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Progresso di Lettura:
CRISTO E LA SUA GIUSTIZIA
Ellet J. Waggoner
Titolo originale: Christ and His Righteousness
Traduzione dall’originale: Comitato Raw Truth
Revisione: Lussorio Carboni
Se desideri un libro che spieghi ciò che Cristo ha fatto per coloro che credono in Lui, questo è il libro. Per tutta la vita ho lottato per cercare di capire cosa fosse realmente la “giustizia per fede”. Questo libro lo chiarisce e me lo fa capire, per la prima volta nella mia vita.
Ellen G. White scrisse poco dopo la sessione della Conferenza generale del 1888: “Il Signore, nella Sua grande misericordia, inviò un messaggio preziosissimo al Suo popolo tramite gli anziani Waggoner e Jones” (Testimonies to Ministers, p. 91).
Waggoner era molto amato da Ellen White e a lui fu affidata la comprensione di questo argomento. Per favore, non perderti questo libro. Lo consiglio vivamente a chiunque stia investigando il tema in questione.
Pubblichiamo questa edizione per tutti gli studenti che desiderano approfondire il messaggio che Dio ha inviato alla nostra chiesa alla fine del secolo scorso.
Comitato Raw Truth
Nel primo versetto del terzo capitolo di Ebrei abbiamo un’esortazione che comprende tutto quello che è richiesto ad un cristiano, e cioè: “Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della celeste vocazione, considerate l’apostolo e il sommo sacerdote della nostra confessione di fede, Gesù Cristo” {Ebrei 3: 1}. Se facciamo questo, come lo intende la scrittura, vale dire considerare Cristo continuamente ed intelligentemente quale Egli è, Gesù trasformerà ognuno di noi in un cristiano perfetto, perché “contemplando… siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria” {2 Corinzi 3: 18}.
I ministri dell’evangelo hanno il compito di presentare tale argomento alla gente e dirigere l’attenzione di questi ultimi su Cristo solamente. Paolo disse ai Corinti: “perché mi ero proposto di non sapere fra voi altro, se non Gesù Cristo e lui crocifisso” {1 Corinzi 2: 2}. Non c’è motivo di supporre che la sua predicazione ai Corinti fosse stata diversa, per forma o sostanza, da quelle tenute altrove. Ad ogni modo, ci dice che quando Dio rivelò Suo Figlio in lui, questo avvenne affinché egli lo predicasse agli stranieri {Galati 1: 15-16}; e la sua gioia fu di aver ricevuto la grazia di ” di annunziare fra i gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo” {Efesini 3: 8}. Il fatto che gli apostoli fecero di Cristo il centro di tutta la loro predicazione, non è l’unico motivo per cui dovremmo magnificarlo. Il Suo nome è l’unico sotto al cielo dato tra gli uomini per il quale possiamo essere salvati {Atti 4: 12}. Cristo stesso dichiarò che nessun uomo può venire al Padre se non per mezzo di Lui {Giovanni 14: 6}. A Nicodemo disse: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna” {Giovanni 3: 14-15}. Questo “innalzamento” di Gesù, oltre ad avere come primo riferimento primo la Sua crocifissione, comprende molto di più che il semplice avvenimento storico; significa che Egli deve essere “innalzato” da tutti coloro che credono in Lui come redentore crocifisso, la cui gloria e grazia sono sufficienti a supplire al più grande bisogno del mondo; significa che Egli dovrebbe essere “innalzato” in tutto il Suo grande amore e potenza come “Dio con noi” affinché la Sua attrazione divina possa guidarci tutti verso di Lui {Giovanni 12: 32}. Sia l’esortazione sia il motivo per cui considerare Gesù sono dati in {Ebrei 12: 1-3}: “Anche noi dunque, essendo circondati da un così gran numero di testimoni, deposto ogni peso e il peccato che ci sta sempre attorno allettandoci, corriamo con perseveranza la gara che ci è posta davanti, tenendo gli occhi su Gesù, autore e compitore della nostra fede, il quale, per la gioia che gli era posta davanti, soffrì la croce disprezzando il vituperio e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio. Ora considerate colui che sopportò una tale opposizione contro di sé da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate e veniate meno”. È solamente considerando Cristo con preghiera costante com’è rivelato nella Bibbia, che possiamo essere preservati dal divenire pigri nelle opere di bene, e dall’inciampare per la via.
Ancora, dovremmo considerare Gesù perché in Lui “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” {Colossesi 2: 3}. Chiunque manca di sapienza può rivolgersi a Dio per farne richiesta, che dona a tutti liberamente e senza rinfacciare, e la promessa è che sarà donata a tutti {Giacomo 1: 5}; ma il desiderio di sapienza potrà essere ottenuto solamente in Cristo. La sapienza che non procede da Cristo, e che di conseguenza non conduce a Lui, è solo follia; perché Dio, quale sorgente d’ogni cosa, è l’Autore della sapienza; l’ignoranza di Dio è la peggiore delle follie {Romani 1: 21-22}; tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti in Cristo, affinché colui il quale possiede solamente la sapienza di questo mondo, in realtà non conosce nulla. Da quando tutta la potenza in cielo e in terra è stata data a Cristo, l’apostolo Paolo dichiara che Egli è: “potenza di Dio e sapienza di Dio” {1 Corinzi 1: 24}. C’è un testo, ad ogni modo, che brevemente riassume tutto ciò che Cristo è per l’uomo, e dichiara nel modo più comprensibile il motivo per considerarlo come tale. Questo è: “grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” {1 Corinzi 1: 30}. Poiché noi siamo ignoranti, malvagi e perduti; Cristo è per noi sapienza, giustizia e redenzione. Che potenza! Dall’ignoranza e dal peccato alla giustizia e alla redenzione. Il più gran bisogno o aspirazione dell’uomo non può raggiungere la pienezza di ciò che Cristo è per noi, e quello che solamente Lui è per noi. Questa è una ragione sufficiente affinché gli occhi di tutti siano fissati su di Lui. AMEN!
Come dovremmo considerare Cristo? Proprio come Egli ha rivelato sé stesso al mondo; secondo la testimonianza che Egli rese di sé stesso. In quel meraviglioso discorso riportato nel quinto capitolo di Giovanni, Gesù disse: “Infatti come il Padre risuscita i morti e dà loro la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole. Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre, chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato” {Giovanni 5: 21-23}. A Cristo spetta la più alta prerogativa, quella del giudizio. Egli deve ricevere lo stesso onore che è dovuto a Dio per il semplice motivo che Egli è Dio. Il discepolo amato rende questa testimonianza: “Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio” {Giovanni 1: 1}. Questa Parola divina altri non è che Gesù Cristo; ciò viene dimostrato nel versetto di {Giovanni 1: 14}: “E la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, come gloria dell’unigenito proceduto dal Padre, piena di grazia e di verità”. La Parola era “nel principio”. La mente dell’uomo non può afferrare l’eternità che emana questa frase. Non è dato all’uomo di sapere quando o come il Figlio dell’uomo fu generato [***]; ma sappiamo che Egli era la Parola divina, non semplicemente prima di venire su questa terra a morire, ma addirittura prima che questo mondo fosse creato. Proprio prima della sua crocifissione Egli pregò: “Ora dunque, o Padre, glorificami presso di te della gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse” {Giovanni 17: 5}. Oltre settecento anni prima del suo primo avvento, la venuta di Cristo fu predetta dalla parola ispirata: “«Ma tu, o Betlemme Efratah, anche se sei piccola fra le migliaia di Giuda, da te uscirà per me colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini sono dai tempi antichi, dai giorni eterni»” {Michea 5: 2}. Noi sappiamo che Cristo è proceduto e venuto da Dio {Giovanni 8: 42}. Tutto questo avvenne così lontano indietro nei secoli dell’eternità che è troppo remoto affinché la mente umana lo possa comprendere.
[***] Nota dell’editore: Successivamente, attraverso il volume “La Speranza dell’Uomo” (1898) di Ellen White, gli Avventisti riconobbero il fatto che non vi è mai stato un momento nel passato in cui Gesù non fosse esistito. Gesù, essendo vero Dio, Egli è da sempre esistito insieme al Padre.
In molte parti della Bibbia Cristo è chiamato Dio. Il salmista dice: “Il DIO onnipotente, l’Eterno ha parlato e ha convocato la terra da oriente a occidente. Da Sion, la perfezione della bellezza, DIO risplende. Il nostro DIO verrà e non se ne starà in silenzio; lo precederà un fuoco divorante, e intorno a lui ci sarà una grande tempesta. Egli convocherà i cieli di sopra e la terra, per giudicare il suo popolo, e dirà: «Radunatemi i miei santi che hanno fatto con me un patto mediante il sacrificio». E i cieli proclameranno la sua giustizia, perché è DIO stesso il giudice” {Salmo 50: 1-6}. Questo passaggio si riferisce a Cristo, e si può comprendere, dal fatto già assodato, che ogni giudizio è riservato al Figlio; e dal fatto che è alla Sua seconda venuta che Egli manda i Suoi angeli per adunare insieme i suoi eletti sparsi dai quattro venti {Matteo 24: 31}. “Il nostro DIO verrà e non se ne starà in silenzio”, perché quando il Signore stesso discenderà dal cielo, sarà “con un potente comando, con voce di arcangelo con la tromba di Dio” {1 Tessalonicesi 4: 16}. Questo grido sarà la voce del Figlio di Dio, che sarà udita da tutti coloro che sono nelle loro tombe, e li farà risorgere {Giovanni 5: 28-29}. Assieme ai giusti viventi essi saranno rapiti per incontrare il Signore nell’aria, per essere sempre con Lui; e questo sarà il “nostro adunamento con lui” {2 Tessalonicesi 2: 1}. Confronta anche con {Salmo 50: 5; Matteo 24: 31; Tessalonicesi 4: 16}. Un fuoco che consuma Lo precederà e sarà impetuoso tutto intorno a Lui; perché quando il Signore Gesù sarà rivelato dal cielo con i Suoi potenti angeli, sarà… “in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono all’evangelo del Signor nostro Gesú Cristo” {2 Tessalonicesi 1: 8}. In questo modo apprendiamo che il {Salmo 50: 1-6} altro non è che una vivida descrizione della seconda venuta di Cristo per la salvezza del Suo popolo, quando verrà sarà come “il DIO onnipotente” (confronta con Abacuc 3). Questo è uno dei Suoi titoli.
Molto prima del primo avvento di Cristo, il profeta Isaia pronunciò queste parole di conforto per Israele: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato. Sulle sue spalle riposerà l’impero, e sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno. Principe della pace ” {Isaia 9: 5}. Queste non sono semplicemente parole d’Isaia; esse sono le parole dello Spirito di Dio. Dio, rivolgendosi al Figlio, lo chiama col Suo stesso titolo. Nel {Salmo 45: 6-7} leggiamo le seguenti parole: “Il tuo trono, o DIO, dura in eterno; lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia. Tu ami la giustizia e odi l’empietà; perciò DIO, il tuo DIO, ti ha unto d’olio di letizia al di sopra dei tuoi compagni”.
Il lettore superficiale potrebbe intendere queste parole semplicemente come un’affermazione di lode elevata dal salmista; ma quando volgiamo lo sguardo al Nuovo Testamento, troviamo molto di più. Vediamo che è Dio Padre che parla, e si rivolge al Figlio chiamandolo Dio (vedi Ebrei 1: 1-8). Questo nome non fu dato a Cristo quale conseguenza di grandi imprese, ma è Suo per diritto ereditario. Parlando della grandezza e potenza di Cristo, lo scrittore agli ebrei afferma che è reso tanto migliore degli angeli perchè: “è diventato tanto superiore agli angeli, quanto piú eccellente del loro è il nome che egli ha ereditato” {Ebrei 1: 4}. Un figlio acquista sempre per diritto il nome dal padre; e Cristo, quale “Unigenito Figlio di Dio” possiede di diritto lo stesso nome. Quasi sempre un figlio, tanto o poco, è una riproduzione del padre; egli ne possiede, per certi aspetti, le fattezze e le caratteristiche personali; ma non perfettamente perché non vi è riproduzione perfetta nell’umanità. Ma in Dio non c’è imperfezione, nè in alcuna delle Sue opere; e perciò Cristo è “l’impronta della sua essenza” della persona del Padre {Ebrei 1: 3}. In qualità di figlio del Dio vivente, Egli possiede per natura tutti gli attributi della divinità. È vero che ci sono molti figli di Dio; ma Cristo è “l’Unigenito Figlio di Dio”, nel senso in cui mai nessun altro essere lo fu, né mai altro lo potrà diventare. Gli angeli sono figli di Dio, come lo fu Adamo {Giobbe 38: 7; Luca 3: 38} per creazione; i cristiani sono figli di Dio per adozione {Romani 8: 14-15} ma Cristo è figlio di Dio per nascita. [***]
[***] Nota dell’editore: Successivamente, attraverso il volume “La Speranza dell’Uomo” (1898) di Ellen White, gli Avventisti riconobbero il fatto che non vi è mai stato un momento nel passato in cui Gesù non fosse esistito. Gesù, essendo vero Dio, Egli è da sempre esistito insieme al Padre.
Più avanti lo scrittore agli ebrei mostra che Cristo non è stato elevato alla posizione di Figlio di Dio, ma che essa è Sua per diritto. Egli afferma che Mosè fu fedele in tutta la casa dell’Eterno, come servitore, “ma Cristo, come Figlio, lo è sopra la propria casa e la sua casa siamo noi, se riteniamo ferma fino alla fine la franchezza e il vanto della speranza” {Ebrei 3: 6}. Ancora afferma che Cristo è il costruttore della casa {Ebrei 3: 3}. È Lui che edifica il tempio del Signore e ne porta la gloria {Zaccaria 6: 12-13}. Cristo stesso affermò nel modo più enfatico d’essere Dio. Quando il giovane [ricco] venne e gli chiese: “Ora, mentre stava per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro; e inginocchiatosi davanti a lui, gli chiese: «Maestro buono, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». E Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio” {Marco 10: 17-18}. Che cosa voleva intendere Gesù con queste parole? Voleva disconoscere l’epiteto che gli veniva applicato? Voleva intendere che Egli non era assolutamente buono? Era soltanto un atto di modestia nei confronti di sé stesso? Certo che no, perchè Cristo era assolutamente buono. Ai giudei che erano continuamente alla ricerca di un Suo sbaglio per accusarlo, egli disse schiettamente: “Chi di voi mi convince di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?” {Giovanni 8: 46}. In tutta la nazione giudaica non poté essere trovato nessun uomo che Lo avesse mai visto compiere un’azione cattiva o che Lo avesse udito proferire anche solo una parola avente perfino solamente la parvenza di male; e coloro che erano determinati a condannarlo a morte poterono farlo solamente assoldando dei falsi testimoni. Pietro dice: “Egli non commise alcun peccato e non fu trovato alcun inganno nella sua bocca” {1 Pietro 2: 22}. Paolo afferma che Egli “ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui” {2 Corinti 5: 21}. Il salmista dice: “…per proclamare che l’Eterno è giusto; egli è la mia Rocca e non vi è alcun’ingiustizia in lui” {Salmo 92: 15}. Giovanni dice: “E voi sapete che egli è stato manifestato per togliere via i nostri peccati, e in lui non vi è peccato” {1 Giovanni 3: 5}. Cristo non poteva smentire sé stesso, dunque egli non poteva dire che non era buono. Egli è ed era assolutamente buono, la perfezione della bontà. Siccome non vi è nessun buono tranne Dio, e Cristo è buono, ne consegue che Cristo è Dio, ed è quello che ha voluto insegnare al giovane.
Era questo che voleva far capire ai discepoli. Quando Filippo disse a Gesù, “mostraci il Padre e ci basta” Gesù gli rispose: “Da tanto tempo io sono con voi e tu non mi hai ancora conosciuto, Filippo? Chi ha visto me. ha visto il Padre; come mai dici: Mostraci il Padre?” {Giovanni 14: 8-9}. Ed è molto suggestivo come quando disse, “lo e il Padre siamo uno” {Giovanni 10: 30}. È talmente vero che Cristo era Dio, perfino quando era qui tra gli uomini, che quando gli fu chiesto di mostrare il Padre Egli poté solo dire: “guardatemi”. Questo ci riporta alla mente quel passo della Scrittura che afferma che quando il Padre introdusse il Suo unigenito nel mondo disse: “E lo adorino tutti gli angeli di Dio” {Ebrei 1: 6}. Questo onore non gli fu dato quando risplendeva della gloria del Padre prima che il mondo fosse, ma quando nacque come bimbo nella stalla di Betlemme, perfino allora fu dato ordine agli angeli di Dio di adorarlo.
I Giudei non fraintesero gli insegnamenti di Cristo che Lo riguardavano. Quando dichiarò di essere uno col Padre, essi presero delle pietre per lapidarlo; e quando Egli chiese loro per quale delle sue buone opere essi volevano lapidarlo, replicarono: “Noi non ti lapidiamo per nessuna opera buona, ma per bestemmia, e perché tu che sei uomo ti fai Dio” {Giovanni 10: 33}. Se fosse stato quello che essi vedevano, un semplice uomo, le Sue parole sarebbero state una bestemmia; ma Egli era Dio.
L’obiettivo che aveva il Cristo, venendo sulla terra, era di rivelare Dio agli uomini, affinché potessero venire a Lui. Perciò l’apostolo Paolo afferma che “poiché Dio ha riconciliato il mondo con sè in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione” {2 Corinti 5: 19}; e in Giovanni leggiamo che la Parola, che era Dio, fu “fatta carne” {Giovanni 1: 1, 14}. Riferito a quanto sopra scritto leggiamo, “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, e colui che lo ha fatto conoscere” {Giovanni 1: 18}.
Nota l’espressione “unigenito Figlio di Dio, che è nel seno del Padre”. Egli ha lì la Sua dimora ed ha lì la Sua parte di divinità, sicuramente sulla terra come lo era nel cielo. L’uso della coniugazione del verbo al tempo presente implica un’esistenza continua. Presenta la stessa idea contenuta in ciò che Gesù disse ai giudei {Giovanni 5: 58} “Prima che Abramo fosse nato, io sono”. E questo dimostra nuovamente la Sua identità con colui che apparve a Mosè nel pruno ardente, il quale dichiarò di chiamarsi: “io sono colui che sono” {Esodo 3: 14}.
Infine, abbiamo le parole ispirate dell’apostolo Paolo che a proposito di Cristo afferma che “è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza” {Colossesi 1: 19}. Quale sia la pienezza che abita in Cristo lo apprenderemo dal prossimo capitolo dove si afferma che “in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” {Colossesi 2: 9}. Questa è la testimonianza più assoluta ed inequivocabile del fatto che Cristo possiede per natura tutti gli attributi della divinità. L’evidenza della divinità di Cristo apparirà distintamente procedendo nel considerare Cristo come creatore.
Immediatamente dopo i testi sopra citati, i quali dicono che Cristo, la Parola è Dio, leggiamo che: “Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta” {Giovanni 1: 3}. Nessun commento può rendere questo testo più chiaro di quello che è; passiamo allora ad analizzare le parole di {Ebrei 1: 1-4}: “Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, che Egli ha costituito erede di tutte le cose, per mezzo del quale ha anche fatto l’universo. Egli, che è lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver Egli stesso compiuto l’espiazione dei nostri peccati, si è posto a sedere alla destra della Maestà nell’alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che Egli ha ereditato”.
Molta più enfasi è contenuta nelle parole di Paolo ai Colossesi. Parlando di Cristo come di Colui nel quale possiamo avere la redenzione, egli lo descrive come Colui che è “l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito d’ogni creatura, poiché in Lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima d’ogni cosa e tutte le cose sussistono in Lui” {Colossesi 1: 15-17}.
Questo testo dovrebbe essere studiato e meditato molto attentamente. Non lascia niente nell’universo che Cristo non abbia creato. Egli fece tutto nel cielo e sulla terra; fece tutto ciò che può essere visto, e tutto ciò che non può essere visto; i troni e i regni, i principati e le potenze nel cielo, tutto deve a Lui la propria esistenza. Così, come Egli è prima di tutte le cose, ed è il loro creatore, così tramite di Lui tutte le cose sussistono. Tutto ciò equivale a quello che è detto in {Ebrei 1: 3}, cioè che Egli ritiene ogni cosa per la potenza della Sua parola. È per una parola che i cieli furono formati; e quella stessa parola li mantiene al loro posto e li preserva dalla distruzione. Da questo contesto è impossibile omettere {Isaia 40: 25-26}: “«A chi dunque mi vorreste assomigliare, perchè gli sia pari?»”, dice il Santo. «Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato queste cose? Colui che fa uscire il loro esercito in numero e le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo vigore e la potenza della sua forza, nessuna manca»”. Ancora meglio rende la traduzione giudaica, “Da Lui, che è grande in potenza, e forte in potere, non ne manca una”. Che sia Cristo il Santo che chiama i corpi celesti per nome e li mantiene al loro posto, è evidente da altre porzioni dello stesso capitolo. Egli è Colui davanti al quale fu detto “Preparate la via del Signore, aprite nel deserto una via per il nostro Dio”. Egli è quello che viene con mano potente, portando il premio con sé; ed è quello che, come il pastore, raduna il gregge, e porta gli agnelli sul suo seno.
È sufficiente menzionare ancora un solo testo che riguarda Cristo come creatore. È la testimonianza del Padre stesso. Nel primo capitolo degli Ebrei leggiamo che Dio ci ha parlato tramite Suo Figlio; che Egli disse di Lui, “Tutti gli angeli di Dio lo adorino”; che degli angeli Egli disse, “dei suoi angeli egli fa dei venti e dei suoi ministri fiamme di fuoco”, ma che del Figlio dice: «Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo, e lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia»; e Dio dice inoltre: «Tu, o Signore, nel principio hai fondato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani»” {Ebrei 1: 8-10}.
Qui troviamo il Padre che s’indirizza al Figlio come Dio, dicendo di Lui, tu hai fondato la terra, e i cieli sono opera delle Tue mani. Se il Padre stesso dà quest’onore al Figlio, che cos’è l’uomo per rifiutarlo? Con questo possiamo benissimo lasciare diretta testimonianza riguardante la divinità di Cristo, e il fatto che Egli è il creatore di tutte le cose.
A questo punto si rende necessaria una parola di cautela. Non immaginiamoci di poter esaltare Cristo a spese del Padre, o addirittura ignorando il Padre. Questo non può essere perchè il loro intento è uno. Onoriamo il Padre nell’onorare il Figlio. Dobbiamo tenere a mente le parole di Paolo che dice: “Per noi c’è un solo Dio, il Padre dal quale sono tutte le cose e noi in lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose, e noi esistiamo per mezzo di lui” {1 Corinti 8: 6}. Come affermavamo già, fu tramite di Lui che Dio fece i mondi. Ogni cosa procede in via finale da Dio Padre; perfino Cristo stesso procedette e venne dal Padre; ma è piaciuto al Padre che in Lui abitasse ogni pienezza, e che Egli fosse il Suo diretto, immediato agente in ogni atto della creazione. Lo scopo della nostra indagine è quello di rafforzare la giusta posizione d’eguaglianza di Cristo col Padre, affinché la Sua potenza redentrice possa essere maggiormente apprezzata.
Prima di passare ad alcune delle lezioni pratiche che si possono apprendere da queste verità, dobbiamo soffermarci ancora qualche istante su un’opinione ancora molto diffusa tra coloro che nemmeno lontanamente intendono disonorare Cristo, ma che pensandola in questo modo, rigettano, di fatto, la Sua Divinità. Questa corrente di pensiero si riconduce all’idea che Cristo sia un essere creato, e che fu elevato fino alla Sua posizione attuale solamente grazie al beneplacito di Dio. Sicuramente nessuno che la pensi in questo modo potrà mai avere la giusta cognizione della magnifica posizione che Egli realmente occupa.
Il modo di vedere in questione è fondato sull’errata interpretazione di un singolo versetto, che si trova in {Apocalisse 3: 14}: “E all’angelo della chiesa in Laodicea scrivi: queste cose dice l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio”. L’errata interpretazione di questo versetto conduce ad affermare che Cristo è il primo essere che Dio ha creato; che l’opera della creazione iniziò con Lui. Questo modo di vedere, però, contrasta con quelle Scritture che dichiarano che fu Cristo stesso che creò tutte le cose. Sostenendo che Dio cominciò il Suo lavoro di creazione formando Cristo, significa lasciare il nostro Salvatore completamente al di fuori dell’opera creatrice.
Il vocabolo tradotto in “principio” è “Arche”, che significa sia “testa” che “capo”. Questa particella la ritroviamo nel nome del regnante greco “Archon”, in “Arcivescovo”, e nella parola “Arcangelo”. Poniamo la nostra attenzione su quest’ultimo vocabolo. Cristo è l’Arcangelo (vedi Giuda 1: 9; 1 Tessalonicesi 4: 16; Giovanni 5: 28-29; Daniele 10: 21). Questo non significa che Egli è il primo degli angeli, perché Egli non è un angelo, ma è al di sopra di loro {Ebrei 1: 4}. Significa che Egli è il capo o il principe degli angeli, proprio come l’arcivescovo è il capo dei vescovi. Cristo è il comandante degli angeli (vedi Apocalisse 19: 11- 14). Egli creò gli angeli {Colossesi 1: 16}. Dunque, l’affermazione che Egli è il principio o la testa della creazione di Dio, significa che in Lui la creazione ha avuto il suo inizio; e che, come Lui stesso asserisce, è l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo {Apocalisse 21: 6; Apocalisse 22: 13}. Egli è la sorgente dalla quale ogni cosa trae la sua origine.
Non possiamo immaginare nemmeno lontanamente che Cristo sia una creatura, anche se Paolo lo chiama in {Colossesi 1: 15} “il primogenito d’ogni creatura”, ma nel versetto immediatamente successivo non esita un istante a mostrarcelo come Creatore e non come creatura. “Poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” {Colossesi 1: 16}. Se Egli creò tutto ciò che mai è stato creato, ed esiste prima di ogni essere creato, è evidente che Lui stesso non figura tra gli esseri creati. Egli è al di sopra di tutta la creazione, non è parte d’essa.
La Scrittura dichiara che Cristo è “l’Unigenito Figlio di Dio”. Egli è generato, non creato. Come e quando questo avvenne, non c’è dato d’indagare, né, se ci fosse rivelato, le nostre menti limitate lo potrebbero capire. Il profeta Michea ci dice tutto quello che possiamo sapere di Lui con le seguenti parole: “Ma tu, o Betlemme Efratah, anche se sei piccola fra le migliaia di Giuda, da te uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini sono dai tempi antichi, dai giorni eterni” {Michea 5: 2}. Ci fu un tempo nel quale Cristo procedette e venne da Dio, dal seno del Padre {Giovanni 8: 42; Giovanni 1: 18}, ma quel tempo è così lontano nel tempo dell’eternità che per una mente limitata è praticamente come se fosse senza un principio. [***]
[***] Nota dell’editore: Successivamente, attraverso il volume “La Speranza dell’Uomo” (1898) di Ellen White, gli Avventisti riconobbero il fatto che non vi è mai stato un momento nel passato in cui Gesù non fosse esistito. Gesù, essendo vero Dio, Egli è da sempre esistito insieme al Padre.
Il punto è che Cristo è un figlio generato, non un soggetto creato. Egli ha per eredità un nome più eccellente di quello degli angeli; Egli è “un Figlio sopra la sua casa” {Ebrei 1: 4; Ebrei 3: 6}. Siccome Egli è l’Unigenito Figlio di Dio, Egli è della stessa sostanza e natura di Dio, e possiede per nascita tutti gli attributi di Dio; perchè al Padre è piaciuto che Suo figlio fosse l’espressa immagine della Sua persona, lo splendore della Sua gloria e ripieno della pienezza della divinità. Egli ha “vita in sé stesso”, possiede l’immortalità per diritto, e può conferirla agli altri. La vita è così presente in Lui che non gli può essere tolta; ma, avendola deposta volontariamente, la può riprendere. Queste sono le Sue parole: “Per questo mi ama il Padre, perchè io depongo la mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me stesso; io ho il potere di deporla e il potere di prenderla di nuovo; quest’è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” {Giovanni 10: 17-18}.
Se qualcuno vuole rispolverare il vecchio cavillo di come Cristo può essere immortale eppure morire, possiamo solo dire che non lo sappiamo. Non abbiamo la pretesa di dominare l’infinità. Non possiamo capire come Cristo poté essere Dio nel principio, risplendere della stessa gloria col Padre, prima che il mondo fosse, e poter nascere come bimbo a Betlemme. Il mistero della crocifissione e risurrezione sono lo stesso mistero dell’incarnazione. Non possiamo capire come Cristo poté essere Dio e divenire uomo per i nostri errori. Non possiamo capire come poté creare il mondo dal nulla, nè come poté risuscitare dai morti, né come ora è Colui che opera col suo spirito nei nostri cuori; noi crediamo queste cose. Sarebbe sufficiente per noi accettare queste cose così come Dio le ha rivelate, senza inciampare su questioni che nemmeno le menti degli angeli possono afferrare. Deliziamoci nella gloria e potenza infinite che le Scritture dichiarano appartenere a Cristo, e non stanchiamo le nostre menti finite nel vano tentativo di spiegare l’infinito. In conclusione, riconosciamo l’unione tra il Padre e il Figlio dal fatto che entrambi hanno lo stesso spirito. Paolo, dopo aver detto che coloro che sono nella carne non possono piacere a Dio, continua: “Se lo Spirito di Dio abita in voi, non siete più nella carne ma nello Spirito. Ma se uno non ha lo Spirito di Cristo, non appartiene a lui” {Romani 8: 9}. Vediamo che lo Spirito Santo è sia lo spirito di Dio sia quello di Cristo: Cristo “è nel seno del Padre”; essendo per natura della stessa sostanza di Dio, ed avendo vita in sé stesso, è propriamente chiamato Jehovah, colui che esiste, ed è scritto in {Geremia 23: 5-6} dove si legge che “«Ecco, i giorni vengono», dice l’Eterno «nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da re, prospererà, ed eserciterà il giudizio e la giustizia ne paese. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele dimorerà al sicuro. Questo sarà il nome con cui sarà chiamato: «L’Eterno [Jehovah] nostra giustizia»”.
Che nessuno di coloro che onorano Cristo gli diano meno onore di quello che dà al Padre, perchè questo sarebbe disonorarlo; ma che tutti, con gli angeli del cielo, adorino il Figlio, non avendo timore di onorare una creatura servile anziché il creatore.
Ed ora, finché la questione della divinità di Cristo è fresca nelle nostre menti, facciamo una pausa e consideriamo la meravigliosa storia della Sua umiliazione.
“E la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra di noi” {Giovanni 1: 14}
Non ci sono parole che possono mostrarci più chiaramente che Cristo fu nello stesso tempo Dio e uomo. In origine solamente divina, prese su di Sé la natura umana, e passò tra gli uomini come un comune mortale, eccezione fatta per quei momenti nei quali la Sua divinità traspariva, e cioé quando purificò il tempio o quando le Sue parole infuocate di semplice verità costrinsero perfino i Suoi nemici a confessare che “mai nessun uomo parlo come quest’uomo”.
L’umiliazione che Cristo prese volontariamente su di Sé viene espressa da Paolo, nel migliore dei modi, in Filippesi: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l’essere quale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell’esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce” {Filippesi 2: 5-8}.
Il concetto è questo, nonostante Cristo fosse in forma di Dio perchè era lo “splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza” {Ebrei 1: 3} e
avesse tutti gli attributi di Dio, perchè era il re dell’universo e colui del quale tutto il cielo si delizia, ritenne che nessuna di queste cose fosse da desiderare fino a che l’uomo era perduto e senza forza. Non poteva gioire della Sua gloria mentre l’uomo era diseredato e senza speranza. Così, Egli svuotò Se stesso, spogliandoci di tutte le Sue ricchezze e della Sua gloria e prese su di Sé la natura dell’uomo affinché potesse redimerlo. In questo modo possiamo conciliare la verità dell’unità di Cristo col Padre con il versetto “Mio Padre è più grande di me”.
Per noi è impossibile capire come Cristo poté, in qualità di Dio, umiliare Sé stesso fino alla morte della croce, ed è più dannoso che inutile speculare su questo. Tutto quello che possiamo fare è accettare i fatti così come sono presentati nella Bibbia. Se il lettore trovasse difficoltà nell’armonizzare alcuni versetti della Scrittura riguardanti la natura di Cristo, ricordategli che quest’argomento è impossibile da spiegare con termini accessibili a delle menti finite che non sono in grado di afferrare l’infinito. Così, come il raduno dei Gentili nel gregge d’Israele è contro natura, allo stesso modo la maggior parte dei piani divini è, un enorme paradosso per la comprensione umana.
Citeremo altre Scritture che ci avvicineranno alla realtà dell’umanità di Cristo e quello che essa significa per noi. Abbiamo già letto che “La Parola fu fatta carne”, ed ora leggeremo quello che Paolo dice a proposito della carne: “Infatti ciò che era impossibile alla legge, in quanto era senza forza a motivo della carne, Dio, mandando il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carme, affinché la giustizia della legge si adempia in noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito” {Romani 8: 3-4}.
È sufficiente un piccolo ragionamento per dimostrare a tutti che se Cristo prese su di Sé le sembianze dell’uomo affinché potesse redimerlo, doveva essere fatto del tutto simile ad un peccatore, perchè è un peccatore che Egli è venuto a redimere. La morte non avrebbe avuto potere su di un uomo senza peccato, come fu Adamo in Eden; e non avrebbe potuto avere nessun potere su Cristo, se il Signore non avesse riversato su di Lui tutte le nostre iniquità. C’è dell’altro, il fatto che Cristo non prese su di Sé la natura di un essere umano senza peccato, ma quella dell’uomo peccatore, il che vale a dire che ha assunto una natura con tutte le debolezze e le tendenze al peccato cui è soggetta la nostra natura umana; questo è dimostrato anche dal versetto che dice che Egli “Fu fatto dal seme di Davide secondo la care”. Davide ebbe in sé tutte le passioni della natura umana. Egli dice di se stesso: “Ecco, io sono stato formato nell’iniquità, e mia madre mi ha concepito nel peccato” {Salmi 51: 5}.
Il seguente versetto nel libro degli Ebrei è molto chiaro su questo punto: “Infatti egli non si prende cura [“non prende la natura”, KJV] degli angeli, ma si prende cura [“ma prende la natura”, KJV] della progenie d’Abrahamo. Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perchè potesse essere misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare ‘espiazione dei peccati del popolo. Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 16-18).
Se Egli fu fatto in ogni cosa simile ai Suoi fratelli, allora ne deve aver sofferto tutte le infermità, ed essere stato soggetto a tutte le tentazioni. Sarà sufficiente citare altri due testi per evidenziare bene questo argomento. Citeremo prima {2 Corinti 5: 21}: “Poiché egli ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché potessimo diventare giustizia di Dio in lui”.
Questo è molto più forte del versetto che dice che Egli fu fatto “somigliante alla carne di peccato”. “Egli fu fatto essere peccato”. È lo stesso mistero di come il Figlio di Dio potesse morire.
L’Agnello di Dio senza macchia, che non conobbe peccato, fu fatto essere peccato. Era senza peccato, ed ora non solo viene annoverato tra i peccatori, ma ha addirittura preso su di Sé la natura del peccato. Egli fu fatto essere peccato affinché noi potessimo essere fatti giustizia. Oltre a questo Paolo dice ai Galati che: “Quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge, perchè riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione” {Galati 4: 4-5}.
“Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 18}. “Infatti, noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia al tempo opportuno” {Ebrei 4: 15-16}.
Un ulteriore punto e poi potremo apprendere l’intera lezione dal fatto che “la Parola fu fatta carne, e abitò in mezzo a noi”. Com’è successo che Cristo abbia potuto “avere compassione verso gli ignoranti ed erranti {Ebrei 5: 2} e allo stesso tempo non conoscere peccato?
Qualcuno potrebbe pensare, leggendo questo scritto, che stiamo disprezzando il carattere di Gesù, abbassandolo al livello di un uomo peccatore. Al contrario, stiamo semplicemente esaltando la potenza divina del nostro benedetto Salvatore, che discese volontariamente al livello dell’uomo peccatore affinché potesse esaltarlo con la Sua immacolata purezza, che Egli mantenne anche nelle circostanze più avverse. La Sua umanità velava solamente la natura divina attraverso la quale Egli era inseparabilmente unito con l’invisibile Dio; ed era inoltre abile nel resistere con successo alle debolezze della carne. La Sua vita fu tutta una lotta. La carne, mossa dal nemico di tutte le giustizie, tendeva al peccato, mentre la Sua natura divina non accarezzò nemmeno per un istante alcun desiderio malvagio, nè vacillò minimamente la Sua potenza divina. Avendo sofferto nella carne tutto ciò che era possibile per l’uomo di soffrire, ritornò al trono del Padre senza macchia come quando lasciò le corti della gloria. Quando fu nella tomba, sotto il potere della morte, “era impossibile che ne potesse essere trattenuto”, perchè Egli “non conobbe peccato.”
Ma qualcuno dirà: “Non trovo alcun conforto in tutto questo per me”. Sicuramente Egli è un esempio, ma non posso seguirlo, infatti, io non ho il potere che ebbe Cristo. Egli fu Dio anche mentre era su questa terra; io sono solamente un uomo. Si, è vero, ma tu puoi avere lo stesso potere che Egli ebbe solo se lo vuoi. Egli poté essere “compassionevole verso i peccatori ignoranti” e tuttavia “non conoscere peccato”, perchè la potenza divina dimorava costantemente in Lui. Ascolta dalla Parola ispirata dell’apostolo Paolo e impara quale privilegio abbiamo: “Per questa ragione, io piego le mie ginocchia davanti al Padre del Signor nostro Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia nei cieli e sulla terra, perchè vi dia secondo le ricchezze della sua gloria, di essere fortificati con potenza per mezzo del suo Spirito nell’uomo interiore, perchè Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede, affinché, radicati e fondati nell’amore, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, la profondità e l’altezza, e conoscere l’amore di Cristo che sopravanza ogni conoscenza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio” {Efesi 3: 14-19}.
Chi può chiedere di più? Che Cristo, nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, possa dimorare nei nostri cuori affinché possiamo essere riempiti di tutta la pienezza di Dio. Che meravigliosa promessa! Egli è “provato dal sentimento delle nostre infermità”. Vale a dire che ha sofferto tutto ciò che è relativo alla carme peccaminosa, conosce tutto a questo proposito, ed Egli s’identifica cosi pienamente con i Suoi figli che tutto ciò che li opprime desta in Lui la stessa impressione; ed è per questo motivo che conosce quanta forza è necessaria per resistere. Se noi desideriamo sinceramente rinnegare le “cattiverie e lussurie mondane”, Egli è abile ed ansioso di donarci forza “eccessivamente abbondante, al di sopra di quanto possiamo chiedere o pensare”. Tutta la potenza che abitò nella natura di Cristo, potrà abitare in noi per grazia, perchè Egli ce la dispenserà gratuitamente.
Permettete alle anime preoccupate, deboli ed oppresse dal peccato di riprendere coraggio. Lasciatele venire “con piena fiducia al trono della grazia”, dove sono sicure di trovare soccorso e grazia nel momento del bisogno, perchè lo stesso è successo al nostro Salvatore.
Egli è “provato dal sentimento delle nostre infermità”. Se il fatto fosse che Egli soffrì solamente mille e ottocento anni fa, potremmo avere il timore che Egli abbia dimenticato alcune delle nostre infermità; no, la tentazione che veramente ti opprime, coinvolge anche Lui. Le Sue ferite sono sempre fresche ed Egli vive sempre e solamente per intercedere in tuo favore.
Che meravigliose possibilità ci sono per iI cristiano, a quali altezze di santità egli può mirare! Non importa che Satana possa muovergli contro guerra, non importa quanti assalti debba subire dove la carne è più debole: un cristiano può dimorare all’ombra dell’Altissimo ed essere riempito della pienezza della forza di Dio. Colui che è più forte di Satana, può dimorare continuamente nel tuo cuore, e così, guardando agli assalti di Satana come da una possente fortezza, puoi dire; “io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” {Filippesi 4: 13}.
Non è solamente come una bella teoria o un mero dogma, che noi dovremmo considerare Cristo quale Dio e Creatore. Ogni dottrina della Bibbia è per un nostro beneficio pratico e dovrebbe essere studiata con questo scopo. Vediamo per prima quale relazione ha questa dottrina con il comandamento centrale della legge di Dio. In {Genesi 2: 1-3}, a chiusura della creazione, troviamo le seguenti parole: “Cosi furono terminati i cieli e la terra, e tutto il loro esercito. Pertanto, il settimo giorno, Dio terminò l’opera che aveva fatto, e nel settimo giorno si riposò da tutta l’opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perchè in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creato e fatto”. La traduzione giudaica rende questo testo più letterale: “Pertanto Dio finì il cielo e la terra, e tutto il loro esercito. E Dio finì nel settimo giorno il lavoro che Egli fece…”. La stessa cosa la troviamo nel quarto comandamento, in {Esodo 20: 8-11}.
In questo troviamo ciò che è naturale trovare, ossia che lo stesso Essere che creò, si riposò. Colui che lavorò sei giorni per creare la terra, si riposò nel settimo, lo benedì e lo santificò. Abbiamo altresì imparato che Dio, il Padre, creò i mondi tramite Suo Figlio Gesù Cristo, e che Cristo creò tutto quello che può esistere. La conclusione inevitabile è che Cristo si riposò in quel primo settimo giorno, alla conclusione dei sei giorni della creazione, e lo benedisse e santificò. Per questa ragione il settimo giorno – il Sabato – è enfaticamente chiamato “il Giorno del Signore”. Quando ai cavillosi farisei Gesù disse: “Perché il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” {Matteo 12: 8}, Egli dichiarò la Sua signoria sullo stesso giorno che essi, così scrupolosamente, osservavano nella forma; e lo fece con parole tali da dimostrare che Egli riteneva questo titolo come prova della Sua autorità; a dimostrazione del fatto che Egli era più grande del tempio. Quindi, il settimo giorno è il memoriale divino della creazione. Esso è il giorno più onorato proprio perché la Sua missione speciale è quella di riportare alla mente la potenza creatrice di Dio, ed è la gran prova per l’uomo della Sua divinità. Così, quando Cristo affermò che il Figlio dell’Uomo è Signore anche del Sabato, rivendicò un gran diritto divino, non minore di quello di essere il Creatore, di cui questo giorno è appunto il memoriale.
Che cosa possiamo dire, dunque, dell’affermazione spesso fatta, e cioè che Cristo cambiò il giorno di Sabato da un giorno che commemora la creazione in uno che non ha tale significato? Semplicemente questo, che per Cristo il cambiare o l’abolire il Sabato significherebbe distruggere tutto quello che richiama alla memoria la Sua divinità. Se Cristo avesse abolito il Sabato, non avrebbe fatto i Suoi interessi, ma avrebbe agito contro Sé stesso: e un regno diviso non può sussistere. Ma Cristo “non può rinnegare Sé stesso”, e di conseguenza non cambia uno iota di quello che Egli stesso ha approvato e che, testimoniando della Sua divinità, Lo rende degno d’onore sopra tutti gli déi pagani. Sarebbe stato impossibile per Cristo cambiare il sabato così come sarebbe impossibile cambiare il fatto che
Egli creò tutte le cose in sei giorni, e si riposò nel settimo.
Ancora, le dichiarazioni così spesso ripetute, che il Signore è Creatore, sono da intendere come sorgente di forza. Notiamo che creazione e redenzione sono connesse nel primo capitolo di Colossesi. Per avere chiaro questo punto, leggeremo {Colossesi 1: 9- 19}: “Perciò anche noi, dal giorno in cui abbiamo sentito questo, non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che siate ripieni della conoscenza della sua volontà, in ogni sapienza ed intelligenza spirituale, perché camminiate in modo degno del Signore, per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio, fortificato con ogni forza, secondo la sua gloriosa potenza, per ogni perseveranza e pazienza, con gioia, rendendo grazie a Dio e Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Poiché egli ci ha riscossi dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio, in cui abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue e il perdono dei peccati. Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito d’ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima d’ogni cosa e tutte le cose esistono in lui. Egli stesso è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli è il principio, il primogenito dai morti, affinché abbia il primato in ogni cosa, perché è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza”.
Non è un caso che la magnifica dichiarazione riguardante Cristo come Creatore sia connessa con l’enunciazione che in Lui noi abbiamo la redenzione. No, quando l’apostolo ci fa conoscere il fatto che noi possiamo essere “fortificati con ogni forza, secondo la sua gloriosa potenza”, ci fa sapere qual è questa gloriosa potenza. Quando ci parla a proposito della liberazione dalla potenza delle tenebre, ci fa sapere qualcosa della potenza del Liberatore. È per la nostra consolazione che c’è detto che il capo della chiesa è il Creatore d’ogni cosa. Ci viene detto che Egli sostiene tutte le cose con la parola della Sua potenza {Ebrei 1: 3}, affinché possiamo dimorare nella sicurezza che la mano che sostiene la natura
guarderà bene i Suoi figli.
Nota bene il parallelismo con {Isala 40: 26}. Il capitolo ci presenta Cristo in tutta la Sua intelligenza e potenza nel chiamare tutto l’esercito celeste per nome, e nel mantenerlo al Suo posto per la grandezza del Suo vigore e la potenza della sua forza; inoltre chiede: “Perché dici, o Giacobbe, e tu, Israele, dichiari: «La mia via è nascosta all’Eterno e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?». Non lo sai forse, non l’hai udito? Il Dio d’eternità, l’Eterno, il creatore dei confini della terra, non si affatica e non si stanca, la sua intelligenza è imperscutabile”. Ma al contrario, “Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore allo spossato”.
In pratica il Suo potere è quello di creare tutto dal nulla; cosicché Egli è in grado di operare prodigi attraverso coloro che non hanno forza. Egli può trarre forza dalla debolezza. Di conseguenza, tutto ciò che serve a riportarci alla mente la potenza creatrice di Cristo, deve mirare a rinnovarci forza spirituale e coraggio. Questo è proprio lo scopo del Sabato. Leggi il {Salmo 92}, intitolato “Cantico per il giorno del sabato”. I primi quattro versetti sono i seguenti: “Bello celebrare l’Eterno, e cantare le lodi al tuo nome, o Altissimo; proclamare al mattino la tua benignità e la tua fedeltà ogni notte, sull’arpa a dieci corde, sulla lira e con la melodia della cetra. Poiché tu mi hai rallegrato con ciò che hai fatto, io esulto per le opere delle tue mani”.
Che relazione c’è con il sabato? Questa: il Sabato è il memoriale della creazione. Dice il Signore: “Inoltre diedi loro i miei sabati, affinché fossero un segno fra me e loro, perché conoscessero che io sono l’Eterno che li santifico” {Ezechiele 20: 12}. Il salmista prese il Sabato per quello che Dio vorrebbe fosse preso, cioè un giorno nel quale meditare sulla meravigliosa potenza e sulla bontà di Dio profusa in esso. Inoltre, meditando su questo, comprese che il Dio che veste i gigli di una gloria che supera quella di Salomone, si prende molta più cura delle sue creature intelligenti; e ammirando i cieli, che dimostrano la potenza e la gloria di Dio, e comprendendo che furono portate all’esistenza dal nulla, si rafforzò nel salmista il sentimento che questa stessa potenza potesse lavorare in lui per liberarlo dalle infermità umane. Dunque, egli era felice, e si rallegrava nelle opere della mano di Dio. La conoscenza della potenza di Dio, pervenutagli dalla contemplazione della creazione, lo riempì di coraggio e ancora di più al pensiero che la stessa potenza era a sua disposizione; aggrappandosi a questa potenza, per fede, egli vinse tramite essa. Questo è lo scopo del Sabato: portare all’uomo la sapienza salvifica di Dio.
L’argomento, reso in breve, è il seguente:
1° La fede in Dio è generata dalla conoscenza della Sua potenza; disconoscerlo significa non credere che sia capace di mantenere le Sue promesse; la nostra fede in Lui deve essere proporzionata alla nostra reale conoscenza del Suo potere.
2° Una meditazione intelligente della creazione di Dio ci dà un giusto concetto della Sua potenza; perché la Sua eterna potenza e divinità possono essere capite dalle cose che Egli ha fatte {Romani 1: 20}. È la fede che dà la vittoria {1 Giovanni 5: 4}; dunque, visto che la fede viene dalla conoscenza della potenza di Dio, dalla Sua parola e dalle cose che Egli ha fatte, noi vinciamo, o trionfiamo attraverso l’opera delle Sue mani. Il Sabato, di conseguenza, quale memoriale della creazione è, se giustamente osservato, una sorgente di gran forza per il cristiano nella sua battaglia.
“Inoltre diedi loro i miei sabati, affinché fossero un segno fra me e loro, perché conoscessero che io sono l’Eterno che li santifico” {Ezechiele 20: 12}. Visto che la nostra santificazione è la volontà di Dio, {1 Tessalonicesi 4: 3; 1 Tessalonicesi 5: 23-24}, apprendiamo, dal giusto significato del Sabato, qual è quella potenza di Dio che viene impiegata per la nostra santificazione. La stessa potenza, che fu impiegata per creare i mondi, è impiegata anche per la santificazione di coloro che si abbandonano alla volontà di Dio. Di sicuro, per le anime sincere, aggrapparsi in maniera completa a questi pensieri porterà gioia e conforto. Alla luce di tutto ciò possiamo apprezzare lo scritto di {lsaia 58: 13-14}: “Se tu trattieni il piede dal violare il sabato, dal fare i tuoi affari nel mio santo giorno, se chiami il sabato delizia, il giorno santo dell’Eterno, degno d’onore, se l’onori astenendoti dai tuoi viaggi, dallo sbrigare i tuoi affari e dal parlare dei tuoi problemi, allora troverai il tuo diletto nell’Eterno, e io ti farò cavalcare sulle alture della terra e ti darò da mangiare l’eredità di Giacobbe tuo padre, poiché la bocca dell’Eterno ha parlato”.
Osservando il Sabato secondo il piano di Dio quale memoriale della Sua potenza creatrice e ricordandoci della potenza divina impiegata per la salvezza del Suo popolo, l’anima, trionfando nell’opera delle Sue mani, si rallegrerà nel Signore. Il Sabato è dunque il gran fulcro della leva della fede, che innalza l’anima fino alle altezze del trono di Dio affinché abbia comunione con Lui.
Per riassumere la questione in poche parole, basta dire quanto segue: “La sua eterna potenza e divinità sono rivelate nella creazione” {Romani 1: 20}. È la Sua capacità di creare che ci dà la misura del potere di Dio. Ma il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza {Romani 1: 16}. L’Evangelo non ci insegna altro che la potenza impiegata per portare all’esistenza i mondi è ora adoperata per la salvezza degli uomini. È lo stesso potere in entrambi i casi.
Alla luce di questa verità non c’è posto per la controversia se la creazione sia più grande della redenzione, perché la redenzione è creazione {2 Corinzi 5: 17; Efesi 4: 24}. La potenza della redenzione è il potere della creazione; il potere di Dio per la salvezza è quello che gli permette di prendere la nullità umana e renderla per l’eternità degna dell’onore della gloria e della grazia di Dio. “Perciò anche quelli che soffrono secondo la volontà di Dio, raccomandino a lui le proprie anime, come al fedele Creatore, facendo il bene” {1 Pietro 4: 19}.
“Poiché l’Eterno è il nostro giudice, l’Eterno è il nostro legislatore, l’Eterno è il nostro re; egli ci salverà” {Isaia 33: 22}.
Consideriamo ora un altro aspetto del carattere di Cristo. Esso è una conseguenza naturale del fatto che egli è il Creatore, e colui che crea deve sicuramente avere anche autorità di guida e di controllo.
A proposito di Cristo leggiamo in {Giovanni 5: 22-23} che “il Padre non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre; chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato”. Essendo Cristo la manifestazione del Padre nella creazione, di conseguenza, Lo è anche nel dare e nell’adempiere la legge. Per dimostrarlo saranno sufficienti alcuni testi della Scrittura.
In {Numeri 21: 4-6} abbiamo una registrazione parziale di un incidente capitato quando i figli d’lsraele erano nel deserto. Leggiamolo: “Poi i figli d’lsraele partirono dal monte Hor, dirigendosi verso il Mar Rosso, per fare il giro del paese d’Edom, e il popolo si scoraggiò a causa del viaggio. Il popolo quindi parlò contro Dio e contro Mosè, dicendo: «Perché ci avete fatto uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo miserabile cibo». Allora l’Eterno mandò fra il popolo dei serpenti ardenti i quali mordevano la gente, e molti Israeliti morirono”. Il popolo parlò contro Dio e contro Mosè dicendo, Perché ci avete portato nel deserto? Essi incolparono i loro condottieri. Questo è il motivo per cui furono distrutti dai serpenti.
Leggiamo adesso le parole di Paolo a proposito dello stesso episodio: “E non tentiamo Cristo, come alcuni di loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti” {1 Corinti 10: 9}. Che cosa prova questo versetto? Che il Condottiero contro il quale mormoravano era Cristo. Tutto ciò è ulteriormente dimostrato dal fatto che quando Mosè decise di seguire la sorte d’Israele, rifiutando di essere chiamato figlio della figlia del Faraone, “stimò il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto” {Ebrei 11: 26}. Leggiamo inoltre {1 Corinti 10: 4}, dove Paolo dice che i padri “bevvero tutti la medesima bevanda spirituale, perché bevevano dalla roccia spirituale che li seguiva; or quella roccia era Cristo”. Quindi il condottiero che trasse Israele fuori dell’Egitto, era Cristo.
Lo stesso fatto è reso ancor più chiaro nel terzo capitolo d’Ebrei. C’è detto di considerare l’Apostolo e il Sommo Sacerdote della nostra professione di fede, Gesù Cristo, il quale fu fedele in tutta la sua casa non in qualità di servo, ma bensì in quella di Figlio in casa sua {Ebrei 3: 1-6}. Ci viene detto inoltre che la Sua casa siamo noi se riteniamo fino alla fine la franchezza e il vanto della speranza. Siamo inoltre esortati dallo Spirito Santo ad ascoltare la sua voce e a non indurire i nostri cuori come fecero i padri nel deserto. “Noi, infatti, siamo divenuti partecipi di Cristo, a condizione che riteniamo ferma fino alla fine la fiducia che avevamo al principio, mentre ci viene detto: «Oggi, se udite la sua [di Cristo] voce, non indurite i vostri cuori come nella provocazione». Chi furono, infatti, quelli che avendola udita, lo provocarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto per mezzo di Mosè? Ora chi furono coloro coi quali si sdegnò [Cristo] per quarant’anni? Non furono coloro che peccarono, i cui cadaveri caddero nel deserto?” {Ebrei 3: 14-17}. Di nuovo, Cristo è messo in evidenza quale Condottiero e comandante d’Israele nei suoi quaranta anni di soggiorno nel deserto.
La stessa cosa è riportata in {Giosuè 5: 13-15}, dove è scritto che Egli è l’uomo che Giosuè vide a Gerico, con la spada sguainata nella mano. Alla domanda di Giosuè, “«Sei tu per noi o per i nostri nemici?»” rispose: “«No, io sono il capo dell’esercito dell’Eterno; arrivo in questo momento»”. Dunque, nessuno troverà da ridire sul fatto che il vero condottiero d’Israele, sebbene invisibile, sia Cristo. Mosè, il condottiero visibile d’Israele “resistette alla vista di Colui che fu invisibile”. Fu Cristo che ordinò a Mosè di andare a liberare il suo popolo.
Leggiamo {Esodo 20: 1-3}: “Allora Dio pronunzio tutte queste parole, dicendo: «Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dei davanti a me»”. Chi pronunciò queste parole? Colui che li fece uscire dall’Egitto. E chi fu il condottiero che fece uscire Israele dall’Egitto? Cristo. Quindi chi promulgò la legge dal monte Sinai? Cristo, lo splendore della gloria del Padre, e l’espressa immagine della sua persona, il quale è Dio manifestato agli uomini. Fu il Creatore di tutti ali esseri creati, e colui al quale era rimesso tutto il giudizio.
Questo punto può essere dimostrato in un altro modo. Quando il Signore viene, sarà con clamore {1 Tessalonicesi 4: 16} “il Signore stesso con un potente comando, con voce di arcangelo con la tromba di Dio discenderà dal cielo, e quelli che sono morti in Cristo risusciteranno per primi” (vedi anche Giovanni 5: 28-29). “Perciò profetizza contro di loro tutte queste cose e di loro: l’Eterno ruggirà dall’alto e farà sentire la sua voce dalla sua santa dimora; egli ruggirà con forza contro il suo ovile; manderà un grido come i pigiatori d’uva contro tutti gli abitanti della terra. Il clamore giungerà fino all’estremità della terra, perché l’Eterno ha una contesa con le nazioni, egli entrerà in giudizio con ogni carne e darà gli empi in balia della spada, dice l’Eterno” {Geremia 25: 30-31}. Confrontiamo questi versi con quelli di {Apocalisse 19: 11-21}, dove Cristo viene descritto con il grado di condottiero delle armate celesti, della Parola di Dio, di Re dei re e Signore dei signori, di Colui il quale pigerà il tino del vino della furente ira del Dio Onnipotente e distruggerà tutti i malvagi. Vediamo che è Cristo Colui il quale ruggisce dalla Sua dimora verso tutti gli abitanti della terra nella Sua controversia con le nazioni. Gioele aggiunge un altro particolare quando dice, “L’Eterno ruggirà da Sion e farà sentire la sua voce da Gerusalemme, tanto che i cieli e la terra tremeranno. Ma l’Eterno sarà un rifugio per il suo popolo e una fortezza per i figli d’Israele” {Gioele 3: 16}.
Da questi testi, e se ne potrebbero aggiungere altri, apprendiamo che, a proposito della venuta del Signore per la liberazione del Suo popolo, Egli parla con voce da far tremare i cieli e la terra: “La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una capanna” {Isaia 24: 20}, e “in quel giorno i cieli passeranno stridendo” {2 Pietro 3: 10}. Leggiamo ora {Ebrei 12: 25-26}:
“Guardate di non rifiutare colui che parla, perchè se non scamparono quelli che rifiutarono di ascoltare colui che promulgava gli oracoli sulla terra, almeno scamperemo noi, se rifiutiamo colui la cui voce scosse la terra, ma che ora ha fatto questa promessa, dicendo: “Ancora una volta io scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo”.
Il tempo in cui la Voce che parlava dal cielo scosse la terra, fu quando la legge fu promulgata dal Sinai {Esodo 19: 18-20; Ebrei 12: 18-20}, un evento che quanto a grandezza non ha avuto eguali nella storia, e mai ne avrà se non quando il Signore stesso verrà con tutti gli angeli del cielo per salvare il Suo popolo. Nota bene, quella stessa voce che allora scosse la terra, nel prossimo futuro non solo si ripeterà, ma scrollerà persino i cieli: e abbiamo visto che sarà di Cristo quella voce che squillerà ad un volume tale da scuotere i cieli e la terra quando intraprenderà la Sua controversia contro le nazioni. Con questo è dimostrato che appartiene a Cristo la voce che fu udita proclamare i Dieci Comandamenti dal Sinai. Questa non è altro che la conclusione naturale a cui si giunge con lo studio di Cristo come creatore e autore del Sabato.
Nonostante tutto, l’unica forza che risiede nell’espiazione è dovuta al fatto che Cristo è parte della Divinità, possedendone per natura tutti gli attributi, essendo uguale al Padre in tutti gli aspetti, sia come Creatore sia come Legislatore. È solo questo che rende possibile la redenzione. Cristo morì “per condurci a Dio” {1 Pietro 3: 18}; ma se Egli fosse stato anche di un solo iota differente da Dio, non avrebbe potuto condurci da Lui. Divinità significa avere tutti gli attributi della deità. Se Cristo non fosse stato divino, non avremmo avuto altro che un sacrificio umano. Non importa se abbiamo anche l’alta garanzia che egli sia stato il più alto essere intelligente mai creato nell’universo; no, in questo caso Egli sarebbe stato un semplice soggetto, costretto all’alleanza con la legge, costretto a non compiere nient’altro che il Suo dovere. Non avrebbe giustizia da impartire ad altri. Fra Dio e il più alto angelo creato c’è una distanza incolmabile; di conseguenza nemmeno il primo degli angeli non avrebbe mai potuto innalzare l’uomo caduto e renderlo partecipe della natura divina. Gli angeli possono servire; ma solo Dio può redimere. Ringraziato sia Dio che noi siamo salvati “per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù”, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e che di conseguenza è abile a salvare tutti cloro che vanno a Dio tramite Lui.
Questa verità ci aiuta ad avere una maggiore comprensione del motivo per il quale Cristo è chiamato la Parola di Dio. Egli è Colui attraverso il quale la volontà e la potenza divina sono fatte conoscere agli uomini. Egli è, se così si può definire, il portavoce della divinità, la manifestazione della divinità. Egli dichiara, o fa conoscere, Dio agli uomini. È piaciuto al Padre che in Lui abitasse tutta la pienezza; e di conseguenza il Padre non è relegato in una posizione di secondaria importanza, come qualcuno potrebbe immaginare, quando Cristo è innalzato come Creatore e Legislatore; perché la gloria del padre risplende attraverso il Figlio. Siccome Dio è manifestato attraverso Cristo, è evidente che se non si riconosce Cristo, il Padre non può essere onorato nella maniera in cui dovrebbe esserlo. Cristo stesso disse: “Affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre; chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato” {Giovanni 5: 23}.
Ci si può chiedere come possa Cristo essere allo stesso tempo mediatore tra Dio e l’uomo ed anche legislatore. Non abbiamo il compito di spiegare come questo possa essere, ma solo di accettare le Scritture che riportano questa verità. E questo fatto è proprio quello che dona forza alla dottrina dell’espiazione. La certezza che un peccatore possa avere il perdono completo e gratuito giace nel fatto che il Legislatore stesso, Colui verso il quale si è ribellato ed ha disprezzato, è Colui il quale diede Sé stesso per noi. Com’è possibile dubitare dell’onestà dei propositi di Dio, o della Sua perfetta disponibilità verso l’uomo, dal momento che ha dato Sé stesso per la sua redenzione [dell’uomo]? E non pensiamo che il Padre e il Figlio fossero separati in quel frangente. Furono uno in questo, come lo furono in tutto il resto. Il consiglio di pace fu tra loro {Zaccaria 6: 12-13}, e perfino mentre qui sulla terra, l’Unigenito Figlio era nel seno del Padre.
Che meravigliosa manifestazione d’amore! L’Innocente soffrì per il colpevole; il Giusto per l’ingiusto; Il Creatore, per la creatura; Colui che fece la legge, per colui che la trasgredì; il Re, per i Suoi sudditi ribelli. Dio non risparmiò Suo Figlio, ma Lo donò liberamente per tutti noi; Cristo diede volontariamente Sé stesso per noi. L’amore infinito non avrebbe potuto trovare manifestazione più grande. Dice bene il Signore, “Che cosa potrei mai fare di più per la mia vigna di quello che ho fatto?”.
“Ma cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte” {Matteo 6: 33}.
La giustizia di Dio, disse Cristo, è l’unica cosa che va ricercata in questa vita. Cibo e vestiario sono cose minori se paragonate ad essa. Dio provvederà tutte queste cose affinché la vostra vita non sia spesa in ansia e preoccupazione per esse, ma per assicurarci il regno di Dio e la Sua giustizia, quale unico obbiettivo per la nostra vita.
In {1 Corinti 1: 30} è detto che Cristo è stato fatto per noi sia giustificazione che sapienza; e se Cristo è la sapienza di Dio, e in Lui abita corporalmente la pienezza della Divinità, è evidente che la giustizia che Egli ha reso possibile per noi, è la giustizia di Dio. Vediamo ora cos’è questa giustizia. Nel {Salmo 119: 172} il salmista si indirizza al Signore nel seguente modo: “La mia lingua annunzierà la tua Parola, perchè i tuoi comandamenti sono giusti”.
I comandamenti sono giusti non solo in astratto, ma essi sono la giustizia di Dio. Come prova leggiamo quanto segue: “Alzate i vostri occhi al cielo e guardate la terra di sotto, perché i cieli si dilegueranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e similmente i suoi abitanti moriranno; ma la mia salvezza durerà per sempre e la mia giustizia non verrà mai meno. Ascoltatemi, o voi che conoscete la giustizia, popolo, che ha nel cuore la mia legge. Non temete l’obrobrio degli uomini, né spaventatevi del loro oltraggi” {Isaia 51: 6-7}.
Che cosa apprendiamo da questo? Che coloro i quali conoscono la giustizia di Dio sono coloro nel cui cuore c’è la Sua legge, e che quindi la legge di Dio è la giustizia di Dio. Questo può essere ulteriormente dimostrato da quanto segue: “Chiunque commette peccato, commette pure una violazione della legge; e il peccato è violazione della legge” {1 Giovanni 3: 4}. Il peccato è la trasgressione della legge, ed è anche ingiustizia; ne consegue che peccato e ingiustizia sono la stessa cosa. Ma se l’ingiustizia è la trasgressione della legge, ne consegue che la giustizia deve essere l’obbedienza alla legge. Trasportando questo concetto in una formula matematica, ne deriva la seguente equazione:
Di conseguenza, secondo l’assioma che vuole che due cose uguali alla stessa cosa siano anche uguali tra loro, abbiamo che:
Essa è un’equazione negativa; perciò, lo stesso concetto enunciato in forma positiva sarà:
Ora, quale legge obbedisce a ciò che è giusto e disubbidisce a ciò che è peccato? È quella legge che dice: “non concupire”; perchè l’apostolo Paolo ci dice che questa legge ci convince di peccato {Romani 7: 7}. La legge dei Dieci Comandamenti, dunque, è il metro della giustizia di Dio, ed essendo la legge di Dio giusta, deve perciò essere la giustizia di Dio. Dunque, non può esserci altra giustizia.
Se la legge è la giustizia di Dio, in altre parole: la trascrizione del Suo carattere, è facile capire che temere Dio e osservare i Suoi comandamenti sia l’unico dovere dell’uomo {Ecclesiaste 12: 13}. Che nessuno pensi però che il Suo unico dovere sia circoscritto ai Dieci Comandamenti, perché essi comprendono un campo d’applicazione ancora più vasto. “La legge è spirituale”, e comprende vastità tali che non possono essere recepite dal lettore superficiale. “Or l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perchè sono follia per lui, e non le può conoscere, poiché si giudicano spiritualmente” {1 Corinti 2: 14}. La profondità della legge di Dio può
essere recepita solamente da coloro che l’hanno meditata in preghiera. Alcuni testi delle Scritture saranno sufficienti per mostrarci qualcosa della sua ampiezza.
Nel sermone sul monte Cristo disse: “Voi avete udito che fu detto agli antichi: ‘Non uccidere’ e: ‘Chiunque ucciderà sarà sottoposto al giudizio’; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello senza motivo, sarà sottoposto al giudizio; e chi avrà detto al proprio fratello: Raca, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto ‘stolto’, sarà sottoposto al fuoco della geenna” {Matteo 5: 21-22}. E ancora: “Voi avete udito che fu detto agli antichi: ‘Non commettere adulterio’, ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” {Matteo 5: 27-28}.
Questo non significa che i comandamenti, “non uccidere” e “non commettere adulterio” siano imperfetti, o che Dio richieda ai cristiani di oggi più moralità che da quel popolo chiamato giudeo. Egli richiede le stesse cose a tutti gli uomini in ogni epoca. Il Salvatore spiegò semplicemente questi comandamenti e ne svelò la loro spiritualità. Al cieco bigottismo dei farisei Egli replicò affermando che venne col proposito di stabilire la legge; e che essa non può essere abolita; e poi espose il vero significato della legge in modo tale da convincerli che lo ignoravano e disobbedivano ai suoi precetti. Egli mostrò che perfino uno sguardo e un pensiero potevano essere una violazione della legge.
Cristo non rivelò una nuova verità, ma ne riportò alla luce una vecchia. Quando la legge fu promulgata al Sinai, implicava lo stesso significato attribuitole da Cristo sul monte in Giudea. Quando, con voce da far tremare la terra, Egli disse: “Non uccidere”, voleva dire: “Non provocherai discordia sulla terra; non indulgerai nell’invidia, nei conflitti, né in qualsiasi cosa che possa avvicinarsi, se pur lontanamente, all’omicidio”. Tutto questo e molto altro è contenuto nelle parole “Non uccidere”. E questo era il concetto delle parole ispirate dell’Antico Testamento, quando Salomone dimostrò che la legge ha a che fare sia con le cose nascoste che con quelle rivelate, quando scrisse: “Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perchè questo è il tutto dell’uomo. Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, anche tutto ciò che è nascosto, sia bene o male” {Ecclesiaste 12: 13-14}.
Il punto è questo: il giudizio passa sopra ogni cosa segreta; la legge di Dio è lo standard nel giudizio, determina la qualità di ogni azione, sia essa buona o cattiva; dunque la legge di Dio proibisce il male sia nei pensieri sia nelle azioni. Così, la conclusione del discorso è che nei comandamenti di Dio è racchiuso tutto il dovere dell’uomo.
Prendiamo il primo comandamento: “Non avrai altri dei all’infuori di me”. L’apostolo ci parla di qualcuno “il cui dio è il ventre” {Filippesi 3: 19}. Golosità ed intemperanza sono però anche equivalenti al suicidio; vediamo così che il primo comandamento passa attraverso il sesto. Questo non è tutto, perchè afferma che anche la cupidigia è idolatria {Colossesi 3: 5}. Il decimo comandamento [“Non desidererai…”] non può essere violato senza violare il primo e il secondo. In altre parole, il decimo comandamento coincide col primo; vediamo allora che il Decalogo è un cerchio la cui circonferenza è grande quanto l’universo, e che contiene in esso il dovere morale di ogni creatura. In breve, è la misura della giustizia di Dio, che dimora nell’eternità.
“Giustificare” significa “rendere giusto”, o mostrare, far figurare uno come giusto. Ora è evidente che la perfetta obbedienza ad una legge perfetta, costituirà una persona veramente giusta. Era il piano di Dio che una tale obbedienza fosse resa alla legge da tutte le Sue creature; è in questo modo che la legge “è in funzione della vita” {Romani 7: 10}.
Ma affinché qualcuno possa essere ritenuto un “osservatore della legge”, è necessario che egli abbia osservato la legge nella sua pienezza in ogni momento della sua vita. Egli non può essere considerato “un osservatore della legge” se l’ha osservata solo in parte. È una cosa triste, comunque, che in tutto il genere umano non vi sia nessun “osservatore della legge”, perchè sia “i Giudei che i Gentili sono tutti sotto il peccato, come sta scritto: “Non c’è alcun giusto, neppure uno. Non c’è alcuno che abbia intendimento, non c’è alcuno che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti sono divenuti inutili; non c’è alcuno che faccia il bene, neppure uno” {Romani 3: 9-12}. La legge si rivolge a tutti coloro che sono sotto la sua sfera; e in tutto il mondo non c’è nessuno che possa aprire la sua bocca per difendersi dal carico di peccato che essa porta contro di lui. Ogni bocca è zittita e tutto il mondo si trova in uno stato di colpa davanti a Dio {Romani 3: 19}, “Poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” {Romani 3: 23}.
Dunque, benché “l’osservatore della legge sarà giustificato”, è altrettanto evidente che “nessuna carne sarà giustificata davanti a lui per le opere della legge; mediante la legge, infatti, vi è la conoscenza del peccato” {Romani 3: 20}. La legge, essendo “santa, giusta e buona”, non può giustificare un peccatore. In altre parole, una legge giusta non può dichiarare innocente colui che trasgredisce. Una legge che giustificherà una persona malvagia non potrà che essere malvagia anch’essa. Però la legge non deve essere insultata per la sua incapacità di giustificare i peccatori, ma al contrario, deve essere lodata per questo. Il fatto che la legge non dichiarerà il peccatore essere giusto – cioè, non dirà che è stata osservata mentre in realtà è stata violata – è una prova evidentemente chiara della sua bontà. Gli uomini applaudono un giudice incorruttibile, che non è di parte e che non dichiarerà innocente il colpevole. Di conseguenza saranno sicuramente lieti nel magnificare la legge di Dio, che non produrrà falsa testimonianza. Essa è la perfezione della giustizia, e di conseguenza è costretta a dichiarare il triste fatto che nessuno della razza d’Adamo ne ha soddisfatto le richieste.
Ancora di più, il semplice fatto che osservare la legge è il dovere dell’uomo, ci dimostra che quando è venuto meno ad un suo singolo particolare, non sarà mai in grado poi di innalzarla. I requisiti d’ogni precetto della legge sono così ampi, l’intera legge cosi spirituale, che perfino un angelo non può produrre altro che semplice obbedienza. Si, la legge è la giustizia di Dio, trascrizione del Suo carattere, e siccome il Suo carattere non può essere differente da quello che è, ne consegue che perfino Dio stesso non può essere migliore della misura di bontà richiesta dalla Sua legge. Egli non può essere migliore di quello che è, e la legge dichiara quello che Egli è. Quale speranza può avere colui che ha fallito, perfino in un solo precetto, di produrre abbastanza bontà da colmare l’intera misura? Colui che tenta di fare questo pone davanti a sé l’impossibile obiettivo d’essere migliore di quello che Dio richiede, si, perfino migliore di Dio stesso.
Ma non è semplicemente in un particolare che l’uomo ha fallito, ma è venuto meno su tutta la linea. “Tutti si sono sviati, tutti quanti sono divenuti inutili; non c’è alcuno che faccia il bene, neppure uno”. Non solo questo, ma è anche impossibile per l’uomo caduto, con le sue forze, fare perfino un singolo atto che sia al livello dello standard perfetto. Per provarlo non serve altro che ricordare che la legge è la misura della giustizia di Dio. In ogni modo, sicuramente non c’è nessuno di così presuntuoso da rivendicare che ogni atto della sua vita è stato o potrebbe essere talmente buono come se fosse stato compiuto direttamente dal Signore stesso. Ognuno dovrebbe esclamare col salmista, “Non ho alcun bene all’infuori di te” {Salmo 16: 2}.
Questo fatto è contemplato direttamente nelle Scritture. Cristo, che “non aveva bisogno che alcuno gli testimoniasse dell’uomo; perchè egli conosceva ciò che vi era nell’uomo” {Giovanni 2: 25} afferma: “dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, procedono pensieri malvagi, adulteri, fornicazioni, omicidi, furti, cupidigie, malizie, frodi, insolenza, invidia, bestemmia, orgoglio, stoltezza. Tutte queste cose malvagie escono dal di dentro dell’uomo e lo contaminano” {Marco 7: 21-23}. In altre parole, è più facile sbagliare che essere giusti, e le cose che una persona compie naturalmente sono malvagie. Il male dimora dentro ed è una parte dell’essere. A tal proposito l’apostolo affermò: “Per questo la mente controllata dalla carne (naturale, carnale) è inimicizia contro Dio, perché non è sottomessa alla legge di Dio e neppure può esserlo. Quindi quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio” {Romani 8: 7-8}. E ancora: “La carne, infatti, ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l’una all’altra, cosicché voi non fate quello che vorreste” {Galati 5: 17}. Essendo che il male è parte della natura umana, ereditato da ogni individuo da una lunga linea d’antenati peccatori, è evidente che qualsiasi giustizia sgorghi da lui saranno solamente “un abito sporco” {Isaia 64: 6} se messi a confronto con la veste senza macchia di Dio.
L’impossibilità di un cuore peccaminoso di produrre buone opere è illustrata dal Salvatore: “Ogni albero, infatti, si riconosce dal proprio frutto, perchè non si raccolgono fichi dalle spine e non si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae il bene; e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore trae il male, perchè la bocca di uno parla dell’abbondanza del suo cuore” {Luca 6: 44-45}. È come affermare che un uomo non può fare il bene fino a quando non diventa buono. Dunque, le opere compiute da un peccatore non hanno effetto, né lo rendono giusto, ma al contrario, provenendo da un cuore peccaminoso, sono malvagie e si sommano così alle sue malvagità.
Da un cuore malvagio possono uscire solo malvagità, e ripetute malvagità non possono mai fare un’opera buona; dunque, non è possibile per una tale persona divenire giusta con i propri sforzi. Prima di poter compiere la giustizia che gli è richiesta e che vuole fare, deve essere reso giusto.
Le cose quindi stanno così:
1* La legge di Dio è perfettamente giusta; ed una perfetta conformità ad essa è richiesta a chiunque vuole entrare nel regno di Dio.
2* La legge non ha particelle di giustizia da conferire a nessun uomo, perchè tutti sono peccatori, e non sono in grado di adempiere le sue richieste. Non importa con quanta diligenza o zelo uno possa operare, niente di quello che può fare potrà soddisfare la piena misura delle richieste della legge. È una meta troppo elevata per lui; non potrà mai ottenere giustizia dalla legge. “Perché nessuna carne sarà giustificata davanti a lui per le opere della legge.” Che condizione deplorevole!
Dobbiamo possedere la giustizia della legge, altrimenti non possiamo entrare in cielo, però la legge non può dare giustizia a nessuno di noi.
Chi dunque può essere salvato? Esistono quindi persone giuste? Si! Perché la Bibbia parla spesso di loro. Parla di Lot come “quell’uomo giusto”, dicendo: “dite al giusto che avrà bene, perchè mangerà il frutto delle sue opere” {Isaia 3: 10}, indicando con questo che ci sono persone giuste che riceveranno una ricompensa; e dichiarando chiaramente che alla fine ci sarà una nazione giusta, dicendo: “In quel giorno si canterà questo cantico nel paese di Giuda: Noi abbiamo una città forte; Dio vi ha posto la salvezza per mura e per bastioni. Aprite le porte ed entri la nazione giusta, che mantiene la fedeltà” {Isaia 26: 1-2}. Nel {Salmo 119: 142} ci viene detto che “la tua legge è verità”. La legge non è solo verità, ma è la somma di tutta la verità; di conseguenza la nazione che osserva la verità sarà quella che osserva la legge di Dio. Coloro che fanno la Sua volontà saranno coloro che entreranno nel regno dei cieli {Matteo 7: 21}.
Alla luce di quanto visto precedentemente, la questione è, come ottenere la giustizia che ci permette di entrare nella Santa Città. Rispondere a questa domanda è il gran compito dell’Evangelo, ma prima di tutto dobbiamo ottenere una lezione oggettiva sulla giustificazione, o impartizione della giustizia, questo ci aiuterà senza dubbio ad una maggiore comprensione della dottrina. L’esempio è annotato in {Luca 18: 9-14}; con le seguenti parole: “Disse ancora questa parabola per certuni che presumevano d’essere giusti e disprezzavano gli altri. Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, dentro di sé pregava così: ‘O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano. lo pago la decima di tutto ciò che possiedo’. Il pubblicano invece, stando lontano, non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, sii placato verso me peccatore’. Io vi dico che questi, e non l’altro, ritorno a casa giustificato; perché chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato”.
Questo episodio c’è stato rivelato per indicarci come non possiamo e come possiamo ottenere la giustizia. I farisei non si sono estinti; ai nostri giorni ci sono molti che vogliono guadagnare la giustizia per mezzo delle loro buone opere, confidano in loro stessi convinti d’essere giusti. Non sempre esaltano così apertamente la loro bontà, ma che confidino nella propria giustizia lo dimostrano in molti altri modi. Forse lo spirito del fariseo – che pretende il favore di Dio a causa di una sua buona azione – è presente più frequentemente tra coloro che si professano cristiani, oppressi a causa dei loro peccati. Sanno di aver peccato e si sentono condannati. Mormorano sul loro stato peccaminoso e deplorano la propria debolezza. La loro testimonianza però non si eleva mai da questo livello. Spesso si astengono dal parlare nelle adunanze, e spesso non osano accostarsi a Dio in preghiera. Dopo aver peccato più grandemente del solito, si astengono dal pregare per un periodo, di solito fino a quando è passato quel vivido senso di colpa, o fino a quando pensano di aver espiato il loro peccato con qualche speciale buon comportamento. Di che cosa è la manifestazione di tutto ciò? Di quello spirito farisaico che ostenta la propria giustizia in faccia a Dio; tali persone saranno perfino capaci di dire al Signore: “Guarda quanto sono stato buono in questi ultimi giorni; sicuramente adesso mi accetterai”.
Ma qual è il risultato? L’uomo che ha riposto la sua fiducia nella propria giustizia non ha ottenuto nulla; mentre colui che pregò con cuore contrito: “O Dio, sii placato verso di me peccatore”, ritornerà a casa sua giustificato. Cristo affermò che se ne ritornò giustificato, cioè reso giusto.
Nota che il pubblicano fece qualcosa di più che lamentare la sua peccaminosità; egli chiese grazia. Cos’è la grazia? È un favore immeritato. È la disponibilità di trattare qualcuno meglio di quello che merita. Ora la Parola Ispirata dice di Dio: “Poiché quanto sono alti i cieli al di sopra della terra, tanto è grande la sua benignità verso quelli che lo temono” {Salmo 103: 1}. Questa è l’unità di misura con cui Dio ci tratta, meglio di quello che meritiamo, quando andiamo umilmente a Lui. In quale aspetto Egli ci tratta meglio di quello che meritiamo? Portando via i nostri peccati; perché già dal versetto che segue apprendiamo che: “Quanto è lontano il levante dal ponente, tanto egli ha allontanato da noi le nostre colpe”. Con queste parole concordano anche quelle del discepolo amato: “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” {1 Giovanni 1: 9}.
Come ulteriore testo sulla grazia di Dio e del modo in cui è manifestata, leggiamo in {Michea 7: 18-19}: “Qual Dio è come te che perdona l’iniquità e passa sopra la trasgressione del residuo della sua eredità? Egli non conserva per sempre la sua ira, perché prende piacere nell’usare misericordia. Egli avrà nuovamente compassione di noi, calpesterà le nostre iniquità. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati”. Leggiamo ora direttamente dalla Scrittura com’è condivisa la giustizia.
L’apostolo Paolo, avendo provato che tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, e che di conseguenza nessuna carne sarà giustificata davanti a Dio per le opere della legge, prosegue affermando che noi siamo “Gratuitamente giustificati (resi giusti) per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Lui Dio ha preordinato per fare l’espiazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare così la sua giustizia per il perdono dei peccati, che sono stati precedentemente commessi durante la pazienza di Dio, per manifestare la sua giustizia nel tempo presente, affinché egli sia giusto e giustificatore di colui che ha la fede di Gesù” {Romani 3: 24-26}.
“Giustificati gratuitamente”. Come potrebbe essere diversamente? È evidente che se tutti gli sforzi che il peccatore ha fatto per ottenere la giustizia non hanno avuto effetto, l’unica via per ottenerla non poteva che essere in dono; e che la giustificazione sia un regalo è chiaramente scritto in {Romani 5: 17}: “Infatti, se per la trasgressione di quell’uno solo la morte ha regnato a causa di quell’uno, molto di più coloro che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di quell’uno, che è Gesù Cristo”. Proprio perché la giustificazione è un dono, la vita eterna, che è il premio della giustizia, è il dono di Dio attraverso Gesù Cristo nostro Signore.
Cristo è stato mandato da Dio come l’unico mezzo per ottenere il perdono dei peccati; e questo perdono consiste semplicemente nella dichiarazione della Sua giustizia (che è la giustizia di Dio) per la remissione. Dio, “che è ricco in misericordia” {Efesini 2: 4}, e ha tutta la Sua delizia in essa, mette la Sua giustizia sul peccatore che crede in Gesù quale sostituto per i propri peccati. Sicuramente, per il peccatore questo e uno scambio vantaggioso, ma nello stesso tempo non è una perdita per Dio, perché la Sua Santità è infinita e non può mai venir meno.
Dopo aver considerato quello che Paolo scrisse in {Romani 3: 24-26} a proposito delle opere della carne in relazione alla giustificazione, aggiunge: “Ma ora, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, alla quale rendono testimonianza la legge ed i profeti, cioè la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo verso tutti e sopra tutti coloro che credono, perché non c’è distinzione” {Romani 3: 21-22}. Dio pone la sua giustizia sopra il credente, lo copre con essa affinché non appaiano più i suoi peccati. Allora colui che è perdonato potrà esclamare col profeta: “lo mi rallegrerò grandemente nell’Eterno, la mia anima festeggerà nel mio Dio, perché mi ha rivestito con le vesti della salvezza, mi ha coperto col manto della giustizia, come uno sposo che si mette un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli” {Isaia 61: 10}.
Ma cosa dire a proposito della “giustizia di Dio senza la legge?” come concorda con l’affermazione che la legge è la giustizia di Dio, e che al di fuori delle sue richieste non c’è giustizia? Non c’è contraddizione in questo; la legge non è esclusa da questo processo. Poni bene attenzione: chi diede la legge? Cristo. Come ne parlo? “Come uno avente autorità, perfino come Dio stesso. La legge sgorgò da Lui così come dal Padre, ed essa è semplicemente una dichiarazione della giustizia del Suo carattere. Dunque, la giustizia che proviene dalla fede di Gesù Cristo, è la stessa giustizia che è enfatizzata dalla legge; ed è maggiormente provato dal fatto che è “testimoniata dalla legge”.
Che il lettore tenti di immaginare la scena. Da una parte c’è la legge con l’incarico di testimone d’accusa contro il peccatore. Essa non può cambiare, e non cambierà mai un uomo peccatore in uno giusto. Il peccatore convinto cercherà in ogni maniera di ottenere la giustizia dalla legge, ma questa resiste ad ogni sua avance, perché non può essere corrotta da nessun tipo penitenza o sedicenti buone opere. Dall’altra parte c’è Cristo, “pieno di grazia” e verità, che chiama il peccatore a Sé. Alla fine il peccatore, stanco dei suoi vani tentativi di ottenere la giustizia dalla legge,
dà ascolto alla voce di Cristo, e ripiega verso le Sue braccia aperte. Nascosto in Cristo, egli è coperto dalla Sua giustizia; e ora attenzione! Egli ha ottenuto, attraverso la fede in Cristo, quello per il quale ha finora lottato invano. Egli possiede la giustizia che la legge richiede perché l’ha ottenuta dalla Sorgente della Giustizia; dal luogo dove provenne la legge, ed
essa testimonia della genuinità di questa giustizia. Essa afferma che fintanto che l’uomo rimarrà in questa condizione, essa non potrà fare altro che difenderlo da tutti i suoi accusatori; testimonierà del fatto che egli è una persona giusta, con la giustizia che “deriva dalla fede di Cristo: giustizia che proviene da Dio mediante la fede” {Filippesi 3: 9}. Considerato tutto questo, Paolo era certo che sarebbe stato al sicuro nel ‘Gran Giorno’ di Cristo.
Non c’è modo di trovare difetto in questa transizione. Dio è giusto, e allo stesso tempo il giustificatore di colui che crede in Gesù. In Gesù abita la pienezza della Divinità; Egli è simile al Padre in ogni attributo. Di conseguenza, la redenzione che è in Lui, in altre parole la capacità di riacquistare l’uomo perduto, è infinita. La ribellione dell’uomo contro il Padre, lo è anche contro il Figlio, perché Essi sono Uno. Dunque, quando Cristo “diede sé stesso per i nostri peccati”, era il Re sofferente per i Suoi sudditi ribelli; prese su di Sé l’onta degli “offensori”. Nessun uomo, neanche il più scettico, può negare a nessuno il suo giusto diritto di perdonare le offese subite; perché allora cavillare quando Dio esercita lo stesso diritto? Sicuro, Egli ha il diritto, se lo vuole, di perdonare coloro che lo hanno ingiuriato; e molto di più, perché Egli rivendica l’autorità della Sua legge, sottomettendo la Sua persona a quella pena che doveva essere del peccatore. “L’Innocente soffrì per il colpevole”. Vero; ma l’Innocente diede sé stesso volontariamente, affinché senza contravvenire alla giustizia del Suo governo, facesse quello che il Suo amore pretendeva, cioè, passare attraverso l’ingiuria resa a Sé stesso in qualità di Regnante dell’universo.
Leggiamo ora quello che Dio disse a proposito del suo nome: “Allora l’Eterno discese nella nuvola e si fermò là vicino a lui, e proclamò il nome dell’Eterno. E l’Eterno passò davanti a lui e gridò: L’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non lascia il colpevole impunito, e che visita l’iniquità dei padri sui figli e sui figli dei figli fino alla terza e quarta generazione” {Esodo 24: 5-7}.
Questo è il Nome di Dio: è il carattere col quale si rivelò all’uomo; la luce nella quale desidera essere riguardato. Ma cosa dire dell’affermazione che Egli “Non lascia il colpevole impunito”? Sembra che si contraddica con la Sua misericordia, la Sua bontà e il Suo passare oltre all’iniquità del Suo popolo. È vero che per nessun motivo Dio lascerà impunito il colpevole; non lo può fare perché è un Dio giusto. Ma Egli fa qualcosa che è molto meglio; “Egli rimuove la colpa”, così, colui che è formalmente colpevole non ha bisogno di restare impunito; egli è giustificato ed è considerato come se non avesse mai peccato.
Non permettete a nessuno di cavillare sull’espressione: “giustizia assegnata”, pensando che sia ipocrisia. Alcuni, manifestando un particolare disprezzo sul valore del dono della giustificazione, affermano di non volere una giustizia che è stata “messa su di loro”, ma di volere soltanto quella giustizia che viene da una vita di lotta, disprezzando con ciò la giustizia di Dio che Gesù Cristo dà “a” coloro e “su” coloro che credono.
Noi siamo d’accordo con quest’idea, fintanto che essa non diventi soltanto un pretesto per tale ipocrisia; una forma di pietà senza potenza. E voglio inoltre che il lettore abbia ben chiaro il seguente concetto: c’è molta differenza su chi mette la giustizia. Se cerchiamo di mettercela da noi stessi, non facciamo altro che indossare un abito sporco, non importa quanto bello esso possa apparire ai nostri occhi; ma quando è Cristo a vestirci, non deve essere né disprezzato né rigettato. Rifletti sull’espressione d’lsaia: “Mi ha ricoperto col manto della giustizia”. La giustizia con la quale Cristo ci copre è quella che ha ricevuto l’approvazione di Dio; e se Dio è soddisfatto di quella giustizia, sicuramente l’uomo non deve tentare di trovarne un’altra migliore.
Ora andremo ancora più in profondità sull’argomento e toglieremo ogni dubbio. Leggiamo in {Zaccaria 3: 1-5} e troveremo la soluzione: “Poi mi fece vedere il sommo sacerdote Giosuè, che stava ritto davanti all’angelo dell’Eterno, e Satana che stava alla sua destra per accusarlo. L’Eterno disse a Satana: ‘Ti sgridi l’Eterno, o Satana! Si, L’Eterno che ha scelto Gerusalemme ti sgridi! Non è forse costui un tizzone strappato dal fuoco? Or Giosuè era vestito di vesti sudice e stava ritto davanti all’angelo, il quale prese a dire a quelli che gli stavano davanti: ‘Toglietegli di dosso quelle vesti sudice!’ poi disse a lui: ‘Guarda, ho fatto scomparire da te la tua iniquità e ti farò indossare abiti magnifici’. Io quindi dissi: ‘Mettano sul suo capo un turbante puro e gli fecero indossare delle vesti, mentre l’Angelo dell’Eterno era là presente”.
Nota bene, da quanto scritto sopra, che il togliere di dosso le vesti sudice, è la stessa cosa che far sparire l’iniquità da una persona. Così scopriamo che quando Cristo ci copre col manto della Sua giustizia, non fornisce qualcosa per nascondere il peccato, ma lo elimina; questo ci dimostra che il perdono dei peccati è qualcosa di più che una mera forma, qualcosa di più che il semplice ingresso nei libri dei ricordi del cielo, significa che il peccato è stato cancellato per sempre. Il perdono dei peccati è una realtà; qualcosa di tangibile, qualcosa che rivitalizza gli affetti dell’individuo. È qualcosa che lo purifica dalla colpa; e se uno è purificato dalla colpa è giustificato, fatto giusto, ha senza dubbio subito un cambiamento radicale. Egli è dunque un’altra persona in Cristo, perchè ha ottenuto questa giustizia per la remissione dei peccati, ed è stata ottenuta solamente perchè messa da Cristo.
“Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura” {2 Corinti 5: 17}. Così, il perdono completo e gratuito dei peccati porta con sé quel meraviglioso e miracoloso cambiamento conosciuto come rinascita; perchè nessun uomo può diventare una nuova creatura se non nasce di nuovo. È come avere un cuore nuovo o pulito.
Il cuore nuovo ama la giustizia e odia il peccato. E un cuore volenteroso di essere condotto nel sentiero della giustizia. Questo tipo di cuore desiderava il Signore da Israele quando disse: “Oh, avessero sempre un tal cuore da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, per avere sempre prosperità, loro e i loro figli” {Deutoronomio 5: 29}. In breve, è un cuore libero sia dall’amore del peccato sia dalla sua colpa. Ma cos’è che fa desiderare ardentemente ad un uomo il perdono dei suoi peccati? È semplicemente l’odio che nutre per loro ed il desiderio di giustizia, cose che sono entrambe messe in moto e stimolate dallo Spirito Santo.
Lo Spirito contende con tutti gli uomini. Arriva sotto forma di rimprovero; quando i Suoi ammonimenti sono recepiti, allora può assumere l’ufficio di Consolatore. Lo stesso atteggiamento di sottomessa disponibilità che spinge una persona ad accettare il rimprovero dello Spirito, l’indurrà anche a seguirne gli insegnamenti. Paolo affermò che, “tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” {Romani 8: 14}.
Ancora, che cosa porta la giustificazione o perdono dei peccati? Fede, perchè Paolo disse: “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace presso Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” {Romani 5: 1}. La giustizia di Dio è data verso tutti e sopra tutti coloro che credono {Romani 3:22}. L’esercizio di questa fede rende l’uomo figlio di Dio; perché, come dice ancora l’apostolo Paolo, “voi tutti siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù” {Galati 3: 26}.
Il fatto che coloro ai quali sono stati perdonati i peccati sono figli di Dio è dimostrato nella lettera di Paolo a Tito. Prima mette in risalto la condizione di malvagità in cui eravamo, e poi dice: “Ma quando apparvero la bontà di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore verso gli uomini, egli ci ha salvati non per mezzo di opere giuste che avessimo fatto, ma secondo la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha copiosamente sparso su di noi per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, affinché, giustificati per la sua grazia, fossimo fatti eredi della vita eterna, secondo la speranza che abbiamo” {Tito 3: 4-7}.
È da notare che siamo fatti eredi perché giustificati per la Sua grazia. Abbiamo altresì imparato da {Romani 3: 24-25} che questa giustificazione per grazia avviene attraverso la fede in Cristo; {Galati 3: 26} ci afferma che la fede in Cristo ci rende figli di Dio; di conseguenza possiamo affermare che chiunque è stato giustificato dalla grazia di Dio, cioè perdonato, è figlio ed erede di Dio.
Questo dimostra chiaramente che non c’è posto per l’idea che una persona debba passare una specie di esame, o ottenere un certo grado di santità, prima che possa essere accettato da Dio come suo figlio. Egli ci accoglie così come siamo. Non è per la nostra bontà che Egli ci ama, ma per il nostro stato di bisogno. Ci riceve non per l’interesse di qualcosa che vede in noi, ma per il suo interesse, e per quello che Lui sa che la Sua potenza divina può fare di noi. E solo quando realizziamo la meravigliosa altezza della Santità di Dio, e il fatto che Egli venne a noi nella nostra degradata condizione di peccato per adottarci nella Sua famiglia, che possiamo apprezzare appieno l’esclamazione dell’apostolo, “vedete quale amore il Padre ha profuso su di noi, facendoci chiamare figli di Dio” {1 Giovanni 3: 1}.
Dio ci adotta come Suoi figli non perché siamo buoni, ma per farci diventare tali. Paolo disse: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il suo grande amore con il quale ci ha amati, anche quando eravamo morti nei falli, ci ha vivificati con Cristo (voi siete salvati per grazia), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età che verranno le eccellenti ricchezze della sua grazia, con benignità verso di noi in Cristo Gesù” {Efesi 2: 4-7}. E poi aggiunge: “Voi, infatti, siete salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perchè nessuno si glori. Noi, infatti, siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo” {Efesi 2: 8-10}. Questo passaggio ci dimostra che Dio ci ha amati mentre eravamo morti nei peccati; ci dà il Suo Spirito per renderci viventi in Cristo, e lo stesso Spirito suggella la nostra adozione nella famiglia Divina; ora che siamo delle nuove creature in Cristo, possiamo compiere le buone azioni che Dio ha comandato.
Molte persone esitano nel prendere la decisione di servire il Signore perché temono che Dio non li accetti; e migliaia di coloro che per anni si sono spacciati seguaci di Cristo dubitano tuttora sul fatto di essere accettati da Dio. Scrivo per beneficio di costoro e non voglio impregnare le loro menti con speculazioni, ma voglio rassicurarli con la Parola del Signore.
Molti si chiedono: “mi accetterà il Signore?”. Io risponderò con un’altra domanda: “un uomo ritirerà ciò che ha acquistato? Se vai in un negozio e fai un acquisto, ritirerai i beni acquistati? Sicuramente si; non c’è spazio per alcun dubbio in merito. Il fatto che tu volevi dei beni ed hai sborsato del denaro per essi è prova sufficiente che non solo sei disposto, ma che sei anche ansioso di riceverli. Se non li avessi voluti, non li avresti comprati. Ancora, più ti sono costati questi beni, tanto più sarai ansioso di riceverli. Dunque, se il prezzo che hai pagato era alto, ed hai addirittura dato la tua vita per essi, allora non c’è modo di dubitare del fatto che sei anche disposto ed ansioso di ottenere quest’acquisto. Quest’ ansietà è dovuta al timore che qualcosa possa impedirti di ricevere quanto acquistato.
Ora applichiamo questa semplice illustrazione al caso del peccatore che và a Cristo. In primo luogo Egli ci ha comprato. “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale voi avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti, siete stati comprati a caro prezzo” {1 Corinti 6: 19-20}.
Il prezzo pagato per noi fu il Suo sangue, la Sua vita. Paolo disse agli anziani di Efeso: “Badate dunque a voi stessi e a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituito vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata col proprio sangue” {Atti 20: 28}. “Sapendo che non con cose corruttibili, come argento od oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come agnello di Dio senza difetto e senza macchia” {1 Pietro 1: 18-19}. Egli “Ha dato sé stesso per noi” {Tito 2: 14}. Egli “Ha dato sé stesso per i nostri peccati, per sottrarci dalla presente malvagia età, secondo la volontà di Dio, nostro Padre” {Galati 1: 4}.
Egli non comprò solo una certa classe di persone, ma l’intero mondo di peccatori. “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna” {Giovanni 3: 16}. Gesù disse: “Or il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo” {Giovanni 6: 51}. “Perché, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo a suo tempo è morto per gli empi … Ma Dio manifesta il suo amore verso di noi in questo, che mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” {Romani 5: 6-8}.
Il prezzo pagato fu infinito, e da questo conosciamo che Egli desidera molto avere quello che ha comprato. Ha dato tutto il Suo cuore per ottenerlo. Non potrebbe essere soddisfatto senza di esso (Vedi Filippesi 2: 6-8; Ebrei 12: 2; Isaia 53: 11).
Qualcuno potrebbe continuare a dire: “Ma non ne sono degno”. Il che significa che non vali il prezzo pagato, e così temi di andare a Cristo per paura che Egli ripudi l’acquisto. Dovresti però temere soltanto se l’acquisto non fosse stato saldato o addirittura non pagato. Se Egli si rifiutasse di ricevere te solo perchè non vali il prezzo pagato, non solo perderebbe te, ma anche la cifra versata. Anche se i beni da te comprati non valessero i soldi spesi, non saresti così pazzo da gettarli via entrambi. Preferiresti avere qualcosa in mano piuttosto che niente.
Dirò ancora di più, tu non hai niente a che vedere con la questione dell’essere più o meno degno della cifra pagata. Quando Cristo venne su questa terra per interessarsi all’acquisto, “Non aveva bisogno che alcuno gli testimoniasse dell’uomo, perchè egli conosceva ciò che vi era nell’uomo” {Giovanni 2: 25}. Egli fece il Suo acquisto ad occhi aperti e conosceva l’esatto valore di ciò che avrebbe comprato. Egli non è per niente contrariato quando vai a Lui e vede che sei indegno. Tu non devi preoccuparti di questo; se Egli, infatti, con la Sua perfetta conoscenza del caso, fu soddisfatto dell’acquisto, tu dovresti essere l’ultimo a porsi tale questione.
Il vero e più alto motivo che lo spinse a comprarti fu proprio perchè eri indegno. Il Suo occhio esperto vide in te grandi possibilità e ti comprò non per quello di cui eri o sei degno, ma per quello che Egli poteva fare di te. Egli affermo: “Io, proprio Io, sono colui che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e non ricorderò più i tuoi peccati” {Isaia 43: 25}. Noi non abbiamo giustizia, ma Egli ci comprò “affinché fossimo giustizia di Dio in lui”. Paolo disse: “Poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della deità. E voi avete ricevuto la pienezza in lui, essendo egli il capo d’ogni principato e potestà” {Colossesi 2: 9-10}. Qui c’è tutto il processo {Efesini 2: 3-10}:
“Noi tutti… eravamo per natura figli d’ira, come anche gli altri. Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il suo grande amore con il quale ci ha amati, anche quando eravamo morti nei falli, ci ha vivificati con Cristo (voi siete salvati per grazia), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età che verranno le eccellenti ricchezze della sua grazia, con benignità verso di noi in Cristo Gesù. Voi, infatti, siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perchè nessuno si glori. Noi, infatti, siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perchè le compiamo”.
Quando Dio ci prende completamente indegni, e alla fine ci chiamerà davanti al Suo trono, sarà per la Sua gloria eterna, e non ci sarà nessuno che ci riterrà indegni. Nell’eternità, le anime santificate si uniranno per dire di Cristo: “Tu sei degno… perchè sei stato ucciso, e col tuo sangue ci hai comprati a Dio da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ci hai fatti re e sacerdoti per il nostro Dio… Degno è l’Agnello, che è stato ucciso, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione” {Apocalisse 5: 9-10,12}. Sicuramente potranno essere posti tutti i dubbi a riguardo dell’accettazione da parte di Dio. Ma non sarà così. Il cuore malvagio dell’incredulo continuerà a produrre dubbi. “lo credo a tutto ciò, ma…”. Quando aggiungi un ‘ma’ alla tua proposizione di fede, intendi veramente dire: “Credo ma non credo”. Poi continuerai: “Forse hai ragione, ma ascoltami, quello che intendo dire è che credo nei testi Biblici che hai riportato, ma la Bibbia dice anche che se siamo figli di Dio dobbiamo avere la testimonianza dello Spirito Santo, ed averla in noi stessi; e non sento tale testimonianza dentro di me, di conseguenza non posso credere che sono di Cristo. Lo credo nella Sua Parola, ma non ne ho la testimonianza”. Capisco la tua difficoltà, ma vediamo se può essere superata.
Appartenere a Cristo, è una cosa che puoi decidere solo tu. Hai visto quello che ha dato per te. Ora la domanda è, ti sei dato a Lui? Se lo hai fatto, puoi essere certo che Egli ti ha accettato. Se non sei Suo è solamente perchè tu hai rifiutato di darti a Colui che ti ha comprato. Lo derubi. Egli afferma: “Tutto il giorno ho steso le mani verso un popolo disubbidiente, e contraddicente” {Romani 10: 21}. Egli ti chiede di dargli quello che ha comprato a caro prezzo, ma col tuo rifiuto lo ripaghi addossandogli la responsabilità del fatto che non è disposto ad accettarti. Ma se hai deciso nel tuo cuore di essere un Suo figlio, allora puoi avere la certezza che Egli ti abbia accettato.
A proposito del tuo credere alla Sua Parola e nello stesso tempo dubitare che Egli ti abbia accettato, per il semplice motivo che non senti la Sua testimonianza nel tuo cuore, insisto nel dire che in realtà tu non credi. Se tu credessi, ne avresti la testimonianza. Ascolta la Sua Parola: “Chi crede nel Figlio di Dio ha questa testimonianza in sé; chi non crede a Dio, lo ha fatto bugiardo, perché non ha creduto alla testimonianza che Dio ha reso circa suo Figlio” {1 Giovanni 5: 10}. Credere nel Figlio è semplicemente credere alla Sua Parola e a quello che vi è scritto a proposito di Lui.
E “chi crede nel Figlio di Dio ha questa testimonianza in sé”. Non puoi avere tale testimonianza fino a quando non crederai; e quanto prima crederai, tanto prima avrai questa testimonianza. Com’è possibile questo? Semplice, perchè credere nella Parola di Dio è la testimonianza. Dio disse così: “Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono” {Ebrei 11: 1}.
Se tu potessi sentire Dio annunciare con voce udibile che sei Suo figlio, la considereresti una testimonianza sufficiente. Bene, quando Dio parla nella Sua Parola è come se parlasse con voce udibile: e la tua fede sarà l’evidenza che ascolti e credi.
Questa è una cosa così importante che è degna della massima considerazione. Leggiamo qualcosa di più rispetto a quanto è scritto. In primo luogo leggiamo che “voi tutti siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesú” {Galati 3: 26}. Questa è una conferma positiva su quanto dicevo a proposito della nostra incredulità nella testimonianza. La nostra fede ci rende figli di Dio. Ma come otteniamo questa fede? “La fede dunque viene dall’udire, e l’udire viene dalla parola di Dio” {Romani 10: 17}. Ma come possiamo ottenere fede nella Parola di Dio? Semplicemente credendo che Dio non è un bugiardo. Difficilmente gli daresti del bugiardo in faccia; ma questo è esattamente quello che fai se non credi alla Sua Parola. Tutto quello che devi fare per credere è: credere. “«La parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore». Questa è la parola della fede, che noi predichiamo; poiché se confessi con la tua bocca il Signore Gesú, e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato. Col cuore infatti si crede per ottenere giustizia e con la bocca si fa confessione, per ottenere salvezza, perché la Scrittura dice: «Chiunque crede in lui non sarà svergognato»” {Romani 10: 8-11}.
Tutto questo è in armonia con quanto scritto tramite Paolo: “Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pure soffriamo con lui per essere anche con lui glorificati” {Romani 8: 16-17}. Questo è lo Spirito che testimonia al nostro spirito, è il Consolatore che Gesù ha promesso {Giovanni 14: 16}. E noi sappiamo che la Sua testimonianza è vera perchè Egli è lo “Spirito della verità”. Ora, come reca testimonianza? Riportandoci alla mente la Parola scritta. È Egli che ispira queste parole {1 Corinti 2: 13; 2 Pietro 1: 21} e riportandocele alla mente è come se Egli ci parlasse direttamente. Lo Spirito espone la Scrittura alla nostra mente; noi sappiamo che la Scrittura è verace, perchè Dio non può mentire; possiamo quindi comandare a Satana di andarsene con la sua falsa testimonianza contro Dio, e crediamo a quello che è scritto, e se crediamo nella Scrittura, allora sappiamo d’essere figli di Dio e allora grideremo “Abba, Padre”. Allora la gioiosa verità splenderà pienamente nell’anima. Ripetendo queste parole, esse diventeranno una meravigliosa realtà in noi. Egli è nostro Padre; noi siamo i Suoi figli. Che gioia produce questo pensiero! Così, ci rendiamo conto che la testimonianza che abbiamo in noi stessi non è una semplice impressione o emozione. Dio non ci chiede di fidarci ad una testimonianza così poco attendibile quale può essere una nostra emozione. Le Scritture insegnano che chi confida nel proprio cuore è un folle. Ma la testimonianza nella quale dobbiamo porre la nostra fiducia è l’immutabile Parola di Dio, e questa testimonianza la possiamo ottenere solo attraverso lo Spirito nei nostri cuori. “Or sia ringraziato Dio per il suo dono ineffabile” {2 Corinzi 9: 15}.
Questa sicurezza però non dovrebbe portarci ad essere rilassati per quanto riguarda la nostra diligenza e renderci soddisfatti come se avessimo già ottenuto la perfezione. Dobbiamo ricordare che Cristo ci accetta non per il nostro interesse, ma per il Suo; non perché siamo perfetti, ma perchè in Lui possiamo diventarlo. Egli ci benedice non perchè siamo stati così buoni da meritarlo, ma perchè in questa benedizione risiede la forza che ci permette di allontanarci dalle nostre iniquità {Atti 3: 26}.
A tutti coloro che credono in Cristo, la potenza (per diritto o privilegio) è data per diventare figli di Dio {Giovanni 1: 12}. È attraverso “le preziose e grandissime promesse” di Dio, tramite Cristo, che noi siamo fatti “partecipi della natura divina” {2 Pietro 1: 4}.
Consideriamo ora brevemente l’applicazione pratica di alcune di queste Scritture.
La Bibbia afferma che “la giustizia di Dio è rivelata in esso [nell’evangelo di Cristo] di fede in fede, come sta scritto: «Il giusto vivrà per fede»” {Romani 1: 17}. Non c’è nulla che può illustrare l’opera della fede meglio degli esempi scritti per il nostro ammaestramento, “affinché mediante la perseveranza e la consolazione delle Scritture noi riteniamo la speranza” {Romani 15: 4}. Come primo testo esaminiamo un avvenimento riportato nel ventesimo capitolo del secondo libro delle Cronache.
“Dopo queste cose avvenne che i figli di Moab, i figli di Ammon ed altri con loro assieme agli Ammoniti vennero per combattere contro Giosafat. Cosí giunsero alcuni a informare Giosafat, dicendo: «Una grande moltitudine si è mossa contro di te da oltre il mare dalla Siria; ecco, essi, sono in Hatsatson-Thamar» (che è En-Ghedi)” {2 Cronache 20: 1-2}.
Il popolo si spaventò alla vista di questa grande armata, ma ebbero intelligenza sufficiente per radunarsi assieme; “Cosí quei di Giuda si radunarono per cercare aiuto dall’Eterno, e da tutte le città di Giuda venivano a cercare l’Eterno” {2 Cronache 20: 4}.
A tutto questo segue la preghiera di Giosafat, che era il capo della congregazione, essa è degna di uno studio speciale perchè fu una preghiera di fede, che conteneva il germe stesso della vittoria:
“Quindi Giosafat si levò in piedi in mezzo all’assemblea di Giuda e di Gerusalemme nella casa dell’Eterno davanti al cortile nuovo e disse: «O Eterno, Dio dei nostri padri, non sei tu il DIO che è nel cielo? Sí, tu domini su tutti i regni delle nazioni; nelle tue mani sono la forza e la potenza e non c’è nessuno che ti possa resistere” {2 Cronache 20: 5-6}.
Fu un modo eccellente di cominciare una preghiera. Essa inizia, infatti, col riconoscere il Dio che è nel Cielo. Allo stesso modo anche la preghiera modello [di Gesù] comincia dicendo: “Padre nostro che sei nei cieli” {Matteo 6: 9}. Cosa Significa? Che il Dio che è nel cielo, è il Creatore. Implica il riconoscere il Suo potere sopra tutti i regni del mondo e le potenze delle tenebre; il fatto che Egli, il Creatore, è in cielo dimostra che nelle Sue mani vi è potenza e forza tale che nessuno possa resistergli. Ecco perchè chi comincia la sua preghiera, nel momento del bisogno, con tale riconoscimento del potere di Dio ha sicuramente la vittoria a portata di mano. Ricorda che Giosafat non solo dichiarò la sua fede nella grande forza di Dio, ma la rivendicò come sua dicendo: “non sei tu il DIO che è nel cielo?”. Egli adempì le richieste della Scrittura: “chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che egli è il rimuneratore di quelli che lo cercano” {Ebrei 11: 6}.
Giosafat, di seguito, procede col racconto di come il Signore li fece stabilire in quella terra, ed anche di come non permise loro di invadere Moab e Ammon, nazioni che ora vengono a scacciarli dall’eredità che Dio gli aveva dato {2 Cronache 20: 7-11}. Alla fine, concluse: “O DIO nostro, non eseguirai tu il giudizio su di loro? Poiché noi siamo senza forza davanti a questa grande moltitudine che viene contro di noi; non sappiamo cosa fare, ma i nostri occhi sono su di te” {2 Cronache 20: 12}. Non fa nessuna differenza, per il Signore, l’aiutare i molti, o coloro che non hanno forza {2 Cronache 14: 11}; e dacché i Suoi occhi scorrono avanti e indietro per tutta la terra per mostrare la Sua forza verso quelli che hanno il cuore integro verso di Lui {2 Cronache 16: 9}, è conveniente per coloro che sono nel bisogno di confidare in Lui soltanto. La posizione presa da Giosafat e dal popolo era in armonia con l’esortazione apostolica, “tenendo gli occhi su Gesú, autore e compitore della nostra fede” {Ebrei 12: 2}. Egli è l’inizio e la fine, e tutta la potenza nel cielo e sulla terra e nelle Sue mani.
Quale fu il risultato? Il profeta del Signore venne con la potenza dello Spirito Santo e disse: “Ascoltate, voi tutti di Giuda, voi abitanti di Gerusalemme, e tu, o re Giosafat! Cosí vi dice l’Eterno: Non temete, non sgomentatevi a motivo di questa grande moltitudine, perché la battaglia non è vostra, ma di DIO” {2 Cronache 20: 15}. Dunque, arrivò l’ordine di uscire al mattino presto per incontrare il nemico, e avrebbero visto la salvezza del Signore, perché Egli sarebbe stato con loro.
Ora viene la parte più importante:
“La mattina seguente si alzarono presto e partirono per il deserto di Tekoa; mentre si mettevano in cammino, Giosafat, stando in piedi, disse: «Ascoltatemi, o Giuda e voi abitanti di Gerusalemme! Credete nell’Eterno, il vostro DIO e sarete saldi; credete nei suoi profeti e prospererete». Quindi, dopo essersi consigliato con il popolo, stabilí quelli che dovevano cantare all’Eterno e dovevano lodarlo per lo splendore della sua SANTITA’, mentre camminavano davanti all’esercito e dicevano: «Celebrate l’Eterno, perché la sua benignità dura in eterno»” {2 Cronache 20: 20-21}.
Sicuramente questo era uno strano modo di andare in battaglia. Pochissime armate sono andate alla battaglia con una simile avanguardia. Quale fu il risultato?
“Quando essi cominciarono a cantare e a lodare, l’Eterno tese un’imboscata contro i figli di Ammon e di Moab, e quelli del monte Seir che erano venuti contro Giuda, e rimasero sconfitti. I figli di Ammon e di Moab insorsero contro gli abitanti del monte Seir per votarli allo sterminio e distruggerli, quand’ebbero annientati gli abitanti di Seir, si aiutarono a distruggersi a vicenda. Cosí, quando quelli di Giuda giunsero sull’altura da cui si poteva osservare il deserto, si volsero verso la moltitudine, ed ecco, non c’erano che cadaveri distesi per terra; nessuno era scampato” {2 Cronache 20: 22-24}.
Qualsiasi armata, che si fosse recata in battaglia con la stessa avanguardia di quella di Giosafat, sarebbe stata sicura di ottenere la stessa vittoria. Non c’è molto da studiare sulla dinamica di questa vittoria della fede. Quando i nemici, che confidavano molto nella loro superiorità numerica, sentirono gli Israeliti avvicinarsi quel mattino cantando e gridando, a quale conclusione devono essere giunti? A nient’altro che gli Israeliti avevano ricevuto dei rinforzi tali da rendere vana ogni loro opposizione. Così, furono assaliti dal panico, e in ogni loro vicino vedevano un nemico.
Non ebbero ragione riguardo alle loro conclusioni? Certamente si, perché la Scrittura dice: “Quando essi cominciarono a cantare e a lodare, l’Eterno tese un’imboscata contro i figli di Ammon e di Moab, e quelli del monte Seir che erano venuti contro Giuda, e rimasero sconfitti”. L’esercito del Signore, nel quale avevano confidato Giosafat ed il suo popolo, lottò per loro. Ricevettero rinforzi, e senza dubbio, se i loro occhi fossero stati aperti per vederli, avrebbero visto, come fece il servo di Eliseo in un’occasione {2 Re 6: 16-17}, che quelli che erano con loro erano in numero maggiore di quello dei loro nemici.
Il particolare che dovrebbe essere maggiormente considerato è che: fu quando gli Israeliti cominciarono a cantare e a lodare, che il Signore tese un’imboscata contro il nemico. Che cosa significa? Significa che la loro era una fede vera. La promessa di Dio era considerata valida tanto quando il suo adempimento. Essi credettero nel Signore, o, più letteralmente, edificarono nel Signore, e così furono stabiliti, o edificati. Essi sperimentarono la veridicità delle parole: “questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” {1 Giovanni 5: 4}.
Applichiamo ora quest’illustrazione al caso del conflitto contro il peccato. Sopraggiunge una forte tentazione di compiere una cosa che si sa essere sbagliata. Abbiamo spesso provato, con dispiacere, il potere della tentazione, perché ci ha vinto, e da questo sappiamo di essere senza forza contro di essa. Ora però i nostri occhi sono sul Signore, che ci ha detto di andare con fiducia al trono della grazia, affinché possiamo trovare soccorso e grazia nel momento del bisogno {Ebrei 4: 16}. Così cominciamo a pregare Dio di aiutarci. Preghiamo quel Dio che la Bibbia ci rivela essere il Creatore del cielo e della terra. Cominciamo, non col mormorare sul nostro stato di debolezza, ma con un gioioso riconoscimento della maestosa potenza di Dio. Una cosa però è certa, se iniziamo con l’affermare la nostra condizione di difficoltà e di debolezza, se indulgiamo sulla nostra condizione disperata, poniamo noi stessi al di sopra di Dio. In questo caso Satana ingigantirà le difficoltà e getterà tutto intorno a noi le sue tenebre affinché non possiamo vedere altro che la nostra debolezza, in questo caso, anche se il nostro pianto e la nostra preghiera saranno ferventi ed agonizzanti, saranno invano, perché privi dell’elemento essenziale, che in pratica è il credere che Dio è, e che Egli è quello che ha rivelato di Essere. Quando invece cominciamo col riconoscere la potenza di Dio, allora possiamo tranquillamente dichiarare la nostra debolezza, perché in questo caso le stiamo semplicemente ponendo all’ombra della Sua potenza, e il riconoscere la nostra nullità al confronto della Sua grandezza non farà altro che aumentare il nostro coraggio.
Pregando, le promesse di Dio sono riportate alla nostra mente dallo Spirito Santo. Potrebbe essere che non ci sia una specifica promessa che si adatti al caso specifico; ma possiamo ricordare però che “questa parola è sicura e degna di essere pienamente accettata, che Cristo Gesú è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo” {1 Timoteo 1: 15}; e che “ha dato se stesso per i nostri peccati, per sottrarci dalla presente malvagia età secondo la volontà di Dio, nostro Padre” {Galati 1: 4}; e come possiamo vedere, questo racchiude in sé ogni promessa, perché “colui che non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà anche tutte le cose con lui?” {Romani 8: 32}.
Ricordiamo inoltre che Dio parla anche di tutte quelle cose che non sono tenute nella giusta considerazione. Vale a dire, che se Dio fa una promessa, è come se fosse già adempiuta. Di conseguenza, conoscendo che la nostra liberazione dal male è in accordo con la volontà di Dio {Galati 1: 4}, possiamo già ritenere come nostra la vittoria, e cominciamo allora a ringraziare Dio per le Sue “promesse preziose ed abbondanti”. Quando la nostra fede si aggrappa a queste promesse e le rende reali, non possiamo fare a meno di lodare Dio per il Suo meraviglioso amore; e nel fare questo le nostre menti sono distolte completamente dal male, e la vittoria è nostra. Il Signore tende un’imboscata contro al nemico. La nostra acclamazione di lode indica a Satana che abbiamo ricevuto dei rinforzi; e siccome egli ha già sperimentato la potenza dell’aiuto che c’è assicurata, sa in partenza che in quest’occasione non può nulla contro di noi, e se ne va. Questo è reso ancora meglio nell’invito apostolico: “Non siate in ansietà per cosa alcuna, ma in ogni cosa le vostre richieste siano rese note a Dio mediante preghiera e supplica, con ringraziamento” {Filippesi 4: 6}.
In modo molto pratico, seguendo un’altra linea delle Sacre Scritture, studieremo la potenza della fede che conduce alla vittoria. In primo luogo deve essere capito che il peccatore è uno schiavo. Cristo affermò: “In verità, in verità vi dico: chi fa il peccato è schiavo del peccato” {Giovanni 8: 34}. Anche Paolo, annoverando sé stesso fra coloro che non sono rinati, disse: “Infatti noi sappiamo che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto come schiavo al peccato” {Romani 7: 14}. Un uomo venduto è uno schiavo, di conseguenza l’uomo che è venduto al peccato è uno schiavo del peccato. Pietro fa notare la stessa cosa quando, parlando di corruzione e di falsi maestri, affermò: “Mentre promettono loro libertà, essi stessi sono schiavi della corruzione, perché uno diventa schiavo di ciò che lo ha vinto” {2 Pietro 2: 19}.
La caratteristica principale di uno schiavo, è che non può fare quello che gli piace, ma è costretto a sottostare alla volontà di qualcun altro, non importa quanto ripugnante possa risultargli. Paolo stesso sperimentò questa verità, e affermò che, nella carne, era schiavo del peccato. “Giacché non capisco quello che faccio, perché non faccio quello che vorrei, ma faccio quello che odio. Quindi non sono più io ad agire, ma è il peccato che abita in me.Infatti io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene, poiché ben si trova in me la volontà di fare il bene, ma io non trovo il modo di compierlo. Infatti il bene che io voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio” {Romani 7: 15, 17-19}.
La capacità del peccato di controllare le persone è una prova che l’uomo ne è uno schiavo; e nonostante il fatto che chiunque commetta peccato è servitore d’esso, la sua condizione di schiavitù diventa ancora più insopportabile quando c’è in lui un desiderio di libertà, che però rimane inappagato vista l’impossibilità per lui di spezzare le catene che lo legano ad esso. L’incapacità, per colui che non è rinato, di compiere perfino un’opera buona che vorrebbe fare, è dimostrata anche in {Romani 8: 7-8} e in {Galati 5: 17}.
Quante persone hanno sperimentato nella loro vita la verità di queste Scritture?! Quanti hanno provato e riprovato, ma tutti i loro sforzi più sinceri, di fronte alla tentazione si sono rivelati altrettanti buchi nell’acqua. Sono senza forza, e non sanno cosa fare; e sfortunatamente i loro occhi, invece d’essere fissi su Dio, lo sono su loro stessi e sul nemico. È vero che la loro esperienza era una continua lotta contro il peccato, ma è anche vero che la loro era una costante sconfitta.
Possiamo definirla come una vera esperienza cristiana? Ci sono alcuni che credono che lo sia. Allora perché l’apostolo, dalla distretta della sua anima, gridò, “o miserabile uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” {Romani 7: 24}. È veramente un’esperienza cristiana vivere in un corpo di morte talmente terribile che l’anima è costretta a gridare per la liberazione? No! Sicuramente No!
Ancora una volta, chi è quel Colui che risponde al sincero appello, e rivela Sé stesso come il Liberatore? L’apostolo afferma, “ringraziato sia Dio, attraverso Gesù cristo nostro Signore” {Romani 7: 25}. E in un’altra occasione afferma di Cristo:
“Poiché dunque i figli hanno in comune la carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose, per distruggere, mediante la sua morte, colui che ha l’impero della morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la loro vita” {Ebrei 2: 14-15}.
Di nuovo, Cristo proclama la Sua missione:
“Lo Spirito del Signore, l’Eterno, è su di me, perché l’Eterno mi ha unto per recare la buona novella agli umili; mi ha inviato a fasciare quelli dal cuore rotto, a proclamare la libertà a quelli in cattività, l’apertura del carcere ai prigionieri” {Isaia 61: 1}.
Quale sia questa cattività e prigionia lo abbiamo già visto, è la sottomissione al peccato, una schiavitù che ci costringe al peccato anche contro la nostra volontà; tutto questo avviene dalla propensione alle cattive abitudini acquisite per eredità. Ci guiderà Cristo in una simile esperienza? Certamente No. Dunque, la schiavitù del peccato, descritta dall’apostolo nel settimo capitolo di Romani, non è l’esperienza di un figlio di Dio, ma quella di un servo del peccato. Cristo venne per liberare l’uomo da questa cattività; non ci libera, in questa vita, da lotte e dolori, ma dalla sconfitta; ci rende capaci di rafforzarci nel Signore e nella potenza della Sua forza, affinché possiamo rendere grazie al Padre “che ci ha liberati dal potere delle tenebre, e ci ha condotti nel regno del suo amato Figlio”, attraverso il cui sangue abbiamo la redenzione.
Com’è resa possibile questa liberazione? Attraverso il Figlio di Dio. Cristo afferma: “Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” {Giovanni 8: 31-32, 36}. Questa libertà è data a tutti coloro che credono; perché a colui che crede nel Suo nome, Egli dà la “forza di diventare figlio di Dio”. La liberazione dalla condanna è su coloro che sono in Cristo Gesù {Romani 8: 1}; andiamo a Cristo per fede {Galati 3: 26-27}. È per fede che Cristo dimora nei nostri cuori.
Esaminiamo adesso alcune illustrazioni sulla potenza della fede applicata alla liberazione dalla schiavitù. Menzioneremo {Luca 13: 10-17}:
“Or egli insegnava in una delle sinagoghe in giorno di sabato. Ed ecco vi era una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, ed era tutta curva e non poteva in alcun modo raddrizzarsi. Or Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: ‘Donna, tu sei liberata dalla tua infermità’. E pose le mani su di lei ed ella fu subito raddrizzata, e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse guarito in giorno di sabato, si rivolse alla folla e disse: ‘Vi sono sei giorni in cui si deve lavorare: venite dunque in quelli a farvi guarire e non in giorno di sabato’. Allora il Signore gli rispose e disse: ‘Ipocriti! Ciascun di voi non slega forse di sabato dalla mangiatoia, il suo bue o il suo asino per condurlo a bere? Non doveva quindi essere sciolta da questo legame, in giorno di sabato, costei che è figlia d’Abramo e che Satana aveva tenuta legata per ben diciotto anni?’. Mentre egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari erano svergognati; tutta la folla invece si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute”.
Sorvoliamo sull’ipocrisia evidenziata dalla classe dirigente, e consideriamo il miracolo. La donna era prigioniera; allo stesso modo anche noi, a causa della nostra paura della morte, siamo per tutta la vita soggetti alla schiavitù. Satana imprigionò la donna; Satana ha altresì teso delle trappole al nostro piede, e ci ha ridotto in cattività. Ella non poteva in alcun modo risollevarsi dal suo stato; le nostre iniquità ci hanno talmente oppresso da toglierci ogni possibilità di guardare in alto {Salmo 40: 12}. Con un tocco ed una parola, Cristo liberò la donna dalle sue infermità; adesso, in cielo, noi abbiamo lo stesso misericordioso Sommo Sacerdote, il quale, mosso dal sentimento delle nostre infermità, con la stessa parola usata per la donna, può liberare anche noi dal male.
Per quale motivo fu registrato il miracolo di questa guarigione operato da Gesù? Lo spiega Giovanni. Non fu semplicemente per dimostrare che Egli poteva guarire i malati, ma per dimostrarci il Suo potere contro il peccato. Vedi anche {Matteo 9: 2-8}.
“Or Gesù fece ancora molti altri segni in presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro. Ma queste cose sono state scritte, affinché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” {Giovanni 20: 30-31}.
Noi vediamo che questi fatti sono stati scritti come lezioni oggettive dell’amore di Cristo. della Sua volontà di recare sollievo, e del Suo potere sulle opere di Satana, sia nel corpo sia nell’anima. Sarà sufficiente citare un ulteriore miracolo per la comprensione di questa verità. Lo troviamo nel terzo capitolo degli Atti. Non trascriverò l’intero racconto, ma raccomando il lettore di seguirlo bene con la sua Bibbia.
Pietro e Giovanni videro, alla porta del tempio, un uomo che poteva avere oltre quarant’anni e che era zoppo fin dalla nascita. Non aveva mai camminato. Era un mendicante, e Pietro, ispirato dallo Spirito Santo, gli donò qualcosa migliore perfino dell’oro e dell’argento. Gli disse: “Nel nome di Gesù Cristo il Nazzareno, alzati e cammina! E, presolo per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante i suoi piedi e le sue cavialie si rafforzarono. E con un balzo si rizzò in piedi e si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio” {Atti 3: 6-8}.
Questo miracolo, eseguito alla presenza di molti e su di una persona che tutti conoscevano, generò una grande eccitazione tra la folla, e quando Pietro si avvide del loro stupore, s’affrettò a spiegare com’era stato possibile operare la guarigione con le seguenti parole: “Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo? O perché fissate su di noi gli occhi come se per la nostra potenza o pietà avessimo fatto camminare costui? Il Dio d’Abramo, d’Isacco, e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo Figlio Gesù che voi consegnaste nelle mani di Pilato e rinnegaste davanti a lui, nonostante egli avesse deciso di liberarlo. Ma voi rinnegaste il Santo, il Giusto, e chiedeste che vi fosse dato un assassino, e uccideste l’autore della vita, che Dio ha risuscitato dai morti e del quale noi siamo testimoni! E per la fede nel nome di Gesù, quest’uomo che voi vedete e conoscete è stato fortificato dal suo nome; e la fede, che si ha per mezzo suo, gli ha dato la completa guarigione delle membra, in presenza di tutti voi” {Atti 3: 12-16}.
Applichiamo il racconto al nostro studio. “L’uomo era zoppo fin dal grembo di sua madre”, incapace di sovvenire alle sue necessità. Sarebbe stato veramente felice di camminare, ma non poteva farlo. Anche noi siamo nelle sue stesse condizioni, e assieme a Davide possiamo esclamare: “Ecco, io sono stato formato nell’iniquità, e mia madre mi ha concepito nel peccato” {Salmo 51: 5}. Di conseguenza, siamo per natura così deboli, che non possiamo fare le cose che vorremmo. Ogni anno di vita trascorso significava, per lo zoppo, un ulteriore indebolimento della sua capacità motoria; allo stesso modo la pratica ripetuta del peccato protratta nel tempo, rafforza il suo potere su di noi. La sua era una reale impossibilità di camminare; però, il Nome di Cristo, accettato per fede, gli dette la perfetta cognizione della liberazione dalla sua infermità. Anche noi, tramite la fede che proviene da Lui, possiamo essere resi completi, e capaci di fare cose che fino ad ora erano impossibili per noi. Perché le cose che sono impossibili per l’uomo, sono possibili per Dio {Matteo 19: 26}. Egli è il Creatore. Egli dona forza a coloro che non ce l’hanno {Isaia 40: 29}.
Da queste affermazioni abbiamo visto come Dio libera dalla schiavitù del peccato quelli che si fidano di Lui. Consideriamo ora come questa libertà può essere ottenuta.
Finora abbiamo visto che per natura siamo tutti servi del peccato e di Satana, e che quanto prima ci sottomettiamo a Cristo, tanto prima saremo sottratti dal controllo dii Satana. Paolo afferma: “Non sapete voi che a chiunque vi offrite come servi per ubbidirgli. siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia?” {Romani 6: 16}. Quindi, quanto prima diveniamo liberi dalla prigionia del peccato, tanto prima diveniamo servi di Cristo. Dunque, l’essere sottratti dalla potenza del peccato, quale risposta alla nostra fede, è la prova della nostra accettazione da parte di Dio come Suoi servitori. Diveniamo così, servitori di Cristo; ma colui che è servitore di Cristo è anche un uomo libero, perché siamo chiamati alla libertà {Galati 5: 13}, e dove c’è lo Spirito di Dio, c’è libertà {2 corinti 3: 17}.
A questo punto ricomincia la lotta. Satana non è disposto a rinunciare così facilmente ai suoi schiavi. Egli viene, armato con la frusta delle terribili tentazioni, per ricondurci nuovamente al suo servizio. Sappiamo, per triste esperienza, che egli è più forte di noi, e che senza aiuto non gli possiamo resistere. Però abbiamo il terrore del suo potere, e gridiamo per ricevere aiuto. Quindi ci ricordiamo che non siamo più servitori di Satana. Ci siamo sottomessi a Dio ed Egli ci ha accettati come Suoi servitori. Così possiamo esclamare assieme al Salmista: “lo sono veramente il tuo servo, o Eterno, sono il tuo servo, il figlio della tua serva; tu hai sciolto i miei legami” {Salmo 116: 16}. Il fatto che Dio abbia disperso i legami che Satana aveva gettato attorno a noi, ed Egli lo fa davvero se noi crediamo che è in grado di farlo, evidenzia anche che sarà proprio Dio a proteggerci, perché Egli si prende cura di quelli che Gli appartengono, ed abbiamo la sicurezza che chi ha iniziato una buon’opera in noi, “la porterà a compimento fino al giorno di Cristo” {Filippesi 1: 6}. Possiamo fortificarci su questa certezza.
Ancora, se noi abbiamo donato noi stessi ad essere servi di Dio, noi lo siamo veramente, o, in altre parole, diveniamo strumenti di giustizia nelle Sue mani {Romani 6: 13-16}. Noi non siamo come gli strumenti che usa l’agricoltore, inerti, senza vita e senza sensi, che non possono esprimersi sul come venire adoperati, ma siamo strumenti vivi, intelligenti e ai quali è permesso di scegliere il proprio destino. Il termine “strumento” significa “attrezzo”, qualcosa che è completamente sotto il controllo dell’artigiano. La differenza fra noi e l’attrezzo di un meccanico e che noi possiamo scegliere come essere usati, e per quale tipo di servizio essere impiegati; ma una volta fatta la scelta, e posto noi stessi nelle mani dell’Artigiano, dobbiamo essere completamente nella Sua mano così come lo è l’attrezzo, il quale non ha voce in capitolo sul come essere impiegato. Quando ci abbandoniamo a Dio, dobbiamo essere nelle Sue mani come l’argilla lo è in quelle del Vasaio, affinché Egli faccia di noi quello che Gli piace. L’unica cosa che ci è concessa è la decisione se lasciargli o no operare in noi quello ciò è buono.
Questa idea di essere strumenti nelle mani di Dio, se tenacemente accettata, sarà un aiuto magnifico nella vittoria della fede. È da notare che quello che uno strumento fa, dipende interamente dalla persona che lo usa. In questo caso, per esempio, è un oggetto inanimato. Ha abbastanza innocenza in sé stesso e perciò può essere usato sia per propositi indegni che per cose utili. Se si troverà nelle mani di una persona con un cattivo scopo, potrebbe essere usato per fabbricare monete false. Non sarà certamente usato per un buon proposito. Se si troverà invece nelle mani di una persona elevata e virtuosa, non potrà fare niente di male. Allo stesso modo, quando eravamo servi di Satana, non facevamo alcun bene {Romani 6: 20}; ma ora che abbiamo abbandonato noi stessi nelle mani di Dio, sappiamo che non c’è ingiustizia in Lui, e quindi uno strumento nelle Sue mani non potrà essere usato per alcun proposito malvagio. L’abbandono a Dio deve essere così completo come lo fu in precedenza per Satana; a questo riguardo l’apostolo afferma:
“lo parlo in termini umani per la debolezza della vostra cerne. Perché, come un tempo prestaste le vostre membra per essere serve dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così ora prestate le vostre membra per essere serve della giustizia, per la santificazione” {Romani 6: 19}.
Il vero segreto della vittoria è racchiuso in due cose: primo, abbandonarsi totalmente a Dio, e desiderare sinceramente di compiere la Sua volontà; secondo, avere la consapevolezza che quando ci abbandoniamo a Lui, Egli ci accetta come Suoi servitori; e poi, rimanere sottomessi a Lui e lasciare noi stessi nelle Sue mani. Spesso la vittoria può essere raggiunta ripetendo semplicemente e continuamente: “O Signore, sono veramente il tuo servitore; sono tuo servitore, e il figlio della Tua mano; tu hai disperso le mie catene” {Salmi 115:16}. Questo è semplicemente un modo enfatico per dire: “O signore, ho abbandonato me stesso nelle Tue mani come uno strumento di giustizia; sia fatta la Tua volontà, e non i dettami della mia carne”. Ma quando realizziamo la potenza di queste Scritture e ci rendiamo conto di essere servi di Dio, un pensiero si affaccerà immediatamente alla nostra mente: “Bene, se sono uno strumento nelle mani di Dio, Egli non mi può usare per fare il male, né me lo può permettere fino a quando rimarrò nelle Sue mani. Se sono preservato dal male, è grazie a Lui, poiché non sono in grado di resistere al maligno con le mie forze Egli vuole preservarmi dal male; questo è il desiderio che ha dimostrato di avere, e dando la Sua vita per me ha anche dimostrato di avere il potere necessario per adempierlo. Dunque, sarò preservato dal male”.
Tutti questi pensieri possono passare in un momento nella nostra mente, ma è necessario che siano accompagnati dal sentimento di gioia dovuto alla certezza che siamo preservati dal male. Naturalmente questa gioia si esprime in lodi di ringraziamento a Dio, e in questi momenti il nemico, con le sue tentazioni, si ritira, e la pace di Dio riempirà il cuore. Ora possiamo sperimentare che la gioia del credere sorpassa di molto qualsiasi gioia che possa scaturire dall’indulgere nel peccato.
Tutto questo è una dimostrazione delle parole di Paolo: “annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Cosi non sia; anzi stabiliamo la legge” {Romani 3: 31}. “Annullare” la legge non significa abolirla; perché nessun uomo può abolire la legge di Dio, il salmista però dice in che modo essa è stata annullata {Salmo 119: 126}. Un uomo può annullare la legge di Dio solamente quando dice che essa non ha più alcun potere sulla sua vita; ma la legge in sé stessa rimane immutabile, che sia osservata oppure no. Annullarla porterà conseguenze soltanto all’individuo.
Dunque, quando l’apostolo afferma che tramite la fede noi non annulliamo la legge di Dio ma che, al contrario, la stabiliamo, intende dire che la fede non ci conduce alla disobbedienza, ma all’obbedienza. E no, non possiamo dire che la fede ci conduce all’obbedienza, ma è la fede stessa ad obbedire. La fede rafforza la legge nel cuore. “La fede è certezza di cose che si sperano” {Ebrei 11: 1}. Se quello che si spera è la giustizia, essa sarà stabilita nel cuore dalla fede. La fede non conduce all’antinomianismo, ma all’unica cosa contraria ad esso. Non importa quanto una persona si vanti nella legge di Dio; se egli rigetta o ignora implicitamente la fede in Cristo, non è in una condizione migliore di colui che aggredisce la legge. L’uomo di fede è colui il quale onora sinceramente la legge di Dio. Senza fede è impossibile piacere a Dio {Ebrei 11: 6}; con essa, ogni cosa è possibile {Marco 9: 23}.
Si, la fede opera l’impossibile, ed è proprio questo che Dio ci richiede. Quando Giosuè disse ad Israele, “Non potete servire il Signore” {Giosuè 24: 19}, disse la verità, anche se rimane il fatto che Dio abbia richiesto loro di servirlo. Non è nel potere dell’uomo produrre giustizia, anche se volesse {Galati 5: 17}; dunque è sbagliato affermare che tutto quello che Dio desidera da noi è che facciamo del nostro meglio. Colui che non opera al meglio delle sue possibilità non compie la volontà di Dio? No, egli deve fare il meglio del meglio che può fare. Egli deve fare ciò che solamente la potenza di Dio in lui può fare. È impossibile per l’uomo camminare sulle acque, ma Pietro ci riuscì quando esercitò la fede in Gesù.
Dal momento che tutta la potenza nei cieli è nelle mani di Cristo, e questo potere è a nostra disposizione, e che Cristo stesso viene ad abitare nei cuori per fede, non c’è motivo di colpevolizzare Dio se ci chiede l’impossibile; perché “le cose impossibili agli uomini, sono possibili a Dio” {Luca 18: 27}. Dunque, possiamo dire con fiducia: “Il Signore è il mio aiuto, e io non temerò. Che cosa mi potrà fare l’uomo?” {Ebrei 13: 6}.
Allora “chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà l’afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati. Infatti, io sono persuaso che né morte, né vita né angeli né principati né potenze né cose presenti né cose future, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” {Romani 8: 35-39}.
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