666 – Il numero della Bestia – Edwin de Kock

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666

IL NUMERO DELLA BESTIA

di Edwin de Kock

Encyclopedia of Seventh-day adventist

 

INTRODUZIONE

Gli Avventisti del Settimo Giorno hanno ereditato molto di ciò che credono riguardo alla profezia biblica dai loro predecessori teologici. La maggior parte di questi predecessori, anche se non tutti, erano protestanti.

Nel corso dei secoli, molti scrittori hanno cercato di interpretare l’enigma presentato da {Apocalisse 13: 17-18}: “e che nessuno potesse comperare o vendere, se non chi aveva il marchio o il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero della bestia, perché è un numero d’uomo; e il suo numero è seicentosessantasei”.

Per diversi ricercatori, il numero 666 in sé è un numero problematico perché alcuni manoscritti greci contengono il numero 616, mentre un altro ancora contiene il numero 615. Ad ogni modo i manoscritti più antichi contengono il numero 666, tra cui l’antico papiro Chester Beatty del terzo secolo d.C. Questo papiro contiene la lettura “arithmos gar anthrōpou estin estin de ch xi S” (“perché è un numero d’uomo; e il suo numero è 666”)1. Si tratta di una lettura minoritaria, perché la maggior parte dei manoscritti riporta i numeri scritti per esteso come “hexakosioi hexēkonta hex” (“seicentosessantasei”). La grande antichità del papiro di Chester Beatty è comunque di grande importanza come prova dell’uso precoce dell’abbreviazione “ch xi S” (“666”). Inoltre, il Novum Testamentum Graece (28th ed.) la indica come una variante di lettura2.

Gli antichi non possedevano una scrittura speciale per i numeri. Le lettere dell’alefbet semitico, utilizzato nel sistema di scrittura degli ebrei, servivano anche come numeri. Essi l’avevano derivata dai Fenici, linguisticamente affini, che la chiamavano ālep bet. Anche gli antichi greci lo adottarono, modificandolo per produrre il loro alfa-beta, il primo “vero” alfabeto. Anche per loro le lettere rappresentavano i numeri. Ereditato dai loro conquistatori romani, divenne anche la base dei numeri romani, che a volte vengono utilizzati ancora oggi. Le persone che vivevano ai tempi del Nuovo Testamento non conoscevano il sistema arabo-indù che possediamo oggi, introdotto durante il Medioevo. “Il primo manoscritto europeo di cui si abbia notizia che contenga numeri indù è stato scritto in Spagna nel 976”3.

 

DAI PADRI DELLA CHIESA ALL’ALTO MEDIOEVO

Il calcolo del numero di un nome attraverso l’equivalenza lettera-numero è noto come gematria. Uno dei primi scrittori cristiani ad applicarla ad {Apocalisse 13: 18} fu Ireneo (130-202 d.C.), vescovo di Lione in Gallia. In “Contro le eresie” scrisse: “Pur essendo certi del numero del nome dell’Anticristo, non dobbiamo tuttavia giungere a conclusioni avventate sul nome stesso, perché questo numero può essere adattato a molti nomi”.

Tra le altre ragioni, egli favoriva la parola “Teitan”, una variante di “Titan”, perché “è composta da sei lettere, ogni sillaba contiene tre lettere”. Ma ha anche suggerito “Lateinos”, che ha anche “il numero seicentosessantasei; ed è una soluzione molto probabile, essendo questo il nome dell’ultimo regno [dei quattro visti da Daniele]. I Latini, infatti, sono coloro che attualmente ne detengono il dominio”4.

“Il più continuo, o consecutivo, ed antico commento all’Apocalisse ad oggi esistente” è quello di Victorinus, vescovo di Pettau in Pannonia superiore, vicino all’attuale Vienna. Morì nel 303 o 304 d.C., martire sotto Diocleziano5. Froom afferma, a proposito della spiegazione di Victorinus della bestia-leopardo di {Apocalisse 13}: “Questo INDICA il regno dell’Anticristo di quel tempo”. Il 666 del versetto 18 viene prima calcolato con la gematria greca, suggerendo “Teitan” e “Antemos”, le cui lettere comprendono il numero equivalente (666). Poi, rivolgendosi al latino, ha suggerito l’antifrasi “DICLUX”, che sta per “Anticristo”6. Questa antifrasi significa “dire luce” e in numeri romani ha un valore numerico di 666.

Un’antifrasi (antiphrasis) è un “uso ironico o umoristico di parole in senso opposto ai significati generalmente accettati”7. Ecco cosa ha notato Victorinus a proposito dell’antifrasi DICLUX: “Intendiamo anticristo, che – sebbene tagliato fuori e privato della luce celeste – si trasforma comunque in un angelo di luce, osando affermare di essere luce”8. Questo è chiaramente un riferimento a {2 Corinzi 11: 14}, che fa riferimento a Satana.

Sempre utilizzando la gematria, gli scrittori successivi avrebbero rilevato che anche un titolo papale, “Vicarius Filii Dei” (“Vicario del Figlio di Dio”), aveva un valore numerico di 666. Ireneo e Vittorino non facevano ancora riferimento a questo titolo, perché entrò in uso solo nel 754 d.C. con la cosiddetta Donazione di Costantino (vedi sotto).

Beato di Liébana (730-800 d.C.), “monaco, teologo e geografo del Regno delle Asturie, nel nord della Spagna “9, utilizzò fonti precedenti per compilare un commento al Libro dell’Apocalisse. Per identificare l’Anticristo attraverso il suo nome, utilizzò anche l’antifrasi DICLUX10.

Nel corso del XII secolo, anche altri primi espositori profetici, come Walafrid Strabo (809-849 d.C.) e Haymo/Haimo (853 d.C.), nonché Bruno Astensis (1045-1123 d.C.), Ruperto di Deutz (1075-1129 d.C.) e Garnerius Lingonensis, si sono soffermati sul significato dell’antifrasi DICLUX e hanno condiviso le idee di Victorinus.

 

I RIFORMATORI PROTESTANTI SUL NUMERO 666 COME ANNI

A parte la gematria, Martin Lutero aveva un’idea ben diversa, contenuta in una delle note marginali che accompagnano la sua traduzione della Bibbia tedesca, contenuta nel Nuovo Testamento del 1530 e nelle edizioni del 1534, 1541, 1545 e 1546 dell’intera Bibbia. In tutte, egli scrisse: “Questi sono seicentosessantasei anni. Da quando esiste il papato terreno”11.

I calvinisti adottarono la stessa interpretazione. David Brady nota che nel 1557 “il riformatore svizzero Heinrich Bullinger [lo utilizzò] nel suo commento in “Apocalypsim Jesu Christi… Conciones Centum”. Se, come era consuetudine, [l’inizio] del libro dell’Apocalisse veniva applicato all’incirca entro il regno di Domiziano, si potevano aggiungere altri 666 anni e arrivare a un altro sovrano europeo il cui nome, almeno negli anni dei protestanti, fu registrato nella galleria dell’infamia: Pipino III (714-768 d.C., re dal 751)… Ciò che i protestanti trovavano più sgradevole di Pipino era il suo uso, nel 754, della spuria Donazione di Costantino in opposizione agli attacchi longobardi, del re Aistulf, per concedere al papato alcune terre precedentemente detenute dai Longobardi, insieme all’Esarcato di Ravenna”12.

Un’idea simile compare nella Bibbia di Ginevra (Nuovo Testamento 1557, Antico Testamento 1560). Gli editori non si limitarono a tradurla in inglese, ma utilizzarono anche note marginali per spiegarla ai lettori. La nota su {Apocalisse 13: 18} “suggeriva che il numero di 666 indicava il numero di anni dopo la data della visione di Giovanni, quando il papa o l’Anticristo cominciarono a manifestarsi nel mondo”13. Quindi, per due secoli, questa idea fu molto influente.

“L’interpretazione del numero 666, che indica un numero di anni successivi alla visione di Giovanni, fu adottata nel corso del XVII e XVIII secolo da diversi commentatori. Fu impiegata, tra gli altri, da William Whitaker, maestro del St. John’s College di Cambridge, che fece uso di {Apocalisse 13: 18} in uno studio condotto nel 1582. La sua tesi era ‘Pontifex Romanus est ille Antichristus, quem futurum Scriptura praedixit’ (‘Il Pontefice Romano è quell’Anticristo che la Scrittura predice nel futuro’)”. Un’altra opera che seguiva questa interpretazione era quella del “riformatore ungherese Stephanus Kis, in un’opera pubblicata a Londra nel 1593”14.

Piuttosto singolare è stato il tentativo dei predicatori profetici del XVII secolo di unire il numero 666 di {Apocalisse 13: 18} con l’anno 1666. James Hilton trattò questo fenomeno in relazione agli scritti di Johannes Praetorius di Zetlingen, in Germania. Il luterano Praetorius era un “Maestro di Filosofia” all’Università di Lipsia e poeta laureato, che trattò in gran parte argomenti mistici15.

Come Lutero e Calvino, questi scrittori protestanti successivi identificarono la bestia di {Apocalisse 13} con il papa. E ipotizzarono anche che il famigerato numero si riferisse a un periodo di tempo. Tutti loro però fallirono nel considerare che {Apocalisse 13: 18} si riferisse al “nome” della bestia, perciò suggerirono l’uso della gematria dicendo che era il numero a dover essere calcolato. Essendo quindi applicato a periodi di tempo più lunghi, non poteva essere necessariamente limitato a un singolo individuo, ma doveva riferirsi al nome o al titolo di una carica [papale].

 

ANDREAS HELWIG SUL “VICARIUS FILII DEI” COME VALORE NUMERICO DI 666

Circa cinquanta o cento anni dopo Lutero, Andreas Helwig (1572-1643), un brillante studioso esperto di latino, greco ed ebraico, reintrodusse la gematria con una nuova interpretazione. Egli sottolineò che “Vicarius Filii Dei” (Vicario del Figlio di Dio), uno dei titoli del papa, aveva il valore numerico di 666. Il suo trattato “Antichristus Romanus” (L’anticristo romano) apparve per la prima volta nel 1600. Ancora più nota è la ristampa del libro apparsa dodici anni dopo a Rostock, in Germania. Nel 1630, a Stralsund, in Germania, pubblicò la terza versione definitiva del libro. Qui, e in tutto questo articolo, la parola “vicario” significa in realtà “rappresentante di” e “sostituto di”.

La biblioteca comunale di Västerås (a ovest di Stoccolma, Svezia) sembra possedere l’unica copia superstite del libro di Helwig. Sembra che vi sia stata collocata da Carl Frederik Muhrbeck nel 1772, quindi prima della Rivoluzione americana. L’aspetto più significativo di questa edizione del libro è il fatto che Helwig ha incluso il Vicarius Filii Dei nel frontespizio.16

Helwig “cita anche alcuni nomi ebraici, come Romith”, che coincidono con il numero 666, in quanto vari scrittori li hanno applicati al papa. Cita anche cinque nomi greci, alcuni risalenti al III secolo, come Lateinos, ognuno dei quali arriva a 666. Cita poi alcuni nomi latini, usati o applicati da altri al papa. Questi sono (a) Vicarius Filii Dei, (b) Ordinarius Ovilis Christi Pastor, (c) Dux Cleri e (d) Dic Lux, ognuno dei quali coincide con 666.17

Sebbene altri scrittori avessero già usato questi ultimi titoli, il calcolo del valore numerico associato a “Vicarius Filii Dei” fu una scoperta di Helwig.

 

VICARIUS FILII DEI E LA DONAZIONE DI COSTANTINO

Il titolo di “Vicarius Filii Dei” compare per la prima volta nella cosiddetta Donazione di Costantino, un falso papale che ebbe un impatto immenso sulla storia dell’Europa, sia religiosa che laica. Si trattava di una pretesa fraudolenta di supremazia su tutti gli altri arcivescovi del mondo cristiano medievale e di sovranità su vasti territori, soprattutto in Italia. Fu deliberatamente inventato con la consapevolezza, e probabilmente sotto la supervisione personale, del sommo pontefice.

Il papa Stefano II dell’VIII secolo (regnò dal 752 al 757 d.C.) non solo era a capo della Chiesa romana, ma governava anche, in misura limitata, su una parte dell’Italia. Si trattava di un ducato che deteneva per conto dell’imperatore di Costantinopoli, che però era di fatto un proprietario assente. Quando il re dei Longobardi Aistulf invase l’Italia, i bizantini non furono in grado di fornire aiuto. Poiché controllava gran parte dell’Italia, Aistulf rivendicò anche la sovranità sul pontefice e sui territori a lui sottoposti, esigendo una tassa di un solidus d’oro (1/72 di libbra o 4,5 grammi) per ogni abitante.18

Il papa non era disposto ad accettare questa richiesta e avviò trattative con Pipino/Pippino III (714-768 d.C.), re dei Franchi. Papa Stefano II si assicurò prima la protezione di quel monarca e poi attraversò le Alpi, accompagnato da due nobili franchi19 e da alcuni suoi chierici. Una cronaca anonima, recensita nel “Journal Historique et Litteraire” del 15 febbraio 178420, descrive come il pontefice – che non stava bene – iniziò questo viaggio il 14 ottobre 753 e attraversò il passo del Gran San Bernardo. Ad accoglierlo c’erano il re, la regina, i principi e tutta la corte, oltre a molte persone provenienti da tutta la Francia. Essi giunsero, “essendo stati informati che il successore degli Apostoli, il Vicaire du Fils de Dieu [vicario del Figlio di Dio], il sommo sacerdote del mondo cristiano, afflitto dall’età e dalle infermità, inseguito dai suoi avversari, aveva, durante il rigido inverno, attraversato le alte Alpi, per vedere i territori dei Franchi, e per chiedere il loro aiuto nella difesa delle tombe e del patrimonio degli Apostoli”.21

Il risultato delle deliberazioni tra papa Stefano II e re Pipino fu che quest’ultimo venne in aiuto del pontefice nel 754 o 755 d.C. e nuovamente nel 756 d.C. papa Stefano II riuscì a convincere Pipino a sottrarre Ravenna e altre città italiane ai longobardi perché una lettera, che si diceva scritta dall’imperatore Costantino quattro secoli prima, affermava che quei territori appartenevano al papato. Dopo aver sconfitto i longobardi, Pipino consegnò i territori conquistati al papa: fu così che, per la prima volta, il pontefice divenne un potentato totalmente indipendente e nacque lo Stato Pontificio. Cheetham osserva che la cosiddetta Donazione di Costantino “si ritiene sia stata fabbricata nella cancelleria papale durante le febbrili settimane in cui Stefano si preparava a partire per la Francia”.22

L’imperatore Costantino l’avrebbe scritta a papa Silvestro I (314-335 d.C.) il 30 marzo 315. La donazione avrebbe conferito al papa “la supremazia sulle sedi di Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme e su tutte le chiese del mondo”. Costantino avrebbe anche dato al papa il controllo del palazzo imperiale di Roma e di tutte le regioni dell’Impero d’Occidente e il diritto di nominare i governanti secolari in Occidente23.

Nel Medioevo europeo, le falsificazioni erano uno strumento comunemente utilizzato dalla Chiesa romana per perseguire i propri fini. Tali erano anche le “False Decretali”, create tra il 775 e il 785 d.C., “nella stessa Roma sotto il pontificato di Adriano [I]”.24

Si trattava di una raccolta di leggi che fingevano di essere “i decreti dei concili e le decretali dei papi (lettere che formulano decisioni di diritto ecclesiastico della Chiesa cattolica) dei primi sette secoli”.25

Questi documenti mescolavano sottilmente materiale autentico con palesi falsità. Oltre alla Donazione di Costantino, la raccolta delle False Decretali “contiene circa cinquecento testi giuridici falsificati”.26

Un esempio drammatico dell’uso della Donazione di Costantino è rappresentato dalla disputa tra papa Leone IX e Michele Cerulario (1000-1059 d.C., circa), patriarca di Costantinopoli. Il cardinale Humbert di Silva Candida, che condusse le trattative tra i due, “attaccò il patriarca sostenendo la tesi del primato romano e citando ampiamente la ‘Donazione di Costantino’ falsificata”. “Il 16 luglio 1054, in piena vista della congregazione, Umberto pose la bolla papale di scomunica – già preparata prima che la legazione lasciasse Roma – sull’altare della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli”. Michele Cerulario ricambiò scomunicando la legazione e i suoi sostenitori.27

Questo scambio diede inizio a uno scisma tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa orientale che dura ormai da quasi mille anni. A quanto pare, “Leone IX (1049-1054 d.C.) fu il primo papa a citare la Donazione come autorità in un atto ufficiale, e i papi successivi la usarono nelle loro lotte con i Sacri Romani Imperatori e altri leader secolari”.28

Nel frattempo, il titolo di “Vicarius Filii Dei” non fu usato solo nel “Decretum” di Graziano, ma anche in almeno altri due primi documenti. Il primo di questi è un documento di Anselmo II (1036-1086), vescovo di Lucca in Italia, cardinale e legato pontificio. Anselmo II “trascorse gli ultimi anni di vita riunendo in tredici libri una raccolta di canoni di diritto ecclesiastico, che costituì la prima delle raccolte di canoni (Collectio canonum) a sostegno delle riforme gregoriane, che in seguito furono incorporate nel noto Decretum del giurista Graziano”.29

Una seconda importante opera antica che fece uso del titolo fu la “Collectio canonum” di Deusdedit (morto tra il 1097 e il 1100), amico e consigliere intimo di papa Gregorio VII, che lo nominò cardinale. Gli scritti di Deusdedit, una compilazione di fonti precedenti, in parte trovate negli “archivi e nella biblioteca del palazzo del Laterano”, riguardano “i diritti e la libertà della Chiesa e l’autorità della Santa Sede”. La Collectio fu completata nel 1087, due anni dopo la morte di Gregorio.30

Quando Lorenzo Valla dimostrò nel 1440 che la Donazione era un falso31, ciò non dissuase i papi dal persistere nelle loro pretese di supremazia. Ammettere che la Donazione di Costantino era fraudolenta avrebbe messo in pericolo il loro possesso dello Stato Pontificio. Lo storico cattolico Lord Acton (1834-1902 d.C.), noto per il suo detto “il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”, suggerì che l’istituzione dell’Inquisizione non aveva lo scopo di combattere il peccato, “a meno che non fosse accompagnato da un errore [teologico]… Il peccato più grave veniva perdonato, ma era la morte a negare la donazione di Costantino… La Donazione fu messa sullo stesso piano della legge di Dio”.32

Questo suggerimento è confermato da Pierre Claude François Daunou (1761-1840 d.C.), il quale afferma che la Donazione “fu creduta così a lungo che nel 1478 [trentotto anni dopo l’opera di Valla] i cristiani furono bruciati a Strasburgo per aver osato dubitare della sua autenticità!”.33

Nel 1443, tre anni dopo l’apparizione dell’opera di Valla, Enea Silvio Piccolomini (1405-1464 d.C.), poeta, drammaturgo e segretario di Federico III, raccomandò di indire un concilio ecclesiastico generale per affrontare la questione, incitando l’imperatore a confiscare tutti i territori interessati.34

Federico III perse la sua lotta contro il pontefice e gli sforzi non ebbero ulteriori effetti. Quindici anni dopo la sua proposta radicale, Piccolomini acquistò il papato per sé assicurandosi un blocco di voti controllato dall’amico Rodrigo de Borja (1431-1503 d.C.)35 nel conclave per l’elezione del prossimo papa. Il conclave si svolgeva di solito attraverso diverse fasi di votazione. I cardinali che si rendevano conto che non sarebbero stati eletti spesso assegnavano i voti ricevuti al candidato più probabile, in cambio di posizioni lucrative. Poteva essere coinvolto anche il denaro. Nell’aprile del 1459, un poema italiano anonimo onorò il Duca di Milano con il suo seguito e celebrò Piccolomini come nuovo pontefice. Nei versi 134 e 136, il poema chiama Piccolomini “vicario del Figliuol di Dio” e “Capo de’ Cristian santo papa Pio”.36

Con il nome di Pio II, Piccolomini rifiutò deliberatamente le conclusioni di Valla e le sue stesse idee precedenti su un concilio ecclesiastico generale, perché desiderava convalidare la propria sovranità temporale su gran parte della penisola italiana. Si accinse a riprendere il controllo sullo Stato Pontificio, alcuni dei quali erano già sfuggiti al dominio pontificio, “e il 17 gennaio 1460 emanò una bolla che condannava gli appelli di un papa a un concilio generale (ecumenico) della chiesa”.37

Sia la “Donazione di Costantino” che il titolo di “Vicarius Filii Dei” furono sanciti anche nel “Decretum Gratiani” (Decretum di Graziano), che apparve per la prima volta nel 1140 e divenne la base per l’insegnamento del diritto canonico cattolico.38

Il Decretum di Graziano fu copiato frequentemente per centinaia di anni e stampato più volte anche dopo l’invenzione della stampa da parte di Gutenberg. Insieme ad altre leggi della Chiesa, divenne una parte importante del diritto canonico. Il Decretum fu stampato per la prima volta nel 1500 e dal 1586 in poi fece parte del Corpus Iuris Canonici (Raccolta del Diritto Canonico), che rimase in vigore per oltre trecento anni. La Donazione di Costantino è chiaramente un falso, eppure era un documento cattolico autentico creato per acquisire lo Stato Pontificio in Italia e il dominio sui re e gli imperatori d’Europa. Il titolo fraudolento di “Vicarius Filii Dei” proclamava sia la supremazia ecclesiastica che la sovranità secolare.

 

MOLTI SCRITTORI PROTESTANTI FECEVANO RIFERIMENTO AL VICARIUS FILII DEI

Altri importanti protestanti non accettarono subito l’interpretazione di Helwig del numero 666. Per esempio, non c’è alcun riferimento a lui negli scritti di Sir Isaac Newton sulla profezia biblica. Per gran parte della sua vita, Newton studiò le profezie bibliche, in particolare i libri di Daniele e dell’Apocalisse.39

Invece, come altri prima di lui, affermò che il numero 666 in {Apocalisse 13: 18} si riferiva a “Lateinos”, come già citato da Ireneo.40

Tuttavia, dal 1715 al 1896, più di novanta scrittori non cattolici fecero riferimento o discussero il titolo di “Vicarius Filii Dei”. La maggior parte di loro applicò questo titolo al papato e dimostrò che aveva un valore numerico di 666.41

Per esempio, nel 1759, James Ferguson (1710-1776), un famoso astronomo, ritrattista scozzese, che si dilettava con le cifre e studiava anche la profezia, menzionò chiaramente l’equivalenza nome-numero. Egli elaborò tre tabelle per stabilire il valore numerico di “Romiith” in ebraico, “Lateinos” in greco e “Vicarius Filii Dei” in latino. Sottolineò che ai suoi tempi quest’ultimo nome era un titolo riconosciuto dai cattolici: “I papisti chiamano il papa Vicarivs Filii Dei (Vicario del Figlio di Dio). E, se prendiamo la somma di tutte le lettere numerali in queste tre parole, troveremo che è anche 666”.42

 

EMANUEL SWEDENBORG SUL TRIPLO SEI

Nel 1766, l’Apocalypsis Revelata (Apocalisse Rivelata) propose un metodo di interpretazione completamente diverso. Il suo autore, Emanuel Swedenborg (1688-1772), uno scienziato brillante e poliedrico, nell’aprile del 1745 aveva iniziato ad avere visioni e a comunicare con i cosiddetti spiriti dei morti e con esseri provenienti da altri pianeti. Un “Uomo spirituale apparve a Swedenborg […] in una forte luce splendente e disse: Io sono Dio, il Signore, il Creatore e il Redentore; ho scelto te per spiegare agli uomini il senso interiore e spirituale delle sacre scritture: Io ti detterò ciò che devi scrivere”.43

Poiché Swedenborg non credeva nella Trinità, percepì quell’essere (entità) come Gesù. Coloro che rifiutano lo spiritismo lo considerano come una manifestazione demoniaca.

Questo “senso spirituale” secondo il quale la Bibbia, compreso il libro dell’Apocalisse, doveva essere interpretata era in gran parte non storico e idealistico, e assomigliava molto al metodo allegorico del terzo secolo di Origene (185-254 d.C., circa), con le sue sfumature neoplatoniche. Kevin Baxter ha spiegato il metodo come segue: “Swedenborg ci dice che i filistei corrispondono a una fede in Dio, ma senza amare il prossimo. Gli eserciti, in generale, corrispondono alle dottrine o agli insegnamenti della Chiesa… Gli eserciti di Israele rappresentano i veri insegnamenti della Chiesa, mentre gli eserciti dei filistei sono i falsi insegnamenti di una Chiesa”.44

Swedenborg percepì le bestie di {Apocalisse 13} non solo come simbolo del cattolicesimo, ma anche delle chiese riformate. In un libro precedente, “Le dottrine celesti” (1758 d.C.), rifiutava nettamente l’idea di Lutero e di altri riformatori protestanti secondo cui le persone sono salvate solo attraverso la fede e la grazia di Dio, senza bisogno di opere buone.45

Pertanto, secondo lui, il marchio della bestia ricevuto sulla fronte o sulla mano destra di {Apocalisse 13: 16} “significa il riconoscimento di essere un cristiano riformato, e la confessione di esserlo” e “il nome della bestia significa la qualità della dottrina”.46

Egli pensava che i numeri avessero anche significati simbolici, come è evidente dalla sua interpretazione di {Apocalisse 13: 18}: “E il suo numero è seicentosessantasei, significa questo: tutta la verità della Parola è falsificata da loro [i cristiani riformati]. Il numero della bestia significa la conferma della dottrina e della fede dalla Parola tra di loro (nn. 608-609); seicentosessantasei significa ogni verità di bene, e poiché questo è detto della Parola, significa ogni verità di bene nella Parola, qui falsificata, perché è quella della bestia… Viene usato il numero seicentosessantasei, perché quel sei è triplicato, e la triplicazione completa”.47

La Fondazione Swedenborgiana si espresse in seguito come segue: “Uno degli usi più noti del sei è il suo ruolo nel numero della bestia: 666 – poiché il sei appare tre volte, questo numero rappresenta tutte le falsità e tutti i mali – ha la completezza del tre, ma ha anche le connotazioni negative date dal significato negativo del sei”.48

 

L’INTERPRETAZIONE DEL TRIPLICE SEI TRA GLI INTERPRETI PROTESTANTI

L’interpretazione di Swedenborg e la numerologia dei cosiddetti tripli sei nel 666 divennero molto influenti tra gli scrittori protestanti. Alcuni esempi verranno qui riportati per illustrare questo fatto.

Nel 1848, lo scrittore preterista David Thom (1795-1862 d.C.) scrisse: “Potrei, per esempio, suggerire che per ogni cosa peculiare che troviamo in un numero apocalittico, si dovrebbe cercare e ottenere una ragione altrettanto apocalittica. Ora, nel libro dell’Apocalisse stesso, non ci viene forse presentata una tale ragione? Uno dei suoi elementi più notevoli è costituito dai sette sigilli, dalle sette trombe e dalle sette fiale o coppe. Cioè, il numero sette ripetuto tre volte… Ora, secondo la maggioranza dei commentatori, nei sette sigilli [settimo sigillo] sono coinvolte le sette trombe; e nelle sette trombe [settima tromba] le sette coppe. L’applicazione di ciò è evidente: l’uso di tre sesti da parte degli scrittori ispirati non potrebbe avere una sorta di riferimento ai tre sette appena menzionati? Questi tre sette (777) implicano la perfezione. È fatta. I corrispondenti tre sei (666), in quanto mancanti del sette, non potrebbero forse implicare l’imperfezione?”.49

Ma nell’Apocalisse non ci sono solo tre sette. Che dire delle sette lampade, delle sette stelle, delle sette corna, dei sette occhi, dei sette spiriti, dei sette tuoni, eccetera?

Anche lo scrittore cristiano Frederic William Farrar (1831-1903), noto per la sua popolarissima “Vita di Cristo” (1874) che ha avuto trenta edizioni in altrettanti anni, scrisse riguardo alla profezia da un punto di vista preterista. Nel suo libro “The Early Days of Christianity” (I primi giorni del cristianesimo), cercò di spiegare il significato di {Apocalisse 13: 18} dicendo: “L’insieme formava una triplice ripetizione di 6, il numero essenziale della fatica e dell’imperfezione; e questo simbolo numerico dell’Anticristo, il 666, si opponeva terribilmente all’888, i tre 8 perfetti del nome di Gesù”.50

Nel suo libro “The Apocalypse, Lectures on the Book of Revelation”, lo scrittore dispensazionalista Joseph A. Seiss scrisse: “Il sei è il numero satanico” e “il numero dell’Anticristo è tre sei: sei unità, sei decine e sei centinaia – 666 – il completamento individuale di tutto il male”. “Il sette è il numero della pienezza dispensativa” e “l’otto è il numero del nuovo inizio e della resurrezione”. A questo ha aggiunto: “La nostra domenica, che celebra la nuova creazione iniziata nella risurrezione del Salvatore, è l’ottavo giorno, il primo della nuova settimana”.51

Thom, Farrar e Seiss, e altri autori come loro, che pensavano che il 6 fosse un numero imperfetto o malvagio e interpretavano il 666 come un triplo sei, mostravano una tendenza all’idealismo, che nega un’interpretazione storicista perché non considera il libro dell’Apocalisse come una profezia predittiva. Questa visione si fondeva con la numerologia. Perciò favorirono il Preterismo o il Futurismo Dispensazionalista. L’idea che 666 significhi “Vicarius Filii Dei” e identifichi il papato è legata allo storicismo. Che trova la sua dimostrazione nei documenti cattolici che attribuiscono il titolo all’autorità papale e nel fatto che essi rivendicavano la supremazia ecclesiastica insieme alla sovranità territoriale in Italia e in altri Paesi.

 

LA TRIPLICE INTERPRETAZIONE DEI SEI A CONFRONTO CON IL TESTO GRECO

Swedenborg e alcuni scrittori protestanti hanno ipotizzato che ci fossero tre sei nel 666, trascurando che il 666 nel testo greco del Nuovo Testamento non è composto da tre sei o da un triplo sei. Il testo greco originale non utilizzava numeri indù-arabi con 6 otticamente adiacenti l’uno all’altro. Si tratta di “hexakosioi hexēkonta hex” (seicentosessantasei) scritto per intero, oppure dell’abbreviazione “ch xi S” = “chi xi stigma” come in alcuni testi come il Papiro Chester Beatty (p.47).52

Abituati al sistema indù-arabo e alla scrittura posizionale, i lettori moderni aggiunsero semplicemente 600, 60 e 6 e videro solo tre 6 come se non ci fossero gli 0. I lettori moderni arrivarono a trascurare il fatto che il testo greco contiene 600 + 60 + 6 = 666. Mentre nel sistema arabo-indù, i tre sei sommati insieme sono in realtà solo 18 (6 + 6 + 6 = 18).

Gli abitanti dell’antico mondo mediterraneo, compreso l’apostolo Giovanni che scrisse l’Apocalisse, non avevano simboli separati per indicare i numeri, ma usavano le lettere dell’alfabeto. A differenza dei lettori moderni, non avevano nemmeno un segno per indicare lo zero. Pertanto, o scrivevano seicentosessantasei per intero o abbreviavano il numero come “ch xi S”, cioè “ch” = 600, “xi” = 60, “S” = 6, che ovviamente non sono nemmeno tre sei (triplo sei).

La “S” (stigma) non deve essere confusa con la “s” (sigma), la lettera visivamente simile alla “s”, che produce il suono “es” (una sibilante pura). La “S” (stigma) ha sostituito la “F” (digamma) come equivalente numerico del sei. Veniva utilizzata in greco antico come legatura per “sigma” e “tau”, ma in seguito fu abbandonata, tranne che per indicare il numero 6. “Stigma” (= st) era il residuo di un simbolo della scommessa fenicia “ālep”, che però non era mai stato utilizzato come lettera dell’alfabeto greco alfa-beta. È derivato dalla parola greca che indicava un tatuaggio fatto su persone disonorate e quindi fu tradotto in inglese come qualcosa che segna una persona di cattiva reputazione. Molti studiosi moderni sono consapevoli di questo fatto.

Nel 1967, la “United Bible Society” ha pubblicato un Nuovo Testamento di Atene con testi paralleli in greco antico e moderno53 che illustrano chiaramente la relazione tra l’alfabeto e il sistema numerico. Per l’ultima parte di {Apocalisse 13: 18}, il greco antico mostra quanto segue: “arithmos gar anthrōpou esti, kai ho arithmos autou ch xi S” = “perché è il numero di un essere umano, e il suo numero è ch xi S” (chi xi stigma). La traduzione in greco moderno è simile, ma con una differenza significativa nel modo di indicare i numeri: “einai arithmos anthrōpou kai arithmos tou einai ch xi S” (666) = “è il numero di un essere umano, e il suo numero è ch xi S” (666). Normalmente i greci di oggi userebbero simboli induisti-arabi piuttosto che lettere dell’alfabeto per indicare i numeri. L’affiancamento di “ch xi S” e 666 dimostra comunque che il testo originale non contiene tre sei o un triplo sei.

Infatti il testo della “United Bible Society”, la 28a edizione riveduta del Nestle-Aland Greek New Testament (2012) riporta “hexakosioi hexēkonta hex” scritto per intero anziché “ch xi S”. Quest’ultima abbreviazione di tre lettere per seicentosessantasei è presente nel papiro “Chester Beatty” del III secolo d.C., che il Nestle-Aland Greek New Testament riporta come legittima variante di lettura. Ciò dimostra ancora una volta che l’abbreviazione corretta in greco antico è costituita da tre lettere diverse (ch xi S), ognuna delle quali rappresenta un diverso numero (600 + 60 + 6) e non tre sei.

 

AFFERMAZIONI CATTOLICHE SUL VICARIUS FILII DEI COME TITOLO PAPALE

Gli oratori e gli scrittori cattolici hanno identificato il “Vicarius Filii Dei” come un titolo del papa. Si sono ripetutamente ed enfaticamente riferiti al papa come tale in latino e in altre lingue europee (italiano, spagnolo, tedesco, francese e inglese) per diversi secoli fino al 1870, quando l’Italia unita ha annesso lo Stato Pontificio. Gli alti dignitari della Chiesa cattolica romana – teologi, vescovi, arcivescovi e persino cardinali – hanno talvolta utilizzato “Vicarius Filii Dei” come titolo o descrizione valida del pontefice.54

Tale denominazione è stata pubblicata almeno quattro volte nelle ristampe in latino dal 1844 al 1890, per lo più del “Decretum” di Graziano.55

Dal 1870, diversi scrittori cattolici hanno tuttavia negato che il sommo pontefice sia mai stato chiamato Vicario del Figlio di Dio. A quel tempo, l’Italia unificata aveva fagocitato lo Stato Pontificio e quest’ultimo aveva cessato di esistere. Il titolo era diventato non solo superfluo, ma anche un imbarazzo teologico, dal momento che molti protestanti facevano notare che “Vicarius Filii Dei” aveva un valore numerico di 666, indicando il papato come Anticristo. Per secoli, il Corpus Iuris Canonici, che conteneva il Decretum di Graziano e il titolo Vicarius Filii Dei, era stato la fonte del diritto canonico cattolico. Il 27 maggio 1917, la Chiesa cattolica romana ha eliminato il Corpus e lo ha sostituito con il Codex Iuris Canonici, omettendo sia il “Decretum” che il titolo di “Vicarius Filii Dei”.56

Il Codex Iuris Canonici, tuttavia, poggia ancora in gran parte sulle fondamenta poste dal Corpus Iuris Canonici.

 

WILLIAM MILLER SUL NUMERO 666 COME ANNI

Come Martin Lutero e Giovanni Calvino prima di lui, William Miller (1782-1849), fondatore del movimento del Secondo Avvento tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta del XIX secolo, credeva che il numero apocalittico 666 si riferisse a un periodo di tempo. Non è chiaro se fosse a conoscenza dell’interpretazione sul “Vicarius Filii Dei” di Andreas Helwig. Egli scrisse ad esempio: “E toglierà il sacrificio quotidiano… L’angelo descrive la storia di ciò che questi re avrebbero fatto, quando Roma sarebbe stata divisa nelle sue dieci dita, o quando sarebbero sorte le dieci corna, che l’angelo stesso ha già spiegato in precedenza per indicare i dieci re, in {Daniele 7: 24}… “Toglierà il sacrificio quotidiano” significa distruggere il paganesimo dal regno. Questo è stato fatto da quei dieci re che ora governano l’Impero Romano, e che lo faranno per un po’ di tempo, finché non daranno il loro potere all’immagine della bestia”. Miller aggiunge che questi re erano “tutti pagani” che sostenevano “il paganesimo”, eppure “si convertirono alla fede cristiana, il che avvenne nell’arco di vent’anni; Clodoveo, il re di Francia, si convertì e fu battezzato nell’anno 496 d.C. Entro l’anno 508 d.C., il resto dei re si convertì e abbracciò la religione cristiana, il che chiude la storia della bestia pagana, il cui numero era 666; che, iniziando dal 158 a.C., avrebbe concluso il regno della bestia nel 508 d.C.”.57

 

I PRIMI AVVENTISTI SABBATICI SUL NUMERO 666 COME SOMMA DELLE CHIESE PROTESTANTI

Dopo la grande delusione del 22 ottobre 1844 i seguaci di Miller non accettarono o ignorarono la sua interpretazione dei 666 anni. Forse la consideravano semplicemente una questione insignificante. Questo fu vero per quanto riguarda il rimanente del movimento millerita, gli avventisti sabbatici, che sedici anni dopo si chiamarono “Avventisti del Settimo Giorno”.

Inizialmente, gli avventisti sabbatici applicarono il numero 666 alle denominazioni che avevano espulso o maltrattato i Milleriti. Essi ritenevano che la prima bestia di {Apocalisse 13} fosse il papato. La loro visione della seconda bestia a due corna differisce per alcuni aspetti dall’attuale prospettiva degli Avventisti del Settimo Giorno. Ciò risulta evidente dalla prima carta profetica avventista sabbatista, disegnata da Samuel W. Rhodes (1813-1883) e incisa da Otis Nichols (1798-1876) nel 1850. L’immagine fonde le due bestie, mostrando una creatura simile a un leopardo che ha le zampe di un orso, una testa di leone, due corna simili a quelle di un agnello e un orribile bocca aperta con zanne e una lingua da dragone. Sotto l’immagine sono riportate le parole: “Le due corna simili a quelle di un agnello, il papista e il protestante, i cui nomi sono 666, si uniscono nell’azione, parlano come un dragone, controllano la legislatura civile e fanno sì che essa diventi l’immagine del papato che ha ricevuto una ferita mortale ed è stata guarita”58.

Gli avventisti sabbatici ritenevano inoltre che le chiese protestanti, che avevano rifiutato il Messaggio del Primo Angelo di {Apocalisse 14: 6-7} predicato dai Milleriti, costituissero la Babilonia di cui si parla in {Apocalisse 14: 8}. Roma, secondo loro, era la madre delle prostitute {Apocalisse 17: 5} e quelle chiese protestanti erano figlie della meretrice, a cui si applicava il numero 666. Dal 1851 al 1860, tre dei leader avventisti sabbatici – John N. Andrews (1829-1883), John N. Loughborough (1832-1924) e James White (1821-1881) – espressero questa idea, in particolare nei loro articoli sull’Advent Review e sul Sabbath Herald.

Così, nel 1851, Andrews scriveva: “La Chiesa protestante, se presa nel suo insieme, può essere considerata come un’unità; e vedere quanto vicine siano le sue diverse sette, seicentosessantasei, può essere una questione interessante da determinare”. A proposito di queste denominazioni disse: “Che siano oppressive quando possiedono il potere civile, lo testimonia il caso dei Puritani, essi stessi fuggitivi dall’oppressione. Lo testimonia la persecuzione dei quaccheri, fino alla morte. Lo testimonia anche il martirio di Michele Serveto, sotto la sanzione di Giovanni Calvino”.59

Tre anni dopo, il 28 marzo 1854, Loughborough menzionando “l’uomo del peccato” {2 Tessalonicesi 2: 3} disse: “Che quest’uomo rappresenti la chiesa anticristiana papale, lo crediamo tutti. Esso rappresenterà tale chiesa fino alla rivelazione di Cristo” {2 Tessalonicesi 2: 8-9}. La chiesa rappresentata da quest’uomo è rimasta unita quasi mille anni dopo la sua fondazione, quando ha cominciato a dividersi sotto Lutero e Calvino, e queste divisioni hanno continuato a dividersi e a suddividersi fino a quando, secondo l’Enciclopedia della Conoscenza Religiosa, oggi sono circa seicentosessantasei”.60

Il 26 aprile 1860, James White scrisse, un po’ ironicamente: “Le sette protestanti sono pienamente rappresentate dalle figlie meretrici della Donna di {Apocalisse 17: 4-5}”. Tuttavia dichiarava: “Confessiamo la nostra mancanza di saggezza e rinunciamo a tentare un’esposizione su tale questione” perché “dopo quindici anni che alcuni dichiararono che il numero 666 era compiuto, ovvero il numero dei corpi religiosi legalmente organizzati. Da allora ci sono state altre numerose divisioni, e nuove associazioni, ma il numero è solo 666!”.61

Così, sedici anni dopo la Grande Delusione, gli avventisti sabbatici non avevano ancora chiarezza su questo argomento.

 

URIAH SMITH SUL VICARIUS FILII DEI COME NUMERO 666

Solo cinque anni dopo, nel 1865, Uriah Smith (1832-1903) pubblicò l’opera “Thoughts, Critical and Practical, on the Book of Revelation” che avrebbe rapidamente cambiato la comprensione del numero 666 tra gli Avventisti del Settimo Giorno.62

In tutti i suoi scritti, Smith dichiarò costantemente che il numero seicentosessantasei menzionato in {Apocalisse 13: 18} si riferiva al “Vicarius Filii Dei”.

Nella revisione del 1872 de “I tre messaggi dell’Apocalisse XIV”, John N. Andrews abbandonò il suo punto di vista precedente sul 666 e rimandò i lettori alle “ampie osservazioni di Smith riguardo all’immagine, al marchio e al numero del nome, [nel libro di Smith] Gli Stati Uniti alla luce della profezia”.63

Smith era in definitiva debitore di Andreas Helwig per la sua interpretazione del “Vicarius Filii Dei”, ma probabilmente non era a conoscenza di Helwig perché non lo citò mai. Si riferì invece a “The Reformation: A True Tale of the Sixteenth Century” (1832), di Anne Tuttle Jones Bullard (1808-1896).64

Bullard identificò “Vicarius Filii Dei” come un titolo dell’Anticristo papale, con un valore numerico di 666, una spiegazione che acquisì da altri scrittori protestanti che avevano consultato l’opera di Helwig. Gli Avventisti del Settimo Giorno accettarono l’interpretazione di Smith più o meno indiscutibilmente fino alla sua morte, all’inizio del XX secolo. Poco dopo, si levarono voci, sia all’interno che all’esterno della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, che mettevano in dubbio la correttezza della sua interpretazione.

 

“VICARIUS FILII DEI” UN’ISCRIZIONE SULLA MITRA PAPALE?

Anne Bullard, tra gli altri, aveva affermato che il titolo di “Vicarius Filii Dei” era stato scritto su una mitra papale e, attraverso gli scritti di Smith, questa idea si era diffusa tra gli Avventisti del Settimo Giorno. Il 18 giugno 1910, Ernest R. Hull, influente scrittore gesuita e redattore del settimanale cattolico The Examiner of Bombay (Mumbai), in India, cercò di smentire l’associazione tra “Vicarius Filii Dei” e il numero 666 quando arrivò sulla sua scrivania la seguente richiesta:

“Signore, le sarò molto grato se vorrà darmi una risposta a questo argomento che mi è stato sottoposto da un amico protestante. Io stesso sono un convertito, ed è per questo che alcuni miei conoscenti portano argomenti per cercare di convincermi che la Fede cattolica non è quella vera. Il punto in questione è il seguente: ‘Leggiamo nel 13° capitolo del Libro dell’Apocalisse, al 18° versetto, che l’anticristo, l’uomo della perdizione, è l’uomo il cui nome si scrive 666’. Il titolo del papa di Roma è ‘Vicarius Filii Dei’. Questo è inciso sulla sua mitra; e se si prendono le lettere del titolo, che rappresentano numeri latini [stampati in grande], e si sommano tra loro, si ottiene 666”.65

A questo, Hull rispose come segue, mostrando che anche il suo nome avrebbe prodotto il numero 666:

“Il nostro corrispondente non si rende conto dell’estrema sciocchezza di questo genere di cose? L’unica risposta sensata a un amico protestante che tira fuori un’argomentazione del genere è quella di ridere di lui fino a farlo vergognare. Per secoli si è giocato a cercare il numero della bestia, ed è stato trovato già molte volte. A giudicare dai risultati, invece di una sola bestia (o Anticristo) ce ne dovevano essere circa cinquantamila. Quasi ogni uomo eminente della cristianità, che ha goduto del privilegio di avere dei nemici, ha visto il suo nome trasformato e distorto fino a ottenere il numero 666. Nella storia passata ci sono state innumerevoli bestie o anticristi, i cui nomi arrivavano tutti a 666. Persino il mio nome, specialmente nella forma latina, potrebbe dare il numero della bestia… Proviamo per gioco, seguendo lo stesso principio, cioè prendendo il valore di tutti i numeri romani: ERNESTVS REGINALDVS HVLL”.66

L’articolo di Hull attirò l’attenzione di Arthur Preuss (1871-1934), un tedesco-americano che dirigeva la Catholic Review (poi Catholic Fortnightly Review). Poco dopo, egli ristampò la risposta di Hull in forma abbreviata, aggiungendo una propria nota introduttiva e apportando diverse modifiche editoriali. Poiché trascurò di usare le virgolette per distinguere il materiale citato nell’articolo di Hull (“Leggiamo nel 13° capitolo del Libro dell’Apocalisse…”), i lettori potevano facilmente pensare che quel materiale costituisse il pensiero di Preuss stesso.67

Quattro anni dopo, Our Sunday Visitor ristampò la versione di Preuss come segue: “Il titolo del papa di Roma è Vicarius Filii Dei, e se si prendono le lettere del suo titolo che rappresentano i numeri latini (stampati in grande) e si sommano, si ottiene 666”.68

Our Sunday Visitor successivamente ripudiò questa dichiarazione quando scoprì che si trattava di un errore. Nonostante i protestanti, in generale, e gli Avventisti del Settimo Giorno, in particolare, abbiano continuato a utilizzare questa affermazione, non ci sono prove effettive che il “Vicarius Filii Dei” sia mai stato presente sulla mitra (o sulla tiara) del pontefice.69

Ma a prescindere dal fatto che il “Vicarius Filii Dei” sia mai apparso o meno sul copricapo di un papa, per secoli è stato un titolo importante utilizzato dagli stessi pontefici o a loro imputato, come mostrato sopra.

 

NEGAZIONE DEL TITOLO PAPALE DI “VICARIUS FILII DEI”

Successivamente, numerosi scrittori cattolici hanno affermato che il “Vicarius Filii Dei” non è mai stato un titolo del papa o non è mai stato il suo titolo ufficiale.

David Goldstein (1870-1958), un ebreo convertito al cattolicesimo, è stato uno di quegli scrittori che si sono rivoltati contro gli Avventisti del Settimo Giorno per aver applicato il titolo al papato. Il 16 agosto 1935, egli sostenne che “Vicarius Filii Dei” non era il titolo ufficiale del papa e “non ammonta a 666 secondo una corretta tabulazione dei valori numerici romani”. Concludeva che era 665 perché “quando una I appare prima di una L, non totalizza, come dice l’Avventista del Settimo Giorno, 1 e 50. Totalizza 1 meno 50… cioè 49”.70

Goldstein stesso, tuttavia, ha sbagliato a calcolare i numeri […] perché a differenza dei normali numeri romani, la gematria utilizza una codifica semplice quando viene applicata ai nomi proprio per evitare tali problemi di calcolo.

Un decennio dopo, Goldstein ha ripetuto lo stesso argomento nel libro “What Say You?” adattando la sua argomentazione al pontefice in carica: “Vicarius Filii Dei (Vicario del Figlio di Dio) è un titolo e non un nome… Il nome dell’attuale papa è Pio XII e non Vicarius Filii Dei”.71

Goldstein ha tuttavia trascurato che, essendo il numero (666) valido per 1.260 anni [consecutivu], secondo i 42 mesi profetici di {Apocalisse 13: 5}, esso deve riferirsi a un titolo piuttosto che a un individuo particolare, come hanno riconosciuto tutti gli interpreti storicisti.

[Vedi Apocalisse 19: 13, 16; in questi due casi il “nome” associato a Gesù non si riferisce al Suo nome di persona, ma si riferisce a titoli divini. Lo stesso, quindi, deve applicarsi al nome della bestia, ovvero il “titolo” della bestia]

 

TENSIONI DEGLI AVVENTISTI DEL SETTIMO GIORNO SUL NUMERO 666 DAL 1936 AL 1946

Pochi mesi dopo che David Goldstein aveva per la prima volta contraddetto e deriso gli Avventisti del Settimo Giorno per aver affermato che l’apocalittico 666 simboleggiava il “Vicarius Filii Dei”, il 16 aprile 1936 si tenne una riunione nell’ufficio del presidente della Conferenza Generale C. H. Watson (1877-1962). Tra i presenti c’erano studiosi di spicco della Chiesa come LeRoy Edwin Froom (1890-1974), Francis D. Nichol (1897-1966) e F. M. Wilcox (1865-1951).72

Era presente anche W. W. Prescott (1855-1944), uno studioso Avventista del Settimo Giorno molto influente, su insistenza del quale era stata convocata la riunione, che egli dominò ampiamente. Prescott probabilmente non era a conoscenza del fatto che il “Vicarius Filii Dei” era stato abbondantemente utilizzato in latino e in altre lingue per centinaia di anni, come viene mostrato in altre parti di questo articolo. Di conseguenza, come nota il suo biografo Gilbert Valentine, Prescott “si sentiva profondamente disturbato dal fatto che la gente mettesse in gioco la credibilità della Chiesa continuando ad applicare il 666 al Vicarius Filii Dei”, che considerava “un titolo inesistente del papa”. Sosteneva invece che “il titolo effettivo del papa era Vicarius Christi”.73

Quindi, sosteneva che i pontefici avevano un solo titolo ufficiale, quello di “Vicarius Christi”, adottato nel Concilio di Firenze del 1439. Pur ammettendo l’esistenza dell’espressione “Vicarius Filii Dei”, negava che fosse mai stato un titolo ufficiale. Va notato, tuttavia, che l’Apocalisse 13 identifica la bestia semplicemente con il numero 666, ma non dice nulla sullo status ufficiale del suo titolo.

Un’altra questione emersa è quella dell’origine del “Vicarius Filii Dei”, di cui Froom si occupò. Due anni dopo, nonostante le ricerche approfondite a Roma, Vienna, Ginevra, Parigi, Londra e Berlino, con l’assistenza di validi latinisti e altri esperti, concludeva: “Non ho mai trovato un uso autentico del titolo da parte di un capo papale, se non nella donazione contraffatta di Costantino [citata] nel Decretum di Graziano”.74

Si sbagliava nel concludere che il titolo di “Vicarius Filii Dei” fosse presente solo nel Decretum di Graziano. L’avvento di Internet ha portato alla luce numerose fonti primarie che Froom e altri primi ricercatori non erano riusciti a trovare.

Dopo la riunione del 1936, J. L. McElhany (1880-1959) divenne il nuovo presidente della Conferenza Generale, e alla fine fu istituito un Comitato sul 666. Il comitato iniziò il suo mandato il 30 agosto 1939. Dopo molte ricerche generali, si riunì nuovamente il 17 gennaio 1943. Il presidente in carica era William Henry Branson (1887-1961), che sarebbe succeduto a McElhany come presidente della Conferenza generale nel 1950. Ecco un estratto dei verbali della commissione:

Un documento intitolato “Il numero della Bestia” era stato preparato dal Segretario come suggestiva deduzione dal materiale contenuto in un documento di 42 pagine che riportava i risultati del lavoro di ricerca sul 666, letto a un gruppo di 24 persone [il] 30 agosto 1939; gruppo che comprendeva i redattori presenti in un consiglio editoriale, come registrato nel verbale di quella data. Nel documento letto in questa riunione è stata presa la posizione che non dipende dal fatto che il titolo “VICARIUS FILII DEI” fosse stato inciso sulla tiara del papa o che fosse stato adottato in modo ufficiale come titolo del papa, ma che la Chiesa cattolica romana, compresi nove papi, e molti scrittori cattolici impiegarono la Donazione di Costantino contenente il titolo applicato prima a Pietro e poi ai suoi successori, per più di settecento anni come se fosse un documento valido; ciò offre una base sostanziale per la nostra interpretazione del 666 come numero della bestia. La Donazione di Costantino è stata conservata inalterata dall’ottavo secolo a oggi nelle leggi canoniche e nei documenti ecclesiastici della Chiesa.75

L’ultima frase omette di notare che nel 1917 il Codex Iuris Canonici ha sostituito il Corpus Iuris Canonici e, di conseguenza, ha omesso la Donazione di Costantino. Le parole “come applicato prima a Pietro e poi ai suoi successori” possono essere fraintese e avrebbero dovuto essere “presumibilmente applicato prima a Pietro e poi ai suoi successori”. La commissione, inoltre, non si è accontentata di una mera argomentazione, ma si è concentrata anche sulla prassi del papato nel corso di tanti secoli. L’uso e il significato del “Vicarius Filii Dei”, e le sue traduzioni in altre lingue, devono essere verificati da fatti storici incontrovertibili piuttosto che da semplici documenti che le persone possono contraddire o su cui possono ragionare. Il verbale si conclude con la seguente risoluzione:

“Si è convenuto, che un comitato di tre persone con potere d’azione nominato dal Comitato della Conferenza Generale per redigere e pubblicare il documento più ampio di 42 pagine, aggiungendo una direttiva che riassuma le prove trovate, da pubblicare in un opuscolo e da distribuire gratuitamente ai nostri lavoratori dalla Conferenza Generale, in modo da dare ai nostri lavoratori l’opportunità di esaminare le prove disponibili e trarre così le proprie conclusioni”.76

Il giorno dopo, H. T. Elliot, segretario della Conferenza Generale, inviò un memorandum al professor W. E. Howell per comunicare l’importante fatto che il 18 gennaio 1943 il Comitato della Conferenza Generale aveva ricevuto il rapporto del Comitato sul 666, con il suggerimento di “stampare questo materiale in un grande opuscolo, contenente tutti i documenti raccolti, e in un opuscolo più piccolo che riassuma i documenti; questi opuscoli devono essere messi a disposizione di tutti i lavoratori a spese della Conferenza Generale; ma prima della pubblicazione il materiale deve essere accuratamente modificato da un comitato di redattori che deve essere nominato da questo Comitato della Conferenza Generale; questi redattori devono riferire al grande comitato che ha lavorato su questo argomento”. Il memorandum termina con la decisione: “Si vota che M. L. Andreasen, W. E. Howell e T. M. French siano incaricati di redigere il materiale che è stato raccolto sulle interpretazioni del 666”.

Il lavoro successivo su questo progetto è indicato da una nota scritta a mano in calce nel verbale del 17 gennaio 1943 del Comitato sul 666:

“Il Comitato dei 3 si è riunito il 27 gennaio, ha ricevuto il documento di 42 pagine e ha incaricato W. E. Howell di rinnovarlo. Si è riunito di nuovo il 10 febbraio 1943 e ha approvato la copia rinnovata, che sarà confezionata e distribuita al Comitato della Conferenza generale per l’autorizzazione alla pubblicazione. Distribuito il 22 febbraio”.78

Il presidente della Conferenza Generale J. L. McElhany aggiunse una prefazione al manoscritto finale (43 pagine).79

Tuttavia, il manoscritto non fu mai pubblicato perché Merwin R. Thurber, editore della Review and Herald Publishing Association, ne impedì la pubblicazione.

In primo luogo, rimase sulla scrivania di Thurber per tre anni, il che spinse McElhany a parlargli personalmente. Il contenuto della loro conversazione rimase sconosciuto, ma potrebbe aver indotto Thurber a restituire il manoscritto e il materiale allegato il 15 novembre 1946. Nella lettera di accompagnamento scrisse: “Mi rendo conto che il manoscritto è stato letto dai membri del Comitato della Conferenza Generale e che è stato votato per la pubblicazione in una regolare riunione del comitato. Tuttavia, la mia coscienza non mi permette di approvare la pubblicazione di un manoscritto sul quale ho dei dubbi senza aver consultato coloro che possono avere l’autorità di risolvere le questioni”.80

Era deluso dal fatto che, nello studio su “Il numero della bestia”, il Comitato non avesse incluso “certo materiale utilizzabile”, raccolto da Froom per la sua “storia dell’interpretazione profetica”. A suo avviso, “il manoscritto nel suo complesso non è stato esaminato criticamente da nessuno che non fosse direttamente collegato al Comitato”. Thurber riteneva inoltre che il documento fosse troppo lungo, troppo ripetitivo e forse troppo complicato. Così, ha osservato, “non credo che il predicatore medio in questa denominazione saprebbe come presentare il numero della bestia in modo più efficiente e attento dopo aver letto questo documento rispetto a prima”.81

Thurber ha affermato che il comitato si è appoggiato troppo al materiale di Jean Vuilleumier. Non gli piaceva l’inclusione di “un lungo elenco di edizioni del Decretum di Graziano nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Mi sembra che, se si devono fornire elenchi di questo tipo, si dovrebbero elencare anche i libri di altre biblioteche nazionali – almeno gli elenchi del British Museum e della Library of Congress dovrebbero essere inclusi”.82

Questa critica è sorprendente perché direttamente sotto le edizioni del Decretum di Graziano nel Museo Nazionale di Parigi, Vuilleumier elenca le sette “edizioni del Corpus Juris Canonici che si trovano nel British Museum, con il passaggio della Donazione di Costantino contenente il Vicarius Filii Dei così come appare in ognuna di esse”.83

Thurber aggiunge: “Il fratello Vuilleumier ha affrontato l’argomento con la sua formazione in lingua francese. La maggior parte delle sue fonti sono libri e altre pubblicazioni francesi. Non ho nulla in contrario all’uso di fonti in varie lingue, ma dal momento che la denominazione Avventista del Settimo Giorno ha iniziato con la lingua inglese e dal momento che questo documento viene pubblicato in inglese, mi sembra che dovremmo usare le fonti in lingua inglese almeno quanto usiamo le altre lingue europee moderne”.84

Infine, Thurber concludeva che questi presunti difetti dovevano essere migliorati come segue: “Suggerisco umilmente di nominare un gruppo di uomini che esamini il manoscritto in modo critico e che raccomandi o svolga il lavoro che deve essere fatto”.85

Tuttavia, nemmeno una versione riveduta del lavoro di questi valenti ricercatori, che hanno lavorato dal 1936 al 1943 sia in Nord America che all’estero, è stata pubblicata a causa della decisione di un singolo individuo. Nemmeno il coinvolgimento e i contributi di C. H. Watson, J. L. McElhany e W. H. Branson, tre presidenti successivi della Conferenza Generale (1930-1936, 1936-1950, 1950-1954) che si preoccuparono profondamente di scoprire il significato del numero 666 di {Apocalisse 13: 18}, impedirono di seppellire il manoscritto negli archivi.

 

L’USO CATTOLICO DEL VICARIUS FILII DEI NEL XX SECOLO

Sebbene alcuni scrittori cattolici, come David Goldstein, rifiutassero l’idea che il “Vicarius Filii Dei” fosse un titolo papale e gli scrittori Avventisti del Settimo Giorno fossero alle prese con la stessa questione, gli scrittori cattolici non ne hanno interrotto completamente l’uso.

Subito dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914, Léon Bloy (1846-1917), romanziere, saggista, pamphleter e poeta francese, riversò il suo odio per gli invasori tedeschi nella sua popolarissima opera “Au Seuil de l’Apocalypse” (Sulla soglia dell’Apocalisse). Da devoto cattolico romano, era inorridito perché papa Benedetto XV, che lui chiamava il “Vicaire du Fils de Dieu” (vicario del Figlio di Dio), aveva dichiarato l’assoluta neutralità.86

Nel libro “Dans les Ténèbres” (Nelle tenebre), pubblicato postumo alla fine della Prima Guerra Mondiale, Bloy scrisse: “Per quanto riguarda il pontefice, il 260° successore di San Pietro… è l’unico tra i vicaires du Fils de Dieu che ha proclamato urbi et orbi la neutralità di nostro Signore Gesù Cristo. È un semplice fantasma di papa, come gli imperatori, i re o le repubbliche che si affollano verso il portale rosso dell’Apocalisse, che si spalancherà sull’abominio dell’inferno “87.

Dal 12 al 19 marzo 1934, Isidro Gomá y Tomás (1869-1940), arcivescovo di Toledo e primate della Chiesa cattolica romana in Spagna, accompagnò un migliaio di giovani mobilitati dall’Azione Cattolica per un pellegrinaggio a Roma. Al suo ritorno, scrisse un resoconto per descrivere la Messa nella Cattedrale di San Pietro. Si riferiva alla “presenza specialissima di Dio in quel luogo, l’altare dove si ripeteva continuamente il sacrificio di Gesù Cristo Redentore, il sepolcro di San Pietro, su cui si fonda l’edificio immortale della Chiesa cattolica: Tu sei Pietro… e la dimora del Vicario del Figlio di Dio, la personificazione storica del magistero, del sacerdozio e del potere dello stesso Gesù Cristo nel mondo”.88

Il pontefice regnante a cui Gomá si riferiva era papa Pio XI, morto nel 1939.

Diciotto anni dopo, fu nuovamente acclamato con questo titolo. Il 5 maggio 1957, La Nación di Città del Messico pubblicò l’articolo “En el Centenario de Pío XI” (Nel centenario di Pio XI) del religioso italiano Giovanni Decio: “Questo mese ricorre il primo centenario della nascita del 261° successore del Pescatore di Galilea, Sua Santità Pio XI. Molti titoli sono stati usati per designarlo, e non senza una meritata ragione. Non è certo cosa da poco essere il Vicario del Figlio di Dio [Vicario del Hijo de Dios] sulla terra, essere aiutati dallo Spirito dall’Alto e contare anche sul precedente illuminato di una tradizione centenaria ripetuta venti volte”.89

Ciò che Bloy e Gomá avevano scritto era evidentemente sconosciuto al Comitato del numero della bestia (Avventista), il cui manoscritto di 43 pagine non fu stampato dalla Review and Herald Publishing Association. Né Prescott né i membri del comitato erano a conoscenza di queste dichiarazioni in francese e spagnolo.

 

SCRITTORI AVVENTISTI DEL SETTIMO GIORNO CHE SOSTENGONO L’INTERPRETAZIONE DEI TRE SEI

Gli avventisti del settimo giorno hanno continuato a predicare che il 666 di {Apocalisse 13: 18} rappresentasse il “Vicarius Filii Dei”, un titolo papale, ma alcuni scrittori Avventisti del Settimo Giorno dissentirono da questa interpretazione a partire dagli anni Trenta.

Nel 1933, ad esempio, Prescott dichiarò in “The Spade and the Bible”: “Coloro che interpretano la bestia come rappresentante del papato romano, hanno tratto dalla frase latina Vicarius Filii Dei (il Vicario del Figlio di Dio) le lettere che hanno un valore numerico, e trovano che il loro totale è 666. Concludono quindi che questa frase indica chi è la bestia”.

Egli contesta questa spiegazione perché ricorre “a un’altra lingua [il latino] rispetto al greco, mentre la gente del tempo di Giovanni usava il greco”… Ciò che contava principalmente, secondo lui, era il punto di vista dei primi lettori dell’Apocalisse. Si potrebbe replicare che Prescott ha trascurato due aspetti importanti: in primo luogo, il suo assunto ignora il carattere profetico (futuro) della bestia che sarebbe sorta più tardi nel mondo romano, dove il latino (non il greco) sarebbe stata la lingua parlata; in secondo luogo, i lettori del primo secolo non avevano bisogno di interpretare tutte le profezie dalla loro prospettiva (cfr. Daniele 8: 17).

Alla sua spiegazione, Prescott ha aggiunto: “Anche se non getta una luce particolare sulla questione in discussione, vale la pena notare che il valore numerico del nome Gesù, scritto in greco, è 888. Se, come sembra chiaro dal collegamento con il latino, il nome di Gesù è stato scritto in greco, il valore numerico del nome è 888. Se, come sembra chiaro dalla connessione, la bestia il cui numero è 666 è un oppositore di Gesù, l’Agnello conquistatore del libro dell’Apocalisse, siamo giustificati nel dichiarare che il triplo otto è la risposta irresistibile al triplo sei”.90

Nel 1939, Henry F. Brown (1892-1987), missionario e ministro Avventista del Settimo Giorno, presentò il suo manoscritto di 49 pagine “Vicarius Filii Dei: An Examination Into the Use of This Title” al Comitato sul 666.91

Tra le altre cose, riassunse brevemente le conclusioni raggiunte da Prescott, French e Froom. Egli sosteneva che c’erano prove per continuare a sostenere che il nome in {Apocalisse 13: 18} potesse riferirsi al “Vicarius Filii Dei”, ma suggeriva che ciò doveva essere fatto con cautela perché attraverso Ellen G. White “ci viene detto chiaramente che tutto su questo argomento non è compreso”.92

A suo parere, 666 era probabilmente un titolo di Satana, un’opinione che egli sosteneva facendo riferimento alla già citata opera di Joseph A. Seiss “The Apocalypse, Lectures on the Book of Revelation”.

L’interpretazione del numero della bestia come un triplo sei è diventata sempre più comune tra gli studiosi Avventisti del Settimo Giorno a partire dagli anni Ottanta.

Nel 1983, Beatrice S. Neall (1929-2019), allora professore associato di religione presso l’Union College di Lincoln, Nebraska, e membro del Comitato per Daniele e l’Apocalisse, pubblicò la sua tesi di dottorato “The Concept of Character in the Apocalypse, with Implications for Character Education” (Il concetto di carattere nell’Apocalisse, con implicazioni per l’educazione al carattere)93:

“Seicentosessantasei, il numero della bestia. Ireneo è stato il primo a tentare di calcolare il numero della bestia attraverso il processo della gematria. Attraverso il processo della gematria, cioè l’assegnazione di valori numerici alle lettere di un nome. I metodi utilizzati da allora sono stati così subdoli e i suggerimenti così bizzarri che è più probabile che il significato sia da ricercare nel valore simbolico del numero sei stesso. Poiché il sette è il numero perfetto, il sei, mancando del sette, è il simbolo del peccato”.94

E aggiunge: “Dimostra che l’uomo non rigenerato è persistentemente malvagio. Le bestie di {Apocalisse 13} rappresentano l’uomo che esercita la sua sovranità lontano da Dio, l’uomo conformato all’immagine della bestia piuttosto che all’immagine di Dio… L’uomo senza Dio, diventa bestiale, demoniaco”.95

Come Brown, l’argomentazione di Neall si basava sull’idea che il numero 6 potesse essere equiparato al 666, ipotizzando tre sei nel 666.

Due anni dopo, C. Mervyn Maxwell (1925-1999), allora professore di storia della Chiesa e presidente del Dipartimento di Storia della Chiesa presso il Seminario Teologico Avventista del Settimo Giorno della Andrews University, Berrien Springs, Michigan, ha pubblicato “God Cares: The Message of Revelation for You and Your Family” (Il messaggio della Rivelazione per voi e la vostra famiglia), volume 2. Maxwell ha delineato diverse interpretazioni del 666 in {Apocalisse 13} e ha mostrato come in numeri romani possa rappresentare il “Vicarius Filii Dei”. Tuttavia, ha osservato con riserva: “Questo potrebbe essere il vero significato del 666. Ma poiché (a) c’è qualche incertezza sullo status ufficiale di questo titolo e (b) la Bibbia non afferma che il 666 debba essere calcolato sulla base del valore numerico delle lettere di un nome, cerchiamo altre possibilità”.96

Facendo eco alle idee di Emanuel Swedenborg nel 1766 e di David Thom nel 1848, Maxwell ha affermato che: “Il numero più importante nell’Apocalisse è il sette. Ci sono sette chiese, sette trombe e così via. Sette è anche il numero del sabato di Dio, il settimo giorno della settimana… Quindi il sette è un numero che onora Dio. Il 666 è un numero “umano”. Il greco sottostante può essere tradotto correttamente come “un numero d’uomo” o “il numero dell’uomo”. Il sesto giorno, venerdì, è il giorno in cui è stato creato l’uomo. Il 666 quindi, con i suoi tripli sei, indica l’uomo concentrato su sé stesso”.97

Forse non era consapevole della somiglianza di queste idee con quelle di Swedenborg e Thom. Invece, citò Beatrice S. Neall che aveva discusso questo interessante concetto: “Il sei è legittimo quando porta al sette; rappresenta l’uomo nella prima sera della sua esistenza che entra nella celebrazione del potere creativo di Dio. La gloria della creatura è giusta se porta alla gloria di Dio. Il seicentosessantasei, invece, rappresenta il rifiuto dell’uomo di procedere verso il sette, di dare gloria a Dio come Creatore e Redentore”.98

Il secondo volume di “Symposium on Revelation”, pubblicato come parte della “Daniel and Revelation Study Committee Series” nel 1992, contiene un capitolo su “The Saints’ End- Time Victory over the Forces of Evil” (La vittoria dei santi alla fine del tempo sulle forze del male), di William G. Johnsson, allora redattore della Adventist Review e già professore di Studi del Nuovo Testamento presso il Seminario Teologico Avventista del Settimo Giorno. Nel suo capitolo afferma che: “L’elemento di contrasto è accentuato in Apocalisse 13. Vediamo emergere una trinità empia: il dragone, la bestia che sale dal mare e la bestia che sale dalla terra. I parallelismi sono impressionanti, in particolare tra la bestia che sale dal mare e l’Agnello. Entrambi ricevono una “ferita mortale”; entrambi sperimentano una “resurrezione”; entrambi hanno seguaci; entrambi richiedono adorazione. Forse, anche il numero della bestia che sale del mare, 666, è designato per accentuare il contrasto. Il numero 6 (in contrasto con la completezza del numero 7) può rappresentare l’imperfezione, l’inganno e la blasfemia triplicata, elevata a un grado superiore”.99

Due anni dopo, il capitolo fu ristampato in forma abbreviata come supplemento alla Adventist Review. In una nota aggiuntiva, Johnsson spiegò che: “Qualsiasi spiegazione del numero (666) dovrà essere provvisoria. Molti espositori [Avventisti] del Settimo Giorno hanno pensato che la presunta iscrizione “Vicarius filii dei” sulla tiara papale fosse il nome indicato dalla profezia; tuttavia, più di 80 anni fa W. W. Prescott ha mostrato quanto inconsistenti siano le prove storiche di questa interpretazione. A mio avviso il testo suggerisce che 666 è il codice del nome della bestia che sale dal mare, che è una bestemmia. Indica una contraffazione della perfezione: imperfezione su imperfezione, nonostante le mostruose pretese della bestia”.100

Nel 1996, anche Roy C. Naden ha utilizzato la numerologia nella sua opera “L’agnello tra le bestie” per svelare il significato dei simboli dell’Apocalisse. Pur riconoscendo la teoria della gematria del “Vicarius Filii Dei”, la scartò a favore dell’idea che il 666 sia “un simbolo di irrequietezza e ribellione senza limiti, empia, e una mancanza del riposo sabbatico dell’Agnello”.101

Sei anni dopo, nel 2002, la “Guida allo studio della Bibbia per adulti sulle grandi profezie apocalittiche” offriva una prospettiva simile su {Apocalisse 13: 18}. Il suo principale collaboratore, Ángel Manuel Rodríguez, allora direttore dell’Istituto di Ricerca Biblica, scrisse:

“Vicarius Filii Dei (Vicario del Figlio di Dio). Dalla Riforma, questo titolo papale è stato utilizzato per calcolare il numero 666. Ma ci sono diverse domande che dovrebbero renderci cauti. In primo luogo, non è chiaro se questo titolo sia ufficiale. In secondo luogo, non c’è alcuna indicazione chiara in {Apocalisse 13} che il numero sia basato sul valore numerico delle lettere di un nome. La frase “è il numero dell’uomo” potrebbe essere tradotta “è il numero [dell’umanità]”, cioè degli uomini separati da Dio. In terzo luogo, coloro che insistono sul conteggio del valore numerico delle lettere si trovano di fronte al problema di decidere quale lingua verrà utilizzata. Poiché il testo non identifica alcuna lingua, la scelta di una lingua particolare sarà in qualche modo arbitraria. Al momento, il simbolismo della ribellione intensificata, del sei usato tre volte e della totale indipendenza da Dio sembra essere l’opzione migliore. Il tempo rivelerà il pieno significato del simbolo”.102

Nello stesso anno, Ranko Stefanović, allora professore di Nuovo Testamento presso il College of Arts and Sciences della Andrews University, pubblicò la prima edizione di “Revelation of Jesus Christ: Commentary on the Book of Revelation”.103

In quel libro affermava che: “Il numero 666 della bestia che sale dalla terra è ‘un numero umano’ (o ‘il numero d’uomo’), quindi ha a che fare con caratteristiche e qualità umane piuttosto che divine. È il numero tipico di Babilonia. Il sei simboleggia la mancanza dell’ideale divino simboleggiato dal sette. Sembra che il triplo sei stia per il triumvirato satanico in contrasto con il triplo sette della Divinità in {Apocalisse 1: 4-6}”.104 In altri luoghi, si riferisce ad esso anche come “la trinità satanica”.105

In generale concorda con Rodríguez, ma a differenza di lui, Stefanović applica il numero alla seconda bestia di Apocalisse 13 piuttosto che alla prima.

Dal 2002 al 2006, Samuele Bacchiocchi, professore in pensione di storia della Chiesa presso il “College of Arts and Sciences della Andrews University”, ha ripetutamente discusso il numero 666 nella sua Endtime Issues Newsletter. Nel 2002, ha concordato con la maggior parte degli interpreti avventisti quando ha osservato: “Un’altra caratteristica distintiva del ‘piccolo corno’ è il tempo della sua dominazione indicato in {Daniele 7: 25} come ‘un tempo, dei tempi e la metà di un tempo’. Questo periodo profetico di tre anni e mezzo è anche indicato come 42 mesi, o 1260 giorni. Le tre denominazioni si riferiscono allo stesso periodo di tempo profetico, che a volte è indicato in anni, a volte in mesi e altre volte in giorni. In {Daniele 7: 25 e 12: 7}, i tre anni e mezzo sono il tempo in cuila potenza dell’Anticristo opprime i santi dell’Altissimo”. A differenza di altri scrittori avventisti, ha poi aggiunto: “Perché Daniele prima e Giovanni in seguito, usano il periodo di tre anni e mezzo per rappresentare la persecuzione e la protezione del popolo di Dio durante il tempo dell’Anticristo? Molto probabilmente perché tre anni e mezzo sono la metà di sette, che è il numero del completamento e della perfezione di Dio. La metà di sette suggerisce l’incompletezza e la limitazione”.106

Commentando positivamente le osservazioni di Stefanović e Rodríguez, tre anni dopo affermava che: “La frase ‘un numero umano’ è intesa oggi dagli studiosi avventisti nel senso che il 666 è un numero umano nel senso che è inferiore alla perfezione divina simboleggiata dal 777″. Nel contesto del falso culto promosso dalla Bestia e dalla sua immagine, il triplo sei sta per il falso culto messo in atto dall’Anticristo trino del tempo della fine”. Ha esplicitamente respinto l’interpretazione del “Vicarius Filii Dei” perché, a suo avviso, “è sorprendente vedere quanti nomi possono essere manipolati in modo tale che il valore numerico si sommi a 666”.107

Contro Alberto Treiyer e Wendell Slattery, che sostenevano l’opinione che il 666 di {Apocalisse 13: 18} si riferisse al “Vicarius Filii Dei”, Bacchiocchi ha citato il suo ex insegnante Kenneth A. Strand che scrisse: “C’è ovviamente un gioco intenzionale sul numero 6, accentuato dalla sua tripla ripetizione”. Bacchiocchi ammise che l’argomentazione di Slattery era ben documentata, riassumendo la tesi di quest’ultimo dicendo che “il numero 666 in {Apocalisse 13: 18} non è scritto in cifra araba come triplo sei (6 6 6), ma nel valore numerico greco di tre lettere dell’alfabeto CHI = 600, XI = 60, e SIGMA [sic] = 6”. A Bacchiocchi sfugge che Slattery si era riferito alla lettera stigma (S) piuttosto che alla lettera sigma (s). Scartando le conclusioni di Slattery, egli sottolineò la presunta natura simbolica dei numeri, compreso il 666, nell’Apocalisse e in altre parti della Bibbia.108

Aggiunse che “la frase chiave ‘è un numero umano”, arithmos anthropou {Apocalisse 13: 18}, suggerisce che non è il numero di un nome, ma di una condizione umana di ribellione contro Dio. Il triplo sei suggerisce uno sforzo determinato della bestia per promuovere il culto di sé stessa piuttosto che di Dio”.109

Egli ha trascurato il fatto che il testo greco di {Apocalisse 13: 18} parla del “numero di un uomo” (arithmos anthrōpou) piuttosto che di “un numero umano”. L’apostolo Giovanni ha usato il sostantivo anthrōpos (uomo, essere umano) e non uno degli aggettivi greci (anthrōpeios, anthrōpikos, anthrōpinos) che derivano da quel sostantivo.110 Bacchiocchi non ha inoltre prestato attenzione all’ingiunzione di “calcolare il numero della bestia” {Apocalisse 13: 18}.

 

RICERCA STORICISTICA SUL NUMERO 666 E SULLE OCCORRENZE DEL VICARIUS FILII DEI DAL 2006 AL 2011

Dal 6 al 9 agosto 2006, la Conferenza del Michigan degli Avventisti del Settimo Giorno ha tenuto un Simposio sulle Scritture durante il suo ritiro ministeriale annuale a Camp Au Sable, Michigan.111

Uno dei presentatori, il pastore-evangelista Kenneth Jørgensen, allora dottorando in Studi Avventisti presso il Seminario Teologico Avventista del Settimo Giorno dell’Università di Andrews, ha presentato la relazione “A Case for Vicarius Filii Dei”. Jørgensen ha sottolineato che il 666 è un numero unico, non composto da tre sei. Ha affermato che: “Contrariamente ad alcuni sostenitori della cosiddetta visione simbolica, il numero della bestia non è sei sei sei (hex hex hex), ma piuttosto ʻseicentosessantasei’ (hexakosioi hexēkonta hex)”.112

Egli ha anche argomentato contro l’idea che il 666 simboleggi “l’umanità, la ribellione e l’imperfezione”, sottolineando che nulla nella Bibbia sostiene tali idee, e ha notato che “contrariamente alla pretesa di alcuni interpreti simbolici, il sessanta e non il sei è il numero fondamentale dell’antica matematica babilonese”. Ha sottolineato che ciascuna delle quattro creature viventi in {Apocalisse 4: 8} ha sei ali, dimostrando che “il sei è esplicitamente associato a qualcosa di perfetto e celeste”. Inoltre, il racconto della creazione della Genesi dichiara che i sei giorni della creazione sono “molto buoni”.113

Jørgensen si è espresso contro “l’illegittima ‘transustanziazione’ del 666 in 6 6 6”,114 affermando che il 666 non è un [triplo] 6 ma un numero completo e singolare a sé stante. Egli cita “diversi manoscritti, che utilizzano le seguenti lettere greche: ch xi S. Qui la lettera greca ‘ch’ corrisponde a 600, ‘x’ corrisponde a 60 e ‘S’ corrisponde a 6. Pertanto, il numero 666, cioè seicentosessantasei… Indipendentemente da quale di queste versioni si scelga, i lettori di Giovanni avrebbero certamente inteso questo numero come seicentosessantasei, e non, ovviamente, come tre sei separati”.115

Come storicista profetico, Jørgensen ha difeso l’interpretazione del numero 666 in {Apocalisse 13: 17-18} come “Vicarius Filii Dei”. Per lui, si trattava indubbiamente di un titolo papale. Riferendosi alla Donazione di Costantino, scrisse: “È interessante notare che il fatto che il documento in cui appare il titolo sia una fabbricazione spuria rafforza in realtà l’interpretazione del Vicarius Filii Dei; in altre parole, la storia del documento rivela chiaramente la corruzione spirituale dei suoi creatori. Mostra anche fino a che punto l’istituzione promotrice era disposta a spingersi per raggiungere il suo obiettivo universale di potere spirituale e politico. Forse nessun nome o titolo rivela le ambizioni papali in modo più chiaro del ‘Vicarius Filii Dei’, specialmente come è stato fatto in modo fraudolento attraverso la Donazione di Costantino… Infine, cosa più sorprendente, ‘Vicarius Filii Dei’ contiene virtualmente lo stesso significato della parola greca composta: ‘anti-cristo’ (antichristos)”.116

In un enfatico rifiuto dell’interpretazione simbolica sostenuta da Bacchiocchi e altri, Jørgensen ha affermato che: “Interferire con l’identificazione storica della bestia che sale dal mare è una chiara sfida all’interpretazione apocalittica avventista fondamentale. Non solo contraddice l’insegnamento di Ellen G. White sull’Anticristo apocalittico, mettendo in discussione l’interpretazione avventista di {Daniele 7 e 8}, ma può anche compromettere gravemente la visione complessiva dell’avventismo su Daniele e l’Apocalisse. La corretta identità storica dell’Anticristo è assolutamente fondamentale per comprendere la guerra tra il bene e il male, la guerra tra il Cristo vittorioso e l’Anticristo sconfitto. Questo, tra l’altro, è Daniele e l’Apocalisse in poche parole”.117

Dal 2007 al 2011, Stephen D. Emse, Jerry A. Stevens,118 Michael Scheifler e Edwin de Kock hanno condotto nuove e approfondite ricerche per determinare se, e in che misura, “Vicarius Filii Dei” fosse stato usato come titolo papale. I risultati della loro ricerca sono stati incorporati nel libro “The Truth About 666 and the Story of the Great Apostasy” (2011-2013), di Edwin de Kock.119

Nuove, enormi prove in fonti italiane, spagnole, tedesche, francesi, inglesi, portoghesi e gallesi hanno rivelato che per secoli il titolo di “Vicarius Filii Dei” è stato effettivamente attribuito a molti papi. Oltre ai numerosi esempi già citati, De Kock dimostra che, sebbene il titolo di “Vicarius Filii Dei” sia nato come falso nella cancelleria papale e quindi come titolo fraudolento, per più di mille anni è stato utilizzato per accrescere le pretese di supremazia spirituale e territoriale del pontefice. Il papa era chiamato il papa-re sullo Stato Pontificio, che comprendeva circa un terzo dell’Italia. Egli considerava gli imperatori e i re d’Europa come suoi subordinati secolari. Quando nel 2011 Michael Scheifler svelò queste nuove scoperte a William G. Johnsson, quest’ultimo rispose: “Sono lieto che gli studiosi avventisti abbiano raccolto la sfida di trovare un sostegno più forte per la nostra posizione riguardo al misterioso numero 666. Le nuove prove [sull’uso del Vicarius Filii Dei], che lei ha brevemente condiviso con me, sembrano convincenti”.120

Successivamente Alberto Treiyer ha presentato le sue idee in un articolo di 21 pagine in lingua spagnola, che è in gran parte una recensione molto favorevole di “The Truth About 666 and the Story of the Great Apostasy” di Edwin de Kock. Treiyer respinse con forza lo scetticismo nei confronti dell’interpretazione del Vicarius Filii Dei, iniziato con William Warren Prescott all’inizio del XX secolo, così come anche l’approccio simbolico di Rodríguez, Stefanović e Jon Paulien. Inoltre, disapprovò fortemente il modo in cui Bacchiocchi sostenne che il numero, il nome e il marchio della bestia sono la stessa cosa, così come gli scrittori cattolici e molti interpreti protestanti negano che il marchio della bestia si riferisca all’osservanza della domenica. Treiyer conclude con un avvertimento: “L’Avventismo deve rimanere fermo nell’eredità storicista che ha ricevuto dai suoi antenati protestanti per poter interpretare le profezie dell’Apocalisse. A nessun simbolo di qualsiasi figura e numero dell’Apocalisse dovrebbe essere permesso di distrarre la nostra attenzione dal suo adempimento concreto nella storia che Dio ha chiaramente anticipato. In relazione al numero 666, dobbiamo fare attenzione a non perdere di vista il nome della bestia nella ricerca di un presunto simbolismo numerico, che potrebbe non esistere nel greco biblico”.121

Anche Wendell Slattery ha dato seguito alle sue critiche all’approccio di Bacchiocchi in una newsletter distribuita ad alcuni lettori. Mostrò come le lettere greche chi, ksi e stigma rappresentassero 600, 60 e 6, e non tre sei. Ha dichiarato: “… Noi scriviamo i numeri 666 come se fossero tre sei. Ma i greci non lo facevano così nel loro sistema numerico e per questo motivo non vedo alcun motivo per accettare la teoria del triplo sei come spiegazione corretta. Ci sono altre ragioni che mi spingono a rifiutarla, ma questa è una ragione importante”.122

[…]

Nel 2019, la “Guida allo studio biblico della Scuola del Sabato per adulti” ha commentato il numero della bestia di {Apocalisse 13: 18} come segue: “Paolo lo descrive come ‘l’uomo del peccato’ {2 Tessalonicesi 2: 3}. Questa espressione indica il potere papale simboleggiato dalla bestia che sale dal mare, il cui nome blasfemo sulle sue teste indica il titolo divino che rivendica per sé, che si suppone essere al posto del Figlio di Dio sulla terra”.123

Sebbene la “Guida agli studi” non approfondisca l’ultima osservazione, è degno di nota il fatto che la frase “si suppone essere al posto del Figlio di Dio sulla terra” è praticamente una traduzione di “Vicarius Filii Dei” (vicario/sostituto/rappresentante del Figlio di Dio sulla terra), una frase della Donazione di Costantino. La decisione dell’editore e del comitato di pubblicazione di alludere al “Vicarius Filii Dei”, che ha un valore numerico di 666, può essere un indicatore di supporto all’interpretazione di Uriah Smith, Andreas Helwig e altri interpreti protestanti.

 

CONCLUSIONE

Nel corso dei secoli si sono affermati due metodi principali di interpretazione del numero 666 nell’Apocalisse. Il primo impiega la gematria e segue la disposizione di {Apocalisse 13: 18} di “calcolare il numero della bestia”. Seguendo l’approccio storicista all’interpretazione profetica, la predizione del testo biblico è collegata a un’entità storica e a eventi reali. Da quando Uriah Smith ha sostenuto l’interpretazione del numero 666 come “Vicarius Filii Dei”, la maggior parte degli scrittori Avventisti del Settimo Giorno appartiene a questa scuola di interpretazione profetica. Utilizzando i numeri romani del sistema alfanumerico latino, nella lingua ufficiale della Chiesa cattolica, è stato sottolineato che il titolo papale “Vicarius Filii Dei”, ha un valore numerico di 666. L’altro metodo è quello numerologico. In precedenza, scrittori preteristi e futuristi avevano utilizzato questo metodo. W. W. Prescott e altri scrittori Avventisti del Settimo Giorno non l’hanno utilizzato per calcolare il numero della bestia, ma hanno sostenuto il significato del 6 in relazione al 7 come simbolo, con il secondo che indica il completamento o la perfezione e il primo che simboleggia l’imperfezione umana. Tra gli studiosi Avventisti del Settimo Giorno ci sono state diverse interpretazioni sul numero 666. Recenti ricerche hanno dimostrato, tuttavia, che le prove storiche del collegamento di questo numero con il titolo di “Vicarius Filii Dei” sono maggiori di quelle riconosciute in precedenza da alcuni.

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  • Ibidem, 14.
  • Ibidem, 16.
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  • Statistiche e ricerca.
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  • Thurber a McElhany, 2.
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  • Ibidem.
  • Ibidem.
  • I documenti del simposio sono stati pubblicati inonduPreez,ed.,PropheticPrinciples:Crucial
  • Approfondimenti esegetici, teologici, storici e pratici, Scripture Symposium, n. 1 (Lansing, MI: Michigan Conference of Seventh-day Adventists, 2007).
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