Educazione – Ellen G. White

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EDUCAZIONE

Ellen G. White

 

PREFAZIONE

È raro che un libro dedicato al tema dell’educazione sia letto in modo così ampio o che resista così bene alla prova dei tempi che cambiano come il presente lavoro che appare in questa nuova veste divulgativa.

I principi fondamentali chiaramente esposti in questo volume lo hanno reso per molti decenni il manuale di decine di migliaia di genitori e insegnanti. Ora, per accrescere ulteriormente la sua già ampia distribuzione di lettura, è stato pubblicato come uno dei volumi della Christian Home Library, ma senza modifiche nella formulazione e nell’impaginazione.

Ogni persona deve affrontare le realtà pratiche della vita – le sue opportunità, le sue responsabilità, le sue sconfitte e i suoi successi. Il modo in cui affronterà queste esperienze, se diventerà padrone o vittima delle circostanze, dipende in gran parte dalla sua preparazione ad affrontarle, la sua educazione.

La vera educazione è ben definita come lo sviluppo armonioso di tutte le facoltà, una preparazione completa e adeguata per questa vita e per la futura vita eterna. È nei primi anni di vita a casa e nel lavoro formale scolastico che si sviluppa la mente, si stabilisce un modello di vita e si forma il carattere. Discernendo acutamente i valori relativi e duraturi di ciò che costituisce la vera educazione nel suo senso più ampio, l’autore di questo libro indica la strada per la loro realizzazione.

Un’educazione in cui le facoltà mentali sono adeguatamente sviluppate, è chiaramente delineata. Un’educazione in cui le mani sono abili in mestieri utili, che riconosca Dio come fonte di ogni saggezza e comprensione, è vivamente raccomandata.

L’obiettivo che ha motivato l’autrice nei suoi ampi scritti sul tema dell’educazione è stato quello di far sì che i giovani alle soglie della vita siano pronti a prendere il loro posto come buoni cittadini, ben preparati per le esperienze pratiche della vita, pienamente sviluppati fisicamente, timorati di Dio, con un carattere integro e un cuore fedele ai principi.

Il presente volume è l’opera principale di questo gruppo di scritti in cui sono presenti i principi essenziali per la comprensione di coloro che guidano i giovani a casa e a scuola. La scrittrice di queste pagine era un’amica di giovani uomini e donne. Per molti anni è stata a stretto contatto con le istituzioni di formazione, conosceva bene i problemi dei giovani che si preparano alla vita.

Soprattutto, era dotata di una conoscenza e di un’abilità più che normali come scrittrice ed oratrice. Si tratta di grandi principi guida e non di dettagli del programma di studi o di meriti dei diversi sistemi educativi, l’influenza di questo volume è stata mondiale, con edizioni pubblicate in alcune delle principali lingue di altri continenti. Si auspica che questa nuova stampa possa diffondere ancora di più i grandi principi dell’educazione del carattere, è questa l’ardente speranza degli editori.

 

Primi principi

 

“Noi tutti, a viso scoperto, contemplando come uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria”.

 

 

CAPITOLO 1 – FONTE E SCOPO DELLA VERA EDUCAZIONE

“La conoscenza del Santo è comprensione di Lui”.

Le nostre idee sull’educazione sono troppo ristrette e troppo limitate. C’è bisogno di una visione più ampia, di uno scopo più elevato. La vera educazione consiste, più che seguire un certo corso di studi, in una preparazione alla vita attuale. Abbraccia l’intero essere e riguarda l’intero periodo di esistenza dell’uomo. È lo sviluppo armonioso dei poteri fisici, mentali e spirituali. Prepara lo studente alla gioia del servizio in questo mondo e alla gioia più alta di un servizio più ampio nel mondo avvenire. La fonte di una tale educazione è visibile in queste parole della Sacra Scrittura, che indicano l’Infinito: in Lui “in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” {Colossesi 2: 3}. “A lui appartengono il consiglio e l’intendimento” {Giobbe 12: 13}.

Il mondo ha avuto i suoi grandi maestri, uomini dall’intelletto gigantesco, uomini che con le loro parole hanno stimolato il pensiero e hanno aperto vasti campi di conoscenza, sono stati onorati come guide e benefattori della loro razza; ma c’è Uno che si erge più in alto di loro. Possiamo rintracciare la linea dei maestri del mondo fino a dove si estende la documentazione umana; ma la Luce era prima di loro. Come la luna e le stelle del nostro sistema solare brillano grazie alla luce riflessa del Sole, così, nella misura in cui il loro insegnamento è veritiero, i grandi pensatori del mondo riflettono i raggi del Sole di Giustizia. Ogni bagliore del pensiero, ogni lampo dell’intelletto, proviene dalla Luce del mondo. In questi giorni si parla molto della natura e dell’importanza dell'”istruzione superiore”. La vera “preparazione superiore” è quella impartita da Colui presso il quale “risiedono la sapienza e la forza” {Giobbe 12: 13}, dalla cui bocca “procedono la conoscenza e l’intendimento” {Proverbi 2: 6}.

Nella conoscenza di Dio hanno origine tutta la vera conoscenza e il vero sviluppo. Ovunque ci si rivolga, nel regno fisico, mentale o spirituale, in qualsiasi cosa si osservi, al di là della rovina del peccato, questa conoscenza si rivela. Qualunque sia la linea di indagine, con il sincero proposito di arrivare alla verità, siamo messi in contatto con l’Intelligenza invisibile e potente che opera in tutti e attraverso tutti. La mente dell’uomo viene messa in comunione con la mente di Dio. Il finito con l’Infinito. L’effetto di tale comunione sul corpo, sulla mente e sull’anima è al di là di ogni previsione. In questa comunione si trova la più alta educazione. È il metodo di sviluppo di Dio. “Riconciliati dunque con Dio e sarai al sicuro; così avrai benessere” {Giobbe 22: 21} è il Suo messaggio all’umanità. Il metodo delineato in queste parole è il metodo seguito nell’educazione del padre della nostra razza. Quando Adamo, nella gloria della virilità senza peccato, si trovava nel sacro Eden, fu così che Dio lo istruì.

Per capire come comprendere l’opera di educazione, dobbiamo considerare sia la natura dell’uomo sia lo scopo di Dio nel crearlo. Dobbiamo anche considerare il cambiamento della condizione dell’uomo con la conoscenza del male, e il piano di Dio per realizzare ancora il Suo glorioso proposito nell’educazione della razza umana. Quando Adamo uscì dalla mano del Creatore, portava, nella sua natura fisica, mentale e spirituale, una somiglianza con il Suo Creatore. “Così DIO creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di DIO; li creò maschio e femmina” {Genesi 1: 27}, ed era Suo scopo che, più a lungo l’uomo vivesse, più pienamente rivelasse questa immagine, cioè che riflettesse più pienamente la gloria del Creatore. Tutte le sue facoltà erano in grado di svilupparsi; la sua capacità e il vigore dovevano continuamente aumentare. Vasto era l’ambito offerto per il loro esercizio, glorioso il campo aperto alla loro ricerca. I misteri dell’Universo visibile, “le meraviglie di colui che sa tutto” {Giobbe 37: 16} invitavano allo studio l’uomo. La comunione faccia a faccia, cuore a cuore, con il Creatore è stato il suo grande privilegio. Se fosse rimasto fedele a Dio, tutto questo sarebbe stato per sempre. Nel corso dei secoli eterni avrebbe continuato a guadagnare nuovi tesori di conoscenza, a scoprire nuove sorgenti di felicità, e ad ottenere concezioni sempre più chiare della saggezza, della potenza e dell’amore di Dio. Sempre più pienamente Adamo avrebbe realizzato lo scopo della Sua creazione, avrebbe riflesso sempre più pienamente la gloria del Creatore. Ma con la disobbedienza tutto questo è venuto meno.

Con il peccato la somiglianza divina è stata rovinata e quasi cancellata. L’uomo era indebolito nei suoi poteri fisici, la sua capacità mentale era ridotta, la sua visione spirituale era offuscata. Era diventato soggetto alla morte. Eppure, la razza umana non è rimasta senza speranza. Per amore e misericordia infinita, il piano della salvezza gli ha concesso una vita di prova. Ripristinare nell’uomo l’immagine del suo Creatore, riportarlo alla perfezione in cui è stato creato, promuovere lo sviluppo del corpo, della mente, affinché si realizzasse il proposito divino della Sua creazione: questa doveva essere l’opera della redenzione. Questo è l’oggetto dell’educazione, il grande obiettivo della vita. L’amore, base della creazione e della redenzione, è fulcro della vera educazione. Questo è evidente nella legge che Dio ha dato come guida della vita. Il primo e grande comandamento è: “«Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente»” {Luca 10: 27}.

Amare Lui, l’infinito, l’Onnisciente, con tutta la forza, la mente e il cuore, significa il massimo sviluppo di ogni facoltà. Significa che in tutto l’essere – il corpo, la mente e l’anima – deve essere ripristinata l’immagine di Dio. Come il primo, è anche il secondo comandamento: “Ama il tuo prossimo come te stesso” {Matteo 22: 39}. La legge dell’amore richiede la dedizione del corpo, della mente e dell’anima al servizio di Dio e del prossimo. E questo servizio, oltre a renderci una benedizione per gli altri, porta la più grande benedizione a noi stessi. L’altruismo è alla base di ogni vero sviluppo.

Attraverso il servizio altruistico riceviamo la formazione più alta per ogni facoltà. Diventiamo sempre più ripieni della natura divina. Siamo pronti per il Cielo, perché riceviamo il Cielo nel nostro cuore. Dio è la fonte di ogni vera conoscenza, e, come abbiamo visto, il primo obiettivo dell’educazione è quello di indirizzare le nostre menti verso la rivelazione di Sé stesso. Adamo ed Eva ricevettero la conoscenza attraverso la comunione diretta con Dio; e impararono a conoscerlo attraverso le Sue opere. Tutte le cose create, nella loro perfezione originaria, erano un’espressione del pensiero di Dio. Per Adamo ed Eva la natura era brulicante di sapienza divina. Ma con la trasgressione, l’uomo è stato tagliato fuori dall’apprendimento di Dio attraverso la comunione diretta e, in larga misura, attraverso le Sue opere. La Terra, rovinata e deturpata dal peccato, riflette solo debolmente la gloria del Creatore. È vero che i Suoi insegnamenti non sono cancellati.

Su ogni pagina del grande volume delle Sue opere create può essere ancora visibile la Sua scrittura. La natura parla ancora del Suo Creatore. Ma queste rivelazioni sono parziali e imperfette. E nel nostro stato decaduto, con poteri indeboliti e visione limitata, siamo incapaci di interpretare correttamente. Abbiamo bisogno della rivelazione più completa che Dio ha dato nella Sua Parola scritta. Le Sacre Scritture sono lo standard perfetto della verità e, in quanto tali, devono occupare il posto più alto nell’educazione. Per ottenere un’educazione degna di questo nome, dobbiamo ricevere una conoscenza di Dio Creatore e di Cristo Redentore, così come sono rivelati nella Sacra Parola. Ogni essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, è dotato di una facoltà simile a quella del Creatore: l’individualità, la capacità di pensare e di fare. Gli uomini in cui questa facoltà si sviluppa, sono persone di grande responsabilità, che influenzano positivamente il carattere dei loro simili. Il lavoro della vera educazione è quello di sviluppare questo potere, formare i giovani ad essere pensatori e non semplici riflettori del pensiero altrui. Invece di limitare il loro studio a ciò che gli uomini hanno detto o scritto, gli studenti devono essere indirizzati verso le fonti della verità, verso i vasti campi aperti alla ricerca nella natura e nella rivelazione. Lasciate che contemplino i grandi fatti del dovere e del destino, e la mente si espanderà e si rafforzerà.

Invece di educare dei deboli, le istituzioni di apprendimento possono preparare uomini forti nel pensare e nell’agire, uomini che siano padroni e non schiavi delle circostanze, che possiedono apertura mentale, chiarezza di pensiero e coraggio delle loro convinzioni. Un’educazione di questo tipo non si limita alla disciplina mentale, ma va oltre l’allenamento fisico. Rafforza il carattere, in modo che la verità e la rettitudine non siano sacrificate al desiderio egoistico o all’ambizione mondana. Fortifica la mente contro il male. Per far sì che una grande passione non diventi un potere distruttivo, ogni motivazione e desiderio vengono resi conformi ai grandi principi del bene. Quando ci si sofferma sulla perfezione del Suo carattere, la mente si rinnova e l’anima viene ricreata ad immagine di Dio. Quale educazione può essere più alta di questa? Cosa può eguagliarla in valore?

“Non la si ottiene in cambio d’oro raffinato né la si compra a peso d’argento. Non la si acquista con l’oro di Ofir, con l’onice prezioso o con lo zaffiro. L’oro e il cristallo non la possono uguagliare né si scambia per vasi d’oro fino. Il corallo e il cristallo non meritano neppure di essere nominati; il valore della sapienza val più delle perle” {Giobbe 28: 15-18}.

Più alto di quanto il pensiero umano possa raggiungere, è l’ideale di Dio per i Suoi figli. La divinità – la somiglianza con Dio – è la meta da raggiungere. Davanti allo studente si apre un cammino di continuo progresso. Egli ha un obbiettivo da raggiungere che include tutto ciò che è buono, puro e nobile. Avanzerà il più velocemente e il più lontano possibile in ogni ramo della vera conoscenza. E i suoi sforzi saranno focalizzati su obbiettivi molto più alti dei meri interessi egoistici e temporali, come i Cieli sono più alti della Terra. Chi coopera con il proposito divino di impartire ai giovani la conoscenza di Dio e di plasmare il carattere in armonia con Lui, compie un’opera alta e nobile. Quando risveglia il desiderio di raggiungere l’ideale di Dio, presenta un’educazione alta come il Cielo e ampia come l’Universo; un’educazione che non può essere completata in questa vita, ma che sarà perfezionata nella vita futura; un’educazione che garantisce allo studente di successo il suo passaporto, dalla scuola preparatoria della Terra al grado superiore, la scuola del Cielo.

 

 

CAPITOLO 2 – LA SCUOLA DELL’EDEN

“Felice l’uomo che trova la saggezza”.

Il sistema di educazione istituito all’inizio del mondo doveva essere un modello per l’uomo in tutti i secoli. Per illustrarne i principi, fu istituita nell’Eden, la casa dei nostri primi genitori una scuola modello. Il giardino dell’Eden era l’aula scolastica, la natura era il libro di testo, il Creatore stesso era l’insegnante e i genitori della famiglia umana erano gli studenti. Creati per essere “l’immagine e la gloria di Dio” {1 Corinzi 11: 7}, Adamo ed Eva avevano ricevuto dotazioni non indegne del loro alto destino. Di forma aggraziata e simmetrica, con lineamenti regolari e bellissimi, i loro volti risplendevano il colorito della salute e della luce della gioia e della speranza, avevano una somiglianza esteriore con il loro Creatore. Questa somiglianza non si manifestava solo nella natura fisica. Ogni facoltà della mente e dell’anima rifletteva la gloria del Creatore. Dotati di alti doni mentali e spirituali, Adamo ed Eva furono creati “per un po’ di tempo inferiori agli angeli” {Ebrei 2: 7}, perché potessero, non solo discernere le meraviglie dell’universo visibile, ma comprenderne anche le responsabilità e gli obblighi morali.

“Poi l’Eterno DIO piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato. E l’Eterno DIO fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e i cui frutti erano buoni da mangiare; in mezzo al giardino vi erano anche l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male” {Genesi 2: 8-9}. Qui, tra le belle scene della natura incontaminata dal peccato, i nostri primi genitori ricevettero la loro educazione. Nell’interesse per i Suoi figli, il Padre celeste ha diretto personalmente la loro educazione. Spesso venivano visitati dai Suoi messaggeri, i santi angeli, e da loro ricevevano consigli e istruzioni. Frequentemente, mentre camminavano nel giardino al fresco del giorno, sentivano la voce di Dio e si trovavano faccia a faccia con l’Eterno. I Suoi pensieri verso di loro erano “pensieri di pace e non di male” {Geremia 29: 11}.

Ogni Suo proposito era per il loro massimo bene. Ad Adamo ed Eva fu affidata la gestione del giardino, “perché lo lavorasse e lo custodisse” {Genesi 2: 15}. Pur essendo ricchi di tutto ciò che il Proprietario dell’Universo poteva provvedere, essi non dovevano rimanere inattivi. Un’occupazione utile era stata loro assegnata come benedizione, per rafforzare il corpo, espandere la mente e sviluppare il carattere. Il libro della natura diffondeva le sue lezioni vive davanti a loro, fonte inesauribile di istruzione e di piacere.

Su ogni foglia del bosco, su ogni pietra delle montagne, su ogni stella splendente, nella terra, nel mare e nel cielo, era scritto il nome di Dio. Sia con la creazione animata che con quella inanimata, con le foglie, i fiori e gli alberi, e con ogni creatura vivente, gli abitanti dell’Eden conversavano, raccogliendo da ciascuno i segreti della propria vita. La gloria di Dio nei cieli, gli innumerevoli mondi nelle loro ordinate rivoluzioni, “come le nubi si librino nell’aria” {Giobbe 37: 16}, i misteri della luce e del suono, del giorno e della notte: tutto questo era oggetto di studio per gli allievi della prima scuola della Terra.

Le leggi e le operazioni della natura e i grandi principi di verità che governano l’universo spirituale, furono aperti alle loro menti dall’infinito Autore di tutto. Nell’”illuminarci nella conoscenza della gloria di Dio” {2 Corinzi 4: 6}, i loro poteri mentali e spirituali si svilupparono e realizzarono i più alti piaceri della loro santa esistenza. Così come era uscito dalla mano del Creatore, non solo il Giardino dell’Eden, ma tutta la Terra era estremamente bella. Nessuna macchia di peccato o ombra di morte, guastava la bella Creazione. La gloria di Dio “copriva i cieli e la terra era piena della sua lode” {Abacuc 3: 3}. “Quando le stelle del mattino cantavano tutte insieme e tutti i figli di DIO mandavano grida di gioia?” {Giobbe 38: 7}.

Così la Terra era un emblema adatto di Colui che è “ricco in benignità e fedeltà” {Esodo 34: 6}, un campo di studio perfetto per coloro che sono stati fatti a Sua immagine e somiglianza. Il Giardino dell’Eden era ciò che Dio desiderava diventasse l’intera Terra, era Suo proposito che, man mano che la famiglia umana aumentasse di numero, si stabilissero altre case e scuole come quella che Egli aveva istituito. In questo modo, col tempo, tutta la Terra doveva essere occupata da case e scuole dove studiare le parole e le opere di Dio, e dove gli studenti sarebbero stati in grado di riflettere sempre più pienamente, per secoli, la luce della conoscenza della Sua Gloria.

 

 

CAPITOLO 3 – LA CONOSCENZA DEL BENE E DEL MALE

“Poiché rifiutavano di avere Dio nella loro conoscenza…

il loro cuore insensato si è oscurato”.

Pur essendo stati creati innocenti e santi, i nostri primi genitori non erano esenti dalla possibilità di commettere errori. Dio avrebbe potuto crearli senza la facoltà di trasgredire le Sue prescrizioni, ma in tal caso non sarebbe stato possibile alcuno sviluppo del carattere; il loro servizio non sarebbe stato volontario, ma forzato. Perciò Egli li creò con la capacità di scegliere: il potere di credere o di rifiutare l’obbedienza. E prima che potessero ricevere in pienezza le benedizioni che Egli desiderava impartire, il loro amore e la loro fedeltà dovevano essere messi alla prova. Nel giardino dell’Eden c’era “l’albero della conoscenza del bene e del male” {Genesi 2: 9}. “E l’Eterno DIO comandò l’uomo dicendo: «Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare»” {Genesi 2: 16-17}.

Era volontà di Dio che Adamo ed Eva non conoscessero il male. La conoscenza del bene era stata data loro liberamente; ma la conoscenza del male, del peccato e dei suoi effetti, delle fatiche, delle ansie, dei problemi, dei dolori, e della morte, questo era stato negato loro per amore. Mentre Dio cercava il bene dell’uomo, Satana cercava la sua rovina.

Quando Eva, ignorando l’ammonimento del Signore riguardo l’albero proibito, osò avvicinarsi ad esso, entrò in contatto con il suo nemico. Il suo interesse e la sua curiosità erano stati risvegliati, e Satana procedette a negare la parola di Dio e ad insinuare la sfiducia nella Sua saggezza e bontà. Alla dichiarazione della donna riguardo all’albero della conoscenza, “Dio ha detto: “«Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete» Allora il serpente disse alla donna: «Voi non morrete affatto; ma DIO sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno, e sarete come DIO, conoscendo il bene e il male»” {Genesi 3: 3-5}.

Satana voleva far credere che questa conoscenza del bene mescolata al male sarebbe stata una benedizione, e che vietandoli di prendere il frutto dell’albero, Dio stava negando loro una grande benedizione. Egli insistette sul fatto che, era a causa delle sue meravigliose proprietà di impartire sapienza e potenza che Dio aveva proibito loro di assaggiarlo, e che Egli cercava di impedirgli di raggiungere uno sviluppo più nobile e di trovare una maggiore felicità. Dichiarò che lui stesso aveva mangiato il frutto proibito, e di conseguenza aveva acquisito il potere della parola, e che se anche loro ne avessero mangiato, avrebbero raggiunto una sfera di esistenza più elevata e sarebbero entrati in un campo di conoscenza più ampio. Sebbene Satana sostenesse di aver ricevuto un grande beneficio mangiando dell’albero proibito, non lasciò trasparire che con la trasgressione era diventato un reietto del Cielo. Ecco la falsità, così nascosta sotto una copertura di apparente verità che Eva, infatuata, lusingata, non riuscì a discernere l’inganno. Desiderava ciò che Dio le aveva proibito; diffidava della Sua saggezza. Ha gettato via la fede, che è la chiave della conoscenza.

Quando Eva vide “che l’albero era buono da mangiare, che era piacevole agli occhi, e che era desiderabile per diventare saggi, ella prese del frutto e ne mangiò”. Era gradevole al gusto, e, mangiando, le sembrò di sentire un potere vivificante ed immaginò di entrare in uno stato di esistenza superiore. Avendo lei stessa trasgredito, divenne una tentatrice per suo marito, “ed egli ne mangiò” {Genesi 3: 6}. Il nemico aveva detto: “«I vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, conoscendo il bene e il male»” {Genesi 3: 5}.

I loro occhi furono aperti; ma quanto triste è stata la realtà! La conoscenza del male, e la maledizione del peccato, furono tutto ciò che i trasgressori ottennero. Non c’era nulla di velenoso nel frutto in sé, e il peccato non consisteva semplicemente nell’aver ceduto all’appetito. Si trattava di sfiducia nella bontà di Dio, di incredulità nei confronti della Sua parola e di rifiuto della Sua autorità, tutto ciò ha reso i nostri primi genitori trasgressori e ha portato nel mondo la conoscenza del male. È stato questo ad aprire la porta ad ogni specie di falsità e di errore.

L’uomo ha perso tutto perché ha scelto di dare ascolto all’ingannatore piuttosto che a Colui che è la Verità, che solo ha la comprensione. Con la mescolanza del male con il bene, la sua mente era diventata confusa, i suoi poteri mentali e spirituali intorpiditi. Non poteva più apprezzare il bene che Dio aveva così liberamente elargito. Adamo ed Eva avevano scelto la conoscenza del male, e se mai avessero riconquistato la posizione che avevano raggiunto, avrebbero dovuto riconquistarla nelle condizioni sfavorevoli che si erano procurati. Non dovevano più dimorare nell’Eden, perché nella sua perfezione non poteva insegnare loro lezioni che, ora, invece, era essenziale imparare. Con impronunciabile tristezza diedero l’addio al loro splendido ambiente e andarono ad abitare in quella parte della Terra segnata dalla maledizione del peccato. Dio “Poi disse ad Adamo: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero circa il quale io ti avevo comandato dicendo: «Non ne mangiare», il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con fatica tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e triboli, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto; poiché tu sei polvere, e in polvere ritornerai»” {Genesi 3: 17-19}.

Sebbene la Terra fosse stata colpita dalla maledizione, la natura doveva essere ancora il libro di lezioni per l’uomo. Non poteva più rappresentare solo la bontà perché il male era presente ovunque, macchiando la terra, il mare e l’aria con il suo tocco contaminante. Dove una volta era scritto solo il carattere di Dio, la conoscenza del bene, ora era scritto anche il carattere di Satana, la conoscenza del male. Dalla natura, che ora rivelava la conoscenza del bene e del male, l’uomo doveva continuamente ricevere un monito sulle conseguenze del peccato.

Nel fiore che appassisce e nella foglia che cade Adamo e la sua compagna furono testimoni dei primi segni di decadenza. Si presentò alla loro mente il fatto che ogni essere vivente doveva morire. Anche l’aria, dalla quale dipendeva la loro vita, portava i segni della morte. Inoltre, veniva continuamente ricordato loro il dominio perduto: tra le creature inferiori Adamo si era eretto a re e, finché era rimasto fedele a Dio, tutta la natura aveva riconosciuto il suo dominio, ma quando trasgredì, questo dominio fu perso. Lo spirito di ribellione a cui egli stesso aveva dato accesso, si estese a tutta la creazione animale. Così non solo la vita dell’uomo, ma anche la natura delle bestie, degli alberi della foresta, dell’erba dei campi, dell’aria stessa che si respirava, tutto raccontava la triste lezione della conoscenza del male. Ma l’uomo non fu abbandonato agli effetti del male che aveva scelto. Nella sentenza pronunciata su Satana è stata data un’indicazione della redenzione. “«E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno»” {Genesi 3: 15}.

Questa frase, pronunciata davanti ai nostri progenitori, era per loro una promessa. Prima che sentissero parlare della spina e del cardo, della fatica e del dolore che dovevano essere i loro compagni, o della polvere a cui dovevano tornare, ascoltarono parole che non potevano, non dare loro speranza. Tutto ciò che era stato perso cedendo a Satana, poteva essere riguadagnato attraverso Cristo. Anche la natura ci ricorda questa promessa. Sebbene sia stata rovinata dal peccato, parla non solo della creazione, ma anche della redenzione. Sebbene la Terra testimoni la maledizione nei segni evidenti della decadenza, essa è ancora ricca e bella nell’impronta del suo potere vivificante. Gli alberi producono le foglie, per poi essere rivestiti di un verde più fresco; i fiori muoiono, per poi spuntare in una nuova bellezza; e in ogni manifestazione della potenza creativa ci viene offerta la certezza di poter essere creati di nuovo in “giustizia e santità della verità” {Efesini 4: 24}.

Così, gli stessi elementi e i processi della natura che riportano vividamente alla mente la nostra grande perdita, diventano per noi messaggeri di speranza. Fin dove si estende il male, si ode la voce del Padre, che invita i Suoi figli a vedere nei suoi frutti, la natura del male, avvertendoli ad abbandonarlo e invitandoli a ricevere il bene.

 

 

CAPITOLO 4 – RAPPORTO TRA EDUCAZIONE E REDENZIONE

“La luce della conoscenza della gloria di Dio nel volto di Gesù Cristo”.

A causa del peccato l’uomo è stato separato da Dio. Se non fosse stato per il piano della redenzione, gli sarebbe spettata l’eterna separazione da Dio, sarebbe stata sua l’oscurità di una notte senza fine. Grazie, però, al sacrificio del Salvatore, la comunione con Dio è di nuovo possibile. Non possiamo avvicinarci di persona alla Sua presenza; nel nostro peccato non possiamo guardare il Suo volto, ma possiamo guardarlo e comunicare con Lui in Gesù, il Salvatore. “Per illuminarci nella conoscenza della gloria di Dio, che rifulge sul volto di Gesù Cristo” {2 Corinzi 4: 6}. “Poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo” {2 Corinzi 5: 19}. “E la Parola si è fatta carne e ad ha abitato fra di noi… piena di grazia e di verità” {Giovanni 1: 14}. “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini” {Giovanni 1: 4}.

La vita e la morte di Cristo, il prezzo della nostra redenzione, non sono solo per noi promessa e pegno di vita, non sono solo il mezzo per riaprirci i tesori della saggezza: sono una rivelazione più ampia e più alta del Suo carattere, più di quanto fosse stato rivelato ai santi dell’Eden. E se Cristo apre il Cielo all’uomo, la vita che Egli impartisce apre il cuore dell’uomo al Cielo. Il peccato non solo ci allontana da Dio, ma distrugge nell’anima umana sia il desiderio che la capacità di conoscerlo. La missione di Cristo è quella di eliminare tutta l’opera del male. Egli ha il potere di rinvigorire e ripristinare le facoltà dell’anima paralizzate dal peccato, la mente ottenebrata, la volontà perversa. Egli apre le ricchezze dell’Universo e, da Lui viene impartito il potere di discernere e di appropriarsi di questi tesori. “Egli (la Parola) era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene nel mondo” {Giovanni 1: 9}.

Come attraverso Cristo ogni essere umano ha la vita, così attraverso di Lui, ogni anima riceve qualche raggio di luce divina. La capacità intellettuale, ma anche spirituale, la percezione del bene, il desiderio del bene, risiede in ogni cuore. Ma contro questi principi c’è in lotta un potere antagonista. Le conseguenze del mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male si manifestano nell’esperienza di ogni uomo. C’è nella sua natura un’inclinazione al male, una forza a cui non può resistere da solo. Per resistergli, per raggiungere quell’ideale che nell’intimo della sua anima accetta come unico e degno, può trovare aiuto in una sola forza. Questa forza è Cristo. La cooperazione con questa potenza è il bisogno più grande dell’uomo. In ogni sforzo educativo, questa cooperazione non dovrebbe essere l’obiettivo più alto?

Il vero insegnante non si accontenta di un lavoro di seconda scelta. Non si accontenta di indirizzare i suoi studenti verso un livello inferiore a quello che è possibile per loro raggiungere. Non può accontentarsi di impartire loro solo conoscenze tecniche, di renderli solo abili contabili, abili artigiani, commercianti di successo. La sua ambizione è quella di ispirare loro i principi della verità, obbedienza, onore, integrità e purezza, principi che li renderanno una forza positiva per la stabilità e l’elevazione della società. Egli desidera che imparino la grande lezione della vita: il servizio disinteressato. Questi principi diventano una forza viva che plasma il carattere, attraverso la conoscenza dell’anima con Cristo, attraverso l’accettazione della Sua saggezza come guida, della Sua potenza come forza del cuore e della vita. Formata questa unione, lo studente ha trovato la Fonte della saggezza. Ha tra le mani il potere di realizzare in sé stesso i suoi ideali più nobili. Le opportunità dell’educazione superiore per la vita sono sue. E con lo studio qui acquisito, si sta avviando nel corso che abbraccia l’eternità. Nel senso più alto del termine, l’opera di educazione e l’opera di redenzione sono un tutt’uno, perché nell’educazione, come nella redenzione, “perché nessuno può porre altro fondamento diverso da quello che è stato posto, cioè Gesù Cristo” {1 Corinzi 3: 11}. “Perché è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza” {Colossesi 1: 19}.

In condizioni mutate, la vera educazione è ancora conforme al piano del Creatore, il piano della scuola dell’Eden. Adamo ed Eva ricevettero l’istruzione attraverso la comunione diretta con Dio; noi vediamo la luce della conoscenza della Sua gloria nel volto di Cristo. I grandi principi dell’educazione sono immutati. “Stabili in eterno per sempre, fatti con verità e rettitudine” {Salmo 111: 8}, perché sono i principi del carattere di Dio. Aiutare lo studente a comprendere questi principi e ad entrare in quella relazione con Cristo che li concederà un potere dominante nella vita, dovrebbe essere il primo sforzo e l’obiettivo costante dell’insegnante. L’insegnante che accetta questo progetto è in verità un collaboratore di Cristo, un lavoratore insieme a Dio.

 

Illustrazioni

“Tutte le cose che sono state scritte in precedenza sono state scritte

per il nostro apprendimento”.

 

 

CAPITOLO 5 – L’EDUCAZIONE DI ISRAELE

 “Il Signore lo guidò da solo…

lo istruì, lo curò come la pupilla del Suo occhio”.

Il sistema di educazione stabilito nell’Eden era incentrato sulla famiglia. Adamo era “figlio di Dio” {Luca 3: 38}, ed era dal Padre che i figli dell’Altissimo venivano istruiti. La loro, nel senso più vero del termine, era una scuola familiare. Nel piano divino di educazione, adattato alla condizione dell’uomo dopo la caduta, Cristo è il rappresentante del Padre, l’anello di congiunzione tra Dio e l’uomo; è il grande maestro dell’umanità. E ha ordinato che gli uomini e le donne siano i Suoi rappresentanti. La famiglia era la scuola e i genitori erano gli insegnanti.

L’educazione avente il fulcro sulla famiglia era quella più in uso ai tempi dei patriarchi. Per le scuole così istituite, Dio fornì le condizioni più favorevoli per lo sviluppo del carattere. Il popolo che era sotto la Sua direzione continuava a perseguire il piano di vita che aveva stabilito. Quelli che, allontanatisi da Dio si sono costruiti città e, riunendosi in esse, si sono gloriati dello splendore, del lusso e del vizio, fanno delle città di oggi l’orgoglio e la maledizione del mondo. Ma gli uomini che si attenevano ai principi di vita di Dio abitavano tra i campi e le colline. Erano coltivatori della terra e custodi di greggi e mandrie, e in questa vita libera e indipendente, con le sue opportunità di lavoro, studio e meditazione, imparavano a conoscere Dio e insegnavano ai loro figli le Sue opere e le Sue vie. Questo era il metodo di educazione che Dio desiderava stabilire in Israele. Ma quando furono portati fuori dall’Egitto, c’erano pochi disposti ad essere insegnanti insieme a Lui nella formazione dei figli. I genitori stessi avevano bisogno di istruzione e di disciplina. Vittime di una schiavitù durata tutta la vita, erano ignoranti, senza cultura, degradati. Avevano poca conoscenza di Dio e poca fede in Lui. Erano confusi da falsi insegnamenti e corrotti dal lungo contatto con il paganesimo. Dio desiderava elevarli ad un alto livello morale, per questo cercò di dare loro una conoscenza di Sé stesso.

Nei Suoi rapporti con il popolo errante nel deserto, in tutti i loro peregrinare avanti e indietro, nella loro esposizione alla fame, alla sete e alla stanchezza, nel pericolo da parte dei nemici pagani, e nella manifestazione della Sua provvidenza per il loro soccorso, Dio stava cercando di rafforzare la loro fede rivelando loro la potenza che operava continuamente per il loro bene. E dopo avergli insegnato a confidare nel Suo amore e nella Sua potenza, era Suo proposito porre davanti a loro, nei precetti della Sua legge, lo standard di carattere che, attraverso la Sua grazia, desiderava che essi raggiungessero. Preziose furono le lezioni impartite ad Israele durante il soggiorno al Sinai. Questo fu un periodo di formazione speciale per l’eredità di Canaan. E l’ambiente in cui si trovavano era favorevole al compimento del proposito di Dio. Sulla cima del monte Sinai, che sovrasta la pianura dove il popolo aveva piantato le sue tende, si trovava la colonna di nuvola che era stata la guida del loro viaggio. Una colonna di fuoco di notte, li assicurava della protezione divina; e mentre dormivano, il pane del Cielo cadeva dolcemente sull’accampamento. Da ogni parte, vaste e aspre alture, nella loro solennità, parlavano di resistenza eterna e maestosità. All’uomo è stata fatta percepire la sua ignoranza e la sua debolezza alla presenza di Colui che ha “pesato le montagne con la stadera e i colli con la bilancia” {Isaia 40: 12}.

Qui, con la manifestazione della Sua gloria, Dio ha cercato di impressionare Israele con la santità del Suo carattere e delle Sue esigenze, e l’enorme colpa della trasgressione. Ma il popolo era lento ad apprendere la lezione. Abituato come era stato in Egitto a rappresentazioni materiali della Divinità, di natura più degradante, era difficile per loro concepire l’esistenza o il carattere dell’Invisibile. Per misericordia della loro debolezza, Dio diede loro un simbolo della Sua presenza. Disse: “«Mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro” {Esodo 25: 8}.

Nella costruzione del santuario come dimora di Dio, Mosè fu incaricato di fare tutte le cose secondo il modello delle cose del Cielo. Dio lo chiamò sul monte e gli rivelò le cose celesti e, a loro somiglianza, il tabernacolo, con tutto ciò che lo riguardava, fu modellato. Così ad Israele, che desiderava far diventare la Sua dimora, rivelò il Suo glorioso ideale di carattere. Il modello fu mostrato sul monte Sinai, quando fu data la Legge e quando Dio passò davanti a Mosè e “gridò: «L’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà” {Esodo 34: 6}. Ma essi non erano in grado di raggiungere questo ideale. La rivelazione al Sinai non poteva che impressionarli con i loro bisogni e la loro incapacità.

Un’altra lezione che il tabernacolo, attraverso il servizio del sacrificio, doveva insegnare era quella del perdono del peccato e della forza impartita attraverso il Salvatore, per l’obbedienza alla vita. Attraverso Cristo si doveva realizzare lo scopo di cui il tabernacolo era simbolo: quell’edificio glorioso, con le sue pareti d’oro scintillante riflettevano le sfumature dell’arcobaleno, le tende intarsiate di cherubini, la fragranza dell’incenso sempre acceso che pervadeva tutto, i sacerdoti vestiti di bianco immacolato, e nel profondo mistero del luogo Santissimo, sopra il propiziatorio della Misericordia, tra le figure degli angeli chini e adoranti, la gloria del Santissimo. In tutto ciò, Dio desiderava che il Suo popolo leggesse il Suo proposito per l’anima umana. È lo stesso scopo per cui, molto tempo dopo Paolo predicava, parlando per mezzo dello Spirito Santo: “Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui, perché il tempio di Dio, che siete voi, è santo” {1 Corinzi 3: 16-17}.

Grande fu il privilegio e l’onore concesso ad Israele nella preparazione del santuario, e grande fu anche la responsabilità: una struttura di straordinario splendore, che richiedeva per la sua costruzione, il materiale più costoso e la più alta abilità artistica, doveva essere eretta nel deserto, da un popolo appena fuggito dalla schiavitù. Sembrava un compito davvero arduo. Ma Colui che aveva dato il progetto della costruzione si impegnò a cooperare con i costruttori. “L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: «Vedi, io ho chiamato per nome Betsaleel, figlio di Uri, figlio di Hur, della tribù di Giuda; e l’ho riempito dello Spirito di DIO, di sapienza, di intelligenza, di conoscenza e di ogni abilità {Esodo 31: 1-3}; “Ed ecco, gli ho dato per compagno Oholiab, figlio di Ahisamak, della tribù di Dan; e ho messo sapienza nella mente di tutti gli uomini abili, perché possano fare tutto ciò che ti ho ordinato” {Esodo 31: 6}. Che scuola laboriosa era quella nel deserto, avendo per istruttori Cristo e i Suoi angeli!

Nella preparazione del santuario e nel suo arredamento, tutto il popolo doveva collaborare. C’era lavoro per la mente e per la mano. È stata richiesta una grande varietà di materiali e tutti sono stati invitati a contribuire in base alle esigenze del proprio cuore. In questo modo, nel lavoro e nella donazione è stato insegnato loro a cooperare con Dio e tra di loro. E dovevano cooperare anche nella preparazione dell’edificio spirituale, il tempio di Dio nell’anima. Fin dall’inizio del viaggio dall’Egitto, erano state impartite delle lezioni per la loro formazione e disciplina. Ancora prima di lasciare l’Egitto, era stata realizzata un’organizzazione temporanea, e il popolo era stato suddiviso in gruppi, sotto la guida di capi designati. Al Sinai gli accordi per l’organizzazione furono completati. L’ordine così sorprendentemente mostrato in tutte le opere di Dio, si manifestava nell’economia ebraica. Dio era il centro dell’autorità e del governo.

Mosè, come Suo rappresentante, doveva amministrare le leggi in Suo nome. Poi c’ era il consiglio dei settanta, poi i sacerdoti e i principi, sotto di loro “capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine, capi di decine” {Numeri 11: 16-17; Deuteronomio 1: 15} e, infine, gli ufficiali incaricati di compiti speciali. L’accampamento fu disposto secondo un ordine ben preciso: il tabernacolo, la dimora di Dio, nel mezzo, e intorno le tende dei sacerdoti e dei leviti. Al di fuori di queste, ogni tribù si accampava accanto al suo stendardo. Vennero applicate norme igienico-sanitarie rigorose. Queste sono state raccomandate al popolo non solo perché necessarie alla salute, ma anche come condizione per mantenere tra loro la presenza del Santo. Per autorità divina, Mosè dichiarò loro: “Poiché l’Eterno, il tuo DIO, cammina in mezzo al tuo accampamento per liberarti… perciò il tuo accampamento sarà santo” {Deuteronomio 23: 14}. L’educazione degli Israeliti comprendeva tutte le loro abitudini di vita. Tutto ciò che riguardava il loro benessere era oggetto della sollecitudine divina e rientrava nell’ambito della legge divina. Anche nel fornire loro il cibo, Dio cercava il loro bene supremo.

La manna, con la quale li nutrì nel deserto era di natura tale da promuovere forza fisica, mentale e morale. Anche se molti di loro si ribellarono alla restrizione della loro dieta e desiderarono tornare ai giorni in cui, dicevano, “quando sedevamo presso le pentole di carne e mangiavamo pane a sazietà!” {Esodo 16: 3}, la saggezza della scelta di Dio per loro è stata dimostrata in un modo che essi non potevano negare. Nonostante le difficoltà della loro vita nel deserto, non c’era un uomo debole in tutte le loro tribù. In tutti i loro viaggi, l’arca contenente la legge di Dio doveva guidare la via. Il luogo del loro accampamento era indicato dalla discesa della colonna di nuvola. Finché la nube rimaneva sopra il tabernacolo, rimanevano nell’accampamento. Quando si sollevava, proseguivano il loro viaggio. Sia la sosta che la partenza erano segnate da un’invocazione solenne. “Quando l’arca partiva, Mosè diceva: «Levati, o Eterno, siano dispersi i tuoi nemici e fuggano davanti a te quelli che ti odiano!». E quando si fermava, diceva: «Torna, o Eterno, alle miriadi di migliaia d’Israele!»” {Numeri 10: 35-36}.

Mentre il popolo viaggiava nel deserto, molti insegnamenti preziosi furono fissati nelle loro menti per mezzo del canto. Alla loro liberazione dall’esercito del Faraone, l’intero popolo d’Israele si era unito al canto di trionfo. Ben oltre il deserto e il mare, risuonava il gioioso ritornello e le montagne riecheggiavano gli accenti di lode: “Cantate all’Eterno, perché si è grandemente esaltato” {Esodo 15: 21}.

Spesso durante il viaggio questo canto veniva ripetuto, rallegrando i cuori e accendendo la fede dei pellegrini. I comandamenti dati dal Sinai, con le promesse del favore di Dio e i resoconti delle Sue opere meravigliose per la loro liberazione, venivano espressi in canto e accompagnati con il suono della musica strumentale, con il popolo che teneva il passo, mentre le loro voci si univano nella lode. In questo modo i loro pensieri venivano sollevati dalle prove e dalle difficoltà del cammino, lo spirito inquieto e turbolento veniva placato e calmato, i principi della verità venivano impiantati nella memoria e la fede rafforzata. L’azione di gruppo insegnava l’ordine e l’unità, e il popolo veniva avvicinato ad un contatto più stretto con Dio e tra di loro. A proposito del comportamento di Dio con Israele durante i quarant’anni di vagabondaggio nel deserto, Mosè dichiarò: “«come un uomo corregge suo figlio, così l’Eterno, il tuo DIO, corregge te {Deuteronomio 8: 5}; “per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che c’era nel tuo cuore e se tu osserveresti o no i suoi comandamenti” {Deuteronomio 8: 2}.

“Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine desolata e squallida. Egli lo circondò, ne prese cura e lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un’aquila incita la sua nidiata, si libra sopra i suoi piccoli, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle sue ali, l’Eterno lo guidò da solo, e non c’era con lui alcun dio straniero” {Deuteronomio 32: 10-12}.

“Poiché egli si ricordò della sua santa promessa, fatta ad Abrahamo, suo servo; fece quindi uscire il suo popolo con letizia e i suoi eletti con grida di gioia, e diede loro i paesi delle nazioni, ed essi ereditarono il frutto della fatica dei popoli, affinché osservassero i suoi statuti e ubbidissero alle sue leggi” {Salmo 105: 42-45}.

Dio concesse ad Israele ogni facilitazione, diede loro ogni privilegio che li avrebbe resi un onore per il Suo nome e una benedizione per le nazioni circostanti. Se avessero camminato nelle vie dell’obbedienza, Egli aveva promesso di renderli “al di sopra di tutte le nazioni che ha fatto per lode, fama e gloria” {Deuteronomio 26: 19}. “Tutti i popoli della Terra”, disse, “così tutti i popoli della terra vedranno che su di te è invocato il nome dell’Eterno e ti temeranno” {Deuteronomio 28: 10}. Le nazioni che ascolteranno tutti questi statuti diranno: “«Questa grande nazione è un popolo saggio e intelligente!»” {Deuteronomio 4: 6}.

Nelle leggi affidate ad Israele, sono state fornite istruzioni esplicite sull’educazione. A Mosè, sul Sinai, Dio si era rivelato “misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà” {Esodo 34: 6}.

Questi principi, incarnati nella Sua legge, i padri e le madri di Israele dovevano insegnarli ai loro figli. Mosè, per direzione divina dichiarò loro: “«E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore; le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi»” {Deuteronomio 6: 6-7}.

Queste cose non dovevano essere insegnate come un’arida teoria. Chi vuole impartire la verità deve metterne in pratica i principi. Solo riflettendo il carattere di Dio nella rettitudine, nella nobiltà e nell’altruismo della propria vita si può impressionare gli altri. La vera educazione non consiste nell’imporre l’istruzione ad una mente impreparata e non ricettiva. I poteri mentali devono essere risvegliati, l’interesse deve essere suscitato. A questo provvede il metodo di insegnamento di Dio. Colui che ha creato la mente e ha ordinato le Sue leggi, ha provveduto al suo sviluppo in accordo con esse. Nella casa e nel santuario, attraverso le cose della natura e dell’arte, nel lavoro e nella festa, nell’edificio sacro e nell’altare di pietra, con metodi, riti e simboli innumerevoli, Dio ha dato ad Israele insegnamenti che illustrano i Suoi principi e conservano il ricordo delle Sue opere meravigliose. Poi, man mano che si indagava, l’istruzione impartita colpiva la mente e il cuore. Nelle disposizioni per l’educazione del popolo eletto, è chiaro che una vita centrata in Dio è una vita completa. Ogni desiderio che Egli ha impiantato, provvede a soddisfarlo; ogni facoltà impartita, cerca di svilupparla.

Autore di ogni bellezza, amante Egli stesso del bello, Dio ha provveduto a gratificare i Suoi figli con l’amore per la bellezza. Ha provveduto anche ai loro bisogni sociali, alle amicizie gentili e utili per coltivare la simpatia e per illuminare e addolcire la vita. Come mezzo di educazione, un posto importante è stato occupato dalle feste in Israele. Nella vita ordinaria, la famiglia era sia una scuola che una chiesa. I genitori erano gli insegnanti in ambito secolare e religioso. Ma tre volte l’anno venivano stabilite delle festività per la vita sociale e per il culto.

Prima queste riunioni si tenevano a Shiloh, poi a Gerusalemme. Solo i padri e i figli dovevano essere presenti, ma nessuno voleva rinunciare alle occasioni di festa e, per quanto possibile, tutta la famiglia partecipava; e con loro, come ospiti, c’erano il forestiero, il levita ed il povero. Il viaggio verso Gerusalemme, nello stile semplice e patriarcale, tra la bellezza della primavera, la ricchezza della mezza estate o la gloria matura dell’autunno, era una delizia. Con offerte di gratitudine, dall’anziano al bambino, gli israeliti venivano per incontrarsi con Dio nella Sua santa dimora. Durante il viaggio, le esperienze del passato, le storie che vecchi e giovani amavano ancora così tanto, venivano raccontate ai bambini ebrei. Erano cantati i canti che avevano rallegrato le peregrinazioni nel deserto.

I comandamenti di Dio venivano cantati e, insieme agli influssi benedetti della natura e della gentilezza delle amicizie umane, erano fissati per sempre nella memoria di molti bambini e giovani. Le cerimonie di Gerusalemme in relazione al servizio pasquale, l’assemblea notturna, gli uomini con i lombi cinti, i calzari ai piedi e il bastone in mano, il pasto frettoloso, l’agnello, il pane azzimo e le erbe amare, e nel silenzio solenne, la rievocazione della storia dell’aspersione del sangue, dell’angelo della morte che uccide e della grande marcia dalla terra di schiavitù, tutto era di natura tale da stimolare l’immaginazione e impressionare il cuore. La festa dei Tabernacoli, o festa del raccolto, con le sue offerte dai frutteti e dai campi, la settimana di accampamento in capanne frondose, le riunioni sociali, il sacro servizio commemorativo e la generosa ospitalità ai lavoratori di Dio, i leviti del santuario, e ai loro figli, ai forestieri e ai poveri, sollevavano tutti gli animi in segno di gratitudine verso Colui che li aveva accompagnati tutto l’anno con la Sua bontà e i cui sentieri abbondavano della Sua misericordia. I devoti di Israele occupavano in questo modo un mese di ogni anno. Era un periodo libero dalle cure e dal lavoro e quasi interamente dedicato, nel vero senso della parola, a scopi educativi. Nel ripartire l’eredità del Suo popolo, Dio aveva lo scopo di insegnare loro e, attraverso di esso, al popolo delle generazioni successive, principi corretti sulla proprietà della terra.

La terra di Canaan fu divisa tra tutto il popolo, esclusi i Leviti, come ministri del santuario. Anche se uno poteva per un periodo di tempo, disporre di ciò che possedeva, non poteva barattare l’eredità dei suoi figli. I debiti venivano rimessi ogni sette anni e, e nel cinquantesimo, o anno del giubileo, tutte le proprietà terriere tornavano al proprietario originario. In questo modo, ad ogni famiglia era garantita la sua proprietà ed era salvaguardata dagli estremi della ricchezza o della povertà. Con la distribuzione della terra tra il popolo, Dio ha previsto per loro, come per gli abitanti dell’Eden, l’occupazione più favorevole allo sviluppo: la cura delle piante e degli animali.

Un’ulteriore disposizione per l’educazione era la sospensione del lavoro agricolo ogni settimo anno, la terra rimaneva incolta e i suoi prodotti spontanei venivano lasciati ai poveri. In questo modo si dava la possibilità di studiare più a lungo, di curare le relazioni sociali e di culto, e di esercitare la benevolenza, spesso messi da parte dalle preoccupazioni e dalle fatiche della vita. Se i principi delle leggi di Dio sulla distribuzione dei beni venissero attuati nel mondo di oggi, quanto sarebbe diversa la condizione delle persone! L’osservanza di questi principi impedirebbe i terribili mali che in tutte le epoche sono stati causati dall’oppressione dei poveri da parte dei ricchi e dall’odio verso i ricchi da parte dei poveri. Anche se potrebbe ostacolare l’accumulo di grandi ricchezze, questo tende ad impedire l’ignoranza e la degradazione di decine di migliaia di persone, la cui servitù mal retribuita è necessaria per la costruzione di queste fortune colossali. Aiuterebbe a trovare una soluzione pacifica ai problemi che oggi minacciano di riempire il mondo di anarchia e spargimento di sangue.

La consacrazione a Dio di una decima di tutti i guadagni, siano essi del frutteto e del campo, delle greggi e degli armenti, del lavoro mentale o manuale, la devozione di una seconda decima per il sollievo dei poveri e per altri usi benefici, tendeva a mantenere viva davanti al popolo la verità della proprietà di Dio su tutto, e della loro opportunità di essere canali delle Sue benedizioni. Era un addestramento adatto ad eliminare ogni egoismo ed a coltivare la profondità e la nobiltà del carattere. La conoscenza di Dio, la comunione con Lui nello studio e nel lavoro, la somiglianza con Lui nel carattere, dovevano essere la fonte, il mezzo e lo scopo dell’educazione di Israele: l’educazione impartita da Dio ai genitori e da questi ultimi ai loro figli.

 

 

CAPITOLO 6 – LE SCUOLE DEI PROFETI

“Si sono seduti ai Tuoi piedi; tutti riceveranno le Tue parole”.

Ovunque in Israele venisse attuato il piano educativo di Dio, i risultati testimoniavano chi ne fosse l’Autore. Ma in moltissime famiglie, la formazione stabilita dal Cielo e i caratteri così sviluppati erano altrettanto rari. Il piano di Dio fu solo parzialmente e imperfettamente adempiuto. A causa dell’incredulità e dell’inosservanza delle indicazioni del Signore, gli israeliti si sono circondati di tentazioni, a cui pochi hanno potuto resistere. Al momento del loro insediamento in Canaan “Essi non distrussero i popoli, come l’Eterno aveva loro comandato; ma si mescolarono fra le nazioni e impararono le loro opere; servirono i loro idoli, e questi divennero un laccio per loro” {Salmo 106: 34-36}. “Il loro cuore infatti non era fermo verso di lui e non erano fedeli al suo patto. Ma egli, che è misericordioso, perdonò la loro iniquità e non li distrusse, e molte volte trattenne la sua ira e non lasciò divampare il suo sdegno, ricordando che essi erano carne, un soffio che passa e non ritorna” {Salmo 78: 37-39}.

Padri e madri in Israele divennero indifferenti ai loro obblighi nei confronti di Dio, indifferenti ai loro obblighi nei confronti dei figli. A causa dell’infedeltà in casa e delle influenze idolatriche all’esterno, molti dei giovani ebrei ricevettero un’educazione molto diversa da quella che Dio aveva progettato per loro. Impararono le vie dei pagani. Per far fronte a questo male crescente, Dio ha messo a disposizione altre agenzie per aiutare i genitori nell’opera di educazione. Fin dai tempi più antichi, i profeti sono stati riconosciuti come insegnanti divinamente nominati. Nel senso più alto del termine, il profeta era colui che parlava per ispirazione diretta, comunicando al popolo i messaggi che aveva ricevuto da Dio. Ma questo nome è stato dato anche a coloro che, pur non essendo così direttamente ispirati, erano divinamente chiamati ad istruire il popolo sulle opere e le vie di Dio. Per la formazione di questa classe di insegnanti, Samuele, per ordine del Signore, istituì le scuole dei profeti. Queste scuole dovevano servire come barriera contro la corruzione dilagante, dovevano provvedere al benessere mentale e spirituale dei giovani e promuovere la prosperità della nazione, fornendole uomini qualificati ad agire nel timore di Dio come leader e consiglieri. A questo scopo, Samuele radunò compagnie di giovani pii, intelligenti e studiosi. Questi furono chiamati i figli dei profeti. Studiando la Parola e le opere di Dio, la Sua potenza vivificante accendeva le energie della mente e dell’anima e gli studenti ricevevano saggezza dall’Alto. Gli insegnanti, non solo erano esperti nella verità divina, ma avevano goduto essi stessi della comunione con Dio e avevano ricevuto il dono speciale del Suo Spirito. Avevano il rispetto e la fiducia del popolo, sia per l’apprendimento che per la pietà. Ai tempi di Samuele c’erano due di queste scuole: una a Ramah, la casa del profeta, e l’altra a Kirjath-jearim.

In tempi successivi ne furono istituite altre. Gli alunni di queste scuole si sostenevano con il proprio lavoro nel coltivare la terra o in qualche impiego pratico. In Israele questo non era considerato strano o degradante; anzi, era considerato un peccato lasciare che i bambini crescessero nell’ignoranza di un lavoro utile. Ogni giovane, sia che i suoi genitori fossero ricchi o poveri, veniva istruito in qualche mestiere. Anche se doveva essere educato per le cariche sacre, la conoscenza della vita pratica era considerata essenziale per la massima utilità. Molti insegnanti si mantenevano con il lavoro manuale. Sia a scuola che a casa, gran parte dell’insegnamento era orale; ma i giovani imparavano anche a leggere le scritture ebraiche e i rotoli di pergamena delle Scritture dell’Antico Testamento. I principali argomenti di studio in queste scuole erano: la legge di Dio, con l’istruzione data a Mosè, la storia sacra, la musica sacra e la poesia. Nei registri della storia sacra erano tracciate le orme di Dio. Le grandi verità esposte dai tipi nel servizio del santuario, furono messe in luce, e la fede ha colto l’oggetto centrale di tutto quel sistema: l’Agnello di Dio, che avrebbe tolto il peccato del mondo. Si coltivava uno spirito di devozione. Non solo si insegnava agli studenti il dovere di pregare, ma si insegnava loro come pregare, come avvicinarsi al Creatore, come esercitare la fede in Lui, come capire e obbedire agli insegnamenti del Suo Spirito. L’intelletto santificato, plasmato dalla casa del tesoro di Dio portava alla luce cose nuove e antiche, e lo Spirito di Dio si manifestava nella profezia e nel canto sacro. Queste scuole si dimostrarono uno dei mezzi più efficaci per promuovere quella rettitudine che “esalta una nazione” {Proverbi 14: 34}.

In misura non trascurabile contribuirono a porre le fondamenta per quella meravigliosa prosperità che contraddistinse i regni di Davide e Salomone. I principi insegnati nelle scuole dei profeti erano gli stessi che modellarono il carattere di Davide e diedero forma alla sua vita. La parola di Dio era il Suo insegnante. Disse: “Per mezzo dei tuoi comandamenti io acquisto intelligenza” {Salmi 119: 104}; “Mi sono impegnato di cuore a mettere in pratica i tuoi statuti sempre, fino alla fine” {Salmo 119: 112}. Fu questo che fece sì che il Signore disse di Davide, quando in gioventù lo chiamò al trono, “uomo secondo il mio cuore” {Atti 13: 22}. Anche nella prima parte della vita di Salomone si vedono i risultati del metodo educativo di Dio.

Salomone in gioventù fece sua la scelta di Davide. Al di sopra di ogni bene terreno chiese a Dio un cuore saggio e comprensivo. E il Signore gli diede non solo ciò che cercava, ma anche ciò che non aveva richiesto: ricchezze e onori. La potenza della sua intelligenza, l’estensione della sua conoscenza, la gloria del suo regno, divennero la meraviglia del mondo. Nei regni di Davide e Salomone, Israele raggiunse l’apice della sua grandezza. La promessa fatta ad Abramo e ripetuta attraverso Mosè si realizzò: “Poiché, se osservate diligentemente tutti questi comandamenti che io vi ordino di mettere in pratica, amando l’Eterno, il vostro DIO, camminando in tutte le sue vie e tenendovi stretti a lui, l’Eterno scaccerà davanti a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro; i vostri confini si estenderanno dal deserto fino al Libano, e dal fiume, il fiume Eufrate, fino al mare occidentale. Nessuno sarà in grado di resistervi” {Deuteronomio 11: 22-25}. Ma in mezzo alla prosperità si nascondeva il pericolo.

Il peccato degli ultimi anni di Davide, anche se sinceramente pentito e punito duramente, fece sì che il popolo trasgredisse i comandamenti di Dio. E La vita di Salomone, dopo un mattino di così grandi promesse, fu oscurata dall’apostasia. Il desiderio di potere politico e di auto-accrescimento portò all’alleanza con le nazioni pagane. L’argento di Tarshish e l’oro di Ofir furono ottenuti con il sacrificio dell’integrità, con il tradimento di sacre confidenze. L’alleanza con gli idolatri e il matrimonio con mogli pagane, corruppero la sua fede. Le barriere che Dio aveva eretto per sicurezza del Suo popolo furono così abbattute e Salomone si abbandonò all’adorazione di falsi dei. Sulla cima del Monte degli Ulivi, di fronte al tempio di Dio, furono eretti gigantesche immagini ed altari al servizio di divinità pagane. Nel momento in cui abbandonò la sua fedeltà a Dio, Salomone perse la padronanza di sé stesso. La sua fine sensibilità si affievolì. Lo spirito coscienzioso e premuroso del suo primo regno si trasformò. L’orgoglio, l’ambizione, la grandiosità e l’indulgenza portarono i loro frutti nella crudeltà e nell’estorsione. Colui che era stato un giusto, compassionevole e timorato di Dio, divenne tirannico ed oppressivo. Colui che, alla dedicazione del tempio, aveva pregato per il suo popolo affinché i loro cuori fossero consacrati completamente al Signore, divenne il loro seduttore. Salomone disonorò sé stesso, disonorò Israele e disonorò Dio. La nazione, di cui era stato l’orgoglio, seguì la sua guida. Sebbene in seguito si sia pentito, il suo pentimento non ha impedito lo sviluppo del male che aveva seminato.

La disciplina e la formazione che Dio aveva stabilito per Israele li avrebbero portati, in tutti i loro stili di vita, a differenziarsi dal popolo delle altre nazioni. Questa peculiarità, che avrebbe dovuto essere considerata come un privilegio e una benedizione speciale, fu a loro sgradita. La semplicità e l’autocontrollo, essenziali per il massimo sviluppo, cercavano di barattarli con lo sfarzo e l’autoindulgenza dei pagani. Essere “come tutte le nazioni” {1 Samuele 8: 5} era la loro ambizione. Il piano educativo di Dio fu messo da parte, la Sua autorità fu disconosciuta. Nel rifiuto delle vie di Dio per le vie degli uomini, iniziò la caduta di Israele. E così continuò, finché il popolo ebraico divenne preda delle stesse nazioni che aveva scelto di emulare. Come nazione, i figli di Israele non ricevettero i benefici che Dio desiderava concedere loro. Non apprezzarono il Suo proposito né collaborarono alla sua esecuzione. Ma anche se gli individui e i popoli possono separarsi da Lui, il Suo proposito per coloro che si affidano a Lui è immutato. “Tutto quello che Dio fa è per sempre” {Ecclesiaste 3: 14}.

Sebbene ci siano diversi gradi di sviluppo e diverse manifestazioni del Suo potere per soddisfare le esigenze degli uomini nelle diverse epoche, l’opera di Dio in ogni tempo è la stessa. Il Maestro è lo stesso. Il carattere di Dio e il Suo piano sono gli stessi. Con Lui “non vi è mutamento né ombra di rivolgimento” {Giacomo 1: 17}.

Le esperienze di Israele sono state registrate per la nostra istruzione. “Or tutte queste cose avvennero loro come esempio, e sono scritte per nostro avvertimento, per noi, che ci troviamo alla fine delle età” {1 Corinzi 10: 11}.

Per noi, come per l’Israele di un tempo, il successo nell’educazione dipende dalla fedeltà nel portare avanti il piano del Creatore. La fedeltà ai principi della Parola di Dio porterà grandi benedizioni a noi come al popolo ebraico.

 

 

CAPITOLO 7 – VITA DEI GRANDI UOMINI

“Il frutto del giusto è un albero di vita”.

La storia sacra presenta molte illustrazioni dei risultati della vera educazione. Presenta molti nobili esempi di uomini, il cui carattere è stato formato sotto la direzione divina, uomini la cui vita è stata una benedizione per i loro simili e che hanno brillato nel mondo come rappresentanti di Dio. Tra questi ci sono: Giuseppe e Daniele, Mosè, Eliseo e Paolo. Paolo, il più grande statista, il più saggio legislatore, uno dei riformatori più fedeli e, a parte Colui che parlò come mai nessun uomo ha parlato, il più illustre maestro che questo mondo abbia conosciuto.

All’inizio della loro vita, proprio mentre stavano passando dalla giovinezza all’età adulta, Giuseppe e Daniele furono separati dalle loro case e portati come prigionieri in terre pagane. In particolare, Giuseppe fu soggetto alle tentazioni che accompagnano i grandi cambiamenti di vita. Nella casa paterna era un bambino teneramente accudito; nella casa di Potifar uno schiavo, poi un confidente e un compagno; un uomo d’affari istruito dallo studio all’ osservazione, al contatto con gli uomini; nelle prigioni del Faraone è stato prigioniero di Stato, condannato ingiustamente, senza speranza di vendetta o di liberazione; chiamato in seguito, in un momento di grande crisi, alla guida della nazione: cosa gli ha permesso di mantenere la sua integrità? Nessuno può ergersi su un’altezza elevata senza pericolo.

Come la tempesta lascia incolume il fiore della valle, e sradica l’albero in cima alla montagna, così sono le tentazioni feroci che lasciano intatti gli umili nella vita, ma assalgono, invece coloro che si trovano nelle alte sfere del mondo, del successo e dell’onore. Ma Giuseppe sopportò allo stesso modo la prova delle avversità e della prosperità. La stessa fedeltà a Dio si è manifestata nel palazzo dei Faraoni e nel carcere. Nella sua infanzia, Giuseppe aveva imparato l’amore e il timore di Dio. Spesso nella tenda di suo padre, sotto le stelle siriane, gli era stata raccontata la storia della visione notturna di Bethel, della scala dal cielo alla terra, degli angeli che scendono e salgono e di Colui che dall’Alto trono si è rivelato a Giacobbe. Lui raccontò la storia del conflitto accanto allo Jabbok, quando Giacobbe, rinunciando ai propri peccati, divenne vincitore e ricevette il titolo di principe con Dio.

La vita pura e semplice di Giuseppe come pastore, che si occupava delle greggi del padre, aveva favorito lo sviluppo della sua forza fisica e mentale. Grazie alla comunione con Dio attraverso la natura e allo studio delle grandi verità tramandate di padre in figlio come un sacro affidamento, egli aveva acquisito forza d’animo e fermezza di principi. Nella crisi della sua vita, durante il terribile viaggio dalla casa della sua infanzia a Canaan alla schiavitù che lo attendeva in Egitto, guardando per l’ultima volta le colline che nascondevano le tende dei suoi parenti, Giuseppe si ricordò di suo padre. Ricordava Le lezioni della sua infanzia e il suo animo fremeva per il proposito di dimostrarsi fedele, di agire sempre come un suddito del Re del Cielo. Nell’amara vita di straniero e di schiavo, in mezzo ai panorami e ai suoni del vizio e alle seduzioni del culto pagano, un culto circondato da tutte le attrattive della ricchezza, della cultura e del fasto della regalità, Giuseppe rimaneva saldo. Aveva imparato la lezione dell’obbedienza al dovere. La fedeltà in ogni circostanza, dalla più umile a quelle più elevate, istruiva ogni capacità al servizio più alto. Quando fu chiamato alla corte del Faraone, l’Egitto era la più grande delle nazioni. Nella civiltà, nell’arte, nell’apprendimento, era ineguagliabile. In un periodo di massima difficoltà e di pericolo, Giuseppe amministrò gli affari del regno; e questo lo fece in modo da conquistare la fiducia del re e del popolo. Il Faraone “e lo fece signore della sua casa e governatore sopra tutti i suoi beni, 22 per legare i suoi principi a suo giudizio e insegnare ai suoi anziani la sapienza” {Salmo 105: 21-22}. Il segreto della vita di Giuseppe è stato svelato dall’Ispirazione. Con parole di potenza e bellezza divina, Giacobbe, nella benedizione pronunciata sui figli, parlò così del suo figlio più amato: “Giuseppe è un ramo d’albero fruttifero; un ramo d’albero fruttifero vicino a una sorgente; i suoi rami corrono sopra il muro. Gli arcieri l’hanno provocato, gli hanno lanciato dardi, l’hanno perseguitato; ma l’arco suo è rimasto saldo; le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del Potente di Giacobbe, (da colui che è il pastore e la roccia d’Israele), dal Dio di tuo padre che ti aiuterà, e dall’Altissimo che ti benedirà con benedizioni del cielo di sopra, con benedizioni dell’abisso che giace di sotto, con benedizioni delle mammelle e del grembo materno. Le benedizioni di tuo padre sorpassano le benedizioni dei miei antenati, fino alle cime dei colli eterni. Esse saranno sul capo di Giuseppe e sulla corona di colui che fu separato dai suoi fratelli” {Genesi 49: 22-26}.

La fedeltà a Dio, la fede nell’invisibile, era l’ancora di Giuseppe. In questo risiedeva il suo potere. “Le braccia delle sue mani furono rese forti dalle mani del potente Dio di Giacobbe”.

Daniele, un ambasciatore del Cielo

Daniele e i suoi compagni a Babilonia erano, in gioventù, apparentemente più favoriti dalla sorte di quanto non lo fosse Giuseppe nei primi anni della sua vita in Egitto. Tuttavia, furono sottoposti a prove di carattere non meno severe. Dalla relativa semplicità della loro Giudea, questi giovani di stirpe reale furono trasportati nelle città più sfarzose, alla corte del più grande monarca, e furono selezionati per essere addestrati al servizio speciale del re.

Forti erano le tentazioni che li circondavano in quella corte corrotta e lussuosa. Il fatto che essi, adoratori di Dio, fossero prigionieri a Babilonia, che gli utensili della casa di Dio fossero stati collocati nel tempio degli dei di Babilonia, che il re d’Israele era egli stesso prigioniero nelle mani dei babilonesi, fu vantato dai vincitori come prova che la loro religione e i loro costumi erano superiori a quelli degli Ebrei. In tali circostanze, attraverso le umiliazioni che l’allontanamento di Israele dai Suoi comandamenti aveva provocato, Dio diede a Babilonia la prova della Sua supremazia, della santità dei Suoi requisiti, della santità delle Sue esigenze e del risultato sicuro dell’obbedienza. E questa testimonianza la diede, come solo poteva essere data, tramite coloro che ancora mantenevano integra la loro fedeltà.

Per Daniele e i suoi compagni, proprio all’inizio della loro carriera, ci fu una prova decisiva. L’ordine che il loro cibo dovesse essere fornito dalla tavola reale era un’espressione del favore del re e della sua sollecitudine per il loro benessere. Ma una parte di essi era stata offerta agli idoli, il cibo della tavola del re era stato consacrato all’idolatria, e nel prendere parte all’offerta del re, questi giovani sarebbero stati considerati consenzienti al suo omaggio ai falsi dèi. La fedeltà a Dio proibiva loro di partecipare a questa offerta. Né osavano acconsentire all’effetto snervante del lusso e della dissipazione sullo sviluppo fisico, mentale e spirituale. Daniele e i suoi compagni erano stati istruiti fedelmente sui principi della Parola di Dio. Avevano imparato a sacrificare le cose terrene per quelle spirituali, a cercare il bene più alto. E hanno raccolto la ricompensa. Le loro abitudini di temperanza e il loro senso di responsabilità come rappresentanti di Dio contribuivano al più nobile sviluppo fisico, mentale e spirituale.

Al termine della loro formazione, al momento dell’esame con altri candidati agli onori del regno, “non si trovò nessuno come Daniele, Hananiah, Mishael e Azaria” {Daniele 1: 19}. Alla corte di Babilonia si erano riuniti rappresentanti di tutti i paesi, uomini con i migliori talenti, i più dotati di talenti naturali e in possesso della più alta cultura che questo mondo potesse avere; eppure, in mezzo a tutti, i prigionieri ebrei non avevano rivali. In forza fisica e bellezza, in vigore mentale e letterale, non avevano antagonisti. “E su ogni argomento che richiedeva sapienza e intendimento e intorno ai quali il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che erano in tutto il suo regno” {Daniele 1: 20}.

Incrollabile nella fedeltà a Dio, inflessibile nella padronanza di sé stesso, la nobile dignità e la cortese deferenza di Daniele gli valsero in gioventù “il favore e il tenero amore” dell’ufficiale pagano a cui era affidato. Le stesse caratteristiche segnarono la sua vita. In breve tempo salì alla posizione di primo ministro del regno. Durante il regno dei monarchi che si susseguirono, la caduta della nazione e l’instaurazione di un regno rivale, la sua saggezza e la sua abilità diplomatica, il suo tatto impeccabile, la sua cortesia e la sua genuina bontà d’animo, combinati con la fedeltà e l’amore, portarono persino i suoi nemici a confessare che “non poterono trovare alcun pretesto o corruzione, perché egli era fedele” {Daniele 6: 4}. Mentre Daniele si aggrappava a Dio con incrollabile fiducia, lo spirito di potere profetico si manifestò su di lui. Pur essendo onorato dagli uomini con le responsabilità della corte e i segreti del regno, Dio lo onorò come Suo ambasciatore e gli insegnò a leggere i misteri dei secoli a venire. I monarchi pagani, grazie alla vicinanza con il rappresentante del Cielo, furono costretti a riconoscere il Dio di Daniele. “Il re parlò a Daniele e disse: «In verità il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti»” {Daniele 2: 47}. “Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue che abitavano su tutta la terra: «La vostra pace sia grande! Io decreto che in tutto il dominio del mio regno si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno. Il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio non avrà mai fine. Egli libera, salva, e opera segni e prodigi in cielo e sulla terra»” {Daniele 6: 25-27}.

Uomini veri e onesti

Per la loro saggezza e giustizia, per la purezza e la benevolenza della loro vita quotidiana, per la loro devozione agli interessi del popolo idolatra, Giuseppe e Daniele si dimostrarono fedeli ai principi della loro formazione iniziale, fedeli a Colui di cui erano rappresentanti. Questi uomini, sia in Egitto che a Babilonia, furono onorati da tutta la nazione; e in loro, un popolo pagano e tutte le nazioni con le quali erano in contatto videro un’immagine della bontà e della benevolenza di Dio, un’illustrazione dell’amore di Cristo. Quale opera di vita fu quella di questi nobili ebrei! Mentre davano l’addio alle loro case d’infanzia, quanto poco potevano immaginare del loro mirabile destino!

Fedeli e fermi, si sono abbandonati alla guida, affinché attraverso di loro Dio potesse realizzare il Suo scopo. Le stesse potenti verità che furono rivelate attraverso questi uomini, Dio desidera rivelarle attraverso i giovani e i bambini di oggi. La storia di Giuseppe e di Daniele è un’illustrazione di ciò che Egli farà per coloro che si abbandonano a Lui e cercano con tutto il cuore di realizzare il Suo scopo. Il più grande bisogno del mondo è il bisogno di uomini che non si possono comprare o vendere, uomini che nel loro intimo siano veri e onesti, uomini che non temano di chiamare il peccato con il suo giusto nome, uomini la cui coscienza è fedele al dovere come l’ago lo è al polo, uomini che si batteranno per il bene anche se i cieli cadranno. Ma un tale carattere non è il risultato di un incidente; non è dovuto a favori o doti speciali della Provvidenza. Un carattere nobile è il risultato dell’autodisciplina, della sottomissione della natura inferiore a quella superiore, della rinuncia a sé stessi per il servizio dell’amore a Dio e all’uomo.

I giovani devono essere impressionati dalla verità che le loro doti non sono proprie. La forza, il tempo, l’intelletto non sono che tesori prestati. Appartengono a Dio e ogni giovane deve essere deciso a farne l’uso migliore possibile. È un tralcio, da cui Dio si aspetta dei frutti; un amministratore, il cui capitale deve fruttare; una luce, per illuminare le tenebre del mondo. Ogni giovane, ogni bambino, ha un lavoro da fare per l’onore di Dio e l’elevazione dell’umanità.

Eliseo, fedele nelle piccole cose

I primi anni del profeta Eliseo trascorsero nella quiete della vita di campagna, con l’insegnamento di Dio e della natura e della disciplina del lavoro utile. In un’epoca di apostasia quasi universale, la famiglia paterna era tra quelle che non avevano piegato le ginocchia a Baal. La loro era una casa dove Dio era onorato e dove la fedeltà al dovere era la regola della vita quotidiana. Figlio di un ricco agricoltore, Eliseo aveva intrapreso il lavoro più umile. Pur possedendo le capacità di un leader tra gli uomini, aveva ricevuto un’educazione ai doveri comuni della vita. Per poter dirigere con saggezza, doveva imparare ad obbedire. Grazie alla fedeltà nelle piccole cose, è stato preparato ad affrontare incarichi più gravosi. Di spirito mite e gentile, Eliseo possedeva anche energia e fermezza. Nutriva l’amore e il timore di Dio, e nell’umile lavoro quotidiano acquisì forza d’animo e nobiltà di carattere, crescendo nella grazia e nella conoscenza divina. Mentre cooperava con il padre nei doveri di casa, imparava a collaborare con Dio. La chiamata profetica giunse ad Eliseo mentre con i servi di suo padre, era occupato ad arare i campi. Quando Elia, guidato divinamente nella ricerca di un successore, gettò il suo mantello sulle spalle del giovane, Eliseo riconobbe e obbedì alla chiamata. Egli “Poi si levò, seguì Elia e si mise al suo servizio” {1 Re 19: 21}.

Non si trattava di un grande lavoro all’inizio, quello richiesto a Eliseo; i doveri comuni costituivano ancora la sua disciplina. Si parla di lui mentre versava l’acqua sulle mani di Elia, il suo maestro. Come assistente personale del profeta, continuò a dimostrarsi fedele nelle piccole cose, mentre con un obbiettivo quotidiano si dedicava alla missione affidatagli da Dio. Quando fu convocato per la prima volta, la sua determinazione era stata messa alla prova. Come si voltò per seguire Elia, il profeta gli intimò di tornare a casa. Lui doveva valutarne il costo, decidere da solo se accettare o rifiutare la chiamata. Ma Eliseo capì il valore della sua opportunità. Per nessun vantaggio mondano avrebbe rinunciato alla possibilità di diventare messaggero di Dio o di sacrificare il privilegio di collaborare con il Suo servo. Come il tempo passava ed Elia si preparava per la traslazione, così Eliseo si preparava a diventare il suo successore. E di nuovo la sua fede e la sua decisione furono messe alla prova. Accompagnando Elia nel suo giro di servizio, conoscendo il cambiamento che presto sarebbe avvenuto, fu invitato dal profeta a tornare indietro. “Fermati qui, ti prego”, disse Elia, “perché il Signore mi ha mandato a Betel”. Ma nel suo primo lavoro nel guidare l’aratro, Eliseo aveva imparato a non fallire e a non scoraggiarsi; e ora che aveva messo mano all’aratro in un’altra linea di lavoro, non si sarebbe fatto distogliere dal suo proposito. Ogni volta che gli veniva rivolto l’invito a tornare indietro, la sua risposta era: “«Come è vero che l’Eterno vive e che tu stesso vivi, io non ti lascerò»” {2 Re 2: 2}.

“Così proseguirono il cammino insieme… si fermarono sulla riva del Giordano. Allora Elia prese il suo mantello, lo rotolò e percosse le acque, che si divisero di qua e di là; così passarono entrambi all’asciutto. Dopo che furono passati, Elia disse ad Eliseo: «Chiedi ciò che vuoi che io faccia per te, prima che sia portato via da te». Eliseo rispose: «Ti prego, fa’ che una doppia porzione del tuo spirito venga su di me». Elia disse: «Tu hai chiesto una cosa difficile; tuttavia, se mi vedrai quando sarò portato via da te, ciò ti sarà concesso, altrimenti non l’avrai». Ora, mentre essi camminavano discorrendo, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco li separarono l’uno dall’altro, ed Elia salì al cielo in un turbine. Eliseo vide ciò e si mise a gridare: «Padre mio, padre mio, carro d’Israele e sua cavalleria!». Poi non lo vide più. Allora afferrò le sue vesti e le stracciò in due pezzi. Raccolse quindi il mantello di Elia che gli era caduto di dosso, tornò indietro e si fermò sulla riva del Giordano. Poi prese il mantello di Elia che gli era caduto di dosso, percosse le acque e disse: «Dov’è l’Eterno, il DIO di Elia?». Quando anch’egli ebbe percosso le acque, queste si divisero di qua e di là ed Eliseo passò. Eliseo succede a Elia. Quando i discepoli dei profeti che erano a Gerico e stavano quindi di fronte al Giordano videro Eliseo, dissero: «Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo». Poi gli andarono incontro, si inchinarono fino a terra davanti a lui” {2 Re 2: 6-15}.

D’ora in poi Eliseo prese il posto di Elia. E colui che era stato fedele in piccole cose, si dimostrò fedele anche nelle grandi. Elia, l’uomo di potere, era stato lo strumento di Dio per l’abbattimento di mali giganteschi. L’idolatria, che, sostenuta da Achab e dalla pagana Gezabele, aveva sedotto la nazione, era stata abbattuta. I profeti di Baal erano stati uccisi. L’intero popolo d’Israele era profondamente scosso e molti stavano tornando all’adorazione di Dio. Come successore di Elia era necessario uno che, con un’attenta e paziente istruzione, potesse guidare Israele su sentieri sicuri. La formazione iniziale di Eliseo sotto la direzione di Dio lo aveva preparato per questo lavoro. La lezione è per tutti. Nessuno può sapere quale sia lo scopo di Dio nella Sua disciplina; ma tutti possono essere certi che la fedeltà nelle piccole cose è la prova dell’idoneità a responsabilità più grandi. Ogni atto della vita è una rivelazione del carattere, solo chi dimostra di essere “operaio che non ha da vergognarsi” {2 Timoteo 2: 15} sarà onorato da Dio con incarichi più importanti.

Mosè, potente grazie alla fede

Mosè era più giovane di Giuseppe e di Daniele quando venne allontanato dalla casa d’infanzia; eppure già le stesse agenzie celesti che avevano plasmato le loro vite, avevano plasmato anche la sua. Solo dodici anni ha trascorso con i suoi parenti ebrei; ma durante questo lasso di tempo sono state gettate le fondamenta della sua grandezza; a costruirle fu la mano di una persona poco conosciuta. Jochebed era una donna e una schiava. Il suo destino nella vita era umile, il suo fardello era pesante. Ma attraverso nessun’altra donna, a parte Maria di Nazareth, il mondo ha ricevuto una benedizione più grande.

Sapendo che suo figlio doveva presto essere tolto alle sue cure, e finire sotto la tutela di coloro che non conoscevano Dio, ella si sforzò di collegare la sua anima al Cielo. Cercò di impiantare nel suo cuore l’amore e la fedeltà a Dio. E l’opera fu portata a termine fedelmente. Quei principi di verità che erano il peso dell’insegnamento di sua madre e la lezione della sua vita, non sarebbero stati scalfiti da nessuna influenza futura. Dall’umile dimora di Goshen, il figlio di Jochebed passò al palazzo dei faraoni, alla principessa egiziana, da lei accolto come un figlio amato e caro.

Nelle scuole d’Egitto, Mosè ricevette la più alta formazione civile e militare. Di grandi attrattive personali, nobile nella forma e nella statura, di mente colta e portamento principesco, rinomato condottiero militare, divenne l’orgoglio della nazione. Anche il re d’Egitto era un membro del sacerdozio; e Mosè, pur rifiutandosi di partecipare al culto pagano, fu iniziato a tutti i misteri della religione egizia. Essendo l’Egitto, in questo periodo, ancora la più potente e civilizzata nazione, Mosè, in quanto suo futuro, potenziale sovrano, era erede dei più alti onori che il mondo potesse concedere. Ma la sua fu una scelta ancora più nobile. Per l’onore di Dio e la liberazione del Suo popolo oppresso, Mosè sacrificò gli onori dell’Egitto. Poi, in un modo speciale, Dio si è fatto carico della sua formazione. Mosè non era ancora preparato per il suo lavoro. Doveva ancora imparare la lezione della dipendenza dal potere divino. Aveva frainteso il proposito di Dio. Sperava di liberare Israele con la forza delle armi. Per questo rischiò tutto e fallì. Nella sconfitta e nella delusione divenne un fuggitivo ed esiliato in terra straniera. Nelle terre selvagge di Madian, Mosè trascorse quarant’anni come guardiano di pecore. Apparentemente tagliato fuori per sempre dalla missione della sua vita, egli riceveva la disciplina essenziale per il suo compimento. La saggezza per governare una moltitudine ignorante e indisciplinata doveva essere acquisita attraverso la padronanza di sé. Nel prendersi cura delle pecore e dei teneri agnellini doveva acquisire l’esperienza che lo avrebbe reso un pastore fedele e sofferente di Israele. Affinché potesse diventare un rappresentante di Dio, doveva imparare da Lui. Le influenze che lo avevano circondato in Egitto, l’affetto della madre adottiva, la sua stessa posizione di nipote del re, il lusso e il vizio che lo allettavano in molteplici forme, la raffinatezza, la sottigliezza e il misticismo di una falsa religione, avevano impressionato la sua mente e il suo carattere. Nella severa semplicità della natura selvaggia tutto questo scompariva.

Nella solenne maestosità delle montagne Mosè era solo con Dio. Ovunque era scritto il nome del Creatore. Mosè sembrava stare alla Sua presenza ed essere oscurato dalla Sua potenza. Qui la sua autosufficienza fu spazzata via. Alla presenza dell’Infinito si rese conto di quanto debole, inefficiente, e miope sia l’uomo. Qui Mosè acquisì ciò che lo accompagnò per tutti gli anni della sua vita faticosa e piena di preoccupazioni: il senso della presenza personale della Divinità. Non si limitò a guardare ai secoli che Cristo si manifestasse in carne e ossa, ma vedeva Cristo che accompagnava la schiera di Israele in tutti i suoi viaggi. Quando è stato frainteso e travisato, quando fu chiamato a sopportare rimproveri e insulti, ad affrontare il pericolo e la morte, fu capace di sopportare “come se vedesse colui che è invisibile” {Ebrei 11: 27}.

Mosè non pensava semplicemente a Dio, ma lo vedeva. Dio era la visione costante davanti a lui. Non perdeva mai di vista il Suo volto. Per Mosè la fede non era una congettura, ma una realtà. Credeva in particolare, che Dio governava la sua vita, ed in tutti i suoi dettagli lo riconosceva. Per avere la forza di resistere ad ogni tentazione, confidava in Lui. Desiderava che la grande opera che gli era stata assegnata, avesse il massimo grado di successo, e poneva la sua totale dipendenza nella potenza divina. Sentiva il bisogno di aiuto, lo chiedeva, lo afferrava per fede, nella certezza di una forza che lo sosteneva. Questa fu l’esperienza che Mosè fece nei quarant’anni di formazione nel deserto. Per impartire una tale esperienza, la Sapienza Infinita non considerava il periodo troppo lungo o il prezzo troppo alto. I risultati di questa formazione, degli insegnamenti impartiti, sono legati non solo alla storia di Israele, ma anche a tutto ciò che, da quel giorno ad oggi, ha raccontato il progresso del mondo. La più alta testimonianza della grandezza di Mosè è racchiusa nel giudizio ispirato espresso sulla sua vita: “Non è più sorto in Israele un profeta simile a Mosè, con il quale l’Eterno trattava faccia a faccia” {Deuteronomio 34: 10}.

Paolo, gioioso nel servizio

Con la fede e l’esperienza dei discepoli galileiani che si erano uniti a Gesù nell’opera del Vangelo, si scontrava il vigore ardente e la forza intellettuale di un rabbino di Gerusalemme. Un cittadino romano, nato in una città gentile; un ebreo, non solo per discendenza ma, per devozione patriottica e fede religiosa; educato a Gerusalemme dai più eminenti rabbini e istruito in tutte le leggi e tradizioni dei padri, Saulo di Tarso condivideva in pieno l’orgoglio e i pregiudizi della sua nazione. Quando era ancora giovane, divenne un membro onorato del Sinedrio. Era considerato un uomo promettente, uno zelante difensore dell’antica fede. Nelle scuole teologiche della Giudea, la Parola di Dio era stata messa da parte per le speculazioni umane; era stata derubata della Sua potenza dalle interpretazioni e tradizioni dei rabbini.

Autocompiacimento, amore per il dominio, esclusività gelosa, bigottismo e sprezzante orgoglio, erano i principi guida e le motivazioni dominanti di questi maestri. I rabbini si gloriavano della loro superiorità, non solo nei confronti dei popoli di altre nazioni, ma anche nei confronti della propria. Con il loro feroce odio verso gli oppressori romani, nutrivano la determinazione di recuperare con la forza delle armi, la loro supremazia nazionale. Odiavano e mettevano a morte i seguaci di Gesù, il cui messaggio di pace era così diametralmente opposto ai loro piani di ambizione. In questa persecuzione, Saulo fu uno degli attori più aspri e implacabili. Nelle scuole militari d’Egitto, a Mosè fu insegnata la legge della forza, e questo insegnamento ebbe una presa così forte sul suo carattere che ci vollero quarant’anni di quiete e di comunione con Dio e con la natura per renderlo idoneo a guidare Israele con la legge dell’amore. La stessa lezione dovette imparare Paolo. Alla porta di Damasco la visione del Cristo Crocifisso cambiò l’intera corrente della sua vita. Il persecutore divenne un discepolo, il maestro uno studente. I giorni di oscurità trascorsi in solitudine a Damasco furono come anni nella sua esperienza. Le Scritture dell’Antico Testamento conservate nella sua memoria erano il suo studio e Cristo il suo maestro. Anche per lui le solitudini della natura divennero una scuola. Si recò nel deserto dell’Arabia, per studiare le Scritture e conoscere Dio. Svuotò la sua anima dai pregiudizi e dalle tradizioni che avevano plasmato la sua vita, e ricevette istruzione dalla Fonte della verità.

La sua vita terrena è stata ispirata dall’unico principio del sacrificio di sé, il ministero dell’amore. Disse: “Io sono debitore ai Greci e ai barbari, ai savi e agli ignoranti” {Romani 1: 14}. “L’amore di Cristo ci costringe” {2 Corinzi 5: 14}. Il più grande degli insegnanti umani, Paolo accettava i doveri più bassi e più alti. Riconosceva la necessità del lavoro manuale come di quello mentale, e lavorava in un’attività artigianale per il proprio sostentamento. Il suo mestiere di fabbricante di tende lo sostentava, mentre ogni giorno predicava il Vangelo nei grandi centri della civiltà. “Queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di quelli che erano con me” {Atti 20: 34}, disse al momento di separarsi dagli anziani di Efeso. Pur possedendo elevate doti intellettuali, la vita di Paolo ha rivelato la potenza di un’arte rara. Paolo ha espresso il potere di una saggezza più profonda. I principi di fondamentale importanza, di cui le più grandi menti di quel tempo erano ignoranti, sono stati svelati nei suoi insegnamenti ed esemplificati nella sua vita. Aveva la più grande di tutte le sapienze, che dà rapidità di intuizione e simpatia di cuore, che mette l’uomo in contatto con il prossimo, e gli permette di risvegliare la sua natura migliore e di ispirarlo ad una vita superiore. Ascoltate le sue parole davanti ai Listriani, quando indica loro il Dio rivelato nella natura, la fonte di ogni bene, che “dandoci dal cielo piogge e stagioni fruttifere e riempiendo i nostri cuori di cibo e di gioia” {Atti 14: 17}.

Lo vediamo nel sotterraneo di Filippi, dove, nonostante il corpo straziato, il suo canto di lode rompe il silenzio della mezzanotte. In seguito, quando il terremoto ha aperto le porte della prigione, la sua voce si fa sentire di nuovo, con parole di incoraggiamento al carceriere pagano: “Non farti alcun male, perché noi siamo tutti qui” {Atti 16: 28} – ognuno è al suo posto, trattenuto dalla presenza di un compagno di prigionia. E il carceriere, convinto della realtà di quella fede che sostiene Paolo, chiede la via della salvezza, e con tutta la sua famiglia si unisce al gruppo perseguitato dei discepoli di Cristo. Vediamo Paolo ad Atene davanti al consiglio dell’Areopago, mentre affronta la scienza con la scienza, la logica con la logica e la filosofia con la filosofia. Notate come, con il tatto che nasce dall’amore divino, indica Geova come “AL DIO SCONOSCIUTO” {Atti 17: 23}, che i suoi uditori hanno ignorantemente adorato; e con parole citate da un loro poeta lo dipinge come un Padre, di cui loro sono figli. Ascoltatelo, in quell’epoca di divisioni per ceti sociali, quando i diritti dell’uomo, in quanto uomo, erano del tutto sconosciuti, ascoltatelo mentre espone la grande verità della fratellanza umana, dichiarando che Dio “ha tratto da uno solo tutte le stirpi degli uomini, perché abitassero sopra tutta la faccia della terra” {Atti 17: 26}. Poi mostra come, attraverso tutti i rapporti di Dio con l’uomo, scorra un filo d’oro, il Suo proposito di grazia e di misericordia. Egli “avendo determinato le epoche prestabilite e i confini della loro abitazione, affinché cercassero il Signore, se mai riuscissero a trovarlo come a tastoni, benché egli non sia lontano da ognuno di noi” {Atti 17: 26-27}. Ascoltatelo nel tribunale di Festo, quando il re Agrippa, condannato per la verità del Vangelo, esclama: “«Ancora un po’ e mi persuadi a diventare cristiano»” {Atti 26: 28}. Con quale gentilezza Paolo, indicando la propria catena, risponde: “«Volesse Dio che in poco o molto tempo non solo tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all’infuori di queste catene»” {Atti 26: 29}. La sua vita trascorse così, come descritto dalle sue stesse parole, “Sono stato spesse volte in viaggio fra pericoli di fiumi, pericoli di ladroni, pericoli da parte dei miei connazionali, pericoli da parte dei gentili, pericoli in città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli fra falsi fratelli, nella fatica e nel travaglio, sovente nelle veglie, nella fame e nella sete, spesse volte in digiuni, nel freddo e nella nudità” {2 Corinzi 11: 26-27}. Paolo ha detto: “ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; vituperati, esortiamo” {1 Corinzi 4: 12-13}; “come contristati, eppure sempre allegri; come poveri eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo tutto” {2 Corinzi 6: 10}. Nel servizio trovò la sua gioia; e alla fine della sua vita di fatica, ripensando alle sue lotte e ai suoi trionfi, poteva dire: “Ho combattuto il buon combattimento” {2 Timoteo 4: 7}.

Queste storie sono di interesse vitale. Per nessuno sono più importanti che per i giovani. Mosè rinunciò ad un futuro regno, Paolo ai vantaggi della ricchezza e dell’onore tra il suo popolo, per una vita di fatiche al servizio di Dio. Per molti la vita di questi uomini appare come una vita di rinunce e sacrifici. Ma era davvero così? Mosè considerò la conoscenza di Cristo una ricchezza più grande dei tesori d’Egitto. La considerava tale perché era proprio così. Paolo dichiarò: “Ma le cose che mi erano guadagno, le ho ritenute una perdita per Cristo. Anzi, ritengo anche tutte queste cose essere una perdita di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho perso tutte queste cose e le ritengo come tanta spazzatura per guadagnare Cristo” {Filippesi 3: 7-8}.

Era soddisfatto della sua scelta. A Mosè era stato offerto il palazzo dei faraoni e il trono del monarca, ma c’ erano piaceri peccaminosi che facevano dimenticare Dio in quelle corti signorili, ed egli scelse invece la “ricchezza che dura e la giustizia” {Proverbi 8: 18}. Invece di legarsi alla grandezza dell’Egitto, scelse di suggellare la sua vita al proposito di Dio. Invece di dare leggi all’Egitto, per direzione divina, emanò leggi per il mondo. Divenne lo strumento di Dio per dare agli uomini quei principi che sono la salvaguardia della casa e della società, che sono la pietra angolare della prosperità delle nazioni – principi riconosciuti oggi dai più grandi uomini del mondo come il fondamento di tutto ciò che c’è di meglio nei governi umani. La grandezza dell’Egitto è nella polvere. La sua potenza e la sua civiltà sono passate. Ma l’opera di Mosè non potrà mai perire. I grandi principi di rettitudine che egli visse sono eterni. La vita di Mosè, fatta di fatiche e di preoccupazioni che hanno oppresso il cuore, è stata irradiata dalla presenza di Colui che “lo si riconosce tra mille” {Cantico dei Cantici 5: 10}, e Colui che “risveglia il mio desiderio” {Cantico dei Cantici 5: 16}.

Con Cristo nel deserto, con Lui sul monte della trasfigurazione, nelle corti celesti, la sua è stata una vita in Terra benedetta e benedicente, e in cielo onorata. Anche Paolo, nelle sue molteplici fatiche, è stato sostenuto dalla potenza della Sua presenza. Disse: “Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” {Filippesi 4: 13}. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà l’afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?” {Romani 8: 35}. “Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati. Infatti io sono persuaso che né morte né vita né angeli né principati né potenze né cose presenti né cose future, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” {Romani 8: 37-39}. Tuttavia, c’è una gioia futura che Paolo attendeva come ricompensa delle sue fatiche: la stessa gioia per la quale Cristo sopportò la Croce e disprezzò la vergogna, la gioia di vedere il compimento della Sua opera. Scriveva ai Tessalonicesi: “Qual è infatti la nostra speranza, o gioia, o corona di gloria? Non siete proprio voi, davanti al Signor nostro Gesù Cristo alla sua venuta? Voi siete infatti la nostra gloria e gioia” {1 Tessalonicesi 2: 19-20}.

Chi può misurare i benefici per il mondo, dell’opera di Paolo? Di tutti quelli influssi benefici che alleviano le sofferenze, che consolano nel dolore, che frenano il male, che sollevano la vita dall’egoismo e dalla sensualità e la glorificano con la speranza dell’immortalità, quanto si deve a Paolo e ai suoi compagni di lavoro, che con il Vangelo del Figlio di Dio hanno compiuto il loro viaggio inosservato dall’Asia alle coste dell’Europa? Quanto vale per ogni vita, l’essere stati lo strumento di Dio nel mettere in moto tali influssi di benedizione? Quanto varrà nell’eternità per testimoniare i risultati di una tale opera di vita?

 

Il miglior insegnante

“Mai un uomo ha parlato come quest’Uomo”.

 

 

CAPITOLO 8 – IL MAESTRO MANDATO DA DIO

“Consideratelo”.

“Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato. Sulle sue spalle riposerà l’impero, e sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace” {Isaia 9: 5}. Nel Maestro mandato da Dio, il Cielo ha dato agli uomini il Suo meglio e il Suo massimo. Colui che era stato nei consigli dell’Altissimo, che aveva abitato nel santuario più intimo dell’Eterno, fu il prescelto per rivelare di persona all’umanità, la conoscenza di Dio. Attraverso Cristo è stato comunicato ogni raggio della luce divina che abbia mai raggiunto il nostro mondo decaduto. Era Lui che aveva parlato attraverso tutti coloro che, nel corso dei secoli, hanno dichiarato la Parola di Dio all’uomo. Di Lui si riflettono tutte le eccellenze che si manifestano nelle anime più grandi e nobili della Terra.

La purezza e la benevolenza di Giuseppe, la fede, la mansuetudine e la longanimità di Mosè, la fermezza di Eliseo, la nobile integrità e la determinazione di Daniele, l’ardore e l’abnegazione di Paolo, il potere mentale e spirituale manifestato in tutti questi uomini e in tutti gli altri che hanno abitato la Terra, non erano che bagliori dello splendore della Sua gloria. In Lui è stato trovato l’ideale perfetto. È stato rivelato questo ideale come l’unico vero standard da raggiungere; è stato mostrato ciò che ogni essere umano potrebbe diventare, è stato provato che, attraverso la coabitazione dell’umanità con la divinità, tutti coloro che lo accolgono diventeranno ciò che Cristo è venuto nel mondo. È venuto per mostrare come gli uomini debbano essere formati per essere figli di Dio; come sulla Terra devono praticare i principi e vivere la vita del Cielo.

Il dono più grande di Dio è stato elargito per soddisfare il bisogno più grande dell’uomo. La Luce è apparsa quando le tenebre del mondo erano più scure. Attraverso insegnamenti falsi, le menti degli uomini si erano da tempo allontanate da Dio. Nei sistemi educativi prevalenti, la filosofia umana aveva preso il posto della rivelazione divina. Invece dello standard di verità dato dal Cielo, gli uomini avevano accettato uno standard di loro invenzione. Si erano allontanati dalla luce della vita per camminare sulle scintille del fuoco che avevano acceso. Essendosi separati da Dio, la loro unica dipendenza era il potere dell’umanità, la loro forza non era che debolezza. Persino lo standard da loro stessi stabilito, era troppo alto di raggiungere. La mancanza di vera eccellenza è stata colmata dall’apparenza e dalla professione. La parvenza prese il posto della realtà. Di tanto in tanto sorgevano insegnanti che indicavano agli uomini la fonte della verità. Venivano enunciati principi giusti e le vite umane testimoniavano il loro potere. Ma questi sforzi non hanno lasciato un’impronta duratura. La corrente del male subì una breve battuta d’arresto, ma il suo corso discendente non fu fermato. I riformatori erano come luci che brillavano nelle tenebre, ma non riuscirono a dissiparle. “Gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce” {Giovanni 3: 19}. Quando Cristo venne sulla Terra, sembrava che l’umanità stesse rapidamente raggiungendo il suo punto più basso. Le fondamenta stesse della società erano minate. La vita era diventata falsa e artificiale. I Giudei, privi della potenza della parola di Dio, hanno dato al mondo tradizioni e speculazioni che hanno fatto morire l’anima. Il culto di Dio “in Spirito e verità” era stato soppiantato dalla glorificazione degli uomini in una serie infinita di cerimonie create dall’uomo. In tutto il mondo, i sistemi religiosi stavano perdendo la loro presa sulla mente e sull’anima. Disgustati dalla contraffazione e dalla falsità, cercando di annegare il pensiero, gli uomini si rivolgevano all’infedeltà e al materialismo. Lasciando l’Eternità fuori, vivevano solo per il presente. Come hanno cessato di riconoscere il Divino, così hanno smesso di considerare l’umano. La verità, l’onore, l’integrità, la fiducia, la compassione, si stavano allontanando dalla Terra. L’avidità implacabile e l’ambizione assorbente hanno dato vita ad una sfiducia universale.

L’idea del dovere, dell’obbligo della forza nei confronti della debolezza, della dignità umana e dei diritti dell’uomo, veniva messa da parte come un sogno o una favola. La gente comune era considerata come bestie da soma o come strumenti e trampolini di lancio per l’ambizione. La ricchezza e il potere, l’agio e l’auto-indulgenza erano ricercati come il bene supremo. La degenerazione fisica, il torpore mentale, la morte spirituale, hanno caratterizzato l’epoca. Come le passioni e i propositi malvagi degli uomini hanno bandito Dio dai loro pensieri, così la dimenticanza di Dio dai loro pensieri, li inclinava più fortemente al male. Il cuore innamorato del peccato lo rivestiva dei propri attributi, e questa concezione rafforzava il potere del peccato. Piegati a compiacere sé stessi, gli uomini arrivarono a considerare Dio come un essere simile a loro stessi, il cui scopo era la gloria personale, le cui esigenze si adattavano al proprio piacere; un Essere dal quale gli uomini erano innalzati o abbattuti a seconda che aiutassero o ostacolassero il Suo scopo egoistico. Le classi inferiori consideravano l’Essere Supremo come uno che si differenziava appena, dai loro oppressori, se non per il fatto di superarli in potenza. Ogni forma di religione è stata plasmata da queste idee. Ognuna di esse era un sistema di riscossioni. Con doni e cerimonie, i fedeli cercavano di propiziare la Divinità per assicurarsi il Suo favore per i propri scopi. Tale religione, non avendo alcun potere sul cuore o sulla coscienza, non poteva essere che un insieme di forme, di cui l’uomo si stancava e da cui, se non per il guadagno che poteva offrire, desideravano liberarsi. Così il male senza freni, si rafforzava, mentre l’apprezzamento e il desiderio per il bene, diminuivano.

Gli uomini persero l’immagine di Dio e ricevettero l’impronta del potere demoniaco da cui erano controllati. Il mondo intero si stava trasformando in un bacino di corruzione. C’era solo una speranza per la razza umana: che in questa massa di elementi discordanti e corrotti potesse essere gettato un nuovo lievito; che potesse essere portata all’umanità la potenza di una nuova vita; che la conoscenza di Dio fosse restituita al mondo. Cristo è venuto a ristabilire questa conoscenza. È venuto per mettere da parte il falso insegnamento con cui, coloro che sostenevano di conoscere Dio, lo avevano travisato. Venne per manifestare la natura della Sua legge, per rivelare nel Suo stesso carattere, la bellezza della santità. Cristo è venuto nel mondo con tutto l’amore accumulato dell’eternità. Spazzando via le imposizioni che avevano appesantito la legge di Dio, ha mostrato che la Legge è una Legge d’amore, espressione della misericordia di Dio.

Mostrò che nell’obbedienza ai Suoi principi è implicita la felicità dell’umanità, e con essa la stabilità, il fondamento e l’ossatura stessa della società umana. Lungi dall’imporre requisiti arbitrari, la legge di Dio è data agli uomini come una protezione, una barriera, un’ombra. Chiunque accetti i Suoi principi è preservato dal male. La fedeltà a Dio comporta la fedeltà all’uomo. Così la Legge protegge i diritti, l’individualità di ogni essere umano. Essa trattiene il superiore dall’opprimere e il subordinato dalla disobbedienza. Garantisce il benessere dell’uomo, sia per questo mondo che per il mondo avvenire. Per chi obbedisce viene garantito il diritto alla vita eterna, perché esprime principi che durano per sempre. Cristo è venuto a dimostrare il valore dei principi divini, rivelando il loro potere di rigenerazione dell’umanità. È venuto per insegnare come questi principi devono essere sviluppati e applicati. Per la gente di quell’epoca il valore di tutte le cose era determinato dall’esteriorità. Man mano che la religione diminuiva in potenza, aumentava in sfarzo.

Gli educatori dell’epoca cercavano di ottenere il rispetto attraverso apparenza e ostentazione. A tutto questo la vita di Gesù presentava un contrasto marcato. La Sua vita dimostrava l’inutilità di quelle cose che gli uomini consideravano come i grandi elementi essenziali della vita. Nato in un ambiente dei più spartani, condividendo la casa e il cibo di un contadino, l’occupazione di un artigiano, vivendo una vita semplice, identificandosi con gli sconosciuti faticatori del mondo, in queste condizioni e in ambienti simili, Gesù seguì il piano divino di educazione. Non ha cercato le scuole del Suo tempo, con il loro focus sulle cose superficiali e il loro sminuire le cose elevate. La Sua educazione è stata acquisita direttamente dalle fonti designate dal Cielo; dal lavoro utile, dallo studio delle Scritture, dalla natura e dalle esperienze della vita – i libri di lezione di Dio, pieni di insegnamenti per tutti coloro che hanno mani volenterose, occhi aperti e cuore mite. “Intanto il bambino cresceva e si fortificava nello spirito, essendo ripieno di sapienza; e la grazia di Dio era su di lui” {Luca 2: 40}.

Così preparato, andò incontro alla Sua missione, in ogni momento di contatto con gli uomini esercitò su di loro un’influenza benedicente, un potere trasformante, come il mondo non aveva mai visto. Chi cerca di convertire l’umanità, deve comprendere egli stesso l’umanità. Solo attraverso la simpatia, la fede e l’amore è possibile raggiungere ed elevare gli uomini. Qui Cristo si rivela come il Maestro; di tutti coloro che hanno abitato la Terra, solo Lui ha una perfetta comprensione dell’anima umana. “Infatti, noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi” {Ebrei 4: 15}. “Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 18}.

Solo Cristo ha avuto esperienza di tutti i dolori e di tutte le tentazioni che colpiscono gli esseri umani. Mai un altro nato da donna fu così ferocemente assalito dalle tentazioni; mai nessun altro ha portato un fardello così pesante del peccato e del dolore del mondo. Non c’è mai stato un altro uomo, le cui simpatie fossero così ampie o così tenere. Partecipando a tutte le esperienze dell’umanità, Egli poteva familiarizzare non solo per, ma con, ogni persona oppressa, tentata e in difficoltà. Ciò che insegnava, lo viveva. Disse ai Suoi discepoli: “«Io infatti vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io facciate anche voi” {Giovanni 13: 15}. “Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio” Giovanni 15: 10}. Così nella Sua vita, le parole di Cristo hanno avuto un’illustrazione e un sostegno perfetti. E più di questo: ciò che Egli insegnò, Egli fu. Le Sue parole erano l’espressione non solo della Sua esperienza di vita, ma del Suo stesso carattere. Non solo insegnava la verità, ma era la verità. Era questo che dava potere al Suo insegnamento.

Cristo era fedele anche nel rimproverare. Non è mai vissuto un altro che odiasse così il male; mai un altro la cui denuncia fosse così impavida. La Sua stessa presenza era un rimprovero a tutte le cose false e meschine. Alla luce della Sua purezza, gli uomini si vedevano impuri, gli obbiettivi della loro vita, apparivano meschini e superficiali. Eppure Egli li attirava. Colui che aveva creato l’uomo, comprese il valore dell’umanità. Denunciava il male come nemico di coloro che Egli cercava di benedire e salvare. In ogni essere umano, per quanto decaduto, Egli vedeva un figlio di Dio, uno che poteva essere restituito al privilegio della sua relazione divina. “Dio infatti non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui” {Giovanni 3: 17}.

Guardando gli uomini nella loro sofferenza e degradazione, Cristo ha percepito un motivo di speranza dove si vedeva solo disperazione e rovina. Ovunque ci fosse un grido di bisogno, lì ha visto l’opportunità di risollevare. Le anime tentate, sconfitte, che si sentivano perdute, pronte a perire, Egli le ha incontrate, non con una denuncia, ma con la benedizione. Le beatitudini erano il Suo saluto all’intera famiglia umana. Guardando la grande folla radunata per ascoltare il Sermone sul Monte, sembrò che, per un attimo, avesse dimenticato di non essere in Cielo, e usò il saluto familiare del mondo della Luce. Dalle Sue labbra sgorgarono benedizioni come lo zampillare di una fontana da tempo sigillata. Si allontanò dai favoriti ambiziosi e autocompiaciuti di questo mondo, Egli dichiarò che erano benedetti coloro che, per quanto grandi fossero i loro bisogni, ricevevano la Sua luce e il Suo amore. Ai poveri di spirito, ai dolenti, ai perseguitati, Egli stese le braccia dicendo: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo” {Matteo 11: 28}.

In ogni essere umano, Egli scorgeva infinite possibilità. Vedeva gli uomini come sarebbero potuti essere, trasfigurati dalla Sua grazia – “La grazia del Signore DIO nostro sia su di noi” {Salmo 90: 17}. Guardandoli con speranza, Egli infondeva speranza. Andando incontro a loro con fiducia, ha ispirato fiducia. Rivelando in Sé il vero ideale dell’uomo, ha risvegliato, per il suo raggiungimento, il desiderio e la fede. Alla Sua presenza, le anime disprezzate e decadute si rendevano conto di essere ancora uomini e desideravano dimostrare di essere degni della Sua considerazione. In molti cuori che sembravano morti a tutte le cose sante, si risvegliavano nuovi impulsi. A molti disperati si aprì la possibilità di una nuova vita. Cristo li ha legati al Suo cuore con i vincoli dell’amore e della devozione; e con gli stessi legami li legava ai loro simili. Con Lui l’amore era vita e la vita era servizio. Disse: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” {Matteo 10: 8}. Non fu solo sulla Croce che Cristo si sacrificò per l’umanità. “Il quale andò attorno facendo del bene” {Atti 10: 38}, ogni esperienza quotidiana era un’effusione della Sua vita. Solo in un modo poteva essere vissuta una vita del genere.

Gesù ha vissuto nella dipendenza da Dio e in comunione con Lui. Nel luogo segreto dell’Altissimo, sotto l’ombra dell’Onnipotente, gli uomini di tanto in tanto si rifugiano; restano per una stagione e il risultato si manifesta in azioni nobili; poi la loro fede viene meno, la comunione si interrompe, e l’opera della vita viene rovinata. Ma la vita di Gesù è stata una vita di fiducia costante, sostenuta da una comunione continua; e il Suo servizio per il Cielo e per la Terra era stata senza fallimenti o tentennamenti. Da uomo supplicava il trono di Dio, finché la Sua umanità non si caricò di una corrente celeste che collegava l’umanità con la divinità. Ricevendo la vita da Dio, impartì la vita agli uomini. “Nessun uomo ha mai parlato come costui” {Giovanni 7: 46}.

Certamente, se Cristo se avesse insegnato solo nel regno della fisica e dell’intelletto, o solo in materia di teoria e speculazione, avrebbe potuto svelare misteri che hanno richiesto secoli di fatica e di studio per essere penetrati. Avrebbe potuto dare suggerimenti scientifici che, fino alla fine dei tempi, avrebbero fornito cibo per il pensiero e stimolo per l’invenzione. Ma non lo fece. Egli non disse nulla per appagare la curiosità o per stimolare l’ambizione egoistica. Egli non si occupava di teorie astratte, ma di ciò che è essenziale per lo sviluppo del carattere, di ciò che amplia la capacità dell’uomo di conoscere Dio e aumentare il suo potere di fare il bene. Ha parlato di verità che riguardano la condotta di vita e che uniscono l’uomo all’eternità. Invece di indirizzare il popolo a studiare le teorie degli uomini su Dio, la Sua Parola o le Sue opere, insegnò loro a guardarLo come si manifesta nelle Sue opere, nella Sua parola e nelle Sue provvidenze. Ha messo le loro menti in contatto con la mente dell’Infinito. Il popolo “stupivano del suo insegnamento, perché la sua parola era con autorità” {Luca 4: 32}.

Mai prima d’ora aveva parlato uno che aveva potere di risvegliare il pensiero, di accendere l’aspirazione, di rinvigorire ogni capacità del corpo, della mente e dell’anima. L’insegnamento di Cristo, come la Sua simpatia, abbracciava il mondo. Non c’è mai una circostanza della vita, una crisi dell’esperienza umana, che non sia stata anticipata dal Suo insegnamento e per la quale i Suoi principi non abbiano impartito una lezione. Le parole di Gesù, Principe dei maestri, saranno una guida per i Suoi collaboratori fino alla fine dei tempi. Per Lui il presente e il futuro, il vicino e il lontano, erano un tutt’uno. Aveva in mente i bisogni di tutta l’umanità. Con gli occhi dello Spirito vedeva già ogni scena di sforzo e conquista umana, ogni tentazione e conflitto, perplessità e pericolo. Tutti i cuori, tutti sogni, i piaceri, le gioie e le aspirazioni erano noti a Lui. Non parlava solo per, ma a tutta l’umanità. Al piccolo bambino, gioia del mattino della vita; al cuore impaziente e inquieto del giovane; agli uomini nella forza dei loro anni, che portano il peso delle responsabilità e delle cure; agli anziani nella loro debolezza e stanchezza, Il Suo messaggio è stato rivolto a tutti i figli dell’umanità, in ogni terra e in ogni epoca. Nel Suo insegnamento Egli poneva le cose presenti subordinate a quelle di interesse eterno, ma senza ignorare la loro importanza. Insegnò che il cielo e la terra sono legati tra loro, e che la conoscenza della verità divina prepara l’uomo a svolgere meglio i doveri della vita quotidiana. Per Lui nulla era senza scopo. I giochi del bambino, le fatiche dell’uomo, i piaceri, le preoccupazioni e i dolori della vita, erano tutti mezzi per raggiungere il fine: la rivelazione di Dio per la redenzione dell’umanità. Dalle Sue labbra la parola di Dio è arrivata al cuore degli uomini con nuovo potere e nuovo significato.

Il Suo insegnamento ha permesso che le cose della creazione fossero viste in una nuova luce. Sul volto della natura si posarono di nuovo i bagliori di quella luminosità che il peccato aveva bandito. In tutte le vicissitudini e le esperienze della vita si rivelavano una lezione divina e la possibilità di una compagnia divina. Di nuovo Dio abitava sulla Terra; i cuori umani divennero consapevoli della Sua presenza; il mondo era avvolto dal Suo amore. Il Cielo è sceso tra gli uomini. In Cristo i loro cuori hanno riconosciuto Colui che ha aperto loro la scienza dell’eternità. “Emmanuel… Dio con noi”. Nel Maestro inviato da Dio, tutta la vera opera educativa trova il suo centro. Di quest’opera, oggi come dell’opera che Egli istituì circa venti secoli fà, il Salvatore parla con le parole: “«Io sono il primo e l’ultimo, e il vivente»” {Apocalisse 1: 17-18}. “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine” {Apocalisse 21: 6}.

In presenza di un tale Maestro, di una tale opportunità di educazione divina, cosa c’è di peggio della follia nel cercare un’istruzione lontano dalla Sua, di cercare l’illuminazione senza la Luce e l’esistenza senza la Vita; di allontanarsi dalla Fonte delle acque vive, e scavare cisterne rotte, che non possono contenere acqua. Ecco, Egli invita ancora: “«Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, da dentro di lui sgorgheranno fiumi d’acqua viva»” {Giovanni 7: 37-38}, “«ma l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che zampilla in vita eterna»” {Giovanni 4: 14}.

 

 

CAPITOLO 9 – UN’ILLUSTRAZIONE DEI SUOI METODI

“Ho manifestato il Tuo nome all’uomo che mi hai dato”.

L’illustrazione più completa dei metodi di Cristo come insegnante si trova nella formazione dei dodici primi discepoli. Su questi uomini erano state affidate pesanti responsabilità. Li aveva scelti come uomini a cui Egli potesse infondere il Suo Spirito e che potessero essere idonei a portare avanti la Sua opera sulla Terra quando l’avrebbe lasciata. A loro, più di tutti gli altri, diede il vantaggio della Sua stessa compagnia.

Attraverso la comunione personale, Egli ha impresso la Sua immagine in questi collaboratori scelti. L’amato Giovanni dice: “E la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza” {1 Giovanni 1: 2}.

Solo attraverso questa comunione – la comunione della mente con il cuore, dell’umano con il divino – può essere comunicata quell’energia vitalizzante che è compito della vera educazione impartire. È solo la vita che genera vita. Nella formazione dei Suoi discepoli, il Salvatore seguì il sistema di educazione stabilito all’inizio.

I Dodici scelti per primi, con alcuni altri che, per aiutarli, erano di volta in volta legati a loro, formarono la famiglia di Gesù. Lo accompagnavano nei Suoi viaggi, condividevano le Sue prove e le Sue difficoltà, e, per quanto era possibile, partecipavano alla Sua opera. A volte insegnava loro mentre sedevano insieme sul fianco della montagna, a volte in riva al mare o dalla barca dei pescatori, a volte mentre camminavano per strada. Ogni volta che parlava alla moltitudine, i discepoli formavano il cerchio interno. Si stringevano vicino accanto a Lui, per non perdere nulla dei Suoi insegnamenti. Erano ascoltatori attenti, desiderosi di comprendere le verità che dovevano insegnare in tutte le terre e a tutte le età. I primi allievi di Gesù furono scelti tra le file della gente comune.

Questi pescatori di Galilea erano uomini umili e illetterati; uomini non istruiti nelle conoscenze e nelle usanze dei rabbini, ma addestrati dalla severa disciplina della fatica e degli stenti. Erano uomini con capacità innate e spirito di insegnamento; uomini che potevano essere istruiti e plasmati per l’opera del Salvatore. Nella vita di tutti i giorni ci sono molti lavoratori che affrontano pazientemente i loro compiti quotidiani, inconsapevoli di poteri latenti che, se fossero portati all’azione, li collocherebbero tra i grandi leader del mondo. Tali erano gli uomini chiamati dal Salvatore ad essere Suoi collaboratori. E hanno avuto il vantaggio di tre anni di formazione da parte del più grande educatore che il mondo abbia mai conosciuto. Questi primi discepoli presentavano una marcata diversità. Essi dovevano essere gli insegnanti del mondo, e rappresentavano tipi di carattere molto diversi.

C’era Levi Matteo, il pubblicano, chiamato da una vita di attività commerciali e di asservimento a Roma; lo zelota Simone, il nemico intransigente dell’autorità imperiale; l’impulsivo, autosufficiente, caloroso Pietro, con Andrea suo fratello; Giuda l’Iscariota, lucido, capace e meschino; Filippo e Tommaso, fedeli e sinceri, ma lenti di cuore a credere; Giacomo d’ Alfeo e Giuda, di minor rilievo tra i fratelli, ma uomini forti, concreti sia nei loro difetti che nelle loro virtù; Natanaele, un uomo sincero e fiducioso, qualità infantili ma autentiche; e i figli di Zebedeo, ambiziosi e pieni di amore.

Per portare avanti con successo l’opera a cui erano stati chiamati, questi discepoli, così diversi tra loro per caratteristiche naturali, formazione ed abitudini di vita, dovevano raggiungere un’unità di sentimenti, pensieri ed azioni. Questa unità era l’obiettivo di Cristo da garantire. A tal fine cercò di portarli all’unità con Sé stesso. Il peso del Suo lavoro per loro è espresso nella Sua preghiera al Padre: “affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te; siano anch’essi uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno, come noi siamo uno. Io sono in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amati, come hai amato me” {Giovanni 17: 21-23}.

Il potere di trasformazione di Cristo

Dei dodici discepoli, quattro dovevano svolgere un ruolo di primo piano, ciascuno in una linea distinta. Per prepararli, Cristo li istruì, prevedendo tutto. Giacomo, destinato ad una rapida morte di spada, Giovanni, il più longevo dei fratelli a seguire il Suo Maestro nel lavoro e nella persecuzione, Pietro, il pioniere nell’infrangere le barriere secolari e nell’insegnare al mondo pagano, e Giuda, al servizio capace di primeggiare sui suoi fratelli, ma che covava nell’anima propositi di cui non sognava, ancora, la maturazione: questi sono stati gli oggetti della più grande sollecitudine di Cristo e i destinatari delle Sue più frequente e attente istruzioni.

Pietro, Giacomo e Giovanni cercavano ogni occasione per entrare in stretto contatto con il loro Maestro, e il loro desiderio fu esaudito. Di tutti i Dodici il loro rapporto con Lui era più stretto. Giovanni poteva ambire ad un’intimità ancora più stretta, e la ottenne. In quel primo incontro accanto al Giordano, quando Andrea, dopo aver udito Gesù, si affrettò a chiamare suo fratello, Giovanni rimase seduto in silenzio, rapito da quella contemplazione di temi meravigliosi. Seguiva il Salvatore, sempre come un ascoltatore avido e assorto. Tuttavia, Giovanni non aveva un carattere irreprensibile. Non era un entusiasta mite e sognatore. Lui e suo fratello erano chiamati “Figli del tuono” {Marco 3: 17}.

Giovanni era orgoglioso, ambizioso, combattivo; ma al di sotto di tutto questo il Maestro divino scorgeva un cuore ardente, sincero e amorevole. Gesù rimproverò la sua ricerca di sé, deluse le sue ambizioni, mise alla prova la sua fede. Ma rivelò alla sua anima la bellezza della santità, il suo stesso amore trasformante. Disse al Padre: “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini, che tu mi hai dato dal mondo” {Giovanni 17: 6}.

Quella di Giovanni era una natura che desiderava l’amore, la simpatia e la compagnia. Si strinse a Gesù, si sedette al Suo fianco, si appoggiò al Suo petto. Come un fiore si nutre del sole e della rugiada, così egli si nutriva della luce e della vita divina. In adorazione e amore, guardava il Salvatore, finché la somiglianza con Cristo e la comunione con Lui divennero il suo unico desiderio, e nel suo carattere si rifletteva il carattere del Suo Maestro. “Vedete quale amore il Padre ha profuso su di noi, facendoci chiamare figli di Dio. La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, purifichi se stesso, come egli è puro” {1 Giovanni 3: 1-3}.

Dalla debolezza alla forza

La storia di nessuno dei discepoli illustra meglio il metodo di formazione di Cristo come quella di Pietro. Audace, aggressivo e sicuro di sé, veloce nel percepire e nell’agire, pronto nella ritorsione ma generoso nel perdonare, Pietro ha spesso sbagliato e ricevuto rimproveri. La sua lealtà e la sua devozione a Cristo sono state riconosciute e apprezzate. Pazientemente, con amore selettivo, il Salvatore trattò il Suo discepolo impetuoso, cercando di controllare la sua fiducia in sé stesso e di insegnargli l’umiltà, l’obbedienza e la fiducia.

Ma la lezione fu appresa solo in parte. La sicurezza di sé non fu sradicata. Spesso Gesù, con il fardello che gravava sul Suo stesso cuore, cercava di illustrare ai discepoli le scene della Sua prova e della Sua sofferenza. Ma i loro occhi erano chiusi. La conoscenza era sgradita e non vedevano. L’autocommiserazione, che li allontanò dalla comunione con Cristo nella Sua sofferenza, strappò a Pietro questa parola di protesta: “Signore, Dio te ne liberi; questo non ti avverrà mai” {Matteo 16: 22}. Le sue parole esprimevano il pensiero e il sentimento dei Dodici. Così andarono avanti, mentre la crisi si avvicinava; loro, vanagloriosi, litigiosi, nell’attesa si dividevano gli onori regali e non sognavano la Croce. Per tutti loro, l’esperienza di Pietro aveva una lezione. Per colui che confida in sé stesso, le prove sono solo una sconfitta. Cristo non poteva impedire Il sicuro manifestarsi del male, ancora non abbandonato. Ma come la Sua mano era stata tesa per salvare, quando le onde stavano per travolgere Pietro, così il Suo amore si è proteso per suo soccorso quando le acque profonde travolsero la sua anima. Più e più volte più, proprio sull’orlo della rovina, le parole di vanto di Pietro lo portarono sempre più vicino all’orlo del baratro. Più e più volte gli fu dato l’avvertimento: “«Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà, prima che tu abbia negato tre volte di conoscermi»” {Luca 22: 34}.

Fu il cuore addolorato e amorevole del discepolo a pronunciare l’espressione con l’affermazione: “«Signore, io sono pronto ad andare con te tanto in prigione che alla morte»” {Luca 22: 33}; e Colui che legge il cuore ha dato a Pietro il messaggio, allora poco apprezzato, ma che nel rapido calare delle tenebre avrebbe gettato un raggio di speranza: “«Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai ritornato, conferma i tuoi fratelli»” {Luca 22: 31-32}.

Quando nella sala del giudizio furono pronunciate le parole del rinnegamento; quando l’amore e la lealtà di Pietro, risvegliati sotto lo sguardo di pietà, di amore e di dolore del Salvatore, lo avevano spinto a recarsi nel giardino dove Cristo aveva pianto e pregato; quando le sue lacrime di rimorso caddero sulla zolla di terra che era stata inumidita con le gocce di sangue della Sua agonia- allora le parole del Salvatore: “Ho pregato per te… quando sarai ritornato, conferma i tuoi fratelli”, erano un sostegno per la sua anima. Cristo, pur prevedendo il suo peccato, non lo aveva abbandonato alla disperazione. Se lo sguardo di Gesù avesse parlato di condanna invece che di pietà, se nel prevedere il peccato avesse omesso di parlare di speranza, quanto sarebbe stata fitta l’oscurità che avvolgeva Pietro! Come sarebbe stata profonda la disperazione di quell’anima torturata! In quell’ora di angoscia e di auto-abbandono, che cosa avrebbe potuto trattenerlo dalla strada percorsa da Giuda? Colui che, non poteva risparmiare al Suo discepolo l’angoscia, non lo lasciò solo alla sua amarezza. Il Suo è un amore che non viene meno e non abbandona. Gli esseri umani, di per sé inclini al male, sono predisposti a trattare con poca delicatezza i tentati e gli erranti. Non sanno leggere il cuore, non conoscono la sua lotta e il suo dolore. Hanno bisogno di imparare a riprendere con amore, a percuotere non per ferire, ma per guarire, ad esortare per infondere speranza. Non è stato Giovanni, colui che ha vegliato con Lui nell’aula del giudizio, che stava accanto alla Sua croce e che, tra i Dodici, fu il primo a recarsi al sepolcro, ma Pietro, ad essere menzionato da Cristo dopo la Sua risurrezione. L’angelo disse: “«Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete come vi ha detto»” {Marco 16: 7}.

Nell’ultimo incontro di Cristo con i discepoli in riva al mare, Pietro, messo alla prova dalla triplice domanda: “Mi ami tu?” {Giovanni 21: 17}, fu ristabilito al suo posto tra i Dodici. Il suo lavoro gli è stato assegnato; egli doveva pascere il gregge del Signore. Poi, come ultima indicazione personale, Gesù gli disse: “Tu seguimi!” {Giovanni 21: 22}.

Ora poteva apprezzare le parole. Prendendo pienamente coscienza sia della propria debolezza che della potenza di Cristo, era pronto a fidarsi e ad obbedire. Nella Sua forza poteva seguire il suo Maestro. E alla fine della sua esperienza di lavoro e di sacrificio, il discepolo che un tempo era così poco pronto a riconoscere la Croce, considerò una gioia la sua vita per il Vangelo, ma ritenne un onore troppo grande per lui morire come Gesù.

La trasformazione di Pietro è un miracolo della tenerezza divina. È una lezione di vita per tutti coloro che cercano di seguire i passi del Maestro.

Una lezione d’amore

Gesù rimproverò i Suoi discepoli, li ammonì e li mise in guardia; ma Giovanni, Pietro e i loro fratelli non lo lasciarono. Nonostante i rimproveri, scelsero di stare con Gesù. E il Salvatore, a causa dei loro errori, non si allontanò da loro. Egli prende gli uomini così come sono, con tutti i loro difetti e le loro debolezze, e li addestra per il Suo servizio, se vogliono essere disciplinati e istruiti da Lui. Ma c’era uno dei Dodici al quale, fino alla fine della Sua opera, Cristo non pronunciò alcuna parola di rimprovero diretto.

Con Giuda fu introdotto un elemento di antagonismo tra i discepoli. Legandosi a Gesù aveva risposto all’attrazione del Suo carattere e della Sua vita. Aveva sinceramente desiderato un cambiamento in sé stesso e sperava di sperimentarlo attraverso l’unione con Gesù. Ma questo desiderio non divenne predominante. Ciò che lo governava era la speranza di ottenere un beneficio egoistico nel regno mondano che si aspettava che Cristo instaurasse.

Pur riconoscendo il potere divino dell’amore di Cristo, Giuda non cedette alla Sua supremazia. Continuava a coltivare il suo giudizio e le sue opinioni, la sua disposizione a criticare e condannare. I motivi e i movimenti di Cristo, spesso così al di sopra della sua comprensione, suscitavano dubbi e disapprovazioni, e le sue stesse domande e ambizioni venivano insinuate anche ai discepoli. Molte delle loro contese per la supremazia, molte delle loro insoddisfazioni nei confronti dei metodi di Cristo, hanno avuto origine da Giuda. Gesù, vedendo che inimicarsi significava indurirsi, si astenne dal conflitto diretto. Il gretto egoismo della vita di Giuda, Cristo cercò di guarirlo attraverso il contatto con il Suo stesso amore sacrificale. Nel Suo insegnamento dispiegò principi che colpivano alla radice delle ambizioni egocentriche del discepolo. Fu così insegnato lezione dopo lezione, e molte volte Giuda si rese conto che il suo carattere era stato ritratto e il suo peccato era stato messo in evidenza; ma non volle cedere.

Le suppliche della misericordia resistettero, l’impulso del male ebbe il sopravvento finale. Giuda, irritato da un implicito rimprovero e reso disperato dalla delusione dei suoi sogni ambiziosi, cedette la sua anima al

demone dell’avidità e decise di tradire il suo Maestro.

Si allontanò dalla camera pasquale, dalla gioia della presenza di Cristo e dalla luce della speranza immortale e si diresse verso il suo lavoro malvagio, verso le tenebre, dove non c’era speranza. “Gesù infatti sapeva fin dal principio chi erano coloro che non credevano, e chi era colui che lo avrebbe tradito” {Giovanni 6: 64}. Eppure, sapendo tutto, Egli non aveva trattenuto nessuna richiesta di misericordia o dono d’amore. Vedendo il pericolo di Giuda, lo aveva portato vicino a sé, all’interno della cerchia ristretta dei Suoi discepoli scelti e fidati. Giorno dopo giorno, quando il fardello gravava più pesantemente sul Suo cuore, Egli aveva sopportato il dolore di un contatto continuo con quello spirito ostinato, sospettoso che covava; aveva assistito e lavorato per contrastare tra i Suoi discepoli quel continuo, segreto e sottile antagonismo. E Tutto questo perché non mancasse alcun influsso salvifico a quell’anima in pericolo!

“Non basterebbe l’acqua degli oceani a spegnere l’amore. Neppure i fiumi lo potrebbero sommergere” {Cantico dei Cantici 8: 7}.

“Perché l’amore è forte come la morte” {Cantico dei Cantici 8: 6}.

Per quanto riguarda Giuda stesso, l’opera d’amore di Cristo era stata inutile. Ma non fu così per quanto riguarda i Suoi discepoli. Per loro fu una lezione che ebbe un’influenza per tutta la vita. Il Suo esempio di tenerezza e di longanimità avrebbe sempre plasmato i loro rapporti con i tentati e gli erranti. E aveva anche altre lezioni. Al momento dell’ordinazione dei Dodici, i discepoli avevano desiderato fortemente che Giuda diventasse uno dei loro e avevano considerato la sua adesione un evento molto promettente per il gruppo apostolico. Era entrato più di loro a contatto con il mondo, era un uomo di discernimento e di capacità esecutiva e, avendo un’alta stima delle proprie qualifiche, aveva indotto i discepoli a tenerlo nella stessa considerazione. Ma i metodi che desiderava introdurre nell’opera di Cristo erano basati su principi mondani e controllati dalla politica del mondo. Essi guardavano all’ottenimento di riconoscimenti e onori del regno di questo mondo. L’attuazione di questi desideri nella vita di Giuda ha aiutato i discepoli a comprendere l’antagonismo esistente tra il desiderio dell’autoaffermazione e i principi di umiltà e di rinuncia di Cristo. Nel destino di Giuda i discepoli hanno visto la fine a cui tende chi pensa solo a sé. Per questi la missione di Cristo ha finalmente raggiunto il suo scopo. A poco a poco il Suo esempio e le Sue lezioni di auto abnegazione hanno plasmato i loro caratteri. La Sua morte distrusse la loro speranza di grandezza terrena. La caduta di Pietro, l’apostasia di Giuda, il loro stesso fallimento nell’abbandonare Cristo nella Sua angoscia e nel Suo pericolo, spazzarono via la loro autosufficienza. Hanno visto la propria debolezza; hanno visto qualcosa della grandezza dell’opera loro affidata; sentirono il bisogno della guida del loro Maestro ad ogni passo. Sapevano che la Sua presenza personale non sarebbe stata più stretta e riconobbero, come non avevano mai fatto prima, il valore delle opportunità che erano state loro offerte, il privilegio che avevano avuto di camminare e parlare con l’Inviato di Dio. Molti dei Suoi insegnamenti, quando venivano pronunciati, non erano stati apprezzati o compresi; ora desideravano ricordare queste lezioni, riascoltare le Sue parole. Con quale gioia ora tornava loro la Sua rassicurazione: “è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò” {Giovanni 16: 7}. “Vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udito dal Padre mio” {Giovanni 15: 15}. “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” {Giovanni 14: 26}.

“Tutte le cose che il Padre ha sono Mie” {Giovanni 16: 15}. “Ma quando verrà lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà in ogni verità” {Giovanni 15: 13}. “Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà” {Giovanni 16: 14}. I discepoli avevano visto Cristo ascendere in mezzo a loro sul Monte degli Ulivi. E mentre i Cieli lo accoglievano, era giunta loro la promessa di addio: “Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente” {Matteo 28: 20}. Sapevano che la Sua cura era ancora con loro. Sapevano di avere un rappresentante, un avvocato, presso il trono di Dio.

Nel nome di Gesù presentavano le loro petizioni, ripetendo la Sua promessa: “tutto ciò che domanderete al Padre nel mio nome, egli ve lo darà” {Giovanni 16: 23}. Sempre più in alto stesero la mano della fede, con l’argomentazione potente: “Cristo è colui che è morto, e inoltre è anche risuscitato; egli è alla destra di Dio, ed anche intercede per noi” {Romani 8: 34}.

Fedele alla Sua promessa, il Divino, esaltato nei tribunali celesti, ha impartito la Sua pienezza ai Suoi seguaci sulla Terra. La Sua intronizzazione alla destra di Dio è stata segnalata dall’effusione dello Spirito sui Suoi discepoli. Grazie all’opera di Cristo, i discepoli erano stati portati a sentire il bisogno dello Spirito; sotto l’insegnamento dello Spirito ricevettero la loro preparazione finale e si avviarono al loro lavoro. Non erano più ignoranti e incolti. Non erano più un insieme di unità indipendenti o di elementi discordanti e conflittuali. Non speravano più nella grandezza del mondo. Erano “d’accordo”, di una sola mente e di una sola anima. Cristo riempiva i loro pensieri. L’avanzamento del Suo regno era il loro obiettivo. Nella mente e carattere erano diventati come il loro Maestro; e gli uomini “si meravigliavano e riconoscevano che erano stati con Gesù” {Atti 4: 13}.

Allora ci fu una tale rivelazione della gloria di Cristo che non era mai stata testimoniata dall’uomo mortale. Moltitudini che avevano disprezzato il Suo nome e la Sua potenza si confessarono discepoli del Crocifisso. Grazie alla cooperazione dello Spirito divino, le fatiche degli umili uomini che Cristo aveva scelto scossero il mondo. In una sola generazione il Vangelo fu portato in ogni nazione sotto il Cielo. Lo stesso Spirito che formò i discepoli di allora, produrrà gli stessi risultati nell’opera educativa. “Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente. Amen” {Matteo 28: 20}, è la Sua promessa. Questo è il fine a cui tende la vera educazione; questa è l’opera che Dio intende realizzare.

 

Insegnamento della natura

“Considerate… le opere meravigliose di Colui che è perfetto in Conoscenza”.

 

 

CAPITOLO 10 – DIO NELLA NATURA

“La Sua gloria ricoprì i cieli e la terra fu piena della Sua Lode”.

Su tutte le cose create si vede l’impronta della Divinità. La natura testimonia di Dio. La mente sensibile, messa a contatto con il miracolo e il mistero dell’universo, non può che riconoscere l’opera di un potere infinito. Non è con la propria energia intrinseca che la Terra produce le sue ricchezze e, anno dopo anno, continua il suo moto intorno al Sole. Una mano invisibile guida i pianeti nel loro circuito dei Cieli. La stessa potenza che sostiene la natura agisce nell’uomo, e le stesse leggi che dirigono la stella e l’atomo controllano anche la nostra vita. Le leggi che governano l’azione del cuore, regolando il flusso della corrente vitale nel corpo, sono le stesse leggi della potente Intelligenza che esercita il Suo potere anche sull’anima. Da Lui procede tutta la vita. Solo in armonia con Lui si trova la vera sfera d’azione.

Per tutti gli oggetti della Sua creazione la condizione è la stessa – una vita sostenuta riceve la vita di Dio, una vita esercitata in armonia con la volontà del Creatore. Trasgredire la Sua legge, fisica, mentale o morale, è porsi fuori dall’armonia con l’universo, introdurre la discordia, l’anarchia, la rovina. Per colui che impara a interpretarne gli insegnamenti, tutta la natura si illumina; il mondo è un libro di lezioni, la vita una scuola. L’unità dell’uomo con la natura e con Dio, il dominio universale della legge, i risultati della trasgressione, non possono non impressionare la mente e plasmare il carattere. Sono lezioni che i nostri figli devono imparare.

Al bambino piccolo, non ancora in grado di apprendere dalla pagina stampata o di essere introdotto alla routine dell’aula scolastica, la natura rappresenta una fonte inesauribile di istruzione e di piacere. Il cuore non ancora indurito dal contatto con il male risulta veloce nel riconoscere la Presenza che pervade tutte le cose create. L’orecchio non ancora spento dal clamore del mondo è attento alla Voce che parla attraverso le parole della natura. E per i più anziani, che hanno bisogno di continui richiami silenziosi allo spirituale e all’eterno, l’insegnamento della natura sarà una fonte non meno importante di piacere e di istruzione. Come gli abitanti dell’Eden impararono dalle pagine della natura, come Mosè discerneva la scrittura di Dio sulle pianure e le montagne dell’Arabia, e il bambino Gesù sulle colline di Nazareth, così i bambini di oggi possono imparare a conoscerlo. Il non visto è illustrato dal visibile. Ogni cosa sulla terra, dall’albero più alto della foresta al lichene che si aggrappa alla roccia, dall’oceano sconfinato alla più piccola conchiglia sulla riva, essi possono vedere l’immagine e l’impronta di Dio. Per quanto possibile, fate in modo che il bambino, fin dai primi anni di vita, sia posto dove questo meraviglioso libro di lezioni si apra davanti a lui. Lasciategli le gloriose scene dipinte dal grande Maestro Artista sulla tela mutevole dei cieli, che conosca le meraviglie della terra e del mare, che osservi il dispiegarsi dei misteri delle stagioni che cambiano e, in tutte le sue opere, impari a conoscere il Creatore. In nessun altro modo si possono gettare le fondamenta di una vera educazione. Tuttavia, anche il bambino, quando entra in contatto con la natura, vedrà un motivo di perplessità. Non può non riconoscere l’azione di forze antagoniste. È qui che la natura ha bisogno di un interprete. Guardando al male che si manifesta anche nel mondo naturale, tutti hanno la stessa dolorosa lezione da imparare: “Un nemico ha fatto questo” {Matteo 13: 28}.

Solo alla luce del Calvario l’insegnamento della natura può essere letto correttamente. Attraverso la storia di Betlemme e della Croce, facciamo vedere come il bene vinca sul male e come ogni benedizione che ci viene offerta sia un dono di redenzione. Nel rovo e nella spina, nel cardo e nella zizzania, è rappresentato il male che rovina e distrugge. Nell’uccello che canta e nel fiore che si apre, nella pioggia e nel sole, nella brezza estiva e nella leggera rugiada, in diecimila oggetti della natura, dalla quercia della foresta alla violetta che sboccia alle sue radice, si vede l’amore che ristora. E la natura ci parla ancora della bontà di Dio. “Poiché io conosco i pensieri che ho per voi», dice l’Eterno, «pensieri di pace e non di male” {Geremia 29: 11}.

Questo è il messaggio che, alla luce della Croce, può essere letto su tutto il volto della natura. I Cieli dichiarano la Sua gloria e la Terra è piena delle Sue ricchezze.

 

 

CAPITOLO 11 – LEZIONI DI VITA

“Parla alla terra ed essa ti insegnerà”.

Il Grande Maestro portò i Suoi uditori a contatto con la natura, affinché ascoltassero la voce che parla in tutte le cose create; e man mano che il loro cuore diventava tenero e la loro mente ricettiva, Egli li aiutava a interpretare l’insegnamento spirituale delle scene su cui che i loro occhi si posavano. Le parabole, per mezzo delle quali Gesù amava insegnare lezioni di verità, mostrano quanto il Suo spirito fosse aperto alle influenze della natura e come si dilettasse ad associare l’insegnamento spirituale all’ambiente della vita quotidiana.

Gli uccelli dell’aria, i gigli del campo, il seminatore e il seme, il pastore e le pecore: con essi Cristo illustrò la verità immortale. Egli trasse illustrazioni anche dagli eventi della vita, dalle esperienze familiari agli uditori: il lievito, il tesoro nascosto, la perla, la rete da pesca, la moneta perduta, il figlio prodigo, le case sulla roccia e sulla sabbia. Nelle Sue lezioni c’era qualcosa che interessava ogni mente, e faceva appello ad ogni cuore. Così il compito quotidiano, invece di essere un mero giro di fatica, privo di pensieri più elevati, era illuminato e sollevato da costanti richiami allo spirituale e all’invisibile.

Così dovremmo insegnare anche noi, affinché i bambini imparino a vedere nella natura un’espressione dell’amore e della saggezza di Dio; lasciamo che il pensiero di Dio sia collegato agli uccelli, ai fiori e agli alberi; che tutte le cose viste diventino per loro gli interpreti di quelle invisibili, tutti gli eventi della vita siano un mezzo per l’insegnamento divino.

Quando imparano a studiare le lezioni in tutte le cose create e in tutte le esperienze della vita, dimostrate che le stesse leggi che governano il mondo devono governare anche noi, che sono date per il nostro bene e che solo obbedendo ad esse possiamo trovare felicità e successo.

La legge del servizio

Tutte le cose, sia in Cielo che in Terra, dichiarano che la grande legge della vita è una legge di servizio. Il Padre infinito si occupa della vita di ogni essere vivente. Cristo è venuto sulla Terra “come Colui che serve” {Luca 22: 27}.

Gli angeli “Non sono essi tutti spiriti servitori, mandati a servire per il bene di coloro che hanno da ereditare la salvezza?” {Ebrei 1: 14}. La stessa legge del servizio è scritta su tutte le cose della natura. Gli uccelli dell’aria, le bestie dei campi, gli alberi delle foreste, le foglie, l’erba e i fiori, il sole nei cieli e le stelle luminose hanno il loro ministero. I laghi e gli oceani, i fiumi e le sorgenti d’acqua: ognuno di essi prende per dare.

Se ogni cosa in natura serve alla vita del mondo, assicura così anche la propria. “Date e vi sarà dato” {Luca 6: 38}, è la lezione scritta non meno importante nella natura e nelle pagine della Sacra Scrittura. Come le colline e le pianure aprono un canale per il torrente di montagna per raggiungere il mare, ciò che essi danno viene ripagato al centuplo. Il ruscello che va cantando per la sua strada lascia dietro di sé il dono della bellezza e della fecondità. Attraverso i campi, spogli e bruni sotto il caldo dell’estate, una linea di vegetazione segna il corso del fiume; ogni albero nobile, ogni germoglio, ogni fiore, testimonia della ricompensa che la grazia di Dio decreta a tutti coloro che diventano i Suoi canali per il mondo.

Seminare con fede

Tra le quasi innumerevoli lezioni impartite nei vari processi di crescita, alcune delle più preziose sono trasmesse nella parabola del seme che cresce. Essa contiene lezioni per grandi e piccini. “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme in terra. Ora la notte e il giorno, mentre egli dorme e si alza, il seme germoglia e cresce senza che egli sappia come. Poiché la terra produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga” {Marco 4: 26-28}.

Il seme ha in sé un principio germinativo, un principio che Dio stesso ha impiantato; tuttavia se fosse lasciato a sé stesso, il seme non avrebbe alcun potere di germogliare. L’uomo ha il suo ruolo nel promuovere la crescita del chicco; ma c’è un punto oltre il quale egli non può fare nulla. Deve dipendere da Colui che ha collegato la semina e il raccolto, grazie ai meravigliosi legami del Suo potere onnipotente. C’è vita nel seme, c’è forza nel terreno; ma a meno che il potere infinito non venga esercitato giorno e notte, il seme non darà frutto. Le piogge devono rinfrescare i campi assetati, il sole deve dare calore, l’elettricità deve essere trasmessa al seme sepolto. La vita che il Creatore ha impiantato, solo Lui può richiamarla. Ogni seme cresce, ogni pianta si sviluppa, grazie alla potenza di Dio. “La semente è la parola di Dio” {Luca 8: 11}. “Perciò, come la terra fa crescere la sua vegetazione e come il giardino fa germogliare ciò che vi è stato seminato, così il Signore, l’Eterno, farà germogliare la giustizia e la lode” {Isaia 61: 11}. Come nel mondo naturale, così in quello spirituale, la forza che solo può produrre la vita viene da Dio. L’opera del seminatore è un’opera di fede. Il mistero della germinazione e della crescita del seme non può essere compreso; ma ha fiducia nelle agenzie con cui Dio fa fiorire la vegetazione. Getta il seme, aspettandosi di raccoglierlo molte volte in un abbondante raccolto. Così i genitori e gli insegnanti devono lavorare, aspettandosi un raccolto dal seme che seminano. Per un certo periodo il buon seme può giacere inosservato nel cuore, senza dare prova di aver messo radici; ma in seguito, quando lo Spirito di Dio soffia sull’anima, il seme nascosto germoglia e alla fine produce frutto. Nella nostra vita non sappiamo quale sarà il risultato, questo o quello. Non spetta a noi risolvere la questione. “Semina il tuo seme al mattino e la sera non dar riposo alla tua mano” {Ecclesiaste 11: 6}.

La grande alleanza di Dio dichiara che “Finché la terra durerà, semina e raccolta… non cesseranno mai” {Genesi 8: 22}.

Nella fiducia di questa promessa il coltivatore lavora e semina. Non meno con fiducia, nella semina spirituale, dobbiamo lavorare, confidando nella Sua rassicurazione: “così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l’ho mandata” {Isaia 55: 11}. “Ben va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia portando i suoi covoni” {Salmo 126: 6}.

La germinazione del seme rappresenta l’inizio della vita spirituale e lo sviluppo della pianta è una figura dello sviluppo della vita spirituale del carattere. Non ci può essere vita senza crescita. La pianta deve crescere o morire. Come la sua crescita è silenziosa e impercettibile, ma continua, così è la crescita del carattere. In ogni fase dello sviluppo, la nostra vita può essere perfetta; tuttavia, se il proposito di Dio per noi si realizza, ci sarà un costante progresso. La pianta cresce ricevendo ciò che Dio le ha fornito per sostenere la sua vita. Così la crescita spirituale si ottiene attraverso la collaborazione con le agenzie divine. Come la pianta si radica nel terreno, così noi dobbiamo radicarci in Cristo.

Se i nostri cuori rimangono fedeli a Cristo, “Egli verrà a noi come la pioggia, come l’ultima e la prima pioggia alla terra” {Osea 6: 3}. Come il Sole di giustizia, Egli si alzerà su di noi “con la guarigione nelle sue ali” {Malachia 4: 2}. “Israele; egli fiorirà come il giglio” {Osea 14: 5}; “Rivivranno come il grano fioriranno come la vite” {Osea 14: 7}.

Il grano si sviluppa, “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga” {Marco 4: 28}. L’obiettivo del coltivatore nella semina e la coltivazione della pianta è la produzione di pane per gli affamati e di semi per i raccolti futuri. Così il divino Vignaiolo cerca un raccolto. Cerca di riprodurre Sé stesso nei cuori e nelle vite dei Suoi seguaci, affinché attraverso di loro Egli possa essere riprodotto in altri cuori e in altre vite. Lo sviluppo graduale della pianta a partire dal seme è una lezione di formazione per i bambini. C’è “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga” {Marco 4: 28}.

Colui che ha dato questa parabola ha creato il piccolo seme, gli ha dato le sue proprietà vitali e ha stabilito le leggi che regolano la sua crescita. E le verità insegnate dalla parabola sono diventate realtà nella Sua stessa vita. Lui, la Maestà del cielo, il Re della gloria, divenne un bambino a Betlemme e per un certo tempo rappresentò un neonato indifeso affidato alle cure della madre. Nell’infanzia parlava e agiva come un bambino, onorando i Suoi genitori ed eseguendo i loro desideri in modo utile. Ma fin dai primi albori dell’intelligenza, cresceva costantemente nella grazia e nella conoscenza della verità.

I genitori e gli insegnanti dovrebbero mirare a coltivare le tendenze dei giovani in modo che in ogni fase della vita possano rappresentare la bellezza appropriata a quel periodo, che si dispiega in modo naturale, come fanno le piante del giardino. I piccoli devono essere educati con semplicità infantile. Dovrebbero essere educati ad accontentarsi dei piccoli doveri, dei piaceri e delle esperienze naturali della loro età.

L’infanzia corrisponde al germoglio nella parabola, e questo ha una bellezza propria. I bambini non dovrebbero essere costretti ad una maturità precoce, ma dovrebbero conservare il più a lungo possibile la freschezza e la grazia dei loro primi anni. Quanto più tranquilla e semplice è la vita del bambino, quanto più è libera da eccitazioni artificiali e più è in armonia con la natura, tanto più sarà favorevole al vigore fisico e mentale e alla forza spirituale. Nel miracolo del Salvatore di sfamare i cinquemila viene illustrato l’opera della potenza di Dio nella produzione del raccolto. Gesù scosta il velo dal mondo della natura e rivela l’energia creativa che viene costantemente esercitata per il nostro bene. Moltiplicando il seme gettato in terra, Colui che ha moltiplicato i pani compie ogni giorno un miracolo. È per miracolo che Egli nutre costantemente milioni di persone dai campi di raccolta della terra. Gli uomini sono chiamati a collaborare con Lui nella cura del grano e nella preparazione della pagnotta, e a causa di questo motivo perdono di vista l’azione divina. L’opera del lavoro della Sua potenza è attribuito a cause naturali o alla strumentalità umana, e troppo spesso i Suoi doni vengono pervertiti per usi egoistici e resi una maledizione invece che una benedizione. Dio sta cercando di cambiare tutto questo.

Egli desidera che i nostri sensi ottusi si accendano per discernere la Sua misericordiosa, affinché i Suoi doni siano per noi la benedizione che Egli intendeva. È la parola di Dio, la trasmissione della Sua vita, che dà vita al seme; e di quella vita noi, mangiando il grano, diventiamo partecipi. Questo, Dio desidera che noi discerniamo; desidera che anche nel ricevere il nostro pane quotidiano possiamo riconoscere la Sua azione e possiamo essere portati ad una comunione più stretta con Lui. In base alle leggi di Dio in natura, l’effetto segue la causa con certezza. Il raccolto testimonia la semina. Qui non è tollerata alcuna finzione. Gli uomini possono ingannare i loro simili e ricevere lodi e compensi per servizi che non hanno reso. Ma in natura non ci può essere inganno. Per il coltivatore infedele il raccolto emette una sentenza di condanna. E nel senso più alto questo vale anche per il regno spirituale. È in apparenza, non in realtà, che il male ha successo. Il bambino che salta la scuola, il giovane che è negligente negli studi, l’impiegato o l’apprendista che non riesce a servire gli interessi del suo datore di lavoro, l’uomo che in qualsiasi attività o professione non è fedele alle sue più alte responsabilità, può lusingare sé stesso, e fino a quando il torto viene nascosto, egli ottiene un vantaggio. Ma non è così: sta imbrogliando sé stesso.

Il raccolto della vita è il carattere, ed è questo che determina il destino, sia per questa vita che per quella a venire. Il raccolto è la riproduzione del seme seminato. Ogni seme produce un frutto simile al suo. Così è per i tratti del carattere che coltiviamo. L’egoismo, l’amor proprio, l’autostima, l’autoindulgenza si riproducono da soli, e la fine è la miseria e la rovina. “Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” {Galati 6: 8}.

L’amore, la simpatia e la gentilezza producono frutti di benedizione, un raccolto che è imperituro. Nel raccolto il seme si moltiplica. Un solo chicco di grano, accresciuto da ripetute semine, coprirebbe un’intera terra di covoni d’oro. Così ampia può essere l’influenza di una singola vita, anche di un singolo atto. Quali azioni d’amore racchiudono il ricordo di quel vaso di alabastro rotto per l’unzione di Cristo che ha suscitato nei lunghi secoli! Quali doni innumerevoli, quel contributo, da parte di una povera vedova senza nome, di “due spiccioli, cioè un quadrante” {Marco 12: 42}, ha portato alla causa del Salvatore!

La vita attraverso la morte

La lezione della semina insegna la generosità. “Chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina generosamente mieterà altresì abbondantemente” {2 Corinzi 9: 6}. Il Signore dice: “Beati voi che seminate in riva a tutte le acque” {Isaia 32: 20}. Seminare accanto a tutte le acque significa dare ovunque sia necessario il nostro aiuto necessario. Questo non porterà alla povertà. “Chi semina abbondantemente raccoglierà anche abbondantemente”. Il seminatore gettando via, moltiplica il suo seme. Così impartendo aumentiamo le nostre benedizioni. La promessa di Dio ci assicura la sufficienza, affinché possiamo continuare a dare. Ma c’è di più: quando impartiamo le benedizioni di questa vita, la gratitudine di chi riceve prepara il cuore a ricevere la verità spirituale, e si produce una messe per la vita eterna. Gettando il grano nella terra, il Salvatore rappresenta il Suo sacrificio per noi. Il Salvatore dice: “Se il granel di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” {Giovanni 12: 24}.

Solo attraverso il sacrificio di Cristo, il Seme, è stato possibile portare frutto per il regno di Dio. In conformità con la legge del regno vegetale, la vita è il risultato della sua morte. Così per tutti coloro che portano frutto come lavoratori insieme a Cristo, l’amor proprio, l’interesse personale, devono perire; la vita deve essere gettata nel solco del bisogno del mondo. Ma la legge dell’abnegazione è la legge dell’autoconservazione. Il contadino preserva il suo grano gettandolo via. Così la vita che sarà conservata è quella che viene donata gratuitamente al servizio di Dio e dell’uomo. Il seme muore, per germogliare in una nuova vita. In questo ci viene insegnata la lezione della risurrezione. Del corpo umano deposto ad ammuffire nella tomba, Dio ha detto: “è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile. È seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita pieno di forza” {1 Corinzi 15: 42-43}.

Quando genitori e insegnanti cercano di insegnare queste lezioni, il lavoro dovrebbe essere reso pratico. Lasciate che siano i bambini stessi a preparare il terreno e seminino il seme. Mentre lavorano, il genitore o l’insegnante possono spiegare il giardino del cuore, con il seme buono o cattivo che vi è stato seminato, e come il giardino deve essere preparato per il seme naturale, così il cuore deve essere preparato per il seme della verità. Mentre il seme viene gettato nel terreno, possono insegnare la lezione della morte di Cristo; e quando il seme spunta, la verità della morte di Cristo germoglia, verità di risurrezione. Man mano che la pianta cresce, la corrispondenza tra la semina naturale e quella spirituale può continuare.

I giovani dovrebbero essere istruiti in modo simile. Dalla lavorazione del terreno si possono trarre continui insegnamenti. Nessuno si aspetta che un pezzo di terra grezzo possa dare subito un raccolto. Bisogna lavorare con diligenza e perseveranza per preparare il terreno, seminare e coltivare la terra. Così deve essere per la semina spirituale. Il giardino del cuore deve essere coltivato. Il terreno deve essere smosso dal pentimento. Le crescite malvagie che soffocano il buon grano devono essere estirpate. Come il terreno una volta ricoperto di spine può essere recuperato solo con un lavoro diligente, così le tendenze malvagie del cuore possono essere superate solo con un serio sforzo nel nome e nella forza di Cristo.

Nel coltivare il terreno, il lavoratore attento scoprirà che davanti a lui si aprono tesori ambiti. Nessuno può avere successo nell’agricoltura o nel giardinaggio senza prestare attenzione alle leggi coinvolte. È necessario studiare le esigenze specifiche di ogni varietà di pianta. Varietà diverse richiedono terreni e coltivazioni diverse, e il rispetto delle leggi che regolano ciascuna di esse è la condizione del successo. L’attenzione richiesta nel trapianto, affinché nemmeno una fibra di radice sia affollata o mal posizionata, la cura delle giovani piante, la potatura e l’innaffiatura, la protezione dal gelo di notte e dal sole di giorno, l’eliminazione delle erbacce, delle malattie e degli insetti nocivi, la formazione e la sistemazione, non solo insegnano lezioni importanti sullo sviluppo del carattere, ma il lavoro stesso è un mezzo di sviluppo. Coltivare la cura, la pazienza, l’attenzione per i dettagli, l’obbedienza alle leggi, impartisce una formazione essenziale. Il costante contatto con il mistero della vita e con la bellezza della natura, così come la tenerezza che si prova nell’occuparsi di questi splendidi oggetti della creazione di Dio, tende ad accendere la mente ed a raffinare ed elevare il carattere e le lezioni impartite preparano il lavoratore a relazionarsi con maggiore successo con altre menti.

 

 

CAPITOLO 12 – ALTRI INSEGNAMENTI

“Chi è saggio e vuole osservare queste cose,

comprenderà la misericordia del Signore”.

Il potere di guarigione di Dio si manifesta in tutta la natura. Se un albero viene tagliato, se un essere umano viene ferito o si rompe un osso, la natura comincia subito a riparare la ferita. Prima ancora che ce ne sia bisogno, le agenzie di guarigione sono pronte; e non appena una parte è ferita, ogni energia viene impiegata nell’opera di ripristino. Così è nel regno spirituale. Prima che il peccato crei la necessità, Dio ha già provveduto al rimedio. Ogni anima che cede alla tentazione è ferita, colpita dall’avversario; ma ogni volta che c’è il peccato, c’è il Salvatore. L’opera di Cristo è “guarire quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la liberazione ai prigionieri e il recupero della vista ai ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi” {Luca 4: 18}.

In quest’opera dobbiamo collaborare. “Fratelli, se uno è sorpreso in qualche fallo… rialzatelo con spirito di mansuetudine” {Galati 6: 1}. La parola qui tradotta “risanare” significa rimettere in sesto, come un osso slogato. Quanto è suggestiva la figura! Colui che cade nell’errore o nel peccato viene disconnesso con tutto ciò che lo circonda. Può rendersi conto del suo errore ed essere pieno di rimorso, ma non può recuperare sé stesso. È in confusione e perplessità, è messo in difficoltà e impotente. Deve essere recuperato, guarito, ristabilito. “Voi che siete spirituali, risanate questo”. Solo l’amore che sgorga dal cuore di Cristo può guarire. Solo colui nel quale questo amore scorre, come la linfa nell’albero o il sangue nel corpo, può guarire, può risanare l’anima ferita.

Gli strumenti dell’amore hanno un potere meraviglioso, perché sono divini. La risposta dolce che “eccita l’ira” {Proverbi 15: 1}, “l’amore è paziente e benigno” {1 Corinzi 13: 4}, “l’amore coprirà una moltitudine di peccati” {1 Pietro 4: 8}, costituiscono una profonda lezione: con quale potere di guarigione sarebbe dotata la nostra vita!

Come la vita sarebbe trasformata e la terra diventerebbe un’immagine e un’anticipazione del Cielo!

Queste preziose lezioni possono essere impartite in modo così semplice da essere comprese anche dai bambini più piccoli. Il cuore del bambino è tenero e facilmente impressionabile; e quando noi che siamo più grandi diventiamo “come piccoli fanciulli” {Matteo 18: 3}, quando impareremo la semplicità, la dolcezza e il tenero amore del Salvatore, non sarà difficile toccare il cuore dei più piccoli e insegnare loro il ministero di guarigione dell’amore. La perfezione esiste nella più piccola come nella più grande delle opere di Dio. La mano che ha creato i mondi nello spazio è la mano che disegna i fiori del campo. Esaminate al microscopio il più piccolo e comune dei fiori di strada, e notate in tutte le sue parti la squisita bellezza e completezza. Così nel più umile si può trovare la vera eccellenza; i compiti più comuni, svolti con amorevole fedeltà, sono belli agli occhi di Dio. L’attenzione coscienziosa alle piccole cose ci renderà lavoratori insieme a Lui, e ci farà guadagnare il Suo elogio, che tutto vede e tutto conosce. L’arcobaleno che abbraccia i cieli con il suo arco di luce è un segno del “patto eterno fra DIO e ogni essere vivente” {Genesi 9: 16}. E l’arcobaleno che circonda il trono in alto è anche un segno per i figli di Dio della Sua alleanza di pace.

Come l’arco nella nuvola è dato dall’unione del sole e della pioggia, così l’arco sopra il trono di Dio rappresenta l’unione della Sua misericordia e della Sua giustizia. All’anima peccatrice ma pentita Dio dice, vivi: “Ho trovato il riscatto” {Giobbe 33: 24}. “Come giurai che le acque di Noè non avrebbero più coperto la terra, così giuro di non adirarmi più contro di te e di non minacciarti più. Anche se i monti si spostassero e i colli fossero rimossi, il mio amore non si allontanerà da te né il mio patto di pace sarà rimosso, dice l’Eterno, che ha compassione di te” {Isaia 54: 9-10}.

Il messaggio delle stelle

Anche le stelle hanno un messaggio di incoraggiamento per ogni essere umano. Nelle ore che viviamo tutti, quando il cuore è debole e la tentazione preme, quando gli ostacoli sembrano insormontabili, quando gli obiettivi della vita sembrano impossibili da raggiungere, il coraggio e la fermezza possono essere trovati nella lezione che Dio ci invita ad imparare dalle stelle che seguono il loro corso indisturbato “Levate in alto i vostri occhi e guardate: Chi ha creato queste cose? Colui che fa uscire il loro esercito in numero e le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo vigore e la potenza della sua forza, nessuna manca. Perché dici, o Giacobbe, e tu, Israele, dichiari: «La mia via è nascosta all’Eterno e il mio diritto è trascurato dal mio DIO»? Non lo sai forse, non l’hai udito? Il DIO di eternità, l’Eterno, il creatore dei confini della terra, non si affatica e non si stanca, la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore allo spossato” {Isaia 40: 26-29}.

“Non temere, perché io sono con te, non smarrirti, perché io sono il tuo DIO. Io ti fortifico e anche ti aiuto e ti sostengo con la destra della mia giustizia” {Isaia 41: 10}. “Poiché io, l’Eterno, il tuo DIO, ti prendo per la mano destra e ti dico: «Non temere, io ti aiuto»” {Isaia 41: 13}. La palma, battuta dal sole cocente e dalla feroce tempesta di sabbia, si erge verde, rigogliosa e fruttuosa in mezzo al deserto. Le sue radici sono alimentate da sorgenti vive. La sua verde corona si vede da lontano sulla pianura arida e desolata; e il viaggiatore, pronto a morire, spinge i suoi passi malandati verso l’ombra fresca e l’acqua vivificante.

L’albero del deserto è un simbolo di come Dio intende la vita dei Suoi figli in questo mondo. Essi devono guidare le anime stanche, piene di agitazione e pronte a perire nel deserto del peccato, verso l’acqua viva. Devono indicare ai loro simili Colui che li invita, “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva” {Giovanni 7: 37}.

Il fiume ampio e profondo, che offre una via al traffico e ai viaggi, è considerato come un beneficio mondiale; ma che dire dei piccoli ruscelli che contribuiscono a formare questo fiume? Se non fosse per loro, il fiume scomparirebbe. Da loro dipende la sua stessa esistenza. Così uomini chiamati a guidare una grande opera vengono onorati come se il successo fosse dovuto solo a loro, ma quel successo ha richiesto la fedele collaborazione di lavoratori più umili, innumerevoli, di cui il mondo non sa nulla. Compiti non richiesti, lavoro senza riconoscimento, è la sorte della maggior parte dei lavoratori del mondo. Per questo molti sono pieni di malcontento. Sentono che la vita è sprecata. Ma il piccolo ruscello che si fa strada senza rumore attraverso boschetti e prati, portatore di salute, fertilità e bellezza, è utile a suo modo come un fiume. E, contribuendo alla vita del fiume, aiuta a raggiungere questo obbiettivo che da solo non avrebbe mai potuto raggiungere.

La lezione è necessaria a molti. Il talento è troppo idolatrato e la posizione troppo ambita. Ci sono troppi che non fanno nulla se non sono riconosciuti come leader; troppi sono quelli che devono ricevere lodi, altrimenti non hanno interesse a lavorare. Dobbiamo imparare ad essere fedeli nell’uso dei talenti e delle opportunità che abbiamo, ed essere soddisfatti della posizione che il Cielo ci assegna.

Una lezione di fiducia

“Ma interroga ora le bestie e ti istruiranno, gli uccelli del cielo, e te lo diranno… e i pesci del mare te lo racconteranno” {Giobbe 12: 7-8}. “Va’ dalla formica… considera le sue abitudini” {Proverbi 6: 6}. “Osserva gli uccelli” {Matteo 6: 26}. “Osservate i corvi” {Luca 12: 24}.

Non dobbiamo semplicemente parlare al bambino di queste creature di Dio. Gli animali stessi devono essere i suoi insegnanti. Le formiche insegnano lezioni di paziente industriosità, di perseveranza nel superare gli ostacoli, di provvidenza per il futuro. E gli uccelli sono insegnanti della dolce lezione della fiducia. Il nostro Padre celeste provvede a loro, ma loro devono raccogliere il cibo, devono costruire i loro nidi ed allevare i loro piccoli. In ogni momento sono esposti a nemici che cercano di distruggerli. Eppure, con quanta allegria svolgono il loro lavoro! Come sono pieni di gioia i loro piccoli canti! Quanto è bella la descrizione del salmista della cura di Dio per le creature del bosco:

“Gli alti monti sono per i camosci; le rocce sono rifugio dei conigli” {Salmo 104: 18}.

Egli manda le sorgenti a scorrere tra le colline, dove gli uccelli hanno la loro dimora e “fra le fronde elevano il loro canto” {Salmo 104: 12}.

Tutte le creature dei boschi e delle colline fanno parte della Sua grande casa. Egli apre la Sua mano e soddisfa “il desiderio di ogni essere vivente” {Salmo 145: 16}.

L’aquila delle Alpi a volte viene abbattuta dalla tempesta negli stretti cunicoli delle montagne. Le nubi minacciose chiudono questo potente uccello della foresta, con le loro masse scure che la separano dalle soleggiate alture dove ha costruito la sua casa. I suoi sforzi per fuggire sembrano infruttuosi. Si precipita avanti e indietro, battendo l’aria con le sue forti ali e facendo risuonare le montagne con le sue grida.

Alla fine, con una nota di trionfo, si slancia verso l’alto e, bucando le nuvole, si trova di nuovo alla chiara luce del sole, con l’oscurità e la tempesta al di sotto. Così anche noi possiamo essere circondati da difficoltà, scoraggiamento e oscurità. La falsità, la calamità, l’ingiustizia ci chiudono in casa. Ci sono nubi che non possiamo dissipare. Combattiamo invano con le circostanze. C’è una sola, ed unica via di fuga: oltre le nubi risplende la luce di Dio. Possiamo alzarci sulle ali della fede, fino alla luce del sole della Sua presenza. Molte sono le lezioni che si possono così apprendere. Per esempio possiamo imparare la fiducia in noi stessi, dall’albero che, crescendo da solo in pianura o sul fianco di una montagna, affonda le radici in profondità nella terra e con la sua robusta forza sfida la tempesta. Il potere dei primi influssi è illustrata dal tronco nodoso e informe dell’albero, che venne contorto quando era ancora un arbusto, tanto che nessun potere terreno potrà in seguito ripristinare la sua simmetria perduta. Il segreto di una vita santa, può essere compreso osservando la ninfea che, pur crescendo nelle acque melmose dello stagno, circondato da erbacce e rifiuti, sprofonda il suo stelo fino alle sabbie pure sottostanti, e, traendone la vita, innalza alla luce il suo fiore profumato e senza macchia.

Così, mentre i bambini e i giovani acquisiscono una conoscenza dei fatti dagli insegnanti e dai libri di testo, fate in modo che imparino a trarre lezioni e a discernere la verità anche da soli. Nel loro giardinaggio, interrogateli su cosa imparano dalla cura delle loro piante. Quando guardano un bel paesaggio, chiedete loro perché Dio ha rivestito i campi e i boschi con tonalità così belle e varie, invece di dipingere tutte le cose di un cupo marrone. Quando raccolgono i fiori, portateli a pensare perché ci ha risparmiato la bellezza di questi superstiti dell’Eden. Insegnate loro a notare le prove, ovunque manifeste nella natura, del pensiero di Dio per noi, il meraviglioso adattamento di tutte le cose ai nostri bisogni e alla nostra felicità.

Solo lo studente, che riconosce nella natura l’opera del Padre suo, che nella ricchezza e nella bellezza della terra legge la scrittura del Padre, impara dalle cose della natura le loro lezioni più profonde, e riceve il loro più alto ministero. Solo chi può apprezzare pienamente il significato di colline e valli, fiumi e mari, chi li guarda come espressione del pensiero di Dio, afferra una rivelazione del Creatore. Gli scrittori della Bibbia hanno utilizzato molte illustrazioni tratte dalla natura e osservando le cose del mondo naturale, saremo in grado, sotto la guida dello Spirito Santo, di comprendere meglio le lezioni della Parola di Dio. È così che la natura diventa una chiave per il tesoro della Parola. I bambini dovrebbero essere incoraggiati a cercare nella natura gli oggetti che illustrano gli insegnamenti biblici, e a rintracciare nella Bibbia le similitudini. Dovrebbero cercare, sia nella natura che nella Sacra Scrittura, ogni oggetto che rappresenti Cristo e quelli che Egli ha utilizzato per illustrare la verità. In questo modo possono imparare a vederLo nell’albero e nella vite, nel giglio e nella rosa, nel sole e nella stella. Possono imparare a riconoscere la Sua voce nel canto degli uccelli, nel sospiro degli alberi, nel tuono e nella musica del mare. Ed ogni manifestazione della natura ripeterà loro i Suoi preziosi insegnamenti.

Per coloro che si avvicinano a Cristo in questo modo, la terra non sarà mai più un luogo solitario e desolato. Sarà la casa del Padre, piena della presenza di Colui che un tempo abitava tra gli uomini.

La Bibbia come educatore

“Quando andrai, essa ti condurrà; quando dormirai, essa ti custodirà;

e quando ti sveglierai, essa parlerà con te”.

 

 

CAPITOLO 13 – CULTURA MENTALE E SPIRITUALE

“Con la conoscenza le camere saranno riempite di tutte le ricchezze

preziose e piacevoli”.

Per la mente e l’anima, così come per il corpo, è una legge di Dio che la forza si acquisisca con lo sforzo. In armonia con questa legge, Dio ha fornito nella Sua Parola i mezzi per lo sviluppo mentale e spirituale. La Bibbia contiene tutti i principi che gli uomini devono comprendere per essere equipaggiati per questa vita e per quella futura. E questi principi possono essere compresi da tutti. Nessuno che abbia uno spirito per apprezzarne l’insegnamento, può leggere un singolo passo della Bibbia senza trarne qualche utile riflessione. Ma l’insegnamento più prezioso della Bibbia non si ottiene con uno studio occasionale o discontinuo. Il Suo grande sistema di verità non è presentato in modo tale da essere percepito da un lettore frettoloso o disattento. Molti dei Suoi tesori si trovano sotto la superficie e possono essere ottenuti solo con una ricerca diligente e uno sforzo continuo. Le verità che vanno a comporre il grande insieme devono essere cercate e raccolte, “un po’ qui, un po’ là” {Isaia 28: 10}.

Una volta cercate e riunite, si scoprirà che sono perfettamente adattati l’uno all’altro. Ogni Vangelo è un supplemento agli altri, ogni profezia una spiegazione di un’altra, ogni verità uno sviluppo di un’altra verità.

Le tipologie dell’economia ebraica sono chiarite dal Vangelo. Ogni principio della parola di Dio ha il suo posto, ogni fatto ha il suo peso. E la struttura completa, nella progettazione e nell’esecuzione, testimonia il Suo Autore. Nessuna mente, se non quella dell’Infinito, avrebbe potuto concepire o creare una tale struttura.

Nel ricercare le varie parti e nello studiare le loro relazioni, le più alte facoltà della mente umana sono chiamate ad un’intensa attività. Nessuno può dedicarsi a questo studio senza sviluppare il potere mentale.

Il valore mentale dello studio della Bibbia non consiste solo nel ricercare la verità e nel metterla insieme, consiste anche nello sforzo necessario per afferrare i temi presentati. La mente occupata solo con questioni banali, diventa piccola e indebolita. Se non viene mai incaricata di comprendere verità grandiose e di vasta portata, dopo un po’ di tempo perde il potere di crescere. Come salvaguardia contro questa degenerazione e come stimolo allo sviluppo, nient’altro può eguagliare lo studio della Parola di Dio.

Come mezzo di formazione intellettuale, la Bibbia è più efficace di qualsiasi altro libro o di tutti i libri messi insieme. La grandezza dei Suoi temi, la dignitosa semplicità dei Suoi discorsi, la bellezza delle Sue immagini, accendono ed elevano i pensieri come nient’altro può fare.

Nessun altro studio può conferire una tale forza mentale come lo sforzo di afferrare le stupende verità della rivelazione. La mente così messa a contatto con i pensieri dell’Infinito non può che espandersi e rafforzarsi. E ancora più grande è il potere della Bibbia nello sviluppo della natura spirituale. L’uomo, creato per la comunione con Dio, può, solo in questo legame, trovare la sua vera vita e il suo sviluppo. Creato per trovare in Dio la sua gioia più alta, non può cercare in nient’altro ciò che può placare le voglie del cuore, può soddisfare la fame e la sete dell’anima.

Chi studia la Parola di Dio con spirito sincero e volenteroso di imparare, cercando di comprenderne le verità, entrerà in contatto con il Suo Autore; se non per sua scelta, non c’è limite alle possibilità di sviluppo. Nella Sua vasta gamma di stili e di argomenti, la Bibbia ha qualcosa che interessa ogni mente e fa appello ad ogni cuore. Nelle Sue pagine si trovano la storia più antica; la biografia più fedele alla vita; i principi di governo per il controllo dello Stato, per la regolazione della famiglia, principi che la saggezza umana non ha mai eguagliato. Contiene la filosofia più profonda, la poesia più dolce e più sublime, la più impetuosa e la più accorata. Il valore dei testi biblici è immensamente superiore a quello delle produzioni di qualsiasi autore umano; ma di portata infinitamente più ampia, di valore infinitamente più grande, se considerati in relazione al grande pensiero centrale. Alla luce di questo pensiero, ogni argomento assume un nuovo significato. Nelle verità più semplici sono coinvolti principi che sono alti come il Cielo e che abbracciano l’eternità. Il tema centrale della Bibbia, il tema attorno al quale si raggruppano tutti i temi del libro, è il piano di redenzione, la restaurazione nell’anima umana dell’immagine di Dio. Dalla prima parola di speranza nella sentenza pronunciata nell’Eden, fino all’ultima gloriosa promessa dell’Apocalisse: “essi vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla loro fronte” {Apocalisse 22: 4}, il compito di ogni libro e di ogni versetto della Bibbia è il dispiegamento di questo tema, l’elevazione dell’uomo, la potenza di Dio “che ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo” {1 Corinzi 15: 57}.

Chi coglie questo pensiero ha davanti a sé un campo di studio infinito. Ha la chiave che gli aprirà l’intero tesoro della Parola di Dio.

La scienza della redenzione è la scienza di tutte le scienze, oggetto di studio degli angeli e di tutte le intelligenze dei mondi non caduti; è la scienza attira l’attenzione del nostro Signore e Salvatore, entra nello scopo covato nella mente dell’Infinito, “celato per molti secoli addietro” {Romani 16: 25}; la scienza sarà lo studio dei redenti di Dio nel corso di infinite epoche. Questo è lo studio più alto che l’uomo possa intraprendere. Nessun altro studio può, accendere la mente ed elevare l’anima. “L’eccellenza della conoscenza sta in questo: la sapienza fa vivere quelli che la possiedono” {Ecclesiaste 7: 12}. Gesù disse: “Le parole che vi dico sono spirito e vita” {Giovanni 6: 63}. “Or questa è la vita eterna, che conoscano te, il solo vero Dio, e Gesù Cristo che tu hai mandato” {Giovanni 17: 3}.

L’energia creativa che ha chiamato i mondi all’esistenza è nella Parola di Dio. Questa Parola conferisce potenza, genera vita. Ogni comando è una promessa; accettata dalla volontà, accolta nell’anima, porta con sé la vita dell’Infinito. Trasforma la natura e ricrea l’anima a immagine di Dio. La vita così impartita è allo stesso modo sostenuta. “Ma da ogni parola che procede dalla bocca di Dio” {Matteo 4: 4}, l’uomo vivrà.

La mente, l’anima, viene edificata da ciò di cui si nutre; e spetta a noi stabilire di che cosa si deve nutrire. È in potere di ognuno di noi scegliere gli argomenti che devono occupare i pensieri e formare il carattere. Ad ogni essere umano, chiamato al privilegio di accedere alle Scritture, Dio dice: “Ho scritto per lui le grandi cose della mia legge” {Osea 8: 12}. “Invocami e io ti risponderò, e ti annunzierò cose grandi e impenetrabili che tu non conosci” {Geremia 33: 3}.

Con la Parola di Dio tra le mani, ogni essere umano, ovunque si trovi, può avere la compagnia che desidera. Nelle Sue pagine può incontrare i più nobili e i migliori rappresentanti della razza umana e può ascoltare la voce dell’Eterno. Mentre studia e medita sui temi in cui “gli angeli desiderano riguardare addentro” {1 Pietro 1: 12}, può avere la loro compagnia. Può seguire i passi del Maestro celeste, e ascoltare le Sue parole come quando insegnava sui monti, sulle pianure e sui mari. Potrà dimorare in questo mondo nell’atmosfera del Cielo, e trasmettere ai dolenti e ai tentati della terra pensieri di speranza e di desiderio di santità, avvicinandosi sempre più alla comunione con l’invisibile, come colui che anticamente camminava con Dio, si avvicina sempre più alla soglia del mondo eterno, finché le porte si apriranno ed egli vi entrerà. Si ritroverà sé stesso e non sarà un estraneo. Le voci che lo accoglieranno saranno le voci dei santi che, invisibili, sono stati sulla Terra i suoi compagni, voci che qui ha imparato a distinguere e ad amare. Chiunque che, attraverso la Parola di Dio ha vissuto in comunione con il Cielo, si troverà a casa sua nella celeste compagnia.

 

 

CAPITOLO 14 – LA SCIENZA E LA BIBBIA

“Chi non sa che in tutte queste cose ha operato la mano del Signore?”

Dal momento che il libro della natura e il libro della rivelazione portano l’impronta della stessa mente maestra, non possono che parlare in armonia. Con metodi diversi e in lingue diverse, testimoniano le stesse grandi verità. La scienza scopre sempre nuove meraviglie, ma non porta nulla dalle sue ricerche che, giustamente inteso, sia in conflitto con la rivelazione divina. Il libro della natura e la parola scritta si illuminano a vicenda. Ci fanno conoscere Dio insegnandoci alcune delle leggi attraverso le quali opera.

Le deduzioni erroneamente tratte da fatti osservati in natura hanno portato ad un presunto conflitto tra scienza e rivelazione, e nel tentativo di ristabilire l’armonia, sono state adottate interpretazioni delle Scritture che minano e distruggono la forza della Parola di Dio.

Si è pensato che la geologia contraddicesse l’interpretazione letterale del racconto mosaico della Creazione. Si sostiene che per l’evoluzione della Terra siano stati necessari milioni di anni, e si è preteso che ci siano voluti milioni di anni per l’evoluzione della terra dal caos; e per adeguare la Bibbia a questa presunta rivelazione della scienza, si presume che i giorni della Creazione siano stati vasti, indefiniti periodi, che coprono migliaia o addirittura milioni di anni. Una simile conclusione è del tutto fuori luogo. La documentazione della Bibbia è in armonia con Sé stessa e con l’insegnamento della natura. Del primo giorno impiegato nell’opera della Creazione si legge: “Così fu sera. Poi fu mattina: il primo giorno” {Genesi 1: 5}. E lo stesso, in sostanza è detto di ciascuno dei primi sei giorni della settimana Creativa. Per ognuno di questi periodi, l’Ispirazione dichiara che è stato un giorno composto da sera e mattina, come ogni altro giorno da allora. Per quanto riguarda la Creazione stessa, la testimonianza divina è: “Poiché egli parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa sorse” {Salmo 33: 9}.

A Colui che ha potuto chiamare all’esistenza un numero infinito di mondi, quanto tempo sarebbe stato necessario per l’evoluzione della Terra dal caos? Per spiegare le opere di Dio, dobbiamo fare violenza alla Sua Parola?

È vero che i resti trovati sul suolo testimoniano l’esistenza di uomini, animali e piante molto più grandi di quelli oggi conosciuti. Questi sono considerati la prova dell’esistenza di vita vegetale e animale anteriore all’epoca della storia mosaica. Ma la Bibbia fornisce ampie spiegazioni a riguardo. Prima del Diluvio lo sviluppo della vita vegetale e animale era incommensurabilmente superiore a quello successivamente conosciuto. Durante il Diluvio la superficie della Terra è stata frantumata, si sono verificati notevoli cambiamenti e nella riformazione della crosta terrestre si sono conservate molte prove della vita precedentemente esistente. Le vaste foreste sepolte nella terra al tempo del Diluvio, e da allora trasformate in carbone, producono le scorte di petrolio, necessari alla nostra vita moderna. Queste cose, man mano che vengono portate alla luce, testimoniano e attestano la verità della Parola di Dio.

Affine alla teoria dell’evoluzione della Terra è quella che attribuisce ad una linea ascendente di germi, molluschi e quadrupedi l’evoluzione dell’uomo, capolavoro della creazione. Quando si considerano quanto breve sia la vita umana e, quanto ristretta sia la visione scientifica, quanto frequenti e grandi siano gli errori nelle sue conclusioni, soprattutto per quanto riguarda gli eventi che si pensa siano antecedenti alla storia della Bibbia, quanto spesso le presunte deduzioni della scienza vengono riviste o accantonate; con quale prontezza il periodo presunto di sviluppo della Terra viene, di volta in volta, aumentato o diminuito di milioni di anni; e quando si nota come le teorie avanzate dai diversi scienziati siano in conflitto l’una con l’altra, considerando tutto questo, solo per il piacere di far risalire la nostra discendenza ai germi, ai molluschi e alle scimmie, come si può acconsentire a gettare via quella dichiarazione della Sacra Scrittura, così grandiosa nella Sua semplicità, “Così DIO creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di DIO”? {Genesi 1: 27}.

Vogliamo rifiutare questa testimonianza genealogica più nobile di qualsiasi altra e custodita nelle corti dei re, in cui è detto che Gesù era il “figlio di Adamo, di Dio”? {Luca 3: 38}.

Se intese correttamente, sia le rivelazioni della scienza che le esperienze della vita sono in armonia con la testimonianza delle Scritture sull’opera costante di Dio nella natura. Nell’inno di Neemia, i leviti cantavano: “Tu solo sei l’Eterno! Tu hai fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutto il loro esercito, la terra e tutto ciò che sta su di essa, i mari e tutto ciò che è in essi” {Neemia 9: 6}.

Per quanto riguarda questa Terra, le Scritture dichiarano che l’opera della Creazione è stata completata. “Sebbene le sue opere fossero terminate fin dalla fondazione del mondo” {Ebrei 4: 3}. Ma la potenza di Dio si esercita ancora nel sostenere gli oggetti della Sua Creazione. Non è perché il meccanismo, una volta messo in moto, continua ad agire con la propria energia intrinseca, che il polso e il cuore battono e il respiro segue il respiro. Ogni respiro, ogni pulsazione del cuore è una prova della cura di Colui nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo. Dal più piccolo insetto all’uomo, ogni creatura vivente dipende quotidianamente dalla Sua provvidenza.

“Tutti si aspettano da te… Tu lo provvedi loro ed essi lo raccolgono; tu apri la mano e sono saziati di beni. Tu nascondi la tua faccia, ed essi sono smarriti; tu ritiri il loro spirito, ed essi muoiono ritornando nella loro polvere. Tu mandi il tuo spirito, ed essi sono creati, e tu rinnovi la faccia della terra” {Salmo 104: 27-30}.

“Egli distende il settentrione sul vuoto e tiene sospesa la terra sul nulla. Rinchiude le acque nelle sue nubi, senza che queste si squarcino sotto il loro peso… Ha tracciato un particolare limite sulla superficie delle acque, al confine della luce con le tenebre” {Giobbe 26: 7-10}.

“Le colonne del cielo tremano e si stupiscono alla sua minaccia. Con la sua forza calma il mare… Con il suo Spirito ha abbellito i cieli, la sua mano ha trafitto il serpente tortuoso. Ecco, questi sono solamente le frange delle sue opere. Quale debole sussurro di lui riusciamo a percepire! Ma chi potrà mai comprendere il tuono della sua potenza?»” {Giobbe 26: 11-14}.

“L’Eterno persegue il suo cammino nel turbine e nella tempesta e le nuvole sono la polvere dei suoi piedi” {Nahum 1: 3}.

La potenza che opera in tutta la natura e sostiene tutte le cose non è, come sostengono alcuni uomini di scienza, solo un’entità onnipervasiva, un’energia che agisce. Dio è uno spirito, ma è anche un essere personale, perché l’uomo è stato fatto a Sua immagine e somiglianza. Come essere personale, Dio si è rivelato in Suo Figlio. Gesù, lo splendore della gloria del Padre, e “l’impronta della sua essenza” {Ebrei 1: 3}, venne sulla Terra come un uomo. Come Salvatore personale venne al mondo e come tale ascese al cielo. Come Salvatore personale intercede nei tribunali celesti. Davanti al trono di Dio, in nostro favore, intercede “uno simile a un Figlio dell’uomo” {Daniele 7: 13}.

L’apostolo Paolo, scrivendo per mezzo dello Spirito Santo, dichiara di Cristo che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui” {Colossesi 1: 16-17}.

La mano che sostiene i mondi nello Spazio, che mantiene la disposizione ordinata e l’attività instancabile di tutte le cose nell’Universo di Dio, è la mano che è stata inchiodata alla Croce per noi.

La grandezza di Dio è per noi incomprensibile. “L’Eterno ha il suo trono nei cieli” {Salmo 11: 4}, eppure con il Suo Spirito è presente ovunque. Egli ha un’intima conoscenza e un interesse personale per tutte le opere della Sua mano.

“Chi è simile all’Eterno, il nostro DIO che abita nei luoghi altissimi. Che si abbassa a guardare le cose che sono nei cieli e sulla terra?” {Salmo 113: 5-6}.

“Se salgo in cielo, tu sei là; se stendo il mio letto nello Sceol, ecco, tu sei anche là” {Salmo 139: 8}.

“Se prendo le ali dell’alba e vado a dimorare all’estremità del mare, anche là la tua mano mi guiderà e la tua destra mi afferrerà” {Salmo 139: 9-10}.

“Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu intendi il mio pensiero da lontano. Tu esamini accuratamente il mio cammino e il mio riposo e conosci a fondo tutte le mie vie… Tu mi cingi di dietro e davanti e metti la tua mano su di me. La tua conoscenza è troppo sublime per me, talmente alta che non posso raggiungerla” {Salmo 139: 2-6}.

È stato il Creatore di tutte le cose ad ordinare il meraviglioso adattamento dei mezzi al fine, dell’offerta al bisogno. Nel mondo materiale ha provveduto affinché ogni desiderio legittimo venisse soddisfatto.

È stato Lui a creare l’anima umana, con la sua capacità di conoscere e di amare.

E non è nella Sua natura lasciare insoddisfatte le richieste dell’anima. Nessun principio intangibile, nessuna essenza impersonale o mera astrazione, può soddisfare le esigenze e gli aneliti degli esseri umani in questa vita di lotta con il peccato, il dolore e la sofferenza. Non è sufficiente credere nella legge e nella sua forza, in cose che non hanno valore, e non rispondono alle nostre grida di aiuto. Abbiamo bisogno di stringere una mano calorosa, di confidare in un cuore pieno di tenerezza. Anche così Dio si è rivelato nella Sua Parola. Colui che studia più profondamente i misteri della natura si renderà conto della sua ignoranza e della sua debolezza. Si renderà conto che ci sono profondità e altezze che non può raggiungere, segreti che non può penetrare, vasti campi di verità che giacciono davanti a lui insondati. Sarà pronto a dire, con Newton: “Mi sembra di essere stato come un bambino sulla riva del mare a cercare sassolini e conchiglie, mentre il grande oceano della verità giaceva inesplorato davanti a me”.

Gli studenti più diligenti della scienza sono costretti a riconoscere nella natura, l’opera di una potenza infinita. Ma per la mente abbandonata a sé stessa, l’insegnamento della natura non può che essere contraddittorio e deludente. Solo alla luce della rivelazione può essere letto correttamente. “Per fede intendiamo” {Ebrei 11: 3}. “Nel principio Dio creò i cieli e la terra” {Genesi 1: 1}.

Solo qui la mente può, nel suo ansioso interrogarsi, fuggendo come la colomba verso l’arca, trovare riposo. In alto, in basso, al di là, dimora l’Amore infinito, che opera in tutte le cose per realizzare “tutto il beneplacito della sua bontà” {2 Tessalonicesi 1: 11, Diodati}.

“Infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, essendo evidenti per mezzo delle sue opere fin dalla creazione del mondo, si vedono chiaramente, affinché siano inescusabili” {Romani 1: 20}.

Ma la loro testimonianza può avvenire solo attraverso l’aiuto del Maestro divino.

“Chi tra gli uomini, infatti, conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così pure nessuno conosce le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio” {1 Corinzi 2: 11}. “Ma quando verrà lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà in ogni verità” {Giovanni 16: 13}.

Solo con l’aiuto di quello Spirito che in principio “aleggiava sulle acque”; di quel Verbo per mezzo del quale “tutte le cose sono state fatte”; di quella “vera Luce, che illumina ogni uomo che viene nel mondo”, la testimonianza della scienza può essere giustamente interpretata. Solo con la Loro guida è possibile discernere le sue verità più profonde.

Solo sotto la direzione dell’Onnisciente potremo, nello studio delle Sue opere, pensare come Lui.

 

 

CAPITOLO 15 – PRINCIPI E METODI NEGLI AFFARI

“Chi cammina rettamente cammina sicuramente”.

La Bibbia fornisce, in ogni attività umana, una preparazione essenziale. I Suoi principi di diligenza, onestà, parsimonia, temperanza e purezza sono il segreto del vero successo.

Questi principi, esposti nel libro dei Proverbi, costituiscono un tesoro di saggezza pratica. Qui, il commerciante, l’artigiano, il dirigente in qualsiasi settore degli affari, possono trovare massime migliori per loro stessi o per i loro dipendenti, come quelle contenute nelle parole del saggio: “Hai visto un uomo sollecito nel suo lavoro? Egli comparirà alla presenza dei re e non resterà davanti a gente oscura” {Proverbi 22: 29}. “In ogni fatica c’è un guadagno, ma il parlare ozioso porta solo alla povertà” {Proverbi 14: 23}.

“L’anima del pigro desidera e non ha nulla” {Proverbi 13: 4}. “Perché l’ubriacone e il ghiottone impoveriranno e il dormiglione si vestirà di stracci” {Proverbi 23: 21}. “Chi va in giro sparlando rivela i segreti; perciò non associarti con chi parla troppo” {Proverbi 20: 19}. “Chi modera le sue parole possiede conoscenza” {Proverbi 17: 27}, “ma ogni stolto si immischia” {Proverbi 20: 3}. “Non entrare nel sentiero degli empi e non camminare per la via dei malvagi” {Proverbi 4: 14}; “O può un uomo camminare su carboni accesi senza bruciarsi i piedi?” {Proverbi 6: 28}. “Chi va con i saggi diventa saggio” {Proverbi 13: 20}. “L’uomo che ha molti amici deve pure mostrarsi amico” {Proverbi 18: 24}. L’intero cerchio dei nostri obblighi reciproci è coperto da quella parola di Cristo che recita Cristo: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro” {Matteo 7: 12}.

Quanti uomini avrebbero potuto sfuggire al fallimento finanziario e alla rovina prestando attenzione agli avvertimenti, così spesso ripetuti ed enfatizzati nelle Scritture: “chi ha fretta di arricchire non sarà senza colpa” {Proverbi 28: 20}.

“La ricchezza ottenuta disonestamente si ridurrà a ben poco, ma chi accumula con fatica l’aumenterà” {Proverbi 13: 11}.

“Ottenere tesori con lingua bugiarda è un vapore fugace di chi cerca la morte” {Proverbi 21: 6}. “Chi prende in prestito è schiavo di chi presta” {Proverbi 22: 7}. “Chi si fa garante per un estraneo ne soffrirà danno, ma chi rifiuta di dar la mano come garanzia è sicuro ” {Proverbi 11: 15}. “Non spostare il confine antico e non entrare nei campi degli orfani, perché il loro Vendicatore è potente; egli difenderà la loro causa contro di te” {Proverbi 23: 10-11}. “Chi opprime il povero per arricchirsi e chi dà al ricco, certamente impoverirà” {Proverbi 22: 16}. “Chi scava una fossa vi cadrà dentro, e chi rotola una pietra gli ricadrà addosso” {Proverbi 26: 27}. Sono principi a cui è legato il benessere della società, delle associazioni sia laiche che religiose. Sono questi principi che danno sicurezza alla proprietà e alla vita. Il mondo è debitore alla legge di Dio, per tutto ciò che rende possibile la fiducia e la cooperazione così come è stata data nella Sua Parola, e come è ancora tracciata, in linee spesso oscure e quasi cancellate, nel cuore degli uomini.

Le parole del salmista: “La legge della tua bocca per me è più preziosa di migliaia di monete d’oro e d’argento” {Salmo 119: 72}, affermano una verità assoluta e riconosciuta nel mondo degli affari.

Anche in questa epoca di smania per il denaro, in cui la concorrenza è così acuta e i metodi sono così spregiudicati, è ancora ampiamente riconosciuto che, l’integrità, la diligenza, la temperanza, purezza e parsimonia, costituiscono un capitale migliore di qualsiasi somma di denaro.

Eppure, anche tra coloro che apprezzano il valore di queste qualità e riconoscono la Bibbia come la loro fonte, sono pochi quelli che riconoscono il principio da cui dipendono. Ciò che sta alla base dell’integrità degli affari e del vero successo è il riconoscimento della proprietà di Dio. Il Creatore di tutte le cose, è il proprietario originale. Noi siamo i Suoi amministratori. Tutto ciò che abbiamo è per la Sua fiducia nei nostri confronti, da usare secondo le Sue indicazioni. È un obbligo che grava su ogni essere umano. Ha a che fare con l’intera sfera dell’attività umana. Che lo riconosciamo o meno siamo amministratori, forniti da Dio di talenti e potenzialità, e siamo stati messi al mondo per compiere un’opera da Lui stabilita. Ad ogni uomo è dato “il suo compito” {Marco 13: 34}, il lavoro che porterà il massimo bene a sé stesso e ai suoi simili, e il massimo onore a Dio. Il nostro lavoro o la nostra vocazione fanno quindi parte del grande piano di Dio, e, fintanto che è condotto in conformità alla Sua volontà, Egli stesso è responsabile dei risultati. “Noi siamo infatti collaboratori di Dio” {1 Corinzi 3: 9}, la nostra parte è la fedele osservanza delle Sue indicazioni.

Non c’è quindi posto per la cura ansiosa. Sono richieste diligenza, fedeltà, cura, parsimonia e discrezione. Ogni facoltà deve essere esercitata al massimo delle sue capacità. Ma ciò non dipenderà dal successo dei nostri sforzi, ma dalla promessa di Dio.

La parola che nutrì Israele nel deserto e sostenne Elia nel periodo della carestia, ha oggi lo stesso potere. “Non siate dunque in ansietà, dicendo: “Che mangeremo, o che berremo o di che ci vestiremo?” {Matteo 6: 31}; “Ma cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte” {Matteo 6: 33}.

Chi dà agli uomini il potere di procurarsi la ricchezza ha legato al dono un impegno. Di tutto ciò che acquistiamo, Egli pretende una parte specifica. La decima è del Signore. “Ogni decima della erra, sia dei prodotti del suolo che dei frutti degli alberi…” {Levitico 27: 30}; “E per la decima della mandria e del gregge… sarà consacrato all’Eterno” {Levitico 27: 32}. L’impegno di Giacobbe a Betel mostra l’entità dell’obbligo. Disse: “E di tutto quello che tu mi darai io ti darò la decima” {Genesi 28: 22}. “Portate tutte le decime alla casa del tesoro…” {Malachia 3: 10}, è il comando di Dio. Non si fa appello alla gratitudine o alla generosità. È una questione di semplice onestà. La decima è del Signore e Lui ci chiede di restituire a Lui ciò che è Suo. “Ma del resto dagli amministratori si richiede che ciascuno sia trovato fedele” {1 Corinzi 4: 2}.

Se l’onestà è un principio essenziale nel mondo degli affari, non dobbiamo noi riconoscere il nostro obbligo nei confronti di Dio, che è alla base di ogni altra responsabilità?

In base ai termini della nostra amministrazione, noi siamo in obbligo, non solo verso Dio, ma anche verso l’umanità. All’infinito amore del Redentore ogni essere umano è debitore dei doni della vita. Cibo, vestiario

e riparo, corpo, mente e spirito: tutto è stato acquisito dal Suo sangue. E con l’obbligo di gratitudine e di servizio così imposto, Cristo ci ha legati ai nostri simili. Ci dice: “Ma servitevi gli uni gli altri per mezzo dell’amore” {Galati 5: 13}. “Tutte le volte che l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” {Matteo 25: 40}.

Paolo dichiara: “Sono debitore sia verso i greci che verso i barbari, sia verso i saggi che verso gli sprovveduti”.

Anche noi lo siamo. Per tutto ciò che ha benedetto la nostra vita al di sopra degli altri, noi siamo obbligati a fare altrettanto nei confronti di ogni essere umano che possa beneficiare.

Queste verità non sono da tenere chiuse nell’armadio. I beni che amministriamo non sono nostri, e non si può mai essere al sicuro perdendo di vista questo certezza. Siamo solo amministratori e, dall’adempimento dei nostri obblighi verso Dio e verso l’uomo, dipendono sia il benessere dei nostri simili, sia il nostro destino per questa vita e per quella a venire. “C’è chi spande generosamente e diventa più ricco, e c’è chi risparmia più del necessario e diventa sempre più povero. La persona generosa si arricchirà e chi annaffia sarà egli pure annaffiato” {Proverbi 11: 24-25}.

“Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai” {Ecclesiaste 11: 1}. “Non affaticarti per diventare ricco… Vuoi fissare i tuoi occhi su ciò che scompare? Poiché la ricchezza metterà certamente le ali, come un’aquila che vola verso il cielo” {Proverbi 23: 4-5}.

“Date e vi sarà dato: una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata in seno, perché con la misura con cui misurate, sarà altresì misurato a voi” {Luca 6: 38}. “Onora l’Eterno con i tuoi beni e con le primizie di ogni tua rendita; i tuoi granai saranno strapieni e i tuoi tini traboccheranno di mosto” {Proverbi 3: 9-10}.

“Portate tutte le decime alla casa del tesoro, perché vi sia cibo nella mia casa, e poi mettetemi alla prova in questo», dice l’Eterno degli eserciti, «se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi tanta benedizione, che non avrete spazio sufficiente ove riporla. Inoltre sgriderò per voi il divoratore, perché non distrugga più il frutto del vostro suolo, e la vostra vite non mancherà di portar frutto per voi nella campagna», dice l’Eterno degli eserciti. «Tutte le nazioni vi proclameranno beati, perché sarete un paese di delizie», dice l’Eterno degli eserciti” {Malachia 3: 10-12}.

“Se vi comportate secondo i miei statuti, osservate i miei comandamenti, e li mettete in pratica, io vi darò le piogge nella loro stagione, la terra darà i suoi prodotti e gli alberi della campagna daranno i loro frutti. La trebbiatura durerà fino alla vendemmia e la vendemmia durerà fino alla semina; mangerete a sazietà il vostro pane e abiterete al sicuro nel vostro paese. Io farò regnare la pace nel paese; vi coricherete e nessuno vi spaventerà…” {Levitico 26: 3-6}.

“Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” {Isaia 1: 17}. “Beato chi si prende cura del povero; l’Eterno lo libererà nel giorno dell’avversità. L’Eterno lo custodirà e lo manterrà in vita; egli sarà reso felice sulla terra, e tu non lo darai in balìa dei suoi nemici” {Salmo 41: 1-2}. “Chi ha pietà del povero presta all’Eterno, che gli contraccambierà ciò che ha dato” {Proverbi 19: 17}.

Chi fa questo investimento accumula un doppio tesoro. Oltre a quello che, per quanto saggiamente accresciuto, alla fine deve lasciare, sta accumulando ricchezza per l’eternità: il carattere trasformato, che rappresenta il bene più prezioso della Terra e del Cielo.

Affari onesti

“L’Eterno conosce i giorni degli uomini integri, e la loro eredità durerà in eterno. Essi non saranno confusi nel tempo dell’avversità e nei giorni di carestia saranno saziati” {Salmo 37: 18-19}.

“Colui che cammina in modo irreprensibile e fa ciò che è giusto, e dice la verità come l’ha nel cuore” {Salmo 15: 2}, “anche se ha giurato a suo danno, egli non ritratta” {Salmo 15: 4}; “colui che disprezza i guadagni distorti, che scuote le mani per non accettare regali… e chiude i suoi occhi e chiude gli occhi per non vedere il male, costui dimorerà in luoghi elevati… il suo pane gli sarà dato, la sua acqua gli sarà assicurata. I tuoi occhi contempleranno il re nella sua bellezza, vedranno un paese molto lontano” {Isaia 33: 15-17}.

Dio ha dato nella Sua Parola, l’illustrazione di Giobbe, un uomo prospero, la cui vita fu un successo nel senso più vero del termine, un uomo che sia il Cielo che la Terra si compiacevano di onorarlo. Della sua esperienza Giobbe stesso dice:

“com’ero ai giorni della mia maturità, quando il consiglio segreto di Dio vegliava sulla mia tenda, quando l’Onnipotente era ancora con me e i miei figli mi stavano intorno… Quando uscivo verso la porta della città e rizzavo il mio seggio in piazza, i giovani, al vedermi, si tiravano in disparte, i vecchi si alzavano e rimanevano in piedi; i principi smettevano di parlare e si mettevano la mano alla bocca; la voce dei capi si smorzava… L’orecchio che mi udiva, mi proclamava beato, e l’occhio che mi vedeva, mi rendeva testimonianza, perché liberavo il povero che gridava in cerca di aiuto, e l’orfano che non aveva alcuno che l’aiutasse… La benedizione del morente scendeva su di me e facevo esultare il cuore della vedova. Avevo indossato la giustizia, ed essa mi rivestiva; la mia equità mi faceva da mantello e turbante. Ero occhi per il cieco e piedi per lo zoppo; ero un padre per i poveri e investigavo il caso che non conoscevo” {Giobbe 29: 4-16}.

“inoltre nessun forestiero passava la notte all’aperto, perché aprivo le mie porte al viandante” {Giobbe 31: 31}.

“Gli astanti mi ascoltavano in aspettazione e tacevano per udire il mio consiglio… non potevano sminuire la luce del mio volto. Quando andavo da loro, mi sedevo come capo e stavo come un re tra le sue schiere, come uno che consola gli afflitti” {Giobbe 29: 21-25}.

“La benedizione dell’Eterno arricchisce ed egli non vi aggiunge alcun dolore” {Proverbi 10: 22}. “Con me sono ricchezze e gloria, la ricchezza che dura e la giustizia” {Proverbi 8: 18}.

La Bibbia mostra anche il risultato di un allontanamento dai giusti principi nei rapporti con Dio e con il prossimo. A coloro che sono affidati i Suoi doni, ma che sono indifferenti alle Sue richieste, Dio dice: “«Considerate bene il vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; mangiate, ma non fino a saziarvi; bevete, ma non fino a soddisfare la sete; vi vestite, ma nessuno sta al caldo; chi guadagna un salario, lo guadagna per riporlo in una borsa forata… Vi aspettavate molto, ma in realtà c’è stato poco; quando poi l’avete portato a casa, io l’ho soffiato via»” {Aggeo 1: 5-9}. “Da quel tempo, quando uno veniva a un mucchio di venti misure ce n’erano solo dieci; quando uno veniva al tino per cavare dal tino cinquanta bati, ce n’erano solo venti” {Aggeo 2: 16}.

“Un uomo deruberà DIO? Eppure voi mi derubate e poi dite: “In che cosa ti abbiamo derubato?”. Nelle decime e nelle offerte” {Malachia 3: 8}. “Perciò sopra di voi il cielo ha trattenuto la rugiada e la terra ha ritenuto il suo prodotto” {Aggeo 1: 10}. “Quindi, poiché calpestate il povero… anche se avete costruito case con pietre squadrate, non le abiterete; avete piantato vigne deliziose, ma non ne berrete il vino” {Amos 5: 11}. “L’Eterno manderà contro di te la maledizione, la confusione e la disapprovazione in ogni cosa a cui metterai mano e che farai” {Deuteronomio 28: 20}. “I tuoi figli e le tue figlie saranno dati a un altro popolo; i tuoi occhi guarderanno e si struggeranno di desiderio per loro tutto il giorno, e la tua mano sarà senza forza” {Deuteronomio 28: 32}. “Chi si procura ricchezze, e non per diritto, le lascerà nel mezzo dei suoi giorni, e alla sua fine sarà uno stolto” {Geremia 17: 11}.

I conti di ogni azienda, i dettagli di ogni transazione, passano al vaglio di revisori invisibili, agenti di Colui che non è mai sceso a compromesso con l’ingiustizia, non trascura mai il male, non minimizza mai il torto.

“Se nella provincia vedi l’oppressione del povero e la perversione violenta del diritto e della giustizia, non meravigliarti della cosa; poiché sopra un’alta autorità ne veglia una più alta, e sopra di loro, delle autorità ancora più alte” {Ecclesiaste 5: 8}. “Non vi sono tenebre né ombra di morte, dove possano nascondersi i malfattori” {Giobbe 34: 22}. “Dirigono la loro bocca contro il cielo” {Salmo 73: 9}, “e dice: «Come è possibile che DIO sappia ogni cosa e che vi sia conoscenza nell’Altissimo?»” {Salmo 73: 11}. “Tu hai fatto queste cose, e io ho taciuto; tu hai pensato che io fossi del tutto simile a te. Ma io ti risponderò, e ti metterò ogni cosa davanti agli occhi” {Salmo 50: 21}.

“Poi alzai nuovamente gli occhi e guardai, ed ecco un rotolo che volava… «Questa è la maledizione che si sta spargendo su tutto il paese; perché da ora in poi, chiunque ruba sia reciso da esso e chiunque da ora in poi giura, sarà reciso da esso. Io la farò uscire», dice l’Eterno degli eserciti, «ed essa entrerà nella casa del ladro e nella casa di colui che giura falsamente nel mio nome; rimarrà in quella casa e la consumerà insieme col suo legname e le sue pietre»” {Zaccaria 5: 1-4}.

Contro ogni malfattore la legge di Dio pronuncia una condanna. Egli può ignorare quella voce, può cercare di annegare il Suo avvertimento, ma invano. Essa lo segue. Si fa sentire. Distrugge la sua pace. Se inascoltata, lo insegue fino alla tomba. Testimonia contro di lui al giudizio. Come un fuoco inestinguibile, consuma alla fine l’anima e il corpo.

“Che gioverà infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima sua? O che cosa potrebbe dare l’uomo in cambio dell’anima sua?” {Marco 8: 36-37}. Questa è una domanda che richiede una riflessione da parte di ogni genitore, ogni insegnante, ogni studente, ogni essere umano, giovane o anziano.

Nessun programma di lavoro o piano di vita può essere valido o completo se abbraccia solo i brevi anni di questa vita presente e non preveda il futuro infinito. Insegniamo ai giovani a fare i conti con l’eternità. Insegniamo loro a scegliere i principi e a cercare i beni duraturi, per mettere da parte per loro stessi “un tesoro inesauribile nei cieli, dove il ladro non giunge e la tignola non rode”{Luca 12: 33}; “Or io vi dico: «Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste perché, quando esse verranno a mancare, vi ricevano nelle dimore eterne»” {Luca 16: 9}.

Tutti coloro che fanno questo si preparano al meglio per la vita in questo mondo. Nessun uomo può accumulare un tesoro in Cielo senza che la sua vita sulla Terra ne risulti arricchita e nobilitata. “La pietà è utile ad ogni cosa, avendo la promessa della vita presente e di quella futura” {1 Timoteo 4: 8}.

 

 

CAPITOLO 16 – BIOGRAFIE DELLA BIBBIA

“Che per mezzo della fede hanno sottomesso i regni, hanno operato la

giustizia… dalla debolezza sono stati resi forti”.

Nessuna parte della Bibbia ha valore educativo più grande delle Sue biografie. Queste biografie si distinguono da tutte le altre perché sono assolutamente fedeli alla vita. È impossibile per qualsiasi mente finita interpretare correttamente, in tutte le cose, l’operato di un’altra. Nessuno, se non Colui che legge il cuore, che discerne le sorgenti segrete dei moventi e delle azioni, può delineare con assoluta verità il carattere o dare un’immagine fedele della vita umana.

Solo nella Parola di Dio si trova tale delineazione. Nessuna verità, la Bibbia insegna più chiaramente, di quella che ciò che facciamo è il risultato di ciò che siamo. In larga misura le esperienze della vita sono il frutto dei nostri pensieri e delle nostre azioni. “La maledizione senza motivo non ha effetto” {Proverbi 26: 2}. “Dite al giusto che avrà bene… Guai all’empio! Gli verrà addosso la sventura, perché gli sarà reso quel che le sue mani hanno fatto” {Isaia 3: 10-11}. “Ascolta, o terra! Ecco, io farò venire su questo popolo una calamità, il frutto stesso dei loro pensieri” {Geremia 6: 19}.

Questa verità è terribile e deve essere profondamente impressa. Ogni azione si ripercuote su chi la compie. Un essere umano può riconoscere nei mali che maledicono la sua vita, il frutto della sua stessa semina. Tuttavia, non siamo senza speranza. Per ottenere la primogenitura che era già sua per promessa di Dio, Giacobbe ricorse alla frode e raccolse i frutti nell’odio del fratello. Durante i vent’anni di esilio fu lui stesso vittima di torti e frodi, e alla fine fu costretto a trovare sicurezza nella fuga; e lui raccolse un secondo raccolto, quando vide i mali del suo stesso carattere riflesso sui figli: un’immagine fin troppo veritiera dei castighi della vita umana.

Ma Dio dice: “«Poiché io non voglio contendere per sempre né essere adirato in eterno, altrimenti davanti a me verrebbero meno lo spirito e le anime che ho fatto. Per l’iniquità della sua cupidigia mi sono adirato e l’ho colpito; mi sono nascosto, mi sono indignato; ma egli si è allontanato seguendo la via del suo cuore. Ho visto le sue vie, ma io lo guarirò, lo guiderò e ridarò le mie consolazioni a lui e ai suoi che sono afflitti… Pace, pace a chi è lontano e a chi è vicino», dice l’Eterno. «Io lo guarirò»” {Isaia 57: 16-19}.

Giacobbe, nella sua angoscia, non fu sopraffatto. Si era pentito, si era sforzato di espiare il torto subito dal fratello. E quando minacciato di morte per l’ira di Esaù, cercò l’aiuto di Dio. “Sì, lottò con l’Angelo e vinse; pianse e lo supplicò” {Osea 12: 5}. “E qui lo benedisse” {Genesi 32: 30}. Nella potenza della Sua forza il perdonato si alzò in piedi, non più come il soppiantatore, ma come un principe con Dio. Aveva ottenuto, non solo la liberazione dal fratello oltraggiato, ma anche la liberazione da sé stesso. Il potere del male nella sua natura era stato spezzato; il suo carattere era stato trasformato. Al tramonto c’era la luce. Giacobbe, rivedendo la storia della sua vita, riconobbe il potere di Dio che lo sosteneva: “il DIO che mi ha pasturato da quando esisto fino a questo giorno, l’Angelo che mi ha liberato da ogni male” {Genesi 48: 15-16}. La stessa esperienza si ripete nella storia dei figli di Giacobbe, il peccato che produce il castigo e il pentimento che porta il frutto della rettitudine nella vita.

Dio non annulla le Sue leggi. Non opera in modo contrario ad esse. Non annulla l’opera del peccato. Ma trasforma. Attraverso la Sua grazia la maledizione si trasforma in benedizione.

Tra i figli di Giacobbe, Levi era uno dei più crudeli e vendicativi, uno dei più colpevoli dell’omicidio a tradimento dei Sichemiti. Le caratteristiche di Levi si riflettono sui suoi discendenti, hanno provocato il decreto di Dio: “Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele” {Genesi 49: 7}. Ma il pentimento portò al cambiamento e, grazie alla loro fedeltà a Dio in mezzo all’apostasia delle altre tribù, la maledizione fu trasformata in un segno di massimo onore.

“In quel tempo l’Eterno separò la tribù di Levi per portare l’arca del patto dell’Eterno, per stare davanti all’Eterno e servirlo, e per benedire nel suo nome fino al giorno d’oggi” {Deuteronomio 10: 8}. “«Il mio patto con lui era un patto di vita e di pace, che io gli concessi perché mi temesse; ed egli mi temette e fu terrorizzato davanti al mio nome… camminava con me nella pace e nella rettitudine e ne ritrasse molti dall’iniquità” {Malachia 2: 5-6}. I Leviti, ministri designati del santuario, non ricevevano alcuna eredità fondiaria; abitavano insieme in città riservate al loro uso e ricevevano il loro sostegno dalle decime, dai doni e dalle offerte destinate al servizio di Dio. Erano gli insegnanti del popolo, ospiti di tutte le feste e ovunque onorati come servi e rappresentanti di Dio. A tutta la nazione fu il comando: “Guardati dal trascurare il Levita, fino a quando vivrai nel paese” {Deuteronomio 12: 19}. “Perciò Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli; l’Eterno è la sua eredità” {Deuteronomio 10: 9}.

Dalla fede alla conquista

La verità secondo cui l’uomo “come pensa nel suo cuore, così egli è” {Proverbi 23: 7}, trova un’altra illustrazione nell’esperienza di Israele. Ai confini di Canaan le spie, tornate dalla perlustrazione del paese, fecero il loro rapporto. La bellezza e la fecondità della terra erano state perse di vista per la paura delle difficoltà che si frapponevano alla sua occupazione. Le città murate fino al cielo, i guerrieri giganti, i carri di ferro, hanno scoraggiato la loro fede. Tralasciando Dio, la moltitudine ha fatto eco alla decisione delle spie increduli: “«Non possiamo salire contro questo popolo, perché è più forte di noi»” {Numeri 13: 31}.

Le loro parole si rivelarono vere. Non furono in grado di salire e perirono nel deserto. Due, però, dei dodici che avevano visto il paese, ragionarono diversamente. “«Saliamo subito e conquistiamo il paese, perché possiamo certamente farlo»” {Numeri 13: 30}, esortavano, ritenendo che la promessa di Dio fosse superiore ai giganti, alle città fortificate o ai carri di ferro.

Per loro la Parola era vera. Anche se condivisero con i loro fratelli i quarant’anni di vagabondaggio, Caleb e Giosuè entrarono nella Terra della Promessa. Coraggioso, come quando era uscito con le schiere di Israele, Caleb chiese e ricevette in eredità la roccaforte dei giganti. Nella forza di Dio scacciò i Cananei. Le vigne e gli oliveti che i suoi piedi avevano calpestati divennero di suo possesso. Anche se i codardi e i ribelli perirono nel deserto, gli uomini di fede mangiarono l’uva di Eschol. Nessuna verità, la Bibbia espone in modo più chiaro del pericolo di un solo allontanamento dalla retta via: pericolo sia per colui che sbaglia, sia per tutti coloro che vengono raggiunti dalla sua influenza. L’esempio ha un potere enorme e quando viene messo dalla parte delle tendenze malvagie della nostra natura, diventa quasi irresistibile.

Il più forte baluardo del vizio nel nostro mondo non è la vita iniqua del peccatore abbandonato o dell’emarginato degradato; è quella vita che appare virtuosa, onorata, e nobile, ma che nasconde un peccato, asseconda un vizio. Per l’anima che lotta in segreto contro una tentazione gigantesca, tremando sull’orlo del precipizio, un esempio del genere è uno dei più potenti incentivi al peccato. Colui che, dotato di alte concezioni della vita, della verità e dell’onore, trasgredisce volontariamente un solo precetto della santa legge di Dio, ha pervertito i suoi nobili doni, e ne ha fatto un’esca per il peccato. Il genio, il talento, la simpatia, persino le azioni generose e gentili, possono diventare esche di Satana per attirare le anime sul precipizio della rovina. Ecco perché Dio ha dato così tanti esempi che mostrano i risultati anche di una sola azione sbagliata. Dalla triste storia di quell’unico peccato che “portò la morte nel mondo e tutti i nostri guai, con la perdita dell’Eden”, alla storia di colui che per trenta monete d’argento vendette il Signore della gloria, le biografie della Bibbia abbondano di questi esempi, posti come fari di avvertimento sulle strade che portano fuori dal sentiero della vita.

È un monito anche notare i risultati che hanno portato, anche solo una volta, a cedere alla debolezza e all’errore umano, frutto dell’abbandono della fede.

Per una sola mancanza di fede, Elia abbreviò il lavoro della sua vita. Pesante era il fardello che aveva portato in favore di Israele; fedeli erano stati i suoi avvertimenti contro l’idolatria nazionale; e profonda era la sua sollecitudine mentre, durante tre anni e mezzo di carestia, osservava e aspettava qualche segno di pentimento. Da solo, si è presentato a Dio sul Monte Carmelo.

Grazie alla forza della fede, l’idolatria fu abbattuta, e la pioggia benedetta testimoniò le piogge di benedizione che stavano per essere versate su Israele. Poi, nella sua stanchezza e debolezza, fuggì di fronte alle minacce di Izabel e, da solo, nel deserto, pregò per poter morire. La sua fede era venuta meno. L’opera che aveva iniziato non era stata completata. Disse di ungere un altro per essere profeta al suo posto. Ma Dio aveva tenuto conto del servizio reso dal suo servo con tutto il cuore. Elia non doveva perire nello scoraggiamento e nella solitudine nel deserto. Non scendere nel sepolcro, ma salire con gli angeli di Dio alla presenza della Sua gloria. Queste testimonianze di vita dichiarano ciò che ogni essere umano un giorno capirà: il peccato può portare solo vergogna e perdita; l’incredulità significa fallimento; ma la misericordia di Dio raggiunge gli abissi più profondi, e la fede innalza l’anima che si pente per ricevere in eredità l’adozione di figli di Dio.

La disciplina della sofferenza

Tutti coloro che in questo mondo rendono un vero servizio a Dio o al prossimo, ricevono una formazione preparatorio alla scuola del dolore. Quanto più consistente è la fede, più importante è il servizio, tanto più intensa è la prova, e più severa è la disciplina.

Studiate le esperienze di Giuseppe e di Mosè, di Daniele e di Davide. Confrontate la storia dei primi anni di Davide con quella di Salomone e considerate i risultati. Davide nella sua giovinezza fu intimamente legato a Saul, la sua permanenza a corte e il suo legame con la casa del re, gli diedero una visione delle preoccupazioni, dei dolori e delle perplessità celate dal luccichio e dallo sfarzo della regalità. Vide quanto poco vale la gloria umana ai fini della pace dello spirito. E fu con sollievo e gioia che tornò dalla corte del re agli ovili e alle greggi.

Quando la gelosia di Saul lo spinse a fuggire nel deserto, Davide, privato del sostegno umano, si appoggiò maggiormente a Dio. L’incertezza e l’inquietudine della vita nel deserto, il suo incessante pericolo, la necessità di fuggire frequentemente, il carattere degli uomini che si univano a lui, “tutti quelli che erano in difficoltà, che avevano debiti o che erano scontenti” {1 Samuele 22: 2}, tutto ciò lo indusse ad una severa autodisciplina. Queste esperienze suscitarono e svilupparono la capacità di relazionarsi con gli uomini, la simpatia per gli oppressi e l’odio per l’ingiustizia. Attraverso anni di attesa e di pericolo, Davide ha imparato a trovare in Dio il suo conforto, il suo sostegno, la sua vita. Imparò che solo grazie alla potenza di Dio poteva salire al trono; solo grazie alla Sua saggezza poteva governare. È stato attraverso la formazione alla scuola delle difficoltà e del dolore che Davide è stato in grado di testimoniare – anche se in seguito è stato macchiato dal suo grande peccato – che egli “pronunciando giudizi e amministrando la giustizia a tutto il suo popolo” {2 Samuele 8: 15}.

La disciplina cui fu sottoposto Davide in gioventù, mancava invece a Salomone. Nelle circostanze, nel carattere e nella vita, egli sembrava favorito rispetto a tutti gli altri. Nobile in gioventù, e in età adulta, amato dal suo Dio, Salomone si avviò verso un regno che prometteva prosperità e onore. Le nazioni si meravigliarono della conoscenza e dalla perspicacia di questo uomo a cui Dio aveva dato la saggezza. Ma l’orgoglio della prosperità lo portò alla separazione da Dio. Dalla gioia della comunione divina, Salomone si allontanò per trovare soddisfazione nei piaceri dei sensi. Di questa esperienza dice “Così feci grandi lavori: mi costruii case, mi piantai vigne, mi feci giardini e parchi, piantandovi alberi fruttiferi di ogni specie… comprai servi e serve… Ammassai per me anche argento, oro e le ricchezze dei re e delle province; mi procurai dei cantanti e delle cantanti, le delizie dei figli degli uomini e strumenti musicali di ogni genere. Così divenni grande e prosperai più di tutti quelli che erano stati prima di me in Gerusalemme… Tutto quello che i miei occhi desideravano, non l’ho negato loro; non ho rifiutato al mio cuore alcun piacere, perché il mio cuore si rallegrava di ogni mio lavoro… Poi mi volsi a considerare tutte le opere che le mie mani avevano fatto, e la fatica che avevo impiegato a compierle; ed ecco tutto era vanità e un cercare di afferrare il vento; non c’era alcun vantaggio sotto il sole. Allora mi volsi a considerare la sapienza, la follia e la stoltezza. «Che cosa farà l’uomo che succederà al re, se non ciò che è già stato fatto?»” {Ecclesiaste 2: 4-12}. “Perciò ho preso in odio la vita… Così ho odiato ogni fatica che ho compiuto sotto il sole” {Ecclesiaste 2: 17-18}.

Con la sua amara esperienza, Salomone riconobbe la vanità di una vita che cerca nelle cose terrene il suo massimo bene. Eresse altari agli dei pagani, solo per imparare quanto vana sia la loro promessa di riposo per l’anima. Nei suoi ultimi anni, stanco e assetato delle cisterne rotte terrene, Salomone tornò a bere alla fonte della vita.

La storia dei suoi anni perduti, con le loro lezioni di ammonimento, è stata raccontata da lui stesso, tramite lo Spirito, per le generazioni successive. E così, nonostante il suo cattivo esempio che condusse il popolo a raccogliere una grande messe di male, l’opera di Salomone non andò del tutto perduta. Per lui, alla fine, la disciplina della sofferenza compì il suo compito.

Ma con un’alba del genere, quanta gloriosa sarebbe stata la sua vita se Salomone, in gioventù, avesse imparato la lezione che la sofferenza aveva insegnato in altre vite!

La prova di Giobbe

“Or noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo proponimento” {Romani 8: 28}.

La biografia biblica ha una lezione ancora più profonda del ministero del dolore. “Voi siete miei testimoni, dice l’Eterno, e io sono Dio” {Isaia 43: 12}. Testimoni del fatto che Egli è buono, e che la bontà è suprema. “Siamo stati fatti un pubblico spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini” {1 Corinzi 4: 9}.

L’altruismo, il principio del regno di Dio, è il principio che Satana odia; ne nega l’esistenza stessa. Fin dall’inizio della grande controversia si è sforzato di definire i principi di azione di Dio come egoistici, e si comporta allo stesso modo con tutti coloro che servono Dio. Confutare la pretesa di Satana è l’opera di Cristo e di tutti coloro che portano il Suo nome. È per dare nella propria vita un’illustrazione dell’altruismo, che Gesù è venuto in forma umana. E tutti coloro che accettano questo principio devono essere operatori insieme a Lui nel dimostrarlo nella vita pratica. Scegliere il giusto perché è giusto; difendere la verità a costo di sofferenze e sacrifici: “«Questa è l’eredità dei servi dell’Eterno, e la loro giustizia viene da me», dice l’Eterno” {Isaia 54: 17}.

Molto presto nella storia del mondo è riportata la storia della vita di colui sul quale si è scatenata questa controversia di Satana. Di Giobbe, il patriarca di Uz, la testimonianza di Colui che legge i cuori era: “Sulla terra non c’è nessun altro come lui, che sia integro, retto, tema DIO e fugga il male»” {Giobbe 1: 8}.

Contro quest’uomo, Satana lanciò un’accusa sprezzante: “È forse per nulla che Giobbe teme DIO? 10 Non hai tu messo un riparo tutt’intorno a lui, alla sua casa e a tutto ciò che possiede?… Ma stendi la tua mano e tocca tutto ciò che possiede e vedrai se non ti maledice in faccia». 12 L’Eterno disse a Satana: «Ecco, tutto ciò che possiede è in tuo potere; non stendere però la mano sulla sua persona»” {Giobbe 1: 9-12}. Così facendo, Satana spazzò via tutto ciò che Giobbe possedeva: greggi e armenti, servi e schiavi, figli e figlie; “e colpì Giobbe di un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi alla sommità del capo” {Giobbe 2: 7}.

Un altro elemento di amarezza si aggiunse al suo calice. I suoi amici, vedendo nell’avversità solo il castigo del peccato, aggravavano il suo spirito afflitto e oppresso dalle accuse di aver commesso un’ingiustizia.

Apparentemente abbandonato dal Cielo e dalla terra, Giobbe pur conservando la sua fede in Dio e la sua integrità, nell’angoscia e nella perplessità gridò:

“Sono nauseato della mia vita” {Giobbe 10: 1}.

“Oh, volessi tu nascondermi nello Sceol, occultarmi finché la tua ira sia passata, fissarmi un termine e ricordarti di me!” {Giobbe 14: 13}.

“Ecco, io grido: «Violenza!», ma non ho alcuna risposta; grido per aiuto, ma non c’è giustizia!… Mi ha spogliato del mio onore e mi ha tolto dal capo la corona… I miei parenti mi hanno abbandonato e i miei intimi amici mi hanno dimenticato… e quelli che amavo si sono rivoltati contro di me… Pietà di me, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha colpito” {Giobbe 19: 7-21}.

“Oh, sapessi dove trovarlo, per poter arrivare fino al suo trono! {Giobbe 23: 3}. “Ecco, vado ad oriente, ma là non c’è; ad occidente, ma non lo scorgo; opera a settentrione, ma non lo vedo; si volge a mezzogiorno, ma non riesco a vederlo. 10 Ma egli conosce la strada che io prendo; se mi provasse, ne uscirei come l’oro” {Giobbe 23: 8-10}.

“Ecco, egli mi ucciderà, non ho più speranza; tuttavia difenderò in faccia a lui la mia condotta” {Giobbe 13: 15}.

“Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio. Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro. Il mio cuore si strugge dentro di me” {Giobbe 19: 25-27}.

A Giobbe fu fatto secondo la sua fede. Disse: “«Ma egli conosce la strada che io prendo; se mi provasse, ne uscirei come l’oro»” {Giobbe 23: 10}. E così avvenne. Con la sua paziente sopportazione rivendicò il proprio carattere e, di conseguenza, il carattere di Colui di cui era il rappresentante. E “l’Eterno lo ristabilì nel precedente stato; così l’Eterno rese a Giobbe il doppio di tutto ciò che aveva posseduto. Ora l’Eterno benedisse gli ultimi anni di Giobbe più dei primi” {Giobbe 42: 10, 12}.

Le testimonianze di coloro che attraverso l’abnegazione sono entrati nella comunione delle sofferenze di Cristo, si trovano – una nell’Antico Testamento e una nel Nuovo: Gionatan e Giovanni Battista. Gionatan, per nascita erede al trono, sapeva di essere messo da parte per decreto divino, fu il più tenero e fedele amico del suo rivale, Davide che protesse a rischio della propria vita; saldo al fianco del padre durante i giorni bui del declino del suo potere e vicino a lui fino all’ultimo.

Il nome di Gionatan è custodito in Cielo, e sulla Terra è testimone dell’esistenza e della forza dell’amore altruistico. Giovanni Battista, alla sua apparizione come messaggero del Messia, ha smosso la nazione. Di luogo in luogo, i suoi passi furono seguiti da grandi folle di persone di ogni rango e condizione. Ma quando arrivò Colui di cui aveva testimoniato, tutto cambiò. Le folle seguirono Gesù e l’opera di Giovanni sembrò chiudersi rapidamente. Eppure non vacillava la sua fede. Disse: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca” {Giovanni 3: 30}. Il tempo passò e il regno che Giovanni aveva atteso con fiducia non si stabilì. Nella prigione di Erode, tagliato fuori dall’aria vivificante e dalla libertà del deserto, aspettava e osservava. Non ci fu impiego di armi, né apertura delle porte della prigione, ma la guarigione dei malati, la predicazione del Vangelo, l’innalzamento delle anime degli uomini, testimoniavano la missione di Cristo.

Solo nella prigione, vedendo avvicinarsi la fine del suo cammino, come quello del suo Maestro, Giovanni accettò l’amicizia fiduciaria con Cristo nel sacrificio. I messaggeri del Cielo lo accompagnarono fino alla tomba. Le intelligenze dell’universo, decadute e non, hanno assistito alla sua rivendicazione del servizio disinteressato.

E in tutte le generazioni che si sono susseguite da allora, le anime sofferenti sono state sostenute dalla testimonianza della vita di Giovanni. Nelle prigioni, sul patibolo, tra le fiamme, uomini e donne sono stati rafforzati nei secoli di oscurità, dal ricordo di colui, di cui Cristo ha dichiarato: “tra i nati di donna non è sorto mai nessuno più grande” {Matteo 11: 11}. “E che dirò di più? Infatti mi mancherebbe il tempo se volessi raccontare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede vinsero regni, praticarono la giustizia, conseguirono le promesse, turarono le gole dei leoni, spensero la forza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trassero forza dalla debolezza, divennero forti in guerra, misero in fuga gli eserciti stranieri. Le donne riebbero per risurrezione i loro morti; altri invece furono distesi sulla ruota e martoriati, non accettando la liberazione, per ottenere una migliore risurrezione. Altri ancora subirono scherni e flagelli, e anche catene e prigionia. Furono lapidati, segati, tentati, morirono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, afflitti, maltrattati (il mondo non era degno di loro), erranti per deserti e monti, in spelonche e grotte della terra. Eppure tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza mediante la fede, non ottennero la promessa, perché Dio aveva provveduto per noi qualcosa di meglio, affinché essi non giungessero alla perfezione senza di noi” {Ebrei 11: 32-40}.

 

 

CAPITOLO 17 – POESIA E CANTO

“I Tuoi statuti sono stati i miei canti nella casa del mio pellegrinaggio”.

Le prime e le più sublimi espressioni poetiche che l’uomo conosca si trovano nelle Scritture. Prima ancora che poeti del mondo cantassero, il pastore di Madian registrò le parole di Dio a Giobbe, parole di maestosità ineguagliata, molto superiori alle più alte produzioni del genio umano:

“Dov’eri tu quando io gettavo le fondamenta della terra?… Chi racchiuse con porte il mare quando proruppe uscendo dal grembo materno, quando gli diedi le nubi per vestito e per fasce l’oscurità? Quando gli tracciai un limite e gli misi sbarre e porte, e dissi: «Tu arriverai fin qui, ma non oltre; qui si arresteranno le tue onde superbe!»? Da quando vivi hai mai comandato al mattino o insegnato all’aurora il suo posto… Sei forse giunto fino alle sorgenti del mare o sei mai andato in cerca delle profondità dell’abisso? Ti sono state mostrate le porte della morte, o hai forse visto le porte dell’ombra di morte? Hai tu fatto caso all’ampiezza della terra? Dillo, se sai tutto questo! Dov’è la via che guida alla dimora della luce? E le tenebre, dov’è il loro luogo… Sei mai entrato nei depositi della neve, o hai forse visto i depositi della grandine… Per quali vie si diffonde la luce o si propaga il vento orientale sulla terra? Chi ha aperto un canale per le straripanti acque e la via al tuono dei fulmini, per far piovere su una terra disabitata, su un deserto, dove non c’è alcun uomo, per dissetare le solitudini desolate, e far germogliare e crescere l’erba? La pioggia ha forse un padre? O chi genera le gocce della rugiada?” {Giobbe 38: 4-27}. “Puoi tu unire assieme i legami delle Pleiadi, o sciogliere le catene di Orione? Fai tu apparire le costellazioni a suo tempo, o guidare l’Orsa maggiore con i suoi piccoli?” {Giobbe 38: 31-32}.

Per la bellezza dell’espressione si legga anche la descrizione della primavera, dal Cantico dei Cantici:

“È finito l’inverno, sono terminate le piogge. Già spuntano i fiori nei campi, la stagione del canto ritorna. Si sente cantare la tortora. I fichi già danno i primi frutti, le viti sono in fiore e mandano il loro profumo. Andiamo, amica mia, mia bella, vieni” {Cantico dei Cantici 2: 11-13}.

E non inferiore per bellezza è la profezia involontaria di Balaam che, suo malgrado benedisse Israele:

“Allora Balaam pronunciò il suo oracolo e disse: «Balak, il re di Moab, mi ha fatto venire da Aram, dai monti d’Oriente: “Vieni, maledici per me Giacobbe, vieni, accusa Israele!”. Come posso maledire colui che Dio non ha maledetto? Come posso accusare colui che l’Eterno non ha accusato? Io lo vedo dalla cima delle rupi e lo contemplo dalle alture; ecco, è un popolo che dimora solo e non è annoverato fra le nazioni” {Numeri 23: 7-9}. “Ecco, ho ricevuto l’ordine di benedire; sì, egli ha benedetto e io non revocherò la benedizione. Egli non ha scorto iniquità in Giacobbe e non ha visto perversità in Israele. L’Eterno, il suo DIO, è con lui, e il grido di un re è tra di loro” {Numeri 23: 20-21}. “Non c’è sortilegio contro Giacobbe, non c’è divinazione contro Israele. Ora bisogna dire di Giacobbe e d’Israele che cosa Dio ha compiuto” {Numeri 23: 23}.

“Così dice colui che ode le parole di Dio, colui che mira la visione dell’Onnipotente… «Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele! Esse si estendono come valli, come giardini lungo un fiume, come aloe che l’Eterno ha piantati, come cedri vicini alle acque»” {Numeri 24: 4-6}.

“Così dice colui che ode le parole di Dio, che conosce la scienza dell’Altissimo… Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non vicino: una stella sorgerà da Giacobbe e uno scettro si alzerà da Israele… Da Giacobbe verrà un dominatore che sterminerà i superstiti delle città” {Numeri 24: 16-19}.

La melodia della lode è l’atmosfera del Cielo; e quando il Cielo entra in contatto con la Terra, c’è musica e canto, “ringraziamento e suono di canti” {Isaia 51: 3}. Sopra la nuova Terra creata, come giaceva, bella e intatta, sotto il sorriso di Dio… “quando le stelle del mattino cantavano tutte insieme e tutti i figli di DIO mandavano grida di gioia?” {Giobbe 38: 7}. Così i cuori umani, in simpatia con il Cielo, hanno risposto alla bontà di Dio con note di lode. Molti eventi della storia umana sono stati legati al canto. Il primo canto registrato nella Bibbia dalle labbra degli uomini fu quel glorioso inno di ringraziamento delle schiere di Israele presso il Mar Rosso:

“«Io canterò all’Eterno, perché si è grandemente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. L’Eterno è la mia forza e il mio cantico, ed è stato la mia salvezza. Questo è il mio Dio, io lo glorificherò; è il DIO di mio padre, io lo esalterò»” {Esodo 15: 1-2}.

“La tua destra, o Eterno, è mirabile nella sua potenza. La tua destra, o Eterno, frantuma i nemici” {Esodo 15: 6}. “Chi è pari a te fra gli dèi, o Eterno? Chi è pari a te, mirabile nella santità, maestoso nelle lodi, o operatore di prodigi?” {Esodo 15: 11}.

“L’Eterno regnerà per sempre, in perpetuo” {Esodo15: 18} “Cantate all’Eterno, perché si è grandemente esaltato” {Esodo 15: 21}.

Grandi sono state le benedizioni ricevute dagli uomini in risposta ai canti di lode. Le poche parole che raccontano l’esperienza del viaggio nel deserto di Israele hanno una lezione che merita la nostra riflessione:

“E di là andarono a Beer, che è il pozzo di cui l’Eterno aveva detto a Mosè: «Raduna il popolo e io gli darò dell’acqua». Allora Israele cantò questo cantico: «Sgorga, o pozzo! Cantate a lui! Il pozzo la cui acqua i principi hanno cercato e che i nobili del popolo hanno scavato alla parola del legislatore, coi loro bastoni»” {Numeri 21: 16-18}.

Quante volte si ripete questa storia nell’esperienza spirituale! Quanto spesso con le parole di un canto sacro hanno fatto sbocciare nell’anima come primavere, il pentimento e la fede, la speranza, l’amore e la gioia! Fu con canti di lode che gli eserciti d’Israele si avviarono alla grande liberazione sotto Giosafat. A Giosafat era giunta la notizia della guerra che sopraggiungeva. “Una grande moltitudine si è mossa contro di te” {2 Cronache 20: 2}, era il messaggio, “i figli di Moab, i figli di Ammon ed altri con loro” {2 Cronache 20: 1}. “Allora Giosafat ebbe paura e si dispose a cercare l’Eterno, e proclamò un digiuno per tutto Giuda. Così quei di Giuda si radunarono per cercare aiuto dall’Eterno, e da tutte le città di Giuda venivano a cercare l’Eterno” {2 Cronache 20: 3-4}. E Giosafat, in piedi nel cortile del tempio, davanti al suo popolo, aprì la sua anima in preghiera, implorando la promessa di Dio, e confessando l’impotenza di Israele. “«Poiché noi siamo senza forza davanti a questa grande moltitudine che viene contro di noi; non sappiamo cosa fare, ma i nostri occhi sono su di te»” {2 Cronache 20: 12}.

“Allora nel mezzo dell’assemblea lo Spirito dell’Eterno investì Jahaziel… un Levita dei figli di Asaf. E questi disse: «Ascoltate, voi tutti di Giuda, voi abitanti di Gerusalemme e tu, o re Giosafat! Così vi dice l’Eterno: «Non temete, non sgomentatevi a motivo di questa grande moltitudine, perché la battaglia non è vostra, ma di DIO… Non sarete voi a combattere in questa battaglia; prendete posizione, state fermi e vedrete la liberazione dell’Eterno… non temete e non sgomentatevi; domani uscite contro di loro, perché l’Eterno è con voi»»” {2 Cronache 20: 14-17}. “La mattina seguente si alzarono presto e partirono per il deserto di Tekoa” {2 Cronache 20: 20}.

Prima che l’esercito partisse, i cantori, alzando le loro voci, lodavano Dio per la vittoria promessa. Il quarto giorno successivo, l’esercito tornò a Gerusalemme, carico del bottino dei nemici, cantando le lodi per la vittoria ottenuta. Attraverso il canto, Davide, tra le vicissitudini della sua vita mutevole, si mantenne in comunione con il Cielo. Quanto sono dolci le sue esperienze di giovane pastore riflesse nelle parole:

“L’Eterno è il mio pastore, nulla mi mancherà. Egli mi fa giacere in pascoli di tenera erba, mi guida lungo acque riposanti… Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano” {Salmo 23: 1-4}.

In età adulta, da fuggiasco, trovando rifugio nelle rocce e nelle caverne della natura selvaggia, scriveva:

“O DIO, tu sei il mio DIO, io ti cerco al mattino; l’anima mia è assetata di te; a te anela la mia carne in terra arida e riarsa, senz’acqua” {Salmo 63: 1}. “Poiché tu sei stato il mio aiuto, io canto di gioia all’ombra delle tue ali” {Salmo 63: 7}.

“Perché ti abbatti, anima mia, perché gemi dentro di me? Spera in DIO, perché io lo celebrerò ancora; egli è la mia salvezza e il mio DIO” {Salmo 42: 11}.

“L’Eterno è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò? L’Eterno è la roccaforte della mia vita; di chi avrò paura?” {Salmo 27: 1}.

La stessa fiducia si respira nelle parole scritte quando, da re spodestato e senza corona, Davide fuggì da Gerusalemme in seguito alla ribellione di Absalom. Spossato dal dolore e dalla stanchezza della fuga, si era fermato con il suo seguito accanto al Giordano per qualche ora di riposo. Fu svegliato dall’invito alla fuga immediata. Nell’oscurità, il passaggio del fiume profondo ed impetuoso doveva essere fatto da tutta la compagnia di uomini, donne e bambini, per mettersi a riparo dalle forze del figlio traditore. In quell’ora di prova durissima, Davide cantò:

“Con la mia voce ho gridato all’Eterno, ed egli mi ha risposto dal suo monte santo. Io mi sono coricato e ho dormito; poi mi sono risvegliato, perché l’Eterno mi sostiene. Io non temerò miriadi di gente, che si accampassero tutt’intorno contro di me” {Salmo 3: 4-6}.

Dopo il suo grande peccato, nell’angoscia del rimorso e dell’autocondanna, si rivolgeva ancora a Dio come al suo migliore amico:

“Abbi pietà di me, o DIO, secondo la tua benignità; per la tua grande compassione cancella i miei misfatti” {Salmo 51: 1}. “Purificami con issopo, e sarò mondo; lavami, e sarò più bianco della neve” {Salmo 51: 7}.

Nella sua lunga vita, Davide non ha trovato sulla Terra nessun luogo di riposo. “Poiché noi siamo stranieri e pellegrini davanti a te come furono i nostri padri. I nostri giorni sulla terra sono come un’ombra e non c’è speranza” {1 Cronache 29: 15}.

“DIO è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nelle avversità. Perciò noi non temeremo, anche se la terra si dovesse spostare e se i monti fossero gettati nel mezzo del mare” {Salmo 46: 1-2}.

“C’è un fiume i cui rivi rallegrano la città di DIO, il luogo santo dove dimora l’Altissimo. DIO è nel mezzo di lei, essa non sarà smossa; DIO la soccorrerà alle prime luci del mattino” {Salmo 46: 4-5}. “L’Eterno degli eserciti è con noi; il DIO di Giacobbe è il nostro rifugio” {Salmo 46: 7}.

“Poiché questo DIO è il nostro DIO in eterno, sempre; egli sarà la nostra guida fino alla morte” {Salmo 48: 14}.

Nella Sua vita terrena, anche Gesù affrontò la tentazione con un canto. Spesso quando venivano pronunciate parole taglienti e pungenti, quando era circondato da un’atmosfera di insoddisfazione, sfiducia o di paura opprimente, si sentiva il Suo canto di fede e di santa allegria. In quell’ultima, triste notte della cena pasquale, mentre stava incamminarsi verso il tradimento e la morte, la Sua voce intonò il salmo:

“Sia benedetto il nome dell’Eterno ora e sempre. Dal sorgere del sole fino al suo tramonto sia lodato il nome dell’Eterno” {Salmo 113: 2-3}.

“Io amo l’Eterno, perché egli ha dato ascolto alla mia voce e alle mie suppliche. Poiché ha teso verso di me il suo orecchio, io lo invocherò tutti i giorni della mia vita. I legami della morte mi avevano circondato e le angosce dello Sceol mi avevano colto; sventura e dolore mi avevano sopraffatto. Allora invocai il nome dell’Eterno: «O Eterno, ti supplico, salvami». L’Eterno è pietoso e giusto, il nostro DIO è misericordioso. L’Eterno protegge i semplici; io ero ridotto in misero stato, ed egli mi ha salvato. Ritorna, anima mia, al tuo riposo, perché l’Eterno ti ha colmata di beni. Sì, perché tu hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime e i miei piedi da cadute” {Salmo 116: 1-8}.

Tra le ombre sempre più profonde dell’ultima grande crisi della Terra, la luce di Dio risplenderà più luminosa e il canto della speranza e della fiducia di Dio risuonerà con toni più chiari e più elevati:

“In quel giorno si canterà questo cantico nel paese di Giuda: «Noi abbiamo una città forte; Dio vi ha posto la salvezza per mura e per bastioni. Aprite le porte ed entri la nazione giusta, che mantiene la fedeltà». Alla mente che riposa in te tu conservi una pace perfetta, perché confida in te. Confidate nell’Eterno per sempre, perché l’Eterno, sì l’Eterno, è la roccia eterna” {Isaia 26: 1-4}.

“I riscattati dall’Eterno torneranno, verranno a Sion con grida di gioia e un’allegrezza eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia, e il dolore e il gemito fuggiranno” {Isaia 35: 10}.

“Essi verranno e canteranno di gioia sulle alture di Sion e affluiranno verso i beni dell’Eterno… a loro vita sarà come un giardino annaffiato e non languiranno più” {Geremia 31: 12}.

Il potere del canto

La storia dei canti della Bibbia è piena di suggerimenti sugli usi e i benefici della musica e del canto. La musica viene spesso pervertita per servire scopi malvagi, e diventa così una delle più allettanti tentazioni. Ma, se usata correttamente, è un prezioso dono di Dio, destinato ad elevare i pensieri verso temi alti e nobili, ad ispirare ed elevare l’anima.

Come i figli di Israele, in viaggio nel deserto, allietavano il loro cammino con la musica del canto sacro, così Dio chiede ai Suoi figli oggi, di allietare la loro vita di pellegrini. Ci sono pochi mezzi più efficaci per fissare le Sue parole nella memoria che ripeterle in un canto. E questo canto ha un potere meraviglioso. Ha il potere di addolcire nature rudi e senza cultura; ha il potere di stimolare il pensiero e risvegliare la simpatia, di promuovere l’armonia dell’azione e di scacciare la cupezza e il presentimento che distruggono il coraggio e indeboliscono lo sforzo. È uno dei mezzi più efficaci per impressionare il cuore con la verità spirituale. Quante volte all’anima duramente provata e disperata, la memoria ricorda qualche parola di Dio, il peso di una canzone d’infanzia, e le tentazioni perdono il loro potere, la vita assume un nuovo significato e un nuovo scopo, e il coraggio e l’allegria vengono impartite ad altre anime!

Il valore del canto come mezzo di educazione non dovrebbe mai essere perso di vista. Se si cantano in casa canti dolci e puri, ci saranno meno parole di biasimo e più parole di allegria, speranza e gioia.

Se si canta a scuola, gli alunni saranno condotti più vicino a Dio, ai loro insegnanti e gli uni verso gli altri.

Come parte del servizio religioso, il canto è un atto di culto tanto quanto la preghiera. Anzi, molti canti sono preghiere. Se si insegna al bambino a rendersi conto di questo, penserà di più al significato delle parole e sarà più suscettibile al loro potere.

Mentre il nostro Redentore ci conduce alle soglie dell’infinito, ripieni dalla gloria di Dio, noi potremo cogliere i temi di lode e di ringraziamento dal coro celeste intorno al trono; e mentre l’eco del canto degli angeli si risveglia nelle nostre case terrene, i cuori si avvicineranno ai cantori celesti. La comunione del Cielo inizia sulla Terra. Impariamo qui la nota dominante delle Sue lodi.

 

 

CAPITOLO 18 – I MISTERI DELLA BIBBIA

“Puoi tu, cercando, scoprire Dio?”

Nessuna mente finita può comprendere appieno il carattere o le opere dell’Infinito. Non possiamo scoprire Dio con le nostre ricerche. Per le menti più forti e colte, così come per quelle più deboli e ignoranti, quell’Essere santo deve rimanere avvolto nel mistero. “Nuvole e tenebre lo avvolgono; giustizia e diritto sono a base del suo trono” {Salmo 97: 2}. Noi possiamo comprendere il Suo modo di trattare con noi fino a scorgere una sconfinata misericordia unita ad una potenza infinita. Possiamo capire i Suoi propositi solo per quanto la nostra capacità ci permette; al di là di questo, possiamo fidarci della Sua mano onnipotente e del Suo cuore pieno d’amore.

La Parola di Dio, come il carattere del Suo Autore, presenta misteri che non potranno mai essere pienamente compresi da esseri finiti. Ma Dio ha dato nelle Scritture prove sufficienti della loro autorità divina. La Sua stessa esistenza, il Suo carattere, la veridicità della Sua parola, sono stabiliti da testimonianze che fanno appello alla nostra ragione; e queste testimonianze abbondano.

Certamente, Egli non ha eliminato la possibilità di dubitare; la fede deve poggiare sull’evidenza, non sulla dimostrazione; chi vuole dubitare ne ha l’occasione; ma chi desidera conoscere la verità trova un ampio terreno per la fede. Non abbiamo motivo di dubitare della parola di Dio perché non possiamo comprendere i misteri della Sua provvidenza. Nel mondo naturale siamo costantemente circondati da meraviglie che vanno oltre la nostra comprensione. Dovremmo quindi essere sorpresi di trovare anche nel mondo spirituale misteri che non riusciamo a comprendere? La difficoltà risiede unicamente nella debolezza e nella ristrettezza della mente umana.

I misteri della Bibbia, lungi dall’essere un’argomentazione contro di essa, sono tra le più forti prove della Sua ispirazione divina. Se Essa non contenesse altro che un racconto di Dio che possiamo comprendere, se la Sua grandezza e la Sua maestosità potessero essere afferrate da menti finite, allora la Bibbia non avrebbe, come ora, le prove inconfondibili della Sua ispirazione divina. La grandezza dei Suoi temi dovrebbe ispirare la fede in Essa come Parola di Dio. La Bibbia rivela la verità con una semplicità e un adattamento ai bisogni e agli aneliti del cuore umano che hanno stupito e affascinato le menti più colte, ma anche quelle più semplici. “Anche gli insensati non potranno smarrirvisi” {Isaia 35: 8}. Nessun bambino deve sbagliare il cammino. Nessun cercatore tremante deve fallire nel camminare nella luce pura e santa della Parola di Dio. Tuttavia, le verità più semplici si riferiscono a temi elevati, di vasta portata, infinitamente al di là del potere della comprensione umana, misteri che nascondono la Sua gloria, che sovrastano la mente nella sua ricerca, mentre ispirano riverenza e fede al sincero ricercatore della verità.

Più si cerca nella Bibbia, più si rafforza la convinzione che Essa sia la Parola del Dio vivente, e la ragione umana si inchina di fronte alla maestà della rivelazione divina. Dio desidera per il ricercatore sincero che, le verità della Sua Parola, si dispieghino continuamente. Mentre “le cose segrete appartengono al Signore nostro Dio”, “le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli” {Deuteronomio 29: 29}. L’idea che alcune parti della Bibbia non possano essere comprese ha portato a trascurare alcune delle Sue verità più importanti. Occorre sottolineare e ripetere spesso che i misteri della Bibbia non sono tali perché Dio ha cercato di nascondere la verità, ma perché la nostra stessa debolezza o ignoranza ci rende incapaci di comprendere o appropriarci della verità.

La limitazione non è nel Suo proposito, ma nella nostra capacità. Da quelle stesse porzioni della Scrittura che spesso vengono ignorate come impossibili da essere comprese, Dio desidera che noi comprendiamo quanto la nostra mente è in grado di ricevere. “Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera” {2 Timoteo 3: 16-17}.

È impossibile per qualsiasi mente umana esaurire anche una sola verità o promessa della Bibbia. Uno coglie la gloria da un punto di vista, un altro da un altro punto; eppure possiamo scorgere solo dei bagliori. Il pieno splendore è al di là della nostra visione.

Quando contempliamo le grandi cose della Parola di Dio, la sua larghezza e la sua profondità sorpassano la nostra conoscenza a tal punto che questa visione si dilata davanti a noi e ci pare di vedere un oceano sconfinato e senza rive. Questo studio ha un potere vivificante. La mente e il cuore acquistano nuova forza, nuova vita. Questa esperienza è la prova più evidente della divina autorità della Bibbia. Riceviamo la Parola di Dio come cibo per l’anima, proprio come riceviamo il pane come cibo per il corpo.

Il pane soddisfa i bisogni della nostra natura; sappiamo per esperienza che serve di nutrimento al sangue, alle ossa e al cervello. Applichiamo lo stesso criterio alla Bibbia. Quando i Suoi principi diventano elementi integranti del carattere, che cosa accade? Quali cambiamenti si manifestano nella vita? “Le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove” {2 Corinzi 5: 17}. In virtù del Suo potere, uomini e donne hanno spezzato le catene dell’abitudine peccaminosa. Hanno rinunciato all’egoismo. I profani sono diventati riverenti, gli ubriachi sobri, i dissoluti puri. Le anime che portavano le sembianze di Satana sono state trasformate ad immagine di Dio. Questo cambiamento è di per sé il miracolo dei miracoli. Il cambiamento operato dalla Parola, è uno dei Suoi più profondi misteri. Non possiamo comprenderlo; possiamo solo credere, come dichiarato dalle Scritture, che “Cristo è in voi, speranza di gloria” {Colossesi 1: 27}.

La conoscenza di questo mistero fornisce una chiave per tutti gli altri. Esso apre all’anima i tesori dell’Universo, le possibilità di sviluppo infinito. E questo sviluppo si ottiene attraverso la rivelazione incessante del carattere di Dio, gloria e mistero della Parola scritta. Se fosse possibile raggiungere una piena comprensione di Dio e della Sua Parola, non ci sarebbe più alcuna scoperta della verità, nessuna conoscenza maggiore, nessun ulteriore sviluppo. Dio cesserebbe di essere supremo e l’uomo cesserebbe di progredire. Grazie a Dio, non è così. Poiché Dio è infinito e in Lui si trovano tutti i tesori della saggezza, potremo per l’eternità essere sempre alla ricerca, eppure mai esaurire le ricchezze della Sua saggezza, della Sua bontà o della Sua potenza.

 

 

CAPITOLO 19 – STORIA E PROFEZIA

“Chi ha dichiarato questo fin dall’antichità…?

Non sono forse Io il Signore? E non c’è altro Dio”.

La Bibbia è la storia più antica e più completa che gli uomini possiedono. È nata dalla fonte della verità eterna, e nel corso dei secoli una mano divina ne ha preservato la purezza. Essa illumina il passato più remoto, dove la ricerca umana cerca invano di penetrare. Solo nella Parola di Dio vediamo la potenza che ha posto le fondamenta della Terra e che ha disteso i Cieli. Solo qui troviamo un resoconto autentico dell’origine dei popoli. Solo qui è tracciata la storia del genere umano non macchiata dall’orgoglio o dal pregiudizio umano.

Negli annali della storia umana, la crescita delle nazioni, l’ascesa e la caduta degli imperi, appaiono come dipendenti dalla volontà e dall’abilità dell’uomo.

La formazione degli eventi sembra essere determinata, in larga misura, dal suo potere, dalla sua ambizione o dal suo capriccio. Ma nella Parola di Dio il sipario si apre e vediamo, dietro, al di sopra e attraverso tutti i giochi e i contrappunti degli interessi umani, del potere e delle passioni umane, gli agenti di Colui che è Onnipotente, operano silenziosamente, pazientemente per l’attuazione dei propositi della Sua volontà. La Bibbia rivela la vera filosofia della storia. In quelle parole di ineguagliabile bellezza e tenerezza pronunciate dall’apostolo Paolo ai saggi di Atene è esposto lo scopo di Dio nella creazione e nella distribuzione delle razze e delle nazioni: “or egli ha tratto da uno solo tutte le stirpi degli uomini, perché abitassero sopra tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche prestabilite e i confini della loro abitazione, affinché cercassero il Signore, se mai riuscissero a trovarlo” {Atti 17: 26-27}. Dio dichiara che chiunque voglia può entrare “nei vincoli del patto” {Ezechiele 20: 37}. Nella Creazione era Suo proposito che la Terra fosse abitata da esseri la cui esistenza fosse una benedizione per sé stessi e per gli altri, e un onore per il loro Creatore. Tutti coloro che lo desiderano possono identificarsi con questo scopo. Di loro è stato detto: “Il popolo che mi sono formato proclamerà le mie lodi” {Isaia 43: 21}.

Dio ha rivelato nella Sua legge i principi che sono alla base di ogni vera prosperità, sia delle nazioni che degli individui. “Questa sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza” {Deuteronomio 4: 6}, dichiarò Mosè agli israeliti a proposito della legge di Dio. “Poiché questa non è una parola senza valore per voi, ma è la vostra vita” {Deuteronomio 32: 47}. Le benedizioni così assicurate ad Israele sono, alle stesse condizioni e nella stessa misura, assicurate ad ogni nazione e ad ogni individuo sotto i Cieli. Il potere esercitato da ogni governante sulla Terra è impartito dal Cielo; e dall’uso che egli fa del potere così conferito dipende il suo successo. A ciascuno la parola del Guardiano divino è: “Ti ho cinto, anche se non mi conoscevi” {Isaia 45: 5}. E per ognuno le parole pronunciate a Nabucodonosor sono una lezione di vita: “poni fine ai tuoi peccati praticando la giustizia e alle tue iniquità usando misericordia verso i poveri; forse la tua prosperità sarà prolungata” {Daniele 4: 27}.

Per comprendere queste cose, per capire che “la giustizia innalza una nazione” {Proverbi 14: 34}; che “il trono è reso stabile con la giustizia” {Proverbi 16: 12}, e “egli rende stabile il suo trono con la bontà” {Proverbi 20: 28}; bisogna riconoscere l’attuazione di questi principi nella manifestazione della Sua potenza, che “depone i re e li innalza” {Daniele 2: 21}, questo significa comprendere la filosofia della storia. Solo nella Parola di Dio ciò è chiaramente esposto. Qui viene mostrato che la forza delle nazioni, così come quella degli individui, non si trova nelle opportunità o nelle capacità che sembrano renderle invincibili; non si trova nella loro ostentata grandezza. Si misura dalla fedeltà con cui realizza il proposito di Dio.

Un’illustrazione di questa verità si trova nella storia dell’antica Babilonia. Per il re Nabucodonosor il vero emblema del governo nazionale era rappresentato dalla figura di un grande albero, “la sua cima giungeva al cielo e si poteva vedere dalle estremità di tutta la terra. Il suo fogliame era bello, il suo frutto abbondante e in esso c’era cibo per tutti; sotto di esso trovavano ombra le bestie dei campi, gli uccelli del cielo dimoravano fra i suoi rami” {Daniele 4: 11-12}.

Questa rappresentazione mostra il carattere di un governo che realizza lo scopo di Dio, un governo che protegge e costruisce la nazione. Dio ha esaltato Babilonia affinché potesse adempiere a questo scopo. La prosperità accompagnò la nazione fino a raggiungere un livello di ricchezza e potere che da allora non è mai stato eguagliato, ben rappresentato nelle Scritture dal simbolo ispirato, di una “testa d’oro” {Daniele 2: 38}. Ma il re non riuscì a riconoscere il potere che lo aveva esaltato. Nabucodonosor, nell’orgoglio del suo cuore, disse: “«Non è questa la grande Babilonia, che io ho costruito come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?»” {Daniele 4: 30}.

Invece di essere una protettrice degli uomini, Babilonia divenne una fiera e crudele tirannia. Le parole dell’Ispirazione che descrivono la crudeltà e l’avidità dei governanti d’Israele rivelano il segreto della caduta di Babilonia e di molti altri regni dall’inizio del mondo: “Voi mangiate il grasso, vi vestite di lana, ammazzate le pecore grasse, ma non pascete il gregge. Non avete fortificato le pecore deboli, non avete curato la malata, non avete fasciato quella ferita, non avete riportato a casa la smarrita e non avete cercato la perduta, ma avete dominato su loro con forza e durezza” {Ezechiele 34: 3-4}. Al sovrano di Babilonia giunse la sentenza dell’Osservatore divino: “«A te, o re Nebukadnetsar, si dichiara: il tuo regno ti è tolto” {Daniele 4: 31}.

“«Scendi e siediti nella polvere, o vergine figlia di Babilonia. Siediti in terra, senza trono…” {Isaia 47: 1} «Siedi in silenzio e va’ nelle tenebre, o figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata la signora dei regni” {Isaia 47: 5}.

“O tu che abiti presso grandi acque, ricca di tesori, la tua fine è giunta, il termine dei tuoi ingiusti guadagni” {Geremia 51: 13}.

“Così Babilonia, lo splendore dei regni, la gloria dell’orgoglio dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra quando DIO le sovvertì” {Isaia 13: 19}.

“«Ne farò il dominio del porcospino e paludi di acqua; la spazzerò con la scopa della distruzione”, dice l’Eterno degli eserciti»” {Isaia 14: 23}.

Ogni nazione che è entrata in azione è stata autorizzata ad occupare il suo posto sulla Terra, perché avesse modo di far vedere se poteva adempiere il proposito dell'”Osservatore e del Santo”. La profezia ha tracciato l’ascesa e la caduta dei grandi imperi del mondo: Babilonia, Medo-Persia, Grecia e Roma. Con ognuno di questi, come per le nazioni di minore potenza, la storia si è ripetuta. Ognuno di essi ha avuto il suo periodo di prova, ognuno ha fallito, la sua gloria è svanita, il suo potere se n’è andato, e il suo posto è stato occupato da un altro.

Mentre le nazioni rifiutavano i principi di Dio, e con questo rifiuto causavano la loro stessa rovina, era comunque evidente che il proposito divino e dominante era all’opera in tutti i loro movimenti.

Questa lezione è insegnata da una meravigliosa rappresentazione simbolica del profeta Ezechiele durante il suo esilio nella terra dei Caldei. La visione è stata data in un momento in cui Ezechiele era oppresso da ricordi dolorosi e da preoccupanti presentimenti. La terra dei suoi padri era desolata. Gerusalemme era spopolata. Il profeta stesso era uno straniero in una terra dove l’ambizione e la crudeltà regnavano sovrane. Mentre da ogni parte vedeva la tirannia e il male, la sua anima era angosciata e piangeva giorno e notte. Ma i simboli che gli venivano presentati gli rivelavano un potere superiore a quello dei governanti terreni. Sulle rive del fiume Chebar, Ezechiele vide un vortice che sembrava provenire dal nord, “una grossa nuvola con un fuoco che si avvolgeva su se stesso; intorno ad esso e dal mezzo di esso emanava un grande splendore come il colore di bronzo incandescente in mezzo al fuoco” {Ezechiele 1: 4}. Un certo numero di ruote, che si intersecavano l’una con l’altra, erano mosse da quattro esseri viventi. Al di sopra di tutti questi “c’era la sembianza di un trono che sembrava come una pietra di zaffiro, e su questa specie di trono, in alto su di esso, stava una figura dalle sembianze di uomo” {Ezechiele 1: 26}. “Ora i cherubini sembravano avere la forma di una mano d’uomo sotto alle ali” {Ezechiele 10: 8}.

Le ruote erano disposte in modo così complicato che a prima vista sembravano confuse, ma si muovevano in perfetta armonia.

Gli esseri celesti, sostenuti e guidati dalla mano sotto le ali, spingevano queste ruote; sopra di esse, sul trono di zaffiro, c’era l’Eterno; e intorno al trono un arcobaleno, emblema della misericordia divina.

Come questo complicato ingranaggio era sotto la guida della mano sotto le ali dei cherubini, così il complicato corso degli eventi umani è sotto il controllo divino. In mezzo alle lotte e ai tumulti delle nazioni, Colui che siede sopra i cherubini guida ancora gli affari della Terra. La storia delle nazioni che, una dopo l’altra, hanno occupato il loro tempo e il luogo a loro assegnati, testimonia inconsapevolmente che ad ogni nazione e a ogni individuo, Dio ha assegnato un posto nel Suo grande piano. Oggi, gli uomini e le nazioni vengono misurati dalla mano di Colui che non commette errori. Tutti decidono il loro destino, e Dio dirige tutto per il compimento dei Suoi scopi. La storia che il grande IO SONO ha tracciato nella Sua Parola, unendo anello dopo anello nella catena profetica, dall’eternità nel passato all’eternità nel futuro, ci dice a che punto siamo oggi nel susseguirsi delle epoche e cosa ci si può aspettare nel tempo a venire. Tutto ciò che la profezia ha predetto che si sarebbe verificato, fino al momento attuale, è stato tracciato sulle pagine della storia e possiamo essere certi che tutto ciò che deve ancora venire si compirà nel suo ordine.

Il rovesciamento finale di tutti i domini terreni è chiaramente preannunciato nella Parola della verità. Nella profezia proclamata quando la sentenza di Dio fu pronunciata sull’ultimo re d’Israele è riportato il messaggio:

“così dice il Signore, l’Eterno: «Deponi il turbante, togliti la corona; le cose non saranno più le stesse: ciò che è basso sarà innalzato e ciò che è alto sarà abbassato. Devastazione, devastazione, devastazione, io la compirò. Ed essa non sarà più restaurata, finché non verrà colui a cui appartiene il giudizio e al quale io la darò” {Ezechiele 21: 31-32}.

La corona tolta ad Israele passò successivamente al regno di Babilonia, Medo-Persia, Grecia e Roma. Dio dice: “Non sarà più, finché non venga Colui che ne ha il diritto; e io glielo darò”. Quel tempo è vicino. Oggi i segni dei tempi dichiarano che siamo sulla soglia di grandi e solenni eventi. Ogni cosa nel nostro mondo è in agitazione. Davanti ai nostri occhi si sta realizzando la profezia del Salvatore sugli eventi che precederanno la Sua venuta: “Allora sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre… Infatti si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie, pestilenze e terremoti in vari luoghi” {Matteo 24: 6-7}.

Il presente è un momento di grande interesse per tutti i viventi. Governanti e statisti, uomini che occupano posizioni di fiducia e di autorità, uomini e donne pensanti di tutte le classi, hanno l’attenzione rivolta agli eventi che si svolgono intorno a noi. Osservano le relazioni tese e inquiete che esistono tra le nazioni. Osservano l’intensità che si sta impossessando di ogni elemento terreno,

e riconoscono che sta per accadere qualcosa di grande e decisivo, che il mondo è sull’orlo di una crisi epocale. Gli angeli stanno ora frenando i venti di discordia, affinché non soffino finché il mondo non sarà avvertito del suo imminente destino. Ma la tempesta si prepara, pronta ad abbattersi sulla Terra; e quando Dio ordinerà ai Suoi angeli di sciogliere i venti, si verificherà una tale scena di lotta che nessuna penna può immaginare. La Bibbia, e solo la Bibbia, fornisce una visione corretta di queste cose. Qui vengono rivelate le grandi scene finali della storia del nostro mondo, eventi che stanno già proiettando le loro ombre davanti a noi, il cui suono del loro avvicinarsi fa tremare la Terra e il cuore di uomini per la paura. “Ecco, l’Eterno vuota la terra e la rende deserta, ne sconvolge la faccia e ne disperde gli abitanti” {Isaia 24: 1}. “Perché essi hanno trasgredito le leggi, hanno cambiato lo statuto, hanno infranto il patto eterno. Perciò una maledizione ha divorato la terra e i suoi abitanti sono desolati” {Isaia 24: 5-6}. “L’allegria dei tamburelli è cessata, il chiasso dei gaudenti è finito, la gioia dell’arpa è cessata” {Isaia 24: 8}.

“Ahimè, per quel giorno! Poiché il giorno dell’Eterno è vicino; sì, verrà come una devastazione dall’Onnipotente” {Gioele 1: 15}. “I semi inaridiscono sotto le zolle, i magazzini sono ridotti a una desolazione, i granai cadono in rovina, perché il grano è seccato. Come geme il bestiame! Le mandrie di bovini si aggirano senza meta, perché non c’è pascolo per loro; soffrono persino le greggi di pecore” {Gioele 1: 17-18}. “La vite è seccata, il fico è inaridito, il melograno, la palma, il melo e tutti gli alberi della campagna sono seccati; la gioia è venuta meno tra i figli degli uomini” {Gioele 1: 12}.

“Le mie viscere, le mie viscere! Mi contorco dal dolore. Oh, le pareti del mio cuore! Il mio cuore batte forte dentro di me. Io non posso tacere, perché, o anima mia, ho udito il suono della tromba, il grido di guerra. Si annunzia rovina sopra rovina, perché tutto il paese è devastato” {Geremia 4: 19-20}. “Guardai la terra, ed ecco era senza forma e vuota; i cieli, ed erano senza luce. Guardai i monti, ed ecco tremavano, e tutti i colli ondeggiavano. Guardai, ed ecco non c’era uomo e tutti gli uccelli del cielo erano fuggiti. Guardai, ed ecco la terra fertile era un deserto, e tutte le sue città erano crollate” {Geremia 4: 23-26}.

“Ahimè, perché quel giorno è grande; non ve ne fu mai alcuno simile; sarà un tempo di angoscia per Giacobbe, ma egli ne sarà salvato” {Geremia 30: 7}. “Va’, o popolo mio, entra nelle tue camere, chiudi le tue porte dietro a te; nasconditi per un istante, finché sia passata l’indignazione” {Isaia 26: 20}.

“Poiché tu hai detto: «O Eterno, tu sei il mio rifugio», e hai fatto dell’Altissimo il tuo riparo, non ti accadrà alcun male, né piaga alcuna si accosterà alla tua tenda” {Salmo 91: 9-10}.

“Il DIO onnipotente, l’Eterno ha parlato e ha convocato la terra da oriente a occidente. Da Sion, la perfezione della bellezza, DIO risplende. Il nostro DIO verrà e non se ne starà in silenzio; lo precederà un fuoco divorante, e intorno a lui ci sarà una grande tempesta. Egli convocherà i cieli di sopra e la terra, per giudicare il suo popolo, e dirà: «Radunatemi i miei santi, che hanno fatto con me un patto mediante il sacrificio». E i cieli proclameranno la sua giustizia, perché è DIO stesso il giudice” {Salmo 50: 1-6}.

“O figlia di Sion… Là tu sarai liberata, là l’Eterno ti riscatterà dalla mano dei tuoi nemici. Ora si sono radunate contro di te molte nazioni che dicono: «Sia profanata e i nostri occhi riguardino con piacere sopra Sion». Ma esse non conoscono i pensieri dell’Eterno, non intendono il suo disegno” {Michea 4: 10-12}.

“Perché ti chiamano ‘la scacciata’, dicendo: «Questa è Sion di cui nessuno si prende cura». Così dice l’Eterno: «Ecco, io farò ritornare dalla cattività le tende di Giacobbe e avrò pietà delle sue dimore»” {Geremia 30: 17-18}.

“In quel giorno si dirà: «Ecco, questo è il nostro DIO: in lui abbiamo sperato ed egli ci salverà. Questo è l’Eterno in cui abbiamo sperato; esultiamo e rallegriamoci nella sua salvezza!» {Isaia 25: 9}. “Distruggerà per sempre la morte… toglierà via da tutta la terra il vituperio del suo popolo, perché l’Eterno ha parlato” {Isaia 25: 8}.

“Contempla Sion, la città delle nostre solennità! I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, dimora tranquilla, tenda che non sarà più rimossa” {Isaia 33: 20} “Poiché l’Eterno è il nostro giudice, l’Eterno è il nostro legislatore, l’Eterno è il nostro re” {Isaia 33: 22}.

“Ma giudicherà i poveri con giustizia e farà decisioni eque per gli umili del paese” {Isaia 11: 4}.

Allora il proposito di Dio si realizzerà; i principi del Suo regno saranno onorati da tutti i popoli sotto il sole.

“Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, né di devastazione e di rovina entro i tuoi confini; ma chiamerai le tue mura ‘Salvezza’ e le tue porte ‘Lode’” {Isaia 60: 18}.

“Tu sarai stabilita fermamente nella giustizia; sarai lontana dall’oppressione, perché non dovrai più temere, e dal terrore, perché non si avvicinerà più a te” {Isaia 54: 14}.

I profeti a cui furono rivelate queste grandi scene desideravano comprenderne l’importanza. Essi “ricercarono e investigarono… cercando di conoscere il tempo e le circostanze che erano indicate dallo Spirito di Cristo che era in loro… A loro fu rivelato che, non per se stessi ma per noi, amministravano quelle cose che ora vi sono state annunziate… nelle quali gli angeli desiderano riguardare addentro” {1 Pietro 1: 10-12}.

Per noi che ci troviamo sull’orlo del loro compimento, quale profondo momento, quale vivo interesse, sono queste delineazioni degli eventi per i quali, da quando i nostri progenitori lasciarono l’Eden, i figli di Dio hanno guardato e aspettato, desiderato e pregato! In questo momento, prima della grande crisi finale, come prima della prima distruzione del mondo mediante il diluvio, gli uomini sono assorbiti dai piaceri e dalle ricerche dei sensi. Impegnati in ciò che è visibile e transitorio, hanno perso di vista ciò che è invisibile ed eterno. Per le cose che periscono, stanno sacrificando le ricchezze eterne. Le loro menti devono essere sollevate, deve essere ampliata la loro visione di vita. Hanno bisogno di essere svegliati dalla letargia dei sogni mondani.

Dall’ascesa e dal declino delle nazioni, così come sono state rese evidenti nelle pagine della Sacra Scrittura, hanno bisogno di imparare quanto sia inutile la mera gloria esteriore e mondana. Babilonia, con tutto il suo potere e la sua magnificenza, qualcosa che il nostro mondo non ha mai visto, che alla gente di quel tempo sembrava così stabile e duraturo, ora è completamente scomparsa! Come “il fiore dell’erba”, è morto, così perisce tutto ciò che non ha Dio come fondamento. Solo ciò che è legato al Suo scopo e che esprime il Suo carattere può durare. I Suoi principi sono le uniche cose salde che il nostro mondo conosce.

Sono queste le grandi verità che vecchi e giovani devono imparare. Dobbiamo studiare l’attuazione del proposito di Dio nella storia delle nazioni e nella rivelazione delle cose future, in modo da poter valutare il vero valore delle cose viste e di quelle invisibili; per imparare a conoscere che cosa sia il vero scopo della vita, affinché, guardando le cose del tempo alla luce dell’eternità, possiamo farne l’uso più vero e più nobile. Così, imparando qui i principi del Suo regno, diventando sudditi e cittadini, possiamo essere preparati alla Sua venuta, a prenderne possesso.

Il giorno è vicino. Per le lezioni da imparare, il lavoro da fare, la trasformazione del carattere da compiere, il tempo che ci rimane è troppo breve.

Ecco, quelli della casa d’Israele dicono: “La visione che costui vede riguarda molti giorni nel futuro, ed egli profetizza per tempi lontani”. Perciò di’ loro: Così dice il Signore, l’Eterno: Nessuna delle mie parole sarà più rinviata, ma la parola che pronuncerò sarà mandata a compimento», dice il Signore, l’Eterno” {Ezechiele 12: 27-28}.

 

 

CAPITOLO 20 – INSEGNAMENTO E STUDIO DELLA BIBBIA

“Tendi l’orecchio alla saggezza… cercala come un tesoro nascosto.”

Durante l’infanzia, la giovinezza e l’età adulta, Gesù studiò le Scritture. Da piccolo veniva quotidianamente istruito sulle ginocchia di Sua madre dai rotoli dei profeti. Nella Sua giovinezza, al mattino presto e al crepuscolo della sera lo trovavano spesso da solo sul pendio della montagna o tra gli alberi della foresta, trascorrendo un’ora tranquilla in preghiera e nello studio della Parola di Dio. Durante il Suo ministero, la Sua intima conoscenza delle Scritture testimonia la Sua diligenza nello studio. E poiché possiamo ottenerla anche noi, il Suo meraviglioso potere, sia mentale che spirituale, è una testimonianza del valore della Bibbia come mezzo di educazione. Il nostro Padre celeste, nel dare la Sua parola, non ha trascurato i bambini. In tutto ciò che gli uomini hanno scritto, dove si può trovare qualcosa che abbia una tale presa sul cuore, qualcosa di così ben adatto per risvegliare l’interesse dei più piccoli come le storie della Bibbia? In queste semplici storie possono essere spiegati i grandi principi della legge di Dio. In questo modo, attraverso le illustrazioni più adatte alla comprensione del bambino, i genitori e gli insegnanti possono iniziare molto presto a rispettare l’ordine del Signore riguardo ai Suoi precetti: “le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi” {Deuteronomio 6: 7}.

L’uso di lezioni oggettive, lavagne, mappe e immagini, sarà un aiuto per spiegare queste lezioni e fissarle nella memoria. Genitori e insegnanti dovrebbero cercare costantemente di migliorare i metodi. L’insegnamento della Bibbia dovrebbe impegnare i nostri primi pensieri, i nostri metodi migliori e il nostro impegno più serio. Per suscitare e rafforzare l’amore per lo studio della Bibbia, molto dipende dall’ora di culto. Le ore di adorazione del mattino e della sera dovrebbero essere le più dolci ed utili della giornata.

Sia ben chiaro che in queste ore non si devono intromettere pensieri spiacevoli perché genitori e figli si riuniscono per incontrarsi con Gesù e per invitare in casa la presenza dei santi angeli. L’ incontro sia breve e pieno di vitalità, adatto all’occasione e non monotono. Che tutti si uniscano alla lettura e allo studio della Bibbia, ricordando la legge di Dio. L’interesse dei bambini sarà accresciuto se a volte si permette loro di scegliere la lettura. Interrogateli e lasciate che siano loro a fare domande. Menzionate qualsiasi cosa serva a illustrarne il significato. Se il culto non è troppo lungo, lasciate che i piccoli partecipino alla preghiera e si uniscano al canto, anche se si tratta di una sola strofa. Per rendere questo servizio migliore possibile, si dovrebbe pensare alla preparazione. I genitori dovrebbero dedicare ogni giorno del tempo allo studio della Bibbia con i loro figli. Senza dubbio ci vorrà uno sforzo e una pianificazione e qualche sacrificio per raggiungere questo obiettivo, ma questo sarà riccamente ripagato. Come preparazione all’insegnamento dei Suoi precetti, Dio comanda di nasconderli nel cuore dei genitori. “E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore; le inculcherai ai tuoi figli” {Deuteronomio 6: 6-7}, dice l’Eterno.

Per interessare i nostri figli alla Bibbia, noi stessi dobbiamo essere interessati ad Essa. Per risvegliare in loro l’amore per il Suo studio, dobbiamo amarla. La nostra istruzione avrà solo il peso dell’influenza conferitagli dal nostro esempio e dal nostro spirito. Dio chiamò Abramo ad essere un maestro della Sua Parola, lo scelse per essere il padre di una grande nazione, perché vedeva che Abramo avrebbe istruito i suoi figli e la sua famiglia sui principi della legge di Dio.

E ciò che diede forza all’insegnamento di Abramo fu l’influenza della sua stessa vita. La sua grande famiglia era composta da più di mille persone, molte delle quali capifamiglia, e non poche appena convertite dal paganesimo. Una tale famiglia richiedeva una mano ferma al timone. Nessun metodo debole e vacillante sarebbe stato sufficiente. Di Abramo Dio disse: “Io infatti l’ho scelto, perché ordini ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui” {Genesi 18: 19}.

Eppure la sua autorità è stata esercitata con tale saggezza e tenerezza da conquistare i cuori. L’influenza di Abramo si estese oltre la sua famiglia. Ovunque spostasse la tenda, vi poneva accanto l’altare per il sacrificio e il culto.

Quando la tenda veniva tolta, l’altare rimaneva; e molti cananei erranti, la cui conoscenza di Dio era stata acquisita dalla vita di Abramo, suo servo, si fermavano davanti a quell’altare per offrire sacrifici al Signore.

Non meno efficace sarà oggi l’insegnamento della Parola di Dio quando troverà un riflesso altrettanto fedele nella vita dell’insegnante. Non basta sapere cosa hanno pensato o imparato gli altri sulla Bibbia. Ognuno deve rendere conto di sé a Dio nel giudizio, e ognuno deve imparare da solo ciò che è la verità. Ma per fare uno studio efficace, bisogna suscitare l’interesse dell’allievo.

Specialmente per chi ha a che fare con bambini e giovani molto diversi tra loro per indole, formazione e abitudini di pensiero, questo è un aspetto da non perdere di vista. Nell’insegnare la Bibbia ai bambini, possiamo guadagnare molto osservando la loro mente, le cose a cui sono interessati e stimolando il loro interesse a vedere cosa dice la Bibbia su queste cose. Colui che ci ha creati, con le nostre diverse attitudini, ha dato nella Sua Parola qualcosa per tutti. Man mano che gli alunni vedono che gli insegnamenti della Bibbia si applicano alla loro vita, insegnate loro a guardare ad essa come ad una consigliera. Aiutateli anche ad apprezzare la Sua meravigliosa bellezza. Molti libri di nessun valore reale, libri eccitanti e malsani sono raccomandati, o almeno permessi, per il loro presunto valore letterario.

Perché mai dovremmo indirizzare i nostri figli a bere da questi torrenti inquinati quando possono avere libero accesso alle sorgenti pure della Parola di Dio? La Bibbia ha una pienezza, una forza, una profondità di significato che è inesauribile. Incoraggiate i bambini e i giovani a cercare i Suoi tesori sia di pensiero che di espressione. Quando la bellezza di queste cose preziose attrae le loro menti, un potere addolcente e di sottomissione toccherà i loro cuori. Saranno attratti da Colui che si è così rivelato a loro. E sono pochi che non desidereranno conoscere meglio le Sue opere e le Sue vie.

Lo studente della Bibbia deve essere educato ad avvicinarsi ad Essa con lo spirito di apprendimento. Dobbiamo cercare nelle Sue pagine, non per trovare prove a sostegno delle nostre opinioni, ma per conoscere ciò che Dio dice.

Una vera conoscenza della Bibbia può essere acquisita solo attraverso l’aiuto dello Spirito che ha dato la Parola. E per ottenere questa conoscenza dobbiamo vivere in base ad essa. Tutto ciò che la Parola di Dio comanda, dobbiamo obbedire. Tutto ciò che promette, lo possiamo rivendicare. La vita che raccomanda è la vita che, grazie al Suo potere, dobbiamo vivere. Solo se la Bibbia viene considerata in questo modo può essere studiata in modo efficace.

Lo studio della Bibbia richiede il nostro sforzo più diligente e il nostro pensiero perseverante. Come il minatore che scava per trovare il tesoro d’oro nella terra, così dobbiamo cercare con impegno e perseveranza il tesoro della Parola di Dio. Nello studio quotidiano il metodo del “versetto per versetto” è spesso molto utile. Lasciate che lo studente prenda un versetto e concentri la mente per scoprire il pensiero che Dio ha messo in quel versetto per lui, e poi si soffermi su quel pensiero finché non diventa suo. Un passaggio così studiato fino a quando il suo significato è chiaro, ha più valore della lettura di molti capitoli senza uno scopo preciso e senza ottenere un’istruzione positiva.

Una delle cause principali dell’inefficienza mentale e della debolezza morale è la mancanza di concentrazione per scopi meritevoli. Siamo orgogliosi della vasta diffusione della letteratura; ma la moltiplicazione dei libri, anche quelli che di per sé non sono dannosi, rappresenta un male. Con l’immensa marea di materiale stampato che si riversa costantemente dalla stampa, vecchi e giovani acquisiscono l’abitudine di leggere in modo frettoloso e superficiale, e la mente perde il suo potere di pensare in maniera rigorosa. Inoltre, una gran parte dei periodici e dei libri, diffusi come una piaga, non sono semplicemente banali, oziosi e snervanti, ma impuri e degradanti. Il loro effetto non è solo quello di intossicare e rovinare la mente, ma di corrompere e distruggere l’anima. La mente e il cuore indolenti, senza scopo, diventano facile preda del male. È sugli organismi malati e senza vita che il fungo mette le radici. La mente oziosa è l’officina di Satana.

Che la mente sia rivolta a ideali alti e santi, che la vita abbia un fine nobile, uno scopo coinvolgente, e il male trova pochi appigli. Insegniamo ai giovani a studiare attentamente la Parola di Dio. Accolta nell’anima, Essa si rivelerà una potente barricata contro le tentazioni. Dichiara il salmista: “Ho conservato la tua parola nel mio cuore, per non peccare contro di te” {Salmo 119: 11}. “Per la parola delle tue labbra, mi sono guardato dalle vie dei violenti” {Salmo 17: 4}.

La Bibbia si commenta da Sè. Le Scritture devono essere confrontate con le Scritture. Lo studente deve imparare a vedere la Parola nel Suo insieme, e a vedere la relazione tra le Sue parti. Deve conoscerne il Suo grande tema centrale, il proposito originario di Dio per il mondo, l’insorgere della grande controversia e l’opera della redenzione.

Dovrebbe comprendere la natura dei due principi che si contendono la supremazia e dovrebbe imparare a tracciare il loro funzionamento attraverso i documenti della storia e della profezia, fino al suo grande adempimento. Lo studente dovrebbe vedere come questa controversia entri in ogni fase dell’esperienza umana; come in ogni atto della vita egli stesso riveli l’una o l’altra delle due motivazioni antagoniste; e come, volente o nolente, stia già decidendo da che parte stare nella controversia.

Ogni parte della Bibbia è data per ispirazione di Dio ed è utile. L’Antico Testamento, non meno del Nuovo, dovrebbe ricevere attenzione. Studiando l’Antico Testamento troveremo sorgenti vive che sgorgano laddove il lettore disattento scorge solo un deserto. Il libro dell’Apocalisse, in connessione con il libro di Daniele, richiede uno studio particolare. Ogni insegnante timorato di Dio consideri come comprendere e presentare nel modo più chiaro possibile il vangelo che il nostro Salvatore è venuto di persona a far conoscere al Suo servo Giovanni: “Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere rapidamente” {Apocalisse 1: 1}.

Nessuno deve scoraggiarsi nello studio dell’Apocalisse a causa dei suoi simboli apparentemente mistici. “Ma se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberamente senza rimproverare, e gli sarà data” {Giacomo 1: 5}.

“Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e serbano le cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino” {Apocalisse 1: 3}.

Quando si risveglia un vero amore per la Bibbia e lo studente inizia a rendersi conto di quanto sia vasto il campo della Bibbia e quanto sia prezioso il Suo tesoro, desidererà cogliere ogni occasione per informarsi sulla Parola di Dio.

Il suo studio non sarà limitato a tempi o luoghi. E questo studio continuo è uno dei mezzi migliori per coltivare l’amore per le Scritture. Che lo studente tenga la sua Bibbia sempre con sé. Quando ne ha l’occasione, legga un testo e mediti su di esso. Mentre cammina per strada, aspetta alla stazione, in attesa di un impegno, approfittate dell’occasione per trarre qualche pensiero prezioso dal tesoro della verità.

Le grandi forze motrici dell’anima sono la fede, la speranza e l’amore; è a queste che lo studio della Bibbia, giustamente perseguito, fa appello. La bellezza esteriore della Bibbia, la bellezza delle immagini e delle espressioni, non è altro che, la cornice, per così dire, del Suo vero tesoro: la bellezza della santità. Nella testimonianza degli uomini che hanno camminato con Dio, possiamo intravedere la Sua gloria. In Colui che è “del tutto adorabile” vediamo Colui, di cui tutta la bellezza della Terra e del Cielo sono solo un debole riflesso. Disse: “«Ed io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me»” {Giovanni 12: 32}.

Come lo studente della Bibbia contempla il Redentore, si risveglia nell’anima il misterioso potere della fede, dell’adorazione, e dell’amore. Sulla visione di Cristo lo sguardo si fissa e l’osservatore cresce fino a diventare somigliante a ciò che adora. Le parole dell’apostolo Paolo diventano il linguaggio dell’anima: “Anzi, ritengo anche tutte queste cose essere una perdita di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore… per conoscere lui, Cristo, la potenza della sua risurrezione e la comunione delle sue sofferenze” {Filippesi 3: 8, 10}.

Le sorgenti di pace e di gioia celesti scorrendo nell’anima grazie alle parole dell’Ispirazione, diventeranno un potente fiume di influenza per benedire tutti coloro che si trovano alla sua portata. Che i giovani di oggi, quelli che stanno crescendo con la Bibbia in mano, diventino i destinatari e i canali della Sua energia vivificante, e quali torrenti di benedizione sgorgheranno per il mondo! Influenze il cui potere di guarire e confortare, possiamo a malapena concepire: fiumi di acqua viva, fonti “che sgorgano in vita eterna”.

 

Cultura fisica

“Amato, desidero soprattutto che tu prosperi e sia in salute,

come prospera la tua anima”.

 

 

CAPITOLO 21 – STUDIO DELLA FISIOLOGIA

“Sono fatto in modo meraviglioso e stupendo”.

Poiché la mente e l’anima trovano espressione attraverso il corpo, il vigore mentale e spirituale dipendono in larga misura dalla forza e dall’attività fisica; tutto ciò che promuove la salute fisica, promuove lo sviluppo di una mente forte e di un carattere equilibrato.

Senza la salute nessuno può comprendere distintamente o adempiere completamente ai propri obblighi verso sé stesso, verso i suoi simili o verso il Creatore. Per questo motivo la salute deve essere custodita con la stessa fedeltà come il carattere. La conoscenza della fisiologia e dell’igiene dovrebbe essere base di ogni sforzo educativo.

Sebbene gli aspetti della fisiologia siano oggi così generalmente compresi, c’è un’allarmante indifferenza nei confronti dei principi della salute.

Anche tra coloro che hanno una conoscenza di questi principi, sono pochi quelli che li mettono in pratica. L’inclinazione o l’impulso vengono seguiti ciecamente, come se la vita fosse controllata dal caso e non da leggi definite e invariabili.

I giovani, nella freschezza e nel vigore della vita, si rendono poco conto del valore della loro energia. Questo tesoro, lo sviluppo fisico, più prezioso dell’oro, più essenziale dell’apprendimento, della posizione sociale o delle ricchezze, viene tenuto in scarsa considerazione e viene sprecato in modo avventato! Quanti uomini, sacrificando la salute nella lotta per le ricchezze o il potere, hanno quasi raggiunto l’oggetto del loro desiderio, per poi cadere inermi, mentre altri, possedendo una resistenza fisica superiore, hanno afferrato l’agognato premio! Attraverso condizioni morbose, risultato dell’aver trascurato le leggi della salute, quanti sono stati indotti a pratiche malvagie, fino al sacrificio di ogni speranza per questo mondo e per l’altro!

Nello studio della fisiologia, gli alunni dovrebbero essere indotti a vedere il valore dell’energia fisica e di come questa possa essere conservata e sviluppata in modo tale da contribuire al massimo grado di successo nella grande lotta della vita.

Ai bambini dovrebbero essere presto insegnati, con lezioni semplici e facili, i rudimenti della fisiologia e dell’igiene. Il lavoro dovrebbe essere iniziato dalla madre a casa e deve essere portato avanti fedelmente a scuola. Man mano che gli allievi avanzano negli anni, l’istruzione dovrebbe seguire questa linea, fino a quando non saranno in grado di prendersi cura della casa in cui vivono. Dovrebbero comprendere l’importanza di proteggersi dalle malattie, preservando la piena efficienza di tutti gli organi, e devono anche essere in grado di affrontare le malattie e gli incidenti più comuni. Ogni scuola dovrebbe insegnare sia la fisiologia che l’igiene e, per quanto possibile, dovrebbe essere dotata di spazi per illustrare la struttura, l’uso e la cura del corpo. Ci sono questioni che, di solito, non sono incluse nello studio della fisiologia e che dovrebbero essere prese in considerazione, elementi di valore molto più grande per lo studente di molte questioni tecniche comunemente insegnate sotto questa voce. Come principio di base di tutta l’educazione in questo campo, ai giovani deve essere insegnato che le leggi della natura sono le leggi della vita, tanto divine quanto lo sono i precetti del Decalogo. Le leggi che governano il nostro organismo fisico, Dio le ha scritte su ogni nervo, muscolo e fibra del corpo. Ogni violazione negligente o intenzionale di queste leggi è un peccato contro il nostro Creatore.

Quanto è necessario, quindi, che venga impartita una conoscenza approfondita di queste leggi! I principi dell’igiene applicati alla dieta, all’alimentazione, all’esercizio fisico, alla cura dei bambini, al trattamento dei malati e a molte altre questioni simili, dovrebbero ottenere molta più attenzione di quella che ricevono. L’influenza della mente sul corpo, così come del corpo sulla mente, dovrebbe essere enfatizzata. L’energia elettrica del cervello, favorita dall’attività mentale, vitalizza l’intero sistema ed è quindi un aiuto inestimabile per resistere alle malattie. Questo dovrebbe essere reso evidente.

Il potere della volontà e l’importanza dell’autocontrollo, sia nella conservazione che nel recupero della salute, l’effetto deprimente e persino rovinoso dell’ira, del malcontento, dell’egoismo o dell’impurità, in contrapposizione al meraviglioso potere vivificante che si trova nell’allegria, nell’altruismo, nella gratitudine, dovrebbero essere messi in evidenza. C’è una verità fisiologica – una verità che dobbiamo considerare – nelle Scritture: “Un cuore allegro è una buona medicina” {Proverbi 17: 22}.

“Il tuo cuore custodisca i miei comandamenti” {Proverbi 3: 1}, dice Dio, “perché ti aggiungeranno lunghi giorni, anni di vita e pace” {Proverbi 3: 2}. “Perché sono vita per quelli che li trovano, guarigione per tutto il loro corpo” {Proverbi 4: 22}.

Le Scritture dichiarano che le “parole soavi sono come un favo di miele, dolcezza all’anima e medicina alle ossa” {Proverbi 16: 24}.

I giovani hanno bisogno di comprendere la profonda verità che sta alla base dell’affermazione biblica secondo la quale Dio “è la fonte della vita” {Salmo 36: 9}. Non solo è l’origine di tutto, ma è la vita di tutto ciò che vive. È la Sua vita che riceviamo nella luce del sole, nell’aria pura e dolce, nel cibo che costruisce il nostro corpo e sostiene le nostre forze. È grazie alla Sua vita che esistiamo, ora per ora, momento per momento.

Tutti i Suoi doni tendono alla vita, alla salute e alla gioia, se non contaminati dal peccato. “Egli ha fatto ogni cosa bella nel suo tempo” {Ecclesiaste 3: 11}; e la vera bellezza sarà assicurata non nel rovinare l’opera di Dio, ma nell’entrare in armonia con le leggi di Colui che ha creato tutte le cose e che trova piacere nella loro bellezza e perfezione. Quando si studia il meccanismo del corpo, l’attenzione deve essere rivolta al suo meraviglioso adattamento dei mezzi ai fini, all’azione armoniosa e alla dipendenza dei vari organi. Quando l’interesse dello studente viene così risvegliato e gli viene fatta capire l’importanza della cultura fisica, l’insegnante può fare molto per garantire un corretto sviluppo e le giuste abitudini. Tra i primi obiettivi da perseguire dovrebbe esserci una posizione corretta, sia da seduti che in piedi. Dio ha creato l’uomo in posizione eretta e desidera che possieda non solo il beneficio fisico, ma anche quello mentale e morale, la grazia, la dignità e la padronanza di sé, il coraggio e la fiducia in sé stesso che un portamento eretto contribuisce a promuovere.

L’insegnante deve istruire su questo punto con l’esempio e le regole. Mostri qual è la posizione corretta e insista affinché venga mantenuta. Dopo la posizione corretta, sono importanti la respirazione e l’educazione vocale. Chi assume una postura eretta quando sta seduto o in piedi è più propenso di altri a respirare correttamente. Ma l’insegnante dovrebbe far capire ai suoi allievi l’importanza della respirazione profonda. Mostrare come l’azione sana degli organi respiratori, aiutando la circolazione del sangue, rinvigorisca l’intero sistema, eccita l’appetito, favorisce la digestione e induce un sonno sano e dolce, non solo rinfrescando il corpo, ma anche calmando la mente. E mentre viene mostrata l’importanza della respirazione profonda, è necessario insistere sulla sua pratica. Lasciate che esercizi pratici la promuovano e, si faccia in modo che l’abitudine si consolidi. L’allenamento della voce ha un posto importante nella cultura fisica, poiché tende a espandere e a rafforzare i polmoni. Per garantire una corretta emissione nella lettura e nel parlato, bisogna assicurarsi che la muscolatura addominale abbia il pieno controllo della respirazione e che gli organi respiratori siano liberi. Lasciate che lo sforzo venga sui muscoli dell’addome piuttosto che su quelli della gola. In questo modo si possono evitare grandi affaticamenti e gravi malattie della gola e dei polmoni. Occorre prestare molta attenzione a garantire una articolazione distinta, toni morbidi e ben modulati e un’emissione non troppo rapida. Questo non solo promuoverà la salute, ma aggiungerà molto alla gradevolezza e all’efficienza del lavoro dello studente.

Nell’insegnare queste cose si offre un’occasione importante per dimostrare la follia e l’inutilità delle cinture strette e di ogni altra pratica che limita l’azione vitale. Una serie quasi infinita di malattie derivano da modi di vestire non salutari, e su questo punto si dovrebbe dare un’attenta istruzione. Imprimete agli alunni il pericolo nascosto in un abbigliamento che pesi sui fianchi o comprima qualsiasi organo del corpo.

L’abbigliamento deve essere disposto in modo tale da consentire una respirazione completa a pieni polmoni e che le braccia possano essere sollevate sopra la testa senza difficoltà. L’affaticamento dei polmoni non solo ne impedisce lo sviluppo, ma ostacola anche i processi di digestione e di circolazione, indebolendo così l’intero organismo. Tutte queste pratiche riducono la potenza fisica e mentale, ostacolando così il progresso dello studente e spesso impedendo il suo successo.

Nello studio dell’igiene, un insegnante serio sfrutterà ogni occasione per mostrare la necessità di una perfetta pulizia sia nelle abitudini personali e in tutto l’ambiente circostante. Il valore del bagno quotidiano nel promuovere la salute e nello stimolare l’azione mentale, dovrebbe essere sottolineato. Si dovrebbe prestare attenzione anche alla luce solare e alla ventilazione, all’igiene della stanza da letto e della cucina.

Insegnate agli alunni che una stanza da letto salubre, una cucina ben pulita, una tavola apparecchiata con gusto e ben fornita, contribuiranno a garantire la felicità della famiglia, e di ogni visitatore sensibile, più di qualsiasi costoso arredamento del salotto. Che “la vita vale più del nutrimento e il corpo più del vestito” {Luca 12: 23}, è una lezione non meno necessaria ora rispetto a quando fu impartita dal divino Maestro quando era sulla Terra.

Allo studente di fisiologia si deve insegnare che l’obiettivo del suo studio non è semplicemente la conoscenza dei fatti e dei principi. Questo da solo si rivelerà di scarso beneficio. Può capire l’importanza della ventilazione, areare quindi la sua stanza, ma se non si eserciterà a riempie i polmoni in modo adeguato, soffrirà dei risultati di una respirazione imperfetta. La necessità della pulizia può essere compresa e possono essere fornite le nozioni necessarie, ma tutto sarà inutile se non viene messo in pratica. Il grande requisito nell’insegnamento di questi principi è quello di imprimere la loro importanza nell’allievo, in modo che li metta coscienziosamente in pratica.

Con una figura molto bella e impressionante, la Parola di Dio mostra l’attenzione che Egli riserva al nostro corpo e la responsabilità riposta su di noi, nel preservarlo nelle migliori condizioni: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale voi avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi?” {1 Corinzi 6: 19}. “Se alcuno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui, perché il tempio di Dio, che siete voi, è santo” {1 Corinzi 3: 17}. Facciamo in modo che gli alunni siano impressionati dal pensiero che il corpo è un tempio in cui Dio desidera abitare, che deve essere mantenuto puro, luogo di dimora di pensieri alti e nobili. Con lo studio della fisiologia, essi si accorgeranno di essere “stato fatto in modo stupendo” {Salmo 139: 14}, e saranno così ispirati da un profondo rispetto. Invece di rovinare l’opera di Dio, avranno l’ambizione di fare tutto ciò che è possibile per loro stessi, al fine di realizzare il glorioso piano del Creatore. In questo modo arriveranno a considerare l’obbedienza alle leggi della salute non come una questione di sacrificio o di abnegazione, ma come è in realtà, un privilegio e una benedizione inestimabili.

 

 

CAPITOLO 22 – TEMPERANZA E DIETETICA

“Ogni uomo che si sforza di raggiungere la padronanza

è temperante in ogni cosa.”

Ogni studente deve comprendere la relazione tra una vita semplice e il pensiero elevato. Sta a noi decidere individualmente se la nostra vita sarà controllata dalla mente o dal corpo. Il giovane deve fare la scelta che darà forma alla sua vita; e non si dovrebbe risparmiare alcuno sforzo per fargli capire le forze con cui ha a che fare e le influenze che plasmano il carattere e il destino.

L’intemperanza è un nemico da cui tutti devono guardarsi. Il rapido aumento di questo terribile male dovrebbe destare ogni persona a combattere contro di essa. La pratica di insegnare i temi della temperanza nelle scuole è un passo nella giusta direzione. Le istruzioni in questo senso dovrebbero essere impartite in ogni scuola e in ogni casa.

I giovani e i bambini dovrebbero comprendere l’effetto dell’alcol, del tabacco e di altri veleni simili nel distruggere il corpo, nell’annebbiare la mente e nel spingere l’anima alla sensualità. Si dovrebbe far capire che nessuno di coloro che fanno uso di queste sostanze può possedere a lungo la piena forza delle sue facoltà fisiche, mentali o morali.

Ma per scoprire la radice dell’intemperanza dobbiamo andare più a fondo dell’uso di alcol o tabacco. L’ozio, la mancanza di obiettivi o le cattive compagnie, possono essere la causa iniziale. Spesso tale causa si trova sulla tavola di casa, in famiglie che si considerano rigorosamente temperanti.

Tutto ciò che disturba la digestione, che crea un’eccitazione mentale eccessiva o che in qualche modo indebolisce il sistema, disturbando l’equilibrio delle forze mentali e fisiche, indebolisce il controllo della mente sul corpo e tende quindi all’intemperanza. La rovina di molti giovani promettenti potrebbe essere ricondotta ad appetiti innaturali creati da una dieta non salutare.

Tè e caffè, condimenti, dolciumi e pasticcini sono tutte cause attive di indigestione. Anche gli alimenti carnei sono dannosi. Il loro effetto naturalmente stimolante dovrebbe essere un argomento sufficiente contro il suo uso; e la condizione quasi universalmente malata degli animali lo rende doppiamente discutibile. Il consumo carneo tende ad irritare i nervi e ad eccitare le passioni, dando così il sopravvento agli impulsi più bassi. Chi si abitua ad una dieta ricca e stimolante, dopo un po’ di tempo si accorgerà che lo stomaco non è soddisfatto dal cibo semplice. Esso richiede cibi sempre più conditi, pungenti e stimolanti. Le funzioni nervose si alterano e il sistema si indebolisce, la volontà sembra impotente a resistere al desiderio innaturale. Il delicato rivestimento dello stomaco si irrita e si infiamma a tal punto che nemmeno il cibo più stimolante riesce a dare sollievo. Ne deriva una sete che solo una bevanda forte può placare. È dagli inizi del male che bisogna guardarsi. Nell’istruzione dei giovani, l’effetto di deviazioni apparentemente piccole dalla retta via dovrebbe essere reso molto chiaro. Si deve insegnare allo studente il valore di una dieta semplice e salutare per prevenire il desiderio di stimoli innaturali. Che si instauri precocemente l’abitudine all’autocontrollo. Che ai giovani sia impresso il pensiero che devono essere padroni e non schiavi. Dio li ha fatti sovrani del regno che è in loro e devono esercitare la loro regalità designata dal Cielo.

Quando questa istruzione viene impartita fedelmente, i risultati si estenderanno ben oltre i giovani stessi. Le influenze si estenderanno fino a salvare migliaia di uomini e donne che sono sull’orlo della rovina.

Dieta e sviluppo mentale

Il rapporto della dieta con lo sviluppo intellettuale dovrebbe richiedere maggiore attenzione di quella che ha ricevuto finora. La confusione e il torpore mentale sono spesso il risultato di errori nella dieta. Spesso si sostiene che, nella scelta del cibo, l’appetito è una guida sicura. Se le leggi della salute fossero sempre state rispettate, questo sarebbe vero. Ma a causa di abitudini sbagliate, perpetuate di generazione in generazione, l’appetito è diventato così pervertito da desiderare costantemente una gratificazione dannosa. Non ci si può più fidare di questa guida.

Nello studio dell’igiene, agli studenti dovrebbe essere insegnato il valore nutritivo dei diversi alimenti, l’effetto di una dieta concentrata e stimolante, nonché gli alimenti carenti di elementi nutritivi. Il tè e il caffè, il pane a farina fine, i sottaceti, i cereali a grana grossa, i cibi a base di carne e di pesce, dolciumi, caramelle, condimenti e pasticcini non riescono a fornire il giusto nutrimento. Molti studenti sono crollati a causa dell’uso di questi alimenti.

Molti bambini gracili, incapaci di sforzi vigorosi della mente o del corpo, sono vittime di una dieta impoverita. I cereali, la frutta, le noci e verdura, in una combinazione adeguata, contengono tutti gli elementi della nutrizione e, se preparati correttamente, costituiscono la dieta che meglio favorisce la forza fisica e mentale.

È necessario considerare non solo le proprietà degli alimenti, ma anche come vengono tollerate da chi le assume. Spesso gli alimenti che possono essere mangiati liberamente da persone che sono impegnate in un lavoro fisico, devono essere evitati da coloro il cui lavoro è principalmente mentale. Occorre prestare attenzione anche alla corretta combinazione degli alimenti. I lavoratori di attività mentali e sedentarie, dovrebbero assumere pochi tipi di alimenti a pasto. E bisogna evitare la sovralimentazione, anche dei cibi più sani. La natura non può utilizzare più di quanto sia necessario per costruire i vari organi del corpo e l’eccesso rallenta il sistema. Molte volte, si è supposto che uno studente sia crollato per eccesso di studio, mentre la vera causa era l’eccesso di cibo. Quando si presta la giusta attenzione alle leggi della salute, il rischio di disturbi mentali è minimo; ma in molti casi di cosiddetti fallimenti mentali, la causa è stata il sovraffollamento dello stomaco, che affatica il corpo ed indebolisce la mente.

Nella maggior parte dei casi due pasti al giorno sono preferibili a tre. La cena, se consumata a distanza troppo ravvicinata, interferisce con la digestione del pasto precedente. Se viene consumata più tardi, non viene digerita prima di andare a letto. In questo modo lo stomaco non riesce ad assicurarsi il giusto riposo. Il sonno è disturbato, il cervello e i nervi sono affaticati, l’appetito per la prima colazione è compromesso, l’intero sistema non è riposato e non è pronto per affrontare la giornata.

L’importanza della regolarità negli orari in cui si mangia e si dorme non va trascurata. Poiché il lavoro di costruzione del corpo si svolge durante le ore di riposo, è essenziale, soprattutto nei giovani, che il sonno sia regolare e abbondante. Per quanto possibile, dovremmo evitare di mangiare frettolosamente. Più breve è il tempo di un pasto, meno si dovrebbe mangiare. È meglio omettere un pasto che mangiare senza una corretta masticazione.

Il momento del pasto deve essere un momento di socializzazione e di ristoro. Tutto ciò che può appesantire o irritare deve essere bandito. Lascia che ci sia la fiducia, la gentilezza e la gratitudine verso il Datore di ogni bene, e la conversazione sarà allegra, un piacevole flusso di pensieri si eleverà senza stancare.

L’osservanza della temperanza e della regolarità in tutte le cose, hanno un potere meraviglioso. Farebbero più delle circostanze o delle doti naturali a promuovere la dolcezza e la serenità d’animo che contano tanto per spianare il cammino della vita. Allo stesso tempo il potere di autocontrollo così acquisito si rivelerà uno degli strumenti più preziosi per affrontare con successo i severi doveri e le realtà che attendono ogni essere umano. “Le sue vie sono vie dilettevoli e tutti i suoi sentieri sono pace” {Proverbi 3: 17}. Che ogni giovane della nostra Terra, con le possibilità di un destino più alto di quello dei re incoronati, rifletta sulla lezione trasmessa dalle parole del saggio: “Beato te, o paese, il cui re è di stirpe nobile, e i cui principi pranzano al tempo giusto, per ristorare le forze e non per ubriacarsi!” {Ecclesiaste 10: 17}.

 

 

CAPITOLO 23 – RICREAZIONE

Per ogni cosa c’è una stagione”.

C’è una distinzione tra ricreazione e divertimento. La ricreazione, quando è fedele al suo nome, tende a rafforzare e a costruire. Ci allontana dalle preoccupazioni e dalle occupazioni ordinarie, ci offre refrigerio alla mente e al corpo, permettendoci di tornare con nuovo vigore al lavoro quotidiano. Il divertimento, invece d’altro canto, è ricercato per il piacere e spesso è portato all’eccesso, assorbe le energie necessarie per il lavoro utile e si rivela così un ostacolo al vero successo della vita.

Tutto il corpo è progettato per l’azione e, se non si mantengono in salute i poteri fisici con l’esercizio attivo, i poteri mentali non possono essere utilizzati al massimo delle loro capacità. L’inattività fisica che sembra quasi inevitabile nei banchi di scuola, insieme ad altre condizioni malsane, rendono le aule scolastiche un luogo difficile per i bambini, soprattutto per quelli di costituzione debole. Spesso il ricambio dell’aria è insufficiente. I sedili scomodi incoraggiano posizioni innaturali, che ostacolano l’azione dei polmoni e del cuore. Qui i bambini piccoli devono trascorrere dalle tre alle cinque ore al giorno, respirando un’aria carica di impurità e forse infettata dai germi di malattie.

Non c’è quindi da stupirsi se nelle aule scolastiche si gettano le basi di malattie che durano tutta la vita. Il cervello, il più delicato di tutti gli organi fisici e da cui deriva l’energia nervosa dell’intero sistema, subisce il danno maggiore. Se si è costretti a un’attività prematura o eccessiva, e questo in condizioni non salutari, spesso i danni negativi che ne conseguono sono permanenti.

I bambini non dovrebbero essere confinati a lungo all’interno di una stanza, né dovrebbe essere richiesto loro di dedicarsi allo studio fino a quando non sono state gettate le basi per lo sviluppo fisico. Per i primi otto o dieci anni di vita di un bambino, il campo o il giardino sono la migliore aula di scuola, la madre il miglior insegnante, la natura il miglior libro di lezioni.

Anche quando il bambino è abbastanza grande per frequentare la scuola, la sua salute dovrebbe essere considerata più importante della conoscenza dei libri.

Deve essere circondato dalle condizioni più favorevoli alla crescita fisica e mentale. I bambini non sono gli unici a risentire della mancanza di aria e di esercizio fisico. Sia nelle scuole superiori che in quelle inferiori questi elementi essenziali per la salute, sono ancora troppo spesso trascurati. Molti studenti siedono giorno dopo giorno in una stanza chiusa, chini sui libri, con il torace così contratto da non riuscire a respirare a pieni polmoni, il sangue si muove lentamente, i piedi sono freddi e la testa calda. Il corpo non è sufficientemente nutrito, i muscoli sono indeboliti e l’intero sistema è stanco e malato. Spesso questi studenti diventano invalidi per tutta la vita. Sarebbero potuti uscire dalla scuola con una maggiore forza fisica e mentale, se avessero proseguito gli studi in condizioni adeguate, con un regolare esercizio fisico alla luce del sole e all’aria aperta. Lo studente che con il tempo e i mezzi limitati sta lottando per ottenere un’istruzione, dovrebbe rendersi conto che il tempo trascorso nell’esercizio fisico non è perso. Chi si sofferma continuamente sui libri, dopo un po’ di tempo si accorgerà che la mente ha perso la sua freschezza. Chi presta la giusta attenzione allo sviluppo fisico farà più progressi in campo letterario di quanto non farebbe se tutto il suo tempo fosse dedicato allo studio.

Perseguendo esclusivamente una linea di pensiero, la mente spesso si sbilancia. Ma ogni facoltà può essere esercitata in modo sicuro se i poteri mentali e fisici vengono sollecitati in egual misura e se gli argomenti di riflessione sono vari.

L’inattività fisica riduce non solo il potere mentale, ma anche quello morale. Le cellule nervose che collegano l’intero corpo umano sono il canale attraverso il quale il Cielo comunica con l’uomo e influisce sulla vita interiore. Tutto ciò che ostacola la circolazione della corrente elettrica nel sistema nervoso, indebolendo così i poteri vitali e diminuendo la sensibilità mentale, rende più difficile risvegliare la natura morale. Anche in questo caso, lo studio eccessivo, aumentando il flusso di sangue al cervello, crea un’eccitabilità morbosa che tende a diminuire il potere di autocontrollo e, troppo spesso, dà spazio all’impulsività o al capriccio.

In questo modo si apre la porta all’immoralità. Il cattivo o il mancato uso dei poteri fisici è in gran parte responsabile della marea di corruzione che sta invadendo il mondo. “L’orgoglio, l’abbondanza del pane e dell’ozio”, sono nemici mortali del progresso umano in questa generazione, come in quella che portò alla distruzione di Sodoma.

Gli insegnanti dovrebbero capire queste cose e istruire i loro allievi su queste direttive. Dovrebbero insegnare agli studenti che una vita corretta dipende dal giusto pensiero e, che l’attività fisica è essenziale per la purezza del pensiero.

La questione delle attività ricreative adatte ai propri alunni è una faccenda che rende spesso gli insegnanti perplessi. Gli esercizi ginnici occupano un posto utile in molte scuole, ma senza un’attenta supervisione sono spesso portati all’eccesso. In palestra molti giovani, per dare prova di forza, si sono fatti male e ne hanno poi sofferto per tutta la vita. L’esercizio in palestra, per quanto ben condotto, non può sostituire la ricreazione all’aria aperta, per la quale le nostre scuole dovrebbero offrire migliori opportunità. Gli alunni devono fare molto esercizio fisico.

Pochi mali sono più temibili dell’indolenza e della mancanza di obiettivi. Eppure la tendenza della maggior parte degli sport atletici è un argomento di riflessione per coloro che hanno a cuore il benessere dei giovani. Gli insegnanti sono preoccupati quando considerano l’influenza di questi sport sia sul progresso dello studente a scuola sia sul suo successo nella vita futura. I giochi che occupano così tanto tempo distolgono la mente dallo studio. Non aiutano a preparare il giovane al lavoro pratico e serio nella vita. La loro influenza non tende alla raffinatezza, generosità o vera virilità. Alcuni dei divertimenti più popolari, come il calcio e il pugilato, sono diventati scuole di brutalità.

Essi stanno sviluppando le stesse caratteristiche dei giochi dell’antica Roma. L’amore per la superiorità, l’orgoglio per la mera forza bruta, l’incosciente disprezzo della vita, esercitano sulla gioventù un potere demoralizzante che è spaventoso. Altre discipline atletiche, pur non essendo così brutali, sono quanto meno discutibili dato l’eccesso a cui vengono portati.

Stimolano l’amore per il piacere e l’eccitazione, favorendo così un’avversione per il lavoro utile, una disposizione ad evitare i doveri pratici e le responsabilità. Tendono a distruggere il gusto per le realtà sobrie della vita e i suoi tranquilli piaceri. Così si apre la porta alla dissipazione e all’illegalità, con i loro terribili risultati. Anche i ricevimenti mondani, sono un ostacolo alla crescita sia della mente che del carattere. Incontri frivoli creano inclinazioni alla stravaganza, ricerca del piacere, e troppo spesso del vizio, che modellano l’intera vita per il male. Al posto di questi piaceri, i genitori e gli insegnanti possono fare molto per offrire svaghi sani e vivificanti. In questo, come in tutte le altre cose che riguardano il nostro benessere, l’Ispirazione ha indicato la strada da seguire. In tempi lontani, per il popolo che era sotto la direzione di Dio, la vita era semplice. La gente viveva in mezzo alla natura.

I figli partecipavano al lavoro dei genitori e studiavano le bellezze e i misteri del tesoro della natura. E nella quiete dei campi e dei boschi meditavano su quelle potenti verità tramandate come un sacro lascito di generazione in generazione. Tale formazione ha prodotto uomini e donne forti. Oggi, invece, la vita è diventata artificiale e gli uomini sono degenerati.

Anche se non possiamo tornare completamente alle semplici abitudini di quei primi tempi, possiamo trarne insegnamenti che renderanno i nostri tempi di ricreazione come il nome implica: stagioni di vero rafforzamento del corpo, della mente e dell’anima.

La ricerca della casa e della scuola hanno molto a che fare con la questione della ricreazione. Nella scelta di una casa o di una scuola, questi aspetti devono essere presi in considerazione. Coloro per i quali il benessere psicofisico è più importante del denaro o delle pretese e delle abitudini della società, dovrebbero cercare per i loro figli il beneficio dell’insegnamento della natura e della ricreazione offerti dalla natura.

Sarebbe un grande aiuto per l’opera educativa se ogni scuola fosse situata in modo da offrire agli alunni un terreno da coltivare e l’accesso ai campi e ai boschi. Nell’ambito della ricreazione, lo studente raggiungerà i migliori risultati se potrà godere della collaborazione personale dell’insegnante. Il vero insegnante può impartire ai suoi allievi pochi doni così preziosi, come il dono della propria compagnia. È vero per gli uomini e le donne, e tanto più per i giovani e i bambini: solo entrando in contatto con loro attraverso la simpatia possiamo capirli; e abbiamo bisogno di comprenderli per poterli aiutare nel modo più efficace. Per rafforzare il legame di simpatia tra insegnante e studente ci sono pochi mezzi validi quanto una piacevole frequentazione al di fuori delle aule scolastiche. In alcune scuole l’insegnante è sempre con gli alunni nelle ore di ricreazione. Si unisce ai loro interessi, li accompagna nelle loro escursioni e sembra diventare un tutt’uno con loro.

Sarebbe un bene per le nostre scuole se questa pratica fosse più seguita. Il sacrificio richiesto all’insegnante potrebbe risultare gravoso, ma egli raccoglierebbe una ricca ricompensa.

Nessuna attività ricreativa utile solo a sé stessa, si rivelerà una così grande benedizione per i bambini e i giovani come quella che li rende utili agli altri.

Naturalmente entusiasti e sensibili, i giovani sono pronti a rispondere ai suggerimenti. Nel preparare il programma di botanica, l’insegnante cerchi di risvegliare l’interesse per l’abbellimento del terreno e dell’aula scolastica. Ne deriverà un doppio beneficio. Gli alunni non sono disposti a rovinare o deturpare ciò che cercano di abbellire. Saranno incoraggiati a sviluppare un gusto raffinato, l’amore per l’ordine e il prendersi cura di sé e delle cose; e lo spirito di comunione e di cooperazione si rivelerà per gli alunni una benedizione per tutta la vita.

Così anche il lavoro in giardino può suscitare un nuovo interesse o l’escursione nei campi o nei boschi, poiché gli alunni sono incoraggiati a ricordare coloro che sono esclusi da questi luoghi piacevoli e a condividere con loro le bellezze della natura.

L’insegnante attento troverà molte occasioni per indirizzare gli alunni ad azioni di cortesia. Soprattutto per i bambini piccoli, l’insegnante è considerato con una fiducia e un rispetto quasi illimitati. Qualsiasi cosa possa suggerire sui modi di aiutare in casa, sulla fedeltà nei compiti quotidiani, sul ministero verso gli ammalati o i poveri, difficilmente potrà non portare frutto. In questo modo si otterrà un doppio vantaggio.

Il suggerimento gentile tornerà a vantaggio di colui che lo ha dato. La gratitudine e la collaborazione dei genitori alleggeriranno il fardello dell’insegnante e illumineranno il suo cammino. L’attenzione alla ricreazione e all’educazione fisica a volte interromperà, senza dubbio, la regolare routine scolastica; ma l’interruzione non costituirà un vero e proprio ostacolo. Nel fortificare la mente e il corpo, nello sviluppare uno spirito altruistico e nel legame tra allievo e insegnante attraverso vincoli di interesse comune e amichevole, il dispendio di tempo e fatica sarà ripagato abbondantemente. A quell’ energia inquieta verrà concessa uno sbocco benedetto, che spesso costituisce una fonte di pericolo per i giovani. Come salvaguardia contro il male, l’occupazione della mente con ciò che è bene, costituisce una protezione ancora più valida di tante regole e tanta disciplina.

 

 

CAPITOLO 24 – LAVORO MANUALE

“Studiate… per lavorare con le vostre mani”.

Alla Creazione, il lavoro è stato designato come una benedizione. Significava sviluppo, potere, felicità. La mutata condizione della Terra a causa della maledizione del peccato ha portato un cambiamento nelle condizioni del lavoro; tuttavia, anche se ora è accompagnato da ansia, stanchezza e dolore, è ancora fonte di felicità e sviluppo. Ed è una salvaguardia contro le tentazioni. La sua disciplina pone un freno all’autoindulgenza, e promuove la produttività, la purezza e la fermezza. In questo modo diventa una parte del grande piano di Dio per la nostra guarigione dalla caduta.

I giovani devono essere guidati a comprendere la vera dignità del lavoro. Mostrate loro che Dio è un lavoratore costante. Tutte le cose in natura fanno il loro lavoro assegnato. L’azione pervade l’intera Creazione e, per compiere la nostra missione, anche noi dobbiamo essere attivi.

Nel nostro lavoro dobbiamo essere lavoratori insieme a Dio. Egli ci dà la terra e i suoi tesori, ma noi dobbiamo adattarli al nostro uso e alla nostra comodità. Egli fa crescere gli alberi, ma noi prepariamo il legname e costruiamo la casa. Egli ha nascosto nella terra l’oro e l’argento, il ferro e il carbone, ma è solo con la fatica che possiamo disporre di questi materiali.

Possiamo far comprendere ai giovani che, mentre Dio ha creato e controlla costantemente tutte le cose, ci ha dotato di facoltà non del tutto diverse dalle Sue. A noi ci è stata data una certa capacità di controllo sulle forze della natura. Come Dio ha fatto emergere la Terra nella sua bellezza dal caos, così noi possiamo far emergere l’ordine e la bellezza dalla confusione. E sebbene tutte le cose siano ora rovinate dal male, nel compiere il nostro lavoro proviamo una gioia simile alla Sua, quando, guardando la Terra, la dichiarò “molto buona”.

Di norma, l’esercizio più benefico per i giovani consiste in un lavoro utile. Il bambino piccolo trova nel gioco sia uno svago che uno sviluppo; e i suoi svaghi dovrebbero essere tali da promuovere non solo la crescita fisica, ma anche quella mentale e spirituale. Man mano che aumentano la forza e l’intelligenza, la migliore ricreazione consisterà in qualche lavoro utile. Ciò che allena la mano all’utilità, e che insegna ai giovani a sopportare la loro parte di fardelli della vita, è la cosa più efficace nel promuovere la crescita della mente e del carattere.

I giovani hanno bisogno di imparare che la vita è lavoro assiduo, responsabilità, e cura. Hanno bisogno di una formazione che li renda uomini e donne capaci di affrontare le emergenze. Si deve insegnare loro che la disciplina di un lavoro sistematico e ben regolato è essenziale, non solo come salvaguardia contro le vicissitudini della vita, ma anche come aiuto allo sviluppo dell’intero essere. Nonostante tutto ciò che è stato detto e scritto riguardo alla dignità del lavoro fisico, prevale ancora l’idea che esso sia degradante. I giovani sono ansiosi di diventare insegnanti, impiegati, commercianti, medici, avvocati o di occupare qualche altra posizione che non richieda fatica fisica. Le giovani donne evitano i lavori domestici e cercano un’educazione in altri ambiti. I giovani devono imparare che nessun uomo o donna è degradato dal lavoro onesto. Ciò che degrada è l’ozio e la dipendenza egoistica. L’ozio favorisce l’autoindulgenza e il risultato è una vita vuota e sterile, un campo che invita alla crescita di ogni male. “Infatti la terra, che beve la pioggia che spesso cade su di essa e produce erbe utili per quelli che la coltivano, riceve benedizione da Dio; ma se produce spine e triboli, è riprovata e vicina ad essere maledetta, e finirà per essere arsa” {Ebrei 6: 7-8}.

Molti dei rami di studio che consumano il tempo dello studente non sono essenziali per l’utilità o la felicità; ma è fondamentale per ogni giovane una conoscenza approfondita dei doveri quotidiani. Se necessario, una giovane donna può fare a meno della conoscenza del francese e dell’algebra, o anche del pianoforte; ma è indispensabile che impari a fare del buon pane, a confezionare capi d’abbigliamento ordinati e a svolgere in modo efficiente i molti lavori domestici.

Per la salute e la felicità di tutta la famiglia non c’è nulla di più importante dell’abilità e dell’intelligenza della cuoca. Un’alimentazione non sana e mal preparata può ostacolare e persino rovinare lo sviluppo del bambino. Così, in molti modi, la felicità della vita è legata alla fedeltà ai doveri comuni. Dal momento che sia gli uomini che le donne hanno un ruolo nella formazione della famiglia, è bene che i ragazzi e le ragazze siano a conoscenza dei diversi doveri domestici. Fare il letto e mettere in ordine la stanza, lavare i piatti, preparare i pasti, lavare e riparare i propri vestiti, sono attività che non devono togliere nulla della virilità di un ragazzo, ma che anzi, lo renderanno più felice e più utile. E se le ragazze, a loro volta, potessero imparare a bardare e guidare un cavallo, ad usare la sega e il martello, così come il rastrello e la zappa, sarebbero più adatte ad affrontare gli imprevisti della vita.

Lasciate che i bambini e i giovani imparino dalla Bibbia come Dio ha onorato il lavoro quotidiano. Nelle scuole dei “discepoli dei profeti” {2 Re 6: 1}, gli studenti costruirono una casa per loro stessi, e i n loro favore Dio fece il miracolo di recuperare l’ascia che era stata presa in prestito e caduta in un fiume. Gesù stesso era un falegname e Paolo un fabbricante di tende, entrambi unirono al lavoro manuale di artigiani il più alto ministero, umano e divino. Quel ragazzo che diede i cinque pani permise al Salvatore di compiere il meraviglioso miracolo della moltiplicazione dei pani per sfamare la moltitudine. La sarta Tabita fu richiamata dalla morte per continuare a confezionare indumenti per i poveri; la donna saggia descritta nei Proverbi: “Si procura lana e lino e lavora con piacere con le proprie mani” {Proverbi 31: 13}; che “Si alza quando è ancora notte per distribuire il cibo alla sua famiglia” {Proverbi 31: 15}; che “pianta una vigna… e irrobustisce le sue braccia” {Proverbi 31: 16-17}; che “Tende la sua mano al povero e porge le sue mani al bisognoso” {Proverbi 31: 20}; che “Ella sorveglia l’andamento della sua casa e non mangia il pane di pigrizia” {Proverbi 31: 27}.

Di una tale persona Dio dice: “sarà lodata. Datele del frutto delle sue mani, e le sue stesse opere la lodino alle porte” {Proverbi 31: 30-31}. Per ogni bambino la prima scuola manuale dovrebbe essere la casa. E, per quanto possibile, si dovrebbe provvedere perché in ogni scuola vi sia la possibilità di insegnare il lavoro manuale. In larga misura tale formazione manuale, potrebbe sostituire l’esercizio ginnico, con il vantaggio aggiuntivo di offrire una disciplina preziosa.

L’attività manuale merita molta più attenzione di quanta ne abbia ricevuta. Dovrebbero essere istituite scuole che, oltre alla più alta cultura mentale e morale, forniscano le migliori strutture possibili per lo sviluppo fisico e per l’apprendimento di attività pratiche. Un’adeguata istruzione dovrebbe essere includere l’agricoltura, le manifatture, coprendo il maggior numero possibile di mestieri utili, nonché l’economia domestica, la salute e il benessere, la cucina, il cucito, l’abbigliamento igienico, la cura dei malati, e altre attività simili. Giardini, laboratori e sale di cura dovrebbero essere presenti e il lavoro in ogni settore dovrebbe essere diretto da istruttori esperti.

Il lavoro deve avere uno scopo preciso e deve essere approfondito. Sebbene ogni persona abbia bisogno di una certa conoscenza di diversi mestieri, è indispensabile che diventi abile in almeno uno di essi. Ogni giovane, al momento di lasciare la scuola, dovrebbe saper svolgere almeno un’attività, e avere un’occupazione che gli consenta, se necessario, di guadagnarsi da vivere. L’obiezione più spesso sollevata contro la formazione manuale nelle scuole è l’ingente spesa che comporta.

Ma l’obiettivo da raggiungere è degno del suo costo. Nessun’altra opera che ci è stata affidata è così importante come la formazione dei giovani, e ogni spesa richiesta per la sua giusta realizzazione è ben impiegata.

Anche dal punto di vista dei risultati finanziari, la spesa richiesta per la formazione manuale si rivelerebbe la più vera economia. Moltissimi ragazzi verrebbero così tenuti lontani dagli angoli delle strade e dalle droghe; le spese per i giardini, le officine e i bagni verrebbero più che compensate dal risparmio sugli ospedali e sui riformatori. E chi può valutare il valore per la società e la nazione di una gioventù, formata alla manualità e specializzata in attività utili e produttive?

Per rilassarsi dallo studio, le occupazioni svolte all’aria aperta, che permettono l’esercizio di tutto il corpo, sono le più benefiche. Nessuna linea di formazione manuale ha più valore dell’agricoltura. Bisognerebbe fare sforzi maggiori per creare e incoraggiare l’interesse per le attività agricole. L’insegnante deve richiamare l’attenzione su ciò che la Bibbia dice dell’agricoltura: il piano di Dio per l’uomo era quello di coltivare la terra; al primo uomo, sovrano del mondo, fu dato un giardino da coltivare; e molti dei più grandi uomini del pianeta, realmente nobili, sono stati dei coltivatori. Mostrate le opportunità di una tale vita. Il saggio dice: “Il re stesso è servito dal campo” {Ecclesiaste 5: 9}. Di colui che coltiva la terra la Bibbia dichiara, “Il suo DIO gl’insegna la regola da seguire e lo ammaestra” {Isaia 28: 26}. E ancora: “Chi ha cura del fico ne mangerà il frutto” {Proverbi 27: 18}.

Colui che si guadagna da vivere con l’agricoltura sfugge a molte tentazioni e gode di innumerevoli privilegi e benedizioni negate a coloro il cui lavoro si svolge nelle grandi città. E in questi giorni di gigantesche coalizioni economiche e di concorrenza commerciale, sono pochi coloro che godono di una così reale indipendenza e di una così grande certezza di un’equa remunerazione del proprio lavoro come il coltivatore della terra. Nello studio dell’agricoltura, agli alunni non deve essere fornita solo la teoria, ma anche la pratica. Mentre imparano ciò che la scienza può insegnare in merito alla natura e la preparazione del suolo, al valore delle diverse colture e ai migliori metodi di produzione, lasciate che mettano in pratica le loro conoscenze. Lasciate che gli insegnanti condividano il lavoro con gli studenti e mostrino quali risultati si possono ottenere con uno sforzo abile e intelligente. Così può essere risvegliato un interesse genuino, un’ambizione a svolgere il lavoro nel miglior modo possibile. Tale ambizione, insieme all’effetto rinvigorente dell’esercizio fisico, del sole e dell’aria pura, creeranno l’amore per il lavoro agricolo che, per molti giovani, determinerà la scelta di un’occupazione.

In questo modo si potrebbero innescare influenze che potranno contribuire a invertire la marea migratoria che ora si dirige così fortemente verso le grandi città. In questo modo, inoltre, le nostre scuole potrebbero aiutare efficacemente a smaltire le grandi masse di disoccupati.

Migliaia di esseri indifesi e affamati, il cui numero va ogni giorno ad alimentare le file delle classi criminali, potrebbero raggiungere l’autosostentamento in una vita felice, sana e indipendente se potessero essere indirizzati ad un lavoro abile e diligente nella coltivazione della terra.

Il beneficio di una formazione manuale è utile anche per i professionisti. Un uomo può avere una mente brillante, può essere pronto a cogliere idee, la sua conoscenza e la sua abilità possono assicurargli l’ammissione alla professione che ha scelto, eppure può essere ancora lontano dal possedere un’idoneità per i suoi compiti. Un’educazione costruita principalmente dai libri porta ad un pensiero superficiale. Il lavoro pratico incoraggia l’osservazione e il pensiero indipendente. Se svolto correttamente, tende a sviluppare quella saggezza pratica che chiamiamo “buon senso”. Sviluppa la capacità di pianificare ed eseguire, rafforza il coraggio e la perseveranza e richiede l’esercizio di tatto e abilità.

Il medico che ha posto le basi per la sua conoscenza professionale attraverso il servizio effettivo in infermeria avrà una rapidità di intuizione, una conoscenza a tutto tondo e la capacità, in caso di emergenza, di rendere il servizio necessario: tutte qualifiche essenziali che solo una formazione pratica può impartire in modo così completo.

Il ministro, il missionario, l’insegnante sperimenteranno che la loro influenza sulle persone aumenterà enormemente quando sarà evidente che essi possiedono conoscenza e abilità necessarie per i doveri pratici della vita quotidiana. E spesso il successo, forse la vita stessa, del missionario dipende dalla sua conoscenza delle cose pratiche. La capacità di preparare il cibo, di affrontare incidenti ed emergenze, di curare le malattie, di costruire una casa o una chiesa se necessario, spesso fanno la differenza tra il successo e il fallimento nella sua vita.

Nell’acquisire un’istruzione, molti studenti otterrebbero una formazione molto più solida se diventassero autosufficienti. Invece di contrarre debiti o dipendere dall’abnegazione dei genitori, lasciamo che i giovani uomini e le giovani donne dipendano da loro stessi. Impareranno così il valore del denaro, il valore del tempo, della forza e delle opportunità, e saranno molto meno tentati di indulgere nell’ozio e in abitudini frivole. Le lezioni di economia, di manualità, di rinunce, di gestione pratica degli affari e di costanza nei propositi, così apprese, si rivelerebbero una parte molto importante del loro bagaglio necessario per affrontare le battaglie della vita. E la lezione di auto-aiuto appresa dagli studenti contribuirà a preservare le istituzioni di apprendimento dal fardello del debito, sotto il quale molte scuole hanno lottato e che ha contribuito così tanto a paralizzarne l’utilità. Facciamo in modo che i giovani siano impressionati dal pensiero che l’educazione non è insegnare loro come sfuggire ai compiti sgradevoli e ai pesanti fardelli della vita, ma è quello di alleggerire il lavoro insegnando metodi migliori e obiettivi più elevati. Insegnate loro che il vero scopo della vita non è quello di un massimo guadagno possibile per sé stessi, ma di onorare il Creatore facendo la propria parte nel lavoro del mondo e nel dare una mano utile a chi è più debole o più ignorante.

Una delle principali ragioni per cui il lavoro fisico è guardato con disprezzo è il modo superficiale e sconsiderato in cui spesso viene svolto. Viene svolto per necessità, non per scelta. Il lavoratore non ci mette il cuore e non conserva il rispetto di sé né si guadagna quello degli altri. La formazione manuale dovrebbe correggere questo errore. Dovrebbe sviluppare abitudini di precisione e accuratezza. Gli alunni dovrebbero imparare il tatto e il metodo; dovrebbero imparare a risparmiare tempo e a dare senso ad ogni azione. Non solo devono imparare i metodi migliori, ma devono anche essere ispirati dall’ambizione di migliorare costantemente. Che il loro obiettivo sia di rendere il loro lavoro il più perfetto possibile per quanto, mani umane possano renderlo. Questa formazione renderà i giovani padroni e non schiavi del lavoro. Alleggerirà la sorte del duro lavoratore e nobiliterà anche l’occupazione più umile. Chi considera il lavoro come una semplice fatica e si adagia su di esso con ignoranza autocompiaciuta, senza fare alcuno sforzo per migliorare, lo troverà davvero un peso. Ma chi scorgerà la scienza anche nel lavoro più umile, vedrà in esso nobiltà e bellezza, e si compiacerà di svolgerlo con fedeltà ed efficienza.

Un giovane così formato, qualsiasi sia la sua vocazione nella vita, purché sia onesta, renderà la sua posizione utile e onorevole.

 

Formazione del carattere

“Guarda… di fare tutte le cose secondo il modello

che ti è stato mostrato sul monte”.

 

 

CAPITOLO 25 – EDUCAZIONE E CARATTERE

“La stabilità dei tuoi tempi… sarà la saggezza e la conoscenza”.

La vera educazione non ignora il valore delle conoscenze scientifiche o letterarie; ma al di sopra delle informazioni valorizza il talento, al di sopra del talento, la bontà, al di sopra delle acquisizioni intellettuali, il carattere.

Il mondo non ha tanto bisogno di uomini di grande intelletto quanto di uomini di nobile carattere. Ha bisogno di uomini le cui l’abilità sia controllata da solidi principi. “La sapienza è la cosa più importante; perciò acquista la sapienza” {Proverbi 4: 7}. “La lingua dei saggi usa la conoscenza rettamente” {Proverbi 15: 2}. La vera educazione impartisce questa saggezza. Insegna ad utilizzare al meglio non uno solo, ma tutti i nostri talenti e le nostre conoscenze. In questo modo copre l’intero cerchio dei nostri obblighi: verso noi stessi, verso il mondo e verso Dio.

La formazione del carattere è l’opera più importante che sia mai stata affidata all’uomo; e mai come ora il suo studio diligente è così di vitale importanza. Mai nessuna generazione precedente è stata chiamata ad affrontare questioni così importanti; mai prima d’ora i giovani uomini e le giovani donne si sono trovati di fronte a pericoli così grandi come quelli che corrono oggi. In un momento come questo, qual è il tipo di educazione impartita? A quale motivazione si fa più spesso appello? All’ egoismo. Gran parte dell’educazione impartita è una degenerazione di questa. La vera educazione favorisce lo sviluppo di una forza contraria all’ambizione egoistica, all’avidità di potere, al disprezzo per i diritti e dei bisogni dell’umanità, cose che sono la maledizione del nostro mondo.

Il piano di vita di Dio prevede un posto per ogni essere umano. Ognuno deve valorizzare al massimo i propri talenti; e la fedeltà nel farlo, sia che i doni siano pochi o siano molti, dà diritto all’onore. Nel piano di Dio non c’è posto per la rivalità egoistica. “Ma essi, misurandosi da se stessi e paragonandosi con se stessi, non hanno alcun intendimento” {2 Corinzi 10: 12}. Qualunque cosa facciamo deve essere fatta “nella forza che gli è fornita da Dio” {1 Pietro 4: 11}. “E qualunque cosa facciate, fatelo di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete la ricompensa dell’eredità, poiché voi servite a Cristo, il Signore” {Colossesi 3: 23-24}.

Prezioso è il servizio reso e l’educazione acquisita nell’attuazione di questi principi. Ma quanto è diversa la gran parte dell’educazione impartita oggi! Fin dai primi anni di vita del bambino, c’è un appello all’emulazione e alla rivalità; si promuove così l’egoismo, la radice di tutti i mali. Si creano così lotte per la supremazia e si incoraggia il sistema del “nozionismo”, che in molti casi distrugge la salute, e non permette di essere utili. In molti altri casi, l’emulazione porta alla disonestà; e, favorendo l’ambizione e il malcontento, inasprisce la vita e contribuisce a riempire il mondo di individui irrequieti e turbolenti che sono una minaccia continua per la società.

Il pericolo non riguarda solo i metodi. Si trova anche nella materia di studio. Quali sono le fonti su cui, durante gli anni più sensibili della vita, le menti dei giovani sono portate a dissetarsi? Nello studio della lingua e della letteratura, da quali sorgenti si insegna ai giovani ad abbeverarsi?

Dalle fonti del paganesimo, dalle fonti alimentate dalle corruzioni dell’antica idolatria. Si raccomanda loro di studiare gli autori, di cui, senza alcun dubbio, si dichiara che non hanno alcun riguardo per i principi della morale. E di quanti autori moderni si potrebbe dire lo stesso! Per molti di loro, la grazia e la bellezza del linguaggio, non sono altro che una copertura che nasconde elementi, che se visti nella loro reale deformità, respingerebbero il lettore! Oltre a tutto questo, c’è una moltitudine di scrittori di narrativa, che attirano verso sogni frivoli nei palazzi dell’agio. Questi scrittori potrebbero non essere accusati apertamente di immoralità, eppure il loro lavoro è causa di male. Rubano a migliaia e migliaia di persone il tempo, l’energia e l’autodisciplina richiesti dai severi problemi della vita. Nello studio della scienza, così come viene generalmente perseguito, ci sono pericoli altrettanto grandi. La teoria dell’evoluzione e gli errori che ne derivano, vengono insegnati ad ogni livello scolastico, dalla scuola materna all’università. Così lo studio della scienza, che dovrebbe impartire una conoscenza di Dio, è talmente confuso con speculazioni e teorie umane da condurre all’incredulità.

Anche lo studio della Bibbia, come troppo spesso è condotto nelle scuole, sta privando il mondo dell’inestimabile tesoro della Parola di Dio. Il lavoro dell’ “alta critica”, che seziona, congettura, e ricostruisce, distrugge la fede nella Bibbia come rivelazione divina; sta derubando alla Parola di Dio il potere di guidare, elevare ed ispirare le vite umane.

Quando i giovani usciranno dalle scuole per entrare nel mondo, si troveranno davanti alle seduzioni del peccato: passione per il denaro, per il divertimento e l’indulgenza, per l’ostentazione, il lusso e la stravaganza, per la superbia, la frode, la rapina e la rovina. Quali altri insegnamenti troveranno questi giovani?

Lo spiritismo afferma che gli uomini sono semidei non caduti; che “ogni mente giudicherà sé stessa”; che “la vera conoscenza pone gli uomini al di sopra di ogni legge”; che “tutti i peccati commessi sono innocenti”; che “ciò che è, è giusto” e che “Dio fa il suo dovere” giusto” e “Dio non condanna”. Gli esseri umani più abbietti sono rappresentati come se fossero già in cielo, e lì altamente innalzati. Così lo spiritismo dichiara a tutti gli uomini: “Non importa quello che fate; vivete come volete, il cielo è la vostra casa”. Le moltitudini sono così portate a credere che il desiderio sia la legge più alta, che la sregolatezza è libertà e che l’uomo deve rendere conto solo a sé stesso. Con questo insegnamento impartito all’inizio della vita, quando l’impulso è più forte e la richiesta di autocontrollo e di purezza è più urgente, dove sono le salvaguardie della virtù? Cosa impedisce al mondo di diventare una seconda Sodoma?

Allo stesso tempo, l’anarchia sta cercando di spazzare via ogni legge, non solo divina, ma anche umana. L’accentramento della ricchezza e del potere, le vaste alleanze per l’arricchimento di pochi a scapito dei molti, l’unione delle classi più povere per la difesa dei loro interessi e delle loro rivendicazioni, lo spirito di agitazione, di sommossa e di violenza, la diffusione in tutto il mondo degli stessi insegnamenti che hanno portato alla Rivoluzione francese, tutto ciò sta coinvolgendo il mondo intero in una lotta simile a quella che ha sconvolto la Francia.

Queste sono le influenze che la gioventù di oggi deve affrontare. In mezzo a tali sconvolgimenti, essa deve gettare le fondamenta del suo carattere. In ogni generazione e in ogni paese, il vero fondamento e il modello per la costruzione del carattere sono stati sempre gli stessi. La legge divina, “«Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso»” {Luca 10: 27}, che si manifesta nel carattere e nella vita del nostro Salvatore, è l’unico fondamento certo e l’unica guida sicura. “E sarà la sicurezza dei tuoi giorni, la forza della salvezza, sapienza e conoscenza” {Isaia 33: 6}, quella saggezza e quella conoscenza che solo la Parola di Dio può impartire. È vero ora, come quando furono pronunciate le parole ad Israele sull’obbedienza ai Suoi comandamenti: “poiché questa sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli” {Deuteronomio 4: 6}.

Ecco l’unica salvaguardia per l’integrità individuale, per la purezza della casa, e per il benessere della società. In mezzo a tutte le perplessità, i pericoli e le rivendicazioni contrastanti della vita, l’unica regola sicura e certa è quella di fare ciò che Dio dice. “I precetti dell’Eterno sono giusti” {Salmo 19: 8}. “Chi fa queste cose non sarà mai smosso” {Salmo 15: 5}.

 

 

CAPITOLO 26 – METODI DI INSEGNAMENTO

“Dare prudenza ai semplici, ai giovani conoscenza e discrezione”.

Per secoli l’educazione ha avuto a che fare principalmente con la memoria. Questa facoltà è stata sfruttata al massimo, mentre le altre forze mentali non sono state sviluppate in modo analogo. Gli studenti hanno trascorso il loro tempo ad affollare faticosamente la mente di conoscenze, delle quali solo una piccola parte poteva essere utilizzata. La mente così appesantita da ciò che non riesce ad assimilare, si indebolisce, diventa incapace di sostenere uno sforzo vigoroso e autonomo e si accontenta di dipendere dal giudizio e dalla percezione degli altri.

Vedendo i danni di questo metodo, alcuni sono passati ad un altro estremo. Secondo il loro punto di vista, l’uomo ha bisogno di sviluppare solo ciò che è dentro di sé. Questa educazione porta lo studente all’autosufficienza, tagliandolo fuori dalla fonte della vera conoscenza e della vera forza.

L’educazione che consiste nel riduttivo esercizio mnemonico, tende a scoraggiare il pensiero indipendente, ha un’importanza morale poco evidenziata. Lo studente che sacrifica la capacità di ragionare e giudicare da solo, diventa incapace di discernere tra verità ed errore e cade facile preda dell’inganno. È facilmente indotto a seguire la tradizione e la consuetudine. Un fatto ampiamente ignorato, anche se mai privo di pericolo, è che raramente l’errore appare per quello che è in realtà. E mescolandosi con la verità o attaccandosi ad essa, si fa accettare. Il mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male ha causato la rovina dei nostri primi genitori, e l’accettazione di una confusione tra bene e male è la rovina degli uomini e delle donne di oggi. La mente che dipende dal giudizio altrui, prima o poi, si lascerà trarre in inganno. Soltanto attraverso una personale dipendenza da Dio possiamo ottenere la capacità di scegliere tra il bene e il male. Ognuno per sé deve imparare da Lui attraverso la Sua Parola. Le nostre facoltà di ragionamento ci sono state date per essere usate e Dio desidera che ne facciamo uso. “Venite quindi e discutiamo assieme” {Isaia 1: 18}, ci invita. Affidandoci a Lui, potremo avere la saggezza di “rigettare il male e scegliere il bene” {Isaia 7: 15}.

In ogni vero insegnamento l’elemento personale è essenziale. Cristo durante nel Suo ministero ha trattato con gli uomini individualmente. Fu attraverso il contatto personale e l’amicizia che ha formato i Dodici. È stato in privato, e spesso ad un solo ascoltatore, che diede le Sue istruzioni più preziose. All’onorato rabbino durante il colloquio notturno sul Monte degli Ulivi e alla donna samaritana al pozzo di Sychar, dischiuse i Suoi tesori più ricchi, perché in questi uditori Egli discerneva un cuore sensibile, una mente aperta, e uno spirito ricettivo. Anche la folla che così spesso circondava i Suoi passi, non era per Cristo una massa indiscriminata di esseri umani. Egli parlò direttamente a tutte le menti e si appellò a tutti i cuori. Osservando i volti dei Suoi uditori, notava l’illuminazione dei loro volti, e lo sguardo rapido e reattivo indicava che la verità aveva raggiunto l’anima; e il Suo cuore vibrava di gioia solidale.

Cristo discerneva le potenzialità di ogni essere umano. Egli non si lasciava distogliere da un aspetto esteriore poco promettente o da un ambiente sfavorevole. Chiamò Matteo dal banco delle imposte, Pietro e i suoi fratelli dalla barca, perché lo seguissero e imparassero da Lui.

Lo stesso interesse personale, la stessa attenzione allo sviluppo individuale, sono necessari nel lavoro educativo di oggi. Molti giovani, apparentemente poco promettenti, sono invece dotati di talenti che non vengono utilizzati. Le loro facoltà sono nascoste per mancanza di discernimento da parte dei loro educatori.

In molti ragazzi o ragazze esteriormente poco attraenti come una pietra grezza, può trovarsi del materiale prezioso che resisterà alla prova del calore, della tempesta e della pressione. Il vero educatore, tenendo conto di ciò che i suoi alunni possono diventare, riconoscerà il valore del materiale su cui sta lavorando. Egli avrà un interesse personale per ogni allievo e cercherà di sviluppare tutti i suoi talenti. Per quanto imperfetto, ogni sforzo per conformarsi ai giusti principi sarà incoraggiato. Ad ogni giovane dovrebbe essere insegnata la necessità e la forza dell’applicazione. Da questo, molto più che dal genio o dal talento, dipende il successo. Senza impegno, i talenti più brillanti servono a ben poco, mentre con uno sforzo ben indirizzato, le persone dotate di comuni qualità naturali hanno compiuto meraviglie. E il genio, le cui realizzazioni ci lasciano meravigliati, è quasi invariabilmente unito ad uno sforzo instancabile e sistematico. I giovani devono essere educati a puntare allo sviluppo di tutte le loro facoltà, sia le più deboli che le più forti.

Molti hanno la tendenza a limitare lo studio ad alcune aree, per le quali hanno un’inclinazione naturale. È un errore che bisogna evitare. Le attitudini naturali indicano la direzione nella quale scegliere il lavoro della vita e, quando sono legittime, devono essere coltivate con cura. Allo stesso tempo bisogna tenere presente che un carattere ben equilibrato e un lavoro efficiente in qualsiasi campo, dipendono, in larga misura, da quello sviluppo armonioso che è il risultato di una formazione completa e approfondita.

L’insegnante deve puntare costantemente alla semplicità e all’efficacia. Dovrebbe insegnare in gran parte attraverso l’illustrazione, e anche nel trattare con gli alunni più grandi, dovrebbe essere attento a rendere ogni spiegazione semplice e chiara. Molti alunni, anche se non sono piccoli d’ età, sono spesso dei bambini dal punto di vista intellettuale.

Un elemento importante nel lavoro educativo è l’entusiasmo. Su questo punto c’è un utile suggerimento in un’osservazione fatta da un celebre attore. L’arcivescovo di Canterbury gli chiese perché gli attori di un’opera teatrale riuscissero ad influenzare il pubblico in modo così potente parlando di cose immaginarie, mentre i ministri del Vangelo spesso influenzavano così poco il loro pubblico parlando di cose reali. “Con la dovuta sottomissione alla Vostra grazia”, rispose l’attore, “permettetemi di dire che la ragione è evidente: sta nel potere dell’entusiasmo. Noi sul palcoscenico parliamo di cose immaginarie come se fossero reali, e voi sul pulpito parlate di cose reali come se fossero immaginarie”.

L’insegnante, nel suo lavoro, ha a che fare con cose reali, e dovrebbe parlarne con tutta la forza e l’entusiasmo di cui ha bisogno.

Ogni insegnante dovrebbe fare in modo che il suo lavoro tenda a risultati mirati. Prima di tentare di insegnare una materia, deve avere in mente un piano ben preciso e deve sapere esattamente cosa desidera ottenere. Non dovrebbe ritenersi soddisfatto fino a quando l’allievo comprenda il principio in questione, ne percepisce la verità e sia in grado di dire chiaramente ciò che ha imparato.

Finché si tiene presente il grande scopo dell’educazione, i giovani devono essere incoraggiati a progredire fin dove le loro capacità lo consentono. Ma prima di intraprendere i rami di studio più elevati, è bene che padroneggino con quelli più semplici. Questo aspetto è troppo spesso trascurato. Anche tra gli studenti delle scuole superiori e dell’università, c’è una grande carenza di conoscenze dei rami comuni dell’educazione. Molti studenti dedicano il loro tempo alla matematica più complessa quando non sono in grado di tenere una semplice contabilità. Molti studiano dizione con l’obiettivo di acquisire abilità oratorie, ma non sono in grado di leggere in modo comprensibile ed espressivo. Altri, infine, pur avendo terminato gli studi di retorica, falliscono nella composizione e nell’ortografia di una lettera ordinaria. Una conoscenza approfondita degli elementi essenziali dell’educazione dovrebbe essere, non solo, la condizione per l’ammissione ad un corso superiore, ma l’elemento di costante verifica, indispensabile per continuare e progredire.

In ogni ramo dell’istruzione ci sono obiettivi da raggiungere più importanti di quelli garantiti dalla semplice conoscenza tecnica. Prendiamo ad esempio la lingua. Più importante dell’acquisizione di lingue straniere, vive o morte, è la capacità di scrivere e parlare la propria lingua madre con facilità e precisione, ma nessuna conoscenza delle regole grammaticali può essere paragonata per importanza allo studio della lingua da un punto di vista più elevato.

Da questo studio sono dipendono, in larga misura, nella vita, la felicità e il dolore. Il requisito principale del linguaggio è che sia puro, gentile e vero: “l’espressione esteriore di una grazia interiore”. Dio dice: “tutte le cose che sono veraci, tutte le cose che sono oneste, tutte le cose che sono giuste, tutte le cose che sono pure, tutte le cose che sono amabili, tutte le cose che sono di buona fama, se vi è qualche virtù e se vi è qualche lode, pensate a queste cose” {Filippesi 4: 8}. E se tali sono i pensieri, tali saranno i modi di esprimersi.

La migliore scuola per questo studio del giusto linguaggio è la casa; ma poiché il lavoro domestico è così spesso trascurato, spetta all’insegnante aiutare i suoi allievi a formare abitudini di linguaggio corrette. L’insegnante può fare molto per scoraggiare questa cattiva attitudine a maldicenze, ai pettegolezzi, alle critiche sterili, che costituiscono una vera maledizione per la famiglia e la società. In questo non si deve risparmiare alcuno sforzo.

Imprimete agli studenti il fatto che questa abitudine rivela una mancanza di cultura e di raffinatezza e di vera bontà d’animo; li allontana dalle persone più fini e più colte della società e dalla compagnia dei santi del Cielo.

Pensiamo con orrore al cannibale che si nutre della carne ancora calda della sua vittima; ma chiediamoci: i risultati di questa pratica sono forse più terribili dell’agonia e della rovina causate dalla tendenza ad interpretare male le intenzioni altrui, a macchiarne la reputazione, a vivisezionarne il carattere? Lasciamo che i bambini, e anche i giovani, imparino ciò che Dio dice a proposito di queste cose: “La sorte fa cessare le liti e mette separazione fra i potenti” {Proverbi 18: 21}.

Nella Scrittura, i maldicenti sono classificati con i “nemici di Dio, ingiuriosi, superbi, vanagloriosi, ideatori di cose malvagie, disubbidienti ai genitori, senza intendimento, senza affidamento, senza affetto naturale, implacabili, spietati” {Romani 1: 30-31}, “essendo ripieni d’ogni ingiustizia, fornicazione, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, omicidio, contesa, frode, malignità” {Romani 1: 29}. È “il decreto di Dio secondo cui quelli che fanno tali cose sono degni di morte” {Romani 1: 32}. Dio considera un cittadino di Sion, colui che “dice la verità come l’ha nel cuore… che non calunnia con la sua lingua… e non lancia alcun insulto contro il suo prossimo” {Salmo 15: 2-3}.

La parola di Dio condanna anche l’uso di quelle frasi senza senso e di quelle imprecazioni che sfiorano il profano. Condanna i complimenti ingannevoli, le elusioni della verità, le esagerazioni, le false dichiarazioni commerciali, che sono ricorrenti nella società e nel mondo degli affari. “Ma il vostro parlare sia: Sì, sì, no, no; tutto ciò che va oltre questo, viene dal maligno” {Matteo 5: 37}. “Come un pazzo che scaglia tizzoni, frecce e morte, 19 così è colui che inganna il prossimo e dice: «Ho fatto per scherzo!»” {Proverbi 26: 18-19}.

Strettamente legato al pettegolezzo è l’insinuazione velata, l’allusione subdola, con cui gli impuri di cuore cercano di insinuare il male che non osano esprimere apertamente. I giovani devono essere educati ad evitare ogni approccio a queste pratiche come fuggirebbero dalla lebbra.

Nell’uso del linguaggio non c’è forse errore che, gli adulti e i giovani tollerino con maggiore facilità del modo di parlare frettoloso e impaziente, Pensano che sia una scusa sufficiente per dire: “Ero fuori controllo e non intendevo davvero dire quello che ho detto”. Ma la Parola di Dio non tratta questo tema con leggerezza. La Scrittura dice: “Hai visto un uomo precipitoso nel suo parlare? C’è più speranza per uno stolto che per lui” {Proverbi 29: 20}. “L’uomo che non sa dominare la propria ira è come una città smantellata senza mura” {Proverbi 25: 28}.

In un solo momento, con una lingua frettolosa, impetuosa e disattenta, si può compiere un dolore che il pentimento di una vita intera non riuscirà, a volte, a cancellare. Quanti cuori sono stai spezzati, quanti amici separati, e quante vite distrutte, dalle parole dure e affrettate di coloro che avrebbero potuto portare, invece, aiuto e guarigione! “Chi parla sconsideratamente è come se trafiggesse con la spada, ma la lingua dei saggi reca guarigione” {Proverbi 12: 18}.

Una delle caratteristiche che dovrebbe essere particolarmente curata e coltivata in ogni bambino è la capacità di pensare agli altri, cosa che conferisce alla vita una grazia inconsapevole. Di tutte le doti del carattere, questa è una delle più belle e, per ogni vero lavoro è una delle qualifiche più essenziali.

I bambini hanno bisogno di apprezzamento, comprensione e incoraggiamento, ma bisogna fare attenzione a non alimentare in loro l’amore per gli elogi. Non è saggio dare loro un’attenzione particolare, né ripetere davanti a loro le loro abilità. Il genitore o l’insegnante che tiene presente il vero ideale di carattere e le possibilità di riuscita, non può coltivare o incoraggiare la presunzione. Non incoraggerà nei giovani il desiderio di mostrare la propria abilità o competenza acquisita. Chi guarda più in alto di sé, sarà umile, pur possedendo una dignità che non si lascia intimidire dall’esibizione esteriore o dalla grandezza umana. Non è secondo regole arbitrarie che si sviluppano le migliori qualità del carattere, ma dimorando in un’atmosfera di purezza, nobiltà e verità. Purezza di cuore e nobiltà di carattere, sono doti che si riveleranno nell’azione e nella parola. “Chi ama la purezza di cuore e ha grazia sulle labbra avrà il re per amico” {Proverbi 22: 11}.

Come per il linguaggio, così per ogni altro studio, esso può essere condotto in modo tale da contribuire al rafforzamento e alla formazione del carattere. Ciò è particolarmente vero per la storia, che dovrebbe essere esamina dal punto di vista divino. Così come troppo spesso viene insegnata, la storia è poco più che un resoconto dell’ascesa e della caduta dei re, degli intrighi di corte, delle vittorie e delle sconfitte degli eserciti: una storia di ambizione e avidità, di inganni, crudeltà e spargimento di sangue. In questo modo, i suoi risultati non possono che essere deleteri. La ripetizione straziante di crimini e atrocità, le crudeltà rappresentate, piantano semi che in molte vite portano frutti in un raccolto di male. È molto meglio imparare, alla luce della parola di Dio, le cause che regolano l’ascesa e la caduta dei regni.

Lasciate che i giovani studino queste testimonianze storiche e vedano come la vera prosperità delle nazioni sia stata sempre legata all’accettazione dei principi divini. Che si studi la storia dei grandi movimenti riformatori, e si consideri che spesso questi principi fondamentali, anche se disprezzati e odiati, conducendo i loro sostenitori in prigione e sul patibolo, hanno trionfato proprio grazie a questi sacrifici.

Questo studio darà una visione ampia e completa della vita. Aiuterà i giovani a capire meglio le relazioni, le dipendenze, e il legame meraviglioso che unisce la grande famiglia della società e delle nazioni; farà infine capire loro fino a che punto l’oppressione o il degrado di un membro significhi una perdita per tutti.

Nello studio dell’aritmetica si segua un metodo pratico. Ogni giovane e ogni bambino venga educato non solo a risolvere problemi immaginari, ma a tenere un conto accurato delle proprie entrate ed uscite. Che ciascuno impari il giusto uso del denaro, adoperandolo. Sia che fornito dai genitori o dai propri guadagni, i bambini e le bambine imparino a scegliere e ad acquistare da soli i propri vestiti, i libri e altri beni di prima necessità.

impareranno, come in nessun altro modo, il valore e l’uso del denaro. Questa formazione li aiuterà a distinguere la vera economia dall’ingordigia da un lato e dalla prodigalità dall’altro. Se ben indirizzata, incoraggerà le abitudini di generosità. Aiuterà i giovani ad imparare a donare, non sotto la spinta di un momentaneo impulso, quando i loro sentimenti vengono sollecitati, ma in modo regolare e sistematico.

In questo modo ogni studio può diventare un aiuto per la soluzione del più grande di tutti i problemi educativi: la formazione degli uomini e delle donne che sappiano affrontare al meglio le responsabilità della vita.

 

 

CAPITOLO 27 – COMPORTAMENTO

“L’amore… non si comporta in modo sconveniente”.

Il valore della cortesia è troppo poco apprezzato. Molti di coloro che hanno gentilezza di cuore mancano di maniere cortesi. Molti di coloro che suscitano rispetto per la loro sincerità e rettitudine sono tristemente carenti in cordialità.

Questa mancanza offusca la loro felicità e sminuisce il servizio che possono rendere agli altri. Molte delle esperienze più dolci e utili della vita sono, spesso per mera mancanza di cortesia, sacrificate da chi non è gentile.

L’allegria e la cortesia dovrebbero essere coltivate in modo particolare da genitori e dagli insegnanti. Tutti possono possedere un volto allegro, una voce gentile, un modo di fare cortese, e questi sono elementi che favoriscono l’autorità. E poiché i bambini sono attratti da un atteggiamento allegro e solare, mostrate loro gentilezza e cortesia, e manifesteranno lo stesso spirito verso di voi e gli altri.

La vera cortesia, però, non si impara con la semplice pratica delle regole del galateo. La correttezza del comportamento va rispettata in ogni momento, ed ogni volta che il principio non viene compromesso, la considerazione verso gli altri, dovrà indurci ad adeguarci al rispetto delle consuetudini.

La vera cortesia, però, non richiede il sacrificio dei principi alle convenzioni sociali, ignora le caste, insegna il rispetto di sé, della dignità dell’uomo, e della grande famiglia umana. C’è il pericolo di attribuire un valore troppo alto alla forma e allo stile, e di dedicare troppo tempo all’educazione in questi termini. La vita è uno sforzo faticoso richiesto ad ogni giovane, è lavoro duro, spesso sgradevole anche per i doveri ordinari comuni, e molte energie vengono usate per alleggerire il pesante fardello dell’ignoranza e della miseria del mondo, tutto ciò lascia poco spazio alle convenzioni. Molti di coloro che pongono grande enfasi sull’etichetta, mostrano poco rispetto per qualsiasi cosa, per quanto eccellente, che non soddisfi i loro standard artificiali.

Questa è una falsa educazione. Favorisce l’orgoglio critico e l’esclusività. L’essenza della vera educazione è la considerazione per gli altri. L’educazione essenziale e duratura è quella che amplia le simpatie ed incoraggia la gentilezza universale. Quella cosiddetta cultura che non rende un giovane rispettoso nei confronti dei suoi genitori, riconoscente delle loro qualità, tollerante nei confronti dei loro difetti e disponibile alle loro necessità, che non lo renda premuroso e tenero, generoso e disponibile verso i giovani, gli anziani e gli sfortunati, e cortese verso tutti, è un vero fallimento.

La vera raffinatezza di pensiero e di modi si apprende meglio alla scuola del Maestro divino piuttosto che dall’osservanza di regole prestabilite. Il Suo amore che pervade il cuore dà al carattere quei tocchi di raffinatezza che lo modellano secondo le Sue sembianze. Questa educazione conferisce una dignità e un senso di correttezza celestiali. Dà una dolcezza d’animo e di modi che non potrà mai essere eguagliata dalla superficiale lucentezza della società alla moda. La Bibbia esorta alla cortesia e presenta molte illustrazioni dello spirito altruista, della grazia gentile, del temperamento incantevole, che caratterizzano la vera cortesia. Questi non sono che i riflessi del carattere di Cristo.

Tutte le vere tenerezze e cortesie, anche tra coloro che non riconoscono il Suo nome, provengono da Lui. Egli desidera che queste caratteristiche si riflettano perfettamente nei Suoi figli. Il Suo scopo è che gli uomini vedano la Sua bellezza in noi. Il più prezioso trattato di buone maniere mai scritto si trova nella preziosa istruzione data dal Salvatore, con l’intervento dello Spirito Santo, parole che dovrebbero essere scritte in modo indelebile nella memoria di ogni essere umano, giovane o anziano: “come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri” {Giovanni 13: 34}.

“L’amore è paziente, è benigno; l’amore non invidia, non si mette in mostra, non si gonfia, non si comporta in modo indecoroso, non cerca le cose proprie, non si irrita, non sospetta il male; non si rallegra dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità, tollera ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non viene mai meno” {1 Corinzi 13: 4-8}.

Un’altra grazia preziosa che va custodita con cura è il rispetto. Il vero rispetto per Dio è ispirato dal senso della Sua infinita grandezza e dalla consapevolezza della Sua presenza. Con questo senso dell’invisibile, il cuore di ogni bambino dovrebbe essere profondamente colpito.

L’ora e il luogo di preghiera e i servizi di culto pubblico dovrebbero essere considerati sacri dal bambino, perché Dio è lì. La riverenza si manifesta nell’atteggiamento e nel comportamento e il sentimento che la ispira sarà approfondito.

Sarebbe bene che giovani e anziani studiassero, riflettessero e ripetessero spesso le parole della Sacra Scrittura che mostrano come deve essere considerato il luogo segnato dalla presenza speciale di Dio. Che comandò a Mosè al roveto ardente: “«Non avvicinarti qui; togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo santo»” {Esodo 3: 5}.

Giacobbe, dopo aver visto la visione degli angeli, esclamò: “«Certamente l’Eterno è in questo luogo, e io non lo sapevo… Questa non è altro che la casa di DIO, e questa è la porta del cielo!»” {Genesi 28: 16, 17}. “Ma l’Eterno è nel suo tempio santo; tutta la terra faccia silenzio davanti a lui” {Abacuc 2: 20}.

“Poiché l’Eterno è un Dio grande e un gran Re su tutti gli dèi” {Salmo 95: 3}; “Venite, adoriamo e inchiniamoci; inginocchiamoci davanti all’Eterno che ci ha fatti” {Salmo 95: 6}.

“È lui che ci ha fatti e non noi da noi stessi; noi siamo il suo popolo e il gregge del suo pascolo. Entrate nelle sue porte con ringraziamento e nei suoi cortili con lode; celebratelo, benedite il suo nome” {Salmo 100: 3-4}.

Anche il nome di Dio deve essere oggetto di rispetto. Mai pronunciare questo nome con leggerezza o senza pensare. Anche nella preghiera la Sua ripetizione frequente o inutile deve essere evitata. “Santo e tremendo è il suo nome” {Salmo 111: 9}. Gli angeli, quando lo pronunciano, si velano il volto. Con quale riverenza noi, decaduti e peccatori, dovremmo pronunciarlo sulle nostre labbra!

Dovremmo onorare la Parola di Dio, mostrarne rispetto, senza usarlo o maneggiarlo con noncuranza. E mai le Scritture dovrebbero essere citate per scherzo o parafrasando per indicare un modo di dire spiritoso. “Ogni parola di Dio è raffinata col fuoco” {Proverbi 30: 5}; “come argento raffinato in una fornace di terra, purificato sette volte” {Salmo 12: 6}.

Soprattutto, insegniamo ai bambini che la vera riverenza si dimostra con l’obbedienza. Dio non ha comandato nulla che non sia essenziale, e non c’è altro modo di manifestare un rispetto così gradito a Lui come l’obbedienza a ciò che Egli ha detto.

Il rispetto deve essere mostrato nei confronti dei rappresentanti di Dio: ministri, insegnanti e genitori che sono chiamati a parlare e ad agire in Sua vece. Nel rispetto che viene loro mostrato, Egli viene onorato. Dio ha imposto un rispetto particolare per gli anziani. Egli dice: “I capelli bianchi sono una corona di gloria; la si trova sulla via della giustizia” {Proverbi 16: 31}. Essi raccontano di battaglie combattute e di vittorie; di fardelli sopportati e di tentazioni resistite. Raccontano di piedi stanchi che si avvicinano al riposo, di posti che presto saranno vuoti. Aiutate i bambini a pensare a questo, e cercheranno di appianare il cammino degli anziani con la loro cortesia e il loro rispetto, e porteranno grazia e bellezza nelle loro giovani vite quando ascolteranno il comando di “Alzati davanti al capo canuto, onora la persona del vecchio” {Levitico 19: 32}.

I padri, le madri e gli insegnanti devono apprezzare maggiormente la responsabilità e l’onore che Dio ha posto su di loro, rendendoli, per il bambino, i rappresentanti di Sé Stesso. Il carattere rivelato nel contatto della vita quotidiana interpreterà al bambino, nel bene e nel male, le parole di Dio: “Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso l’Eterno verso quelli che lo temono” {Salmo 103: 13}. “Come una madre consola il proprio figlio, così io consolerò voi” {Isaia 66: 13}.

Felice quel bambino, in cui parole come queste risvegliano amore, gratitudine e fiducia; beato quel bambino al quale la tenerezza, la giustizia e la pazienza del padre, della madre e dell’insegnante evocano l’amore, la giustizia e la pazienza e la misericordia di Dio; beato il bambino che, con la fiducia, l’ubbidienza e la riverenza nei confronti dei suoi genitori impara a fidarsi, obbedire ed adorare il suo Dio. Chi comunica al bambino o all’allievo un tale dono, lo ha dotato di un tesoro più prezioso delle ricchezze di tutti i secoli, un tesoro duraturo come l’eternità.

 

 

CAPITOLO 28 – RELAZIONE TRA ABBIGLIAMENTO E CARATTERE

“In abiti modesti… La figlia del re è tutta gloriosa dentro”.

Una preparazione non può ritenersi completa se non insegna i giusti principi in materia di abbigliamento. Senza questo insegnamento, il lavoro dell’educazione è troppo spesso ritardato e distorto. L’amore per l’abbigliamento e la devozione alla moda, sono tra i più temibili rivali e i più efficaci ostacoli dell’insegnante. La moda governa con mano di ferro. In moltissime case la forza, il tempo e l’attenzione dei genitori e dei bambini sono assorbiti per soddisfare le sue richieste. I ricchi sono determinati a conformarsi ai suoi stili sempre diversi; le classi medie e povere si sforzano di avvicinarsi agli standard stabiliti da chi, si suppone sia al di sopra di loro. Dove i mezzi o le forze sono limitate e l’ambizione per la raffinatezza è grande, il fardello diventa quasi insopportabile.

Per molti non ha importanza quanto possa essere conveniente o elegante un abito, se la moda cambia, deve essere rifatto o messo da parte. I membri della famiglia sono condannati ad una fatica incessante.

Non c’è tempo per istruire i figli, non c’è tempo per la preghiera o lo studio della Bibbia, non c’è tempo per aiutare i più piccoli a conoscere Dio attraverso le Sue opere. Non c’è tempo, né denaro per fare beneficenza. E spesso, la stessa alimentazione è trascurata. Il cibo è mal selezionato e preparato frettolosamente, da soddisfare solo in parte le esigenze dell’organismo. Il risultato sono errate abitudini alimentari, che creano malattie e portano all’intemperanza. L’amore per l’ostentazione produce stravaganza, e in molti giovani uccide l’aspirazione ad una vita più nobile. Invece di avere una solida formazione culturale, si dedicano presto a qualche occupazione per guadagnare i soldi e assecondare la passione per l’abbigliamento. E attraverso questa passione molte ragazze sono state abbindolate e portate alla rovina.

In molte case le risorse familiari sono sovraccariche. Il padre, incapace di soddisfare le richieste della madre e dei figli, si lascia andare alla disonestà, con il conseguente risultato del disonore e della rovina. Persino il giorno di adorazione e i servizi di culto non sono esenti dal richiamo della moda. La Chiesa viene trasformata in una passerella, e si fa più attenzione all’abbigliamento che al sermone. I poveri, incapaci di uniformarsi alle esigenze di questa abitudine, preferiscono non recarsi affatto in Chiesa. Il giorno di riposo viene trascorso nell’ozio, e dai giovani spesso in attività che sono demoralizzanti.

A scuola, le ragazze sono vestite in modo inadeguato e scomodo, con abiti non adatti né allo studio né alla ricreazione. Le loro menti sono angosciate e l’insegnante ha il difficile compito di risvegliare il loro interesse.

Per spezzare l’incantesimo della moda, l’insegnante spesso non trova espediente più efficace del contatto con la natura. Lasciate che gli alunni provino la gioia di trovarsi sulle sponde di un fiume, di un lago o sulle rive del mare; lasciate che si scalino le colline, che guardino lo splendore del tramonto, esplorino i tesori dei boschi e dei campi; che imparino il piacere di coltivare piante e fiori; e l’importanza di un fiocco o di un volant in più cadrà nell’irrisorietà. Guidate i giovani a capire che nel vestire, come nell’alimentazione, la vita semplice è indispensabile per un pensiero elevato. Fate capire loro quanto c’è da imparare e da fare; quanto sono preziosi i giorni della giovinezza come preparazione per il lavoro della vita. Aiutateli a vedere quali tesori ci sono nella parola di Dio, nel libro della natura e nelle testimonianze di vite dignitose. Fate in modo che la loro mente sia rivolta alle sofferenze che potrebbero alleviare. Aiutateli a capire che il denaro sperperato per l’ostentazione, li priva della possibilità di sfamare gli affamati, vestire chi ne ha bisogno e confortare chi soffre.

Non possono permettersi di perdere le opportunità gloriose della vita, di sminuire le loro menti, di rovinare la propria salute e di distruggere la propria felicità, per obbedire a direttive che non hanno alcun fondamento nella ragione, nel comfort o nella bellezza. Allo stesso tempo, i giovani dovrebbero essere educati a riconoscere la lezione della natura: “Egli ha fatto ogni cosa bella nel suo tempo” {Ecclesiaste 3: 11}.

Nel vestire, come in tutte le altre cose, è nostro privilegio onorare il nostro Creatore. Egli desidera che il nostro abbigliamento sia non solo ordinato e salutare, ma anche appropriato e adeguato. Il carattere di una persona si rivela anche nel suo modo di vestire. Un gusto raffinato, una mente colta, si rivelerà nella scelta di un abbigliamento semplice e appropriato. Un modo semplice nel vestire, se unito con la modestia del comportamento, contribuirà a circondare una giovane donna di quell’atmosfera di sacro riserbo che sarà per lei uno scudo da mille pericoli.

Insegniamo alle ragazze che l’arte di vestirsi bene include la capacità di confezionare i propri abiti. È un’ambizione che ogni ragazza dovrebbe coltivare. Sarà un mezzo di utilità e di indipendenza che non può permettersi di perdere.

È giusto amare la bellezza e desiderarla; ma Dio desidera che amiamo e cerchiamo innanzitutto la bellezza più alta, quella che è eterna.

Le più raffinate produzioni dell’arte umana non possiedono una bellezza che possa essere paragonata a quella del carattere che, agli occhi di Dio, è di “gran prezzo”.

Insegniamo ai giovani e ai bambini a scegliere per sé quella veste regale tessuta al telaio del Cielo, “di lino finissimo, puro e risplendente” {Apocalisse 19: 8}, che tutti i santi della Terra indosseranno. Questa veste, che è il carattere immacolato di Cristo stesso, è offerta gratuitamente ad ogni essere umano. Ma tutti coloro che la ricevono, la indossano già da ora, qui.

Insegniamo ai bambini che, aprendo la mente ai pensieri puri e amorevoli e compiendo azioni tenere ed utili, essi si vestono con la bellissima veste del carattere di Cristo. Questo abito li renderà belli e amati qui, e in futuro sarà il loro titolo di ammissione al palazzo del Re. La Sua promessa è: “Cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degne” {Apocalisse 3: 4}.

 

 

CAPITOLO 29 – IL SABATO

“È un segno tra Me e voi… affinché sappiate che Io sono il Signore”.

Il valore del Sabato come strumento di educazione è inestimabile. Qualunque cosa Dio pretenda da noi, ce la restituisce, arricchito, trasfigurato dalla Sua stessa gloria. La decima che ha richiesto ad Israele è stata dedicata a preservare tra gli uomini, nella Sua gloriosa bellezza, il modello del Suo tempio nei cieli, e segno della Sua presenza sulla terra. Così quella parte del nostro tempo che Egli reclama ci viene restituita con il Suo nome e il Suo sigillo. Dice l’Eterno: “«È un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l’Eterno che vi santifica»” {Esodo 31: 13}, “poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si riposò; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno di sabato e l’ha santificato” {Esodo 20: 11}.

Il Sabato è un segno di potenza creatrice e redentrice; indica Dio come fonte di vita e di conoscenza; richiama la gloria primordiale dell’uomo e testimonia così il proposito di Dio di ricrearci a Sua immagine e somiglianza. Il Sabato e la famiglia sono stati istituiti nell’Eden e, nel proposito di Dio, sono indissolubilmente legati tra loro. In questo giorno più di ogni altro è possibile vivere la vita dell’Eden. Il piano di Dio prevedeva che i membri della famiglia fossero insieme nel lavoro e nello studio, nel culto e nella ricreazione, il padre come sacerdote della sua casa, e con la madre fosse insegnante e amico dei figli. Ma le conseguenze del peccato, avendo cambiato le condizioni di vita, impediscono in larga misura questa vicinanza. Spesso il padre non vede quasi mai i volti dei suoi figli durante la settimana.

È quasi del tutto privo di occasioni di compagnia o di istruzione. Ma l’amore di Dio ha posto un limite alle esigenze della fatica. Sul sabato pone la Sua mano misericordiosa. Nel Suo giorno preserva per la famiglia l’opportunità di comunione con Lui, con la natura e tra di loro. Poiché il Sabato è il memoriale della potenza creatrice, è il giorno più importante di tutti gli altri in cui dobbiamo conoscere Dio attraverso le Sue opere.

Nella mente dei bambini il pensiero del Sabato dovrebbe essere legato alla bellezza delle cose create. Felice è la famiglia che può recarsi al luogo di culto il sabato come Gesù e i Suoi discepoli andavano alla sinagoga, attraversando i campi, costeggiando le rive del fiume, o passando per i boschetti. Benedetti quei genitori che possono insegnare ai loro figli la parola scritta di Dio con illustrazioni tratte dalle pagine aperte del libro della natura, che possono riunirsi sotto il verde degli alberi, nell’aria fresca e pura, per studiare la parola e cantare le lodi del Padre celeste. Grazie a questa unione, i genitori possono legare i figli ai loro cuore, e quindi a Dio, con legami che non potranno mai essere spezzati.

Il sabato, come mezzo di sviluppo intellettuale, offre opportunità inestimabili. La lezione della Scuola del sabato deve essere appresa, non con un’occhiata frettolosa alle Scritture il sabato mattina, ma con un attento studio, a partire dal sabato pomeriggio, e con un ripasso giornaliero durante la settimana. In questo modo la lezione si fisserà nella memoria, come un tesoro che non andrà mai del tutto perduto.

Durante l’ascolto del sermone, genitori e figli devono prendere nota del testo e delle Scritture citate, e ripeterseli vicendevolmente a casa. Questo contribuirà ad alleviare la stanchezza con cui spesso i bambini ascoltano un sermone, e coltivare in tutti l’abitudine all’attenzione e al pensiero logico. La meditazione sui temi così suggeriti aprirà allo studente tesori impensati. Proverà nella sua vita la realtà dell’esperienza descritta nelle Scritture: “Appena ho trovato le tue parole, le ho divorate; la tua parola è stata per me la gioia e l’allegrezza del mio cuore” {Geremia 15: 16}. “Mediterò sui tuoi statuti” {Salmo 119: 48}. “Sono più desiderabili dell’oro, sì, più di molto oro finissimo… Anche il tuo servo è da essi istruito; vi è grande ricompensa ad osservarli” {Salmo 19: 10-11}.

 

CAPITOLO 30 – FEDE E PREGHIERA

“La fede è certezza di cose che si sperano…

Credete di ricevere… e riceverete”.

La fede è confidare in Dio, credere che Lui ci ama e conosce meglio di chiunque altro cosa sia meglio per il nostro bene. Così, invece di scegliere la nostra strada, ci porta a scegliere la Sua. Al posto della nostra ignoranza, ci dona la Sua saggezza; al posto della nostra debolezza, la Sua forza; invece della nostra peccaminosità, la Sua giustizia. La nostra vita, noi stessi, siamo già Suoi; la fede riconosce di essere Sua proprietà e ne accetta le benedizioni che ne derivano. Verità, rettitudine, purezza, sono state indicate come segreti del successo nella vita. È la fede che ci mette in possesso di questi principi.

Ogni buon impulso o aspirazione è un dono di Dio; da Lui la fede riceve la vita che sola può produrre vera crescita ed efficienza. Come esercitare la fede dovrebbe essere molto chiaro. Ad ogni promessa di Dio ci sono delle condizioni. Se siamo disposti a fare la Sua volontà, tutta la Sua forza è nostra. Qualunque dono Egli prometta, è racchiuso nella promessa stessa. “La semente è la parola di Dio” {Luca 8: 11}. Come potenzialmente la quercia è nella ghianda, così il dono di Dio è nella Sua promessa. Se riceviamo la promessa, abbiamo il dono. La fede che ci permette di ricevere i doni di Dio è essa stessa un dono, che è distribuito in una certa misura ad ogni essere umano.

Essa cresce quando esercitata nell’appropriazione della Parola di Dio. Per rafforzare fede, dobbiamo metterla spesso in contatto con le Scritture. Nello studio della Bibbia lo studente dovrebbe essere guidato a vedere la potenza della Parola di Dio. Nella creazione, “Poiché egli parlò e la cosa fu; egli comandò e la cosa sorse” {Salmo 33: 9}. Egli “chiama le cose che non sono come se fossero” {Romani 4: 17), perché quando le chiama, esse sono. Quante volte coloro che si sono fidati della Parola di Dio, pur essendo del tutto impotenti, hanno resistito alla potenza del mondo – Enoc, puro di cuore, santo nella vita, mantenne la sua fede nel trionfo della rettitudine, contro una generazione corrotta e beffarda; Noè e la sua famiglia resistettero contro gli uomini del suo tempo, uomini di grande forza fisica e mentale, ma moralmente degradati; i figli di Israele al Mar Rosso, schiavi indifesi e terrorizzati, vinsero contro l’esercito più poderoso della nazione più potente del mondo; Davide, un pastorello, avuta la promessa da Dio del trono, vinse contro Saul, monarca affermato, intenzionato a mantenere il suo potere; Shadrach e i suoi compagni sconfissero la forza del fuoco e le minacce del re Nabucodonosor; Daniele tra i leoni, vinse i suoi nemici nelle alte sfere del regno; Gesù sulla croce, ottenne la vittoria sui sacerdoti e i governanti ebrei che costringevano persino il governatore romano a fare la loro volontà; Paolo, portato alla morte in catene come un criminale, non cedette a Nerone, despota di un impero mondiale.

Questi esempi non si trovano solo nella Bibbia. Abbondano in ogni vicenda del progresso umano. I Valdesi e gli Ugonotti, Wycliffe e Huss, Girolamo e Lutero, Tyndale e Knox, Zinzendorf e Wesley, e moltissimi altri, hanno testimoniato il potere della Parola di Dio contro il potere e la politica umana a sostegno del male. Questa è la vera nobiltà del mondo. Questa è la sua stirpe reale. Di questa dinastia i giovani di oggi sono chiamati a farne parte.

La fede è necessaria nei piccoli come nei grandi affari della vita. In tutti i nostri interessi e le nostre occupazioni quotidiane, la forza sostenitrice di Dio diventa reale attraverso una fiducia costante in Lui. Da un punto di vista umano, la vita è per tutti un sentiero inesplorato. È un cammino in cui, per quanto riguarda le nostre esperienze più profonde, ognuno di noi procede da solo. Nessun altro essere umano può entrare pienamente nella nostra vita interiore. Quando un bambino si avvia verso questo viaggio in cui, quanto deve essere intenso lo sforzo per dirigere la sua fiducia verso la Guida e l’Aiuto sicuri!

Come scudo contro le tentazioni e come ispirazione alla purezza e alla verità, nessun’altra influenza può eguagliare la percezione della presenza di Dio. “Tutte le cose sono nude e scoperte agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto” {Ebrei 4: 13}. “Tu hai gli occhi troppo puri per vedere il male e non puoi guardare l’iniquità” {Abacuc 1: 13}.

Questo pensiero fu lo scudo di Giuseppe in mezzo alle corruzioni dell’Egitto. Alle lusinghe della tentazione la sua risposta fu ferma: “Come dunque potrei io fare questo grande male e peccare contro Dio?” {Genesi 39: 9}.

La fede, se custodita, fornirà ad ogni anima un tale scudo. Solo il senso della presenza di Dio può scacciare la paura che, per un bambino timido, renderebbe la vita un peso. Lasciategli fissare nella memoria la promessa: “L’Angelo dell’Eterno si accampa attorno a quelli che lo temono e li libera” {Salmo 34: 7}.

Fate leggere loro la meravigliosa storia di Eliseo che stava sulla cima di una montagna e, vedeva tra lui e l’esercito dei nemici armati, una potente schiera di angeli celesti. Raccontate loro come a Pietro, in prigione e condannato a morte, l’angelo di Dio gli sia apparso; come, superate le guardie armate, le porte massicce e il grande cancello di ferro con i suoi catenacci e le sue sbarre, l’angelo condusse il servo di Dio al sicuro.

Lasciate che leggano di quella scena sul mare, quando ai soldati e marinai, logorati dal lavoro, dalla sorveglianza e dal lungo digiuno, Paolo, il prigioniero, in viaggio verso il processo e l’esecuzione, pronunciò quelle grandiose parole di coraggio e di speranza: “Ma ora vi esorto a non perdervi d’animo, perché non vi sarà perdita della vita di alcuno di voi… Poiché mi è apparso questa notte un angelo di Dio, al quale appartengo e che io servo, 24 dicendo: “Paolo, non temere, tu devi comparire davanti a Cesare; ed ecco, Dio ti ha dato tutti coloro che navigano con te” {Atti 27: 22-24}. Nella fede di questa promessa, Paolo assicurò ai suoi compagni: “neppure un capello del nostro capo perirà” {Atti 27: 34}. E così avvenne. Poiché c’era in quella nave un solo uomo attraverso il quale Dio poteva operare, l’intero carico di soldati e marinai pagani fu preservato. “Tutti poterono mettersi in salvo a terra” {Atti 27: 44}.

Queste cose non sono state scritte solo perché noi potessimo leggerle, ma perché la stessa fede che operò nei servitori di Dio di un tempo, possa operare anche in noi. In modo non meno marcato di quanto ha operato allora, opererà ora ovunque ci siano cuori di fede che siano canali della Sua potenza.

Ai diffidenti, la cui mancanza di fiducia in sé stessi li porta a sottrarsi alle cure e alle responsabilità, venga insegnato a fare affidamento su Dio. In questo modo, molti di coloro che altrimenti sarebbero una nullità nel mondo, se non addirittura individui aggravati dall’incapacità di aiutare persino se stessi, potranno dire con l’apostolo Paolo: “Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” {Filippesi 4: 13}.

Anche per il bambino che si risente subito delle offese, la fede racchiude preziosi insegnamenti. La tendenza a resistere al male o a vendicarsi del torto subito è spesso dettata da uno spiccato senso di giustizia e da uno spirito attivo ed energico. A questo bambino va insegnato che Dio è l’Eterno custode dei diritti. Egli ha una tenera cura per gli esseri che ha tanto amato da dare il Suo amato Figlio per salvarli. Egli si occuperà di ogni malfattore. “Perché chi tocca voi tocca la pupilla del suo occhio” {Zaccaria 2: 8}. “Rimetti la tua sorte nell’Eterno, confida in lui, ed egli opererà. Egli farà risplendere la tua giustizia come la luce e la tua rettitudine come il mezzodì” {Salmo 37: 5-6}.

“L’Eterno sarà un rifugio inespugnabile per l’oppresso, un rifugio inespugnabile in tempi di distretta. E quelli che conoscono il tuo nome confideranno in te, perché tu, o Eterno, non abbandoni quelli che ti cercano” {Salmo 9: 9-10}.

La compassione che Dio manifesta verso di noi, ci chiede di manifestarla verso gli altri. Incoraggiate quanti sono impulsivi, autosufficienti, vendicativi a contemplare colui che è mite e umile, colui che condotto come un agnello al macello, non si ribellò come una pecora muta davanti ai suoi tosatori. Indicate loro Colui che è stato trafitto per i nostri peccati, appesantito dai nostri dolori, e impareranno a sopportare, a tollerare e a perdonare.

Attraverso la fede in Cristo, ogni carenza del carattere può essere colmata, ogni contaminazione purificata, ogni difetto corretto, ogni eccellenza sviluppata. “E voi avete ricevuto la pienezza in lui” {Colossesi 2: 10}.

La preghiera e la fede sono strettamente legate e devono essere studiate insieme. Nella preghiera ispirata dalla fede c’è una scienza divina, una scienza che tutti coloro che vogliono avere successo nella propria vita devono comprendere. Cristo dice: “Tutte le cose che domandate pregando, credete di riceverle e le otterrete” {Marco 11: 24}.

Egli chiarisce che la nostra richiesta deve essere conforme alla volontà di Dio; dobbiamo chiedere le cose che Egli ha promesso, e qualsiasi cosa riceviamo deve essere usata per fare la Sua volontà. Se le condizioni sono rispettate, la promessa si compirà inequivocabilmente. Noi possiamo pregare per il perdono dei peccati, per lo Spirito Santo, per un’indole simile a quella di Cristo, per la saggezza e la forza per compiere la Sua opera, per qualsiasi dono che Egli ha promesso; poi dobbiamo credere che riceveremo e ringraziare Dio di averlo ricevuto.

Non dobbiamo cercare alcuna prova della benedizione. Il dono è nella promessa e noi possiamo andare avanti nel nostro lavoro certi che il dono, che già possediamo, si concretizzerà quando ne avremo più bisogno. Vivere in questo modo secondo la Parola di Dio significa consegnare al Signore tutta la nostra vita. Proveremo un continuo senso di bisogno e di dipendenza, un’attrazione del cuore verso Dio. La preghiera è una necessità, perché è la vita dell’anima. La preghiera in famiglia e in pubblico ha il suo posto, ma è la comunione segreta con Dio che sostiene la vita dell’anima.

Fu sul monte con Dio che Mosè vide il modello di quel meraviglioso edificio che sarebbe stato la dimora della Sua gloria. È sul monte con Dio, nel luogo segreto di comunione, che dobbiamo contemplare il Suo ideale glorioso per l’umanità. Così saremo in grado di modellare il nostro carattere in modo tale che per noi si realizzi la Sua promessa: “«Io abiterò in mezzo a loro, e camminerò fra loro; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo»” {2 Corinzi 6: 16}.

Fu nelle ore di preghiera solitaria che Gesù, nella Sua vita terrena ricevette saggezza e potenza. Che i giovani seguano il Suo esempio di trovare all’alba e al tramonto, un tempo tranquillo per la comunione con il Padre celeste. E durante il giorno innalzino i loro cuori a Dio. Ad ogni passo del nostro cammino, Egli dice: “Poiché io, l’Eterno, il tuo DIO, ti prendo per la mano destra e ti dico: «Non temere, io ti aiuto»” {Isaia 41: 13}. Se i nostri figli potessero apprendere queste lezioni nel mattino dei loro anni, quale freschezza e forza, quale gioia e dolcezza verrebbero portate nella loro vita!

Queste sono lezioni che solo chi ha imparato personalmente può insegnare. L’insegnamento delle Scritture non produce talvolta sui piccoli e sui giovani un insegnamento maggiore perché, tanti genitori e insegnanti professano di credere alla Parola di Dio mentre la loro vita nega la Sua potenza. A volte i giovani sono portati a sentire il potere della Parola, vedono la preziosità dell’amore di Cristo, contemplano la bellezza del Suo carattere, le possibilità di una vita donata al Suo servizio, ma in contrasto notano la vita non trasformata di coloro che professano di rispettare i precetti di Dio. Quanto sono vere le parole che furono dette al profeta Ezechiele: Il tuo popolo “si parlano l’un l’altro, dicendo ognuno al proprio fratello: «Venite a sentire qual è la parola che viene dall’Eterno». Così vengono da te come fa la gente, si siedono davanti a te come il mio popolo e ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica; con la loro bocca, infatti, mostrano tanto amore, ma il loro cuore va dietro al loro ingiusto guadagno. Ecco, tu sei per loro come una canzone d’amore di uno che ha una bella voce e sa suonare bene uno strumento; essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica” {Ezechiele 33: 30-32}.

Una cosa è trattare la Bibbia come un libro di buone istruzioni morali, fin là dove è coerente con lo spirito del tempo e con la nostra posizione nel mondo, un’altra cosa è considerarla come è: la Parola del Dio vivente, la Parola che è la nostra vita, la Parola che deve plasmare le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri. Ritenere che la Bibbia sia qualcosa di meno di questo significa rifiutarla. E questo rifiuto da parte di coloro che professano di crederci, è la prima tra le cause dello scetticismo e dell’incredulità nei giovani. Un’intensità mai vista prima si sta impossessando del mondo.

Nel divertimento, nella ricerca del denaro, nella competizione per il potere, nella lotta per l’esistenza, c’è una forza terribile che assorbe il corpo, la mente e l’anima. In mezzo a questa folle corsa, Dio parla. Ci chiede di separarci e di entrare in comunione con Lui. “Fermatevi e riconoscete che io sono DIO” {Salmo 46: 10}.

Molti, anche nei momenti di devozione, non riescono a ricevere la benedizione di una vera comunione con Dio. Hanno troppa fretta. Con passi affrettati attraversano il cerchio della presenza amorosa di Cristo, soffermandosi forse un momento all’interno della presenza del sacro recinto, ma senza aspettare il consiglio. Non hanno tempo per rimanere con il Maestro divino. Con i loro fardelli tornano al loro lavoro. Questi lavoratori non potranno mai raggiungere il vero successo finché non impareranno il segreto della forza. Si devono concedere il tempo di pensare, di pregare, di attendere da Dio un rinnovamento della forza fisica, mentale e spirituale. Hanno bisogno dell’influenza edificante del Suo Spirito. Se lo ricevono, saranno vivificati da una nuova vita. La struttura affaticata e il cervello stanco saranno rinfrescati, il cuore appesantito sarà alleggerito.

Il nostro bisogno non consiste in una breve pausa di un momento alla Sua presenza, ma in un contatto personale con Cristo: dobbiamo sedersi in Sua compagnia, questo è il nostro bisogno.

Sarà una gioia per i bambini delle nostre case e per gli studenti delle nostre scuole quando i genitori e gli insegnanti impareranno nella loro stessa vita, la preziosa esperienza illustrata in queste parole del Cantico dei Cantici:

“Un melo tra alberi selvatici è il mio amore tra gli altri ragazzi! Mi piace sedermi alla sua ombra e gustare le delizie dei suoi frutti. Mi ha portato in una sala di banchetti; in alto, sopra di me, c’era un’insegna con sopra scritto: ‘Amore'” {Cantico dei Cantici 2: 3-4}.

 

 

CAPITOLO 31 – LO SCOPO DELLA VITA

“Questa cosa la faccio”.

Il successo in qualsiasi campo richiede un obiettivo ben preciso. Chi vuole raggiungere il vero successo nella vita deve tenere costantemente in vista lo scopo degno del suo impegno. Un tale obiettivo è posto anche davanti ai giovani di oggi.

Il progetto assegnato dal Cielo di portare il Vangelo al mondo in questa generazione è il più nobile che possa essere rivolto a qualsiasi essere umano. Per tutti coloro il cui cuore è stato toccato da Cristo, esso apre una nuova prospettiva di impegno. Il piano di Dio per i bambini che crescono nei nostri focolari è più ampio, più profondo, più elevato di quanto la nostra visione limitata possa comprendere. Anticamente, persone di umili origini furono chiamate ad essere testimoni di Dio nei luoghi più eccelsi del mondo a motivo della loro fedeltà.

E molti ragazzi di oggi, cresciuti come Daniele nella sua casa di Giudea, studiando la Parola di Dio e le Sue opere e imparando le lezioni del servizio fedele, si troveranno ancora nelle assemblee legislative, nelle aule di giustizia o nei tribunali reali, come testimoni del Re dei re. Molte persone saranno chiamate ad un ministero più ampio. Il mondo intero si sta aprendo al Vangelo. L’Etiopia sta tendendo le mani a Dio. Dal Giappone, dalla Cina e dall’India, dalle terre ancora oscure del nostro continente, da ogni parte del mondo, arriva il grido dei cuori afflitti dal peccato per conoscere il Dio dell’amore. Milioni di persone non hanno mai sentito parlare di Dio o del Suo amore rivelato in Cristo. È loro diritto ricevere questa conoscenza. Hanno un diritto uguale a noi nella misericordia del Salvatore. Perciò sta a noi, che abbiamo ricevuto tale conoscenza e ai nostri figli, a quali possiamo impartirla, di rispondere al loro grido. Ad ogni famiglia e ogni scuola, ad ogni genitore, insegnante e bambino su cui ha brillato la luce del Vangelo, giunge in questa crisi, la domanda posta alla regina Ester in quel periodo epocale della storia d’Israele: “Inoltre chi sa se è proprio per un tempo come questo che tu sei pervenuta alla regalità?” {Ester 4: 14}.

Coloro che pensano ad affrettare o ostacolare il Vangelo, agiscono in relazione a sé stessi e al mondo. Pochi pensano in relazione a Dio. Pochi pensano alla sofferenza che il peccato ha causato al nostro Creatore. Tutto il Cielo ha sofferto nell’agonia di Cristo, ma questa sofferenza non è iniziata o finita con la Sua incarnazione.

La Croce è una rivelazione per i nostri sensi intorpiditi del dolore che, fin dal suo inizio, il peccato ha causato al nostro Creatore. Ogni allontanamento dal giusto, ogni atto di crudeltà, ogni fallimento dell’umanità nel raggiungere il suo ideale, lo addolora. Quando su Israele si abbatterono le calamità che erano il risultato sicuro della separazione da Dio, la sottomissione da parte dei nemici, la crudeltà e la morte, si dice che “si addolorò per la sofferenza d’Israele” {Giudici 10: 16}. “In ogni loro afflizione egli fu afflitto… li redense, li sollevò e li portò tutti i giorni del passato” {Isaia 63: 9}.

Il Suo Spirito “intercede per noi con sospiri ineffabili” {Romani 8: 26}. Poiché “tutto il mondo creato geme insieme ed è in travaglio” {Romani 8: 22}; il cuore dell’infinito Padre è partecipa a questo dolore. Il nostro mondo è un’immensa casa di persone colpite dal peccato e dalla malattia, una scena di miseria su cui non osiamo nemmeno soffermare il nostro pensiero. Se ci rendessimo conto di com’è, il peso sarebbe troppo terribile. Eppure Dio sente tutto. Per distruggere il peccato e i suoi risultati, ha dato il Suo amato Figlio, e ha messo in nostro potere, attraverso la cooperazione con Lui, la possibilità di porre fine a questa situazione di sofferenza. “E questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine” {Matteo 24: 14}.

“Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura” {Marco 16: 15}, è il comando di Cristo ai Suoi seguaci. Non che tutti siano chiamati ad essere ministri o missionari nel senso stretto del termine, ma tutti possono collaborare con Lui nel portare la “lieta novella” ai loro simili.

A tutti, grandi o piccoli, saggi o ignoranti, vecchi o giovani, è stato affidato questo compito. Alla luce di questo comando, possiamo educare i nostri figli e figlie per una vita di rispettabile formalismo, per una vita che si professa cristiana, ma priva del vero sacrificio di sé? Su una tale vita il verdetto di Colui che è verità deve essere: “Non ti conosco”! Eppure migliaia di persone lo fanno, pensando di assicurare ai loro figli i benefici del Vangelo mentre ne negano lo Spirito. Ma questo non può accadere. Coloro che rifiutano il privilegio della comunione con Cristo nel servizio, rifiutano l’unica formazione che conferisce un’idoneità a partecipare con Lui nella Sua gloria. Rifiutano l’istruzione che in questa vita dà forza e nobiltà di carattere. Molti padri e madri, negando ai loro figli la croce di Cristo, hanno capito troppo tardi che li stavano consegnando al nemico. Hanno segnato la loro rovina, non solo per il futuro, ma anche per la vita presente.

La tentazione li ha vinti. Sono cresciuti come una maledizione per il mondo, un dolore e una vergogna per coloro che li hanno fatti nascere. Anche fra coloro che cercano di prepararsi a servire Dio, molti vengono distolti da metodi di educazione sbagliati. Troppo spesso si pensa che la vita sia scandita da periodi distinti: il periodo dell’apprendimento e il periodo della manualità, della preparazione e della realizzazione.

Per prepararsi ad una vita di servizio, i giovani vengono mandati a scuola, per acquisire conoscenze attraverso lo studio nei libri. Tagliati fuori dalle responsabilità della vita quotidiana, si lasciano assorbire dallo studio e spesso perdono di vista il vero scopo. L’ardore della prima consacrazione si spegne e troppi si dedicano a qualche ambizione personale ed egoistica. Dopo la laurea, migliaia di persone si ritrovano senza contatto con la vita. Si sono occupati così a lungo di questioni astratte e teoriche, che quando l’intero essere deve essere risvegliato per affrontare le aspre sfide della vita reale, sono impreparati. Invece di svolgere il nobile lavoro che si erano prefissati, le loro energie sono impegnate nella lotta per la semplice sussistenza. Molti, dopo ripetute delusioni, disperando persino di potersi guadagnare onestamente da vivere, si lasciano andare a pratiche discutibili o criminali. Il mondo viene privato di un servizio che avrebbe potuto ricevere, e Dio è derubato delle anime che desiderava elevare, nobilitare e onorare come rappresentanti di Sé Stesso.

Molti genitori sbagliano nel discriminare i propri figli in materia di educazione. Fanno quasi ogni sacrificio per assicurare i vantaggi migliori per un figlio che è brillante e dotato. Ma queste opportunità non sono considerate una necessità per coloro che sono meno promettenti. Poca istruzione è ritenuta essenziale per lo svolgimento dei doveri ordinari della vita. Ma chi è in grado di selezionare da una famiglia, coloro che si troveranno a ricoprire le responsabilità più importanti? Quante volte il giudizio umano spesso, si è rivelato errato! Ricordate l’esperienza di Samuele quando fu inviato ad ungere uno dei figli di Iesse per essere re su Israele? Sette giovani dall’aspetto nobile passarono davanti a lui. Quando guardò il primo, dai lineamenti belli, dalla forma ben sviluppata e dal portamento elegante, il profeta esclamò: “«Certamente l’unto dell’Eterno è davanti a lui». Ma l’Eterno disse a Samuele: «Non badare al suo aspetto né all’altezza della sua statura, poiché io l’ho rifiutato, perché l’Eterno non vede come vede l’uomo; l’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore»” {1 Samuele 16: 6-7}. Così per tutti i sette figli, fu detto: “L’Eterno non ha scelto nessuno di questi” {1 Samuele 16: 10}. E solo quando Davide fu chiamato dal gregge, il profeta poté compiere la sua missione.

Infatti i fratelli maggiori, tra i quali Samuele avrebbe scelto, non possedevano le qualifiche che Dio aveva ritenuto necessarie per un capo del Suo popolo. Orgogliosi, egocentrici, sicuri di sé, erano stati messi da parte per colui che essi consideravano con leggerezza, uno che aveva conservato la semplicità e la sincerità della sua giovinezza, e che, pur essendo piccolo ai loro occhi, poteva essere formato da Dio per le responsabilità del regno. Così, oggi, in molti bambini che i genitori potrebbero ignorare, Dio vede capacità di gran lunga superiori a quelle rivelate da altri che si sono ritenuti molto promettenti. E per quanto riguarda le possibilità della vita, chi è in grado di decidere cosa è grande e cosa è piccolo? Quanti lavoratori nei luoghi umili della vita, avviando attività per la benedizione del mondo, hanno ottenuto risultati che i re potrebbero invidiare!

Che ogni bambino, dunque, riceva un’educazione che lo prepari al più alto servizio. “Semina il tuo seme al mattino e la sera non dar riposo alla tua mano, perché tu non sai quale dei due riuscirà meglio: se questo o quello, o se saranno buoni tutt’e due” {Ecclesiaste 11: 6}.

Il posto specifico che ci viene assegnato nella vita è determinato dalle nostre capacità. Non tutti raggiungono lo stesso sviluppo o svolgono con la stessa efficienza lo stesso lavoro. Dio non si aspetta che l’issopo raggiunga

le proporzioni del cedro o che l’olivo raggiunga l’altezza della palma.

Ma ognuno dovrebbe mirare tanto in alto quanto l’unione dell’elemento umano con quello divino gli permette di raggiungere.

Molti non diventano ciò che potrebbero diventare, perché non sfruttano le potenzialità di cui dispongono. Non si affidano, come potrebbero, alla forza divina. Molti si lasciano allontanare dall’attività che li potrebbe condurre al reale successo. Cercano un onore maggiore o un compito più piacevole, si cimentano in qualcosa per cui non sono adatti. Quanti uomini il cui talento è adatto per una certa vocazione, ambiscono invece intraprendere una professione diversa; e chi avrebbe potuto avere successo come agricoltore, artigiano o infermiere, ricopre in modo inadeguato la posizione di ministro, avvocato o medico. Ci sono altri, che avrebbero potuto ricoprire un ruolo di responsabilità, ma che, per mancanza di energia, applicazione o perseveranza, si accontentano di un posto più umile.

Dobbiamo seguire più da vicino il piano di Dio per la nostra vita, facendo del nostro meglio nel lavoro più che ci è più congeniale, affidando le nostre vite a Dio e vegliando per ricevere le indicazioni della Sua provvidenza: queste sono le regole che assicurano una guida sicura nella scelta di un’occupazione.

Colui che è venuto dal Cielo per essere il nostro esempio ha trascorso quasi trent’anni della Sua vita in un lavoro comune e ripetitivo, ma durante questo tempo Egli studiava la Parola e le opere di Dio e aiutava, insegnando a tutti coloro che potevano essere raggiunti dalla Sua influenza. Quando iniziò il Suo ministero pubblico, Gesù andò dappertutto a guarire gli ammalati, a consolare i dolenti e a predicare il Vangelo ai poveri. Questa è l’opera di tutti i Suoi seguaci.

Disse: “il più grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve…. Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve” {Luca 22: 26-27}. L’amore e la fedeltà a Cristo sono la sorgente di ogni vero servizio. Nel cuore toccato dal Suo amore, nasce il desiderio di lavorare per Lui.

Lasciamo che questo desiderio sia incoraggiato e giustamente guidato… Sia in casa, nel quartiere o nella scuola, la presenza dei poveri, degli afflitti, degli ignoranti o degli sfortunati deve essere considerata non come una disgrazia, ma come una preziosa opportunità di servizio. In questo lavoro, come in ogni altro, l’abilità si acquisisce nel lavoro stesso. È attraverso la preparazione acquisita nell’adempimento dei doveri comuni della vita e provvedendo ai bisognosi e ai sofferenti, che l’efficienza è assicurata. Senza questa, gli sforzi migliori sono spesso inutili e persino dannosi. È nell’acqua, non sulla terraferma, che l’uomo impara a nuotare. Un’altra esigenza, troppo spesso considerata con leggerezza, ma che deve essere chiarita ai giovani sensibili alle richieste di Cristo, è quella del loro rapporto con la Chiesa. Molto stretto e sacro è il rapporto tra Cristo e la Sua Chiesa: Lui lo sposo e la Chiesa la sposa; Lui il capo e la Chiesa il corpo. Il legame con Cristo, quindi, implica il legame con la Sua Chiesa.

La Chiesa è organizzata per il servizio; e in una vita di servizio per Cristo, l’unione con la Chiesa è uno dei primi passi. La fedeltà a Cristo richiede il fedele adempimento dei doveri della Chiesa. Questo è una parte importante della formazione e, in una Chiesa ricolma della vita del Maestro, porterà direttamente all’impegno per il mondo esterno. Sono molte gli ambiti in cui i giovani possono trovare opportunità di impegno utile. Per questo sarebbe bene organizzarli in gruppi di servizio cristiano, e la cooperazione si rivelerà un aiuto e un incoraggiamento. I genitori e gli insegnanti, interessandosi al lavoro dei giovani, saranno in grado di dare loro il vantaggio della loro esperienza più ampia e potranno aiutarli a rendere i loro sforzi efficaci per il bene. È la conoscenza che risveglia la simpatia, e la simpatia è la molla di un ministero efficace.

Risvegliamo nei bambini e nei giovani lo spirito di sacrificio in favore di milioni di persone che soffrono nelle “regioni remote”, facciamo in modo che conoscano queste terre e i loro popoli. A questo proposito si potrebbe fare molto nelle nostre scuole. Invece di soffermarsi sulle gesta dei vari Alessandro e Napoleone della storia, gli alunni dovrebbero studiare la vita di uomini come l’apostolo Paolo e Martin Lutero, Moffat, Livingstone e Carey, oltre che a considerare l’attuale sviluppo dell’impegno missionario che si svolge quotidianamente.

Invece di appesantire la loro memoria con una serie di nomi e teorie che non hanno alcuna attinenza con la loro vita e che, una volta usciti dalle aule scolastiche, raramente saranno oggetto dei loro pensieri, lasciamo che studino tutte le terre alla luce dello sforzo missionario e lasciamogli conoscere i popoli e i loro bisogni. In quest’opera conclusiva del Vangelo c’è un vasto campo da occupare e, più che mai, si tratta di arruolare collaboratori tra la gente comune. Sia i giovani che i più anziani saranno chiamati dal campo, dalla vigna e dalle fabbriche, e inviati dal Maestro per portare il Suo messaggio. Molti di loro hanno avuto scarse opportunità di istruzione; ma Cristo vede in loro qualifiche che li renderanno capaci di adempiere al Suo scopo. Se mettono il cuore nell’opera e continueranno a imparare, Egli li renderà idonei a lavorare per Lui.

Colui che conosce la profondità della miseria e della disperazione del mondo, sa con quali mezzi portare sollievo. Vede da ogni parte anime nelle tenebre, prostrate dal peccato, dal dolore e dalla sofferenza. Ma Egli vede anche le loro possibilità, vede l’altezza che possono raggiungere. Sebbene gli esseri umani abbiano abusato della Sua misericordia, sprecato i loro talenti e perso la dignità della virilità divina, il Creatore è glorificato nella loro redenzione.

Il fardello del lavoro per questi bisognosi nei luoghi accidentati della Terra, Cristo lo affida a coloro che possono provare compassione per gli ignoranti e per coloro che hanno dissipato i propri talenti. Egli sarà presente per aiutare coloro il cui cuore è sensibile alla pietà, anche se le loro mani possono essere ruvide e poco esperte. Egli opererà attraverso coloro che sapranno vedere la misericordia nella miseria e il guadagno nella perdita. Quando la Luce del mondo si affievolisce, la benedizione sarà percepita nelle difficoltà, l’ordine nella confusione, il successo nell’apparente fallimento.

Le calamità saranno viste come benedizioni celate, i dolori come vantaggi. I lavoratori tra la gente comune, che condividono i dolori dei loro simili, come il loro Maestro ha condiviso i dolori dell’intero genere umano, vedranno per fede che Egli lavora con loro. “Il giorno dell’Eterno è vicino, è vicino e giunge in gran fretta” {Sofonia 1: 14}.

E il mondo deve essere avvertito. Con tutta la preparazione che possono aver accumulato, migliaia e migliaia di giovani e di anziani dovrebbero dedicarsi a quest’opera. Già molti cuori stanno rispondendo alla chiamata del Maestro e il loro numero è destinato ad aumentare. Ogni educatore cristiano dia a questi lavoratori comprensione e collaborazione.

Incoraggiate e assistete i giovani sotto la vostra tutela affinché si preparino a far parte del servizio. Non c’è altro genere di lavoro in cui i giovani possano ricevere maggiori benefici. Tutti coloro che si impegnano nel ministero sono l’aiuto di Dio. Sono collaboratori degli angeli, anzi, sono le agenti umane attraverso i quali gli angeli compiono la loro missione. Gli angeli parlano attraverso la loro voce e lavorano con le loro mani. Gli operatori umani, che collaborano con le agenti celesti, hanno il beneficio della loro formazione ed esperienza. Come mezzo di educazione, quale “corso universitario” può eguagliare questo? Con un esercito di lavoratori come quello che la nostra gioventù, giustamente istruita, potrebbe fornire, quanto presto il messaggio di un Salvatore crocifisso, risorto e che presto verrà, potrebbe essere portato in tutto il mondo! Quanto presto potrebbe arrivare la fine della sofferenza, del dolore e del peccato! Quanto presto, in questo luogo di possessione qui, con la sua rovina di peccato e dolore, i nostri figli potrebbero ricevere la loro eredità dove “I giusti erediteranno la terra e vi abiteranno per sempre” {Salmo 37: 29}, dove “nessun abitante dirà: «Io sono malato»” {Isaia 33: 24}, e dove “non si udrà più alcuna voce di pianto” {Isaia 65: 19}.

 

L’Insegnante

“Come il Padre mio ha mandato me, anch’Io mando voi”.

 

 

CAPITOLO 32 – PREPARAZIONE

“Studia per mostrarti gradito a Dio”.

Il primo insegnante del bambino è la madre. Durante il periodo di massima recettività e di sviluppo più rapido, l’educazione del bambino è in gran parte nelle sue mani. A lei per prima è data l’opportunità di plasmare il carattere nel bene e nel male. Dovrebbe comprendere il valore della sua opportunità e, più di ogni altro insegnante, dovrebbe essere qualificata per usarla al meglio. Eppure non c’è preparazione di così grande portata alla quale si dia così poca attenzione, quanto a quella della madre. La persona, la cui influenza nell’educazione è così potente e di vasta portata è quella, la cui assistenza gode del minimo sforzo sistematico.

Coloro a cui è affidata la cura del bambino piccolo, troppo spesso ignorano i suoi bisogni fisici; conoscono poco le leggi della salute o i principi relativi al suo sviluppo. Né sono più adatti a prendersi cura della sua crescita mentale e spirituale. Possono essere qualificati per condurre gli affari o per brillare in società, possono aver raggiunto risultati apprezzabili nella letteratura e nella scienza, ma della formazione di un bambino hanno una scarsa conoscenza. È soprattutto a causa di questa mancanza, in particolare a causa dell’iniziale negligenza dello sviluppo fisico, che si ha un alto tasso di mortalità infantile, di persone che raggiungono la maturità, ma per i quali la vita è solo un peso. Sia i padri che le madri hanno la responsabilità della formazione del bambino e della sua istruzione successiva, e per entrambi i genitori la richiesta di una preparazione attenta e completa è molto urgente. Prima di assumersi le possibilità della paternità e della maternità, gli uomini e le donne dovrebbero conoscere le leggi dello sviluppo fisico, della fisiologia e dell’igiene, del peso delle influenze prenatali, delle leggi dell’ereditarietà, dell’abbigliamento, dell’esercizio fisico e del trattamento delle malattie; dovrebbero anche comprendere le leggi dello sviluppo mentale e della formazione morale.

Questo lavoro di educazione, l’Essere Infinito lo ha ritenuto così importante che sono stati inviati dei messaggeri dal Suo trono a una madre per rispondere alla domanda: “«Quale deve essere lo stile di vita del ragazzo e quali le sue occupazioni?»” {Giudici 13: 12}, e per istruire un padre sull’educazione di un figlio promesso.

L’educazione non raggiungerà mai tutto ciò che potrebbe e dovrebbe finché non si riconosce pienamente l’importanza del lavoro dei genitori e non li si prepari alle loro sacre responsabilità.

La necessità di una preparazione per l’insegnante è universalmente ammessa, ma pochi riconoscono il carattere della preparazione più essenziale. Chi apprezza la responsabilità che comporta la formazione dei giovani, si renderà conto che l’istruzione in ambito scientifico e letterario non può bastare. L’insegnante deve avere una formazione più completa di quella che si può ottenere con lo studio dei libri. Dovrebbe possedere non solo forza di volontà, ma anche apertura di mente, dovrebbe essere non solo di animo integro, ma anche generoso.

Solo Colui che ha creato la mente e ne ha regolato le leggi può perfettamente comprendere i suoi bisogni o dirigere il suo sviluppo. I principi di educazione che Egli ha dato sono l’unica guida sicura. Un requisito essenziale per ogni insegnante è la conoscenza di queste leggi e la loro completa accettazione, così che essi diventino una forza regolatrice nella loro vita.

L’esperienza nella vita pratica è indispensabile. L’ordine, l’accuratezza, la puntualità, l’autocontrollo, il temperamento, l’abnegazione, l’integrità e la cortesia sono qualifiche essenziali. Poiché c’è così tanta meschinità di carattere e ipocrisia, è necessario che le parole, l’atteggiamento, e il comportamento dell’insegnante rappresentino pienamente, ciò che è elevato e vero. I bambini riconoscono velocemente l’incoerenza o qualsiasi altra debolezza o difetto. L’insegnante può guadagnarsi il rispetto dei suoi alunni solo rivelando nel proprio carattere i principi che cerca di insegnare loro.

Solo comportandosi in questo modo quotidianamente con loro, può avere un’influenza benefica permanente su di loro. Per quasi tutte le altre qualifiche che contribuiscono al suo successo, l’insegnante dipende in larga misura dal vigore fisico. Migliore è la sua salute, migliore sarà il suo lavoro. Le sue responsabilità sono così gravose che è necessario uno sforzo speciale da parte sua per mantenere il vigore e la salute. Spesso il logorio del cuore e della mente conduce quasi inevitabilmente alla depressione, alla freddezza o irritabilità. È suo dovere non solo resistere a questi stati d’animo, ma evitarne la causa. Deve mantenere il cuore puro e dolce, fiducioso e comprensivo. Per essere sempre fermo, calmo e allegro, deve preservare la forza mentale e nervosa.

Poiché nel suo lavoro la qualità è molto più importante della quantità, dovrebbe evitare di sovraccaricarsi di lavoro, astenendosi da ogni eccesso, rifiutando di accettare altre responsabilità che non lo ostacolerebbero nel suo compito e stando lontano da divertimenti e passatempi che sono estenuanti piuttosto che rigeneranti.

L’esercizio all’aria aperta, soprattutto se si tratta di un lavoro utile, è uno dei migliori mezzi di ricreazione per il corpo e la mente; e l’esempio dell’insegnante ispirerà nei suoi alunni, l’interesse e il rispetto per il lavoro manuale.

In ogni ambito l’insegnante dovrebbe osservare scrupolosamente i principi della salute. Dovrebbe farlo non solo per la sua utilità, ma anche per l’influenza che esercita sui suoi allievi. Dovrebbe essere temperato in tutto: nella dieta, nell’abbigliamento, nel lavoro, nello svago, deve essere un esempio.

Alla salute fisica e alla rettitudine di carattere si devono unire elevate qualifiche letterarie. Quanto più la conoscenza è autentica, tanto migliore sarà il suo lavoro. L’aula scolastica non è un luogo per il lavoro superficiale. Nessun insegnante che si accontenti di una conoscenza superficiale raggiungerà un alto grado di efficienza. Ma l’utilità dell’insegnante non dipende tanto dall’effettiva quantità delle sue acquisizioni, quanto dall’obbiettivo a cui mira. Il vero insegnante non si accontenta di nozioni vaghe, di una mente indolente, o di una memoria poco fluida. Cerca costantemente di raggiungere risultati più elevati e metodi migliori. La sua vita è una crescita continua. Nel lavoro di un insegnante ci devono essere freschezza e forza stimolante, tali da scuotere e ispirare i suoi allievi.

L’insegnante deve possedere attitudini per il suo lavoro. Deve avere la saggezza e il tatto necessari per trattare con le persone. Per quanto ampie siano le sue conoscenze scientifiche, per quanto eccellenti siano le sue qualifiche in altri ambiti, se non ottiene il rispetto e la fiducia dei suoi allievi, i suoi sforzi saranno vani. Sono necessari insegnanti che sappiano riconoscere e migliorare ogni opportunità di fare del bene e che all’entusiasmo uniscano vera dignità, che sappiano controllare e “insegnare”, che siano in grado di ispirare pensieri, suscitano energia, infondono coraggio e vita.

I vantaggi di un insegnante possono essere stati limitati, così che egli può non possedere qualifiche letterarie così elevate come sarebbe auspicabile; eppure se ha un vero intuito per la natura umana; se ha un amore genuino per il suo lavoro, un apprezzamento della sua importanza e la determinazione a migliorare, se è disposto a lavorare con serietà e perseveranza, comprenderà le esigenze dei suoi allievi e, con il suo spirito comprensivo e progressista, li ispirerà a seguirlo mentre cerca di condurli verso l’alto.

I bambini e i giovani sotto la cura dell’insegnante differiscono molto per tendenze, abitudini e formazione. Alcuni non hanno uno scopo preciso o principi saldi. Hanno bisogno di essere risvegliati alle loro responsabilità e possibilità. Pochi bambini sono stati istruiti correttamente a casa.

Alcuni sono stati viziati e la loro intera formazione è stata superficiale. Lasciati liberi di seguire le inclinazioni e di evitare le responsabilità e gli oneri, mancano di stabilità, perseveranza e abnegazione.

Spesso considerano ogni disciplina come un’inutile costrizione. Altri sono stati, invece, troppo rimproverati e scoraggiati. La restrizione arbitraria e la severità hanno sviluppato in loro uno spirito ostinato e diffidente. Se questi caratteri deformati vengono rimodellati, l’opera deve, nella maggior parte dei casi, essere fatta dall’insegnante. Per poterlo fare con successo, egli deve ottenere la simpatia e l’intuizione che gli consentano di risalire alla causa dei difetti e gli errori che si manifestano nei suoi allievi. Deve avere anche il tatto e l’abilità, la pazienza e la fermezza, che gli permetteranno di dare a ciascuno l’aiuto necessario, ai vacillanti e agli amanti della superficialità, l’incoraggiamento e l’assistenza che saranno uno stimolo all’impegno; chi è scoraggiato avrà bisogno di simpatia e apprezzamento per acquisire fiducia, ed essere a sua volta stimolato ad impegnarsi.

Gli insegnanti spesso non hanno un rapporto di amicizia con gli alunni. Manifestano poca simpatia e tenerezza, mentre mostrano un eccesso di severità nel giudicarli. Sebbene l’insegnante deve essere fermo e deciso, non deve essere esigente o dittatoriale. Essere severi e ipercritici, tenersi lontani dai propri allievi o trattarli con indifferenza, significa chiudere le vie attraverso le quali potrebbero influenzarli in modo positivo.

In nessun caso l’insegnante deve manifestare parzialità. Favorire l’allievo vincente, attraente, ed essere critici, impazienti, o indifferente nei confronti di coloro che hanno più bisogno di incoraggiamento e di aiuto, significa rivelare una concezione totalmente errata del lavoro dell’insegnante. È nel trattare con i più deboli e i più difficili che si mette alla prova il carattere e si dimostra se l’insegnante è davvero qualificato per la sua posizione. Grande è la responsabilità di chi si assume la guida di un’anima umana. Il vero padre e la vera madre custodiscono una fiducia, dalla quale non possono mai essere completamente svincolati. La vita del bambino, dal primo all’ultimo giorno, sente la forza del legame che lo lega al genitore; gli atti, le parole, lo sguardo stesso del genitore, continuano a plasmare il figlio nel bene e nel male.

L’insegnante condivide questa responsabilità, e deve costantemente rendersi conto della sua sacralità e tenere presente lo scopo del suo lavoro. Non deve solo portare a termine i compiti quotidiani, compiacere i suoi superiori, mantenere il prestigio della scuola, deve considerare il bene massimo dei suoi alunni come individui, i doveri che la vita impone loro, il servizio che richiede e la preparazione che esige.

Il lavoro che svolge giorno per giorno eserciterà sui suoi alunni, e attraverso di loro sugli altri, un’influenza che non cesserà di estendersi e rafforzarsi fino alla fine dei tempi. I frutti del suo lavoro dovranno essere conosciuti in quel grande giorno in cui ogni parola e ogni azione verranno riportate davanti a Dio. L’insegnante che si rende conto di questo non riterrà concluso il suo lavoro quando avrà terminato la consueta routine quotidiana e gli studenti tornano a casa, ma per un certo periodo i suoi alunni passeranno sotto la sua diretta cura.

Egli porterà questi bambini e giovani nel suo cuore, per assicurare loro il più nobile elevato grado di successo. Colui che sa riconoscere le opportunità e i privilegi del suo lavoro non permetterà a nessuna cosa di ostacolare il suo impegno per migliorare sé stesso. Non risparmierà alcuno sforzo per raggiungere il più alto standard di eccellenza.

Tutto ciò che desidera che i suoi allievi diventino, egli stesso si sforzerà di essere. Quanto più profondo è il senso di responsabilità e quanto più sincero è lo sforzo per il migliorarsi, più chiaramente l’insegnante riuscirà ad identificare i difetti che indeboliscono la propria efficienza e a rammaricarsene. Nel contemplare l’ampiezza del suo lavoro, le sue difficoltà e le sue possibilità, spesso il suo cuore griderà: “Chi è all’altezza per queste cose?”.

Caro maestro, mentre consideri il tuo bisogno di coraggio e di guida, ti invito a considerare le promesse di Colui che è il meraviglioso Consigliere. L’Eterno dice: “Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere” {Apocalisse 3: 8}.

“Invocami e io ti risponderò” {Geremia 33: 3}. “Io ti ammaestrerò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò il mio occhio su di te” {Salmo 32: 8}. “Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente” {Matteo 28: 20}.

Come migliore preparazione per il vostro lavoro, vi invito a soffermarvi sulle parole, sulla vita e i metodi del Principe degli insegnanti. Vi invito a considerare Lui. Ecco il vostro vero ideale. Osservatelo, soffermatevi su di Lui, fino a quando lo Spirito del Maestro divino non prenderà possesso del vostro cuore e della vostra vita. “E noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria” {2 Corinzi 3: 18}. Questo è il segreto dell’autorità che esercitate sui vostri allievi: siate voi stessi il riflesso di Gesù.

 

 

CAPITOLO 33 – COOPERAZIONE

“Siamo membra gli uni degli altri”.

Nella formazione del carattere, nessun’altra influenza conta tanto quanto della casa. Il lavoro dell’insegnante deve integrare quello dei genitori, ma non deve sostituirsi ad esso. In tutto ciò che riguarda il benessere del bambino, i genitori e gli insegnanti devono collaborare.

Il lavoro di cooperazione dovrebbe iniziare con il padre e la madre, nella vita domestica. Nella formazione dei figli hanno una responsabilità comune e dovrebbero sforzarsi costantemente di agire insieme. Si abbandonino a Dio, cercando l’aiuto di Lui per sostenersi a vicenda. Insegnino ai loro figli ad essere fedeli a Dio, fedeli ai principi, e quindi a sé stessi e a tutti coloro con cui sono in contatto. Con una tale formazione, i bambini, non saranno motivo di turbamento o di ansia. Saranno un sostegno per i loro insegnanti e un esempio ed un incoraggiamento per i loro compagni. I genitori che impartiscono questa formazione non si troveranno a criticare l’insegnante, perché ritengono che l’interesse dei loro figli, e il rispetto per la scuola richiedano che, per quanto possibile, colui che condivide le loro responsabilità sia sostenuto ed onorato.

Molti genitori falliscono su questo punto. Con le loro critiche affrettate e infondate, distruggono l’influenza dell’insegnante fedele e altruista. Molti genitori, i cui figli sono stati viziati dall’indulgenza, lasciano all’insegnante lo sgradevole compito di rimediare alla loro negligenza; e poi, con il loro stesso comportamento, rendono il suo compito quasi senza speranza. Le loro critiche e censure alla gestione della scuola incoraggiano l’insubordinazione dei bambini e li cementano in abitudini sbagliate.

Se si rende necessario muovere critiche o dare suggerimenti sul lavoro dell’insegnante, si faccia in privato. Se ciò si rivela inefficace, si faccia presente la questione a coloro che sono responsabili della gestione della scuola. Non si deve dire o fare nulla che possa indebolire il rispetto dei bambini per colui dal quale dipende il loro benessere.

La conoscenza intima dei genitori, sia del carattere dei figli che delle loro peculiarità o debolezze fisiche, se trasmesse all’insegnante, sarebbe un aiuto per lui. È deplorevole che molti non se ne rendano conto. La maggior parte dei genitori è poco interessata ad informarsi sulle qualifiche dell’insegnante, o di collaborare con lui nel suo compito.

Dal momento che i genitori così raramente fanno conoscenza con l’insegnante, è importante che questi cerchi di conoscere i genitori.

Dovrebbe visitare le case dei suoi alunni e conoscere le influenze e l’ambiente in cui si trovano. Entrando personalmente a contatto con le loro case e le loro vite, può rafforzare i legami che li unisce ai suoi alunni e può imparare a gestire con più successo le loro diverse attitudini e temperamenti. Interessandosi all’educazione domestica, l’insegnante consegue un doppio beneficio. Molti genitori, assorbiti dal lavoro e dalle preoccupazioni, perdono di vista le opportunità loro offerte di esercitare un influsso benefico sulla vita dei figli.

L’insegnante può fare molto per risvegliare in questi genitori le loro responsabilità e i loro privilegi di cui godono. Troverà altri, invece, che si sentono gravati dal peso della responsabilità che avvertono verso i loro figli per aiutarli a diventare uomini e donne buoni e utili. In questo caso l’insegnante può aiutare questi genitori a sopportare il loro fardello e, mediante consigli reciproci, saranno incoraggiati e rafforzati.

Nella formazione a casa dei giovani il principio della cooperazione ha un valore inestimabile. Fin dai primi anni di vita i bambini dovrebbero essere portati a sentirsi parte della società familiare. Anche i più piccoli dovrebbero essere educati a partecipare al lavoro quotidiano e a sentire che il loro aiuto è necessario e apprezzato. I più grandi dovrebbero essere assistenti dei loro genitori, partecipare ai loro progetti e condividere le loro responsabilità e i loro oneri. Che i padri e le madri si prendano del tempo per insegnare ai loro figli, mostrino di apprezzare il loro aiuto, di desiderare la loro fiducia e di godere della loro compagnia, e i figli non tarderanno a rispondere. Non solo il fardello dei genitori sarà alleggerito e i figli riceveranno una formazione pratica di inestimabile valore, ma si rafforzeranno i legami familiari e si approfondiranno le basi stesse del carattere.

La collaborazione dovrebbe essere l’anima e la regola di vita della scuola della scuola. L’insegnante che ottiene la collaborazione dei suoi alunni si assicura un aiuto inestimabile per mantenere l’ordine. Nel servizio in classe molti ragazzi, la cui irrequietezza porta al disordine e all’insubordinazione, troverebbero uno sfogo per la loro energia esuberante. Che il più grande assista il più giovane, il più forte il più debole; e, per quanto possibile, che ognuno sia chiamato a fare qualcosa in cui eccelle. Questo incoraggerà il rispetto di sé e il desiderio di rendersi utili. Sarebbe utile per i giovani, ma anche per i genitori e gli insegnanti, studiare la lezione della cooperazione come viene insegnata nelle Scritture.

Tra le Sue numerose illustrazioni ricordiamo la costruzione del tabernacolo, quella lezione esemplare di formazione del carattere, in cui tutto il popolo si unì, “tutti quelli che erano mossi dal loro cuore e tutti quelli che erano spinti dal loro spirito” {Esodo 35: 21}. Leggete come le mura di Gerusalemme furono ricostruite dai prigionieri tornati, in mezzo a povertà, difficoltà e pericoli.

Il grande compito fu portato a termine con successo perché “il popolo aveva preso a cuore il lavoro” {Neemia 4: 6}.

Considerate il ruolo svolto dai discepoli nel miracolo del Salvatore per sfamare la moltitudine. Il cibo si moltiplicò nelle mani di Cristo, ma i discepoli ricevettero i pani e li diedero alla folla in attesa. “Siamo membra gli uni degli altri” {Efesini 4: 25}.

“Ciascuno metta al servizio degli altri il dono che ha ricevuto, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio” {1 Pietro 4: 10}.

Le parole scritte per coloro che nell’antichità fabbricavano idoli, potrebbero essere adottate, con uno scopo più degno, come motto da chi si occupa della formazione del carattere: “Ognuno aiuta il suo compagno e dice al proprio fratello: «Coraggio!»” {Isaia 41: 6}.

 

 

CAPITOLO 34 – DISCIPLINA

“Istruisci, ammonisci, incoraggia, sii longanime”.

Una delle prime lezioni che un bambino deve imparare è quella dell’obbedienza.

Prima che sia abbastanza grande, gli si può insegnare ad obbedire. Con uno sforzo dolce e persistente, l’abitudine dovrebbe essere inculcata. In questo modo, si potranno prevenire in larga misura quei conflitti futuri tra il desiderio di esprimere la propria volontà e la necessità di dover sottostare all’ autorità altrui, conflitti che creano spesso alienazione e amarezza nei confronti di genitori e insegnanti, e troppo spesso avversione per ogni autorità, umana e divina.

L’obiettivo della disciplina è quello di educare il bambino all’autocontrollo. Deve essere educato ad avere fiducia in sé stesso e a sapersi dominare. Perciò, non appena è in grado di capire, la sua ragione deve essere indirizzata verso l’obbedienza. Tutti i rapporti con lui siano tali da mostrare che l’obbedienza è giusta e ragionevole. Aiutatelo a comprendere che tutte le cose sono sottoposte alla legge e che la disobbedienza conduca, alla fine, a disastri e sofferenze.

Quando Dio dice “non farlo”, ci avverte delle conseguenze della disobbedienza, per risparmiarci danni e perdite.

Aiutate il bambino a comprendere che i genitori e gli insegnanti sono rappresentanti di Dio e che, poiché agiscono in armonia con Lui, le loro leggi in casa e a scuola sono anche le Sue. Come il bambino deve rendere obbedienza ai genitori e agli insegnanti, così essi, a loro volta, devono rendere obbedienza a Dio. Dirigere lo sviluppo del bambino senza ostacolarlo con un controllo indebito, dovrebbe essere lo studio del genitore e dell’insegnante. Una conduzione troppo rigida è negativa quanto una gestione liberale. Lo sforzo teso a spezzare la volontà di un bambino è un terribile errore. Le menti sono costituite in modo diverso; mentre la forza può assicurare una sottomissione esteriore, il risultato con molti bambini è una ribellione più determinata del cuore. Anche se il genitore o l’insegnante riesca ad ottenere il controllo desiderato, il risultato potrebbe causare un danno al bambino. La disciplina di un essere umano che ha raggiunto l’età della ragione dovrebbe essere diversa da quella usata per addomesticare un animale. Alla bestia si insegna solo la sottomissione al padrone.

Per la bestia, il padrone è la mente, il giudizio e la volontà. Questo metodo, a volte impiegato nell’istruzione dei bambini, li rende piccoli automi perché mente, volontà, e coscienza sono sotto il controllo di un altro. Non è nei piani di Dio che nessuna mente sia così dominata. Coloro che indeboliscono o distruggono l’individualità si assumono una responsabilità che può portare solo al male. Mentre sono sotto l’autorità, i bambini possono apparire come soldatini ben addestrati; ma quando il controllo cessa, si scopre che il carattere manca di forza e di fermezza. Non avendo mai imparato a governare sé stesso, il giovane non riconosce alcuna restrizione se non quella imposta dai genitori o dall’insegnante. Quando questa è stato rimossa, non sa come usare la sua libertà e spesso si lascia andare all’ indulgenza, che si rivela essere la sua rovina. Poiché l’abbandono della volontà è molto più difficile per alcuni allievi che per altri, l’insegnante dovrebbe rendere l’obbedienza ai suoi requisiti nel modo più semplice possibile. La volontà deve essere guidata e plasmata, ma non ignorata o schiacciata. Rispettatene il potenziale, nella battaglia della vita sarà necessario. Ogni bambino dovrebbe comprendere cosa sia la vera forza di volontà. Egli deve essere portato a vedere quanto sia grande la responsabilità che questo dono racchiude. La volontà è il potere che governa la natura dell’uomo, la possibilità di decidere e di scegliere. Ogni essere umano dotato di ragione ha il potere di scegliere il giusto. In ogni esperienza di vita, la parola di Dio ci dice: “Scegliete oggi chi volete servire” {Giosuè 24: 15}.

Ognuno può mettere la propria volontà dalla parte della volontà di Dio, può scegliere di obbedire a Lui e, collegandosi così alle agenzie divine, può stare dove nulla può costringerlo a fare il male. In ogni giovane, in ogni bambino, risiede la facoltà, con l’aiuto di Dio, di formarsi un carattere integro e vivere una vita utile.

Il genitore o l’insegnante che con tale istruzione educa il bambino all’autocontrollo, avrà svolto il più utile lavoro e avrà ottenuto un successo permanente. Ad un osservatore superficiale il suo lavoro potrebbe non apparire vantaggioso; potrebbe non essere valutato così tanto quanto quello di colui che tiene la mente e la volontà del bambino sotto un’autorità assoluta, ma negli anni successivi i risultati conseguiti diranno chiaramente che questo metodo è il migliore. L’educatore saggio, nel trattare con i suoi allievi, cercherà di incoraggiarne la fiducia e di rafforzare il senso dell’onore. I bambini e i giovani traggono beneficio dal sapersi oggetto di stima. Molti, anche tra i più piccoli, hanno un alto senso dell’onore; tutti desiderano essere trattati con fiducia e rispetto, e questo è un loro diritto. Non dovrebbero essere indotti a pensare che ogni loro mossa è attentamente sorvegliata.

Il sospetto demoralizza, producendo gli stessi mali che cerca di prevenire. Invece di sorvegliare continuamente, come se sospettassero il male, gli insegnanti, a contatto con i propri alunni, discerneranno il funzionamento della mente inquieta e metteranno in atto le influenze che contrasteranno il male. Fate in modo che i giovani sentano che si ha fiducia in loro, e saranno pochi quelli che non cercheranno di dimostrarsi degni di questa fiducia. Secondo lo stesso principio, è meglio chiedere che imporre, coloro che sono così trattati hanno l’opportunità di dimostrarsi fedele ai giusti principi, e così la loro obbedienza sarà il risultato di una scelta piuttosto che di una costrizione.

Le regole che governano l’aula scolastica dovrebbero, per quanto possibile, rappresentare la voce della scuola. Ogni principio in esse contenuto deve essere posto all’attenzione dello studente in modo da convincerlo della sua giustizia. In questo modo sentirà la responsabilità di controllare che le regole che lui stesso ha contribuito a definire siano rispettate. Le norme dovrebbero essere poche e ben ponderate e, una volta stabilite, dovrebbero essere applicate. La mente si abitua ad accettare e ad adattarsi a ciò che non può essere cambiato. È il permissivismo che suscita il desiderio, la speranza e l’incertezza, e i risultati sono l’irrequietezza, l’irritabilità e l’insubordinazione.

È bene chiarire che il governo di Dio non ammette compromessi con il male. Né a casa né a scuola si deve tollerare la disobbedienza. Nessun genitore o insegnante che abbia a cuore il benessere di coloro che sono sotto la sua tutela, scenderà a compromessi con l’ostinata volontà che sfida l’autorità o ricorre a sotterfugi o evasioni per sfuggire all’obbedienza. Non è l’amore, ma il sentimentalismo che si lascia andare alla trasgressione, e cerca di ottenere l’obbedienza con l’inganno o con la corruzione e, infine accetta un sostituto al posto della cosa richiesta. “Gli stolti ridono del peccato” {Proverbi 14: 9}. Dobbiamo guardarci dal trattare il peccato come una cosa di poco conto. Terribile è il suo potere sul malfattore. “L’empio è preso nelle sue stesse iniquità e trattenuto dalle funi del suo peccato” {Proverbi 5: 22}.

Il più grande torto fatto ad un bambino o a un giovane è permettergli di rimanere legato alla schiavitù delle cattive abitudini. I giovani hanno un amore innato per la libertà, desiderano la libertà; e devono capire che queste inestimabili benedizioni possono essere raggiunte solo attraverso l’obbedienza alla legge di Dio. Questa legge è salvaguardia per la vera libertà. Indica e proibisce le cose che degradano e rendono schiavi, e quindi per gli obbedienti offre protezione dal potere del male. Il salmista dice: “Camminerò nella libertà, perché ricerco i tuoi comandamenti” {Salmo 119: 45}; “I tuoi precetti sono la mia gioia e i miei consiglieri” {Salmo 119: 24}.

Nel nostro sforzo di correggere il male, dobbiamo guardarci dalla tendenza alla ricerca di difetti o alla censura. La riprensione continua disorienta, ma non riformerà. In molte menti, e spesso anche in quelle più sensibili, un’atmosfera di critica indifferente è fatale allo sforzo. I fiori non si schiudono sotto l’alito di un vento che soffia. Un bambino che viene spesso ripreso per qualche difetto particolare, arriva a pensare che sia una sua peculiarità, qualcosa contro cui è vano lottare.

Nascono così lo scoraggiamento e la disperazione, spesso nascosti sotto un’apparenza di indifferenza o di spavalderia. Il vero obiettivo del rimprovero si ottiene solo quando l’autore del torto è indotto a vedere il suo errore e la sua volontà è arruolata per la sua correzione. Una volta raggiunto questo obiettivo, indicategli la fonte del perdono e della potenza trasformatrice.

Cercate di preservare il suo rispetto per sé stesso e di ispirargli coraggio e speranza. Questo lavoro è il più bello e il più difficile che sia mai stato affidato all’uomo. Richiede il tatto più delicato, la sensibilità più fine, la conoscenza della natura umana, una fede e una pazienza celestiali, la volontà di operare, di vegliare e di attendere. Chi desidera controllare gli altri deve prima controllare sé stesso. Agire con veemenza nei confronti di un bambino o di un giovane non farà altro che suscitare il risentimento. Quando un genitore o un insegnante diventa impaziente e rischia di parlare in modo incauto, farebbe bene ad imporsi di tacere. C’è un meraviglioso potere nel silenzio.

L’insegnante deve aspettarsi di incontrare disposizioni perverse e cuori ostinati. Ma nel trattare con loro non dovrebbe mai dimenticare che egli stesso un tempo è stato un bambino, bisognoso di disciplina. Anche ora, con tutti i vantaggi dell’età, dell’istruzione e dell’esperienza, spesso sbaglia, e ha bisogno di misericordia e tolleranza. Nel formare i giovani, egli deve considerare che ha a che fare con persone che hanno inclinazioni al male simili alle sue. Hanno quasi tutto da imparare, ed è molto più difficile per alcuni imparare, che per altri. Con l’allievo ottuso deve sopportare con pazienza, senza censurare la sua ignoranza, ma sfruttando ogni occasione per incoraggiarlo. Con gli alunni sensibili e nervosi deve trattare con molta tenerezza. Il senso delle proprie imperfezioni dovrebbe portarlo a manifestare costantemente simpatia e tolleranza nei confronti di chi sta lottando con le proprie difficoltà.

La regola del Salvatore: “Ma come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro” {Luca 6: 31}, dovrebbe essere la regola di tutti coloro che si occupano della formazione dei bambini e dei giovani. Essi fanno parte della famiglia del Signore, eredi con noi della grazia della vita.

La regola di Cristo deve essere osservata in modo sacro nei confronti dei bambini e dei giovani. Essi sono i membri più giovani della famiglia del Signore, eredi con noi della grazia della vita. La regola di Cristo deve essere osservata in modo sacro nei confronti dei più giovani, i più sbadati, e persino verso gli erranti e i ribelli.

Questa regola porterà l’insegnante ad evitare, per quanto possibile, di rendere pubblici i difetti o gli errori di un allievo. Cercherà di evitare di rimproverare o punire l’allievo in presenza di altri. Non espellerà uno studente finché non sarà stato fatto ogni sforzo per la sua rieducazione. Ma quando diventa evidente che l’alunno non riceve alcun beneficio, mentre la sua sfida o il suo disprezzo per l’autorità tendono a rovesciare il governo della scuola e la sua influenza contamina gli altri, allora l’espulsione diventa una necessità. Tuttavia, per molti la disgrazia di un’espulsione pubblica porterebbe alla totale indifferenza e alla rovina.

Nella maggior parte dei casi in cui l’allontanamento è inevitabile, la questione non deve essere resa pubblica. Con il consiglio e la collaborazione dei genitori, lasciate che l’insegnante provveda privatamente al ritiro dello studente. In questo periodo di particolare pericolo per i giovani, le tentazioni li circondano da ogni parte; e mentre è facile andare alla deriva, è necessario il più forte sforzo per resistere alla corrente. Ogni scuola dovrebbe essere una “città di rifugio” per i giovani tentati, un luogo in cui le loro follie potranno essere affrontate con pazienza e saggezza. Gli insegnanti che comprendono le loro responsabilità, separeranno dal proprio cuore e dalla propria vita tutto ciò che impedirebbe loro di trattare con successo con gli ostinati e i disobbedienti. L’amore e la tenerezza, la pazienza e l’autocontrollo saranno sempre la legge del loro modo di parlare. La misericordia e la compassione si fonderanno con la giustizia. Quando sarà necessario rimproverare, il loro linguaggio non sarà esagerato, ma umile. Con dolcezza, esporranno al malcapitato i suoi errori e lo aiuteranno a recuperare sé stesso. Ogni vero insegnante sentirà che se dovesse sbagliare, è meglio sbagliare dalla parte della misericordia che dalla parte della severità.

Molti giovani ritenuti incorreggibili non sono in fondo così duri come sembrano.

Molti di quelli che vengono considerati senza speranza possono essere recuperati con una saggia disciplina. Spesso sono quelli che si educano più facilmente con la gentilezza. L’insegnante deve conquistare la fiducia del tentato, e riconoscendo e sviluppando il bene nel suo carattere, può, in molti casi, correggere il male senza richiamare l’attenzione su di esso.

Il Maestro divino sopporta i peccatori nonostante tutta la loro perversità. Il Suo amore non si raffredda; i Suoi sforzi per conquistarli non cessano.

Con le braccia tese aspetta di accogliere sempre di nuovo l’errante, il ribelle e persino l’apostata. Il Suo cuore è toccato dalla fragilità del piccolo bambino soggetto ai modi brutali. Il grido della sofferenza umana non giunge mai invano al Suo orecchio. Anche se tutti sono preziosi al Suo cospetto, i caratteri rudi, scontrosi e ostinati attirano la Sua simpatia e il Suo amore, perché Egli sa quale causa ha generato ciò.

Colui che è più facilmente tentato e più incline all’errore è l’oggetto speciale della Sua sollecitudine. Ogni genitore e ogni insegnante dovrebbe avere a cuore gli attributi di Colui che fa Sua la causa degli afflitti, dei sofferenti e dei tentati. Dovrebbe essere colui che può “usare compassione verso gli ignoranti e gli erranti, poiché è circondato anch’egli di debolezza” {Ebrei 5: 2}. Gesù ci tratta molto meglio di quanto meritiamo; e come Lui ha trattato noi, così noi dobbiamo trattare gli altri.

Il comportamento di nessun genitore o insegnante è giustificabile se è diverso da quello che, in circostanze simili, ha adottato il Salvatore.

La disciplina della vita

Al di là della disciplina della casa e della scuola, tutti devono affrontare la severa disciplina della vita. Come affrontarla con saggezza è una lezione che dovrebbe essere impartita a tutti i bambini e a tutti i giovani. È vero che Dio ci ama, che si adopera per la nostra felicità e che, se la Sua legge fosse sempre stata rispettata, non avremmo mai conosciuto la sofferenza, però non è meno vero che in questo mondo come risultato del peccato, la sofferenza, i problemi, i fardelli, arrivano in ogni vita. Possiamo dare ai bambini e ai giovani un bene che durerà tutta la vita insegnando loro ad affrontare coraggiosamente questi problemi e fardelli. Anche se dovremmo dare loro compassione, non dobbiamo mai favorire l’autocommiserazione. Ciò di cui hanno bisogno è quello che stimola e rafforza piuttosto che indebolisce. Bisogna insegnare loro che questo mondo non è un terreno per la sfilata, ma un campo di battaglia, Tutti sono chiamati a sopportare afflizioni, come buoni soldati.

Insegniamo loro che la vera prova di carattere si trova nella volontà di sopportare i fardelli, di accettare posti difficili, di compiere il lavoro che deve essere svolto, anche se non porta alcun riconoscimento o ricompensa terrena. Il vero modo di affrontare le prove non è cercare di sfuggirle, ma trasformarle. Questo vale per tutte le discipline, sia nell’infanzia sia più avanti negli anni.

La trascuratezza della prima formazione del bambino, e il conseguente rafforzamento delle tendenze sbagliate, rende più difficile la sua educazione successiva e fa sì che la disciplina sia troppo spesso un processo doloroso. Infatti la disciplina di per se, è un azione dolorosa in quanto contrasta con i come desideri e le inclinazioni naturali; ma il dolore può essere perso di vista, e resta una gioia ancora più grande.

Insegniamo al bambino e al giovane che ogni errore, ogni colpa, ogni difficoltà vinti, diventano un trampolino di lancio per cose migliori e superiori. È attraverso queste esperienze che tutti coloro che hanno reso la vita degna di essere vissuta hanno raggiunto il successo.

“Le altezze raggiunte e mantenute dai grandi uomini non sono state raggiunte con una fuga improvvisa, ma essi, mentre i loro compagni dormivano, lavoravano nella notte”.

“Ci innalziamo grazie alle cose che abbiamo sotto i piedi; da ciò che abbiamo dominato nel bene e nel guadagno; dall’orgoglio deposto e dalla passione uccisa, e dai mali sconfitti che incontriamo di ora in ora”.

“Tutte le cose comuni, gli eventi di ogni giorno, che con l’ora iniziano e finiscono, i nostri piaceri e i nostri malumori, sono percorsi che ci permettono di ascendere”.

“Mentre abbiamo lo sguardo fisso non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne” {2 Corinzi 4: 18}.

Il cambio che facciamo nella negazione dei desideri e delle inclinazioni egoistiche è per ciò che è inutile e transitorio con ciò che è prezioso e duraturo. Non è un sacrificio, ma un guadagno infinito. “Qualcosa di meglio” è la parola d’ordine dell’educazione, la legge di ogni vera vita. Qualunque cosa a cui Cristo ci chiede di rinunciare, ci offre al suo posto qualcosa di meglio.

Spesso i giovani amano oggetti, ricerche e piaceri che non hanno nulla a che fare con la vita, e piaceri che possono non sembrare malvagi, ma che non raggiungono il bene più alto. Distolgono la vita dal suo scopo più nobile. Misure arbitrarie o denunce dirette non possono servire a indurre questi giovani a rinunciare a ciò che hanno di più caro. Che siano indirizzati verso qualcosa di meglio dell’ostentazione, dell’ambizione o dell’autoindulgenza. Metteteli a contatto con una bellezza più vera, con principi più elevati e con vite più nobili. Portateli a vedere Colui che è “sommamente bello”. Quando lo sguardo è fissato su di Lui, la vita trova il suo centro. L’entusiasmo, la generosa devozione, l’ardore appassionato della gioventù trovano qui il loro vero scopo. Il dovere diventa una delizia e il sacrificio un piacere. Onorare Cristo, diventare come Lui, lavorare per Lui, è la più alta ambizione della vita e la sua più grande gioia. “Poiché l’amore di Cristo ci costringe” 2 Corinzi 5:14

 

Il corso superiore

“Dall’inizio del mondo gli uomini non hanno percepito con l’orecchio e non hanno visto con gli occhi… è ciò che Egli ha preparato per coloro che lo aspettano.”

 

 

CAPITOLO 35 – LA SCUOLA DEL CIELO

“Vedranno il Suo volto e il Suo nome sarà sulla loro fronte”.

Il Cielo è una scuola; il suo campo di studio è l’universo; il suo maestro è l’Essere l’Infinito. Un ramo di questa scuola fu istituito nell’Eden; e, compiuto il piano di redenzione, l’educazione sarà di nuovo ripresa nella scuola dell’Eden. “«Le cose che occhio non ha visto e che orecchio non ha udito e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per quelli che lo amano»” {1 Corinzi 2: 9}. Solo attraverso la Sua Parola si può avere una conoscenza di queste cose, e anche questa non offre che una rivelazione parziale. Il profeta di Patmos descrive così il luogo in cui si troverà la scuola del Cielo:

“Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c’era più. E io, Giovanni, vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” {Apocalisse 21: 1-2}. “E la città non ha bisogno del sole né della luna, che risplendano in lei, perché la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è il suo luminare” {Apocalisse 21: 23}.

Tra la scuola istituita nell’Eden all’inizio e la scuola del Cielo c’è tutto lo studio di questo mondo: la storia della trasgressione e della sofferenza umana, del sacrificio divino e della vittoria sulla morte e sul peccato.

Non tutte le condizioni della prima scuola edenica si troveranno nella scuola della vita futura.

Nessun albero della conoscenza del bene e del male offrirà l’opportunità di essere tentati. Non c’è nessun tentatore, nessuna possibilità di sbagliare. Ogni carattere ha resistito alla prova del male, e nessuno è più suscettibile al suo potere. Dice Cristo: “«A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al paradiso di Dio»” {Apocalisse 2: 7}. Il dono dell’albero della vita nell’Eden era condizionato, e questo è stato finalmente tolto. Ma i doni della vita futura sono assoluti ed eterni. Il profeta vede “il fiume puro dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. E in mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trovava l’albero della vita” {Apocalisse 22: 1-2}. “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio né grido né fatica, perché le cose di prima son passate” {Apocalisse 21: 4}.

“Tutti quelli del tuo popolo saranno giusti; essi possederanno il paese per sempre, il germoglio da me piantato, l’opera delle mie mani, per manifestare la mia gloria” {Isaia 60: 21}.

Restituito alla Sua presenza, l’uomo tornerà, come all’inizio, ad essere istruito direttamente da Dio: “«Perciò il mio popolo conoscerà il mio nome, perciò comprenderà in quel giorno che sono io che ho parlato: “Eccomi!”»” {Isaia 52: 6}. “«Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio” {Apocalisse 21: 3}. “«Costoro sono quelli che sono venuti dalla grande tribolazione, e hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Per questo essi sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio… Essi non avranno più fame né sete, non li colpirà più né il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che è in mezzo al trono, li pascolerà e li guiderà alle vive fonti delle acque” {Apocalisse 7: 14-17}. “Ora infatti vediamo come per mezzo di uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo a faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò proprio come sono stato conosciuto” {1 Corinzi 13: 12}. “Essi vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla loro fronte” {Apocalisse 22: 4}.

Allora quando il velo che oscura la nostra visione sarà rimosso, e i nostri occhi vedranno quel mondo di bellezza di cui ora possiamo intravedere solo scorci al microscopio, quando guardiamo le glorie dei Cieli, ora scrutati da lontano attraverso il telescopio, quando, rimossa la rovina del peccato, la Terra intera apparirà nella “bellezza del Signore nostro Dio”, quale campo di studio si aprirà davanti a noi! Lì lo studente potrà leggere il racconto della creazione e non scorgere alcuna legge del male. Potrà ascoltare la musica della natura e non scorgere alcuna nota di lamento o sottofondo di dolore. In tutte le cose create può rintracciare un’unica scrittura, nell’immenso Universo potrà vedere “il nome di Dio scritto in grande”, e non c’è nella terra, nel mare o nel cielo un solo segno di male.

Lì si vivrà la vita dell’Eden, la vita nei giardini e nei campi. “Costruiranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno i frutti. Non costruiranno e un altro abiterà; non pianteranno e un altro mangerà; perché come i giorni di un albero sono i giorni del Mio popolo, i miei eletti godranno a lungo dell’opera delle loro mani” {Isaia 65: 21-22}.

“Non faranno più alcun danno né distruzione su tutto il mio santo monte», dice l’Eterno” {Isaia 65: 25}. Lì l’uomo sarà restituito alla sua regalità perduta, e gli esseri di livello inferiore ne riconosceranno di nuovo il suo dominio; il feroce diventerà mite e il timido fiducioso. Si aprirà per lo studente una storia di portata infinita e di ricchezza inesprimibile. Qui, grazie all’aiuto della Parola di Dio, ai salvati è offerta una visione del vasto campo della storia e una conoscenza dei principi che regolano il corso degli eventi umani. Ma la loro visione è ancora offuscata e la conoscenza incompleta. Solo quando si troveranno alla luce dell’eternità potranno vedere tutte le cose chiaramente.

Allora si aprirà davanti ai redenti il corso del grande conflitto che è nato prima dell’inizio del tempo e che terminerà solo quando il tempo cesserà. La storia dell’inizio del peccato, della fatale falsità nel suo operare malsano, della verità che, non deviando dalle proprie linee rette, ha incontrato e vinto l’errore, tutto sarà reso manifesto. Il velo che si interpone tra il mondo visibile e quello invisibile sarà tolto e saranno rivelate cose meravigliose. Solo quando le provvidenze di Dio saranno viste alla luce dell’eternità capiremo cosa dobbiamo alla cura e all’intervento dei Suoi angeli. Gli esseri celesti hanno preso parte attiva alle vicende degli uomini. Sono apparsi in vesti che brillavano come un fulmine, sono venuti come uomini, nelle vesti di viandanti. Hanno accettato l’ospitalità nelle case degli umani, hanno agito come guide per viaggiatori ottenebrati, hanno contrastato il proposito dei malvagi e deviato il colpo del distruttore Sebbene i governanti di questo mondo lo ignorino, spesso nei loro consigli, gli angeli sono stati portavoce. Occhi umani li hanno guardati. Orecchie umane hanno ascoltato i loro appelli. Nella sala del consiglio di giustizia, i messaggeri celesti hanno perorato la causa dei perseguitati e degli oppressi. Hanno sconfitto propositi e impedito mali che avrebbero recato danno e sofferenza ai figli di Dio.

Ogni redento comprenderà il ministero degli angeli nella propria vita. L’angelo che è stato il suo guardiano fin dal primo momento, che ha vegliato sui suoi passi e gli ha coperto il capo nel giorno del pericolo, l’angelo che è stato con lui nella valle dell’ombra della morte, che ha segnato il suo luogo di riposo, che è stato il primo a salutarlo nella mattina della resurrezione: come sarà conversare con lui e conoscere la storia dell’interposizione divina nella vita individuale, della cooperazione celeste in ogni opera per l’umanità! Agli studenti della scuola celeste, tutto questo verrà spiegato. Tutte le perplessità dell’esperienza della vita saranno allora chiarite. Dove a noi sono apparse solo confusione e delusione, sogni infranti e piani vanificati, si vedrà una grande, vittoriosa armonia divina. Lì tutti coloro che hanno lavorato con spirito altruistico vedranno il frutto del loro lavoro. L’attuazione di ogni principio giusto e di ogni nobile azione. Qualcosa di tutto ciò lo vediamo anche ora. Ma quanto poco ci è dato conoscere in questa vita dei risultati derivanti dal più nobile lavoro del mondo! Quanti si affaticano disinteressatamente e senza sosta per coloro che vanno oltre la loro portata e la loro conoscenza! Genitori e maestri giacciono nel loro ultimo sonno e sembra che il loro lavoro sia stato vano; non sanno che la loro fedeltà ha aperto sorgenti di benedizione che non cesseranno mai di sgorgare; solo per fede vedono i bambini che hanno formato diventare una benedizione e un’ispirazione per i loro compagni, esercitando un influsso che si ripeterà mille volte. Molti operatori fedeli inviano al mondo messaggi di forza, speranza e coraggio, parole che portano con sé la benedizione ai cuori di ogni paese, ma dei risultati loro, che lavorano in solitudine e nell’oscurità, sanno poco.

Così si elargiscono doni, si sopportano pesi, si lavora. Gli uomini seminano il seme da cui, sopra le loro tombe, altri raccolgono raccolti benedetti.

Piantano alberi, perché altri possano mangiarne i frutti. Si accontentano di sapere che hanno messo in moto agenzie per il bene. Nel Cielo, si vedrà l’azione e la reazione di tutte queste cose. Di ogni dono che Dio ha elargito, portando gli uomini all’impegno disinteressato, si tiene traccia in Cielo.

Seguire questo in tutta la sua estensione, guardare coloro che grazie ai nostri sforzi sono stati innalzati e nobilitati, vedere nella loro storia l’attuazione dei veri principi: questo sarà uno degli studi e delle ricompense della scuola celeste.

Lì conosceremo come siamo conosciuti. Lassù gli amori e le simpatie che Dio ha piantato nell’anima troveranno il più vero e più dolce esercizio. La comunione pura con gli esseri santi, la vita sociale armoniosa con gli angeli benedetti e con i fedeli di tutte le epoche, la sacra comunione che unisce “tutta la famiglia in cielo e in terra”: tutto questo fa parte delle esperienze del Regno Eterno.

Lì ci sarà musica e canto, una musica e un canto tali che, se non nelle visioni di Dio, nessun orecchio mortale ha mai sentito o concepito. “E i cantori e i suonatori diranno: «Tutte le mie fonti di vita e di gioia sono in te»” {Salmo 87: 7}. “Quelli alzeranno la voce, manderanno grida di gioia, per la maestà dell’Eterno” {Isaia 24: 14}.

“L’Eterno infatti sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine, renderà il suo deserto come l’Eden e la sua solitudine come il giardino dell’Eterno. Gioia ed allegrezza si troveranno in lei, ringraziamento e suono di canti” {Isaia 51: 3}.

Là ogni facoltà sarà sviluppato, ogni capacità aumentata. Le imprese più grandiose saranno portate avanti, le aspirazioni più alte saranno raggiunte, le ambizioni più elevate realizzate. E ancora nuove vette da superare, nuove meraviglie da ammirare, nuove verità da comprendere, nuovi obbiettivi per impegnare le energie del corpo, della mente e dell’anima.

Tutti i tesori dell’Universo saranno aperti allo studio dei figli di Dio. Con una gioia indicibile entreremo nella gioia e nella saggezza degli esseri non caduti. Condivideremo i tesori di secoli e secoli passati a contemplare l’opera di Dio. E gli anni dell’eternità, man mano che scorreranno, continueranno a darci rivelazioni sempre più gloriose. “Or a colui che può, secondo la potenza che opera in noi, fare smisuratamente al di là di quanto chiediamo o pensiamo” {Efesini 3: 20}. Saranno, nei secoli dei secoli, impartiti i doni di Dio. “I suoi servi lo serviranno” {Apocalisse 22: 3}. La vita sulla Terra è l’inizio della vita in Cielo; l’educazione in Terra è un’iniziazione ai principi del Cielo; il lavoro svolto qui è preparatorio per il lavoro del Cielo. Ciò che siamo ora, nel carattere e nel servizio sacro, è la sicura prefigurazione di ciò che saremo. “Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” {Matteo 20: 28}. L’opera di Cristo sulla Terra è la stessa di quella che compirà in Cielo, e la nostra ricompensa per aver lavorato con Lui in questo mondo consisterà in una più grande capacità e in un più ampio privilegio di lavorare con Lui nel mondo a venire. “Voi siete miei testimoni, dice l’Eterno, e io sono Dio” {Isaia 43: 12}.

Anche noi saremo così nell’eternità. Perché è stato permesso che la grande controversia si protraesse per tutti i secoli? Perché l’esistenza di Satana non è stata soppressa all’inizio della sua ribellione? Perché l’Universo si convincesse della giustizia di Dio nei confronti del male, perché il peccato fosse condannato in eterno. Nel piano di redenzione ci sono altezze e profondità che l’eternità stessa non potrà mai esaurire, meraviglie in cui gli angeli desiderano guardare. Solo i redenti, tra tutti gli esseri creati, hanno conosciuto nella loro esperienza l’effettivo conflitto con il peccato; hanno lavorato con Cristo e, come nemmeno gli angeli avrebbero potuto fare, sono entrati nella comunione delle Sue sofferenze, non avranno essi alcuna testimonianza da rendere alla scienza della redenzione, nulla da dire che sia utile per gli esseri non caduti?

“Affinché, per mezzo della chiesa, nel tempo presente sia manifestata ai principati e alle potestà, nei luoghi celesti, la multiforme sapienza di Dio” {Efesini 3: 10}. Ed Egli “ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età che verranno le eccellenti ricchezze della sua grazia, con benignità verso di noi in Cristo Gesù” {Efesini 2: 6-7}.

“E nel suo tempio tutto dice: «Gloria!»” {Salmo 29: 9}, e il canto che i riscattati canteranno, il canto della loro esperienza, dichiarerà la gloria di Dio: “«Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore, Dio onnipotente; giuste e veraci sono le tue vie, o Re delle nazioni. Chi non ti temerà, o Signore e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei Santo” {Apocalisse 15: 3-4}.

Nella nostra vita qui, per quanto terrena e limitata dal peccato, la più grande gioia e la più alta educazione si trovano nel servizio. E nella condizione futura, senza le limitazioni dell’umanità peccatrice, la nostra più grande gioia e la nostra più alta educazione, si troveranno ancora nel servizio e apprenderemo di nuovo “quali siano le ricchezze della gloria di questo mistero fra i gentili, che è Cristo in voi, speranza di gloria” {Colossesi 1: 27}.

“Non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è” {1 Giovanni 3: 2}.

Allora, in quella grande moltitudine che nessun uomo poteva contare, presentata “a colui che può salvaguardarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria irreprensibili e con grande gioia” {Giuda 24}, Colui il cui sangue ci ha redento e la cui vita ci ha istruito, “Egli vedrà il frutto del travaglio della sua anima e ne sarà soddisfatto” {Isaia 53: 11}.