questo versetto con {Romani 8: 7-8}:

“Per questo la mente controllata dalla carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomessa alla legge di Dio e neppure può esserlo. Quindi quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio”.

Confronta ora questi passaggi anche alla spiegazione delle lotte del peccatore condannato, come riportato nell’ultima parte di {Romani 7}.

Adesso leggiamo {Galati 5: 18}:

“Ma se siete condotti dallo Spirito, voi non siete sotto la legge”.

Abbiamo già visto che solo quelli che sono guidati dallo Spirito possono piacere a Dio, e qui veniamo a sapere che tali non sono sotto la legge. Ora, cosa succede a coloro che seguono lo Spirito o che sono guidati dallo Spirito? Paolo dice che:

“Dio, mandando il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché la giustizia della legge si adempia in noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito” {Romani 8: 3-4}.

Se adempiamo la giustizia della legge, dobbiamo conformarci al minimo dei suoi requisiti, cioè obbedirle perfettamente. Questo significa essere guidati dallo Spirito; e abbiamo letto in {Galati 5: 18} che coloro che sono guidati dallo Spirito non sono sotto la legge. Risulta chiaro, quindi, che gli uomini che hanno una mentalità spirituale, ovvero coloro che osservano la legge, non sono sotto la legge; e così arriviamo di nuovo all’inevitabile conclusione che coloro che non rispettano la legge si trovano sotto di essa.

Abbiamo già letto che le opere della carne sono direttamente opposte alle opere dello Spirito. E quali sono le opere della carne? Ci risponde Paolo:

“Ora le opere della carne sono manifeste e sono: adulterio, fornicazione impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizie, contese, gelosie, ire, risse, divisioni, sette, invidie, omicidi, ubriachezze, ghiottonerie e cose simili a queste, circa le quali vi prevengo, come vi ho già detto prima, che coloro che fanno tali cose non erediteranno il regno di Dio” {Galati 5: 19-21}.

Queste cose sono tutte vietate dalla legge. Per provarlo, si possono vedere le richieste della legge e i commenti di Cristo su di esse in {Matteo 5}. Ora, tenendo presente che chi adempie le opere della carne arriva ad essere sotto la legge, impariamo che per essere sotto la legge bisogna violare la legge.

“Ma il frutto dello Spirito è: amore gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, fede, mansuetudine, autocontrollo” {Galati 5: 22-23}.

Questo è ciò che fanno coloro che sono guidati dallo Spirito, e Paolo dice:

 “Contro tali cose non vi è legge” {Galati 5: 24}.

La legge non condanna l’uomo che fa queste cose, perché è guidato dallo Spirito; ma essa è contraria alle opere della carne e condanna i responsabili di tali atti.

In armonia con quanto detto sopra, leggiamo anche le parole di Paolo in {1 Timoteo 1: 9-10}:

“Sapendo questo, che la legge non è stata istituita per il giusto, ma per gli empi e i ribelli, per i malvagi e i peccatori, per gli scellerati e i profani, per coloro che uccidono padre e madre, per gli omicidi, per i fornicatori, per gli omosessuali per i rapitori, per i falsi, per gli spergiuri, e per qualsiasi altra cosa contraria alla sana dottrina”.

La parola “istituita” nel testo di sopra viene da “keimai”, il cui significato è che la legge non è posta o messa contro un uomo giusto, ma contro l’ingiusto. Cioè, essa non interferisce con le azioni di un uomo giusto, ma entra in conflitto diretto con un uomo malvagio. Che questo sia il vero significato, è dimostrato dall’argomento precedente. Paolo dice al versetto 5 che il fine, o lo scopo, del comandamento è l’amore. In altre parole, come è già stato dimostrato, l’intenzione che Dio ha nei confronti della legge è che essa debba essere osservata. Un uomo giusto è colui che adempie la legge – che soddisfa i suoi requisiti – e quindi la legge non ha alcuna disputa nei suoi confronti. L’uomo che osserva la legge non ha paura di essa. Ma alcuni, dice l’apostolo al versetto 6, non essendosi rivolti verso la legge, se ne sono allontanati parlandone male e poiché non hanno cercato di rispettarla, si sono messi nei guai. Ma Paolo ci dice che:

“Or noi sappiamo che la legge è buona, se uno la usa legittimamente” {1 Timoteo 1: 8}.

Questa frase può forse significare che le azioni di un uomo avranno qualche effetto sulla legge rendendola migliore o peggiore di quando venne data? La legge è una buona legge quando viene obbedita e una cattiva legge quando viene trasgredita? Non avrebbe senso! Qualunque cosa un uomo possa fare, la legge rimane la stessa: “santa, giusta e buona”. Se un uomo la usa correttamente, cioè, se obbedisce alla legge (poiché questo è l’unico modo in cui una legge può essere usata correttamente), essa sarà buona con lui; perché non gli troverà alcun difetto. Ma se un uomo non la usa correttamente, se fa cose immorali, quella legge non sarà buona con lui; essa verrà subito contro di lui. Se la legge si trova sopra un uomo malvagio, quanto ci viene naturale pensare a quell’uomo come se fosse sotto di essa.

Il Dr. Adam Clarke, parlando della legge morale nei suoi commenti su {1 Timoteo 1: 9}, disse:

“Pertanto, non venne istituita per i giusti come un moderatore di crimini e un impositore di punizioni; poiché i giusti evitano il peccato e, vivendo alla gloria di Dio, non espongono sé stessi alla sua censura. Questa sembra essere la mentalità dell’apostolo; non dice che la legge non è stata “istituita” per l’uomo giusto; ma dice “ou keitai”, ovvero che non si trova “contro” l’uomo giusto, perché non la trasgredisce. Ma si trova contro i malvagi, poiché tali, come menziona l’apostolo, l’hanno trasgredita, e anche gravemente, e ne sono condannati”.

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“Se siete condotti dallo Spirito, voi non siete sotto la legge”

[GALATI 5: 18]

“Under the Law” The Signs of the Times, 13 maggio 1886. E. J. Wagoner.

“Ma se siete condotti dallo Spirito, voi non siete sotto la legge” {Galati 5: 18}.

Gli antinomiani [coloro che sostengono l’abolizione dei dieci comandamenti] citano molto raramente questo versetto, perché, senza dubbio, è così evidente, dalle connessioni che si possono fare, che la legge sia ancora in vigore. Rivolgiamo tutta la nostra attenzione a questo versetto, affinché possiamo vedere quale meravigliosa armonia vi è nella Bibbia sull’argomento della legge.

Poiché coloro che sono guidati dallo Spirito non sono sotto la legge, ne consegue che quelli che non sono guidati dallo Spirito sono sotto la legge. Ancora una volta, i versetti precedenti dicono quanto segue:

“Or io dico: Camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne, la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l’una all’altra, cosicché voi non fate quel che vorreste” {Galati 5:16-17}.

Questi versetti affermano nei termini più chiari che la carne e lo Spirito sono contrari; che camminare nella carne e camminare nello Spirito sono condizioni direttamente opposte. Quindi, poiché quelli che sono guidati dallo Spirito non sono sotto la legge e quelli che non sono guidati dallo Spirito sono sotto la legge, ne consegue che quelli che sono sotto la legge sono quelli che stanno soddisfacendo i desideri della carne.

“Ora le opere della carne sono manifeste e sono: adulterio, fornicazione impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizie, contese, gelosie, ire, risse, divisioni, sette, invidie, omicidi, ubriachezze, ghiottonerie e cose simili a queste, circa le quali vi prevengo, come vi ho già detto prima, che coloro che fanno tali cose non erediteranno il regno di Dio” {Galati 5: 19-21}.

Il frutto dello Spirito è, ovviamente, il contrario. Esso è:

“amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, fede, mansuetudine, autocontrollo” {Galati 5: 22-23}.

Riferendosi a questi frutti dello Spirito, l’apostolo dice:

“Contro tali cose non vi è legge” {Galati 5: 23}.

Cioè, coloro che sono guidati dallo Spirito e che producono i suoi frutti, sono in armonia con la legge; perché la legge va contro le opere della carne, e quelli che compiono le opere della carne sono condannati dalla legge, perciò si può anche dire che essi si trovano sotto di essa. Qui arriviamo alla stessa conclusione di {Romani 6: 14}, secondo cui i termini dell’espressione “sotto la legge” rappresentano semplicemente uno stato di antagonismo e violazione della legge; e ovviamente nessuno potrebbe trovarsi in un simile stato se la legge non fosse ancora in pieno vigore. Ora, poiché tutti i peccatori sono condannati a morte dalla legge {Romani 3: 19; 6: 23}, ne consegue di nuovo che i termini “sotto la legge” significano “essere condannati dalla legge” – “sotto una sentenza di morte”.

Tornando indietro, troviamo l’espressione “sotto la legge” usata due volte in {Galati 4: 4-5}:

“ma, quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione”.

Nel terzo versetto, l’apostolo afferma che quando eravamo bambini eravamo “in schiavitù sotto gli elementi del mondo”. Ma (questo implica un cambiamento) Dio mandò Suo Figlio a redimere “coloro che erano sotto la legge”. Potremmo quindi aspettarci che la redenzione sia dalla schiavitù nella quale ci troviamo, la schiavitù che è sotto “gli elementi del mondo”. Nel versetto 5, si dice che siamo salvati dall’essere “sotto la legge”, dimostrando così che “in schiavitù sotto gli elementi del mondo” e “sotto la legge” sono termini equivalenti.

Continuiamo a seguire questa questione sulla schiavitù. Nel versetto 9, Paolo dice ai galati:

“ora invece, avendo conosciuto Dio, anzi essendo piuttosto stati conosciuti da Dio, come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi, ai quali desiderate di essere di nuovo asserviti [schiavi]?” {Galati 4: 9}

Da questo passaggio capiamo implicitamente che i galati si trovavano nel pericolo di tornare ad una condizione in cui erano stati in precedenza. Qual era questa condizione? Leggiamo il versetto 8:

 “Ma allora, non conoscendo Dio, servivate a coloro che per natura non sono déi” {Galati 4: 8}.

Loro erano pagani. Quindi essere nella schiavitù sotto gli elementi del mondo, ovvero quegli elementi “deboli e poveri”, equivale a trovarsi in uno stato di paganesimo. Coloro che non conoscono Dio sono definiti pagani. Ma nessun uomo può conoscere Dio senza essere un seguace di Cristo, come disse il Salvatore:

“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” {Giovanni 14: 6}.

Nel senso stretto dato dalla Bibbia, quindi, tutti coloro che non sono in Cristo sono pagani. E quindi, sebbene Paolo abbia indirizzato la sua epistola a coloro che erano stati idolatri nel senso comunemente accettato, l’argomento è di applicazione universale.

Concludiamo, quindi, dicendo che gli “elementi del mondo” sono semplicemente varie forme di peccato. Ciò è ulteriormente dimostrato in {Efesini 2: 1-3}:

“Egli ha vivificato anche voi, che eravate morti nei falli e nei peccati, nei quali già camminaste, seguendo il corso di questo mondo, secondo il principe della potestà dell’aria, dello spirito che al presente opera nei figli della disubbidienza, fra i quali anche noi tutti un tempo vivemmo nelle concupiscenze della nostra carne, adempiendo i desideri della carne e della mente, ed eravamo per natura figli d’ira, come anche gli altri”.

Perciò, attraverso le espressioni “il corso di questo mondo”, gli “elementi deboli e poveri” e “gli elementi del mondo” non si desidera intendere nient’altro che il peccato. Ed essere “in schiavitù sotto gli elementi del mondo”, significa di fatto essere “sotto la legge”, in uno stato di condanna.

Cristo venne nella pienezza dei tempi {Marco 1: 14-15; Daniele 9: 25} “per riscattare quelli che erano sotto la legge”. Ma per fare questo, egli stesso doveva essere “sottoposto alla legge”. Ciò è in armonia anche con {Ebrei 2: 17}, che dice:

“Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare l’espiazione dei peccati del popolo”.

Le persone che Cristo venne a redimere erano “sotto la legge”, perciò fu fatto anche lui, come loro, “sotto la legge”.

Ora, se vi è qualche altro dubbio sul significato dei termini “sotto la legge”, confronta ciò che abbiamo visto sopra in {Galati 4: 4-5}, con le parole di Paolo in {2 Corinzi 5: 21}:

“Poiché egli [Dio] ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui”.

Cristo era senza peccato; “Egli non commise alcun peccato e non fu trovato alcun inganno nella sua bocca” {1 Pietro 2: 22}; la legge di Dio era nel Suo cuore {Salmo 40: 8} e tutta la Sua vita fu un’esemplificazione della legge. Pur non conoscendo il peccato, Egli è stato fatto peccato per noi. Il profeta disse:

“Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l’Eterno ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.” {Isaia 53: 5-6}.

Eravamo nella schiavitù del peccato, “sotto la legge”, e Lui prese su di Sé la nostra stessa schiavitù, e venne fatto diventare sotto la legge. Inoltre, poiché coloro che sono “sotto la legge” sono condannati, sotto una sentenza di morte, Egli, “divenendo simile agli uomini”, essendosi volontariamente posto sotto la stessa condanna, divenne “ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce” {Filippesi 2: 7-8}.

E così l’innocente ha sofferto per il colpevole. L’uomo era stato sopraffatto dal peccato e portato in schiavitù {2 Pietro 2: 19}, e per redimerlo da questa corruzione e dalla morte che doveva necessariamente seguire {Giacomo 1: 15}, l’immacolato Figlio di Dio assunse la forma di un servitore del peccato e acconsentì a coprirsi con lo stesso degrado nel quale si era immerso l’uomo.

Perché? “…affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui” {2 Corinzi 5: 21}. Affinché potessimo essere resi “senza macchia, ruga o alcunché di simile” {Efesini 5: 27} – in perfetta armonia con la santa legge di Dio. Essendo resi capaci, in Cristo, di osservare i comandamenti, possiamo avere attraverso di Lui la vita eterna {Matteo 19: 17}.

Prima di lasciare questo testo di Galati, c’è un altro aspetto che desidero porre all’attenzione del lettore. Leggiamo che Cristo nacque “da donna, sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge” {Galati 4: 4-5}. Era infatti necessario che Cristo assumesse la condizione di coloro che avrebbe redento. Essendo questa la situazione, potremmo ben capire che Cristo non redime nessuno che occupi una posizione diversa da quella che Lui stesso ha assunto. Questo aspetto è chiaramente indicato nelle Scritture.

“Infatti egli non prese su di sé la natura degli angeli, ma prese su di sé il seme di Abrahamo. Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli” {Ebrei 2: 16-17, KJV}.

Cristo può salvare solo coloro che si trovano in una situazione nella quale si è trovato anche Lui; Egli non può redimerne degli altri. Leggiamo anche in {2 Corinzi 5: 15} che Cristo “è morto per tutti”. Qual è, quindi, la conclusione necessaria? Solo questa: che da quando è divenuto “sotto la legge”, ed è diventato come coloro che è venuto a redimere, essendo Lui stesso venuto a redimere tutti gli uomini, perciò, tutti gli uomini si trovano “sotto la legge”.

Inoltre, il testo indica che è venuto con il solo scopo di riscattare coloro che erano sotto la legge; il loro essere sotto la legge rese necessario un atto per la loro redenzione. Se non fossero stati sotto la legge, non avrebbero avuto bisogno di redenzione. Ora, quando ricordiamo le parole di Paolo riguardanti Cristo che “ha dato sé stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere” {Tito 2: 14}, la conclusione inevitabile è che le parole “sotto la legge” indicano uno stato di peccato che caratterizza ogni essere umano e dal quale nessuno può essere salvato se non da Cristo.

Ma ora osserva il dilemma in cui si collocano coloro che affermano che i gentili non sono “sotto la legge” e che la legge era solo per gli ebrei. Se questa prospettiva fosse vera, ne conseguirebbe necessariamente che, poiché Cristo è venuto a redimere solo coloro che sono sotto la legge, è venuto a redimere solo gli ebrei! Poiché è certo il fatto che nessuna persona, che non si trova nella stessa posizione che Cristo ha assunto quando è venuto per redimere l’uomo, non otterrà la salvezza. Crediamo anche che nessuno vorrà escludersi dal piano della redenzione di Dio, quando considererà questo punto di vista, rifiutando di ammettere che, sia in teoria che in pratica, si trova “sotto la legge”.

Riconosciamo piuttosto la nostra colpa, affinché possiamo essere lavati nel sangue dell’Agnello.

“Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” {Proverbi 28: 13}.

CAPITOLO 3 – “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni

[Galati 4: 10-21]

“Under the Law” The Signs of the Times, 27 maggio 1886. E. J. Wagoner

Un altro testo che richiede ancora una volta la nostra attenzione è {Galati 4: 21}:

“Ditemi, voi che volete essere sotto la legge, non date ascolto alla legge?”.

Una completa comprensione della profondità di questo versetto può essere ottenuta solo attraverso:

1) una conoscenza dettagliata del grande pericolo dei Galati, che ha reso necessaria la stesura di questa epistola;

2) un attento esame del resto del capitolo;

3) una breve considerazione sulle due alleanze.

Poiché tutti questi punti sono in linea con lo studio della legge che abbiamo iniziato e visto che ci saranno molto utili nelle nostre investigazioni future, qui di seguito ci prenderemo del tempo per esaminare questi punti.

Nel capitolo 1 di Galati, Paolo parla della sua chiamata al ministero e del suo primo contatto con la chiesa. La sua chiamata, disse, non veniva dagli uomini, ma da Dio stesso. Dopo la sua conversione, trascorsero tre anni prima che andasse a Gerusalemme, e lì, gli unici apostoli che vide furono Pietro e Giacomo. Perciò non ricevette la conoscenza del Vangelo dagli uomini, ma dalla rivelazione di Gesù Cristo stesso.

Nel capitolo 2, Paolo parla dell’occasione in cui visitò per la seconda volta Gerusalemme, che fu quattordici anni dopo la sua prima visita. L’occasione in questione riguarda il Consiglio che si tenne a Gerusalemme e che costituisce il soggetto principale del capitolo 15 degli Atti. Alcuni uomini erano scesi dalla Giudea ad Antiochia, dove Paolo lavorava, e avevano insegnato ai fratelli, dicendo:

“Se non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati” {Atti 15: 1}.

Dopo molte discussioni su questa questione, i fratelli decisero che Paolo, Barnaba e pochi altri, dovessero andare a Gerusalemme per porre la questione davanti agli apostoli e agli anziani.

La questione che venne portata davanti al Consiglio, la stessa che sollevò problemi anche tra i galati mettendoli in pericolo a questo proposito, appare nel capitolo 2 di Galati. Paolo menziona la visita e assicura i fratelli dicendo che quelli “che godevano di maggior credito”, cioè quelli che guidavano il Consiglio, “non gli imposero nulla di più”. Il Vangelo gli era stato reso noto per rivelazione diretta di Gesù Cristo, e quindi conosceva già tutta la verità sulla questione prima della convocazione al Consiglio.

Inoltre, Paolo afferma che dopo il Consiglio, ebbe una controversia sullo stesso argomento che era stato lì discusso, con Pietro, che stava agendo in contrasto con la decisione del Consiglio. Queste cose mostrano che il pericolo che minacciava i fratelli galati e che ha spinto Paolo a scrivere loro un’epistola, era lo stesso in cui gli uomini della Giudea stavano cercando di far cadere tutti i convertiti di Paolo. Poiché gli ebrei seguivano costantemente Paolo, cercando di rovesciare il suo lavoro.

Esaminiamo ora l’insegnamento di questi uomini della Giudea.

“Se non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati” {Atti 15: 1}.

Naturalmente con la circoncisione erano anche inclusi tutti i rituali della legge cerimoniale. Ora sorge la domanda: perché volevano obbligare questi convertiti tra i gentili a farsi circoncidere? La motivazione data era che in questo modo potevano essere salvati. Loro insegnavano che la circoncisione era l’unica cosa indispensabile ad assicurare la salvezza. Ma l’unica cosa che ostacola la salvezza di tutti gli uomini è il peccato; e quindi, poiché la circoncisione è stata proposta come condizione di salvezza, dobbiamo concludere che sia stata proposta anche come mezzo di giustificazione. Ma questo era direttamente contrario al Vangelo che Paolo predicava, cioè che la giustificazione viene solo attraverso Cristo. Questo era davvero “un altro vangelo”, che non era affatto il Vangelo.

Che questi ribelli sollecitassero la circoncisione sui gentili come mezzo di giustificazione, è ulteriormente dimostrato dalle parole di Pietro, che disse:

“«Fratelli, voi sapete che già dai primi tempi Dio tra noi scelse me, affinché per la mia bocca i gentili udissero la parola del vangelo e credessero. Dio, che conosce i cuori, ha reso loro testimonianza, dando loro lo Spirito Santo, proprio come a noi; e non ha fatto alcuna differenza tra noi e loro, avendo purificato i loro cuori mediante la fede” {Atti 15: 7-9}.

L’argomento di Pietro era che Dio si proponeva di trattare i gentili che credevano proprio come faceva con gli ebrei credenti, dando ad entrambi lo Spirito Santo, purificandoli per fede e non per circoncisione o per qualsiasi altra opera che potessero fare.

Si noti in particolare l’effetto che l’insegnamento di questi uomini della Giudea necessariamente deve avere avuto su coloro che l’accettarono. Coloro che l’hanno accettato sono stati portati a rifiutare Cristo come mezzo di giustificazione dal peccato. Se fossero stati giustificati dalla circoncisione, ovviamente non avrebbero più avuto bisogno di Cristo. Ed è per questo motivo che venne insegnata quella dottrina. Questi uomini della Giudea non accettavano Cristo; la loro unica opposizione alla predicazione di Paolo e degli altri apostoli era che Cristo veniva indicato come l’unico mezzo di giustificazione e risurrezione futura {Atti 4: 1-2}. Questi uomini della Giudea vengono talvolta definiti “cristiani giudaizzanti”, ma non erano affatto cristiani. La loro unica opera era quella di contrastare il Vangelo di Cristo. E nel loro odio per esso e per Cristo, andavano in giro tra le chiese, cercando di indurre i nuovi convertiti a chiedere perdono e salvezza attraverso la circoncisione, anziché attraverso Cristo. Questi erano gli uomini che stavano “colpendo con zelo” i galati, con il solo scopo di “escluderli” dalla fede di Cristo {Galati 4: 17}.

Abbiamo già dimostrato che tutti coloro che sono nel peccato sono “sotto la legge” – condannati. Quindi, poiché oltre a Cristo: “non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” {Atti 4: 12}, gli uomini non sono giustificati da nessuna loro opera, ma solo dalla fede in Cristo. Ne consegue che tutti coloro che accettarono l’insegnamento degli uomini dalla Giudea e furono circoncisi per giustificarsi, continuavano ad essere “sotto la legge”. Nessun tipo di opera, come la circoncisione o qualsiasi altra cosa, poteva liberarli dalla colpa dei peccati passati. Inoltre, coloro che avevano accettato Cristo ed erano stati perdonati, se avessero accolto questo insegnamento, sarebbero “caduti dalla grazia” {Galati 5: 4}; perché essere circonciso in vista della giustificazione significava semplicemente rifiutare Cristo e ripudiare la loro precedente professione di fede. Questo è proprio ciò che Paolo disse loro:

 “Ecco, io, Paolo, vi dico che se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla” {Galati 5: 2}.

Paolo non intendeva dire che c’era qualcosa di malvagio nella circoncisione in sé stessa, poiché egli stesso circoncise Timoteo dopo il Consiglio di Gerusalemme {Atti 16: 1-3}. Sebbene il padre di Timoteo fosse un gentile e sua madre un’ebrea, se Timoteo non fosse stato circonciso, non gli sarebbe stato permesso di lavorare con Paolo tra gli ebrei nelle sinagoghe. Pertanto, essendo una questione di opportunità, Paolo circoncise Timoteo, dimostrando così che per lui la circoncisione di un uomo non era un problema di importanza vitale {1 Corinzi 7: 19}. Ma quando gli uomini accettavano la circoncisione come mezzo per ottenere la salvezza, in quel momento rigettavano Cristo, l’unica speranza dell’uomo, e quindi Cristo non aveva più alcun valore. Cristo non può aiutare coloro che lo rifiutano. Possiamo quindi renderci conto che una grande eresia veniva predicata a questi giovani cristiani.

Ricordati questo: la religione pagana era una religione di forme e cerimonie. Alcune di queste cerimonie erano tra le più immorali. Ora, se i pagani convertiti fossero stati indotti a riporre la loro speranza di salvezza nelle cerimonie ebraiche, gli sarebbe bastato solo un ulteriore passo per affondare nelle loro vecchie tradizioni pagane. Questo, in realtà, fu proprio l’effetto che ebbe sui galati; poiché Paolo disse loro:

“Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni” {Galati 4:10}.

“Quando entrerai nel paese che l’Eterno, il tuo DIO, ti dà, non imparerai a seguire le abominazioni di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi faccia passare il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco, né chi pratichi la divinazione, né indovino, né chi interpreta presagi [oppure “chi osserva stagioni”; “an observer of times” (KJV)], né chi pratica la magia” {Deuteronomio 18: 9-10}.

 “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni. Io temo di essermi affaticato invano per voi” {Galati 4:10-11}.

La loro circoncisione non portò semplicemente alla sostituzione del cristianesimo con l’ebraismo, ma ad una ricaduta nel paganesimo. E così vediamo che i galati stavano davvero tornando “sotto la legge”, o, come affermato nel versetto 9, si stavano rivolgendo agli “elementi deboli e poveri del mondo”, sotto i quali desideravano essere di nuovo in schiavitù.

Alcuni potrebbero essere sorpresi riguardo all’espressione che Paolo usa in {Galati 4: 21} che dice:

“Ditemi, voi che volete essere sotto la legge […]”.

Perché Paolo dovrebbe accusarli di desiderare la morte? Poiché se essere “sotto la legge” significa essere sotto la pena di morte, Paolo li ha praticamente accusati di desiderare la morte. Un passaggio parallelo si trova in {Proverbi 8: 36}:

“Tutti quelli che mi odiano amano la morte”.

Ora, mentre nessuno amerebbe la morte in sé, in modo da sceglierla deliberatamente, la gente ama il peccato, non rendendosi conto che la sua finalità è proprio la morte. Questa era la situazione nella quale si trovavano quelli a cui parlava Paolo. Desideravano una certa cosa che li avrebbe portati sotto la condanna della legge; e quindi si può dire che desideravano essere sotto la legge, sebbene non si rendessero conto che questa condizione sarebbe stata la conseguenza delle loro scelte.

CAPITOLO 4 – “Il monte Sinai che genera a schiavitù”

[GALATI 4: 22-31]

“Under the Law” The Signs of the Times, 3 giugno 1886. E. J. Wagoner

Abbiamo appena capito qual era il pericolo che minacciava i fratelli galati e possiamo quindi comprendere la preoccupazione di Paolo per loro e la sua affermazione secondo la quale essi desideravano essere “sotto la legge”, sotto la schiavitù degli elementi del mondo. Sarà quindi semplice esaminare la parte rimanente del capitolo 4 di Galati, e osservare quanto è importante in relazione alla legge. L’apostolo continua dicendo:

“Ditemi, voi che volete essere sotto la legge, non date ascolto alla legge? Infatti sta scritto che Abrahamo ebbe due figli: uno dalla serva e uno dalla libera. Or quello che nacque dalla serva fu generato secondo la carne, ma quello che nacque dalla libera fu generato in virtù della promessa. Tali cose hanno un senso allegorico, perché queste due donne sono due patti: uno dal monte Sinai che genera a schiavitù, ed è Agar. Or Agar è il monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme del tempo presente; ed essa è schiava con i suoi figli. Invece la Gerusalemme di sopra è libera ed è la madre di noi tutti” {Galati 4: 21-26}.

Si noterà subito che in questi versetti ci sono tre elementi che sono messi in contrasto con altri tre: Agar, la vecchia Gerusalemme e la vecchia alleanza si trovano in opposizione a Sara, alla nuova Gerusalemme e alla nuova alleanza.

Ismaele e Isacco ci vengono presentati come rappresentanti di coloro che rispettivamente sono sotto la vecchia e la nuova alleanza. Si noterà anche che coloro che sono liberi sono i figli della nuova Gerusalemme, della nuova alleanza, mentre quelli in schiavitù, “sotto la legge”, sono i figli della vecchia Gerusalemme, la vecchia alleanza. La spiegazione di questo capitolo implica, quindi, una spiegazione delle due alleanze che presenteremo nel modo più breve e semplice possibile.

La prima alleanza fu fatta con i figli d’Israele quando lasciarono l’Egitto {Ebrei 8: 8-9}. Le condizioni di questa alleanza si trovano in {Esodo 19: 3-8; 24: 3-8}. Queste erano semplicemente le seguenti: Dio promise di fare degli israeliti una grande nazione, un regno di sacerdoti, se loro, a loro volta, avessero obbedito alla Sua legge. Essi promisero di fare ciò. Così fu stipulato un patto, o un accordo. La legge di Dio era il fondamento dell’alleanza {Esodo 24: 8}.

Ora, osserva ciò che questo patto richiedeva al popolo. Il Signore aveva prima promesso di fare certe cose per loro se avessero obbedito alla Sua voce. Poi, hanno sentito la Sua voce pronunciare la legge attraverso i tuoni al Sinai, e dopo hanno rinnovato la loro promessa di obbedienza, dicendo:

“Noi faremo tutto ciò che l’Eterno ha detto, e ubbidiremo” {Esodo 24: 7}.

Questo non era altro che un accordo nel quale dicevano che avrebbero dimostrato una perfetta obbedienza alla legge. Coloro che “ascoltano la legge” si rendono conto che essa ha a che fare con ogni atto o pensiero riguardante l’intera vita dell’uomo. Pertanto, se gli ebrei avessero mantenuto la loro promessa, avrebbero meritato tutte le benedizioni che Dio aveva promesso loro; ma, sfortunatamente, non l’hanno fatto, né potevano riuscirci. Avevano già infranto la legge molte volte ed erano peccatori per natura, quindi era assolutamente impossibile per loro, con le loro forze, obbedirle in modo perfetto {Romani 8: 7-8; Galati 5: 17}.

In questa alleanza non era previsto il perdono dei peccati, né passati né futuri, nessun accenno a Cristo, il solo attraverso il quale possono venire il perdono e il potere di osservare la legge. Avevano praticamente promesso di rendersi giusti davanti a Dio. Ma chiunque tenti di farlo fallirà, perciò si dice di questo patto che porti alla schiavitù. Nessuno rimanga con l’impressione che quell’alleanza li ha obbligati a rispettare la legge. L’obbligo di osservare la legge esisteva prima che venisse stipulato qualsiasi patto; ma ciò che intendiamo dire è che quell’alleanza li ha lasciati proprio lì dove li ha trovati, in uno stato di condanna a causa della legge violata.

Se non ci fosse mai stata alcuna alleanza diversa da questa, il mondo intero sarebbe stato perduto {Romani 3: 19}. Alcuni domanderanno: “Non sapeva Dio che loro non potevano, da soli, osservare perfettamente la legge? Non li stava prendendo in giro confermando un simile patto con loro?”, Dio sapeva bene che essi non avevano il potere di fare ciò che diceva l’accordo, ma nel fare questa alleanza non gli stava prendendo in giro. Un simile accordo era il metodo più convincente che si potesse escogitare per rendergli coscienti della condizione nella quale si trovavano. Nei loro vani sforzi di osservare l’intera legge da soli, avrebbero compreso il loro bisogno e ciò avrebbe rivolto la loro attenzione a quell’altra alleanza, chiamata la nuova alleanza, ma che in realtà era esistita fin dalla caduta nel peccato.

“«Ecco, verranno i giorni», dice l’Eterno, «nei quali stabilirò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda, non come il patto che ho stabilito con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, perché essi violarono il mio patto, benché io fossi loro Signore»; dice l’Eterno. Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d’Israele dopo quei giorni» dice l’Eterno: «Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non insegneranno più ciascuno il proprio vicino né ciascuno il proprio fratello, dicendo: Conoscete l’Eterno! perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice l’Eterno. «Poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato»” {Geremia 31: 31-34}.

Sotto quale aspetto questa alleanza differisce dall’altra? Riguardo all’osservanza della legge? No! Perché quest’osservanza è richiesta in entrambe le alleanze. La differenza consiste nel perdono dei peccati e nell’annullamento delle trasgressioni. In più, la legge deve essere scritta nel cuore delle persone, in questo modo saranno rese capaci di osservarla perfettamente {Salmo 40: 8}. Quest’opera è svolta da Cristo. Grazie a Lui il perdono è assicurato e ci dà la possibilità di diventare la giustizia di Dio. Si vedrà facilmente che, mentre l’altra alleanza ha trovato e lasciato il popolo nella schiavitù del peccato e sotto la condanna della morte, questa nuova alleanza ha permesso loro di liberarsi dal peccato e dalla sua condanna.

“Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù, i quali non camminano secondo la carne ma secondo lo Spirito” {Romani 8: 1}.

Ora l’applicazione delle parole di Paolo è facile. Agar era una schiava e Ismaele, suo figlio, fu generato secondo la carne. Sara era una donna libera e suo figlio Isacco era il figlio della promessa, nato non secondo la carne, ovvero, in una situazione nella quale la nascita di un bambino era impossibile.

Poiché Ismaele “è nato secondo la carne”, è un tipo adatto di coloro che sono “nella carne”; e in questa condizione si trovano tutti i peccatori, così come anche tutti coloro che tentano di assicurarsi la salvezza attraverso i propri sforzi, senza alcun aiuto. Una volta che gli uomini hanno peccato è assolutamente innaturale che essi appaiano perfettamente giusti, come se non avessero mai peccato. Ma Dio, per il miracolo della grazia, che si manifesta attraverso Gesù Cristo, fa sì che ciò avvenga, affinché il peccatore possa essere innocente davanti alla legge. Così coloro che hanno ottenuto questa libertà possono essere rappresentati da Isacco, che è nato contrariamente all’ordine naturale, solamente per mezzo della promessa di Dio.

Allo stesso modo, la vecchia Gerusalemme, che è stata respinta da Dio perché aveva ucciso e lapidato i profeti che erano stati inviati ad essa, e che aveva respinto anche Cristo, è stata definita giustamente la madre di coloro che sono nella schiavitù a causa del peccato. La nuova Gerusalemme, tuttavia, è chiamata la Sposa, la moglie dell’Agnello {Apocalisse 21: 2, 9-10}; e poiché Cristo è il Padre eterno {Isaia 9: 6}, è anche l’unico che può offrire la libertà {Romani 8: 1; Giovanni 8: 33-36}; la città quindi è propriamente chiamata la madre di tutti coloro che sono salvati dal peccato.

“Ma, come allora colui che era generato secondo la carne perseguitava colui che era generato secondo lo Spirito, così avviene al presente” {Galati 4: 29}.

Questa è solo un’altra versione di ciò che troviamo in {Galati 5: 17}:

“la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l’una all’altra, cosicché voi non fate quel che vorreste”.

“Ma che dice la Scrittura? «Caccia via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non sarà erede col figlio della libera»” {Galati 4: 30}.

Esattamente; le opere della carne devono essere messe da parte, poiché “coloro che fanno tali cose non erediteranno il regno di Dio”.

“Ora quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze” {Galati 5: 24}.

L’apostolo, dopo aver mostrato la schiavitù in cui sono detenuti tutti i peccatori, e il modo in cui solo Cristo può liberare gli uomini e consentire loro di adempiere i requisiti della legge, dice:

“Così dunque, fratelli, noi non siamo figli della schiava ma della libera” {Galati 4: 31}.

Confronta questo con {Galati 4: 8-9}.

In questo momento potremmo lasciare questa parte della Scrittura, poiché abbiamo completamente spiegato il versetto 21, che è tutto ciò che ci siamo prefissati di fare; ma colui che ha letto finora, difficilmente riuscirà a leggere i versetti immediatamente dopo l’ultima citazione biblica senza rimanere perplesso su una o due espressioni lì presenti. Ma bastano poche parole per spiegarle.

“Ecco, io, Paolo, vi dico che se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. E daccapo attesto ad ogni uomo che si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta la legge. Voi, che cercate di essere giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia. Noi infatti in Spirito, mediante la fede, aspettiamo la speranza della giustizia” {Galati 5: 2-5}.

Il lettore si ricorderà ciò che è stato detto in precedenza sulla circoncisione e sulle altre cerimonie. È evidente che Paolo non intendeva dire che la circoncisione era di per sé una cosa così terribile in quanto la sua accettazione avrebbe fatto cadere una persona dalla grazia; poiché l’apostolo stesso circoncise Timoteo come un atto di opportunità {Atti 16: 1-3}.

Deve quindi riferirsi alla circoncisione insegnata dagli uomini che scesero dalla Giudea e che cercavano di allontanare i convertiti di Paolo dalla fede, esortando la circoncisone come un mezzo di giustificazione.

“«Se non siete circoncisi… non potete essere salvati»” {Atti 15: 1}.

Ma poiché il perdono e la giustificazione possono essere garantiti solo attraverso Cristo, coloro che hanno adottato la circoncisione a tale scopo, hanno necessariamente respinto Cristo; e se avevano precedentemente accettato il cristianesimo, ovviamente il loro rifiuto di Cristo era una caduta dalla grazia. Cristo non è di nessun aiuto per coloro che si aspettano di essere giustificati dalle loro stesse opere. Ma noi, al contrario, dice Paolo, “aspettiamo la speranza della giustizia per fede” {Galati 5: 5, KJV}. Ciò dimostra che la giustificazione per fede dal peccato è l’argomento che qui continua ad essere discusso.

Ma che dire dell’espressione che troviamo in {Galati 5: 3}:

“E daccapo attesto ad ogni uomo che si fa circoncidere che egli è obbligato [debitore, KJV] ad osservare tutta la legge”?

Ciò significa che se un uomo viene circonciso, deve osservare la legge, ma se non viene circonciso, può ignorarla? Assolutamente no! La legge è di obbligo universale; tutti gli uomini, qualunque sia la loro condizione, sono tenuti ad osservarla. Questo dovere è posto su ogni individuo, poiché tutto il mondo è colpevole di fronte a Dio; perché tutti hanno trasgredito la legge. E poiché tutti hanno trasgredito la legge, allora sono anche condannati.

“… coloro che mettono in pratica la legge saranno giustificati” {Romani 2: 13}.

E nessun altro può esserlo. Quelli “che mettono in pratica la legge” sono coloro che possono presentare la testimonianza di un’obbedienza perfetta, ininterrotta da neanche un singolo peccato. Quindi ne consegue che, dopo che tutti hanno peccato, nessuno può essere giustificato attraverso le opere della legge.

Supponiamo ora che un uomo inizi, con grande determinazione, a garantirsi la giustizia senza l’aiuto di Cristo. Cosa deve fare? Deve adempiere tutta la legge. Ottimo; ora supponiamo che sia possibile per lui osservare perfettamente la legge per il resto della sua vita. Gli mancherà ancora qualcosa? Certamente; poiché la legge richiede l’obbedienza anche per quella parte della sua vita che ha trascorso nel peccato, prima di tentare di fare il bene. A colui che vuole mettere in pratica la legge gli viene richiesta un’obbedienza perfetta. È come se Paolo dicesse con altre parole: “se ti sei deciso di essere giustificato dalla circoncisione o da qualsiasi altra opera, sarà necessario che tu mostri un rapporto perfettamente puro. Tu stesso devi cancellare quei peccati del passato, in modo tale che la legge testimoni della tua perfetta giustizia, così che tu possa sembrare come se non avessi mai peccato. Ma l’uomo questo non può farlo, e quindi rimarrebbe eternamente “debitore” [in Galati 5: 3 viene riportato il termine “obbligato” che originariamente, nella versione KJV, significa “debitore”]. Si trova nella condizione di quell’uomo che doveva al suo signore diecimila talenti e che non aveva nulla con cui pagare, e che fu gettato in prigione fino a quando non avrebbe potuto pagare il tutto. Per lui non c’era alcuna speranza. Per tutta l’eternità rimarrà debitore nei confronti del suo signore.

Questo è esattamente ciò che accade con l’uomo che cerca di essere giustificato davanti a Dio per mezzo di qualsiasi sua opera. C’è una grandissima profondità di significato nelle parole, “è obbligato [debitore, KJV] ad osservare tutta la legge”, che il lettore superficiale non può capire. La disperazione della schiavitù che avvolge l’uomo e che lo spinge fino al punto di stabilire una propria giustizia può a malapena essere concepita. In questa schiavitù ci siamo tutti, o almeno ci siamo stati. Rallegriamoci sempre poiché “presso l’Eterno vi è misericordia e presso di lui vi è redenzione completa” {Salmo 130: 7}; che il sangue di Cristo ci purifichi da ogni peccato.

CAPITOLO 5 – “Tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge”

[ROMANI 3: 19]

“In the Law” The Signs of the Times, 16 settembre 1886. E. J. Wagoner

L’espressione “sotto la legge” ricorre dodici volte nella versione del Nuovo Testamento del Re Giacomo (KJV), nei seguenti versetti:

1) Romani 3: 19;

2) Romani 6: 14-15 (due volte);

3) 1 Corinzi 9: 20-21 (quattro volte);

4) Galati 3: 23 (l’equivalente: “sotto un precettore”, si trova anche al versetto24);

5) Galati 4: 4-5 (due volte);

6) Galati 4: 21;

7) Galati 5: 18.

Negli articoli precedenti abbiamo considerato tutti i casi nei quali si usano questi termini, ad eccezione di {Romani 3: 19} e {1 Corinzi 9: 20-21}. In ogni caso finora abbiamo scoperto che indica uno stato di peccato e, di conseguenza, di condanna a causa della legge. Colui che ha violato la legge è condannato, e quindi la legge è come se fosse su di lui, trattenendolo fino alla morte.

In {Romani 3: 19}, viene presentata una prospettiva diversa a chi legge attentamente il testo. Analizziamo questo versetto:

“Or noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio”.

Leggendo questo versetto qualcuno dirà: “La tua idea secondo la quale l’espressione “sotto la legge” significhi essere condannato dalla legge certamente non può valere in questo caso, perché ciò renderebbe insensato il testo; equivarrebbe a dire: “indifferentemente da ciò che dice la legge, essa lo dice a coloro che sono condannati dalla legge, affinché tutti possano essere condannati”, questo non avrebbe proprio senso”.

Possiamo quindi concludere che il termine “sotto la legge” non indica sempre uno stato di peccato e condanna. In tutti i testi che abbiamo considerato finora, le parole greche “hupo nomos” sono tradotte con l’espressione “sotto la legge”, ed esse devono essere tradotte, così come è stato detto, mediante l’espressione soprariportata. Ma in {Romani 3: 19} le parole greche che troviamo nella versione del Re Giacomo (KJV) sono “en to nomos” e queste possono essere tradotte correttamente soltanto con l’espressione “nella legge”. La stessa espressione greca si trova anche in {Romani 2: 12}, che i traduttori hanno riportato correttamente con i termini “nella legge”.

Il testo in esame dovrebbe quindi essere letto così:

“Or noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono [nella] legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio”.

Ciò significa che la legge parla a coloro che sono sotto la sua giurisdizione, (o come il professor Boise definisce, “all’interno della sua sfera”), e di conseguenza dichiara che tutto il mondo è soggetto al giudizio di Dio, perché ciò dimostra che tutti sono peccatori.

L’espressione “affinché ogni bocca sia messa a tacere” è molto forte. Quando un uomo viene portato in tribunale e accusato di un crimine qualsiasi, inizia, attraverso il suo avvocato, a difendere la propria causa e a provare di dimostrare la sua innocenza. Ma a volte le prove della colpevolezza di un uomo sono così inconfutabili che non può affatto difendersi; la sua bocca è messa a tacere, ed è costretto a riconoscere la giustizia dell’accusa contro di lui. Quindi la legge di Dio parla a coloro che sono sotto la sua giurisdizione e li condanna a morte, le prove sono così evidenti che nessuno può pronunciare alcuna parola per auto-difendersi; tutto il mondo risulterà così condannato davanti a Dio.

Mediante questa corretta traduzione di {Romani 3: 19} ci viene insegnata un’importante verità riguardante l’estensione della giurisdizione della legge. Ricordati questi due punti:

1) La legge parla solo a coloro che sono nella sua sfera; se viene trasgredita, essa potrà condannare solo alcuni di questi, mentre altri no.

2) La legge non ha alcun potere di condannare chi non si sottomette ad essa o si trova al di fuori dei suoi confini.

Paolo ha dimostrato in {Romani 3: 9-18} che non esiste alcuna persona sulla terra che non abbia peccato, e quindi dichiara con enfasi che la legge, parlando solo a coloro che sono nella sua giurisdizione, rende muta ogni bocca e condanna tutto il mondo. Non potrebbe esserci una modalità più convincente di dire che ogni individuo nel mondo è responsabile nei confronti della legge di Dio. Ebrei e gentili sono tutti sotto la stessa condanna, perché tutti si trovano all’interno dei confini della legge e tutti l’hanno violata.

Forse alcuni potrebbero pensare che ciò costituisca una contraddizione tra {Romani 3: 19} e {Romani 2: 12}, ma non è così. È vero che {Romani 2: 12} parla di quelli “senza legge” come distinti da quelli “nella legge”; ma anche di quelli che vengono definiti “senza legge”, si dice che hanno peccato e abbiamo già appreso che:

1) “Il peccato è la trasgressione della legge” e che “dove non c’è legge non c’è trasgressione”;

2) Paolo, in {Romani 2: 14-15}, mostra che questi stessi uomini, che sono in un certo senso senza legge, “dimostrano che l’opera della legge è scritta nei loro cuori” e che quindi hanno la legge.

Alcuni peccano di fronte alla piena luce della legge, mentre altri peccano solo contro quella conoscenza parziale della legge che hanno per natura; ma tutti sono considerati come peccatori davanti agli occhi di Dio, cosa che non sarebbe corretta se non fossero tutti quanti responsabili nei confronti della legge. Perciò egli dichiara che in realtà tutti si trovano “nella legge”.

CAPITOLO 6 – “Benché non sia senza la legge di Dio, anzi sotto la legge di Cristo”

[1 CORINZI 9: 20-21]

“In the Law” The Signs of the Times, 16 settembre 1886. E. J. Wagoner

Leggiamo ora {1 Corinzi 9: 20-21}:

“Mi sono così fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; mi sono fatto come uno che è sotto la legge con coloro che sono sotto la legge, per guadagnare quelli che sono sotto la legge; tra quanti sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza la legge (benché non sia senza la legge di Dio, anzi sotto la legge di Cristo), per guadagnare quanti sono senza la legge”.

In questo testo il termine “sotto la legge” ricorre quattro volte. Nei primi tre casi, si fa riferimento ad uno stesso significato. Ma, nel quarto caso, al versetto 21, il greco è “en to nomos” e, come anche in {Romani 3: 19}, dovrebbe essere tradotto “nella legge”. Quindi il versetto direbbe:

“tra quanti sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza la legge (benché non sia senza la legge di Dio, anzi [nella] legge di Cristo), per guadagnare quanti sono senza la legge”.

Per beneficiare della piena potenza di questo testo, dobbiamo leggere il versetto che lo precede e i due che lo seguono:

“Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero”. “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per poterne salvare in qualche modo alcuni. Or io faccio questo per l’evangelo, affinché ne sia partecipe anch’io” {1 Corinzi 9: 19, 22-23}.

Questi versetti, messi in relazione al 20 e 21, mostrano che lo scopo di Paolo nel suo lavoro ministeriale è stato quello di cercare di adattarsi, per quanto possibile, alle condizioni di coloro per i quali lavorava. Non ha avvicinato tutti gli uomini allo stesso modo, ma ha adattato il suo insegnamento in funzione delle diverse classi di persone alle quali insegnava. Andava incontro ad ognuno sul proprio terreno.

Per gli ebrei, divenne un ebreo. Questo poteva farlo facilmente, poiché lui stesso era un ebreo e conosceva tutte le loro abitudini e tradizioni. Il libro di Ebrei è un esempio di come è diventato ebreo per gli ebrei. Dalla loro stessa storia, dalle loro Scritture e dalla loro religione, ha dimostrato la messianicità del nostro Salvatore, e anche tutta la Sua opera in relazione al piano di salvezza.

Per quelli che erano sotto la legge, divenne come sotto la legge, affinché fossero conquistati. Per fare ciò ha attinto dalla propria esperienza di peccatore, per poter lavorare con successo in favore di coloro che hanno sentito la condanna della legge di Dio su di loro come conseguenza dei loro peccati. Il settimo capitolo di Romani ne è un esempio. Se Paolo non avesse provato la terribile angoscia che deriva dalla conoscenza di un Dio offeso, il senso di condanna imminente e la meravigliosa pace che deriva dal credere in Gesù, non avrebbe mai potuto scrivere un capitolo così pieno di incoraggiamento per il peccatore condannato.

Per quelli che erano senza legge, cioè per i gentili che non avevano la legge scritta e che non avevano una piena conoscenza di Dio, divenne come se fosse senza legge, per poter conquistare quelli che erano senza legge. Un esempio di ciò ci viene offerto dal suo incontro con gli ateniesi {Atti 17: 22-31}. Li incontrò sul loro terreno e attraverso la loro adorazione e la loro letteratura pagana gli dimostrò l’esistenza di un grande Creatore e la certezza di un futuro giudizio generale.

Ma mentre è diventato per loro come se fosse uno senza legge, Paolo in realtà afferma che non era “senza la legge di Dio, anzi [nella] legge di Cristo”. Ciò significa che ha sempre riconosciuto l’obbligo di osservare l’intera legge di Dio; Cristo era per lui “il fine della legge per la giustificazione”.

Con ciò concludono le considerazioni riguardanti l’espressione “sotto la legge”. Escludendo {1 Corinzi 9: 21} e {Romani 3: 19}, testi in cui abbiamo visto che il termine non compare realmente, possiamo arrivare alla conclusione certa che ogni caso in cui appaiono i termini “sotto la legge” indicano uno stato di peccato e di condanna. E poiché si afferma ovunque nelle Scritture che solo quelli che sono in Cristo sono liberi dalla condanna della legge e che tutti coloro che non sono in Cristo e che non hanno il Suo Spirito sono sotto la legge, ciò dimostra ampiamente il fatto che la legge sia ancora valida per tutti.

CAPITOLO 7 – “Venuta la fede, non siamo più sotto un precettore!”

[GALATI 3: 24-25]

“Under The Law”. The Signs of the Times, 11 settembre 1884. E. J. Wagoner

Prima di considerare i passaggi che rimangono, contenenti l’espressione “sotto la legge”, desideriamo riassumere brevemente alcuni punti già esaminati attraverso alcune semplici proposizioni, facendo riferimento ai testi che le stabiliscono.

1) Rispettare la legge di Dio è tutto il dovere dell’uomo {Ecclesiaste 12: 13}. Il fatto che la parola “uomo” non sia specifica, mostra che non faccia riferimento a un solo uomo o a una sola categoria di uomini particolari, ma che il saggio Salomone intendeva includere l’intera razza umana. È dovere di tutti gli uomini amare Dio e i loro simili.

2) Coloro che obbediscono alla legge saranno giustificati davanti a Dio {Romani 2: 13}. Questa proposizione è una naturale conseguenza della prima; poiché un Dio giusto non condannerà mai un uomo che fa tutto il suo dovere. “«Temi DIO e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo»” {Ecclesiaste 12: 13}.

3) Ma nessun uomo ha mai compiuto tutto il suo dovere, poiché nessuno ha rispettato perfettamente la legge. “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” {Romani 3: 23, 9-12}. “Tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio” {Romani 3: 19}.

4) “Perché nessuna carne sarà giustificata davanti a lui per le opere della legge” {Romani 3: 20}. Questa è la conseguenza diretta del fatto dichiarato al versetto 19. Una buona legge non giustificherà mai i malvagi. In questi due versetti abbiamo di nuovo la prova che la legge è stata progettata per l’intera famiglia umana e non solo per una categoria particolare di persone; poiché la legge non poteva condannare coloro per i quali non era stata progettata. Ovvero, una legge non può condannare coloro che non rientrano nella sua giurisdizione. Ma la legge condanna il mondo intero; quindi tutto il mondo è sotto la sua giurisdizione.

5) La “condanna” è “l’atto giudiziario che dichiara la colpevolezza e che condanna alla punizione”. È l’opposto diretto della “giustificazione”, che è “una dimostrazione di giustizia o di conformità alla legge” (Webster). Pertanto, poiché la legge dichiara il mondo intero colpevole di fronte a Dio e non giustifica neanche un singolo individuo, ne consegue che tutto il mondo è sotto la condanna della legge di Dio.

6) Il mondo intero è ritenuto colpevole e condannato dalla legge, trovandosi in questo modo “sotto la legge” {Romani 3: 19}. Pertanto essere “sotto la legge” è sinonimo di essere “condannato dalla legge”.

7) Poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, noi siamo “gratuitamente giustificati per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” {Romani 3: 24}. Siamo giustificati dalla sola fede, “senza le opere della legge” {Romani 3: 28}; poiché qualsiasi sia la quantità di buone azioni, nessuna può espiare alcun peccato. Se un uomo avesse rubato un cavallo, astenersi dal rubare cavalli per tutta l’eternità non rimuoverebbe minimamente la sua colpa. Se siamo liberati dalle nostre trasgressioni passate, deve essere solo mediante un atto di favore da parte di Dio.

8) Questa giustificazione appartiene solo a coloro che credono in Gesù {Romani 3: 26}. È puramente una questione di fede da parte del peccatore e di favore da parte di Dio {Romani 3: 21-22, 28}. Perciò, per ottenere la giustificazione delle trasgressioni passate, il peccatore deve solo avere una fede sincera in Cristo. Per giustificare l’uomo non ci vuole più tempo di quanto non ne serva per avere fede in Cristo.

9) “Giustificati dunque per fede abbiamo pace presso Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” {Romani 5: 1}. “Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù” {Romani 8: 1}. Perciò, quelli che sono in Cristo – quelli che hanno fede in Lui – non sono sotto la legge; sono oggetto del favore speciale di Dio.

10) Come conseguenza di tutte le proposizioni precedenti, ne consegue che tutti gli uomini sono sotto la legge fino a quando iniziano ad avere fede in Cristo; da quel momento non sono più “sotto la legge”, a meno che non ritornino nuovamente sotto la condanna, cedendo di nuovo al peccato.

11) La legge è stata istituita per la vita {Romani 7: 10}. Cioè, se la legge fosse stata osservata perfettamente, questo sarebbe stato proprio l’obbiettivo per il quale venne progettata, essa avrebbe dato la vita eterna a colui che le obbedisce {Matteo 19: 17}.

12) Ma “il salario del peccato è la morte” {Romani 6: 23}. E poiché tutti gli uomini hanno peccato, tutti gli uomini sono condannati a morte. Non esiste una legge in base alla quale l’uomo, nella sua condizione attuale, possa assicurarsi la vita eterna. Questo è il dono di Dio attraverso Cristo. La legge inevitabilmente non può più offrire la vita, ma non è colpa sua. Essa continua ad essere santa, giusta e buona come prima. La colpa è solo dell’uomo {Romani 7: 12-14}.

Ora siamo pronti a considerare un passaggio della Scrittura, probabilmente citato più di qualsiasi altro passaggio nella Bibbia, come prova dell’abolizione della legge, ma che è una delle prove più forti in favore della sua perpetuità. Si trova in {Galati 3: 24-25}; di solito si presuppone che questi versetti insegnino che i cristiani non hanno bisogno di osservare la legge. Considereremo questi versetti, come abbiamo fatto con tutti gli altri, alla luce del contesto e facendo riferimento a proposizioni ben chiare della Bibbia. Non abbiamo spazio per citare l’intero argomento di Paolo dall’inizio del capitolo, ma inizieremo con il versetto 21.

L’apostolo parla, in alcuni versetti precedenti, della promessa di Dio ad Abrahamo e, attraverso di lui, a tutti i fedeli. Egli disse che l’eredità esisteva semplicemente per mezzo della promessa, attraverso la fede in Cristo, ma disse anche che la legge era stata data e progettata per essere osservata. Perciò chiese: “La legge è dunque contraria alle promesse di Dio?” {Galati 3: 21} Questa è una domanda molto pertinente. Infatti essa apre l’intero argomento. La legge è contraria alle promesse di Dio? Se osserviamo la legge manifestiamo in tal modo la nostra incredulità o disprezzo per le promesse di Dio? Neghiamo Cristo osservando la legge? Paolo rispose nello stesso versetto:

“Così non sia; perché se fosse stata data una legge capace di dare la vita, allora veramente la giustizia sarebbe venuta dalla legge” {Galati 3: 21}.

L’idea è che la legge non è contraria (in conflitto) alle promesse di Dio, perché non ci aspettiamo di ottenere l’eredità attraverso l’osservanza della legge. Che questa cosa sia vera, è dimostrata dal semplice fatto che se la legge avesse potuto dare la vita, la giustizia sarebbe dovuta venire per mezzo di essa, e non ci sarebbe stato bisogno del sacrificio di Cristo e delle Sue promesse. Quindi, il semplice fatto che siano state date delle promesse, dimostra che la legge è impotente nel dare la vita.

Perché non ci potrebbe essere una legge che dia la vita? Il versetto 22 contiene la risposta:

“Ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, affinché fosse data ai credenti la promessa mediante la fede di Gesù Cristo” {Galati 3: 22}.

Come abbiamo già dimostrato dalle Scritture, il motivo per cui gli uomini non possono essere giustificati e ricevere la vita eterna attraverso la legge è che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio”. E ora facciamo molta attenzione a questo punto: l’esistenza della legge, invece di essere contro le promesse di Dio, è in una così grande armonia con esse che queste non valgono nulla senza di essa. Come mai? Perché:

1) “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori” {1 Timoteo 1: 15};

2) Può salvare solo quelli che credono {Marco 16: 15; Atti 16: 31; Romani 3: 20};

3) Tutti gli uomini sono peccatori {Romani 3: 23} che ne siano consapevoli o no;

4) Nessuno può sapere che è un peccatore fino a quando non esamina la legge di Dio, poiché “mediante la legge infatti vi è la conoscenza del peccato” {Romani 3: 20};

5) Se un uomo non scopre di essere un peccatore, non avrà mai la possibilità di essere indotto a credere in Cristo per ottenere la remissione dei peccati; poiché se è vero che “quelli che sono sani non hanno bisogno di un medico”, è altrettanto vero che quelli che pensano di essere sani non andranno da un medico, indifferentemente da quanto possano averne bisogno; pertanto,

6) è assolutamente necessario che la legge esista nel mondo, al fine di condurre gli uomini a ottenere le promesse di Dio.

La legge, in sé stessa, non può salvare nessuno; le promesse non gioverebbero agli uomini senza la legge che mostrasse loro il bisogno di quelle promesse. La legge, mostrando a tutti gli uomini di essere peccatori, rende possibile alle promesse di essere estese a tutto il mondo. Chiunque quindi afferma di non essere un peccatore, si allontana dalle promesse di Dio. E ora, mentre citiamo di nuovo il versetto, avremo una migliore comprensione di ciò che vuole dirci:

“Ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, affinché fosse data ai credenti la promessa mediante la fede di Gesù Cristo” {Galati 3: 22}.

“Ora, prima che venisse la fede noi eravamo custoditi sotto la legge, come rinchiusi, in attesa della fede che doveva essere rivelata” {Galati 3: 23}.

Proprio qui leggiamo ancora una volta l’affermazione che abbiamo visto all’inizio dell’articolo e i versetti ad esso correlati. Qual è la condizione nella quale, il grande indicatore del peccato, la legge, rivela che siano gli uomini? Colpevoli davanti a Dio e condannati a morte. Come possono essere liberati da questa condizione? Attraverso la fede in Cristo. Non esiste altro modo in cui gli uomini possano liberarsi dalla condanna.

“In nessun altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” {Atti 4: 12}.

Quindi, per quanto tempo essi rimarranno condannati? Fino a quando non capiranno la grande verità della salvezza, che si ottiene solo attraverso Cristo ed eserciteranno la fede in lui, loro saranno “in attesa” di quest’unica via d’uscita.

Desideriamo richiamare l’attenzione del lettore sulla convincente illustrazione qui introdotta. Il signor “A” ha ucciso un uomo. Così facendo ha infranto la legge dello stato. Potrebbe essere stato il suo primo ed unico crimine; ma non importa, è lo stesso un trasgressore. E ora viene arrestato dagli ufficiali della legge e portato in tribunale, dove, in base ai fatti, la legge lo dichiara colpevole e viene condannato a morte. Ma la sentenza non verrà eseguita prima di alcune settimane. Cosa si fa nel frattempo con il signor “A”? Egli è rinchiuso in prigione, forse con delle manette alle mani. Cos’è che lo tiene lì? È la legge dello stato. Infatti fu proprio la legge che lo afferrò, lo condannò e lo rinchiuse in prigione. Il procuratore e il giudice erano semplicemente degli agenti della legge. Quindi egli, per davvero, si trova “sotto la legge”.

Ora il signor “A” inizia a rendersi conto del suo destino imminente e desidera ardentemente la libertà. Come può ottenerla? Le pareti della sua cella sono impenetrabili, le porte sono ben chiuse, ed è incatenato al pavimento. È chiaro che non può aiutare sé stesso. Chi è che potrebbe aiutarlo? C’è solo un uomo, ed è il governatore. Il signore “A” si rivolge a lui come se fosse la sua unica speranza. Non può esaltare le molte buone azioni che ha compiuto in passato, poiché non giustificano il fatto che abbia peccato. Fu la trasgressione passata a portarlo nella sua condizione attuale. Può solo promettere obbedienza per il futuro e chiedere pietà. Attraverso la mediazione di potenti amici e la clemenza del governatore, ottiene finalmente la sua libertà.

Ora, come stanno le cose nel caso di un trasgressore della legge di Dio? Non c’è speranza di fuggire, perché la legge è onnipresente, e non appena il peccato viene commesso il trasgressore viene imprigionato. “Il salario del peccato è la morte”, e poiché l’uomo è senza dubbio un peccatore, egli è già condannato. Quindi viene immediatamente rinchiuso o “custodito”. Non può corrompere il carceriere e non ha altro da aspettarsi che la morte. Cerca un modo di fuggire dalla sua schiavitù, ma ogni piano che immagina fallisce. Appare una sola speranza, e quella è Cristo. Egli ha promesso di salvare tutti coloro che credono in Lui, e l’infelice peccatore, credendo che Cristo sia in grado di “salvare appieno coloro che per mezzo suo si accostano a Dio” {Ebrei 7: 25}, si fonda su questa speranza che gli è stata offerta e diventa un uomo libero.

Paolo infatti dice che prima che arrivasse la fede eravamo tutti “custoditi sotto la legge” {Galati 3: 23}, proprio nelle condizioni sopra descritte. Non furono solo gli ebrei o solo alcuni uomini a essere rinchiusi sotto la condanna della legge, ma tutti gli uomini, di tutte le età della storia del mondo, si sono trovati proprio in queste condizioni. Non appena qualcuno esercita la fede in Cristo, questo ottiene la libertà.

I versetti 24 e 25, a cui abbiamo fatto riferimento la prima volta, si spiegano proprio in questo modo, ma bisogna renderli ancora più chiari. Come conseguenza delle precedenti dichiarazioni, l’apostolo conclude dicendo:

“Così la legge è stata nostro precettore per portarci a Cristo, affinché fossimo giustificati per mezzo della fede” {Galati 3: 24}.

Nei versetti 21 e 22, l’apostolo anticipa questo versetto mostrando quanto la legge sia assolutamente necessaria all’adempimento delle promesse di Dio attraverso Cristo. Vedi i commenti su quei versetti nella parte precedente di questo articolo. La legge ci porta, ci spinge e ci costringe a Lui come nostra unica speranza. E questo è proprio quello che è stato fatto da ciò che nel versetto è chiamato “precettore”. Il termine più appropriato sarebbe “pedagogo”, una parola applicata anticamente, non a chi insegnava ai bambini, ma a chi li accompagnava nel luogo in cui potevano essere istruiti, e li picchiava se scappavano.

Naturalmente la legge non accompagna coloro che non desiderano essere aiutati; ma quando i peccatori vogliono la libertà, e iniziano a lottare per essa, la legge non consente loro alcuna via di fuga se non Cristo, che è “il fine della legge”. Indifferentemente dal modo in cui il peccatore cerchi di scappare, fino a quando il peccatore non vede Cristo, la legge continua ad essere come un muro che non può essere superato, in qualsiasi direzione il peccatore si rivolga per scappare, fino a quando non vede Cristo, ovvero la porta attraverso la quale la legge non pone alcun ostacolo.

“Ma, venuta la fede, non siamo più sotto un precettore” {Galati 3: 25}.

Nel momento in cui crediamo implicitamente che Cristo ci ama individualmente, con un amore che è in grado di salvarci, siamo liberi. Le catene che ci legano al corpo della morte sono recise.

“Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù, i quali non camminano secondo la carne ma secondo lo Spirito” {Romani 8: 1}.

Ora siamo nuove creature in Cristo, e d’ora in poi dobbiamo camminare nella novità di vita, non più “sotto la legge”, ma “sotto la grazia”.

CAPITOLO 8 – Il fine della legge è Cristo”

[Romani 10: 4]

“Christ the End of the Law (I)” The Signs of the Times, 24 luglio 1884.

  1. J.Wagoner

“Perché il fine della legge è Cristo, per la giustificazione di ognuno che crede” {Romani 10: 4}.

Sulla base di questo versetto alcune persone (gli antinomiani) credono di poter insegnare la dottrina riguardante l’abolizione della legge. Di solito, però, questo testo non viene citato per intero, poiché questi oppositori si accontentano dell’affermazione che “il fine della legge è Cristo”, il che significa, per loro, che Cristo ha abolito la legge. Questo testo è così tanto citato a favore dell’abolizione della legge che, prima di considerarne la reale applicazione, dobbiamo dimostrare brevemente l’assurdità di questa interpretazione così popolare.

1) Se Cristo ha abolito la legge, ciò significa che adesso non esiste più il peccato, perché “il peccato è la trasgressione della legge” {1 Giovanni 3: 4}, e “il peccato non è imputato se non vi è legge” {Romani 5: 13}. Se non c’è il peccato non può esserci neanche una punizione imminente; con altre parole tutti gli uomini saranno salvati. Quei testi, quindi, che parlano dell’ira di Dio e dell’indignazione, del tormento e della distruzione che verrà sui peccatori, non hanno alcun effetto. Non esiste nessuno più universalista di colui che afferma che la legge di Dio è stata abolita.

2) Il testo dice che Cristo è il fine della legge per “ognuno che crede”. La conclusione alla quale arriviamo è che Gesù non è il fine della legge per i non credenti. Quelli, quindi, che sostengono che l’apostolo con l’espressione “il fine della legge” voglia indicare l’abolizione della legge, devono anche insegnare che la legge è abolita solo per i cristiani; ovvero, che gli uomini mondani sono legati alla legge, ma che i cristiani non hanno alcun obbligo nei suoi confronti. Quindi ne conseguirebbe che mentre un atto compiuto da un non credente potrebbe violare la legge, e quindi commettere un peccato, lo stesso atto compiuto da un credente sarebbe perfettamente giustificabile. Speriamo che non ci sia nessuno che sostenga una teoria così assurda come questa; eppure questa è una legittima deduzione in base alle affermazioni antinomiane (che aboliscono la legge).

3) Se Paolo, in {Romani 10: 4}, intendesse dire che la legge è abolita per i credenti, ne conseguirebbe che è stata abolita tante volte quanti sono i cristiani, essendo abolita ogni volta che un uomo si converte; e quindi ogni volta che un credente cade dalla fede, perdendola, la legge diventa di nuovo obbligatoria per lui! L’assurdità di questa conclusione deve convincere ognuno dell’assurdità della premessa.

4) Dalla parabola del grano e della zizzania di {Matteo 13}, apprendiamo che sia i giusti che i malvagi devono rimanere insieme sulla terra fino alla fine del mondo. Sappiamo anche che entrambe le classi esistono dalla caduta nel peccato. Ne consegue, quindi, dall’interpretazione antinomiana di {Romani 10: 4}, che la legge di Dio è sempre stata valida e lo sarà fino alla fine dei tempi, sia abolita che in pieno vigore allo stesso tempo! Questo è il culmine dell’assurdità e mostra in modo conclusivo che qualunque sia il significato di {Romani 10: 4}, certamente non insegna che la Legge di Dio sia stata, o sarà mai, abolita, né per i cristiani né per i non credenti.

È il momento di capire cosa voglia dire veramente il testo.

La parola “fine” è spesso usata nel senso di “scopo” oppure “obbiettivo”. Infatti in {Giacomo 5: 11} ci viene detto:

“Avete udito parlare della pazienza di Giobbe, e avete visto la sorte finale che il Signore gli riserbò”.

[Nella versione (KJV) più fedele al significato originale, il testo viene tradotto nel seguente modo: Ye have heard of the patience of Job, and have seen the end of the Lord” che tradotto letteralmente sarebbe: “avete udito parlare della pazienza di Giobbe, e avete visto il fine del Signore”].

Nessuno suppone che ciò significhi “il fine dell’esistenza del Signore”, ma si riferisce all’obbiettivo che aveva Dio nel permettere a Giobbe di soffrire a causa di afflizioni. Allo stesso modo dobbiamo comprendere che anche {Romani 10: 4}. Questo versetto insegna che Cristo adempie lo scopo della legge per coloro che credono. Per capire come Egli possa realizzare ciò, dobbiamo considerare il fine o l’intenzione della legge.

In {Romani 7: 10} l’apostolo afferma che il comandamento (ovvero tutta la legge) “è in funzione della vita”. Cioè, se l’uomo non avesse mai violato la legge, essa gli avrebbe assicurato la vita eterna. Questo è ciò che il Salvatore disse al giovane ricco in {Matteo 19: 17}.

Nel versetto successivo a quello in esame leggiamo la stessa cosa:

“Mosè infatti descrive così la giustizia che proviene dalla legge: «L’uomo che fa quelle cose, vivrà per esse»” {Romani 10: 5}.

Ma mentre questa cosa è vera, questa verità mostra in sé il fatto che nessun uomo ha rispettato la legge {Romani 3: 9, 19, 23} e che nella sua condizione naturale nessun uomo può osservare la legge.

“La mente controllata dalla carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomessa alla legge di Dio e neppure può esserlo” {Romani 8: 7}.

Qual è dunque il modo in cui qualcuno può ottenere quella vita eterna, che la legge doveva offrire? La risposta è:

“Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” {Giovanni 3: 16}.

“… il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” {Romani 6: 23}.

La legge “è in funzione della vita”; Cristo è la nostra vita {Colossesi 3: 4}, perciò Lui è il fine della legge.

Ma questo è solo il risultato. Ci si potrebbe chiedere: “Cristo realizza questo risultato per noi, liberandoci dall’obbligo di osservare la legge?” La risposta è no; poiché solo coloro che obbediscono ai comandamenti vivranno per essi {Matteo 19: 17; Romani 10: 7}, ne consegue che nessuno può ricevere la vita eterna se continua a violarli. Pertanto, poiché l’obbiettivo della legge era di dare la vita, ciò vuol dire che la sua intenzione era che l’uomo continuasse ad osservarla. Infatti leggiamo che:

“Il fine del comandamento è l’amore” {1 Timoteo 1: 5}.

“L’adempimento dunque della legge è l’amore” {Romani 13: 10}

“Questo infatti è l’amore di Dio: che noi osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” {1 Giovanni 5: 3}.

Potremmo quindi parafrasare {1 Timoteo 1: 5} in questo modo:

“Lo scopo (o l’obbiettivo) del comandamento (o della legge, vedi il versetto 9) è quello di essere osservato (o adempiuto) scrupolosamente”.

Questo è evidente; poiché ogni qualvolta viene data una legge, l’intenzione del suo Creatore è quella che essa venga osservata. Ma abbiamo già visto che nessun uomo ha raggiunto questo scopo.

“Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” {Romani 3: 23}.

Per i peccati del passato siamo “gratuitamente giustificati per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” {Romani 3: 21}.

Ma essendo giustificati dalla fede in Cristo, continuiamo ad essere dipendenti da Lui, perché senza di Lui non possiamo fare nulla {Giovanni 15: 4-5}. È solo rimanendo in Lui che noi siamo in grado di dare frutti. Questo è il motivo per il quale l’apostolo dice degli ebrei che hanno uno zelo per Dio, ma non secondo la conoscenza.

“Poiché ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria giustizia non si sono sottoposti alla giustizia di Dio” {Romani 10: 3}.

La giustizia di Dio è la Sua legge {Isaia 51: 6-7}, e l’apostolo desiderava dire che gli ebrei, essendo zelanti nei confronti Dio, desiderando servirlo osservando i Suoi comandamenti, avevano cercato di farlo con le loro proprie forze e non ci sono riusciti. Il loro zelo era buono, ma la loro conoscenza era carente, in quanto non capivano che solo in Cristo potevano sperare di raggiungere la perfezione.

Per tutti i credenti, Cristo è stato fatto “sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” {1 Corinzi 1: 30}. Ma non liberandoli dall’obbligo di osservare la legge, poiché allora non sarebbe stato fatto per loro giustizia, ma ingiustizia, o, in altre parole, sarebbe diventato per loro un servitore del peccato. Senza di Lui i nostri migliori sforzi sono fallimenti; attraverso Colui che ci rafforza, possiamo fare qualsiasi cosa; e quando alla fine saremo davanti a un Dio santo e perfetto, “senza macchia o ruga o alcunché di simile”, sarà perché siamo stati resi “completi in lui”.

Penso che ora sia evidente a tutti che {Romani 10: 4} possa essere utilizzato contro la Legge di Dio solo quando viene separato dal suo contesto, escludendo l’affermazione che dice che Cristo è il fine della legge solo per i credenti, e per loro soltanto, perché nulla non esclude la Sua giustizia o l’obbedienza ad essa. Questo argomento sarà ulteriormente approfondito alla luce di altre scritture, nel prossimo articolo.

****************

(Continua)

Il fine della legge è Cristo”

[Romani 10: 4]

“Christ the End of the Law (II)” The Signs of the Times, 7 agosto 1884.

  1. J. Wagoner

Nell’ultimo articolo, di due settimane fa, abbiamo mostrato cosa significhi che “il fine della legge è Cristo, per la giustificazione di ognuno che crede”. Desideriamo considerare la questione un po’ più da vicino, poiché, come abbiamo detto, c’è molto da discutervi sopra. In verità, l’intero Vangelo è compreso in questa frase; poiché il Vangelo è semplicemente la buona notizia di come gli uomini, che hanno infranto la legge, possano essere salvati attraverso Cristo e messi in una condizione nella quale sia per loro possibile osservarla. Nel mentre proseguiamo con questo studio si tenga presente che la giustizia di Dio è contenuta nella Sua Legge {Isaia 51: 4-7} e che Cristo è il fine della legge solo per la giustizia, il che equivale a dire che Gesù è lo scopo della legge per l’obbedienza.

Ora richiamiamo brevemente l’attenzione del lettore su {Romani 7}. Abbiamo lo spazio solo per prendere in considerazione una parte del capitolo. Qui l’apostolo mette in luce, usando sé stesso come illustrazione, il progresso di un uomo da uno stato di sicurezza mondana e carnale a quello in cui è approvato da Dio. Seguiamolo con attenzione nella sua spiegazione.

Per prima cosa notiamo la sua affermazione al versetto 7, in cui dice che la legge non è peccato. Paolo infatti afferma che la legge è quella cosa che indica e proibisce il peccato. Quindi, ovviamente, essa deve essere perfetta. Noi siamo in grado di riconoscere una moneta falsa solo usando la moneta originale come modello. Il versetto parallelo a questo si trova in {Romani 3: 20}, dove dice:

“Mediante la legge infatti vi è la conoscenza del peccato”.

Continua dicendo:

“Perché senza la legge, il peccato è morto” {Romani 7: 9}.

Questa è l’affermazione del versetto 7 in un’altra forma. Prima che la legge fosse portata a sua conoscenza, non conosceva il peccato; non gli interessava affatto. Sebbene non conoscesse la legge, era un peccatore, eppure il suo peccato, per quanto riguardava la sua conoscenza, era morto.

“Ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge, ma essendo venuto il comandamento, il peccato prese vita ed io morii” {Romani 7: 9}.

Senza la legge (o “il comandamento”) Paolo si trovava in uno stato di agio e sicurezza carnale, perfettamente soddisfatto di sé stesso. Ma quando la legge fu applicata, fece sì che il suo peccato assumesse proporzioni terribili. Si vide così com’era.

“E trovai che proprio il comandamento, che è in funzione della vita, mi era motivo di morte” {Romani 7: 10}.

Cosa significa ciò? Il comandamento (o “la legge”) era in funzione della vita: cioè, il suo scopo era quello di dare la vita, cosa che darà sempre a coloro che l’obbediscono.

“L’uomo che fa quelle cose, vivrà per esse” {Romani 10: 5}.

Questo era lo scopo della legge, ma ora che la legge è stata violata, non può soddisfare la finalità per la quale è stata progettata; può solo condannare a morte. Tenete ben in mente questo concetto, poiché proprio attorno a ciò si concentrerà l’intera argomentazione.

In che modo l’apostolo considerò quella legge che, presentandolo così tanto peccatore, lo aveva condannato a morte? Egli disse:

“Così, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono” {Romani 7: 12}.

Paolo ha riconosciuto la perfezione della legge. E qui ha mostrato la sua onestà di cuore. Lui non ha maledetto la legge, applicando ad essa ogni sorta di epiteti dispregiativi, e non ha nemmeno cercato di evitarla o di convincersi che era stata abolita. No! Egli riconobbe di essere un peccatore, giustamente condannato da una legge perfetta. Riconobbe il fatto che la legge non gli aveva fatto nulla: non aveva creato nulla in lui, ma aveva semplicemente portato alla luce ciò che esisteva già da prima. L’effetto che si produce nel momento in cui la legge viene presa in considerazione, consiste nel far apparire il peccato come qualcosa di estremamente immorale. È come un bastone che si trova in un vaso pieno d’acqua, esso, facendo roteare l’acqua, agita i sedimenti che giacciono sul fondo, ma da sé non crea alcun’impurità. Lo sporco sarebbe stato lì anche se il bastone non fosse mai stato introdotto; per questo motivo Paolo non si lamentò, poiché sapeva che la colpa era in sé stesso e non nella legge. Quindi esclamò:

“Infatti noi sappiamo che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto come schiavo al peccato” {Romani 7: 14}.

Nel versetto 9, Paolo anticipa questo versetto dicendo: “ed io morii”. Questo è stato il risultato finale che ha portato la pace in lui. Cosa intende dire con questo? La risposta è chiara alla luce del versetto precedente. Lui era vivo quando era senza legge; quando era un servitore del peccato. La morte è l’opposto della vita; quindi, quando venne il comandamento e morì, ciò significa che si arrese alle pretese della legge e cessò di peccare. E questo sarà anche il risultato in chiunque sarà onesto con sé stesso, così come lo era Paolo. Questa è la vera conversione. Ma come detto in precedenza, l’apostolo lo anticipa per poter affiancare l’effetto alla causa; egli non è morto senza aver lottato.

Ora ci viene presentato l’uomo come se fosse un peccatore condannato, ed ecco la sua descrizione:

“Giacché non capisco quel che faccio, perché non faccio quello che vorrei, ma faccio quello che odio” {Romani 7: 15}.

Questo versetto è introdotto dalla parola “giacché”, mostrando che ciò è una conseguenza di qualcosa che è avvenuto prima. La proposizione precedente è la seguente: “ma io sono carnale, venduto come schiavo al peccato”. Qual è la condizione di un uomo venduto come schiavo? Non è in grado di fare nulla per sé stesso. Può essere consapevole del degrado della sua posizione e desiderare ardentemente di essere libero, ma è collocato in una posizione in cui non può aiutare sé stesso; le sue mani e i suoi piedi sono legati con una catena. Ogni peccatore è in schiavitù {2 Pietro 2: 19}. Prima che la legge di Dio gli sia posta davanti è incosciente della sua schiavitù; quando vede i suoi obblighi, gli viene suscitato un senso della sua reale condizione. Ma la sua lotta per spezzare la catena è inutile, perché la sua schiavitù prolungata lo ha indebolito. Questa lotta del peccatore condannato contro il peccato è menzionata in diversi versetti di questo capitolo.

“Ora, se faccio ciò che non voglio, io riconosco che la legge è buona. Quindi non sono più io ad agire, ma è il peccato che abita in me” {Romani 7: 16-17}.

Qui abbiamo il caso di un uomo condannato di peccato da quella legge che cerca scrupolosamente di osservare ma che tuttavia trasgredisce continuamente, anche contro la sua volontà. Lui dice: “Non sono io a voler fare ciò; non ho l’intenzione di violare la legge; ma il peccato mi ha legato così a lungo e ha un tale potere su di me che non posso liberarmi”. Non è più a causa del suo desiderio che pecca, ma a causa della forza dell’abitudine che non può spezzare.

E così la lotta continua infruttuosa, finché l’uomo, in una disperazione agonizzante, esclama:

“O miserabile uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” {Romani 7: 24}.

Non possiamo immaginare una condizione più orribile di quella che ci viene qui mostrata. Anticamente un criminale veniva talvolta incatenato al cadavere di un uomo, e costretto a trascinare la carcassa putrefatta ovunque andasse, fino a quando l’odore nauseante lo faceva morire miseramente. Pensa ai tentativi disperati che un tale uomo farebbe per liberarsi, a quanto diventerebbe frenetico nel mentre si rende conto dell’impotenza del suo braccio rispetto alla catena che lo tiene legato. Tutto il suo essere griderebbe pietosamente: “Chi mi libererà da questo corpo di morte?” Quanti sono coloro che si sono sentiti in tale condizione sotto il peso del peccato?

È in questa condizione che si trovava l’apostolo (come rappresentante di una categoria di persone). Sentiva che il peccato lo stava facendo affondare nella perdizione e, convinto dell’inutilità della sua lotta, grida per la liberazione: “Chi mi libererà da questo corpo di morte?”. Ed ecco che immediatamente lui stesso risponde alla sua domanda, ma questa volta con un entusiasmo pieno di gioia, dicendo:

“Io rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” {Romani 7: 25}.

Non appena si rende conto della propria incapacità di soddisfare le esigenze della legge, gli viene presentato Cristo e Paolo accetta immediatamente la liberazione dall’Unico che può offrirgliela. Cristo spezza le catene e libera il prigioniero. Non solo perdona le trasgressioni passate, ma ci aiuta a spezzare le catene dell’abitudine e a vincere l’amore per il peccato. Poi l’apostolo continua dicendo:

“Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù” {Romani 8: 1}.

Il motivo per cui non vi è più una condanna viene raccontato nei versetti seguenti, in cui si dice che colui che è in Cristo osserva la legge di Dio; egli “non cammina secondo la carne ma secondo lo Spirito”; in altre parole, “è una nuova creatura”.

Questo argomento non è completo senza i versetti che seguono:

“Infatti ciò che era impossibile alla legge, in quanto era senza forza a motivo della carne, Dio, mandando il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché la giustizia della legge si adempia in noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito” {Romani 8: 3-4}.

Cos’è che non poteva fare la legge? Non poteva giustificare nessun uomo e dargli vita. Dov’era la sua debolezza? Non in sé, ma nella “carne”. Se la Legge condanna l’uomo, questo è a causa della colpa dell’uomo, e non della legge. La legge non può più dare la vita, perché è stata violata.

E che cosa ha fatto Dio in questa situazione estrema? Ha mandato Suo figlio. Per fare che cosa? Affinché la giustizia della legge (cioè la legge nella Sua perfezione) possa essere realizzata in noi. Ciò che non potevamo fare mentre eravamo ancora nella schiavitù del peccato, possiamo fare quando diventiamo uomini liberi in Cristo.

Ci viene richiesta la giustizia, e ciò significa che noi dobbiamo fare qualcosa, perché la giustizia è semplicemente fare bene. Ma Cristo dice:

“Senza di me non potete far nulla” {Giovanni 15: 5}.

La nostra giustizia, cioè il bene che cerchiamo di fare attraverso i nostri sforzi, senza alcun aiuto, non vale nulla. Non è affatto giustizia, ma ingiustizia. Quando, tuttavia, uniamo la forza di Cristo alla nostra debolezza, possiamo dire per davvero:

“Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” {Filippesi 4: 13}.

CAPITOLO 9 – “Giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia

[Galati 5: 4]

Le due leggi

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 1, JULY, 1849

Esiste una chiara distinzione tra la legge di Mosè e la legge di Dio nelle Sacre Scritture.

La legge di Mosè, è una legge di cerimonie carnali, scritta dalla mano di Mosè in un libro.

La legge di Dio, sono i dieci comandamenti, scritti dal dito di Dio su due tavole di pietra.

Una è chiamata “libro del patto”, l’altra “tavole del patto”.

La legge di Mosè, era una legge di ombre, che furono abolite quando venne la nuova, seconda e migliore alleanza. I suoi “ordinamenti carnali”, “olocausti e sacrifici”, “cibi, bevande e abluzioni” furono tutti inchiodati “alla croce” quando l’Agnello di Dio versò il Suo prezioso sangue.

La legge di Dio è una legge che non sarà mai abolita. Coloro che confondono queste due leggi, unendole in una sola, non potranno vedere e percepire l’autorità dei comandamenti di Dio, e si troveranno nel grande pericolo di sostenere la dottrina moderna, secondo la quale il settimo giorno, il Sabato, sia stato abolito.

Qui di seguito presenterò due categorie di versetti che mostrano chiaramente le due leggi in questione, pregando il Signore di guidarti, caro lettore o lettrice, nell’approfondimento di questo argomento.

La legge di Mosè:

“Quando Mosè ebbe finito di scrivere in un libro tutte le parole di questa legge, diede quest’ordine ai Leviti che portavano l’arca del patto dell’Eterno, dicendo: «Prendete questo LIBRO della legge e mettetelo ACCANTO all’arca del patto dell’Eterno, il vostro Dio, perché rimanga là come un testimone contro di te” {Deuteronomio 31: 24-26}.

“Mentre si prelevava il denaro che era stato portato nella casa dell’Eterno, il sacerdote Hilkiah trovò il LIBRO della Legge dell’Eterno, data per mezzo di Mosè” {2 Cronache 34: 14}.

“Lesse alla loro presenza tutte le parole del LIBRO del patto, che era stato trovato nella casa dell’Eterno” {2 Cronache 34: 30}.

“Lesse alla loro presenza tutte le parole del LIBRO del patto, che era stato trovato nella casa dell’Eterno” {2 Re 23: 2}.

“Il re diede a tutto il popolo quest’ordine: «Fate la Pasqua in onore dell’Eterno, il vostro DIO, come sta scritto in questo LIBRO del patto»” {2 Re 23: 21}.

“Dissero poi ad Esdra lo scriba, che portasse il LIBRO della legge di Mosè che l’Eterno aveva dato a Israele” {Neemia 8: 1-3}.

“Allora io ho detto: Ecco, io vengo nel rotolo del LIBRO è scritto di me; io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” {Ebrei 10: 7; Galati 3: 10}.

“Non avete letto nel LIBRO di Mosè” {Marco 12: 26}.

La legge di Dio o i dieci comandamenti:

“Poi l’Eterno disse a Mosè: «Sali da me sul monte e rimani là; e io ti darò delle TAVOLE di PIETRA, la legge e i comandamenti che ho scritti, perché tu li insegni loro»” {Esodo 24: 12}.

“Quando l’Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due TAVOLE della testimonianza, tavole di pietra, SCRITTE col DITO di DIO” {Esodo 31:18.

“Le TAVOLE erano opera di DIO e la scrittura era SCRITTURA di DIO, INCISA sulle TAVOLE” {Esodo 32: 15-16}.

“L’Eterno SCRISSE sulle TAVOLE le parole del patto, i dieci comandamenti” {Esodo 34: 28-29}.

“Così egli vi promulgò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i DIECI comandamenti; e li SCRISSE su DUE TAVOLE di PIETRA” {Deuteronomio 4: 13}.

“E fu alla fine dei quaranta giorni e delle quaranta notti che l’Eterno mi diede le due TAVOLE di PIETRA, le TAVOLE del PATTO” {Deuteronomio 9: 9-11; Deuteronomio 5: 22}.

Qui vediamo due leggi e due alleanze; una scritta dalla mano di Mosè in un libro, l’altra scritta con il dito di Dio su due tavoli di pietra.

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(Continua)

“Giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia

[Galati 5: 4]

Le due leggi

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. OSWEGO, N. Y. NO. 7, MARCH, 1850

I dieci comandamenti sono il fondamento di tutta la Bibbia. Rappresentano la moralità di Dio, la legge regale di Dio, data all’uomo per essere osservata poiché proprio per mezzo di essa sarà giudicato. Nei nostri tribunali di giustizia, gli uomini sono processati da quelle stesse leggi che gli permettono di vivere. Quindi non possiamo evitare la conclusione che nel giorno del giudizio dovremmo rispondere davanti a quelli che sono i dieci comandamenti.

“Parlate quindi e agite come se doveste essere giudicati dalla legge della libertà” {Giacomo 2: 12}.

Questa legge, al versetto 8, è chiamata “legge regale”, poiché venne emanata dal Re Eterno. Giacomo, al versetto 11, ha citato due dei comandamenti dal decalogo, mostrando così che la legge regale della libertà, mediante la quale l’uomo sarà giudicato, sono i dieci comandamenti. Caro lettore e lettrice, come ti sentirai quando sarai giudicato dalla legge di Dio davanti al grande trono bianco, se avrai trasgredito il quarto comandamento, la legge del Santo Sabato del Signore?

Le due leggi nel Nuovo Testamento

Questo è un argomento molto importante. Non avendo una visione corretta di questo argomento, molti si sono inciampati e sono rimasti lontani dalla verità sul Sabato. Il mio scopo è quello di dimostrare che la parola legge, nel Nuovo Testamento, non si applica sempre ad una stessa legge; ma che a volte si applica alla legge cerimoniale di Mosè, e talvolta alla legge morale di Dio, i dieci comandamenti.

Se la parola legge così spesso usata da Paolo si riferisce a una sola legge, allora l’apostolo si è spesso contraddetto. Qui darò due testi, tratti dalle sue epistole, che parlano della legge e che mostrerebbe una chiara contraddizione se si parlasse di una sola legge.

“Voi, che cercate di essere giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia” {Galati 5: 4}.

“perché non coloro che odono la legge sono giusti presso Dio, ma coloro che mettono in pratica la legge saranno giustificati” {Romani 2: 13}.

L’apostolo ha contraddetto ciò che scrisse ai Galati, nella sua lettera ai Romani due anni dopo? Questo, nessuno fra coloro che credono nella Bibbia lo ammetterebbe. Quando applichiamo la parola legge così come dovremmo non incontreremo alcuna contraddizione.

Quando Paolo parla della legge in {Romani 2: 12-22}, si riferisce alla legge morale dei dieci comandamenti. Questo fatto è ampiamente dimostrato dai versetti 21 e 22, nei quali cita tre comandamenti dal decalogo.

Quando parla della legge in {Galati 5: 4}, si riferisce alla legge cerimoniale di Mosè. Ciò è ancora più chiaro perché Paolo parla di circoncisione, non facendo alcun riferimento alla legge morale.

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(Continua)

“Voi, che cercate di essere giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia” {Galati 5: 4}.

Questo testo è frequentemente citato da coloro che si oppongono al Sabato per dimostrare che coloro che osservano il settimo giorno della settimana, il Sabato, sono caduti dalla grazia. Ora, se noi cadiamo dalla grazia per aver osservato il quarto comandamento del decalogo, non dovrebbero cadere dalla grazia anche gli apostoli per aver osservato il primo, il terzo, il quinto, il settimo o l’ottavo comandamento della stessa legge? Se cadiamo dalla grazia osservando il comandamento del Sabato, l’unico modo per essere restaurati di nuovo nella grazia è trasgredendolo. Così anche coloro che osservano il terzo, il quinto e l’ottavo comandamento, devono disonorare i loro genitori, imprecare e rubare, per poter essere restaurati nella grazia divina.

Se cadiamo dalla grazia insegnando il Sabato, allora Paolo e tutti gli apostoli cadono dalla grazia, insegnando gli altri comandamenti.

“Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto. «Onora tuo padre e tua madre», questo è il primo comandamento con promessa, «affinché tu stia bene e abbia lunga vita sopra la terra»” {Efesini 6: 1-3}.

Non esiste alcuno uomo o donna nel mondo che creda che l’apostolo sia caduto dalla grazia per aver sollecitato gli efesini a rivendicare il quinto comandamento della legge morale.

Né può esistere uomo o donna, che crede davvero che siamo caduti dalla grazia, per il “peccato” dell’osservanza del Sabato del quarto comandamento. Coloro che promuovono questa idea non credono davvero a una cosa del genere, ma sembrano disposti a dare questa impressione sbagliata, al fine di nascondere la verità sul Sabato.

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(Continua)

La lettera di Paolo ai Romani fu scritta nel 60 d.C. Ora ascolta cosa dice loro riguardo alla legge, 27 anni dopo che la legge di Mosè fu abolita.

“Così, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono” {Romani 7: 12}.

“Infatti noi sappiamo che la legge è spirituale” {Romani 7: 14}.

“Infatti io mi diletto nella legge di Dio secondo l’uomo interiore” {Romani 7: 22}.

“Io rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Io stesso dunque con la mente servo la legge di Dio” {Romani 7: 25}.

Nessuno potrebbe dire che Paolo chiami la legge di Mosè “spirituale”, “santa, giusta e buona”, che si diletta in essa e che serve 27 anni dopo la sua abolizione; perciò sta parlando di un’altra legge, quella dei dieci comandamenti. Questo semplice fatto è reso ancora più evidente dal versetto 7, in cui l’apostolo cita l’ultimo comandamento del decalogo.

“Che diremo dunque? Che la legge è peccato? Così non sia; anzi io non avrei conosciuto il peccato, se non mediante la legge; infatti io non avrei conosciuta la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire»” {Romani 7: 7}.

Spesso viene citato {Romani 7: 6}, per dimostrare che la legge di Dio sia stata abolita. Ma questo versetto non lo dimostra affatto. Infatti, se lo si leggerà si noterà chiaramente che è il cristiano ad essere morto alla legge, e non che la legge è morta essendo stata abolita.

“Ma ora siamo stati sciolti dalla legge (dalla condanna della legge), essendo morti a ciò che ci teneva soggetti” {Romani 7: 6}.

La legge di Dio è lo strumento che convince il peccatore del peccato commesso e che lo uccide, affinché possa essere giustificato e reso vivo mediante la fede in Gesù Cristo, così com’è successo anche a Paolo.

“perché senza la legge, il peccato è morto. Ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge, ma essendo venuto il comandamento, il peccato prese vita ed io morii” {Romani 7: 9}.

“poiché la lettera (la legge) uccide, ma lo Spirito dà vita” {2 Corinzi 3: 6}.

“Annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Così non sia, anzi stabiliamo la legge” {Romani 3: 31}.

Qualsiasi mente senza pregiudizi può vedere le due leggi nel Nuovo Testamento, cercando attentamente la verità. Una è chiamata “giogo della schiavitù” {Galati 5: 1}; l’altra è chiamata “legge regale… di libertà” {Giacomo 1: 25; 2: 8}. La prima era una legge di “cerimonie carnali” {Ebrei 9: 10}; la seconda era invece la gioia dell’apostolo, essendo santa, giusta, buona e spirituale.

Qui di seguito aggiungerò anche la testimonianza di Gesù nel Suo sermone sul Monte.

“Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento” {Matteo 5: 17-33}.

Molti pensano che Gesù abbia abolito e distrutto la legge dei comandamenti, ma ciò è proprio quello che ha detto loro di non pensare affatto. Egli è venuto per adempiere la legge. L’unico modo di adempiere la legge è osservarla. Questo è proprio quello che fece Gesù, osservando i comandamenti di Suo Padre {Giovanni 15: 10}.

“Perché in verità vi dico: finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto” {Matteo 5: 18}.

Questo testo dimostra che tutti e dieci i comandamenti, della legge morale, sono in vigore, e che fino a quando il cielo e la terra rimarranno neanche uno dei suoi comandamenti verrà abolito o distrutto. Il versetto successivo, infatti, mostra che Gesù stava parlando proprio dei dieci comandamenti.

“Chi dunque avrà trasgredito uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma colui che li metterà in pratica e li insegnerà, sarà chiamato grande nel regno dei cieli” {Matteo 5: 19}.

I primi quattro comandamenti, scritti sulla prima tavola di pietra, mostrano all’uomo il suo dovere verso Dio. Questi sono i grandi comandamenti della legge, in quanto sono leggi relative al dovere dell’uomo verso Dio.

Gli ultimi sei, sulla seconda tavola, mostrano all’uomo il suo dovere verso i suoi simili. Sono i minimi comandamenti della legge in quanto sono leggi relative al dovere dell’uomo verso i suoi simili.

Gesù qui cita tre di questi ultimi comandamenti, tratti dalla seconda tavola di pietra. Ciò stabilisce il fatto, senza ombra di dubbio, che stia parlando dei dieci comandamenti {Matteo 5: 21, 27, 33}.

Gli uomini possono insegnare che la legge morale di Dio sia stata abolita, o che il quarto comandamento sia stato cambiato, ma osservate in che modo le loro false affermazioni e sofismi perdono forza davanti alla semplice testimonianza del Figlio di Dio che ha detto: “Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice della legge passerà”.

Caro lettore o lettrice, non lasciarti ingannare da coloro che calpestano la santa Legge di Dio. Non permettere a nessuno di allontanarti dai semplici insegnamenti del Salvatore e dei Suoi apostoli in relazione alla legge di Dio. Attualmente stai violando il quarto comandamento, che ha a che fare con il Sabato? Se lo stai facendo, non farlo più. Questo è uno dei grandi comandamenti. Se quelli che infrangono i minimi comandamenti, non avranno alcuna stima nel regno dei cieli, come apparirai tu agli occhi del Cielo, se violi uno dei più grandi comandamenti?

CAPITOLO 10 – “L’uno stima un giorno più dell’altro, e l’altro stima tutti i giorni uguali”

[Romani 14: 5-6]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 1, JULY, 1849

“L’uno stima un giorno più dell’altro, e l’altro stima tutti i giorni uguali; ciascuno sia pienamente convinto nella sua mente. Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; chi non ha alcun riguardo al giorno lo fa per il Signore; chi mangia lo fa per il Signore e rende grazie a Dio; e chi non mangia non mangia per il Signore e rende grazie a Dio” {Romani 14: 5-6}.

Se vogliamo comprendere l’argomento principale esposto dall’apostolo, dobbiamo leggere l’intero capitolo. Anche i cristiani di Roma si confrontavano con delle difficoltà, simili a quelle di altre chiese. Alcuni si aggrappavano alle usanze ebraiche riguardanti il mangiare e i giorni festivi, mentre altri vi si opponevano. La più grande difficoltà che Paolo voleva risolvere in questa comunità era quella che aveva a che fare con il giudicarsi a vicenda.

“Colui che mangia non disprezzi colui che non mangia, e colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio lo ha accettato” {Romani 14: 3}.

Qui Paolo voleva insegnare loro una lezione di tolleranza cristiana in tutte quelle cose che non erano una prova di fratellanza.

L’apostolo si era “fatto tutto a tutti”, affinché potesse “salvare in qualche modo alcuni” {1 Corinzi 9: 22}. Aveva persino circonciso Timoteo, a causa degli ebrei {Atti 16: 1-3}. Questa usanza ebraica non doveva essere osservata dalla chiesa cristiana, tuttavia, Paolo avrebbe circonciso il suo compagno di lavoro (il cui padre era un greco), per poter ottenere un migliore accesso nei confronti degli ebrei.

“La circoncisione, è nulla e l’incirconcisione è nulla, ma quel che importa è l’osservanza dei comandamenti di Dio” {1 Corinzi 7: 19}.

L’osservanza dei comandamenti di Dio non è menzionata nel Nuovo Testamento come una cosa di scarsa importanza, come lo sono la circoncisione, il mangiare con gli stranieri e le festività; ma viene sempre citata come una prova della fratellanza cristiana e della salvezza eterna.

“Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” {1 Giovanni 2: 4}.

“Se tu vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” {Matteo 19: 17}.

“Questo infatti è l’amore di Dio: che noi osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” {1 Giovanni 5: 3}.

Non c’è alcuna prova che Paolo faccia riferimento ad alcuno dei comandamenti di Dio in {Romani 14}. Il suo argomento aveva che fare con il mangiare e con le festività che alcuni nella chiesa consideravano e altri no. La parola “mangiare” è menzionata in questo capitolo undici volte, “mangia” tre, “carne” quattro, “bevi” due, ma la parola “Sabato” (che molti usano come prova del fatto che questo capitolo lo abolisca) non viene menzionato neanche una volta.

Se coloro che hanno fatto affidamento su questo capitolo, come prova dell’abolizione del Sabato, esamineranno attentamente l’intero capitolo, con il desiderio di ottenere la verità, vedranno che non hanno capito affatto ciò che Paolo voleva dire. Se leggiamo solo il quinto e il sesto versetto di questo capitolo, senza una comprensione dell’intero argomento dell’apostolo, potremmo dedurre che si stia parlando del Sabato. Ma una piena comprensione dell’argomento in questione e dei problemi tra i fratelli di Roma, distrugge ogni ipotesi che egli faccia riferimento al settimo giorno della settimana, il Sabato.

È tempo per noi di essere completamente svegli e di comprendere tutta la verità in relazione al Sabato; non lasciamoci ingannare da coloro che stanno annullando la legge di Dio.

CAPITOLO 11 – “Egli ha annientato il documento fatto di ordinamenti inchiodandolo alla croce”

[COLOSSESI 2: 14]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 2, AUGUST, 1849

Anche {Colossesi 2: 14-17} è citato molto spesso per dimostrare che il Sabato è stato abolito.

“Egli ha annientato il documento fatto di ordinamenti, che era contro di noi e che ci era nemico, e l’ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” {Colossesi 2: 14}.

Il documento (“scritto a mano”, vedi l’originale: “handwriting”, KJV) fatto di ordinamenti che fu inchiodato sulla croce alla crocifissione del Messia, era la tipica legge cerimoniale di Mosè, che fu scritta dalla mano di Mosè in un libro.

La crocifissione fu la linea di demarcazione tra le due alleanze.

“Nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione” {Daniele 9: 27}.

La prima alleanza che aveva “degli ordinamenti per il servizio divino e per il santuario terreno” era l’ombra della seconda e migliore alleanza. La legge cerimoniale era l’ombra e il Vangelo era il corpo che proiettava l’ombra; quando l’ombra si incontra con il corpo, possiamo comprendere chiaramente che i sacrifici, le oblazioni, i noviluni, i giorni di festa e i sabati della legge ebraica cessarono, ovvero quando il prezioso corpo e il sangue dell’Agnello di Dio furono sacrificati sulla croce. Questo è proprio ciò che Paolo dice essere stato inchiodato alla croce.

“Nessuno dunque vi giudichi per cibi o bevande, o rispetto a feste, a noviluni o ai sabati; queste cose sono ombra di quelle che devono venire; ma il corpo è di Cristo” {Colossesi 2: 16-17}.

Se confrontiamo questo testo con {Romani 14: 3-6}, vedremo che entrambi si riferiscono allo stesso argomento. Alcuni osservavano i sabati cerimoniali ebraici, i noviluni e i giorni festivi, persino dopo essere stati aboliti e inchiodati sulla croce, mentre altri non lo facevano più. Paolo non voleva che i colossesi fossero giudicati dagli insegnanti giudaizzati, riguardo a quelle cose che erano ormai cessate, come dice anche la testimonianza del profeta:

“Farò pure cessare tutte le sue gioie, le sue feste, i suoi noviluni, i suoi sabati, e tutte le sue solennità” {Osea 2: 11}.

Ora passeremo a {Levitico 23: 24-38}. Qui troviamo quattro sabati cerimoniali ebraici. Uno il primo giorno del settimo mese, uno il decimo giorno, uno il quindicesimo giorno e uno il ventitreesimo giorno.

“Queste sono le feste dell’Eterno che voi proclamerete come sante convocazioni… oltre ai sabati dell’Eterno” {Levitico 23: 37-38}.

I Sabati del Signore nostro Dio si susseguono ogni settimo giorno; ma alcuni dei sabati della convocazione ebraica erano distanti fra loro nove giorni e altri non meno di quattro giorni.

Ecco una chiara differenza fatta tra i due tipi di sabati.

Il Sabato del Signore, così chiamato a titolo di distinzione, non è classificato con gli altri sabati. Gli ebrei dovevano osservare i loro sabati di convocazione cerimoniale nei tempi stabiliti “oltre ai sabati dell’Eterno”.

Il Sabato del Signore nostro Dio fu istituito alla creazione, prima della caduta, quando la terra e l’uomo erano puri e l’Eden fioriva sulla terra. I sabati cerimoniali degli ebrei furono dati sul Monte Sinai, più di 2500 anni dopo, e furono una parte di quel documento scritto a mano, di quelle ordinanze della legge di Mosè, che furono inchiodate sulla croce, alla morte del Messia.

Il fatto che alcuni insegnassero queste usanze ebraiche alla chiesa cristiana e giudicassero coloro che non le rispettavano, spinse l’apostolo a scrivere delle epistole su questo argomento così come fece ai galati, ai romani e ai colossesi.

Detto questo, dove troviamo le prove che l’apostolo si riferisca al Sabato del quarto comandamento in {Colossesi 2: 14-17}? Se ce ne sono, che siano esposte. Infatti io non ho paura di affermare che non esistano prove da fornire, per dimostrare che si riferisca al Sabato del Signore nostro Dio; ma esistono invece molte prove per dimostrare che l’apostolo non fece alcun riferimento ad esso.

1) Paolo non parla del “giorno di Sabato” che è associato alle altre nove leggi morali; ma ai giorni di sabato (sabati), che sono associati ai “cibi”, “bevande” e “noviluni” delle leggi cerimoniali di Mosè.

2) Tutto ciò che l’apostolo ha menzionato; come “cibi”, “bevande”, “noviluni” e “sabati”, erano ombre, che cessarono di esistere quando raggiunsero il loro compimento. Questo avvenne con l’introduzione della nuova alleanza. “Queste cose sono ombra di quelle che devono venire; ma il corpo è di Cristo” {Colossesi 2: 17}. Il Sabato del Signore nostro Dio non è un’ombra; poiché deve essere perpetuato in tutta l’eternità {Isaia 66: 22-23}. “Tutte le carni”, ovvero gli uomini della terra, non hanno mai adorato, tutti quanti, Dio di Sabato da quando Isaia ha scritto questa profezia fino a questo momento, e questo non accadrà finché i giusti non saranno tutti radunati nella nuova terra; solo allora il Sabato sarà osservato da tutti quanti eternamente.

3) “Queste cose sono ombra di quelle che devono venire”. Tutte le ombre cessano quando si arriva ai corpi che le producono. Segui l’ombra di un albero fino al suo corpo reale, che è l’albero in sé, proprio lì finisce la sua ombra. Ma il Sabato settimanale non finirà mai, essendo eterno; quindi non può essere un’ombra, ma un corpo, così come lo sono anche gli altri nove comandamenti. I dieci comandamenti sono della stessa natura; se uno è un’ombra, tutti quanti lo sono. Come possiamo far diventare delle ombre “pronunciare il nome di Dio invano”, “rubare” e “uccidere”? Questo non possiamo farlo. Non esiste uomo che possa dimostrare che il Sabato del quarto comandamento sia un’ombra. So che esiste un errata concezione secondo la quale il Sabato del settimo giorno sia un tipo del settimo millennio. Ma dov’è la prova scritturale per dimostrarlo? Non la si trova. Tuttavia, se qualcuno sceglie di attenersi a questa concezione, si ricordi anche che tutti i tipi o ombre continuano a rimanere validi finché non raggiungono i loro corpi reali; dicendo che il settimo millennio è il corpo e il Sabato del settimo giorno è l’ombra, arriveremo alla conclusione che il Sabato del settimo giorno deve continuare ad essere osservato fino al settimo millennio. L’idea che il Sabato sia un tipo del settimo millennio e che sia cessato alla crocifissione, crea uno spazio vuoto di oltre 1800 anni (scritto nel 1849) tra il corpo e l’ombra, che non è conforme al sistema dei tipi e delle ombre della Bibbia.

4) Ciò che fu cancellato e inchiodato sulla croce, fu il documento di ordinamenti, scritto dalla mano di Mosè; ma il comandamento del Sabato fu scritto con il dito di Dio. Mosè scrisse la sua legge in un libro (documento); ma Dio scrisse le sue dieci leggi su tavole di pietra. Fu il documento che faceva riferimento al libro dell’alleanza ad essere cancellato alla morte di Cristo, e non le due tavole dell’alleanza scritte con il dito di Dio. Uno era un patto errato, imposto agli ebrei fino al tempo di una riforma, che coincide al primo avvento di Gesù; l’altro è l’alleanza perpetua ed eterna di Dio con gli uomini. E affinché potessimo essere colpiti dalla perpetuità della legge regale, Dio la incise su tavole di pietra. L’idea di cancellare ciò che Mosè scrisse in un libro, è perfettamente naturale; ma possiamo davvero pensare di poter cancellare ciò che Dio ha inciso, con il Suo dito su tavole di pietra? L’apostolo ci insegna che il documento scritto a mano, fatto di ordinamenti, fu cancellato e inchiodato sulla croce; pertanto, non fece alcun riferimento alla legge del Sabato, il quarto comandamento.

5) Il Sabato non è mai stato “contro di noi”, ma è stato creato per il bene dell’umanità. È stato “fatto per l’uomo” {Marco 2: 27}; perché aveva bisogno di un giorno di riposo dal suo lavoro abituale e per la sua cura: aveva anche bisogno del giorno di Sabato per trascorrerlo nell’adorazione di Dio. Il Santo Sabato non è mai stato dato all’uomo per ostacolarlo; quindi Dio non lo ha “tolto di mezzo”. La legge di Mosè era imperfetta. Essa non poteva “rendere perfetti quelli che si accostano a Dio”, perciò era il primo patto ad essere “contro di noi e che ci era nemico” e che è stato tolto di mezzo, essendo inchiodato alla croce; cedendo il posto al nuovo e migliore patto, di cui Gesù Cristo è Sommo Sacerdote. L’alleanza eterna dei comandamenti di Dio è una legge perfetta, secondo la quale dobbiamo essere giudicati; quindi Dio non può darne una migliore, affinché ne prenda il posto {Giacomo 1: 25; 2: 8-12}.“Così, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono” {Romani 7: 12}. Una legge che è “santa”, “giusta”, “buona” e “spirituale” non è mai contro, o nemica dell’uomo; per questo motivo l’apostolo non fece alcun riferimento al Sabato, né a nessuno dei comandamenti della santa e regale legge di libertà di Dio.

6) Infine, il fatto che i primi cristiani fossero turbati da coloro che insegnavano che dovevano osservare la legge di Mosè per essere salvati, mostra chiaramente quale fosse l’argomento di Paolo, il quale non si riferiva al Sabato del settimo giorno; ma all’ombra della legge di Mosè, che iniziò a raggiungere il suo corpo quando la nuova alleanza fu introdotta alla morte del Messia.

CAPITOLO 12 – “Il ministero della morte, che era scolpito in lettere su pietre”

[2 Corinzi 3: 7-13]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 2, AUGUST, 1849

{2 Corinzi 3: 7-13}, viene spesso citato per dimostrare l’abolizione del Sabato; ma non dimostra nulla del genere. Penso che tutti i lettori della Bibbia ammetteranno che l’apostolo stia qui comparando il ministero dell’alleanza ebraica (vecchio patto) con il ministero dell’alleanza evangelica (nuovo patto). La legge di Dio “scolpita in lettere su pietre” sarebbe dovuta rimanere invariata, fintanto che il cielo e la terra fossero rimasti; ma fu il MINISTERO delle cerimonie della legge di Mosè ad essere “eliminato” o “abolito” per cedere il posto al migliore MINISTERO della stessa legge da parte dello Spirito Santo.

La gloria della prima alleanza, rappresentata dalla gloria del volto di Mosè, doveva andarsene ed essere inghiottita dalla gloria eccelsa del ministero dello Spirito. La luce della luna è gloriosa, ma quando il sole sorge in tutta la sua gloria, la luce della luna sparisce.

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(Continua)

“Il ministero della morte, che era scolpito in lettere su pietre”

[2 Corinzi 3: 7-13]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. OSWEGO, N. Y. NO. 5, DECEMBER, 1849

Se vogliamo comprendere correttamente l’apostolo, dobbiamo prima osservare che esiste una differenza essenziale tra un patto, o una legge, e il ministero della legge in questione. Il primo è la costituzione necessaria per governare il popolo; l’ultimo è il ministero, o il modo in cui viene ordinato di eseguire queste leggi.

Dopo che Dio ebbe liberato il Suo popolo dalla tirannia e dalla schiavitù degli egiziani, dichiarò a loro la Sua “legge regale”, che incise su tavole di pietra. Questo fu chiamato “il suo patto che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti” {Deuteronomio 4: 13}. Questa alleanza era una costituzione primaria di giusti principi morali che tutti avrebbero dovuto osservare rigorosamente.

Il ministero di questa alleanza, sotto Mosè, era costituito dai poteri ecclesiastici, collegati a tutti i riti, servizi e statuti da far rispettare per l’adempimento del patto, per le punizioni a causa della disobbedienza e persino per la giustificazione e il perdono attraverso le espiazioni, chiamate anche “ordinamenti carnali” {Ebrei 9: 10}, così come venne scritto dalla mano di Mosè in un libro, chiamato “il libro dell’alleanza” {Deuteronomio 31: 9-11, 24-26}.

La legge di Dio che venne presentata per la prima volta al popolo scritta su tavole di pietra, e quindi non nella mente e nel cuore, presto venne dimenticata e trasgredita; per questo motivo ci fu bisogno di una nuova alleanza {Geremia 31: 31-34} che fu stabilita su promesse migliori. Paolo infatti ci dice:

“perché, se quel primo patto fosse stato senza difetto, non sarebbe stato necessario stabilirne un altro” {Ebrei 8: 7}.

La colpa non è nell’alleanza in sé; ma nel modo in cui è stata presentata, ovvero essendo stata scritta su tavole di pietra e poi depositata nell’arca, invece di essere incisa e posta nella mente e nel cuore. E poiché non era scritta nel cuore, “essi violarono il mio patto” {Geremia 31: 32}. Ma nel “tempo del cambiamento”, quando “Cristo, essendo venuto come sommo sacerdote dei beni futuri”, stabilì la Sua alleanza su una base migliore e su migliori promesse, ovvero, mettendo “la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore” {Geremia 31: 33}.

Quindi la nuova alleanza è basata sulla stessa legge della vecchia alleanza; la differenza sta solo nel nuovo e migliore ministero di essa, o nel modo in cui è presentata al popolo, essendo scritta dallo Spirito di Dio nella mente e nel cuore. Il ministero dei dieci comandamenti sotto Cristo è chiamato “il ministero dello Spirito” poiché è proprio lo Spirito di Cristo che ricerca ogni cosa e conosce ciò che è nel cuore.

Il ministero sotto Mosè fu chiamato il “ministero della morte” e il “ministero della condanna”; poiché attraverso questo ministero della legge vi era la conoscenza del peccato, della condanna, della pena e della morte. Tutti furono sotto la “condanna”, o “maledizione”, fino a quando “l’apparizione del Salvatore nostro Gesù Cristo, che ha distrutto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo dell’evangelo” {2 Timoteo 1: 10}.

Cristo è morto per la redenzione dei trasgressori sotto la prima alleanza, affinché i chiamati potessero ricevere la promessa dell’eredità eterna {Ebrei 9: 15}.

È evidente che nessun uomo fosse giustificato agli occhi di Dio dalle opere della legge, ovvero dal ministero di Mosè {Galati 2: 16, Galati 3: 11, Atti 13: 29}. “Poiché è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati”; quei sacrifici non avrebbero mai potuto “rendere perfetti quelli che si accostano a Dio” {Ebrei 10: 1-4}.

Perciò il ministero dell’alleanza sotto Mosè poteva essere per davvero chiamato “il ministero della morte” e della “condanna”; poiché mentre condannava, non poteva togliere il peccato; non poteva affatto offrire la redenzione, la vita e neanche l’immortalità. “Ma lo Spirito dà vita” {2 Corinzi 3: 6}; “Or il Signore è lo Spirito” {2 Corinzi 3: 17}. Attraverso la morte e la risurrezione di Cristo e la fede nel sangue dell’espiazione, questa vita ci viene data.

I versetti da 7 a 11 parlano del “ministero della morte” e della “condanna”, che “doveva essere annullato” e del ministero dello Spirito che era una dispensazione molto più gloriosa di quella di Mosè, “che è duraturo”.

Non fu il patto (dei dieci comandamenti) “scolpito in lettere su pietre” ad essere “abolito” ma fu il ministero della morte, cioè il ministero di Mosè, che “doveva essere annullato”.

Il “velo”, che troviamo in {2 Corinzi 3: 13-16}, rappresenta il ministero di Mosè; mentre le cerimonie di Mosè venivano lette e continuate ad essere praticate “le loro menti sono diventate ottuse”, e non potevano più vedere, né capire, né credere che Gesù Cristo fosse l’adempimento e la fine di tutti i servizi tipici. Ma guardando il sangue di Gesù per l’espiazione, “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” {Giovanni 1: 29}, lo Spirito rivelerà la fede e il “velo sarà rimosso”.

“Or il Signore è lo Spirito, e dov’è lo Spirito del Signore, vi è libertà” {2 Corinzi 3: 17}.

Ciò significa che se essi hanno lo Spirito di Cristo che dimora in loro, sono liberi dal giogo della schiavitù {Galati 5: 1}, e sono liberi dalla condanna sotto la quale si trovavano mentre erano sotto la legge di Mosè; e osservando la gloria del Signore, sono trasformati di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore.

Questa è la differenza tra i due ministri. Il primo è un “ministero di morte” e di “condanna”, cioè quel documento scritto a mano da Mosè; il secondo è il ministero della vita, o della giustificazione da parte dello Spirito di Cristo.

CAPITOLO 13 – “Egli determina di nuovo un giorno”

[Ebrei 4: 1-7]

“THE REST THAT REMAINS FOR THE PEOPLE OF GOD”

“Resta dunque un riposo di sabato per il popolo di Dio” {Ebrei 4: 9}. Questo versetto e il suo contesto richiedono alcune spiegazioni. In quanto segue, sebbene brevemente, sarà offerta una chiave di lettura sufficiente per poter comprendere l’intero capitolo. Che Dio abbia dato ad Abrahamo la promessa di un’eredità è ben noto. Citeremo solo due testi. Il primo è {Genesi 13: 14-17}:

“E l’Eterno disse ad Abramo, dopo che Lot si Fu separato da lui: «Alza ora i tuoi occhi e mira dal luogo dove sei a nord a sud; a est e a ovest. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della terra; per cui, se qualcuno può contare la polvere della terra, si potrà contare anche la tua discendenza. Levati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te»”.

Di nuovo il Signore disse ad Abramo, dopo portato come offerta Isacco:

“moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza possederà la porta dei suoi nemici” {Genesi 22: 17}.

Mettendo insieme questi due testi, comprendiamo che l’eredità promessa ad Abramo riguardava un pacifico e tranquillo possesso della terra; non semplicemente di poche miglia quadrate, ma del mondo intero {Romani 4: 13}. Fu in virtù di questa promessa che il Signore liberò i figli d’Israele dalla schiavitù Egiziana {Esodo 6: 1-8}.

Passando attraverso i quarant’anni nel deserto, arriviamo al discorso che Mosè fece ai figli d’Israele poco prima di morire. Parlando alle tribù di Ruben, Gad e alla mezza tribù di Manasse, a cui fu permesso di stabilirsi sul lato orientale del Giordano, disse:

“L’Eterno, il vostro DIO, vi ha dato questo paese perché lo possediate. Voi tutti, uomini di valore, passerete il Giordano armati, alla testa dei figli d’Israele, vostri fratelli. Ma le vostre mogli, i vostri piccoli e il bestiame (so che avete molto bestiame) rimarranno nelle città che vi ho dato, finché l’Eterno abbia dato riposo ai vostri fratelli, come ha fatto per voi e prendano anch’essi possesso del paese che l’Eterno, il vostro DIO, dà loro al di là del Giordano. Poi ciascuno tornerà nell’eredità che vi ho dato” {Deuteronomio 3: 18-20}.

Da ciò apprendiamo che dare riposo significa stabilire qualcuno in possesso del territorio. La stessa cosa è dimostrata anche dalle seguenti parole:

“Poiché non siete ancora entrati nel riposo e nell’eredità che l’Eterno, il vostro DIO, vi dà. Ma passerete il Giordano e abiterete nel paese che l’Eterno, il vostro DIO, vi dà in eredità; ed egli vi darà riposo da tutti i vostri nemici che vi circondano e voi abiterete al sicuro. Allora ci sarà un luogo che l’Eterno, il vostro DIO, sceglierà per far dimorare il suo nome e là porterete tutto ciò che vi comando” {Deuteronomio 12: 9-11}.

Come ulteriore conferma dell’idea che il riposo promesso consisteva nel tranquillo e pacifico possesso del paese, leggiamo {2 Samuele 7: 1} che dice:

“Quando il re si fu stabilito nella sua casa e l’Eterno gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici tutt’intorno”.

Davide poi pensò di costruire una casa per il Signore, ma Dio non glielo permise. Il Signore quindi gli fece una grande promessa, dicendo:

“Assegnerò un posto ad Israele mio popolo, e ve lo pianterò perché dimori in casa sua e non sia più disturbato, e i malvagi non continuino ad opprimerlo come nel passato” {2 Samuele 7: 10}.

È evidente, quindi, che il “riposo” promesso agli israeliti era l’eredità di un paese pacifico. Giosuè li guidò in questo riposo, come sta scritto:

“L’Eterno diede loro riposo tutt’intorno, come aveva giurato ai loro padri; nessuno di tutti i loro nemici poté loro resistere; l’Eterno diede tutti i loro nemici nelle loro mani” {Giosuè 21: 44}.

Tuttavia, di fronte a questa dichiarazione, l’apostolo dice in {Ebrei 4: 8} che Giosuè non diede loro riposo e che il Signore in seguito parlò di “un altro giorno”, in cui avrebbero potuto assicurarsi il riposo. Infatti abbiamo appena letto in {2 Samuele 7: 10} proprio la promessa di quel riposo. Se Giosuè avesse concesso loro quel riposo, non si sarebbe potuto parlare di un altro giorno.

Sebbene Dio abbia dato agli israeliti la terra di Canaan, Abrahamo non vi partecipò {Atti 7: 5} e neanche Isacco e Giacobbe, ai quali fu fatta la promessa; l’apostolo, dopo aver menzionato questi patriarchi e molti altri, disse: “Eppure tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza mediante la fede, non ottennero la promessa, perché Dio aveva provveduto per noi qualcosa di meglio, affinché essi non giungessero alla perfezione senza di noi” {Ebrei 11: 39-40}. Questo mostra che il possesso del paese di Canaan da parte degli israeliti non soddisfaceva tutte le specifiche della promessa. Ciò è ancora più evidente dal fatto che erano in pace quando il Signore ha rinnovato la promessa in {2 Samuele 7: 10}.

Ma come possiamo spiegare l’affermazione contenuta in {Giosuè 21: 43-45}, secondo la quale Dio diede agli israeliti ciò che aveva promesso? Essi avevano semplicemente ricevuto un’eredità parziale, che sarebbe potuta diventare completata, se avessero obbedito e si fossero fidati di Dio. Che non avessero ottenuto il riposo completo e l’eredità che era stata promessa ad Abramo, è evidente dal fatto che la promessa includeva il possesso del mondo intero {Romani 4: 13}. In {Geremia 17: 19-27} Dio aveva stabilito che gli israeliti fossero stabiliti per sempre nella terra di Canaan, la cui capitale, Gerusalemme, sarebbe stata la capitale del mondo intero, proprio come la Nuova Gerusalemme sarà la capitale della terra rinnovata. Ma benché fosse stato loro dato il possesso della capitale della loro eredità, non ne entrarono in pieno possesso, a causa dell’incredulità; in tal modo fu come se non ne avessero mai avuto possesso.

Ma “il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa” {2 Pietro 3: 9}, e così “rimane ancora una promessa di entrare nel suo riposo” {Ebrei 4: 1}. Questo riposo è lo stesso di quello promesso ad Abrahamo, cioè il possesso dell’intera terra; poiché, dopo che tutti i malvagi saranno distrutti “i mansueti possederanno la terra e godranno di una grande pace” {Salmo 37: 11}. […] Con la consapevolezza che la terra è l’eredità promessa ad Abramo e alla sua discendenza, e che rimane per noi che crediamo, è molto facile capire {Ebrei 4: 3-4}.

L’apostolo dice anche: “E Dio si riposò il settimo giorno da tutte le sue opere”. A confermare che “le sue opere fossero terminate fin dalla fondazione del mondo” {Ebrei 4: 3-4}, poiché Dio “si riposò da tutta l’opera che aveva creato e fatto” {Genesi 2: 3}. Egli pronunciò la Sua benedizione sul settimo giorno “perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creato e fatto”. Fece la terra “perché fosse abitata” {Isaia 45: 18} e la diede agli uomini come dimora pacifica; il fatto che si fosse riposato il settimo giorno era una prova del fatto che l’opera era finita e che l’eredità era preparata. Il Sabato, quindi, essendo il memoriale del riposo di Dio, un giorno in cui rallegrarci e trionfare meditando sulla grandezza delle opere delle Sue mani {Salmo 92: 4-5}, è la certezza che Dio abbia preparato un periodo di riposo per il Suo popolo. Il riposo che rimane è, quindi, la futura eredità del regno dei santi. L’ “altro giorno” di Giosuè è il giorno della ricompensa finale.

Quando Cristo scenderà nella gloria, seduto sul trono della Sua gloria, avendo ricevuto in possesso tutta la terra, per liberarla da ciò che la corrompe, dirà ai giusti che hanno mantenuto la fede: “Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo” {Matteo 25: 34}; e quando insieme a Lui avranno eseguito il giudizio dei malvagi {Giuda 1: 14-15; Salmo 149: 5-9}, allora si adempirà la promessa data per mezzo del profeta: “L’effetto della giustizia sarà la pace il risultato della giustizia tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni sicure e in quieti luoghi di riposo” {Isaia 32: 17-18}. Allora il popolo di Dio godrà del riposo che fu preparato per loro sin dalla fondazione del mondo.

CAPITOLO 14 – “I tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare in giorno di sabato”

[Matteo 12: 1-5]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 2, AUGUST, 1849

Il Sabato fu fatto per l’uomo, ovvero per l’intera razza umana; l’uomo infatti aveva bisogno di tutte le benedizioni derivanti dal Sabato sin da quando fu istituito per la prima volta nell’Eden; è perciò ragionevole concludere che Dio abbia progettato la sua osservanza sia nel vecchio che nel nuovo patto. Non vedo alcun motivo per cui l’ebreo debba osservare il Sabato più rigorosamente rispetto al cristiano.

Desidero dimostrare l’esistenza di una perfetta armonia fra tutte le testimonianze delle Scritture, di entrambi i Testamenti, in relazione all’osservanza del Santo Sabato, il quarto comandamento del decalogo.

“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Lavorerai sei giorni e in essi farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è sabato, sacro all’Eterno, il tuo DIO; non farai in esso alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si riposò; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno di sabato e l’ha santificato” {Esodo 20: 8-10}.

Il grande Dio diede all’uomo sei giorni affinché lavorasse e facesse ogni lavoro necessario per il suo sostentamento; ma nel settimo giorno Dio desiderava che l’uomo si riposasse dalla fatica e dal lavoro di questo mondo e si impegnasse nel servizio del suo Creatore. Atti di misericordia e benignità, come ad esempio alleviare l’angoscia e il dolore dell’uomo o dell’animale; guarire gli ammalati e fargli mangiare quando sono affamati di Sabato, non è proibito da Dio nella Bibbia; e non rappresentano una violazione della legge del Sabato del decalogo.

So che alcuni affermano che non possiamo osservare il Sabato, come è indicato nell’Antico Testamento; ma ciò è come la maggior parte delle false affermazioni fatte da coloro che si oppongono al vero Sabato. I comandamenti del nostro Santo e Giusto Dio non sono gravosi, ma gioiosi per coloro che li osservano. Infatti coloro che seguirono Gesù in Galilea e videro il Suo corpo essere messo nella nuova tomba di Giuseppe, poi tornarono “e durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento” {Luca 23: 54-56}. Essi poterono osservare il Sabato secondo la legge di Dio, anche dopo che la legge cerimoniale fu abolita; così possiamo fare anche noi.

Gesù atterrò le tradizioni con cui gli ebrei avevano coperto il Sabato. Il Signore del Sabato osservò i comandamenti di Suo Padre; perciò Lui e i Suoi discepoli osservarono il Sabato secondo il quarto comandamento. […] Tutti dovrebbero rendersi conto della follia di coloro che insegnano che non bisogni più osservare la lettera della legge del Sabato!

“Gli scribi, e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Osservate dunque e fate tutte le cose che vi dicono di osservare; ma non fate come essi fanno, poiché dicono ma non fanno” {Matteo 23: 2-3}.

Com’è assurda, quindi, l’opinione che alcuni insegnano, secondo la quale Gesù e i Suoi discepoli si siano allontanati dalla lettera della legge del Sabato, scritta su pietra con il dito di Dio!

I malvagi farisei accusarono i discepoli di essersi allontanati dalla lettera della legge del Sabato quando strapparono delle spighe di grano e ne mangiarono per soddisfare la fame che provavano; ma Gesù dimostrò loro che si trattava di una falsa accusa. Ricordò loro ciò che fece Davide quando ebbe fame; e ciò che fecero anche gli irreprensibili sacerdoti nel tempio. La legge di Mosè imponeva ai sacerdoti di offrire sacrifici di Sabato.

“Nel giorno di sabato offrirete due agnelli di un anno, senza difetto e, come oblazione di cibo, due decimi di fior di farina mescolata con olio con la sua libazione. E l’olocausto del sabato, per ogni sabato, oltre l’olocausto perpetuo e la sua libazione” {Numeri 28: 9-10}.

I sacerdoti dovevano quindi lavorare di Sabato; ma ciò non era una violazione della legge del Sabato; poiché quel tipo di lavoro non era proibito dal quarto comandamento. La legge di Mosè infatti non obbligava i sacerdoti a violare quella legge scritta dal dito di Dio. “Lavorerai sei giorni e in essi farai ogni tuo lavoro”. L’uomo doveva occuparsi del proprio lavoro durante i sei giorni; e poi riposarsi dal suo lavoro nel settimo, adoperandosi per Dio. Infatti Egli non ha mai pianificato per l’uomo di rimanere fermo e inattivo durante il Suo Sabato.

Mangiare di Sabato quando si ha fame, non è proibito nella Bibbia. Gesù e i Suoi discepoli erano diretti verso la sinagoga, quando essi strapparono e mangiarono delle spighe di grano; il che era lecito, soprattutto quando si era affamati di Sabato, come con qualsiasi altro alimento. Secondo la legge di Mosè, infatti, i discepoli avevano il diritto di strappare delle spighe di grano con le mani e di mangiarle.

“Quando entri nel campo di grano del tuo vicino, potrai coglierne delle spighe con la mano; ma non userai la falce nel campo di grano del tuo vicino” {Deuteronomio 23: 25}.

Gesù non ha mai permesso che Lui stesso o i Suoi discepoli si allontanassero dalla lettera della legge del Sabato. No, mai! E dimostrò ai Suoi accusatori che ciò che fecero i Suoi discepoli di Sabato era lecito, in conformità alla legge del Sabato. In questo caso, infatti, loro erano senza colpa. “Ora, se voi sapeste che cosa significa: «Io voglio misericordia e non sacrificio» non avreste condannato degli innocenti” {Matteo 12: 7}.

Se avessero saputo che gli atti di misericordia e necessità, come ad esempio: mangiare quando si ha fame e guarire i malati di Sabato, erano leciti, non avrebbero mai accusato falsamente i santi seguaci di Gesù di infrangere il Sabato.

Ora, chi è pronto a schierarsi dalla parte dei malvagi farisei e ad accusare i discepoli e il loro Santo Maestro, che ha detto di aver osservato i comandamenti di Suo Padre, di essersi allontanato dalla lettera del quarto comandamento? Il solo pensiero di una cosa del genere è terribile!

CAPITOLO 15 – “È lecito guarire qualcuno in giorno di sabato?”

[MATTEO 12: 10-12]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 2, AUGUST, 1849

“Ed essi domandarono a Gesù, per poterlo poi accusare: «è lecito guarire qualcuno in giorno di sabato?». Ed egli disse loro: «Chi è l’uomo fra voi che avendo una pecora, se questa cade in giorno di sabato in una fossa, non la prenda e non la tiri fuori? Ora, quanto vale un uomo più di una pecora! È dunque lecito fare del bene in giorno di sabato?»” {Matteo 12: 10-12}.

La parola “lecito” significa qualcosa che piace alla legge. In questo contesto significa qualcosa che piace alla legge del Sabato. Annotati questo: Gesù non ha dato loro una nuova legge sul Sabato, né tantomeno disse che la legge del Sabato doveva essere abolita o modificata; ma espose l’ipocrisia dei farisei, che lo accusavano di infrangere il Sabato, guarendo i malati, quando loro, allo stesso tempo, avrebbero tranquillamente alleviato le sofferenze di un animale durante il Sabato; “quanto vale un uomo più di una pecora!”. Insegnò loro che anche quegli atti di misericordia come tirare una pecora fuori da una fossa, e guarire i malati nel girono di Sabato, andavano bene, e che erano secondo la legge del Sabato. “È dunque lecito fare del bene in giorno di sabato”.

“E Gesù, rispondendo ai dottori della legge e ai farisei, disse: «È lecito guarire in giorno di sabato?». Ma essi tacquero. Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi, rispondendo loro disse: «Chi di voi se il suo asino o bue cade in un pozzo, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?». Ma essi non gli potevano rispondere nulla in merito a queste cose” {Luca 14: 3-6}.

Anche in questo caso Gesù, parlando agli scribi e ai farisei, si riferì alla legge del Sabato, e con essa chiuse la loro bocca, in modo che non potessero più rispondergli. Se avesse insinuato che la legge del Sabato doveva essere allentata po’, e che aveva il diritto di discostarsi dalla sua lettera, lo avrebbero potuto accusare; ma invece, Gesù fece appello alla lettera della legge e al loro modo di osservarla e dimostrò loro che ciò che Lui aveva fatto era lecito.

Quando Gesù guarì una donna, figlia di Abrahamo, il capo della sinagoga si riempì di indignazione e disse al popolo: “Vi sono sei giorni in cui si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire e non in giorno di sabato». Allora il Signore gli rispose e disse: «Ipocriti! Ciascun di voi non slega forse di sabato dalla mangiatoia, il suo bue o il suo asino per condurlo a bere?” {Luca 13: 11-17}.

Questa risposta del Salvatore mise a tacere il capo della sinagoga e fece vergognare tutti i Suoi avversari; “tutta la folla invece si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute”. Tutti erano convinti che ciò fosse giusto ed erano certi che fosse lecito che Gesù guarisse di Sabato, altrimenti non si sarebbero rallegrati.

CAPITOLO 16 – “Di sabato non ti è lecito portare il tuo lettuccio”

[GIOVANNI 5: 8]

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 2, AUGUST, 1849

A volte ci si riferisce al caso dell’uomo paralitico che fu guarito, che prese il suo lettuccio e che camminò di Sabato al comando di Gesù, per sostenere che il quarto comandamento sia stato abolito. Si afferma che egli portasse un carico, e che lui e il suo Maestro Gesù, che gli disse: “«Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina»”, abbiano infranto il Sabato. È vero che Dio nel libro di Geremia proibisce agli ebrei di portare carichi dentro o fuori le porte di Gerusalemme di Sabato. Dio promise loro che se Lo avessero ascoltato diligentemente e non avessero portato alcun carico attraverso le porte della città in giorno di Sabato, santificando così il giorno di Sabato, per non fare in esso alcun lavoro, la loro città sarebbe stata abitata per sempre {Geremia 17: 19-25}. Geremia però non ci ha mostrato con esattezza quali tipi di carichi o fardelli fossero proibiti, ma Neemia sì.

“In quei giorni osservai in Giuda alcuni che pigiavano l’uva in giorno di sabato e portavano sacchi di grano, caricandoli sugli asini, assieme a vino, uva, fichi e ogni sorta di fardelli che facevano venire a Gerusalemme, in giorno di sabato; e io li rimproverai a motivo del giorno in cui vendevano i generi alimentari” {Neemia 13: 15}.

Qui Neemia ci mostra che questi fardelli sono carichi di merce, che venivano portati a Gerusalemme di Sabato, cosa che Dio ha proibito nel giorno di Sabato. Il lettore ora paragoni qualcuno che porta carichi di merce al mercato per venderli e quindi per ottenerne un guadagno mondano, all’uomo paralitico guarito che porta il suo lettuccio lodando Dio, e vedremo sicuramente la differenza. Il primo è una violazione del quarto comandamento; il secondo è un atto di misericordia, che manifestava il meraviglioso potere di Dio.

CAPITOLO 17 – Due osservazioni sull’accendere il fuoco in giorno di Sabato!

THE PRESENT TRUTH. VOL. I. MIDDLETOWN, CONN. NO. 2, AUGUST, 1849

Farò altre due osservazioni sul vero Sabato e poi lascerò, per il momento, questo argomento. La prima obiezione è che Dio ha proibito agli ebrei di accendere fuochi di Sabato: se lo osservassimo rigorosamente come loro, non potremmo accendere alcun fuoco di Sabato. Ma se guardiamo quest’obiezione nella sua vera luce, la difficoltà svanirà. Questa argomentazione riguardante l’accensione dei fuochi di Sabato che fu data a Israele nel deserto, quando Dio li stava alimentando con la manna dal cielo. Erano persone forti e sane, in un clima mite. I loro vestiti furono miracolosamente preservati e il loro cibo veniva dato loro dal cielo. Dio disse loro di cucinare la loro manna il sesto giorno; perciò non serviva accendere alcun fuoco nel giorno di Sabato. Se avessero acceso dei fuochi per cucinare la loro manna o per lavare i loro vestiti di sabato, sarebbe stata una chiara violazione del quarto comandamento, poiché questo era un lavoro che Dio aveva assegnato loro per i sei giorni. Noi oggi ci troviamo in condizioni differenti. La nostra salute e il clima della terra sono tali che abbiamo bisogno del calore di un fuoco, almeno per quanto riguarda alcune stagioni dell’anno, per mantenerci adeguatamente caldi. Accendiamo un fuoco di Sabato, durante alcune stagioni dell’anno, come un atto di misericordia e necessità, ovvero la stessa motivazione che spinge a dare da bere a un bue o a un cavallo, o che fa uscire fuori da una fossa una pecora.

Ma è altrettanto sbagliato accendere dei fuochi ad esempio in estate, oppure cucinare il cibo di Sabato, poiché può essere benissimo cucinato il venerdì così come facevano anche gli ebrei. Il sesto giorno è il giorno della preparazione, e se trascuriamo qualsiasi lavoro che appartiene a questo giorno e lo facciamo il settimo, profaniamo il Santo Sabato. La legge del Sabato proibisce di fare in questo giorno tutto ciò che può essere fatto nel sesto; ma gli atti di misericordia e necessità, che non possono essere compiuti il sesto giorno, sono leciti di Sabato. L’osservanza della legge del Sabato non ci farà congelare né ci farà morire di fame; perché la legge è “santa”, “giusta” e “buona” {Romani 7: 12}.

L’altra obiezione riguardante il vero Sabato che citerò qui è il caso dell’uomo che è stato lapidato a morte per aver raccolto bastoni durante il Sabato. Non ci viene detto che tipo di bastoni abbia raccolto, né per cosa volesse usarli; ma la migliore deduzione è che li raccolse per accendere un fuoco, cuocere e far bollire la loro manna. Dio disse loro per mezzo di Mosè: “Domani è un giorno solenne di riposo, un sabato sacro all’Eterno; fate cuocere oggi quel che dovete cuocere e fate bollire quel che dovete bollire; e tutto quel che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani” {Esodo 16: 23}.

Invece di cucinare nel sesto giorno, quest’uomo, raccogliendo legna di Sabato, stava certamente facendo quel lavoro, che avrebbe dovuto svolgere il sesto giorno, il settimo, violando così il quarto comandamento.

“Rimanga ognuno al suo posto; nessuno esca dalla sua tenda il settimo giorno” {Esodo 16: 29}.

Fu una violazione degli espressi ordini di Dio, quella di uscire nel campo per raccogliere la manna di Sabato. Stava compiendo nel settimo giorno il lavoro del sesto, realizzando un’audace trasgressione della legge del Sabato, scritta con il dito di Dio. Per loro era sbagliato raccogliere bastoni di Sabato, così come anche per noi sarebbe sbagliato tagliare e trasportare legna nel Santo giorno di Dio. Se dovessimo farlo, tutto il mondo si unirebbe contro di noi dicendo che stiamo infrangendo il quarto comandamento. Alcuni, quasi, ci lapiderebbero per aver fatto queste stesse cose nel primo giorno della settimana, il falso sabato del Papa.

I figli d’Israele, mentre erano nel deserto, non dovevano uscire dai loro luoghi di Sabato per raccogliere la manna, o fare qualsiasi altro lavoro che sarebbe potuto essere fatto il sesto giorno; ma dopo questo evento uscirono dai loro posti di Sabato, non per fare un lavoro quotidiano, ma per adorare Dio. Gli ebrei quindi intraprendevano quello che chiamavano “il viaggio del giorno del Sabato”, che consisteva nell’uscire dalle loro dimore e camminare per circa un miglio.

Il salario o la pena per la trasgressione della legge di Dio era ed è tuttora l’eterna morte. “Perché il salario del peccato è la morte” {Romani 6: 23}. “Il peccato è la trasgressione della legge” {1 Giovanni 3: 4}.

Durante il ministero della legge di Dio da parte di Mosè, colui che trasgrediva volontariamente la legge veniva immediatamente lapidato a morte: ma non sotto il ministero della legge di Dio da parte di Gesù Cristo, questa è una misericordia longanime e tenera. In questo migliore ministero, Dio, per amore di Gesù, risparmia la vita al trasgressore affinché possa rivolgersi a Dio e osservare la Sua legge, trovando il perdono attraverso Gesù Cristo e vivere. Durante il primo patto, che era difettoso, la severa giustizia abbatteva il trasgressore; ma poiché Gesù è stato il nostro unico Sacrificio e Sacerdote la misericordia, l’eccellenza e la gloria della migliore alleanza, si sono interposte e hanno dato al trasgressore della santa legge di Dio la possibilità di pentirsi del suo peccato e di trovare un pieno e completo perdono di tutti i suoi peccati, attraverso il prezioso sangue di Gesù.

Caro lettore, non lasciarti ingannare da coloro che si oppongono al vero Sabato. Le loro deboli obiezioni svaniranno tutte, se esposte alla luce della verità biblica. Le loro favole non ti facciano allontanare da questa armoniosa verità presente.