Il ruolo della Bibbia nell’educazione – Alonzo Trévier Jones

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Il ruolo della Bibbia nell’educazione

Alonzo Trévier Jones

Un appello ai cristiani

“per conoscere sapienza e ammaestramento per intendere i detti di senno; per ricevere ammaestramento circa l’agire saggiamente, la giustizia, il giudizio e la dirittura, per dare accorgimento ai semplici, conoscenza e riflessione al giovane” {Proverbi 1:2-4}

CASA EDITRICE PACIFIC PRESS
New York OAKLAND, CAL. Kansas City

PREFAZIONE

Nell’educazione di Gesù e di molti altri grandi uomini e donne della storia sacra, la Bibbia non era solo un libro di istruzione religiosa, ma era il fondamento che conduceva tutti gli studi educativi.

Con il termine “vera educazione” si intende il ripristino del carattere nobile e giusto con cui Dio originariamente creò l’uomo. Ogni ramo dell’educazione può portarci o più lontano da Dio, o avvicinarci a Lui, nella contemplazione dei Suoi pensieri e nell’aspirazione alla Sua bontà.

Questo libro ci rivela come usare la Bibbia per guidarci nello studio delle scienze mentali, morali, fisiche, della storia, del diritto, della logica, ecc.; rivelando come dovrebbero essere le scuole cristiane secondo la volontà di Dio.

Comitato Raw Truth

CAPITOLO 1 – L’EDUCAZIONE CRISTIANA

Tutto ciò che non è cristiano, non è adatto ai cristiani. L’educazione cristiana è l’unica educazione adeguata per i cristiani. Nell’educazione cristiana deve prevalere il Libro del cristianesimo. La Bibbia è il Libro del cristianesimo.

Lo scopo dell’educazione cristiana è quello di plasmare cristiani. Nulla di ciò che non sia cristiano potrà mai essere implementato correttamente per l’educazione di un cristiano, così come nulla di ciò che non sia cristiano potrà essere adeguatamente introdotto in qualsiasi altra fase della vita del cristiano. Pertanto, il Libro del cristianesimo, la Bibbia, deve essere lo standard dell’educazione cristiana; deve essere il banco di prova di tutto ciò che viene introdotto nell’educazione di un cristiano; e deve fornire tutto ciò che è necessario per l’educazione del cristiano. Questo riguarda l’educazione nel senso più alto, più ampio e migliore: lo sviluppo pratico completo dell’individuo, mentalmente, fisicamente e moralmente.

Si è pensato, e si pensa ancora troppo spesso, che il cristianesimo abbia a che fare soltanto con una sorta di esistenza spiritualizzata, che esuli dalle occupazioni reali e dalle cose pratiche della vita. Questo non è vero. Il cristianesimo, nel senso più profondo del termine, è una forza vitale in azione, che si ritrova in tutto ciò che, per diritto, compone l’insieme della vita umana sulla terra. L’educazione cristiana è fedele al suo nome e alla sua professione solo quando dimostra questa forza onnipervasiva del cristianesimo come elemento vitale in tutto ciò che può intervenire effettivamente nel corso della vita umana.

Non si può negare che la vita di Cristo sia la dimostrazione del cristianesimo. Egli è l’Uomo modello: il tipo di ciò che ogni uomo deve essere per essere un perfetto cristiano. Ed è certo che Cristo mentre dimostrava, nella sua natura umana, la vita cristiana sulla terra, creò una relazione vitale con ogni aspetto reale della vita umana su questa terra. Venne al mondo come neonato; passò dall’infanzia all’età adulta come fanno gli uomini di questo mondo; ha affrontato tutto ciò che gli esseri umani di questo mondo affrontano crescendo; ha conosciuto tutte le vicissitudini e le esperienze della vita umana proprio come tutti gli uomini fanno, perché “Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli” {Ebrei 2: 17}. Egli “è stato tentato in ogni cosa come noi” {Ebrei 4: 15}; ha lavorato come falegname con Giuseppe fino al giorno in cui si mostrò a Israele nella sua opera attiva di predicazione, guarigione e servizio. Egli è stato tanto il Salvatore del mondo sia quando, come falegname, tagliava travi e costruiva panche e tavoli, sia quando, come predicatore, pronunciò il sermone sul monte. Questo dimostra che il cristianesimo c’entra in maniera altrettanto vera e vitale sia nei lavori manuali o di altro tipo della vita quotidiana quanto nella predicazione del sermone più spirituale che sia mai stato pronunciato.

Eppure, in tutto questo Gesù era solo il Verbo fatto carne. La Parola di Dio in forma scritta era nel mondo prima che Gesù venisse nella carne; ma per la cecità e la durezza di cuore degli uomini, a quella Parola non è stato consentito di manifestarsi veramente nella carne. Egli è venuto affinché ciò fosse possibile. In Lui, quella Parola che era qui (in forma scritta) prima che Egli venisse, si è fatta carne e ha abitato tra gli uomini, come Uomo esempio. Poiché, dunque, Gesù era il Verbo fatto carne, nella Sua vita sulla terra non si verificò nulla che non fosse già scritto nella Parola. E poiché Egli era nella carne, proprio ciò che la Parola era, prima che Egli venisse; è evidente che fu solamente per mezzo della Parola di Dio, per mezzo dello Spirito di Dio che Egli divenne ciò che era nella carne. Questo dimostra che la Parola di Dio, la Bibbia, il Libro del cristianesimo contiene quello che istruirà totalmente l’umanità a una vita equilibrata; e che non esiste educazione cristiana che non si addentri realmente in tutte le occupazioni e gli aspetti della vita umana sulla terra.

La vita di Cristo, dunque, così come è stata vissuta sulla terra – questa vita essendo solamente l’espressione della Parola di Dio – fa emergere in modo chiaro e distinto la grande verità che la Bibbia, il Libro del cristianesimo, è il più potente elemento educativo, l’istituzione educativa più efficiente, il Libro educativo più importante del mondo. È quindi vero che nella Parola di Dio, la Bibbia, sono nascosti “tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” {Colossesi 2: 3}, così come lo sono in Colui che, nella carne, non era che l’espressione di quella Parola. Di conseguenza, la Parola di Dio è stata data “affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera” {2 Timoteo 3: 17}.

Questo è il ruolo che la Parola di Dio occupava, come fattore educativo, nella visione del cristianesimo nell’antichità e questa valutazione è ripresa in modo grandioso dall’eminente cristiano, la stella mattutina del cristianesimo dei tempi moderni, John Wycliffe che disse: “Non esiste alcuna finezza nella grammatica, né nella logica, né in nessun’altra scienza che si possa nominare, che non si ritrovi nelle Scritture, in un grado molto più eccellente”.

 

CAPITOLO 2 – L’EDUCAZIONE DEL MONDO

Quando il cristianesimo, in quanto tale, è apparso nel mondo, la Parola di Dio era il suo manuale educativo. In quel tempo, tuttavia, esisteva già nel mondo ciò che si pretendeva essere l’educazione; non soltanto una forma di educazione, ma l’unica educazione nel vero senso della parola. Il cristianesimo dovette fronteggiare questa falsa educazione che era accettata dal mondo come l’unica vera educazione. E proprio sulla questione dell’educazione, come su tutte le altre cose, il cristianesimo e il mondo erano in diretta opposizione.

Il cristianesimo e questa falsa educazione si incontrarono nei tre grandi centri educativi del mondo; e sappiamo quanto fossero così completamente opposti perché abbiamo le parole dell’Ispirazione che definirono esattamente quello che il mondo riteneva fosse l’istruzione.

A quel tempo, Corinto era uno dei tre centri educativi del mondo. “Corinto era la città del buon mondo dell’Impero Romano; era quindi paragonabile a Londra e Parigi del primo secolo d.C.” (Farrar). Il grande apostolo dei Gentili trascorse diciotto mesi per impiantare il cristianesimo in quel centro educativo del mondo; e quando se ne andò scrisse queste parole a proposito del paganesimo e dell’educazione lì presente: “infatti, poiché nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio per mezzo della propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare quelli che credono mediante la follia della predicazione” {1 Corinzi 1: 21}.

Il mondo era arrivato nella situazione di non conoscere Dio. È stato a causa della propria “sapienza” che il mondo era arrivato a questo punto. La propria “sapienza” ha indotto il mondo a non conoscere Dio. E questa sapienza era la filosofia del mondo, la scienza del mondo – in una parola, l’educazione del mondo. Pertanto, l’Ispirazione mostra chiaramente che ciò che il mondo considerava “educazione” era proprio il mezzo che gli impediva di conoscere Dio. Ma il cristianesimo è la conoscenza chiara e certa di Dio. Potrebbero mai esistere due cose così grandemente opposte, come un sistema che porta gli uomini a conoscere in modo certo e sicuro, e un altro sistema che fa sì che gli uomini categoricamente non conoscano?

Un altro dei tre centri educativi del mondo era Efeso. Era la più maestosa delle “magnifiche città dell’Asia”. “Le sue piazze splendevano per via delle opere artistiche del mondo – era il buon mondo d’Asia. Nessun altro nome è rimasto impresso così gloriosamente negli annali della cultura umana come quello della grande capitale Iodia” (Farrar). In quel centro culturale ed educativo il grande apostolo dei Gentili guidò una scuola cristiana per quasi due anni e mezzo: prima nella sinagoga “per tre mesi” e poi, siccome “alcuni si indurivano e persistevano nell’incredulità, parlando male della via in presenza della folla, egli, ritiratosi da loro, separò i discepoli e continuò a discutere ogni giorno nella scuola di un certo Tiranno. E questo durò per due anni di modo che tutti gli abitanti dell’Asia, Giudei e Greci, udirono la parola del Signore Gesù” {Atti 19: 9-10}. Stava mettendo le basi di un’educazione decisamente cristiana contro un’educazione prettamente pagana. Ciò che portò all’istituzione di questa scuola di educazione specificamente cristiana fu che “alcuni si indurivano e persistevano nell’incredulità”. Poi, da quella promiscua platea, Paolo separò i discepoli, quelli che avevano creduto, e insegnò a loro ogni giorno, nella scuola di Tirano, la via dell’educazione cristiana. Di conseguenza, molti gentili di quella città colta divennero cristiani. E quando Paolo scrisse agli Efesini, la sua epistola conteneva le seguenti parole sincere: “Questo dunque attesto nel Signore, che non camminiate più come camminano ancora gli altri gentili, nella vanità della loro mente, ottenebrati nell’intelletto, estranei alla vita di Dio, per l’ignoranza che è in loro e per l’indurimento del loro cuore” {Efesini 4: 17-18}.

Questi Gentili della città di Efeso erano estranei (separati, tagliati fuori) alla vita di Dio a causa dell’ignoranza del loro cuore. Era la loro ignoranza la causa della loro separazione dalla vita di Dio. Ma Efeso era un centro educativo; e fu proprio quell’educazione a causare la loro alienazione dalla vita di Dio. Eppure l’Ispirazione dichiara che essi si erano allontanati dalla vita di Dio a causa dell’ignoranza che era nel loro cuore. Quindi è perfettamente evidente che l’Ispirazione valuta la loro educazione come fosse ignoranza.

Atene era il terzo di questi grandi centri educativi del mondo. Atene era più di questo: era la madre dell’educazione del mondo di allora. Ancora di più: è la madre, in senso largo, di quella che è l’educazione del mondo fino a oggi. E il grande apostolo dei Gentili andò anche lì. Fu portato davanti alla Corte Suprema, per essere ascoltato in merito alla rilevanza dei suoi insegnamenti nella questione dell’essere “annunciatore di dèi sconosciuti”. Per due volte, nel suo discorso davanti a quella Corte e alla folla riunita, l’Ispirazione usa esattamente lo stesso termine impiegato in riferimento all’educazione del mondo di Efeso. Disse: “Ateniesi, io vi trovo in ogni cosa fin troppo religiosi. Poiché, passando in rassegna e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: AL DIO SCONOSCIUTO. Quello, dunque, che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi fatti da mani d’uomo, e non è servito dalle mani di uomini come se avesse bisogno di qualcosa, essendo lui che dà a tutti la vita, il fiato e ogni cosa; or egli ha tratto da uno solo tutte le stirpi degli uomini, perché abitassero sopra tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche prestabilite e i confini della loro abitazione, affinché cercassero il Signore, se mai riuscissero a trovarlo come a tastoni, benché egli non sia lontano da ognuno di noi. Poiché in lui viviamo, ci muoviamo e siamo, come persino alcuni dei vostri poeti hanno detto: “Poiché siamo anche sua progenie”. Essendo dunque noi progenie di Dio, non dobbiamo stimare che la deità sia simile all’oro o all’argento o alla pietra o alla scultura d’arte e d’invenzione umana. Ma ora, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, Dio comanda a tutti gli uomini e dappertutto che si ravvedano. Poiché egli ha stabilito un giorno in cui giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo di quell’uomo che egli ha stabilito; e ne ha dato prova a tutti, risuscitandolo dai morti” {Atti 17: 22-31}.

Avevano eretto un altare in onore del Dio sconosciuto. In questo modo, essi “adoravano nell’ignoranza”. Quella città era completamente dedita all’idolatria perché era piena di idoli d’oro d’argento o di pietra, creati dall’arte e dall’ingegno umano, che esprimevano il loro concetto di Dio. Dio ha tollerato “quei tempi di ignoranza”, ma ora ordinava “a tutti gli uomini di ravvedersi” da questa “ignoranza”. Ma non dimenticate che tutto questo non era che una parte, anzi, la parte centrale dell’educazione di Atene, dell’educazione che stava impartendo, dell’educazione di cui ne fu la madre. Poiché quell’educazione culminava nell’arte, quell’arte era idolatria; e quell’idolatria non era altro che la manifestazione dell’ignoranza. Perciò, ancora una volta si dimostra che l’educazione del mondo, l’educazione greca a quel tempo, era solo ignoranza. E quando ci si rende conto di quanto Atene si vantasse dell’educazione che dava al mondo si può avere solo una vaga idea di quanto grande potesse essere la derisione nei confronti della parola di un Giudeo disprezzato che, trovatosi davanti a una colta platea, definiva tutto questo “ignoranza” e li invitava a pentirsi della loro educazione.

Eppure questa educazione non era nient’altro che semplice ignoranza. Quell’altare con l’iscrizione “AL DIO SCONOSCIUTO” non era altro che un monumento eretto dalla loro ignoranza. Perché la parola “ignoranza” che l’Ispirazione utilizza non è solo un termine usato in modo tendenzioso, per dire che l’educazione del mondo equivaleva all’ignoranza, anche se in ultima analisi era proprio ignoranza perché non portava alla conoscenza di Dio; ma è una parola certamente scelta dall’Ispirazione per definire, nella sua stessa essenza, il vero carattere di quell’educazione che era di per sé “ignoranza”. Questo si nota chiaramente quando si comprende quale fosse il principio e il processo di quell’educazione. Ciò che vedremo ora è stato redatto da un’autorità riconosciuta.

Socrate fu il grande educatore della Grecia; e la Grecia, attraverso Platone e Aristotele educò il mondo. Aristotele è stato l’educatore del mondo. E di Socrate è scritto: “Socrate non era un filosofo, né un maestro, ma piuttosto un educatore, avendo il ruolo di suscitare, persuadere e rimproverare” (Platone, Apologia, 30 E). Pertanto, nell’esaminare l’opera della sua vita è opportuno chiedersi non “quale era la sua filosofia?” ma “quale era la sua teoria, e quale era la sua pratica nell’ambito dell’educazione?”. Per realizzare la sua teoria dell’educazione fu condotto dallo studio delle filosofie precedenti, e la sua educazione pratica portò alla “rinascita platonica”.

La teoria dell’educazione di Socrate si basa su uno SCETTICISMO PROFONDO E CONSISTENTE.

“Partendo da un principio o da una proposizione apparentemente remota, che il colpevole aveva assecondato, Socrate ne traeva una conclusione inaspettata ma innegabile che era palesemente incoerente con l’opinione messa in dubbio. In questo modo, egli poneva il suo interlocutore nella situazione di pronunciare su sé stesso la propria sentenza, portandolo in uno stato di dubbio o perplessità”. “Prima di conoscerti”, dice Meno nel dialogo che Platone chiama con il suo nome, “mi dicevo che passavi il tuo tempo a dubitare e a indurre gli altri a dubitare; ed è vero che le tue stregonerie e i tuoi incantesimi mi abbiano portato in questa condizione” (Enciclopedia Britannica, “Socrate”).

Platone fu allievo e cronista di Socrate. Socrate non ha lasciato scritti di suo pugno. È a Platone che il mondo deve quasi tutto quello che sa di Socrate, soprattutto per quanto riguarda la sua “filosofia”. Così, nel campo della filosofia, della speculazione, della metafisica, Platone è la grande voce e il continuatore di Socrate. Aristotele era un discepolo di Platone; ma si distaccò dalle speculazioni particolarmente filosofiche e metafisiche del suo maestro e si dedicò in particolare alla scienza e alla fisica. Platone tendeva a far culminare tutte le cose nella filosofia. Aristotele invece pensava che tutte le cose culminassero nella scienza: egli avrebbe “ridotto anche la filosofia alla scienza”. E Aristotele, come Platone, ha portato avanti nel campo dell’educazione lo stesso principio di educazione che era stato sostenuto da Socrate e continuato da Platone: “il dubbio è la via per la conoscenza”. Da Aristotele abbiamo la massima secondo la quale “formulare bene i dubbi” è un servizio alla scoperta della verità.

Così, dunque, come detto a proposito di Socrate, la base di tutta la teoria dell’educazione greca, sia nella scienza che nella filosofia era il “dubbio” – “uno scetticismo profondo e consistente”. In effetti, l’idea principale di quella filosofia è espressa proprio dalla parola “dubbio”. La storia della filosofia non è altro che la storia del dubbio. Ora, la caratteristica essenziale e la qualità del dubbio è che fa sì che colui che lo esercita non sappia. Fintanto che uno dubita di una cosa egli non può conoscere quella cosa. E il non conoscere è semplicemente ignoranza. Quindi, poiché la base della teoria educativa del grande educatore greco era il “dubbio” – “uno scetticismo profondo e consistente” – e poiché la qualità essenziale del dubbio fa sì che colui che lo esercita non sappia, ne consegue che l’educazione greca, essendo fondata nel dubbio e costruita attraverso il dubbio era essenzialmente ignoranza. E l’Ispirazione ha trafitto il nucleo stesso di questo intero sistema quando ha ripetutamente identificato questa educazione con l’ignoranza. E la parola “ignoranza” è stata scelta appositamente dallo Spirito dell’Ispirazione semplicemente perché definiva in modo essenziale tale concetto.

CAPITOLO 3 – GLI ELEMENTI ESSENZIALI ALLA CONOSCENZA

Potrebbero raccontarci una verità reale, la verità essenziale di Dio; eppure, se dubitiamo e, finché ne dubitiamo, non Lo potremo mai conoscere. Pertanto, il dubbio è essenzialmente e soltanto la porta aperta verso l’ignoranza. Inoltre, ci può essere detto ciò che è del tutto falso, una vera e propria menzogna; e se ci crediamo, non conta quanto implicitamente, non potremo mai conoscere Dio. Questo, per la semplice ragione che non è vero; ed è impossibile conoscere una cosa che non sia reale. Perciò esistono solo due cose essenziali per conoscere. Queste due sono la verità e la fede.

Verità e fede sono i due elementi essenziali della conoscenza: e il primo di questi, in ordine, è la verità. Questo per il motivo già esposto che quanto implicitamente si possa credere a ciò che non è reale, non potremmo mai conoscerlo. Pertanto, poiché ciò che si crede deve essere vero per essere conosciuto, ne consegue che la verità è il primo elemento essenziale della conoscenza. E poiché anche la più sincera verità, quando viene detta, non può essere conosciuta senza che noi la crediamo, ne consegue che il secondo elemento essenziale per la conoscenza è la fede. La verità e la fede, dunque, lavorando insieme – la verità creduta – sono la via per la conoscenza.

Questo può essere semplicemente illustrato da uno schema familiare a quasi tutti. Ovvero, la verità che A è A. Abbiamo creduto questa verità e quindi, solo allora, sappiamo che A è A. Se non avessimo creduto a questa verità quando ce l’hanno detta, ora non sapremmo che A, B, C, D, ecc. sono ciò che sono. Se avessimo chiesto una prova come base per poter credere, non avremmo mai potuto averla e quindi non avremmo mai potuto credere, e quindi non avremmo mai potuto conoscere questo fondamento base dell’intera conoscenza letteraria. Non avremmo potuto avere alcuna prova, a parte che la A, o qualsiasi altra lettera dell’alfabeto, sia ciò che è.

La prova c’è, ma la prova è nella lettera stessa; e credendoci, prendendola per quello che è, otteniamo la conoscenza; e se a questa conoscenza ci aggiungiamo l’esperienza allora otteniamo la prova. In ogni lettera dell’alfabeto, infatti, c’è un valore che risponde alla nostra convinzione: un valore che non ha mai fallito e che non fallirà mai. Sappiamo che ognuna delle lettere è ciò che è: e tutti i filologi, i filosofi e gli scienziati di tutto il mondo non potrebbero convincerci che una qualsiasi lettera dell’alfabeto sia diversa da ciò che semplicemente è. Eppure il motivo per cui lo sappiamo è per la semplice convinzione di una verità creduta e affermata in modo puro e semplice.

Questo pensiero, questa illustrazione, non si ferma qui. Le prime due lettere dell’alfabeto greco sono Alfa e Beta. Togliendo la lettera “a” dalla parola Beta, e unendo queste due lettere greche ci danno la parola “Alfa-bet”. Questa parola “alfabeto” indica tutte le lettere della lingua italiana. Ma com’è possibile, visto che la parola stessa deriva solo dalle prime due lettere della lingua greca? Il motivo è molto semplice. Quando nella nostra lingua vogliamo chiedere se una persona conosce o no l’alfabeto, di solito non chiediamo: “Conosci l’alfabeto?”, né “Conosci l’A B C D E F G H I J K L M N e così via fino alla Z”, ma chiediamo: “Conosci l’ABC?”. Oppure diciamo: “Non conosce l’ABC”. I greci facevano lo stesso: quando volevano esprimere questo pensiero, non dicevano, “Conosci l’Alfa, Beta, Gamma, Delta, l’Epsilon e così via fino all’Omega?”, ma semplicemente: “Conosci l’Alfa Beta?” oppure: “Non conosci l’Alfa Beta?”. E questa abbreviazione greca dell’intero elenco delle lettere di quella lingua in “Alfa-Beta” arriva fino a noi con la modifica della vocale finale e diventa così la nostra parola “alfabeto”, l’abbreviazione dell’intero elenco di lettere della nostra lingua.

Nell’italiano comune esiste un modo conciso per dire che una persona sa poco o nulla di un argomento, ovvero l’espressione: “Non conosce l’ABC”. I greci avevano la stessa espressione: “Non conosce l’Alfa-Beta”. Esistono anche altri modi per dire che una persona sia ben informata, o che conosce tutto di un certo argomento, attraverso l’espressione: “Conosce quell’argomento dalla A alla Z”. I greci avevano una simile espressione: “Conosce quell’argomento dall’Alfa all’Omega”, ovvero “conosce tutto ciò che c’è da sapere su quell’argomento”. E questa è proprio la base e il pensiero dell’espressione usata da Cristo nel libro dell’Apocalisse più volte: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo”.

Gesù è l’alfabeto di Dio. Così come l’espressione “Alfa e Omega” indica l’intero alfabeto e comprende tutto ciò che c’è nella lingua greca; e così come anche “dalla A alla Z” indica l’intero alfabeto, tutto ciò che c’è nella lingua italiana; così Gesù Cristo, l’alfabeto di Dio, comprende tutto ciò che c’è nel linguaggio o nella conoscenza di Dio. Come nelle ventiquattro lettere dell’alfabeto greco, dall’Alfa all’Omega, si nascondono tutti i tesori della saggezza e della conoscenza nel mondo di quella lingua; e come nelle ventisei lettere dell’alfabeto italiano si nascondono tutti i tesori della saggezza e della conoscenza che ci sono nel mondo della lingua italiana; così in Gesù Cristo “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” {Colossesi 2: 3} che ci sono nell’universo della lingua di Dio.

E questo alfabeto di Dio si impara esattamente nello stesso modo e con la stessa facoltà [mentale] dell’alfabeto greco, italiano o di qualsiasi altra lingua. L’alfabeto di Dio è la verità. Noi crediamo a questa verità e quindi sappiamo che Egli è ciò che è. Esiste anche una prova di questo fatto, ma la prova è in Lui stesso. Credendo a questo alfabeto, accogliendolo per quello che è, otteniamo la conoscenza; e se aggiungiamo a questa conoscenza l’esperienza otteniamo una costante prova vivente. In questo Alfabeto di Dio, in ogni lettera, in ogni iota e in ogni apice c’è un valore che risponde alla nostra fede: un valore che non ha mai fallito, che non fallirà mai e che non potrà mai fallire nel rispondere alla fede di qualsiasi persona che crede in quell’Alfabeto. E a colui che conosce l’alfabeto di Dio, nemmeno tutti i filosofi e tutti gli scienziati e tutti gli atei del mondo non potranno dimostrare che una qualsiasi parte di questo Alfabeto non è ciò che Egli è. Anzi, chiunque cerca di dimostrare una cosa del genere rivela solo che non conosce ancora il vero Alfabeto, che non conosce ancora l’ABC.

È solo da bambini che impariamo, è solo da bambini che si può imparare l’alfabeto della lingua italiana. Anche se un uomo avesse mille anni e fosse pienamente in possesso di tutte le sue facoltà, se non conoscesse l’ABC, l’alfabeto della lingua italiana, dovrebbe diventare come un bambino piccolo per impararlo, per apprendere la conoscenza che A è A: dovrebbe semplicemente crederci, come fa il bambino; e credendo che ogni lettera è ciò che è, quando glielo si dice, lui conoscerà. E se si rifiutasse di crederci, proprio per questo rifiuto, per la sua stessa incredulità, sarebbe condannato – condannerebbe sé stesso – a perdere per sempre tutti i tesori della sapienza e della conoscenza che sono nascosti nel mondo della lingua italiana.

Così è anche per l’alfabeto della lingua e della conoscenza di Dio. È solo credendo a questo alfabeto che qualcuno potrà conoscere realmente Dio. Se qualcuno rifiuta di credere non potrà conoscere. E chi non crede è condannato proprio da questa incredulità – condanna sé stesso – alla perdita eterna di ogni tesoro della sapienza e della conoscenza di Dio nascosti nell’alfabeto di Dio. Poiché è con varie combinazioni delle lettere dell’alfabeto che si formano le parole e le parole esprimono il pensiero; così le molteplici combinazioni dell’Alfabeto di Dio formano la Parola di Dio e la Parola di Dio esprime il pensiero di Dio.

Gesù Cristo annunciò il principio eterno del vero apprendimento quando dichiarò: “chi non riceve il regno di Dio come un piccolo fanciullo, non vi entrerà” {Luca 18: 17}. È il bambino piccolo che riceve il regno di Dio. Lo riceve semplicemente credendo alla pura dichiarazione della Parola del regno. È così che ognuno riceve, e deve ricevere, il regno dell’italiano o di qualsiasi altra lingua. È così che ognuno deve ricevere il regno di Dio. Ricevere il regno di Dio e conoscere l’alfabeto di Dio è facile come conoscere l’ABC. Perciò imparare, non come un filosofo, ma come un bambino, è la vera via della conoscenza. La verità e la fede, lavorando insieme – la verità creduta – saranno sempre l’unica vera via per la conoscenza.

Di conseguenza, quando Dio cercò di salvare il mondo dalla rovina della sua ignoranza, lo fece presentandogli la verità, verità che essi dovettero credere. “Infatti, poiché nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio per mezzo della propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare quelli che credono mediante la follia della predicazione, [la predicazione della Parola, che è la verità: la predicazione di Cristo, che è la verità] poiché i Giudei chiedono un segno e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che è scandalo per i Giudei e follia per i Greci; ma a quelli che sono chiamati, sia Giudei che Greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio” {1 Corinzi 1: 21-24}.

Abbiamo letto le parole dell’Ispirazione secondo le quali il mondo non conosceva (ignorava) Dio. Abbiamo anche letto le parole dell’Ispirazione secondo cui i Gentili furono allontanati (separati, tagliati fuori) dalla vita di Dio, a causa dell’ignoranza che era in loro. Abbiamo visto che nella sapienza di Dio e nella verità essenziale della questione in considerazione, la sapienza del mondo era ignoranza; e che non solo il mondo nella sua ignoranza era estraneo alla vita di Dio, ma che era proprio per questa stessa ignoranza che il mondo era estraneo alla vita di Dio. Poiché, dunque, la caratteristica dell’ignoranza è quella di separare gli uomini dalla vita di Dio; d’altra parte, la caratteristica della conoscenza è quella di unire gli uomini alla vita di Dio, che è la vita eterna. Di conseguenza, sta scritto: “or questa è la vita eterna, che conoscano te, il solo vero Dio, e Gesù Cristo che tu hai mandato” {Giovanni 17: 3}. Sarebbe altrettanto vero se leggessimo solo le parole: “or questa è la vita eterna, che conoscano”. Così come certamente l’ignoranza, essendo il prodotto del dubbio, con il quale gli uomini non possono conoscere, allontana gli uomini dalla vita di Dio; in modo altrettanto certo la conoscenza, essendo il prodotto della fede nella verità, con la quale gli uomini conoscono veramente, unisce gli uomini alla vita di Dio.

Abbiamo visto che è solo la fede nella verità che porta gli uomini alla conoscenza: e poiché Gesù Cristo è “la Verità”, ne consegue che la fede in Cristo, quale Parola di Dio, è l’unica via per la conoscenza. Di conseguenza, ancora una volta, l’Ispirazione traccia chiaramente la distinzione tra il mondo della sapienza greca, che era ignoranza e la fede in Cristo, che è la via della conoscenza. Infatti sta scritto: “affinché i loro cuori siano consolati, essendo essi uniti insieme nell’amore, ed ottengano tutte le ricchezze della piena certezza d’intelligenza per la conoscenza del mistero di Dio e Padre e di CRISTO, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Or questo dico, affinché nessuno vi inganni con parole convincenti, perché, quantunque sia assente da voi col corpo, pure sono con voi con lo spirito e mi rallegro vedendo il vostro ordine e la fermezza della vostra fede in Cristo. Come, dunque, avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui, essendo radicati ed edificati in lui, e confermati nella fede come vi è stato insegnato, abbondando in essa con ringraziamento. Guardate che nessuno vi faccia sua preda con la filosofia e con vano inganno, secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo, poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità. E voi avete ricevuto la pienezza in lui, essendo egli il capo di ogni principato e potestà” {Colossesi 2: 2-10}.

Ancora una volta, questo contrasto tra l’ignoranza del mondo e la conoscenza di Dio viene chiaramente delineato in {1 Corinzi 1: 18-31; 1 Corinzi 2: 1-10} e, come tradotto nella versione Nuova Diodati, dice: “infatti il messaggio della croce è follia per quelli che periscono, ma per noi che siamo salvati è potenza di Dio. Sta scritto infatti: «Io farò perire la sapienza dei savi e annullerò l’intelligenza degli intelligenti». Dov’è il savio? Dov’è lo scriba? Dov’è il disputatore di questa età? Non ha forse Dio resa stolta la sapienza di questo mondo? Infatti, poiché nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio per mezzo della propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare quelli che credono mediante la follia della predicazione, poiché i Giudei chiedono un segno e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che è scandalo per i Giudei e follia per i Greci; ma a quelli che sono chiamati, sia Giudei che Greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la follia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio più forte degli uomini. Riguardate infatti la vostra vocazione, fratelli, poiché non ci sono tra di voi molti savi secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili, ma Dio ha scelto le cose stolte del mondo per svergognare le savie; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; e Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose spregevoli e le cose che non sono per ridurre al niente quelle che sono, affinché nessuna carne si glori alla sua presenza. Ora grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto: «Chi si gloria, si glori nel Signore». Anch’io, fratelli, quando venni da voi, non venni con eccellenza di parola o di sapienza, annunziandovi la testimonianza di Dio, perché mi ero proposto di non sapere fra voi altro, se non Gesù Cristo e lui crocifisso. Così io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore. La mia parola e la mia predicazione non consistettero in parole persuasive di umana sapienza, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio. Or noi parliamo di sapienza fra gli uomini maturi, ma di una sapienza che non è di questa età né dei dominatori di questa età che sono ridotti al nulla, ma parliamo della sapienza di Dio nascosta nel mistero, che Dio ha preordinato prima delle età per la nostra gloria, che nessuno dei dominatori di questa età ha conosciuta; perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma come sta scritto: «Le cose che occhio non ha visto e che orecchio non ha udito e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per quelli che lo amano». Dio però le ha rivelate a noi per mezzo del suo Spirito, perché lo Spirito investiga ogni cosa, anche le profondità di Dio”.

CAPITOLO 4 – IL SEGRETO DELLA GRANDE APOSTASIA

Nonostante il contrasto infinito, più volte tracciato dall’Ispirazione nelle Scritture, tra l’ignoranza greca e la conoscenza cristiana, non appena il cristianesimo si radicò nel mondo comparvero tra i cristiani quelli che iniziarono a inclinarsi verso la via del mondo e a rivendicare la virtù dell’ignoranza greca. E questa fu l’origine della grande apostasia.

L’esaltazione della sapienza mondana, che non era altro che ignoranza greca, fu il segreto dell’allontanamento dalla verità del Vangelo. L’avvertimento divino contro questa decadenza è stato particolarmente espresso agli Efesini. In primo luogo, nella lettera agli Efesini, come segue: “Questo dunque attesto nel Signore, che non camminiate più come camminano ancora gli altri gentili, nella vanità della loro mente, ottenebrati nell’intelletto, estranei alla vita di Dio, per l’ignoranza che è in loro e per l’indurimento del loro cuore. Essi, essendo diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni impurità con insaziabile bramosia. Voi però NON E’ COSI’ che avete conosciuto Cristo, se pure gli avete dato ascolto e siete stati ammaestrati in lui secondo la verità che è in Gesù, per spogliarvi, per quanto riguarda la condotta di prima, dell’uomo vecchio che si corrompe per mezzo delle concupiscenze della seduzione, per essere rinnovati nello spirito della vostra mente e per essere rivestiti dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e santità della verità” {Efesini 4: 17-24}.

E ancora, in quell’importante incontro quando, da Mileto, Paolo “mandò a Efeso a far chiamare gli anziani della chiesa”, e nel suo discorso a loro parlò così: “badate dunque a voi stessi e a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata col proprio sangue. Infatti, io so che dopo la mia partenza, entreranno in mezzo a voi dei lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge, e che tra voi stessi sorgeranno degli uomini che proporranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate, ricordandovi che per lo spazio di tre anni, giorno e notte, non ho mai cessato di ammonire ciascuno con lacrime. Ed ora, fratelli, io vi raccomando a Dio e alla parola della sua grazia, che è in grado di edificarvi e di darvi l’eredità in mezzo a tutti i santificati” {Atti 20: 28-32}.

Questa apostasia era l’oggetto dell’ammonimento dell’apostolo, non solo a Efeso, ma anche in altri luoghi. A Tessalonica, sia nella predicazione che nella lettera ai Tessalonicesi, si soffermò molto su questo aspetto. Infatti, riguardo al giorno della venuta del Signore nella gloria, avendo già scritto molto di questo nella sua prima lettera, nella sua seconda lettera scrisse loro così: “or vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signor nostro Gesù Cristo e al nostro adunamento con lui, di non lasciarvi subito sconvolgere nella mente né turbare o da spirito, o da parola, o da qualche epistola come se venisse da parte nostra, quasi che il giorno di Cristo sia già venuto. Nessuno v’inganni in alcuna maniera, perché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e prima che sia manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato dio o oggetto di adorazione, tanto da porsi a sedere nel tempio di Dio come Dio, mettendo in mostra sé stesso e proclamando di essere Dio” {2 Tessalonicesi 2: 1-4}.

Poi, dopo aver affermato ciò che l’apostasia avrebbe rivelato, si appellò alla memoria dei Tessalonicesi: “non vi ricordate che, quando ero ancora tra voi, vi dicevo queste cose?” {2 Tessalonicesi 2: 5}. Nelle Scritture si parla molto di più di questo, ma non è necessario citarlo in questo momento. Ciò è sufficiente per far capire a tutti quanto l’apostasia fosse certamente legata all’introduzione dell’ignoranza mondana e alla sua amalgamazione con la conoscenza di Dio. L’apostasia, infatti, aumentava nella stessa misura in cui l’ignoranza mondana – la cosiddetta scienza – veniva introdotta. E quando l’apostasia prese il sopravvento, quello che realmente prese il sopravvento fu la filosofia e la scienza greca di origine pagana – l’ignoranza greca – ma questa volta sotto nome cristiano, nella cosiddetta Chiesa Cristiana.

Fu contro questo male che gli apostoli predicarono, scrissero e misero in guardia durante il corso di tutta la loro vita. Perché videro le enormi conseguenze che sarebbero derivate dall’ampliamento di quei deboli inizi che erano già fin troppo evidenti ai loro tempi. Eppure, in meno di cinquant’anni dopo la morte dell’ultimo degli apostoli, questa apostasia si era talmente dilagata che riuscì a formare delle sue scuole, dirette sotto un nome cristiano e spacciate per scuole cristiane. I rappresentanti dell’apostasia, i capi di queste scuole, facevano della cosiddetta filosofia del mondo il loro standard; e tra i filosofi riconosciuti del mondo consideravano Platone come “più saggio di tutti gli altri e particolarmente notevole per come tratta la Divinità, l’anima e le cose lontane dai sensi, in modo da adattarsi allo schema cristiano” (Mosheim).

Questo pensiero venne prontamente adottato da ampie classi di aspiranti filosofi e dai loro imitatori, che in questo modo potevano assumersi il merito di essere cristiani senza alcuna abnegazione o conversione della vita interiore, che è essenziale per l’esperienza cristiana. La stessa vita pagana poteva essere mantenuta sotto il nome e la professione del cristianesimo. Questo male fece un tale progresso che non passò molto tempo prima che “il parere sull’apprendimento dell’insegnamento umano fosse una questione su cui i cristiani erano quasi equamente divisi. Molti raccomandavano lo studio della filosofia e la conoscenza della letteratura greca e romana; mentre altri sostenevano che questi erano perniciosi per gli interessi di un cristianesimo genuino e il progresso della vera pietà. Tuttavia, a poco a poco, la causa delle lettere e della filosofia trionfò; e coloro che le sostenevano continuarono a guadagnare terreno, finché alla fine la superiorità fu evidentemente in loro favore. Questa vittoria fu dovuta principalmente all’influenza di Origene, il quale, essendo stato istruito precocemente nel nuovo tipo di platonismo già menzionato, lo mescolò, anche se infelicemente, con i principi più puri e sublimi della dottrina celeste, e lo raccomandò nel modo più caloroso ai giovani che frequentavano le sue lezioni pubbliche. La fama di questo filosofo aumentava di giorno in giorno tra i cristiani; e in proporzione al suo crescente credito, il suo metodo di proporre e spiegare le dottrine del Cristianesimo guadagnò autorità, fino a diventare quasi universale” (Mosheim).

La posizione di Origene a quell’epoca può essere valutata dal fatto che ancora oggi è uno dei principali Padri della Chiesa; e dal fatto che “dai giorni di Origene a quelli di Crisostomo [220-400], non c’è stato un solo eminente commentatore che non abbia preso in prestito, in larga misura, le opere di Origene” e “fu il principale maestro anche dei più ortodossi tra i Padri occidentali”. “Innumerevoli espositori in questo secolo e in quello successivo hanno perseguito il metodo di Origene, anche se con qualche differenza; e i pochi che perseguivano un metodo migliore non riuscirono a fare molto contro di loro”.

Ma “questa nuova specie di filosofia, imprudentemente adottata da Origene e da altri cristiani, ha arrecato un danno immenso al cristianesimo. Perché ha indotto i suoi maestri ad avvolgere nell’oscurità filosofica molte parti della nostra religione, che erano di per sé semplici e facili da capire, e ad aggiungere ai precetti del Salvatore non poche cose di cui non si trova nemmeno una parola nelle Sacre Scritture… Raccomandava ai cristiani vari riti insensati e inutili, adatti solo ad alimentare la superstizione, di cui una grande parte è religiosamente osservata da molti ancora oggi. E, infine, allontanò le menti di molti nei secoli successivi dal cristianesimo stesso producendo una specie eterogenea di religione, composta da principi cristiani e platonici combinati. E chi è in grado di enumerare tutti i mali e i cambiamenti dannosi che sono scaturiti da questa nuova filosofia o, se preferite, da questo tentativo di riconciliare RELIGIONI VERE E FALSE tra loro?” (Mosheim).

Il risultato di tutto questo è espresso in una sola parola: “il Papato”, come è stato e come è ora. Poi si verificò un fatto curioso, ma perfettamente logico: per essere “scientifica”, l’apostasia adottò quella scienza pagana che falsamente veniva chiamata “scienza”. Poi, dopo aver riempito il mondo di questa ignoranza pagana spacciata per conoscenza cristiana, quando si volle cercare e riconoscere la vera scienza nella semplice lettura della natura, essa la anatemizzò, la proibì e la perseguitò.

Questa tendenza filosofica, come già detto, trovò la sua origine in Platone. Ma se si tiene conto che Platone fu solo il cronista e il continuatore di Socrate, che fu il grande educatore greco, la cui base del sistema educativo era lo “scetticismo profondo e coerente”, si vede chiaramente che questo sistema di nuovo platonismo, che ha formato il Papato, non era altro che il sistema di educazione greca fatto passare sotto il nome cristiano e spacciato per conoscenza cristiana, mentre era solo ignoranza pagana.

E questo è “il modo” in cui “dobbiamo spiegare la suprema elevazione di quest’uomo [Platone] nella storia intellettuale della nostra razza”. Questo è “il modo in cui accade che gli scritti di Platone hanno influenzato ogni scuola di apprendimento, ogni amante del pensiero, ogni chiesa, ogni poeta, rendendo impossibile pensare, a certi livelli, se non attraverso di lui”. È così che “si frappone tra la verità e la mente di ogni uomo e ha quasi impresso il linguaggio e le forme primarie del pensiero con il suo nome e il suo sigillo” (“Uomini rappresentativi”, di Ralph Waldo Emerson, pagina 46).

Ed è anche così che “nella storia del pensiero e della conoscenza europea, fino al periodo della rinascita delle lettere, il nome di Aristotele non ha avuto rivali, è stato supremo… Si arrivò persino al punto che, per un lungo periodo, tutti gli scritti profani tranne quelli di Aristotele erano caduti in disuso in Europa… Tutti cercavano in Aristotele la base della conoscenza. Università e ginnasi furono fondati su Aristotele” (Enciclopedia Britannica, articolo “Aristotele”).

E questo, a sua volta, è il motivo per cui quando il cristianesimo è stato risvegliato nei tempi moderni, nella grande Riforma, quando Lutero ha cominciato a predicare il cristianesimo e a introdurre di nuovo l’educazione cristiana nel mondo, egli fu costretto ad affrontare, a rinunciare e a denunciare Aristotele e gli altri maestri di “una filosofia ingannevole”, come segue:

“Non attaccarti ad Aristotele o ad altri maestri di una filosofia ingannevole, ma leggi diligentemente la Parola di Dio… Chi afferma che un teologo che non è un logico sia un eretico e uno straniero, perché sostiene una filosofia straniera ed eretica… Non esiste alcuna forma di sillogismo che sia in accordo con le cose di Dio… In una parola, Aristotele sta alla teologia come le tenebre alla luce… Aristotele, quel cieco pagano, ha soppiantato Cristo”.

E ancora, a proposito dell’istruzione nel suo complesso: “Temo grandemente che le università diventino delle porte largamente aperte per l’inferno, se non si avrà cura di spiegare le Sacre Scritture e di inciderle nel cuore degli studenti. Il mio consiglio è di non mettere i propri figli in un luogo dove la Scrittura non regna sovrana. Ogni istituto in cui gli studi portino a prendere alla leggera la Parola di Dio si rivelerà corrotto”.

Ed è stata la doppia collocazione dell’ignoranza mondana, della filosofia e della logica greca – Platone e Aristotele – al di sopra della conoscenza divina della Parola di Dio, proprio all’inizio di questa rinascita del cristianesimo nei tempi moderni, che portò Wycliffe a dichiarare che “non esiste alcuna finezza nella grammatica, né nella logica, né in nessun’altra scienza che si possa nominare, che non si ritrovi nelle Scritture, in un grado molto più eccellente”.

Questa fu la chiave di lettura della Riforma. E anche se per il cristiano sincero tutto era così chiaro e veritiero, tuttavia dopo la morte di Lutero, quando è iniziata a rientrare l’apostasia nel protestantesimo, in meno di cento anni, Aristotele fu di nuovo al primo posto nelle sedi di studio e questo sistema greco di educazione fu continuato, tanto che oggi regna sovrano nelle scuole della Chiesa e dello Stato, anche nelle terre cristiane e protestanti.

CAPITOLO 5 – METODO GRECO MODERNO O “METODO SCIENTIFICO”

È certo che il cristianesimo, nell’antichità e nella sua rinascita in epoca moderna, ha trovato, sostenuto e proclamato che la Bibbia, le Sacre Scritture, la Parola di Dio, sia l’unica base, vera e sufficiente, per un’educazione completa dei cristiani. La trascuratezza di questo principio nei primi tempi del cristianesimo ha portato allo sviluppo del Papato; e la trascuratezza di questo principio in questi ultimi tempi del cristianesimo sta sviluppando, attraverso il Protestantesimo, una ripetizione dell’esperienza papale.

Per il protestantesimo di oggi, la Bibbia non è affatto considerata come un libro educativo. La scienza del mondo non credente, la filosofia e la letteratura dell’antica Grecia e di Roma, hanno un posto molto più importante della Bibbia in ciò che i protestanti riconoscono come educazione. Il corso più importante nei college o nelle università è quello classico; e il nome di “classico” deriva dal fatto che la letteratura greca e romana sono l’elemento predominante di quel corso. Questa affermazione si dimostra vera anche per coloro che stanno studiando per diventare ministri del Vangelo di Cristo. Ma, in che modo lo studio – per anni – di una letteratura principalmente pagana possa essere una preparazione per la predicazione del Vangelo, che dovrebbe essere interamente cristiana, nessuno ha cercato di spiegarlo.

Non solo la scienza mondana e la letteratura pagana sono più corteggiate dal protestantesimo più di quanto non lo sia la Bibbia, ma la stessa teoria dell’educazione di Socrate e continuata da Platone e Aristotele – “il dubbio”, “uno scetticismo profondo e consistente” – è oggi sostenuta nell’educazione impartita nelle scuole, nei college, nelle università e persino nei seminari di teologia protestante. Per esempio, l’Outlook del 21 aprile 1900, nel descrivere e sollecitare “una riforma educativa necessaria”, afferma che “i processi educativi del nostro tempo, forse di tutti i tempi, sono in gran parte analitici e critici. Consistono principalmente nell’analizzare gli argomenti presentati allo studente per il suo esame, separandoli nelle loro parti costitutive, considerando come sono state messe insieme, e giudicando il prodotto finito o il processo di lavorazione… Il processo presuppone uno stato d’animo indagatore, se non scettico. Il dubbio è il pedagogo che conduce l’allievo alla conoscenza”.

Nella North American Review dell’aprile 1900 è stato pubblicato un articolo intitolato “Il metodo scientifico in teologia”, scritto da un professore di filosofia dell’Union College di Schenectady (NY); che ha studiato ad Amherst e a Yale; ha trascorso due anni di studi filosofici in Germania e dal 1883 al 1885 è stato istruttore di filosofia alla Wesleyan University. Quindi, ogni parte dell’articolo è una garanzia di autorevolezza per quanto riguarda il metodo scientifico in teologia, e in quell’articolo si dice: “Ogni uomo, in quanto uomo, ha il potere di formulare giudizi, ed è posto in questo mondo per sviluppare e applicare tali poteri a tutti gli oggetti con cui viene in contatto. Ogni ambito dell’indagine dovrebbe iniziare dal DUBBIO, e lo studente che ha acquisito l’arte di dubitare in modo corretto farà i progressi più rapidamente… Chiediamo che ogni studente di teologia tratti l’argomento così come farebbe con qualsiasi altra scienza: iniziando dal DUBBIO”.

Non si può negare che questa sia semplicemente la reiterazione in tempi moderni della teoria socratica dell’educazione. E questo, non solo all’università e al college, ma anche al seminario teologico, dove si pretende che i giovani siano formati nella “scienza che si occupa di accertare, classificare e sistematizzare tutta la verità raggiungibile riguardo a Dio e alla sua relazione con l’universo; la scienza della religione; la verità religiosa studiata scientificamente”. Questo non solo nei college e nelle università dove gli uomini devono essere preparati per gli affari quotidiani del mondo, ma anche nelle scuole dichiarate cristiane dove gli uomini devono essere preparati soprattutto per la professione cristiana e per essere educatori del cristianesimo.

In ogni ambito di indagine allo studente viene insegnato, e ci si aspetta, che egli “inizi con il dubbio” nello studio della scienza che parla della “verità su Dio”. E questo quando la verità di Dio stesso, data nella Sua Parola, è che: “senza fede è impossibile piacergli” {Ebrei 11: 6} e “or tutto ciò che non viene da fede è peccato” {Romani 14: 23}; e visto che nei seminari teologici di chi si professa cristiano, ci si aspetta che lo studente, “in ogni ambito di indagine”, “cominci col dubbio” è certo che in quel sistema educativo a ogni studente venga insegnato sistematicamente a cominciare dal modo in cui è impossibile piacere a Dio, che è solamente la via del peccato. E questo come preparazione al ministero del Vangelo!

Questa autorevole dichiarazione del “metodo scientifico” nella teologia mostra che anche nelle scuole protestanti di oggi, nelle quali si insegna in particolare la scienza della conoscenza di Dio, il procedimento è direttamente opposto a quello che viene espresso nella Parola del Signore stesso. Dio ha detto che “chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e [deve credere] che egli è il rimuneratore di quelli che lo cercano” {Ebrei 11: 6}. Il “metodo scientifico” dell’educazione di oggi, anche nelle scuole protestanti che insegnano la scienza di Dio, è inevitabilmente che colui che si avvicina a Dio deve dubitare che Egli sia, e deve dubitare che Egli ricompensi coloro che lo cercano.

Il risultato di un tale processo non può essere altro che un uomo – un individuo per sé stesso, oppure, in ultima analisi, un rappresentante di tutti – che si pone al di sopra di Dio e lì, seduto come giudice, vi sottometta la sapienza e la conoscenza di Dio ai dettami della ragione umana.

Non si tratta nemmeno di una semplice deduzione dalla citazione già fatta, anche se è chiaramente deducibile da quella citazione. In realtà, in questo articolo è proprio affermato nelle frasi immediatamente successive a quelle già citate: “Chiediamo che ogni studente di teologia affronti l’argomento così come farebbe con qualsiasi altra scienza: che cominci col dubbio e soppesi attentamente gli argomenti di ogni dottrina, accettando o rifiutando ogni asserzione in base alla bilancia delle probabilità a favore o contro di essa. Esigiamo che egli esamini accuratamente, “provando ogni cosa”, imparando così a “ritenere il bene”. Crediamo che anche gli insegnamenti di Gesù debbano essere visti da questo punto di vista, e che debbano essere accettati o rifiutati sulla base della loro intrinseca ragionevolezza”.

Quindi, essendo la ragione posta al di sopra di Gesù Cristo – che è Dio manifesto – per analizzare, criticare, giudicare i Suoi insegnamenti, per accettarli o rifiutarli, a seconda di come la ragione dubbiosa dell’individuo deciderà, questo è chiaramente porre la ragione al di sopra di Dio: il che, a sua volta, significa mettere la ragione stessa al posto di Dio in quanto Dio.

Seguite un po’ questo processo nel suo funzionamento diretto e vedrete come, oggi, esso si collochi completamente proprio dove l’Ispirazione dichiara che si debba trovare nel suo corso originale e nel suo massimo splendore: “Il grande elemento distintivo di tutta l’induzione è la formazione dell’ipotesi e non può esistere una scienza induttiva, di qualsiasi tipo, in cui questo non sia l’elemento principale”. Che cosa si intende allora per ipotesi? E qual è il processo che la mente intraprende per portarla alla luce? Un’ipotesi è una supposizione, un indovinello o una congettura sulla quale sia l’effetto generale, che include gli effetti particolari dati, sia la causa che ha portato a quegli effetti. Si potrebbe dire molto sulle condizioni più favorevoli per la formulazione di una buona ipotesi; ma la principale, quella che ci interessa dipiù per il nostro scopo attuale è il fatto che ogni ipotesi, comunque formata, è sempre il prodotto dell’immaginazione costruttiva. Tutti gli atti precedenti servono semplicemente a raccogliere il materiale che l’immaginazione deve riordinare e ricombinare in una nuova creazione… “È per questo motivo che gli uomini di scienza, in tutti i regni e in tutte le epoche, sono sempre stati uomini dalla potente immaginazione. I Greci sono stati i primi grandi scienziati della razza umana perché erano dotati, molto più di ogni altro popolo, di grandi capacità immaginative. Ciò che vedevano eccitava questi poteri e li spingeva a fare congetture, a ragionare sulle cose e a cercare di spiegarne la natura e le cause”.

Non c’è spazio per chiedersi se il processo di oggi approdi o meno nello stesso processo che aveva portato l’antica Grecia; perché è proprio lì che arriva. E come potrebbe questo processo essere descritto in modo più appropriato di quanto non lo sia già nelle Scritture, che contengono la descrizione diretta di proprio questo processo dell’antichità: “Poiché, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno però glorificato né l’hanno ringraziato come Dio, anzi sono divenuti insensati nei loro ragionamenti e il loro cuore senza intendimento si è ottenebrato. Dichiarandosi di essere savi, sono diventati stolti, e hanno mutato la gloria dell’incorruttibile Dio in un’immagine simile a quella di un uomo corruttibile, di uccelli, di bestie quadrupedi e di rettili” {Romani 1: 21-23}.

E come può sfuggire il resto della descrizione fornita in {Romani 1: 24-32}, che chiaramente appare nel processo formativo di oggi? Perché anche nell’ultima citazione sopra riportata si ammette che il metodo scientifico in teologia di oggi è identico a quello di un tempo di cui i greci, “i primi grandi scienziati della razza”, ne erano gli esemplari; e questo “perché erano molto più dotati di qualsiasi altro popolo di grandi capacità immaginative”. E l’esercizio di questi “grandi poteri immaginativi”, proprio nel modo sopra delineato li condusse nella condizione descritta nei restanti versetti del primo capitolo della lettera ai Romani.

E tuttavia questo processo, per mezzo di questa “immaginazione costruttiva”, contempla “una nuova creazione”! E chi sarà il creatore in questa nuova creazione? Nessun altro se non l’individuo umano stesso, che con le sue intuizioni raccoglie “materiale che l’immaginazione riorganizzerà e ricombinerà in una nuova creazione”. Questo, dunque, fa dell’uomo un creatore al posto del Creatore.

Seguiamo ancora di più il processo scientifico in teologia e vediamo qual è il terreno su cui approdano i suoi seguaci, per quanto riguarda la conoscenza: “Data l’ipotesi, il passo successivo nel processo scientifico è la sua verifica: e questo si realizza facendo delle ipotesi, la premessa principale di un sillogismo deduttivo, e annotandone i risultati. Se le conclusioni coincidono con i fatti ottenuti, da cui siamo partiti, l’ipotesi è probabilmente quella corretta; e a parità di altre condizioni può essere accettata come verità consolidata”. Da questo schema del metodo scientifico vediamo che nessuna induzione può essere stabilita al di là di un alto grado di probabilità; vale a dire che nessuno può mai essere assolutamente certo che l’ipotesi che assume sia effettivamente vera. Tutte le generalizzazioni, in ogni scienza, hanno la loro base logica nella teoria delle probabilità.

Quando il vescovo Butler affermava che “la probabilità è la vera guida della vita”, avrebbe potuto aggiungere “e non ne abbiamo altre…”. “I grandi pensatori, da Talete, Platone e Mosè, hanno avuto le loro teologie, le loro spiegazioni, sull’origine dell’universo, così come la intendevano loro, e molte di queste spiegazioni sono state di straordinario valore; ma nemmeno San Paolo stesso non avrebbe mai potuto essere certo che la sua spiegazione fosse più di una probabilmente vera”.

Come si può affermare, più chiaramente di quanto non sia stato detto, l’impossibilità di raggiungere la conoscenza attraverso questo metodo? Il risultato di questo metodo, come qui autorevolmente affermato, è esattamente descritto nella Scrittura a proposito del nostro tempo quando parla di coloro che “imparano sempre, ma senza mai pervenire alla conoscenza della verità” {2 Timoteo 3: 7}.

È come se questo scrittore affermasse con assoluta certezza che solo la probabilità sia l’unico terreno di conoscenza che può essere raggiunto con questo processo, ma egli si spinge davvero al limite e dichiara: “Che sia mai esistita sulla terra una persona come Gesù, e cosa abbia vissuto, è solo una questione di prove storiche. E poiché tutto ciò che è una questione di prove è una questione di probabilità, anche questa deve esserlo”.

E dove va a finire questo processo? Qual è il suo fine ultimo? “In un certo senso la mente compie un salto nel buio: passa letteralmente per un “saltum” [un salto] dal regno del conosciuto al regno dell’ignoto”. Ed è proprio lì che questo processo è approdato e questo era il suo fine, nell’antichità, quando ad Atene, fonte di questa teoria dell’educazione, fu eretto quel monumento dell’educazione, il monumento della loro ignoranza, con l’iscrizione: “AL DIO SCONOSCIUTO”.

Ma questo non è il processo cristiano, né è lo scopo del processo cristiano. Nel processo cristiano la fede, che è un dono di Dio, accetta la verità di Dio; e così, nella mente e nel cuore si realizza “una nuova creazione”. Il Creatore di questa nuova creazione è Dio stesso manifestato attraverso Gesù Cristo nostro Signore per mezzo dello Spirito Santo. E in questo, nel senso più vero del termine, la mente fa un salto non “nel buio” ma nella luce. Passa veramente, “letteralmente, per un saltum” non “dal regno del conosciuto al regno dell’ignoto” ma dal regno dell’ignoto, il regno dell’ignoranza, al regno del conosciuto, il regno della conoscenza certa, anche della conoscenza di Dio. Perché noi “sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intendimento, affinché conosciamo colui che è il Vero; e noi siamo nel Vero, nel suo Figlio Gesù Cristo” {1 Giovanni 5: 20}.

Ciò non dimostra, dunque, che il mondo in questo tempo e attraverso questo metodo abbia quasi raggiunto il punto che nei tempi antichi aveva toccato quando il mondo per sapienza non conosceva Dio e si era allontanato dalla vita di Dio a causa della sua ignoranza? E non siamo forse anche noi nel tempo in cui, per quanto riguarda la sapienza di Dio, essa verrà definita “la follia della predicazione”, cioè la predicazione del vangelo semplice, chiaro e potente di Gesù Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio per “salvare coloro che credono”?

Non è vero che “non abbiamo altra guida della vita” che “la teoria delle probabilità”. Abbiamo come guida della vita la certezza della verità, nella Parola di Dio come rivelata in Gesù Cristo, essendo Lui stesso “la verità” {Giovanni 14: 6}, attraverso lo Spirito di Dio che è proprio lo “Spirito di verità” {Giovanni 15: 26}.

Non è vero che “nemmeno San Paolo stesso avrebbe potuto essere certo che la sua spiegazione fosse più che probabilmente vera”. Perché la spiegazione di Paolo era semplicemente la predicazione della verità di Dio, derivata da Dio. E non solo Paolo, ma ogni altro cristiano può essere certo che la Parola di Dio che riceve è certezza in sé. E questa certezza della conoscenza della verità egli la trovò non con la ragione guidata dal dubbio, ma per rivelazione dalla fede.

Che sia mai esistita e abbia vissuto sulla terra una persona come Gesù è molto più di semplici “prove storiche”. E non è vero che “deve essere” solo una questione di probabilità. Ogni cristiano sa che Cristo è vissuto in questo mondo, che è stato crocifisso, che è morto e risorto e che vive oggi. Ogni cristiano sa, infatti, per vera conoscenza della rivelazione e dell’esperienza, che Gesù conosce ogni aspetto della sua vita nella carne. Ogni cristiano sa che Gesù è stato crocifisso, perché egli stesso è stato crocifisso con Lui. Ogni cristiano sa che Gesù è morto, perché egli stesso è morto con Lui. Ogni cristiano sa che Gesù è risorto dai morti, perché egli stesso è risorto con Lui. E ogni cristiano sa che Gesù, essendo risorto dai morti, vive oggi, perché egli stesso vive con Lui. Questa non è assolutamente un’ipotesi, un indovinello o una congettura. È una questione di verità genuina, nella certezza della conoscenza. Eppure, queste semplici cose che ogni cristiano conosce e che non sono altro che l’ABC del cristianesimo, dimostrano che il vero cristianesimo, e anche il mondo che si dichiara cristiano, ancora una volta, sono completamente agli antipodi dal metodo educativo del mondo. E queste affermazioni sui metodi di educazione odierni, metodi riconosciuti anche dalle chiese Protestanti, dimostrano che il dubbio – che dovrebbe essere “il pedagogo che porta alla conoscenza”, sulla base dell’autorità dei suoi stessi maestri – è ciò che realmente è, il vero ostacolo da loro scelto per ostruire la strada verso la conoscenza.

L’Outlook lo ha presentato come un “problema educativo” che “ha bisogno di essere affrontato dai nostri educatori”, “il problema di come la religione possa essere preservata e promossa mentre si acquisisce l’istruzione”. Questo è estremamente vero. Ma questo problema non potrà mai essere risolto da nessun metodo educativo che contenga in qualche misura il dubbio; perché il dubbio mina semplicemente tutta la vera religione. La fede, la fede è il grande ingrediente della vera religione. È solo attraverso un’educazione in cui la fede è l’inizio, il processo e la fine, che si potrà mai risolvere “il problema di come la religione possa essere preservata e promossa mentre si acquisisce l’istruzione”.

E ciò accadrà, perché questa è l’educazione cristiana. Sicuramente oggi c’è bisogno, un estremo bisogno, di una riforma dell’educazione. E poiché il processo educativo di oggi è un processo in cui il dubbio è l’inizio, il processo e la fine, è certo che l’unica vera riforma educativa di oggi è quella in cui la fede sia l’inizio, il processo e la fine: è quella fede, la fede di Gesù Cristo, la fede che permette a chi la esercita di comprendere, capire e conoscere la verità e solo la verità: la verità come è in Gesù.

In questo non è implicito che i Greci fossero assolutamente ignoranti in tutto. C’erano molte cose che avevano imparato da bambini. C’erano molti concetti preziosi che hanno conosciuto osservando e sperimentando. Ma in ciò che riguarda la loro filosofia e scienza, ciò che per loro era preminentemente sapienza e conoscenza, in questo erano assolutamente ignoranti. E ciò che per loro era preminentemente saggezza e conoscenza, in verità era pura e confusa ignoranza; questo metteva la sua impronta su tutto il resto, dipingendolo di ignoranza. Ciò che era palesemente vero e facilmente comprensibile come che A è A, non ebbe il permesso di rimanere tale e quale, ma doveva essere prima messo in dubbio e poi, attraverso un processo di ipotesi, premessa e conclusione, e nuovamente una premessa e una nuova conclusione, doveva essere ragionato fino alla conclusione, e quindi “dimostrato”. E così quella che era una semplice verità facilmente conoscibile se solo si fosse creduta, è stata oscurata e completamente viziata dal loro dubbio e dal ragionamento scettico. Così la verità, la fede e la conoscenza furono annientate e al loro posto subentrarono la falsità, il dubbio e l’ignoranza. “Essi […] hanno cambiato la verità di Dio in menzogna […] E siccome non ritennero opportuno conoscere Dio, Dio li ha abbandonati ad una mente perversa, da far cose sconvenienti, essendo ripieni d’ogni ingiustizia” {Romani 1: 25-29}.

È opportuno chiedersi: direttamente e in ultima analisi, che cosa ha fatto l’educazione greca per i greci? Non si può negare che, da punto di vista mentale, l’educazione greca abbia portato i greci al punto più alto che sia mai stato raggiunto in questo mondo nell’ambito dell’educazione meramente umana. La lingua greca fu sviluppata dalla mente greca fino al punto in cui eccelleva su tutte le altre lingue umane per la sua capacità e la facilità di esprimere le più sottili distinzioni di pensiero. È stato detto che essa “traccia con facilità distinzioni così sottili da essere perse in ogni altra lingua. Disegna delle linee laddove tutti gli altri strumenti della ragione fanno solo macchie”.

Nell’arte, sia nella scultura che nell’architettura, l’educazione greca ha sviluppato uno standard che non è mai stato eguagliato nel mondo. Inoltre, nella cultura fisica, nello sviluppo della forma umana, l’educazione greca ha raggiunto il punto più alto che sia mai stato toccato da qualsiasi nazione. È questo ciò che l’educazione greca ha innegabilmente fatto per i greci. Ma cosa ha fatto per loro moralmente? Le conquiste mentali che svilupparono il più completo dei linguaggi umani, la più ampia abilità di tutte le lingue umane, l’abilità più completa nell’arte e la totale simmetria della forma umana, cosa hanno sviluppato queste conquiste in termini di carattere?

Tutti sanno che i risultati a questo proposito non potrebbero essere riportati in questo libro senza metterlo a rischio di sequestro da parte della polizia e rendere l’autore perseguibile per divulgazione di letteratura oscena.

È impossibile anche solo passeggiare tra le rovine dell’arte greca senza sentirsi costantemente offesi dalla perpetua rappresentazione e perfino dalla divinizzazione dell’ubriachezza e della lussuria, in produzioni altrimenti meravigliose. Nella poesia, la forma più elevata di quella meravigliosa lingua, accade lo stesso. I poeti greci svilupparono una mitologia in cui gli dèi erano raffigurati come perennemente compiaciuti nelle più basse passioni umane e in cui ogni idea di divinità era svilita al livello più degradato dell’umanità.

E che cosa fece questa educazione – la letteratura, l’arte, la cultura fisica, tutto ciò che produsse – quando fu adottata dal popolo romano? Sprofondata nell’iniquità, com’era prima che si espandesse in Grecia, Roma scese ancora più in basso sotto l’influsso derivato dalla Grecia. {Romani 1: 21-32} è una descrizione di entrambe. E il mondo ne conosce i risultati finali: Grecia e Roma sono scomparse così completamente che non ne rimase più alcuna parte. Il popolo della Grecia oggi non è greco; la nazione greca oggi non è greca. Il popolo di Roma è romano. Il mondo sa che la Grecia e Roma sono state annientate dall’invasione dei barbari provenienti dalle foreste selvagge della Germania. E quando questo diluvio di barbarie travolse Grecia e Roma occidentale, i vizi della vita che ostentava il ceto più alto erano tali da far arrossire le guance di ferro dei Germani. Uno scrittore dell’epoca dichiarò: “Siamo peggio dei barbari e dei pagani. Se il sassone è selvaggio, il franco infedele, il goto disumano, l’alano ubriaco, l’unno licenzioso, lo sono a causa della loro ignoranza, di gran lunga meno punibili rispetto a noi che, conoscendo i comandamenti di Dio, commettiamo tutti questi crimini. Voi, romani, cristiani e cattolici, state frodando i vostri fratelli, state frustando il viso dei poveri, state sprecando la vostra vita per gli spettacoli impuri e pagani nell’anfiteatro, sguazzando nella licenziosità e nell’ebbrezza. I barbari, invece, per quanto pagani o eretici, per quanto feroci nei nostri confronti, sono giusti ed equi nei loro rapporti reciproci. Gli uomini dello stesso clan e della stessa famiglia si amano con vero affetto. In molte delle loro tribù non vi è ubriachezza e tra tutti, tranne gli Alani e gli Unni, la castità è la regola”.

Questo è il risultato finale dell’educazione greca sia per la Grecia, che l’ha partorita, sia per Roma, tanto pagana quanto “cristiana”, che l’ha adottata; e questo risultato è la sola conseguenza dell’immoralità fondamentale di quella educazione; dimostrando al mondo la vanità e l’impotenza di tutto ciò che pretende di essere educazione, dove la formazione del carattere non è l’obiettivo supremo.

Se l’annientamento è il risultato dell’educazione greca, sia per i greci che per i romani, quale sarà il risultato di una società o di una nazione che adotta nell’educazione il metodo greco e che nel suo corso più elevato onora l’educazione e la letteratura greca e romana?

CAPITOLO 6 – LA SEPARAZIONE TRA CRISTIANESIMO E STATO

La teoria greca dell’educazione adottata dalla Chiesa apostata portò all’unione di Chiesa e Stato e alla completa rovina dello Stato. Il principio del cristianesimo è la totale separazione tra religione e Stato. Il cristianesimo riconosce il diritto dello Stato di esistere a prescindere dalla Chiesa e richiede che la Chiesa debba esistere a prescindere dallo Stato. La Chiesa e lo Stato occupano due ambiti distinti. Il campo della Chiesa è quello della morale; il campo dello Stato è quello dell’educazione civica. Il campo della Chiesa riguarda la vita interiore dell’uomo e il mondo a venire; il campo dello Stato è la vita esteriore dell’uomo e il mondo attuale. Lo Stato, giustamente costituito, e rimanendo all’interno del proprio ambito, non può mai
interferire con gli affari della Chiesa; e di fatto, nessuno Stato ha mai interferito con gli affari della Chiesa, se non quando è uscito dal proprio campo, assumendo per sé l’abito della religione. La Chiesa, rimanendo nel suo ambito, non può mai interferire in alcun modo con gli interessi dello Stato e, di fatto, la Chiesa non lo ha mai fatto, se non quando ha lasciato il suo campo, è salita sul trono del potere civile e ha presunto di brandire la spada dello Stato.

Lo Stato, all’interno del suo campo e per se stesso, ha il diritto di stabilire un sistema educativo che, nella natura delle cose, deve appartenere solo a questo mondo. La Chiesa, nel suo ambito, deve mantenere l’educazione cristiana. Lo Stato, nello stabilire e condurre il sistema educativo che gli sembra migliore, non può pretendere che la Chiesa abbandoni il cristianesimo. La
Chiesa, nel suo ambito, nel mantenere l’educazione cristiana, non può chiedere che lo Stato abbandoni il sistema educativo che ha adottato e non deve inimicarsi lo Stato nel suo sistema educativo scelto, così come non deve inimicarsi lo Stato in qualsiasi altro affare o atto dello Stato all’interno del proprio ambito.

Il governo degli Stati Uniti è l’unico al mondo a essere stato fondato sul principio annunciato da Gesù Cristo riguardo al governo civile: la totale separazione tra religione e Stato. “Nessuno ha pensato di rivendicare la religione per la coscienza dell’individuo finché una voce in Giudea, che ha dato inizio alla più grande epoca nella vita dell’umanità istituendo una religione pura, spirituale e universale per tutta l’umanità, ha ingiunto di rendere a Cesare solo
ciò che è di Cesare. La regola fu mantenuta durante l’infanzia del Vangelo per tutti gli uomini. Non appena questa religione fu adottata dal capo dell’Impero romano, fu spogliata del suo carattere di universalità e avvinta da un profano legame con lo Stato secolare. E così continuò fino a quando la nuova nazione – la meno contaminata dalle sterili beffe del diciottesimo secolo, la più fedele credente nel cristianesimo di tutti i popoli di quell’epoca, l’erede principale della Riforma nelle sue forme più pure – quando si trattò di istituire un governo per gli Stati Uniti, si rifiutò di trattare la fede come una materia da regolare da un organismo societario, o che avesse un capo in un monarca o in uno stato” (george bancroft).

Gli uomini che hanno creato gli Stati Uniti hanno dichiarato chiaramente che in materia di
principio fondamentale della separazione tra religione e Stato agiscono “in base ai principi sui quali il Vangelo è stato propagato per la prima volta e sulla riforma dall’influenza del papato”. Hanno dichiarato: “Riteniamo che sia una verità fondamentale e innegabile, che la religione, o il dovere che abbiamo verso il nostro Creatore, e il modo di adempierlo, può essere dettato solo dalla ragione e dalla convinzione, non dalla forza o dalla violenza”. La religione, quindi, di ogni uomo deve essere lasciata alla convinzione e alla coscienza di ogni uomo, ed è diritto di ognuno esercitarla come queste lo impongono. Questo diritto è, per sua natura, un diritto inalienabile: lo è perché l’opinione degli uomini dipende solo dall’evidenza contemplata nelle loro menti, non può seguire i dettami di altri uomini. È inalienabile anche perché ciò che è un diritto verso gli uomini è un dovere verso il Creatore.

“È dovere di ogni uomo rendere al Creatore tale omaggio, e solo quello, che ritiene accettabile per Lui. Questo dovere ha precedenza, sia in ordine di tempo sia per il livello di obbligatorietà, rispetto alle richieste della società civile. Prima che un uomo possa essere considerato membro della società civile deve essere considerato un suddito del Governatore dell’universo; e se un membro di una società civile che entra in una qualsiasi associazione subordinata deve sempre farlo con una riserva del suo dovere verso l’autorità generale, molto più ogni uomo che entra a far parte di una società civile particolare deve farlo con una riserva di fedeltà al Sovrano dell’universo. Sosteniamo, quindi, che in materia di religione nessun diritto dell’uomo è limitato dall’istituzione della società civile; e che la religione è completamente esente dalla sua cognizione”.

Nel corso della sua esistenza, gli Stati Uniti hanno sviluppato e stabilito un sistema di istruzione. Il principio su cui si fonda questo sistema di istruzione è riconosciuto in quanto, a questo proposito, il principio su cui è stata fondata la nazione: la separazione tra religione e Stato. Pertanto, la religione non deve essere insegnata nelle scuole statali. Questo principio, anche se violato in alcuni casi, è stato generalmente rispettato da parte dello Stato. ma la chiesa non ha aderito a questo principio, anzi, non lo ha riconosciuto affatto. In genere ha acconsentito all’adesione dello Stato al principio, rifiutando di incorporare la religione o il metodo religioso nel suo sistema educativo; ma non ha affatto aderito al principio che la Chiesa non deve adottare il metodo secolare nell’educazione. Ma questa storia è così bene raccontata dal governo degli Stati Uniti che non è necessario andare oltre nel definirla.

Nella Relazione annuale del Commissario degli Stati Uniti per l’Educazione per l’anno scolastico 1896-1897, il Governo degli Stati Uniti ha perfettamente chiarito la distinzione tra il metodo secolare e il metodo religioso nell’educazione: una distinzione rigorosamente in accordo con i principi del cristianesimo e con i principi fondamentali su cui è stato basato il governo degli Stati Uniti. In primo luogo, per quanto riguarda la scuola laica: “La scuola secolare dà un’istruzione positiva. Insegna matematica, scienze naturali, storia e lingua. La conoscenza dei fatti può essere precisa e accurata e si può arrivare a una conoscenza analoga dei principi. L’attività individuale dell’allievo è prima di tutto richiesta dall’insegnante della scuola secolare. L’allievo non deve prendere le cose per autorità, ma, con la propria attività deve testare e verificare ciò che gli viene detto. Deve scoprire le dimostrazioni matematiche e capirne la necessità. Deve imparare il metodo di investigare i fatti nell’ambito speciale della scienza e della storia. Lo spirito della scuola secolare, quindi, si rivela illuminante, anche se non di prim’ordine. Ma la sua illuminazione tende a rendere la fiducia nell’autorità sempre più difficile per la giovane mente”. Poi, per quanto riguarda l’educazione religiosa: “L’educazione religiosa, ovviamente, per dare i più alti risultati di pensiero e di vita ai giovani deve attenersi alla forma dell’autorità e non cercare di prendere in prestito dalla scuola secolare i metodi della matematica, della scienza e della storia. Tale prestito avrà come unico risultato quello di dare ai giovani una fiducia smodata nella risolutezza dei loro giudizi immaturi. Diventeranno presuntuosi e superficiali. È bene che il bambino si fidi del proprio intelletto nel trattare la tavola delle moltiplicazioni e la regola del tre. È bene che impari le regole e tutte le eccezioni della sintassi latina e le verifichi negli autori classici; ma non gli deve essere permesso di evocare davanti a sé i dogmi della religione e di trarre conclusioni affrettate sulla loro razionalità”.

Tutto questo è un ottimo motivo per spiegare perché e come la religione non può essere insegnata nelle scuole pubbliche e perché l’educazione religiosa non può essere adottata dallo Stato. Ed è una ragione altrettanto eccellente per cui la Chiesa, nella sua educazione – “educazione religiosa” – non può nemmeno prendere in prestito e, tanto meno adottare, i metodi della scuola laica.

(a) “L’attività individuale dell’allievo è prima di tutto richiesta dall’insegnante della scuola secolare”. Ma nel cristianesimo, invece dell’attività individuale del bambino o dell’uomo, sono l’abbandono e la rinuncia a se stessi a essere richiesti prima di ogni altra cosa. “Chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo” {Luca 14: 27}. “Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù, il quale essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l’essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso” {Filippesi 2: 5-7}.

(b) Nella scuola secolare, “l’allievo non deve prendere le cose per autorità”. Ma nel cristianesimo, nell’educazione religiosa, sia l’allievo sia l’insegnante “devono aggrapparsi alla forma dell’autorità”. Questo perché Dio è l’autore del senso religioso nell’uomo e nel cristianesimo l’unico vero complemento del senso religioso; e la Parola di Dio è l’autorità del cristianesimo. E Dio è supremo in tutto. Quando ha parlato, la questione è chiusa. Questa è l’autorità, il massimo dell’autorità: non solo perché è la Parola di Dio, ma perché è la verità essenziale. E la verità essenziale è la più alta autorità possibile e deve essere accettata come tale. Gesù Cristo, che è la Verità, “ammaestrava come uno che ha autorità e non come gli scribi” {Matteo 7:29}. La sua parola era come quella di uno che ha autorità, non perché
avesse una qualche posizione di autorità, ma per la verità essenziale che era espressa nella Parola che Egli pronunciava. Tutta l’autorità in cielo e in terra è stata data a Lui, perché aveva tutta la verità in cielo e in terra.

(c) “Lo spirito della scuola secolare”, benché “illuminante”, non è tuttavia “di ordine superiore”, mentre d’altra parte “l’educazione religiosa, ovviamente,” dà “i più alti risultati di pensiero e di vita”.

(d) L’illuminazione della scuola secolare “tende a rendere sempre più difficile per le giovani menti fidarsi dell’autorità”. Poiché, quindi, l’illuminazione della scuola secolare tende a rendere sempre più difficile la fiducia nell’autorità per le giovani menti e dal momento che l’educazione religiosa deve aggrapparsi alla forma dell’autorità, ne consegue chiaramente che adottare lo spirito della scuola secolare o prendere in prestito i metodi della scuola secolare nell’educazione religiosa non è altro che minare la cittadella stessa dell’educazione religiosa.

(e) È quindi perfettamente saggio il consiglio che il governo degli Stati Uniti ha dato che nell’educazione religiosa non ci deve essere alcun “tentativo di prendere in prestito i metodi della matematica, della scienza e della storia dalla scuola secolare”. E questo, per l’ulteriore eccellente motivo che “un simile prestito avrà come unico risultato quello di dare ai giovani una fiducia smodata nella risolutezza dei propri giudizi immaturi.
Diventeranno presuntuosi e superficiali”.

Ogni cristiano desidera che i suoi figli abbiano un’educazione religiosa. E nessun cristiano che abbia un desiderio per il benessere dei propri figli incorporerebbe consapevolmente nella loro educazione ciò che li porterebbe ad avere un’eccessiva fiducia nella risolutezza dei loro giudizi immaturi inducendoli a diventare presuntuosi e superficiali. Sicuramente, quindi, è stato nella completa inconsapevolezza dei principi coinvolti e dei risultati disastrosi che ne sarebbero derivati, che i dirigenti e gli insegnanti della Chiesa hanno scelto, nel campo dell’istruzione, proprio il percorso che il governo degli Stati Uniti dichiara che non deve essere intrapreso: cioè, il prestito del metodo secolare nell’educazione religiosa.

Lo stesso rapporto prosegue: “Guardando all’organizzazione sistematica delle scuole secolari e dei metodi d’insegnamento migliorati, i leader della Chiesa si sono sforzati di perfezionare i metodi d’istruzione religiosa della gioventù. Hanno incontrato i seguenti pericoli che si sono presentati sul loro cammino: in primo luogo, il pericolo di adottare metodi d’insegnamento religioso che erano adatti e appropriati solo per l’istruzione secolare; in secondo luogo, la scelta – per il percorso di studi – di materie religiose che non conducevano nel modo più diretto verso la religione vitale, pur assumendo facilmente una forma pedagogica. Contro questo pericolo di debilitare o minare, ogni autorità nella religione attraverso l’introduzione dei metodi scolastici secolari che pongono l’accento sull’attività individuale del bambino, la scuola domenicale non è stata sufficientemente protetta negli ultimi anni della sua storia. Un gran numero di insegnanti religiosi, molto intelligenti e zelanti nella loro pietà, cercano di adottare in modo sempre più perfetto i metodi della scuola secolare. D’altra parte, gli argomenti dell’istruzione religiosa sono stati determinati dalle necessità del metodo scolastico secolare. Questo metodo non è adatto a insegnare la verità mistica. Esso cerca ovunque risultati precisi e soprattutto risultati matematici. Ma questi risultati, benché si trovino ovunque nella scienza e nella matematica, sono quanto di più lontano possa esistere dalla materia della religione. Per questo motivo è accaduto che, nel migliorare i metodi della scuola domenicale, si è prestata sempre maggiore attenzione alla storia e alla geografia dell’Antico Testamento e sempre meno alle questioni dottrinali del Nuovo Testamento”.

(a) “L’introduzione dei metodi della scuola secolare” nell’educazione religiosa corre il rischio “di indebolire o minare tutta l’autorità della religione”. E contro questo pericolo anche “la scuola domenicale non è stata sufficientemente protetta negli ultimi anni della sua storia”. Che ne è, allora, dell’educazione religiosa dei figli dei cristiani negli Stati Uniti al di fuori della scuola domenicale?

(b) “L’adozione sempre più perfetta dei metodi scolastici secolari” è stata ricercata anche nell’educazione religiosa della scuola domenicale. Che ne è, allora, dell’educazione educazione religiosa dei figli dei cristiani oltre alla scuola domenicale?

(c) “Gli argomenti dell’insegnamento religioso, anche nella scuola domenicale, sono stati
“determinati in gran parte dalle necessità del metodo della scuola secolare”, il quale “non è adatto a insegnare la verità mistica”, e i risultati “sono il più lontano possibile dall’assomigliare alla materia della religione”. Quali sono, allora, gli argomenti e i metodi dell’istruzione religiosa dei figli dei cristiani, a parte la scuola domenicale? Quando la Chiesa protestante ha così abbandonato il suo vero terreno cristiano nell’educazione e ha adottato gli argomenti e i metodi dell’educazione secolare, non è forse andata oltre il limite nel corso dell’apostasia originaria adottando i temi e i metodi dell’educazione secolare di allora? E così facendo, la Chiesa protestante di oggi non si è forse spinta altrettanto lontano nell’unione positiva tra Chiesa e Stato, che si è tradotta in un percorso simile nell’antichità? E con tutto questo, come può lo Stato sfuggire alla rovina che deve derivare da questa apostasia e dall’unione tra Chiesa e Stato, così com’è avvenuto in tempi antichi e di cui questo è un paragone e un modello così fedele?

CAPITOLO 7 – LA BIBBIA DETIENE IL POTERE SUPREMO NELL’EDUCAZIONE CRISTIANA

Dalle prove presentate dal governo degli Stati Uniti risulta certamente evidente che per il benessere, sia della Chiesa che dello Stato in questa nazione, si richiede da parte della Chiesa cosiddetta cristiana un’educazione che sia cristiana. Il documento pubblicato dal governo degli Stati Uniti che abbiamo citato non è altro che un appello, un potente appello affinché i leader e gli insegnanti della Chiesa edifichino sul terreno di un’educazione religiosa che sia davvero religiosa invece di essere una “adozione sempre più perfetta di quella secolare”.

E se la storia ha dimostrato che quando la Chiesa adotta il metodo secolare nell’istruzione porta solo alla rovina dello Stato e all’ascesa della Chiesa su quella rovina in una potenza mondiale ecclesiastica, un regno mondiale teocratico del carattere più disperatamente oppressivo di tutte le potenze che siano mai esistite sulla terra, allora, non è per il massimo benessere dello Stato e della società umana nel suo complesso che la Chiesa sia richiamata da questo terreno secolare al suo giusto ambito della religione cristiana nella sua purezza e sincerità e all’educazione che le si addice in quanto vera e sincera Chiesa cristiana?

Questa educazione, per essere cristiana, deve trovare la sua sorgente solamente nella Parola di Dio. Quella Parola deve essere la base, l’ispirazione e la guida in ogni campo di studio. E ci deve essere una fede così vera e una fiducia così perfetta in quella Parola in quanto Parola di Dio nella quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza; e uno studio così approfondito di quella Parola, illuminato dallo Spirito divino da rendere palese che in realtà “non esiste alcuna finezza nella grammatica, né nella logica, né in nessun’altra scienza che si possa nominare, che non si ritrovi nelle Scritture, in un grado molto più eccellente”. Questo la renderà davvero la luce del mondo.

Dichiarare di credere alla Bibbia per quello che è, cioè la Parola di Dio, e allo stesso tempo non ammettere che essa deve essere il libro principale di tutta l’educazione, sono due cose che non stanno affatto insieme. La Bibbia afferma di essere la Parola di Dio. Si presenta agli uomini come la Parola di Dio. Se non viene accettata e ritenuta Parola di Dio non è altro che un qualsiasi altro libro di testo. Credere alla Bibbia significa accettarla in quanto Parola di Dio, perché questa è l’unica pretesa che la Bibbia ha di sé stessa. Non accettare la Bibbia come Parola di Dio significa non credere affatto alla Bibbia.

Ma come si fa a sapere che è la Parola di Dio? Questa è la domanda che migliaia di persone si pongono. Chiedono: “Qual è la prova, dov’è l’evidenza che si tratti della Parola di Dio”? Ci sono prove, dimostrazioni che ogni uomo può avere, evidenze convincenti e soddisfacenti. Dove sono, allora? Vediamo.

Essendo la Parola di Dio, dove si possono trovare le prove che essa è ciò che pretende? Dove dovremmo aspettarci di trovare tali prove? C’è qualcuno con una conoscenza maggiore di Dio o con un’autorità maggiore della Sua a cui possiamo chiedere informazioni? Certamente no. Perché chiunque sia Dio, non ci può essere un’autorità superiore, non ci può essere nessuno con una conoscenza maggiore.

Supponiamo quindi di chiedere a Dio se questa è la Sua Parola. E supponiamo che, a parte la Bibbia, Egli ci dica con tante parole: “La Bibbia è la mia parola”. Anche in questo caso avremmo soltanto la Sua parola.

Ma quella l’abbiamo già, più e più volte; così che anche in quel caso non avremmo altre prove oltre a quelle che abbiamo ora in abbondanza: e le prove non sarebbero in alcun modo diverse, perché sarebbe l’evidenza della Sua parola, che già abbiamo. Quindi la verità è che la Parola di Dio porta in sé la prova di essere la Parola di Dio. È impossibile che sia altrimenti.

Se Dio non avesse ancora mai rivolto una Parola alla famiglia umana e oggi dovesse inviare un messaggio a tutti i popoli in una volta sola e nella loro lingua madre, quella Parola, la Parola di Dio, dovrebbe portare in sé la prova di essere la Parola di Dio, perché il popolo non potrebbe chiedere a nessun altro, in quanto non c’è nessuna persona la cui conoscenza o autorità sia superiore a questa. E perché questa Parola porta in sé la prova di essere la Parola di Dio, chiunque potrebbe ottenere questa evidenza accettandola come Parola di Dio. Chiunque lo facesse saprebbe che è la Parola di Dio, perché avrebbe l’evidenza nella Parola e, accettandola, l’avrebbe anche in sé stesso.

Questa è precisamente la posizione che la Bibbia occupa nei confronti degli uomini di questo mondo. Arriva come Parola di Dio. In quanto tale, deve portare l’evidenza in sé stessa; perché non ci può essere una prova più alta, migliore. Chiunque la riceva come Parola di Dio riceve in essa, ma anche in sé stesso la prova che si tratti della Parola di Dio. E così è scritto: “avendo ricevuto da noi la parola di Dio, l’avete accolta non come parola di uomini, ma come è veramente, quale parola di Dio, che opera efficacemente in voi che credete” {1 Tessalonicesi 2: 13}. “E tuttavia vi scrivo un comandamento nuovo, il che è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno passando e già risplende la vera luce” {1 Giovanni 2: 8}. E ancora: Gesù allora rispose loro e disse: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Se qualcuno vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, oppure se io parlo da me stesso” {Giovanni 7: 16-17}.

Così chi accetta la Parola come Parola di Dio trova la prova che essa è la Parola di Dio. Chi non accetta la Parola non può avere le prove. Rifiutando la Parola, rifiuta l’evidenza, perché l’evidenza è nella Parola.

Per rendere questo ancora più chiaro, se possibile, soprattutto per chi non sa che la Bibbia è la Parola di Dio, possiamo, per l’interesse del caso, supporre che la Bibbia non sia la Parola di Dio e che il Dio della Bibbia non sia il vero Dio. Supponiamo, quindi, di trovare il vero Dio e di chiedergli se la Bibbia è la Parola di Dio; e supponiamo che Egli dica, “Non è la Parola di Dio”. Avremmo allora soltanto la Sua parola; e l’unico modo per sapere se questa risposta è vera o meno sarebbe quello di crederci, accettandola come parola di Dio.

Quindi, l’unico modo possibile per sapere che la Bibbia non è la Parola di Dio sarebbe la Parola di Dio. E anche se avesse la Parola di Dio in tal senso, l’unico modo in cui potrebbe esserne sicuro – l’unica prova che potrebbe avere – sarebbe credere a quella Parola.

Ma non c’è una parola di Dio che dica che le Scritture non sono la Parola di Dio; mentre c’è una parola di Dio che dica che le Scritture sono la Parola di Dio. Questa Parola di Dio porta in sé la prova di essere la Parola di Dio e ogni anima che la riceverà così com’è avrà l’evidenza. La prova sarà evidente per chi crede alla Parola.

La Bibbia, dunque, essendo la Parola di Dio, è la conoscenza suprema e la suprema autorità su ogni argomento che sia vero. Non può esistere una conoscenza più vera di quella di Dio; non può esistere un’autorità più alta di quella della Parola di Dio. Pertanto, se la Bibbia è un libro educativo, è certamente il libro educativo supremo.

E la Bibbia è solo educativa. Il suo Autore si presenta come il Maestro degli uomini: “Io sono l’Eterno, il tuo DIO, che ti insegna per il tuo bene” {Isaia 48: 17}. “E tutti saranno ammaestrati da Dio” {Giovanni 6: 45}. Colui per mezzo del quale è venuta questa Parola e Colui che è davvero la Parola di Dio chiamano tutti gli uomini a Lui per imparare: “Venite a me…e imparate da Me” {Matteo 11: 28-29}. Nel chiamare tutti gli uomini a Lui per imparare da Lui, Egli si presenta come il Maestro di tutti. Egli è il grande Maestro “venuto da Dio” {Giovanni 3: 2}.

E questi due Insegnanti Supremi hanno dato lo Spirito Santo, e se stessi in Lui, per essere il Maestro degli uomini, “il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa” {Giovanni 14: 26} – non tutte le cose buone, cattive e neutre; non tutte le cose speculative, congetturali e false, ma tutte le cose vere: non la falsa scienza, ma la vera scienza; non la falsa filosofia, ma la vera filosofia. Perché Egli è solo lo Spirito della verità. È una guida solo verso la verità ed “Egli vi guiderà in ogni verità” {Giovanni 16: 13}. E insegna solo la Parola di Dio: “Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” {Giovanni 14: 26}. “Non parlerà da sé stesso, ma dirà tutte le cose che ha udito” {Giovanni 16: 13}.

Lo Spirito Santo, essendo il Rappresentante della Divinità presso gli uomini, essendo lo Spirito di verità, insegna solo la Parola di Dio, attraverso di essa e per mezzo di essa, in quanto la Parola è la verità. La Divinità, quindi, nello Spirito Santo, è l’Istruttore supremo e la Parola di Dio è la base di ogni vera istruzione. La Bibbia, quindi, essendo la Parola di Dio ed essendo l’istruzione del Signore, per diritto divino deve occupare il posto di prima considerazione in tutta l’educazione cristiana, in tutta la vera educazione, in ogni educazione cristiana.

Che tipo di trattamento è dunque quello riservato al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo – in che modo trattano i cristiani la Divinità – quando a essa antepongono gli uomini e i libri degli uomini, anche quelli dei pagani e gl’infedeli prima del Libro di Dio, nell’educazione? È giusto? È
riverente? È pio? È cristiano? Alla Bibbia, per diritto divino, spetta la prima considerazione e il posto supremo in tutta l’educazione cristiana. D’altronde, anche tramite la filosofia stessa dell’educazione, alla Bibbia appartiene la prima considerazione e il posto supremo nell’educazione cristiana.

La Bibbia dovrebbe essere la prima cosa in ogni ambito di studio, per la ragione che è espressa in un detto familiare a tutti: “La prima impressione è quella che conta”. Per questo motivo la Bibbia dovrebbe essere la fonte della prima istruzione che il bambino riceve nel mondo. E poiché tutti sono bambini all’inizio di ogni ambito di studio, la Bibbia dovrebbe essere la prima di ogni cosa in tutti gli studi.

È vero che quando una persona vive, e sono pochi quelli che lo fanno, fino a un’età tale che la vita si spegne per vecchiaia, l’ultima cosa a cui una persona pensa è la prima cosa che ha imparato. Questo può essere detto ancora una volta, perché è un principio dell’educazione: La prima cosa che si fissa nella mente di una persona è l’ultima cosa su cui la mente si sofferma, se la vita di quella persona si conclude e si spegne naturalmente nella vecchiaia.

Un esempio notevole è quello di William Ewart Gladstone, il grande statista inglese, morto nel 1898. Morì molto anziano. Mentre la sua vita si stava spegnendo si notò che ripeteva continuamente la preghiera del Signore in francese. Ciò suscitò qualche domanda: dato che era un inglese, perché avrebbe dovuto dire la preghiera del Signore in francese? Sono state fatte delle indagini e si è saputo che quando era piccolo era stato affidato a una balia francese e che quella balia francese era cristiana e gli aveva insegnato la preghiera del Signore nella sua lingua madre. E poiché questa fu la prima cosa che si fissò nella sua mente, fu l’ultima cosa su cui si soffermò la sua mente mentre si spegneva nella morte.

Ora, se quella balia non fosse stata cristiana e se avesse insegnato a quel bambino: “La befana vien di note con le scarpe tutte rotte”, avrebbe funzionato esattamente allo stesso modo e quella sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe detto sul letto di morte. Se gli avesse insegnato le favole di Esopo o le fiabe invece della preghiera del Signore sarebbero state quelle le ultime cose che avrebbe sussurrato mentre la sua mente si spegneva.

Un’altra persona conosciuta direttamente dallo scrittore morì poco dopo i novantasei anni. La preghiera del Signore fu anche una delle ultime cose che quella persona pronunciò. Un’altra cosa che fece negli ultimi giorni della sua vita fu quella di contare: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette e così via fino a dieci, ma non oltre, esattamente come i piccolini imparano a contare. Così quella mente, nelle sue ultime ore di vita, si è soffermata sulle cose delle prime ore di memoria cosciente, le cose che erano state fissate per la prima volta nella sua mente.

Quanto è bello che l’ultimo pensiero di una mente che si spegne nella morte sia il pensiero di Dio nella sua Parola! Quanto sarà appropriato nella risurrezione quando il primo pensiero riprenderà il collegamento! Questo è sufficiente per illustrare il principio che sta alla base della filosofia dell’uso della Bibbia come prima cosa in tutta l’educazione cristiana.

Questo, lo ammetteranno tutti, va bene nel caso del bambino che sta imparando le prime cose. Tuttavia, non è più necessario in questo caso di quanto non lo sia in ogni altro; poiché ognuno è un bambino, un principiante nelle cose che sta imparando per la prima volta. Se voi o io iniziassimo a studiare una nuova lingua, saremmo del tutto neonati in quella lingua. Non sapremmo assolutamente nulla: nessun pensiero nella lingua che sia nostro, nessuna parola nella lingua che possa trasmettere un pensiero.

Per illustrare: supponiamo che vogliate imparare la lingua tedesca e che le prime parole che imparate siano queste: “Im anfang war das Wort”. Allora il primo pensiero che vi viene in mente in lingua tedesca è: “In principio era il Verbo”. Poi, dopo aver imparato questo, ovunque, finché vivrete, incontrando la parola anfang, questa parola richiamerà immancabilmente l’espressione: “Im anfang war das Wort” e il pensiero: “In principio era il Verbo”.

Oppure supponiamo che si tratti di greco e che le prime parole che si imparano siano le stesse: [caratteri greci] “En arche en ho Logos”. La parola arche significa “il principio” e la parola logos significa “la parola”: “In principio era la Parola”. Quindi, dopo aver imparato questo, ogni volta che incontrate la parola arche o Logos, immediatamente si presenta alla mente il pensiero che si è formato con la frase: “In principio era la Parola”.

Ma supponiamo che, sfortunatamente, siate caduti nelle mani di un insegnante per il quale la Bibbia non è suprema e quindi, non è il primo e il più importante libro in ogni campo di studio. Supponiamo che le prime parole in lingua che vi dà siano tratte da qualche fiaba, qualche favola, qualche romanzo, da qualche opera teatrale o da qualsiasi altra fonte diversa dalla Bibbia. Quando imparate quelle parole, ricevete il pensiero espresso dalle parole. E dopo aver appreso questo, quando incontrerete quelle stesse parole nella Bibbia, istantaneamente e irresistibilmente la vostra mente tornerà a quel primo pensiero di quelle parole e i chiari raggi di luce e verità delle parole della Bibbia saranno offuscati e confusi dal fatto di essere stati mescolati con quella scena fiabesca o qualsiasi cosa sia stata associata per la prima volta nella vostra mente a quelle parole. Allora il vostro stesso studio della Bibbia sarà ostacolato e sarete paralizzati da un inizio così negativo nella nuova lingua. D’altra parte, quando si inizia bene, con le parole della Bibbia e i pensieri di Dio, allora se per qualsiasi scopo doveste trovare necessario leggere questi altri libri, troverete la preziosa luce, la saggezza e la forza dei pensieri di Dio, che ricorrono e rimangono costantemente con voi, guidandovi sulla via della verità e proteggendovi da ciò che è falso.

A titolo illustrativo si può citare un fatto realmente accaduto: qualche anno fa l’autore di questo libro stava passando per una scuola superiore, in cui persone di un’altra lingua stavano prendendo le prime lezioni di inglese. Gli studenti erano appena usciti dall’aula e sui banchi c’erano i loro libri di studio in inglese, alcuni dei quali aperti all’ultima lezione. Il tema della lezione era “La scimmia dispettosa”. Quegli studenti stavano seguendo le prime lezioni di una nuova lingua. I primi e unici pensieri che stavano ricevendo in quella lingua erano pensieri su una scimmia dispettosa. Quando avevano studiato quel brano in modo tale da poterlo leggere intelligentemente in inglese, gran parte di ciò che sapevano e dei pensieri che erano in grado di elaborare in inglese erano esclusivamente relativi a una scimmia dispettosa.

Nel racconto di quella scimmia dispettosa sono state usate parole che si incontrano frequentemente nella Bibbia, perché si trattava di parole inglesi comuni. Supponiamo che quegli studenti si rivolgano poco dopo alla Bibbia in inglese e incontrino alcune di queste stesse parole: ogni volta che incontrano una di queste parole la scimmia dispettosa si intromette e si agita tra i pensieri della Parola di Dio. È altrettanto certo che quegli studenti hanno ricevuto i pensieri su quella scimmia dispettosa come i primi pensieri in inglese. E questo sarebbe anche un ostacolo serio per loro di ottenere dalla Parola di Dio in inglese i pensieri chiari e puri di quella Parola.

Quale danno duraturo, dunque, per gli studenti, e soprattutto per i giovani: quale imposizione su di loro quando vengono tenuti per anni nelle selvagge, sciocche, false e malvagie immaginazioni di poeti, filosofi o drammaturghi pagani o persino di scritti di storici, prima di essere qualificati a leggere il Nuovo Testamento in greco o la Bibbia in latino! Una mente il cui intero ordito e la cui trama in greco sono pagani, è forse meglio qualificata per comprendere e apprezzare il greco cristiano? Una mente che ha vagato da uno a tre anni in tutta Gallia, in mezzo alle barbarie di Cesare e dei Galli o che abbia trascorso tutta la sua vita greca o latina nel miasma pagano di Omero o Virgilio, una mente del genere è più preparata a leggere, con profitto cristiano, il Vangelo di Giovanni o le epistole di Paolo? Il paganesimo e le barbarie sono una base essenziale per il cristianesimo? I pensieri pagani e i concetti pagani sono un antecedente essenziale dei pensieri cristiani e delle concezioni divine?

Se no, perché gli insegnanti che si considerano e si aspettano che gli altri li considerino cristiani, fanno sì che i loro studenti di greco o di latino, o di qualsiasi altra lingua, edifichino le loro menti in quella lingua interamente su materiale pagano e che da uno a tre anni, prima che ci si aspetti o si dia loro la possibilità di formarsi le menti ai pensieri del Signore: il perfettamente buono, il perfettamente puro, il perfettamente vero?

Per tutti gli scopi pratici, la mente è composta da pensieri. L’obiettivo dello studio è costruire la mente, ottenere dei pensieri – la conoscenza. Quale può essere, dunque, l’obiettivo di chi si professa cristiano nel far studiare agli studenti prima di tutto il greco pagano e il latino pagano? Qualunque sia il loro obiettivo, il risultato certo è quello di edificare le menti degli studenti nel paganesimo e sul paganesimo. L’uomo è ciò che pensa. E quando la mente è pagana, l’uomo è pagano; e se la mente è per lo più, o anche solo in parte, pagana, allora l’uomo è per lo più, o anche solo in parte pagano.

Ma è compito o responsabilità data da Dio agli insegnanti cristiani far sì che gli studenti diventino pagani, anche solo in parte? L’unica risposta possibile è: “No”. Allora quale insegnante cristiano può mai mettere un libro pagano nelle mani di uno studente come libro di testo?

Questo non vuol dire che nessun altro libro, se non la Bibbia, possa essere letto o studiato in una lingua straniera; ma che nessun altro libro dovrebbe essere letto o studiato in una lingua straniera fino a quando questa lingua non sarà stata acquisita dalla Bibbia e finché la Bibbia non potrà essere facilmente letta a prima vista. Quando questo sarà stato fatto e potrà essere fatto da una persona, allora questa persona potrà leggere con perfetta sicurezza e con profitto qualsiasi altro libro in quella lingua che possa trovare necessario consultare.

Qual è la cosa migliore che offre una prospettiva migliore alla mente e all’anima – iniziare uno studio in modo tale che, ovunque si vada in seguito in quel campo, il pensiero di Dio accompagni la persona? Oppure iniziare in modo tale che il paganesimo, l’infedeltà e la mondanità siano al primo posto in tutto il campo, fino a mettere in ombra la Parola di Dio quando viene studiata? – Porre questa domanda significa certamente dare una risposta a tutte le menti cristiane.

È quindi evidente che, sia per diritto divino che per la semplice filosofia dell’educazione, alla Bibbia spetta la prima considerazione e il posto supremo in tutta l’educazione cristiana. Quale insegnante cristiano, dunque, può essere leale nei confronti della Divinità nel mettere qualsiasi altro libro all’infuori della Bibbia al primo posto nei pensieri di qualsiasi studente su qualsiasi argomento?

CAPITOLO 8 – L’EDUCAZIONE DI DANIELE

La Bibbia viene trattata in modo giusto e le viene dato il suo vero posto nell’educazione solo quando si ritiene con convinzione che sia particolarmente un libro educativo: solo quando si ritiene che abbia chiaramente uno scopo educativo e che sia positivamente fedele al principio di un’educazione completa come tale.

Che la Bibbia sia tutto questo è abbondantemente dimostrato dal contenuto del Libro stesso. Per far sì che questo si veda nel modo più completo, ma anche nel più breve tempo possibile, affronteremo l’argomento attraverso il libro, che per più di una ragione, è un libro cardine della Bibbia: il libro di Daniele.

Il libro di Daniele è stato scritto appositamente per gli ultimi giorni; infatti, quando Daniele venne a spiegare al re Nebukadnetsar (o Nabucodonosor) le grandi cose del sogno del re, disse che Dio “fa conoscere le cose al re Nebukadnetsar ciò che avverrà negli ultimi giorni” {Daniele 2: 28}. Spiegando a Daniele le cose rivelate, l’angelo ha detto che stava dando la comprensione di ciò che doveva accadere al popolo di Dio “negli ultimi giorni” {Daniele 10: 14}. E quando la stesura del libro fu terminata a Daniele fu ordinato di tenere “nascoste queste parole” e sigillare “il libro fino al tempo della fine” {Daniele 12: 4} poi gli fu detto: “Va’, Daniele, perché queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine” {Daniele 12: 9}.

Il libro di Daniele, quindi, essendo specificamente concepito per gli ultimi giorni, contiene principi e profezie che hanno un’importanza particolare negli ultimi giorni; e non per ultimi, contiene dei principi di educazione. Questi principi sono stati dati per salvare la gente del mondo negli ultimi giorni dalle calamità e dalle distruzioni, di cui quelle che si abbatterono su Babilonia sono solo una debole rappresentazione. Ignorare questi principi, dati specialmente per questo tempo, non è altro che attirare una distruzione molto più terribile di quell’altra, come la distruzione mondiale e la rovina eterna sono maggiori della distruzione locale e della rovina temporale.

Quando Nebukadnetsar, re di Babilonia, conquistò Gerusalemme la prima volta, “il re disse quindi ad Ashpenaz, capo dei suoi eunuchi, di condurgli alcuni dei figli d’Israele, sia di stirpe reale che di famiglie nobili, giovani in cui non ci fosse alcun difetto, ma di bell’aspetto, dotati di ogni sapienza, che avessero conoscenza e rapido intendimento, che avessero abilità di servire nel palazzo del re e ai quali si potesse insegnare la letteratura e la lingua dei Caldei” {Daniele 1: 3-4}.

Senza “alcun difetto e di bell’aspetto.” Questo richiederebbe che fossero fisicamente sani, ben costruiti e simmetrici. Le parole tradotte “sapienza”, “conoscenza” e “intendimento” nel versetto 4, in ebraico – daath, madda e chokmah – sono strettamente correlate, anche se la seconda è un’estensione della prima e la terza è un’estensione della seconda.

La parola tradotta “sapienza” significa “conoscenza, comprensione e intelligenza.” Implica la facoltà di discernere ciò che è conoscenza di valore e l’abilità e la capacità di acquisire tale conoscenza. La parola tradotta “conoscenza” si riferisce alla “mente o al pensiero”, e implica una conoscenza acquisita attraverso il pensiero e l’applicazione. La parola tradotta “intendimento” significa “abilità, destrezza, sagacia, accortezza, capacità di giudicare”; ed è ben tradotta nella nostra parola “intendimento”, che significa “abile nella conoscenza”. Implica una conoscenza selezionata e sistematica.

Perciò il criterio del re Nebukadnetsar nella selezione di questi giovani era che fossero fisicamente sani e simmetrici e che mentalmente fossero:

  1. Abili nel discernere la conoscenza di valore e nell’acquisire tale conoscenza;
    2. Astuti nell’acquisizione della conoscenza attraverso il pensiero e l’applicazione;
    3. Capire come correlare, classificare e sistematizzare le conoscenze che avevano la facoltà di discernere come conoscenza valorosa e che erano stati astuti nel raccogliere.

In tutte queste cose dovevano avere “abilità”. Ciò che sapevano non doveva essere una mera conoscenza teorica; ma dovevano avere la facoltà di osservazione e di adattamento in modo tale che ciò che avevano appreso potesse essere applicato praticamente nella loro esperienza quotidiana.

Dovevano avere un’abilità tale, un buon senso quotidiano che permettesse loro di usare la propria conoscenza per trarre vantaggio pratico nelle cose comuni della vita di ogni giorno, in modo da essere uomini pratici ovunque si trovassero; in modo da potersi adattare a qualsiasi circostanza o situazione ed essere padroni e non schiavi delle circostanze o delle situazioni.

Dalle specifiche indicate chiaramente nelle Scritture e dall’esame attento e approfondito che deve essere superato si evince che tutto ciò che abbiamo delineato era compreso nei requisiti del re riguardo ai giovani che dovevano essere scelti. E questo non è un piccolo tributo alle idee educative del re Nebukadnetsar. Infatti, il suo punto di vista sull’educazione, come si evince da questo passo della Bibbia era, a tutti gli effetti, molto più avanzato del sistema educativo che prevale oggi anche nei principali college e università degli Stati Uniti.

Eppure, Daniele, Hananiah, Mishael, e Azaria furono in grado di superare con successo un tale esame. Dove hanno ricevuto questa istruzione essendo, com’erano, solo dei giovani? Vale la pena di avere una risposta a questa domanda. Inoltre, ne abbiamo bisogno proprio ora perché tutto questo è stato scritto soprattutto per gli ultimi giorni.

Dove hanno ricevuto Daniele e i suoi tre compagni l’istruzione che ha permesso loro di superare con successo l’esame richiesto dal re Nebukadnetsar? Dove hanno ricevuto un’istruzione che li ha resi “dotati di ogni sapienza, conoscenza e di rapido intendimento”; e “abili” in tutte queste cose? – Senza esitazione si può rispondere: nella “scuola dei profeti”, la scuola divinamente istituita in Israele. A quel tempo c’era un “collegio” o “scuola dei profeti” a Gerusalemme. Infatti, nell’anno diciottesimo di Giosia, re di Giuda, che precedeva di soli quindici anni la cattività di Daniele, c’è la chiara testimonianza di una scuola di questo tipo a Gerusalemme.

Nell’anno diciottesimo di Giosia, mentre per suo ordine il tempio veniva ripulito e ristorato dopo le abominazioni di Manasse e Amen, una copia del Pentateneh, o “libro della legge del Signore di Mosè”, fu trovata dal sacerdote Hilkiah. Hilkia “consegnò il libro a Shafan”, lo scriba, e “Shafan portò il libro al re” e “lo lesse davanti al re”. “E avvenne che quando il re ebbe udito le parole della legge, si stracciò le vesti” e ordinò al sacerdote Hilkia, allo scriba Shafan e ad altri: “Andate, informatevi presso il Signore per me e per quelli che sono rimasti in Israele e in Giuda, riguardo alle parole del libro che è stato trovato”. “Hilkia e quelli che il re aveva designato andarono da Huldah, la profetessa… Ella abitava a Gerusalemme nel collegio [“nella scuola”]; e le parlarono in tal senso” {2 Re 22: 8-14}.

Quindi c’era, a Gerusalemme, un collegio, o scuola, in cui “abitava” la profetessa. Questo dimostra subito che questa scuola era una scuola di profeti, perché ciò che dava a quelle scuole il nome di scuole dei profeti era il fatto che un profeta abitasse nella scuola ed era, sotto la guida di Dio, il capo della scuola.

Questo fatto si rivela in altri due casi in cui sono menzionate: in {1 Samuele 19: 20} si nota “l’assemblea dei profeti” e “con Samuele che teneva la presidenza”. In {2 Re 6: 1-6} incontriamo di nuovo “i discepoli dei profeti” ed Eliseo, il profeta, che abita con loro; infatti essi dissero a Eliseo: “Ecco, il luogo nel quale noi abitiamo con te è troppo piccolo per noi”.

Troviamo così tre scuole di profeti in tre epoche molto diverse tra loro, – il tempo di Samuele, il tempo di Eliseo e il tempo di Giosia. In ogni caso un profeta dimora nella scuola. Questi tre passi sono stati scritti per darci informazioni sulle scuole dei profeti. Mostrano perché queste scuole erano chiamate così. Mostrano anche che il collegio, o la scuola di Gerusalemme in cui abitava la profetessa Huldah, era una scuola di profeti così come lo era la scuola in cui vivevano il profeta Eliseo o il profeta Samuele.

Era dunque in una scuola dei profeti, in una scuola del Signore e del sistema educativo del Signore, che Daniele e i suoi tre compagni ottennero l’educazione di cui leggiamo in {Daniele 1: 4} – l’educazione che li rese “dotati di ogni sapienza, conoscenza e rapido intendimento, che avessero abilità” in tutte queste cose, tanto da poter superare con successo l’esame richiesto per l’ingresso nell’università reale di Babilonia.

CAPITOLO 9 – COSA VENIVA INSEGNATO NELLE SCUOLE DEI PROFETI

Che cosa si insegnava nelle scuole dei profeti? Saperlo è importante, non solo per sé stessi, ma anche perché, quando lo scopriremo, sapremo cosa si dovrebbe insegnare sempre nelle scuole del Signore. Questo si trova nella Bibbia. È stato scritto per il nostro apprendimento. E trovandosi nel libro di Daniele, è stato scritto per l’istruzione e l’ammonimento nostro, “che ci troviamo alla fine delle età” {1 Corinzi 10: 11}. In questo capitolo avremo spazio solo per scoprire ed enumerare questi argomenti. Il significato di ognuno sarà studiato in seguito.

Daniele e i suoi tre compagni erano “dotati di ogni sapienza, conoscenza e di rapido intendimento”. Questa formazione è stata acquisita nel collegio o nella scuola dei profeti a Gerusalemme. Questo, quindi, certifica che sapienza, conoscenza e scienza erano insegnate in quelle scuole.

Un’altra cosa che veniva insegnata era la musica, sia strumentale che vocale. Questo lo sappiamo dal fatto che la prima volta che incontriamo degli studenti di una scuola di questo tipo, essi erano preceduti da “un’arpa, un tamburello, un flauto e una cetra” {1 Samuele 10: 5}; e suonavano con un tale spirito e con tale potenza dello Spirito, che l’uomo che li incontrò personalmente fu attirato a Dio e si convertì. Tutte le circostanze mostrano quindi che si trattava di musica preparata e armoniosa, suonata dagli studenti di questa scuola. E questa è una chiara prova che la musica veniva insegnata nelle scuole dei profeti.

Un’altra cosa che veniva insegnata era il lavoro, o “l’addestramento manuale”, come verrebbe chiamato oggi. Lo sappiamo dal resoconto di queste scuole al tempo di Eliseo: “I discepoli dei profeti dissero a Eliseo: «Ecco, il luogo nel quale noi abitiamo con te è troppo piccolo per noi. Lasciaci andare fino al Giordano; là ciascuno di noi prenderà una trave e là ci faremo un luogo per abitarvi». Eliseo rispose: «Andate». Uno di loro disse: «Ti prego, degnati di venire con i tuoi servi». Egli rispose: «Verrò». Così andò con loro. Giunti al Giordano, si misero a tagliare alcuni alberi” {2 Re 6: 1-4}.

Questo dimostra che in quelle scuole si insegnava il lavoro e l’amore per esso, perché quando l’edificio scolastico divenne troppo piccolo per chi lo frequentava, gli studenti stessi suggerirono di costruire da soli un nuovo e più grande edificio necessario. Non si pensava di assumere altre persone per il lavoro, né di darlo in appalto. No; essi stessi hanno detto: “Andiamo, … faremo un luogo per abitarvi”.

Erano anche così innamorati del lavoro che prendevano in prestito gli strumenti con cui lavorare; quando una delle asce si staccò dal manico e finì nel fiume, mentre uno degli studenti stava tagliando, egli disse a Eliseo: “Ah, mio signore, questo l’avevo preso in prestito” {2 Re 6: 5}.

Inoltre, anche il preside della scuola – Eliseo – andò con loro al lavoro e si unì a loro nel lavoro; perché era tra quelli che stavano tagliando sulla riva del fiume quando l’ascia volò nell’acqua.

Tutto ciò dimostra, con la massima chiarezza, che il lavoro e l’amore per esso, per il lavoro produttivo, erano insegnati nelle scuole dei profeti, le scuole del Signore dei tempi antichi.

Un’altra cosa che veniva insegnata era la temperanza: una vita sana. Questo è dimostrato dal fatto che Daniele e i suoi compagni rifiutarono le prelibatezze del re, il cibo reale e il vino che egli beveva e chiesero un cibo semplice, una dieta vegetariana {Daniele 1: 5, 12-16}. Che sia stato loro insegnato questo nella scuola dei profeti che frequentavano, risulta evidente dal fatto che questo era in loro un principio consolidato. E che questa fosse l’alimentazione nella scuola dei profeti è dimostrato dal fatto che in quella scuola – al tempo di Eliseo – anche quando “c’era carestia nel paese”, Eliseo dette indicazioni per preparare il cibo dicendo: “Metti sul fuoco la pentola grande e fa’ cuocere una minestra per i discepoli dei profeti”. E, seguendo questa indicazione, uno uscì “nei campi per cogliere delle erbe” {2 Re 4: 38-39}. Raccogliere delle erbe in risposta all’indicazione ordinaria di preparare il cibo, e questo mentre “c’era carestia nel paese”, è sicuramente una forte prova del fatto che la dieta vegetariana fosse quella abituale della scuola. Ciò è confermato dall’ulteriore fatto che “giunse poi un uomo da Baal-Shalisha, che portò all’uomo di DIO del pane delle primizie: venti pani d’orzo e alcune spighe di frumento nel loro guscio. Eliseo disse: «Dallo alla gente perché ne mangi»” {2 Re 4: 42}. Qui c’era un uomo che portava in dono delle provviste al direttore della scuola, e portava solo cibo di origine vegetale.

Tutto ciò dimostra che la dieta degli studenti e degli insegnanti nelle scuole dei profeti era vegetariana, che questo stile di vita temperato era parte integrante dell’insegnamento e che il modo di vivere equilibrato era inculcato in modo tale da diventare un principio vivo nella vita degli studenti.

Un’altra cosa che veniva insegnata era la legge: statuti, giustizia e giudizio. Questo è stato direttamente comandato di insegnare: “Ecco, io vi ho insegnato statuti e decreti, come l’Eterno, il mio DIO, mi ha ordinato, affinché li mettiate in pratica nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso. Li osserverete dunque e li metterete in pratica; poiché questa sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutti questi statuti, diranno: “Questa grande nazione è un popolo saggio e intelligente!”. Quale grande nazione ha infatti DIO così vicino a sé, come l’Eterno, il nostro DIO, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha statuti e decreti giusti come tutta questa legge che oggi vi metto davanti? Solo bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull’anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, e perché non si allontanino dal tuo cuore per tutti i giorni della tua vita. Ma insegnali ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli” {Deuteronomio 4: 5-9}. “Seguirai interamente la giustizia” {Deuteronomio 16: 20}.

Un’altra cosa insegnata, e questa “in modo particolare”, era la morale; infatti, dopo aver sollecitato l’obbligo di seguire la giustizia, di insegnare con cura e diligenza gli statuti e i giudizi del Signore, comandò loro di insegnare ai loro figli e ai figli dei loro figli “in modo particolare” i dieci comandamenti che avevano ascoltato, dicendo: “il giorno in cui sei comparso davanti all’Eterno, il tuo DIO, in Horeb, quando l’Eterno mi disse: “Radunami il popolo e io farò loro udire le mie parole, perché essi imparino a temermi per tutti i giorni che vivranno sulla terra e le insegnino ai loro figli”… E l’Eterno vi parlò dal mezzo del fuoco; voi udiste il suono delle parole, ma non vedeste alcuna figura; udiste solo una voce. Così egli vi promulgò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti; e li scrisse su due tavole di pietra” {Deuteronomio 4: 10-13}.

Un’altra cosa insegnata era la storia: “Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che significano questi precetti, statuti e decreti, che l’Eterno, il nostro DIO, vi ha comandato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del Faraone in Egitto e l’Eterno ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Inoltre l’Eterno operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e tremendi contro l’Egitto, contro il Faraone e contro tutta la sua casa” {Deuteronomio 6: 20-22}. Questo studio non si limitava alla storia della liberazione dall’Egitto ma includeva tutto ciò che era stato riportato nelle sacre scritture. Sappiamo che questa storia fu studiata da Daniele perché la forma di governo – con tre prefetti di cui uno era il capo – introdotta da esso quando fu nominato primo ministro, ai tempi di Dario il Medo, era stata adottata alla lettera dai documenti di Israele relativi al governo di Davide.

Un’altra cosa insegnata era la poesia. Questa era un accompagnamento essenziale dell’insegnamento della musica e dei canti di culto che erano dei versi cantati. Insieme a tutto questo, naturalmente, venivano insegnati i fondamenti della conoscenza, della lettura, della scrittura e dei numeri.

Troviamo, quindi, che l’insegnamento nelle scuole dei profeti comprendeva almeno le seguenti materie:

1 Sapienza
2 Conoscenza
3 Scienza
4 Lavoro manuale
5 Musica
6 Poesia
7 Temperanza
8 Morale
9 Legge
10 Storia
11 Lettura
12 Scrittura
13 Numeri

Ma la cosa più grande di tutte, in tutte, e attraverso tutte, nelle scuole del Signore era la presenza diffusa del Maestro divino, lo Spirito Santo. Nelle scuole dei profeti lo Spirito di Dio era l’unica influenza onnipervasiva, l’unico grande potere prevalente. La prima volta che incontriamo una di queste scuole è in {1 Samuele 10: 5-12}, quando Saul giunse “alla collina di Dio” e incontrò “un gruppo di profeti” che scendevano con strumenti musicali e che profetizzavano. “Lo Spirito di Dio si posò su di lui” e “DIO gli mutò il cuore in un altro”; fu trasformato in un altro uomo e “profetizzò in mezzo a loro”.

Che questo avvenisse nel caso di un uomo come Saul era una meraviglia così grande che il popolo d’Israele ne rimase stupito a tal punto che d’ora in poi divenne un proverbio in Israele: “È anche Saul tra i profeti?”.

Ma questo non era che il grado abituale della manifestazione dello Spirito nella scuola. Infatti, dopo di ciò, scopriamo che Saul, per disobbedienza a Dio e gelosia nei confronti di Davide, si era separato dallo Spirito e cercava continuamente di uccidere Davide. Ma Davide scappò, fuggì e “venne da Samuele a Ramah” e “lui e Samuele andarono ad abitare a Naioth”. E fu detto a Saul: “Ecco, Davide è a Naioth in Ramah.” Qui c’era una scuola di profeti. Saul mandò dei messaggeri a prendere Davide e, quando videro il gruppo dei profeti che profetizzavano e Samuele che li sovrintendeva, lo Spirito di Dio fu sui messaggeri di Saul e anch’essi profetizzarono. E quando fu detto a Saul, egli mandò altri messaggeri, che profetizzarono allo stesso modo.

Quando Saul vide che i suoi primi messaggeri avevano ceduto, naturalmente mandò la seconda volta quelli che pensava non lo avrebbero fatto. E quando si accorse che anche loro avevano ceduto, decise di non fidarsi più di alcun messaggero: sarebbe andato lui stesso. Perciò, nella sua ira, “andò anche a Ramah” e chiese: “Dove sono Samuele e Davide? E uno rispose: “Eccoli a Naioth, a Ramah”. Ed egli si recò a Naioth in Ramah; e lo Spirito di Dio fu anche su di lui ed egli proseguì profetizzando.

Tutto questo dimostra, ed è stato scritto per dircelo, che lo Spirito Santo si manifestò così pienamente che uomini severi, duri di cuore e persino eccezionalmente non spirituali venivano sciolti e soggiogati dalla Sua influenza benevola ogni volta che entravano in contatto con la scuola. Dimostra anche che lo Spirito di Dio in queste scuole si è manifestato tramite la profezia. Quindi era lo Spirito di profezia che pervadeva e controllava la scuola. Lo “Spirito di profezia” è “la testimonianza di Gesù” {Apocalisse 19: 10} nel consiglio e nell’istruzione. Così Gesù Cristo stesso, tramite lo Spirito di profezia, era il vero capo delle scuole dei profeti.

E tutto questo vuole insegnarci ora, per il nostro tempo, che nelle scuole del Signore lo Spirito di profezia, la testimonianza di Gesù, deve essere la grande guida e il maestro. E che lo Spirito di Dio dovrà essere invocato fino a quando non diventerà l’influenza onnipresente e la potenza onnipotente in ogni scuola istituita nel nome del Signore.

Queste cose sono scritte nella Bibbia per noi. Sono centrali ed enfatizzate nel libro di Daniele specialmente per gli ultimi giorni. Ora siamo negli ultimi giorni. L’istruzione impartita, il tema di studio delle scuole dei profeti è l’istruzione per le scuole del Signore in tutti i tempi. Questa è l’istruzione che deve essere diffusa oggi in ogni scuola che pretenda di essere una scuola cristiana.

CAPITOLO 10 – LO STUDIO DELLA SAGGEZZA

Daniele, ancora giovane, era “abile in ogni sapienza”. Questa fu la parte principale della sua educazione.

Che cos’è la saggezza? Da dove viene? Come si raggiunge? E che relazione ha con l’educazione in generale?

“Ma dove si può trovare la sapienza, e dov’è il luogo dell’intelligenza? L’uomo non ne conosce il valore e non si trova sulla terra dei viventi. L’abisso dice: “Non è in me”; il mare dice: “Non sta presso di me”. Non la si ottiene in cambio d’oro raffinato né la si compra a peso d’argento. Non la si acquista con l’oro di Ofir, con l’onice prezioso o con lo zaffiro. L’oro e il cristallo non la possono uguagliare né si scambia per vasi d’oro fino. […] Ma allora da dove viene la sapienza e dov’è il luogo dell’intelligenza? Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente, è celata agli uccelli del cielo. Abaddon e la morte dicono: “Ne abbiamo sentito parlare con i nostri orecchi”. DIO solo ne conosce la via, egli solo sa dove si trovi. […] quando fece una legge per la pioggia e una via al lampo dei tuoni, allora la vide e la rivelò, la stabilì e anche la investigò. E disse all’uomo: “Ecco, temere il Signore, QUESTO E’ SAPIENZA, e fuggire il male è intelligenza” {Giobbe 28: 12-28}. “Poiché l’Eterno dà la sapienza” {Proverbi 2: 6}.

È certo, quindi, che il timore del Signore era una parte essenziale dell’educazione nelle scuole dei profeti. Poiché solo Dio conosce ciò che è veramente saggio e poiché Egli ne è il Datore, questo richiedeva di per sé che la rivelazione che Dio aveva dato di Sé fosse studiata, affinché potessero conoscere veramente il vero Dio e i Suoi attributi. Infatti, non potevano temerlo – venerarlo – se non Lo conoscevano. E lo studio della rivelazione che il Signore aveva dato, di per sé, era lo studio degli scritti sacri, i libri di Mosè e gli scritti degli altri profeti.

Poiché “il timore del Signore è l’inizio della conoscenza”, è certo che la sapienza era l’argomento principale di studio nelle scuole dei profeti. Esso precedeva ogni altro studio. Anzi, non solo lo precedeva, ma era anche l’elemento principale, la linea guida di ogni altro studio. E poiché la conoscenza di Dio è essenziale per il timore di Dio, e la conoscenza certa di Dio si ottiene solo con la rivelazione che Egli ha dato di Sé e dei Suoi attributi, è certo che le Sacre Scritture erano la base essenziale di tutti gli studi, la guida di ogni corso di ricerca e il test finale di ogni indagine.

La saggezza è “il timore del Signore” e “il timore del Signore è l’inizio della conoscenza”. Tutto ciò che una persona può conoscere in questo mondo, senza il timore del Signore, in “poco tempo” svanirà per sempre; mentre chi conosce il timore del Signore rimarrà per sempre. Ciò che uno apprende secondo il timore del Signore, dimorerà anch’esso, con Lui, in eterno; e in eterno gli è aperto il vasto universo, con tutte le sue possibilità di accrescimento della conoscenza. Così colui che ha il timore del Signore ha anche, in esso, per tutta l’eternità, tutte le altre cose: mentre qualsiasi altra cosa possa avere senza il timore di Dio, non avrebbe davvero nemmeno quello; perché in breve tutto ciò, con se stesso, dovrà svanire. Così, nella natura stessa delle cose, il timore del Signore è la più importante di tutte le cose ed è, quindi, propriamente l’inizio della conoscenza e di tutto il resto.

Bisogna anche ricordare che li, il timore del Signore è stato insegnato in modo chiaro. L’apprendimento riguardo al Signore non si limitava a insegnare dottrine o temi delle Scritture; non era un insegnamento di teologia o di cose sul Signore. Il timore del Signore stesso, come elemento distintivo dell’esperienza individuale, veniva insegnato. Gli studenti erano istruiti su cosa sia il timore del Signore, su come avvicinarsi a Lui, come pregarlo, come sottomettersi a Lui, come entrare in comunione con Lui, come invocare il Suo Spirito Santo, come essere guidati dallo Spirito, come vivere con Dio, come camminare con Lui, come fare in modo che il Signore dimori nella loro vita, come sapere di essere sempre alla Sua presenza, come avere Lui come compagno in tutto ciò che facevano nella loro vita quotidiana – in breve, come glorificare Dio nel corpo, nell’anima e nello spirito, in ogni pensiero, parola e azione.

Tutto questo è l’insegnamento della saggezza. La sapienza era la principale e l’onnipervasiva materia di studio nella scuola del Signore. E Daniele ci viene presentato come un esempio di ciò che tale insegnamento produrrà. Quando tale insegnamento pervaderà nuovamente le scuole del Signore, dei Daniele saranno nuovamente riprodotti.

CAPITOLO 11 – LO STUDIO DELLA CONOSCENZA

Il secondo aspetto dell’istruzione di Daniele e dei suoi tre compagni e dell’istruzione nelle scuole del Signore è la conoscenza. Quei giovani erano “abili nella conoscenza”.

Come abbiamo visto, la parola tradotta come “conoscenza” implica informazioni acquisite con il pensiero e l’applicazione, con lo studio, con l’indagine e con la ricerca. Questo è anche il pensiero di altre Scritture: “Se chiedi con forza il discernimento e alzi la tua voce per ottenere intendimento, se lo cerchi come l’argento e ti dai a scavarlo come un tesoro nascosto, allora intenderai il timore dell’Eterno, e troverai la conoscenza di DIO” {Proverbi 2: 3-5}. Come abbiamo visto, la conoscenza è il complementare è inseparabile dalla saggezza, che è il timore del Signore ed è essa stessa l’inizio della conoscenza. Di conseguenza, come la sapienza, anche la conoscenza è un dono di Dio, perché “dalla sua bocca procedono la conoscenza e l’intendimento” {Proverbi 2: 6}. E Colui “che insegna all’uomo conoscenza” {Salmi 94: 10} non conoscerà? Questa è una domanda posta dall’Ispirazione stessa e in un contesto tale che non può esserci risposta diversa dal fatto che Egli è proprio la fonte della conoscenza.

Per prima cosa viene posta la domanda: “Colui che ha piantato l’orecchio non ode Egli?” {Salmi 94: 9}. L’orecchio è uno strumento meraviglioso, adatto al suono. Nella creazione dell’orecchio è stata presa in considerazione la scienza del suono e lo strumento è stato adattato alla scienza. E prima che lo strumento dell’udito venisse creato, Colui che ha fatto i suoi meravigliosi adattamenti sapeva cosa significa sentire. La domanda successiva è: “Colui che ha formato l’occhio, non vede Egli?” L’occhio è uno strumento stupefacente, adattato alla luce. Nel creare l’occhio si è tenuto conto della scienza della luce e lo strumento è stato adattato alla scienza. E prima che venisse creato lo strumento per vedere, Colui che lo ha creato sapeva cosa significa vedere. E infine la domanda è: “Colui che insegna all’uomo la conoscenza, non conoscerà?” La mente dell’uomo è una creazione meravigliosa, adatta alla conoscenza. Nella creazione della mente, l’intero campo della scienza della conoscenza è stato considerato e la mente è stata adattata alla scienza e al suo campo. E prima che fosse creata questa stupenda facoltà di conoscere, Colui che l’ha creata sapeva cosa significa conoscere. Solo in Lui, quindi, si trova la Fonte della conoscenza. Solo da Lui può provenire la vera conoscenza; solo da Lui può venire la scienza della conoscenza.

Questo Lo rivela subito come l’unico vero Maestro dell’uomo. Ed è proprio questo l’atteggiamento con cui Egli si presenta: “Io sono l’Eterno, il tuo DIO, che ti insegna per il tuo bene” {Isaia 48: 17}, “davanti ti sta un uomo con una conoscenza impeccabile” e “chi può insegnare come Lui?” {Giobbe 36: 4, 22}.

E “l’Eterno dà la sapienza”. Quello che Egli insegna è solo conoscenza: è ciò che si può conoscere, non una mera teoria. Non è solo un’ipotesi, una supposizione o una congettura; è la certezza della conoscenza. E lo fa come fa tutte le altre cose: con la Sua Parola, perché “dalla sua bocca procedono la conoscenza e l’intendimento” {Proverbi 2: 6}. In un capitolo precedente abbiamo visto che è solo la verità che può essere conosciuta e che, quindi, la verità è il primo elemento essenziale della conoscenza. Ora la Parola di Dio, in quanto Parola di Dio, è essenziale, originale, verità ultima. Questa Parola è, quindi, la via aperta e sicura per la certezza della conoscenza.

Questo pensiero ci porta alla considerazione di un altro senso molto importante in cui il timore del Signore è l’inizio della conoscenza, e che illustra come certamente la sapienza e la conoscenza siano inseparabili. Se uno non conosce correttamente una cosa, non è certo della sua conoscenza né di se stesso in essa. La certezza è essenziale per la conoscenza autentica. La “conoscenza” derivata da supposizioni non è vera conoscenza; è solo una supposizione. Perché tutto ciò che si può ricavare da un’ipotesi è un’ipotesi. La “conoscenza” ricavata da un’”ipotesi funzionale” non è vera conoscenza, non è certezza. Tutto ciò che si può ottenere da un’ipotesi, “funzionale” o di altro tipo, è un’ipotesi. E anche se, in base alla teoria delle probabilità, la conclusione derivata da un’ipotesi può essere considerata come “un alto grado di probabilità”, la sua natura essenziale è quella di “probabilità” e non di certezza assoluta. Tutta questa “conoscenza” è accompagnata da un'”incertezza dolorosa” e anche della sua consapevolezza che di per sé vizia ogni sua qualità essenziale di vera conoscenza.

D’altra parte, colui che nel timore di Dio inizia con la verità di Dio come base, proprio per questo inizia con la certezza della conoscenza. Iniziando con la certezza della conoscenza – perché inizia con la certezza della verità, e, sotto la guida dello Spirito di Dio, che è lo Spirito di Verità, segue per conoscere solo la verità – l’allievo avanza non con esitazione a causa dell’incertezza, ma con fermezza e sicurezza per la certezza della conoscenza acquisita. Mentre si studiano la Parola e le opere di Dio, “lo Spirito Santo fa balenare nella mente la convinzione. Non è la convinzione che produce il ragionamento logico; ma, a meno che la mente non sia divenuta troppo oscura per conoscere Dio, l’occhio troppo debole per vederlo, l’orecchio troppo ottuso per ascoltare la sua voce – si coglie un significato più profondo”.

È vero che questo non è il modo abituale di cercare la conoscenza, ma è quello giusto. Il modo del mondo è quello di iniziare con “una supposizione, un’ipotesi, una congettura” come base. Ma non è infinitamente meglio, non è infinitamente più sensato iniziare con la certezza della verità, piuttosto che iniziare con una supposizione? E la verità di Dio non è forse una base più sicura di quanto non lo sia l’ipotesi di un uomo?

È nella natura delle cose che la mente dell’uomo debba avere un fondamento su cui costruire, una base da cui procedere, una premessa su cui ragionare. Su questo c’è un accordo universale. Il punto in cui nasce la differenza tra il cristianesimo e il mondo è: quale sarà questo fondamento, questa base, questa premessa? Chi lo fornirà? Deve essere una certezza o un’ipotesi? Sarà la certezza della verità di Dio o l’incertezza della supposizione di un uomo? Deve essere fornita da Dio o dall’uomo? Deve derivare dalla vera e pura Fonte della conoscenza?

CAPITOLO 12 – LO STUDIO DELLA SCIENZA

La terza caratteristica dell’educazione di Daniele è la comprensione della scienza. Questa era il complemento della seconda, come la seconda era il complemento della prima. Saggezza, conoscenza e scienza erano queste tre. La saggezza è il timore del Signore; questo è l’inizio della conoscenza. Daniele era “abile in tutta la sapienza”; era abile nel timore del Signore. Essendo questo l’inizio della conoscenza, Daniele aveva proceduto da questo inizio fino al suo completamento, aveva osservato i fatti e studiato le cose, diventando così “astuto nella conoscenza”; e da questo, a sua volta, aveva proceduto al suo complemento e aveva classificato e sistematizzato la sua conoscenza, comprendendo, così, la scienza.

Questo è l’ordine divino nell’educazione: primo, il timore del Signore; secondo, conoscenza; terzo, la scienza. In primo luogo, il timore del Signore come inizio e base di ogni conoscenza; in secondo luogo, la conoscenza acquisita dall’attenta osservazione dei fatti e dallo studio diligente delle cose alla luce e sulla base della certezza della verità; in terzo luogo, la scienza come risultato di questa conoscenza classificata e sistematizzata.

Ma dove Daniele, o i suoi maestri, hanno trovato una scienza formulata o una guida alla scienza che potesse essere utilizzata come studio a scuola o come parte materiale dell’educazione generale? – Senza esitazione si può dire, e lo si dice davvero, che tutto questo era materia di conoscenza comune in Israele da centinaia di anni o che, almeno i suoi principi, si trovavano nelle Sacre Scritture, la Bibbia di quel tempo.

Salomone visse e insegnò quattrocento anni prima dei tempi di scuola di Daniele. Salomone “era più saggio di tutti gli uomini”. E ciò che Salomone sapeva non teneva per sé, rinchiuso nella propria comprensione; ma lo insegnò al popolo. Lo condivise anche con tutta la nazione; lo divulgò. Era così semplice e chiaro che la gente comune poteva capirlo.

Salomone comprese a fondo ciò che oggi si chiama botanica, zoologia, ornitologia, entomologia, ittiologia e meteorologia. Infatti “parlò degli alberi, dal cedro del Libano all’issopo che spunta dal muro” e questo si chiama “botanica”. “Parlò pure degli animali” e questo si chiama “zoologia”. Parlò anche “degli uccelli” e questo si chiama “ornitologia”. Parlò “dei rettili” e questo si chiama “entomologia”. Parlò “dei pesci” e questo si chiama “ittiologia” {1 Re 4: 33}. Parlò del corso del vento nei “suoi giri”, delle nuvole e della pioggia: questa è la “meteorologia” {Ecclesiaste 1: 6-7; Ecclesiaste 11: 3-4}. Salomone conosceva di tutte queste scienze più di quanto un uomo di oggi ne sappia su ognuna di esse. E insegnò a tutto il popolo, perché “ne parlò”.

Non diciamo che Salomone insegnò la “botanica” in quanto tale, né la “zoologia” in quanto tale, né “ornitologia”, né “entomologia”, né “ittiologia”, né “meteorologia”. Non diciamo che abbia insegnato “scienza” come viene insegnata oggi, né come viene suggerita da questi paroloni; cioè la scienza in astratto. Non parlava di “botanica”, ma “parlava di alberi”, dal cedro che è nel Libano fino all’issopo che spunta dal muro”. Non parlò di “zoologia”; “parlò degli animali”. Non parlò di ornitologia”; “parlava degli uccelli”. Non parlò di “entomologia”; parlò di “rettili”. Non parlò di “ittiologia”, ma di “pesci”. Non parlò di “meteorologia”; parlò del vento nei “suoi giri” e del ritorno di “tutti i fiumi” dal mare al luogo da cui provenivano per “sfociare nel mare”.

Cioè, non fece discorsi dotti e altisonanti su questi argomenti; parlò delle cose stesse. I fiori stessi sono stati studiati; non il fiore strappato e fatto a pezzi, e ogni pezzo designato con un termine quasi impronunciabile e, forse, in una lingua straniera. Non questo, ma i fiori così come sono cresciuti, nei giardini, nei campi o nelle foreste, così come Dio li ha fatti crescere, rivestiti di una bellezza vivente. E la lezione che Dio insegna con ogni fiore è stata appresa dal fiore stesso, così com’era: per esempio, la piccola e graziosa violetta che cresceva pudicamente tra le erbe. Allo stesso modo, anche le bestie, gli uccelli, gli esseri striscianti e i pesci venivano studiati e analizzati così com’erano, vivi ed evidenti ai suoi occhi e agli occhi di coloro ai quali “egli parlava”. Salomone, infatti, acquisì il suo sapere applicando “il cuore a cercare e a investigare con sapienza tutto ciò che si fa sotto il cielo”. E come imparò, così insegnò.

Questo è il modo in cui la scienza veniva insegnata e appresa in Israele, dove il timore del Signore era l’inizio di ogni conoscenza, la guida di ogni studio e la base di ogni scienza. Si trattava di uno studio delle cose, piuttosto che di uno studio sulle cose. Ed è proprio questa la differenza che c’è oggi tra il modo giusto e quello sbagliato di studiare la scienza. Il modo giusto è studiare le cose; il modo sbagliato è studiare sulle cose. Studiando in questo modo giusto, lo studente impara sempre qualcosa, mentre studiando nel modo sbagliato, impara solo su qualcosa.

La maniera giusta gli dà una conoscenza pratica; il modo sbagliato gli dà solo teorie astratte, che non ha il coraggio di mettere in pratica. Questa scienza genuina, insegnata da Salomone, rimase col popolo anche dopo la morte di Salomone. Gran parte di essa fu messa per iscritto e quindi fu accessibile a insegnanti e studenti. E soprattutto, le lezioni erano sempre davanti a loro nelle bestie e negli uccelli, nei rettili e nei pesci, negli alberi e nei fiori, nel cielo e nel mare, nel sole e nella pioggia, nel vento e nelle nuvole.

Sappiamo che si ritiene comunemente che “gli Ebrei non capissero la scienza”; che fossero solo i pagani ad averla raggiunta. La fallacia di una simile visione si vede chiaramente dal fatto che, sebbene al tempo in cui Daniele venne portato in cattività, si suppone che Babilonia avesse il primato mondiale in materia di risultati scientifici, tuttavia quando questi quattro giovani ebrei furono esaminati lì, dopo tre anni di studio, “su ogni argomento che richiedeva sapienza e intendimento e intorno ai quali il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che erano in tutto il suo regno” {Daniele 1: 20}. Questi maghi, astrologi, ecc. erano gli scienziati di Babilonia. Alcuni di loro erano stati insegnanti della scuola di Babilonia, dove Daniele era obbligato ad andare a studiare. Tuttavia, quando arrivò il giorno dell’esame, Daniele e i suoi compagni si dimostrarono dieci volte più informati di tutti loro. Nessun uomo al mondo potrebbe mai insegnare dieci volte più di quello che sapeva. Per questo è certo che Daniele e i suoi fratelli non hanno ottenuto la loro grande conoscenza da quegli insegnanti. L’hanno ottenuta dalle loro stesse Scritture, sotto l’insegnamento dello Spirito di Dio. In altre parole, continuarono a Babilonia lo stesso sistema di studio che avevano usato in precedenza nel collegio di Gerusalemme; e in tutto ciò che significava veramente conoscenza negli studi babilonesi, essi ebbero un vantaggio dieci volte superiore a quello dei loro insegnanti.

Un’altra evidenza della fallacia della supposizione che gli ebrei non capissero la scienza, mentre i pagani sì, è il fatto che nei libri di oggi, e anche nei libri di testo standard, viene scritto e insegnato che Anassimandro, un greco, inventò il quadrante del sole intorno al 550 a.C., mentre il quadrante del sole era già in uso a Gerusalemme sotto il regno di Ahaz, quasi duecento anni prima {Isaia 38: 8; 2 Re 20: 11; 2 Re 16: 1}.

È possibile che per i greci tardivi l’orologio solare di Anassimandro fosse un’invenzione del tutto nuova e “una grande scoperta scientifica”; ma da parte nostra, ci rifiutiamo di credere ai libri che insegnano che il quadrante solare fu inventato da Anassimandro o da chiunque altro duecento anni dopo che era di uso comune presso gli Ebrei di Gerusalemme. La verità è che solo tra gli Ebrei era conosciuta la scienza più pura e più vera che sia stata conosciuta nel mondo almeno fino al tempo di Daniele.

E quando si troveranno di nuovo scuole che insegneranno la scienza com’era insegnata nella scuola in cui Daniele ha imparato, si troveranno di nuovo dei Daniele nella scienza, anche giovani che sapranno dieci volte di più degli insegnanti delle scuole in cui il timore del Signore non è considerato in alcun modo collegato alla scienza.

Non è mai stato commesso un errore più grande, non è mai stata subita una perdita più importante, né dalla Chiesa, né dal mondo – e sono stati commessi errori da entrambi – di quello di separare il timore del Signore – la religione – dalla scienza.

La Chiesa, quando governava il mondo, riteneva che il timore del Signore fosse una questione a sé stante e non avesse alcuna relazione con l’osservazione dei fatti e lo studio delle cose; e quindi che la religione non avesse nulla a che fare con la scienza. Di conseguenza, i più “pii”, i “santi”, si allontanavano dai fatti e dalle cose, si rinchiudevano in chiostri e celle o si mettevano in cima a pilastri, si dedicavano alla “meditazione divina” e trascorrevano il loro tempo in “adorazione”, cercando di capire quante volte potevano inchinarsi o prostrarsi in un’ora; oppure a disegnare filati distinzioni nella dottrina e a esporre teorie tirate per i capelli nella teologia, e poi accusare e cacciare come “eretici” tutti coloro che non sposavano le loro particolari distinzioni mentre nemmeno loro stessi non erano in grado di affermarle chiaramente. Poi, man mano che il numero di distinzioni teologiche, le “eresie”, ovviamente, si moltiplicavano, si tenevano dei concili per raddrizzare gli “eretici”.

Nel mettere in riga gli eretici, i concili erano obbligati a interpretare autorevolmente la Parola di Dio. Concili diversi la interpretavano in modo diverso. I ricorsi venivano presentati al vescovo di Roma, in quanto capo della “cristianità”. E così il vescovo di Roma è diventato l’oracolo attraverso il quale la Parola di Dio poteva essere interpretata correttamente, non solo per la Chiesa, ma anche per la scienza. Si sviluppò così l’infallibilità della “chiesa”, che non era altro che l’infallibilità del vescovo di Roma come voce principale della “chiesa”; perché ovunque si trovi l’interpretazione autorevole della Parola di Dio, o la rivendicazione di essa, lì si trova l’infallibilità o la sua pretesa.

Il mondo, invece, riteneva che il timore del Signore fosse una questione del tutto a parte e che non avesse alcun rapporto con l’osservazione dei fatti e lo studio delle cose; e quindi riteneva che la religione non avesse “nulla a che fare con la scienza”.

Così ebbe origine il conflitto tra religione e scienza. Questo conflitto è sempre continuato da parte del mondo. Ma dopo la Riforma, c’è stato uno sforzo da parte della chiesa per collegare religione e scienza. Tuttavia, in questo sforzo, la “scienza”, come il mondo l’ha sviluppata, è stata presa come standard e il timore del Signore – la religione – è stato reso conforme. Ma questa “scienza” è stata costruita senza il timore di Dio e, in molti casi, in diretto contrasto con esso. E quando questo è stato accettato dalla Chiesa come lo standard al quale il timore del Signore deve essere sottomesso e valutato, questo ha fatto sì che la “scienza” e, persino la scienza falsamente chiamata così, diventasse l’inizio della conoscenza, e il timore del Signore, la fine; invece che il timore del Signore sia l’inizio e la scienza – la vera scienza – la fine. La scienza è stata fatta diventare la testa e il timore del Signore la coda. E così la Parola di Dio, l’unica con la quale si può acquisire il timore del Signore, è stata resa, anche dalla Chiesa, subordinata a quella umana e persino antagonista, alla “scienza”; la Parola del Signore deve essere interpretata da questa “scienza” umana e antagonista: infedeli e atei, attraverso questa scienza a cui la chiesa rinviava, diventavano gli oracoli attraverso i quali solamente la Parola di Dio avrebbe potuto giungere – correttamente interpretata – anche alla Chiesa. E così si è rapidamente sviluppata l’infallibilità della “scienza” che, una volta terminata, non sarà altro che l’infallibilità del dettame della voce principale della scienza, che parla ex cathedra.

La verità eterna è che la vera religione e la vera scienza sono inseparabili. Né con Salomone, né con Daniele c’è mai stato un conflitto tra religione e scienza. Mai esistita alcuna divergenza tra religione e scienza; cosicché né in caso di Salomone, né in quello di Daniele ci è voluto un accomodamento, così come non ci fu un conflitto tra religione e scienza. Con entrambi questi uomini, la scienza era ciò che è sempre: il complemento della religione.

La vera scienza è il complemento della vera religione, ed è solo il complemento, non è mai l’essenza. Il timore del Signore è l’inizio della conoscenza, ed è solo l’inizio. Non è destinato a essere altro che l’inizio della conoscenza. Perciò chi non prende il timore del Signore e non lo usa per acquisire la conoscenza, commette un errore infinito. E colui che prende il timore del Signore e lo usa per acquisire la conoscenza, ma non riesce a far sì che la sua conoscenza raggiunga il grado e il carattere della scienza, vanifica il vero scopo per cui ha ricevuto il timore di Dio. Chi riceve ciò che è l’inizio della scienza, è vincolato proprio da questo, per quanto dipende da lui, a proseguire e a raggiungere il fine di ciò di cui ha ricevuto l’inizio.

E così – con il timore del Signore come inizio della scienza, e la scienza come complemento inseparabile del timore del Signore; con la Parola di Dio come mezzo per conoscere il timore di Dio, e questa stessa Parola come base di ogni scienza; con lo Spirito Santo di Dio come grande maestro e unico interprete della Parola di Dio – la vera religione e la vera scienza saranno unite, insieme e inseparabili, ora e per sempre; e l’infallibilità sarà al suo posto – con Dio, l’Autore della vera religione e della vera scienza.

CAPITOLO 13 – LO STUDIO DELLA SCIENZA MENTALE

Dio solo è l’Autore della vera scienza e la Sua Parola è l’unico suo fondamento certo per l’uomo. Tutte le scuole cristiane devono insegnare la scienza, che è conoscenza. Essendo scuole cristiane, devono insegnare la scienza divina, la conoscenza divina e non la scienza umana. Perché Gesù, che è il grande Maestro in ogni scuola veramente cristiana, “non ha inserito nel suo insegnamento alcuna delle scienze degli uomini”. “La Sua maestà non poteva mescolarsi con la scienza umana, che prima o poi si staccherà dalla grande Fonte di ogni sapienza. L’argomento della scienza umana non ha mai sfiorato le Sue labbra sante”.

In ogni campo del pensiero o dell’istruzione c’è una scienza divina e una scienza umana. E queste sono opposte l’una all’altra, perché la tendenza costante della scienza umana è quella di separarsi dalla Fonte della vera saggezza. In effetti, la natura stessa della scienza umana – che, si badi bene, è solo una conoscenza umana – è l’inimicizia contro Dio.

Ci sono tre grandi scienze di base: la scienza mentale, la scienza morale e la scienza fisica. Tutte le fasi concepibili della scienza non sono che rami di queste. E queste tre sono così strettamente correlate che nessuna è, né può essere, completa senza le altre.

La prima di tutte le scienze, per importanza e natura, è la scienza mentale. Al primo posto, quindi, in ogni sistema di insegnamento, viene naturalmente l’insegnamento della scienza mentale. La scienza mentale, o psicologia, se si preferisce trattarla come “ologia”, è la scienza della mente. E poiché, nella natura delle cose, è la mente che fa ogni cosa cosciente o intelligente, la conoscenza e l’addestramento della mente sono al primo posto in ogni insegnamento.

Ancora: l’unico vero obiettivo dell’educazione “è ripristinare l’immagine di Dio nell’anima”. È con la mente che serviamo la legge di Dio. Nessun dono più grande può essere concesso a un’anima che servire la legge di Dio. Nessuna posizione più alta o più onorevole può mai essere raggiunta da una creatura che servire la legge di Dio, cioè, essere interamente, così completamente in armonia con Dio che ogni pensiero, ogni motivazione e ogni azione sia il perfetto riflesso della volontà di Dio. E “con la mente” si compie questo servizio. La mente è la radice da cui scaturiscono gli altri componenti dell’individuo: la mente è il perno su cui ruota tutto il resto. Stando così le cose, è certo che, nella natura stessa delle nell’esistenza dell’individuo, in tutta l’educazione la conoscenza della mente è al primo posto per importanza.

Poiché “mentale” significa la mente, la scienza mentale è la scienza della mente. E poiché “scienza” è conoscenza, la scienza della mente è conoscenza della mente. Come si può quindi ottenere la vera conoscenza della mente? L’indagine su ogni altro argomento viene fatta con la mente; la conoscenza di ogni altra scienza si ottiene con la mente.

Attraverso il microscopio la mente può studiare e conoscere le complicazioni più intricate, i corpi più infinitesimali e le manifestazioni più sottili del mondo naturale. Attraverso il telescopio, la mente può studiare i pianeti a distanze quasi infinite e conoscere le loro caratteristiche. Con questi e altri mezzi simili la mente può esplorare l’intero regno della natura. Ma come può la mente indagare su sé stessa? Come può la mente esplorare il regno della mente stessa?

Può la mente fare tutto ciò riguardo a sé stessa? Può la mente prendere una posizione di sé stessa e mettersi sotto un microscopio mentale composto da sé stessa, e così, attraverso sé stessa, indagare su sé stessa? Una cosa del genere è impossibile non solo mentalmente, ma anche fisicamente.

Con la mente indaghiamo tutte le altre cose. Ma per indagare e conoscere la mente stessa dobbiamo avere un’altra mente, così come per indagare e conoscere qualsiasi altra cosa dobbiamo avere la mente stessa. La mente individuale non può prendere posizione su se stessa, esaminare e analizzare se stessa; ma la mente individuale può trovare un’altra Mente che le permetta di avere una conoscenza vera e certa della mente individuale. Quella Mente è la Mente originaria e ultima; e quindi la Fonte di tutta la conoscenza e di tutta la vera scienza della mente. Chiunque voglia trovare una conoscenza certa, la vera scienza della mente, chieda a Colui che è la Sorgente della mente. Quando troviamo ciò che Dio ha detto della mente, troviamo la vera conoscenza della mente.

Egli ha detto di aver fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza. L’uomo è stato creato per rappresentare, riflettere e manifestare Dio – non sé stesso. Dio ha fatto la mente dell’uomo la cui ogni facoltà fosse la facoltà della Mente divina: che fosse il più alto mezzo creato per esprimere, per ripresentare la Mente divina. Tutte le cose create non sono altro che l’espressione del pensiero di Dio, poiché “i cieli furono fatti per mezzo della parola dell’Eterno, e tutto il loro esercito mediante il soffio della sua bocca… Egli parlò e la cosa fu” {Salmi 33: 6, 9}. Dalla Parola di Dio “sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili” {Colossesi 1: 16}. La parola è l’espressione del pensiero e il pensiero è il prodotto della mente. Tutte le cose create, essendo il prodotto della Parola di Dio, sono solo tante forme di espressione del pensiero di Dio. La creazione dell’uomo – la creazione della mente – è stato il coronamento della creazione; pertanto la mente dell’uomo è il più alto mezzo creato per riflettere, per ripresentare, per esprimere il pensiero di Dio.

Notate l’illustrazione divina di questo fatto: quando Dio aveva creato l’uomo da solo, fece passare davanti a lui tutte le bestie e gli uccelli, “per vedere come li avrebbe chiamati”. Non, come molti interpretano erroneamente, per fargli dare dei nomi; ma in realtà “per vedere come li avrebbe chiamati”. Era una prova della mente dell’uomo. Tutte queste cose create, essendo il prodotto della parola di Dio, erano espressioni diverse del pensiero di Dio. Quando ognuna di esse passava davanti all’uomo, istantaneamente il suo intelletto si è spinto fino al nucleo del suo essere, la sua mente ha letto il pensiero di Dio in esso espresso, e quel pensiero lo ha riprodotto nel pronunciare la parola che definiva la natura essenziale e la caratteristica di ciascuno. Infatti, “in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ogni essere vivente, quello doveva essere il suo nome” {Genesi 2}. Qualunque fosse il suo nome, era esattamente quello che è.

Questo dimostra che la mente dell’uomo era di un’ampiezza tale da abbracciare la creazione; che era di una versatilità così perfetta da cogliere prontamente le caratteristiche della creazione così varia; che si muoveva facilmente con una precisione così assoluta da individuare istantaneamente la natura essenziale e distintiva di ogni cosa creata, per quanto sottile potesse essere questa distinzione; e che la sua stessa personalità nel suo libero arbitrio era così perfettamente sottomessa alla Volontà divina, così completamente in armonia con la Mente divina, che il pensiero di quella Mente, comunque espresso, veniva immediatamente catturato dalla sua mente e diventava il suo pensiero, ed egli pensava i pensieri di Dio.

Ma non è tutto. Non era solo nella parola di Dio, espressa nella creazione visibile, che l’uomo trovava e pensava i pensieri di Dio. La parola di Dio arrivava direttamente all’uomo. Dio parlava direttamente all’uomo; così l’uomo comunicava con Dio tramite i pensieri di Dio direttamente espressi nella parola e attraverso lo Spirito di Dio. Questo, nel senso più alto possibile, ha reso la mente dell’uomo il mezzo più elevato creato per riflettere la Mente divina, per esprimere il pensiero di Dio, per glorificare Dio. Questo è l’uomo, questa è la mente così com’era l’uomo nella creazione di Dio.

Ma all’uomo è arrivata un’altra parola, l’opposto della parola di Dio, che trasmetteva il pensiero e la mente di colui che si oppone a Dio. L’uomo aveva la parola di Dio. Fintanto che riceveva e tratteneva quella parola e in essa il pensiero e la mente di Colui che possedeva la parola, avrebbe avuto la mente di Dio come guida. Una espressione di quella parola era: “ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai” {Genesi 2: 17}.

L’altra parola che gli venne rivolta fu: “Voi non morrete affatto; ma DIO sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno, e sarete come DIO, conoscendo il bene e il male”. diventerete come dèi, conoscendo il bene e il male” {Genesi 3: 4-5}. Quest’altra parola, l’opposto della parola di Dio è stata ascoltata, il suo pensiero è stato accolto e in questo è stata ricevuta la mente di colui che possedeva il pensiero e la parola. Allora, con questa mente opposta, tutto fu visto al contrario: l’albero, che non era in alcun senso buono per cibo, né da desiderare per diventare saggio, ora si vedeva come esattamente ciò che non era. “E la donna vide che l’albero era buono da mangiare, che era piacevole agli occhi e che l’albero era desiderabile per rendere uno intelligente; ed ella prese del suo frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito che era con lei, ed egli ne mangiò” {Genesi 3: 6}. Così, quando Satana venne a pronunciare le sue parole, trasmettendo il pensiero e i suggerimenti della sua mente malvagia, e quando fu accettata questa strana parola con il suo pensiero e i suoi consigli malvagi – al posto della parola e del pensiero della mente di Dio – allora la mente malvagia del nemico – e non la mente di Dio – fu accolta e divenne la mente che guidava l’uomo. Questa mente, essendo la mente di Satana, è inimicizia contro Dio, perché non lo è e non può essere soggetta alla legge di Dio. Ed è così che la mente dell’uomo nel peccato, la mente naturale, “la mente controllata dalla carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomessa alla legge di Dio e neppure può esserlo” {Romani 8: 7}.

E ora – che era pieno della mente malvagia del nemico, con i suoi desideri perversi e le sue cattive ambizioni – l’uomo rifletteva l’immagine e la vergogna di colui che l’aveva condotto al peccato invece di riflettere, come prima, l’immagine e la gloria di Colui che l’aveva creato nella giustizia e nella vera santità. Proprio come, certamente, prima che l’uomo peccasse rifletteva l’immagine e la gloria del suo Creatore nella giustizia così, certamente, dopo aver peccato rifletteva l’immagine e la vergogna del suo seduttore verso il peccato.

Questa verità si nota in ogni tratto di condotta umana sùbito dopo il suo peccato. Non appena la gloria fu allontanata da loro, a causa del peccato, si sono “vergognati” davanti a Colui alla cui presenza prima si erano solo rallegrati. Ora, quando udirono la voce di Dio, invece di essere pieni di gioia si spaventarono e cercarono di nascondersi da Lui, credendo addirittura che fosse possibile nascondersi e di averlo fatto. Non è questa la mente che pensa i pensieri di Dio. È invece il riflesso della mente di Lucifero in cielo, il quale, non comprendendo il proposito del Signore, pensava di potergli nascondere i propri scopi.

Ancora: quando il Signore chiese all’uomo: “Hai forse mangiato dell’albero del quale io ti avevo comandato di non mangiare?”, invece di rispondere direttamente e onestamente: “L’ho fatto”, rispose in modo indiretto ed evasivo, coinvolgendo nella colpa sia il Signore che la donna, prima di sé stesso. Disse: “La donna che tu mi hai messo accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. E quando il Signore chiese alla donna: “Perché hai fatto questo”? Piuttosto che rispondere chiaramente e onestamente, anche lei coinvolge altri prima di sé stessa, proteggendosi come aveva fatto l’uomo. Disse: “Il serpente mi ha sedotta, e io ne ho mangiato” {Genesi 3: 11-13}.

Il Signore non ha mai messo nell’uomo una mente come quella. Eppure, tutti sappiamo che proprio questa mente si trova naturalmente in tutta l’umanità, ancora oggi. Tutti sanno che non è nella natura dell’uomo confessare una colpa apertamente, francamente e subito. L’impulso spontaneo in ogni anima umana è quello di schivare e nascondersi dietro qualsiasi cosa o persona al mondo e cercare di discolpare sé stesso, coinvolgendo un altro. E se, tuttavia, non riesce a scamparsela completamente, se deve proprio assumersi la colpa, deve essere la minor colpa possibile. Un simile atteggiamento non è mai stato messo dal Signore nell’uomo. Non è del Signore. È di Satana. È il comportamento, la mente e lo spirito stesso di Lucifero, la guida originale nella via del peccato.

Ma il Signore, nel Suo amore e nella Sua misericordia, non avrebbe lasciato l’umanità schiava e distrutta a causa del possesso di una tale mente. “L’Eterno Dio disse al serpente: “E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei” {Genesi 3: 15}. Con questa parola benevola, Dio penetrò e spezzò la coltre di tenebre che, nella mente di Satana, aveva completamente avvolto l’umanità. Con questa parola fece risplendere la luce divina nella mente oscurata del prigioniero schiavizzato che giaceva inerme. E questa luce è “la luce vera, che illumina ogni uomo che viene nel mondo.” {Giovanni 1: 9}.

Perché questa inimicizia contro Satana, questo odio per il male – che Dio, attraverso questa parola colloca nella mente di ogni persona che viene al mondo – fa sì che ogni anima odi il male e desideri il bene e che brami la liberazione dalla schiavitù del male per il glorioso riposo e la delizia del bene. E poiché questa liberazione si trova solo in Cristo, quella promessa di porre l’inimicizia tra Satana e gli uomini è la promessa del dono di Cristo, “il Desiderio di tutte le nazioni” {Aggeo 2: 7}.

È così che ” il Figliuol di Dio è venuto e ci ha dato la mente” {1 Giovanni 5: 20 – Ricciotti}. È così che fin dall’istante in cui quella parola benevola fu pronunciata all’uomo peccatore nel giardino, la prima parola di Dio a tutta l’umanità è stata: “Pentitevi”, cioè, ripensateci. Cambiate la vostra mente dalla guida di Satana alla guida di Dio; “Abbiate in voi lo stesso sentimento [la stessa mente] che già è stato in Cristo Gesù”. {Filippesi 2: 5}.

È per questo che gli uomini sono esortati dalla Parola di Dio: “E non vi conformate a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente” {Romani 12: 2}. Ed è per questo che tutti coloro che ricevono questo consiglio divino possono dire: “Abbiamo la mente di Cristo” {1 Corinzi 2: 16}.

Così la Mente Assoluta e l’Autore della mente umana si è espresso sul tema della mente; e ha rivelato chiaramente che ci sono due menti che competono per la scelta e lo studio degli uomini. E ogni uomo è libero di scegliere quale di queste due menti sia la sua mente guida e l’oggetto del suo studio nella scienza mentale. Quale di queste due è degna di essere scelta dagli uomini come campo della scienza mentale? Dell’unica mente, la mente dell’uomo così com’è, la mente naturale, l’Autore della mente ha dichiarato: “la mente controllata dalla carne è inimicizia contro Dio” {Romani 8: 7}. Questa è la verità che proviene da Colui che è la Fonte della conoscenza. Ne consegue che qualsiasi scienza umana della mente umana, la psicologia umana, può essere solo la scienza dell’inimicizia contro Dio; e lo studio di qualsiasi scienza umana della mente umana, lo studio della psicologia umana può essere solo lo studio di ciò che è inimicizia contro Dio.

Ma che profitto c’è, che profitto potrà mai essere ricavato dallo studio dell’inimicizia contro Dio? Supponiamo che questa mente, che è inimicizia contro Dio, venga studiata e analizzata e che tutti i suoi fenomeni siano marchiati, da questa mente che è inimicizia contro Dio, cosa ne ricaverà lo studente? – Solo inimicizia contro Dio. Che cosa conoscerà? – Solo inimicizia contro Dio. E non se ne renderà conto; penserà che sia qualcos’altro. Se sapesse davvero che si tratta di inimicizia contro Dio, sicuramente non la studierebbe affatto. Sicuramente, quindi, in nessuna scuola cristiana si studierà una scienza umana della mente. Sapere che cos’è, sapere che è inimicizia contro Dio, è certamente sufficiente da non perderne tempo in uno studio dettagliato.

Dell’altra mente, la mente dell’uomo com’era, la mente originaria e spirituale, l’Autore della mente ha detto che è “la mente di Cristo”, che è “Dio manifesto”, in cui “abita tutta la pienezza della Divinità” e che è “Dio”. Diceva di essere la mente di Colui che è “misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato” {Esodo 34: 6-7}, la mente di Chi, in una parola, è “Amore”; e che è la Fonte della saggezza e della conoscenza – della filosofia e della scienza.

Ecco una mente che è sommamente degna dell’impegno più devoto e dello studio più approfondito. Ecco una mente la cui conoscenza è solo una continua ispirazione e una benedizione eterna. È la Mente divina stessa. La conoscenza di questa Mente è, nella natura delle cose, conoscenza divina. E questa conoscenza è liberamente aperta a noi. Anzi, questa stessa Mente ci è data gratuitamente. Perché Egli ci ha donato liberamente il Suo stesso Spirito eterno; ed è uno dei compiti di questo Spirito eterno quello di farci conoscere le cose di Dio, di prendere le cose di Dio e mostrarcele, di scandagliare le infinite profondità dell’eterno proposito di Dio e di far emergere i tesori dell’amore, della sapienza e della conoscenza di Dio e di renderli evidenti alle nostre menti e di confermarli alla nostra comprensione. Perciò l’esortazione divina è: “siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio” {Romani 12: 2}. Questa trasformazione della vita e del carattere, del corpo, dell’anima e dello spirito, attraverso il rinnovamento della mente per mezzo della fede in Gesù Cristo – questa è una scienza mentale, questa è una psicologia, una vera scienza degna dell’impegno più laborioso e intenso delle capacità degli insegnanti e degli studenti. E questa scienza è divina. Esiste, quindi, una scienza divina della mente, una psicologia divina aperta a tutti, insegnanti e studenti di tutte le scuole. Questa scienza mentale divina non dovrebbe quindi essere studiata in tutte le scuole cristiane?

La conoscenza della mente deve consistere nella conoscenza delle caratteristiche, delle operazioni e dei fenomeni della mente. La scienza umana della mente consisterebbe in una conoscenza sistematizzata delle caratteristiche, delle operazioni e dei fenomeni della mente umana. La scienza divina della mente sarebbe una conoscenza sistematica delle caratteristiche, delle operazioni e dei fenomeni della mente divina. Ora, quale di questi campi della scienza mentale – quello umano o quello divino – presenta le prospettive più favorevoli per uno studio proficuo?

Per chi crede nell’esistenza di una Mente divina che, in qualche modo è accessibile all’indagine dell’uomo, potrebbe esistere un eventuale terreno di confronto tra l’umano e il divino come campo di studio proficuo? Non è forse evidente che, se esiste una Mente divina e se questa Mente è, in qualche modo, accessibile all’indagine dell’uomo, sicuramente la scienza di quella Mente presenta un campo molto più promettente di quello umano, poiché il divino è al di sopra dell’umano?

Quando uno crede nell’esistenza di una Mente divina accessibile all’indagine dell’uomo, ma fa della mente umana il campo di studio della scienza mentale, pone l’umano al posto del divino, lo colloca praticamente al di sopra del divino, dimostrando così che la sua testimonianza di fede nel divino non è che un mero assenso, senza peso e senza effetto nella sua vita. “Ora, carissimi, anche se parliamo così, riguardo a voi siamo convinti di cose migliori”. {Ebrei 6:9} Esiste una Mente divina. Questa Mente divina è aperta allo studio dell’uomo. L’uomo è invitato e incoraggiato a indagare sulla natura e sulle operazioni di questa Mente divina.

Le operazioni della mente, sia divina che umana, avvengono esclusivamente attraverso il pensiero. E, in primo luogo, il pensiero si esprime nella parola. Il pensiero divino si esprime nella Parola divina. E nell’espressione del pensiero divino, come in nessun altro pensiero, le parole sono, realmente, cose. Perché “in principio era la Parola” {Giovanni 1: 1} e “tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola)” {Giovanni 1: 3}. “L’universo è stato formato per mezzo della parola di Dio” {Ebrei 11: 3}. “Poiché egli parlò e la cosa fu” {Salmi 33: 9}. È per mezzo della parola del Signore che sono state create tutte le cose che sono. E poiché la parola è l’espressione del pensiero, è evidente che tutte le cose che esistono non sono altro che le diverse forme dell’espressione del pensiero di Dio. Così dice la Scrittura: “Poiché tu mi hai rallegrato con ciò che hai fatto, io esulto per le opere delle tue mani. Quanto sono grandi le tue opere, o Eterno, come sono profondi i tuoi pensieri!” {Salmi 92: 4-5}.

Ne consegue che il metodo corretto di studio di tutte le cose che sono sia quello di studiarle come espressioni del pensiero di Dio e di scoprire quale sia il pensiero che viene così espresso. Questo non è altro che lo studio, per ottenere la conoscenza, della Mente divina; e questo, di per sé, è scienza mentale divina. Così tutta la creazione diventa un campo della scienza mentale; e tutto lo studio della natura, propriamente inteso, è lo studio della scienza della Mente divina.

Leggere i pensieri di Dio, studiare i fenomeni della Mente divina in questo vasto e meraviglioso ambito è la prima occupazione in cui l’uomo, appena creato in modo perfetto e retto, fu coinvolto. A questa occupazione fu designato e chiamato l’uomo dal Creatore stesso. E anche se questo fatto rappresenta molto di più, di per sé, significa che di tutte le occupazioni che si addicono all’uomo, sotto la consapevole e riconosciuta guida divina, la prima dovrebbe essere quella di leggere i pensieri e studiare i fenomeni della mente di Dio nel meraviglioso ambito di studio della creazione.

Ma questo ambito dell’intera creazione, per quanto meraviglioso, è solo una parte del vasto campo della scienza mentale. C’è dell’altro, ancora più meraviglioso: “ma il Signore ha cura di [pensa a] me” {Salmi 40: 17}. E: “Poiché io conosco i pensieri che ho per voi», dice l’Eterno, «pensieri di pace e non di male” {Geremia 29: 11}. Questi pensieri sono i Suoi pensieri di salvezza per i peccatori – la redenzione dei perduti – e sono espressi nella Parola della Sua salvezza, il vangelo del Signore Gesù Cristo. Perché questo vangelo è la rivelazione del “proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesù, nostro Signore” {Efesini 3: 11}.

Questi due grandi ambiti della scienza mentale – i pensieri di Dio nella creazione e i pensieri di Dio nella redenzione – furono il campo di studio di Salomone, l’uomo più saggio che sia mai vissuto dopo Adamo. Ma ora, da quando l’uomo è diventato soggetto al peccato, il campo del pensiero di Dio nella redenzione ha la precedenza; perché l’uomo deve essere salvato dalle tenebre e dalla perversione della mente in cui è stato sedotto da Satana, prima di poter leggere correttamente i pensieri di Dio espressi nella creazione. Di conseguenza, sebbene Salomone abbia dato il suo cuore per cercare e ricercare tutte le cose che sono fatte sotto il cielo e in questo ebbe un grande successo, tuttavia fu “per mezzo della sapienza”, che è “il timore del Signore”, che lo fece. Di conseguenza esalta anche la sapienza, il timore del Signore, come l’unica cosa fondamentale, tra tutte le cose da desiderare {Proverbi 3: 15}.

Per questo motivo, anche con Cristo, il modello umano di tutti i tempi e l’ultimo Adamo, il pensiero di Dio nella redenzione era il campo di trascendente importanza che avrebbe dovuto occupare la mente umana: non escludendo in nessun modo il campo della creazione, ma per il fatto di essere l’unica vera via d’accesso alla luce, in cui il pensiero di Dio nella creazione può essere visto chiaramente e letto correttamente.

E non è solo per gli uomini sulla terra e nel peccato che il pensiero di Dio nel campo della redenzione, il Vangelo di Cristo, è ritenuto di importanza trascendentale per comprendere la profondità del significato del pensiero di Dio. Si estende persino ai mondi non caduti e alle intelligenze luminose del cielo stesso. I pensieri di Dio, coinvolti nel Suo scopo eterno ed espressi nella Sua Parola del Vangelo, sono la scienza principale delle intelligenze celesti. Perché la predicazione delle “imperscrutabili ricchezze di Cristo” è “manifestare a tutti la partecipazione del mistero che dalle più antiche età è stato nascosto in Dio, il quale ha creato tutte le cose per mezzo di Gesù Cristo; affinché, per mezzo della chiesa, nel tempo presente sia manifestata ai principati e alle potestà, nei luoghi celesti, la multiforme sapienza di Dio, secondo il proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesù, nostro Signore” {Efesini 3: 8-11}.

E quando questo viene predicato “mediante lo Spirito Santo mandato dal cielo”, “gli angeli desiderano” con intenso interesse “riguardare addentro”, per poter vedere la molteplice saggezza rivelata nell’operazione della mente divina nell’operare il proposito eterno {1 Pietro 1: 12}.

Ecco, dunque, due infiniti regni della scienza della Mente divina aperti all’indagine dell’uomo. Ed entrambi hanno il loro centro in Gesù Cristo, perché entrambi i fenomeni sono l’espressione del pensiero della Mente divina; e poiché il pensiero si esprime con la parola, e Gesù Cristo è la Parola di Dio, così – sia nella creazione che nella redenzione – Gesù Cristo è l’espressione del pensiero di Dio. E siccome Gesù Cristo è l’espressione del pensiero di Dio in questi due meravigliosi campi d’azione della Mente divina, è perfettamente evidente che senza di Lui i pensieri espressi in questi campi non possono essere compresi.

Alla luce di queste cose, non è forse perfettamente chiaro e facilmente comprensibile perché “Gesù non portò nel Suo insegnamento nessuna scienza degli uomini”; perché “sua Maestà non poteva mescolarsi con la scienza umana”; perché “l’argomento della scienza umana non ha mai sfiorato le Sue labbra sante” e perché “la scienza umana un giorno sarà scollegata dalla grande Fonte di tutta la saggezza”?

E quando gli uomini abbandonano questo meraviglioso doppio campo della scienza della Mente divina spendendo il loro tempo e i loro sforzi nel campo oscuro e ristretto dell’operazione della mente umana – che è inimicizia contro Dio – non è forse vero che essi hanno lasciato le belle acque della neve del Libano, che provengono dalla Roccia del campo, per “le acque torbide della valle”? Sì, sono tornati alle “fogne comuni”. E quando ciò avviene, ci si può meravigliare se “il risultato” sia “l’inaridimento dei cuori nella scuola e nella chiesa”? Le scuole cristiane, allora, non dovrebbero insegnare come scienza mentale solo la scienza della Mente divina?

CAPITOLO 14 – LO STUDIO DELLA SCIENZA MORALE

La scienza morale deve essere insegnata in ogni scuola cristiana. Non è meno importante dell’insegnamento della scienza mentale anche se, nella natura delle cose, è seconda in ordine di importanza rispetto alla scienza mentale, perché è solo con la mente essa che può essere studiata. La retta morale si può discernere solo con una mente retta. Perciò la vera scienza morale può essere compresa solo attraverso la vera scienza mentale. Quindi, anche se in questo senso, la scienza morale è seconda in ordine di importanza rispetto alla scienza mentale, non per questo è meno importante; anzi, le due cose sono inseparabilmente collegate.

Tuttavia, anche se parliamo di “scienza morale” e “scienza mentale” e le trattiamo come scienze, come in effetti sono, nessuno cada nell’errore di pensare che queste scienze siano cose astruse, oscurate e confuse, nascoste da parole altisonanti e al di là della portata delle persone di comune comprensione. Non è così. La vera scienza è sempre semplice e facilmente comprensibile. Quanto più una scienza è vera e comprensibile, tanto più è semplice e meglio può essere spiegata a chi la desidera conoscere. “Morale” è il nome comune della virtù, per cui la scienza morale, o la scienza della morale, è la scienza della virtù. E la virtù si riferisce al giusto, al buono, al vero, al puro. Ha a che fare con la condotta e la condotta si riferisce al carattere. In altre parole, la scienza morale è la scienza del carattere. E la scienza è conoscenza. In parole più esatte, siccome la morale è carattere e la scienza è conoscenza, la scienza morale è la conoscenza del carattere.

Quale sarà, dunque, il campo di studio della scienza morale? Quale Carattere sarà la base e l’oggetto di questa conoscenza? Sarà il carattere umano o il carattere divino? Vale a dire: nelle scuole cristiane si studierà la scienza morale umana o quella divina?

Dal momento che queste scuole si dichiarano cristiane, l’unica scienza morale che può essere studiata in modo coerente è la scienza morale cristiana. Il carattere cristiano è il carattere di Gesù Cristo è il carattere di Cristo è il carattere di Dio; pertanto, l’unica scienza del carattere che può essere studiata coerentemente in qualsiasi scuola cristiana è la scienza del carattere di Dio. Nell’educazione il carattere è tutto. In tutta la vera educazione l’unico scopo principale, l’unica cosa a cui tutte le altre cose devono convergere e a cui devono contribuire, è il carattere. Infatti, è stato anche scritto che, pur avendo l’intendimento della filosofia più profonda e di tutte le scienze; e sebbene abbia una versatilità e un’eloquenza tali da poter parlare le lingue degli uomini e degli angeli; eppure “sono nulla” se non ho la carità, che è semplicemente il carattere supremo, “il vincolo della perfezione” {2 Corinzi 13; Colossesi 3}. E abbiamo visto, in Grecia e a Roma la natura viziosa e i risultati rovinosi della più alta educazione classica senza carattere: della quasi perfetta cultura mentale e fisica senza morale.

La storia della morale dell’uomo è parallela alla storia della mente dell’uomo. Questo è inevitabile, perché la mente è la cittadella della morale: “Come pensa il suo cuore, così egli è” {Proverbi 23: 7}; “con la mente servo la legge di Dio” {Romani 7: 25}. Dio ha fatto l’uomo retto, a Sua immagine e somiglianza, rivestito della Sua stessa gloria, che riflette il suo stesso carattere. Dio ha fatto l’uomo per rimanere in questa condizione per sempre: ma libero di scegliere di non stare così. E l’uomo ha scelto di non stare così con Dio, ma di prendere la via di Satana e del peccato. Invece di restare per sempre nel regno di Dio e della sua giustizia, l’uomo scelse il regno di Satana e del suo peccato, il regno della trasgressione della legge di Dio, il regno dell’immoralità.

Se ci si chiedesse: Dio non avrebbe potuto fare l’uomo in modo che non potesse peccare? – la risposta perfettamente certa e vera sarebbe: non poteva. Cioè, in questo modo non avrebbe creato un uomo; farlo così avrebbe dovuto crearlo senza intelligenza, una mera macchina animale, incapace di moralità. Perché se avesse fatto l’uomo in modo che non potesse peccare, sarebbe stato ugualmente renderlo incapace di fare il bene. Sarebbe stato come renderlo incapace di scegliere: e renderlo incapace di scegliere sarebbe stato come renderlo incapace di virtù. La libertà di scelta è essenziale per la morale. Dio ha creato l’uomo per essere morale. Perciò lo ha reso libero di scegliere. E per sempre Egli rispetta ciò di cui è l’Autore, la libertà di scelta dell’uomo. Egli stesso non oltrepassa nemmeno di un pelo la libertà di scelta dell’uomo.

Così, nella sua saggezza, Dio ha creato l’uomo retto, santo e libero, solo “di poco inferiore a Dio” {Salmi 8: 5}. Gli ha dato il paradiso come casa. Gli diede dominio sulla terra e su ogni essere vivente su di essa, come rappresentante di Dio. Fece crescere dal suolo “ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e i cui frutti erano buoni da mangiare” {Genesi 2: 9} e “l’albero della vita, che è in mezzo al paradiso di Dio” {Apocalisse 2: 7}. Gli diede tutto ciò che poteva piacere all’occhio, affascinare i sensi e deliziare la mente.
Diede tutto alla pia coppia affinché ne godessero per sempre. Li rese liberi di goderne o di rifiutare: per questo mise anche in mezzo al giardino l’albero proibito, “l’albero della conoscenza del bene e del male”. Il Signore Dio ordinò all’uomo: “Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai” {Genesi 2: 16-17}. Così per l’uomo di allora come per l’uomo di sempre, è stato stabilito il principio: “Scegliete oggi chi volete servire” {Giosuè 24: 15}: il principio divino dell’autogoverno e del governo con il consenso dei governati. E nell’esercizio della libertà di scelta l’uomo scelse di non governarsi da solo, ma di vendersi a Satana nella schiavitù del peccato e del principio dell’illegalità – dell’immoralità. E proprio quando l’uomo aveva peccato ed era perduto, Cristo si offrì per salvarlo.

E l’unica ragione per cui l’uomo non è morto quel giorno, nell’istante stesso in cui aveva peccato, è che proprio Gesù Cristo si offrì in suo favore e prese su di Sé la morte che sarebbe caduta sull’uomo, dandogli così un’altra possibilità, un tempo di prova, di respiro, affinché potesse scegliere la vita. In questo modo Dio ha potuto dire immediatamente all’ingannatore: “Porrò inimicizia tra te e la donna, e tra il tuo seme e il suo seme” {Genesi 3: 15}. È così che Egli è “l’Agnello ucciso dalla fondazione del mondo” {Apocalisse 13: 8}; il quale può dire per sempre: “Io sono venuto perché affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” {Giovanni 10: 10}.

Qui ci si può interrogare: dato che Dio ha fatto l’uomo e, naturalmente, tutte le creature intelligenti, libere di scegliere, e quindi libere di scegliere la via del peccato, se l’avesse voluto, non doveva forse provvedere contro questa possibile scelta, prima che l’uomo fosse creato? – La risposta è: “certamente”. E poiché Egli ha fatto e deve fare in modo che tutte le creature dotate di senso morale siano libere di scegliere, ha dovuto prevedere la possibilità dell’ingresso del peccato, ancora prima che fosse stata creata una sola creatura intelligente. E lo ha fatto. Questa disposizione non è che una parte di quel proposito eterno che Egli ha stabilito in Cristo Gesù, nostro Signore.

Torniamo con il pensiero a quando non esistevano persone o cose create: torniamo ai consigli eterni della Divinità. L’esistenza di Dio non è un’esistenza autocompiaciuta. Il Suo amore non è amor proprio. La Sua gioia non si realizza nell’avvolgere Sé stesso in Sé stesso e sedere solitario ed egocentrico. Il Suo amore è appagato solo nel fluire verso coloro che Lo riceveranno e ne godranno appieno. La Sua gioia si realizza solo nel portare a un universo infinito, pieno di intelligenze benedette, la pienezza stessa della gioia. Immaginando, quindi, Dio prima che ci fosse una sola creatura intelligente, Egli desidera che l’universo sia pieno di intelligenze gioiose che godono pienamente del Suo amore. Affinché ciò avvenga, è necessario che tutte scelgano di godere del Suo amore e della Sua gioia. Per scegliere questo, devono essere libere di farlo. E per essere libere di sceglierlo, devono essere libere di non sceglierlo: libere di scegliere di non servirlo, di scegliere di non godere del Suo amore e della Sua gioia. Devono essere libere di
scegliere Lui o sé stesse, la vita o la morte. Questo comporta la possibilità che alcune scelgano la propria via e non la Sua, a prescindere da Lui; e quindi comporta la possibilità dell’ingresso dell’egoismo, l’ingresso del peccato, che è direttamente l’opposto di tutto ciò che è Lui stesso.

Dovrebbe allora rifiutarsi di creare le intelligenze perché, se le crea deve esistere la possibilità che compaia il peccato? Se fosse questa la decisione, il risultato potrebbe essere solo quello di rimanere eternamente egocentrico e solitario. Ma questo è anche l’opposto di tutto ciò che è Lui stesso. Pertanto, decidere in questo modo significherebbe decidere di cessare di essere Dio. Ma Egli non può smettere di essere Dio; “non può rinnegare sé stesso” {2 Timoteo 2: 13}; perciò deve creare fino al limite infinito. E lo ha fatto. Ha creato le intelligenze. Le ha create libere di scegliere: libere di scegliere la Sua via o di scegliere l’opposto; e quindi libere di peccare, se lo desiderano.

E allo stesso tempo, nel Suo amore infinito e nella Sua giustizia eterna, si è prefisso di dare Sé stesso in sacrificio per redimere tutti coloro che avrebbero peccato; e di dare loro una seconda libertà di scegliere Lui o sé stessi, la vita o la morte. E a coloro che, nonostante tutto, sceglieranno per la seconda volta la morte, sia loro concesso ciò che hanno insistentemente scelto. E coloro che sceglieranno la vita – un universo pieno – potranno godere appieno di ciò che hanno scelto: anche la vita eterna, la pienezza dell’amore perfetto e della beatitudine per sempre.

Questo è Dio, il Dio vivente, il Dio dell’amore, il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che è pienamente in grado di fare tutto ciò che vuole in cielo e in terra e, tuttavia, lascia la libertà a tutte le sue creature. Questo è Colui che fin dai giorni dell’eternità “opera tutte le cose secondo il consiglio della sua volontà” {Efesini 1: 11}. E questo è “il mistero della Sua volontà… che egli aveva determinato in sé stesso, per raccogliere nella dispensazione del compimento dei tempi sotto un sol capo, in Cristo, tutte le cose, tanto quelle che sono nei cieli come quelle che sono sulla terra”. {Efesini 1: 9-10}. Questo è “il proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesù, nostro Signore” {Efesini 3: 11} nel quale Dio riconcilia il mondo a sé.

Tuttavia, anche in questo atto supremo e divino di riconciliazione, Dio non cerca di legare l’uomo a Sé in una schiavitù assoluta e irresponsabile, come fece Satana quando ha scelto la sua strada. Dio rispetta sempre la libertà di scelta di cui è l’Autore. Non costringerà nemmeno ora l’uomo a prendere la via della giustizia, né lo costringerà a mantenerla dopo che avrà scelto la sua strada. Quando fu pronunciata la parola creativa: “Porrò l’inimicizia” tra l’umanità e il nemico, ha reso l’uomo di nuovo libero di scegliere da solo chi servire. Con quella parola, la volontà dell’uomo è stata liberata e resta libera per sempre, di scegliere chi vuole servire, di scegliere di liberarsi dalla schiavitù del peccato o di rimanere in esso. Questa parola di Dio, che semina in ogni anima l’inimicizia contro Satana, questo odio per il male che brama la liberazione che si trova solo in Cristo, questo è il dono della fede all’uomo.

L’oggetto di questa fede è Cristo e l’Autore di questa fede è Cristo: Egli è l’autore e il compitore della fede {Ebrei 12: 2}. Così, la semina dell’inimicizia eterna tra Satana e la donna e tra il seme di questi, fu l’inizio della rivelazione del mistero di Dio che era stato “celato per molti secoli addietro” {Romani 16: 25}. E “quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione” {Galati 4: 4-5}. Allora si videro e si udirono cose che molti profeti e uomini giusti avevano desiderato vedere e non avevano visto, e avevano desiderato udire e non avevano udito {Matteo 13: 16-17}. E poi, nelle parole di Colui che parlava come mai un uomo aveva parlato, furono dette cose che erano “nascoste fin dalla fondazione del mondo” {Matteo 13: 35}. Così Cristo, attraverso il Suo vangelo, è l’unica via dal peccato alla giustizia, dal vizio alla virtù, dall’immoralità alla moralità. “Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perché nessuno si glori. Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere [la morale] che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo” {Efesini 2: 8-10}. E così, la scienza morale si colloca allo stesso livello del pensiero della redenzione nella scienza mentale, che precede lo studio del pensiero di Dio espresso nella creazione originale o fisica. Il pensiero, la parola e l’opera di Dio nella creazione morale, nel predisporre l’anima perduta alle buone opere – la morale – che Egli ha originariamente ordinato come via per l’uomo, devono essere conosciuti e compresi prima che questi possano essere correttamente conosciuti o compresi nella creazione fisica. Infatti, è solo “per fede” che “intendiamo” o possiamo intendere “che l’universo è stato formato per mezzo della parola di Dio, sì che le cose che si vedono non vennero all’esistenza da cose apparenti” {Efesini 2: 8-10}.

Perciò, dopo la saggezza, che è il timore del Signore e l’inizio della conoscenza, Salomone, l’uomo più saggio che sia mai vissuto dopo Adamo, esaltò la morale come la somma di tutti i libri e di tutti gli studi, la conclusione di tutto ciò che è stato o può essere detto: “temi DIO e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo” {Ecclesiaste 12: 13}. E uno dei motivi per cui la saggezza è in testa a tutte le cose è che “conduce nella via della giustizia”, cioè della morale {Proverbi 8: 20}. E anche Colui che è “più grande di Salomone”, l’Uomo modello di tutti i tempi e “l’ultimo Adamo” esalta la morale allo stesso livello: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” {Matteo 6: 33}. La giustizia di Dio è l’unica vera morale. La legge di Dio è l’unica vera legge morale. Il Libro di Dio, l’insegnamento, l’istruzione di Dio è l’unica vera istruzione morale. Che cosa dice dunque questo Libro, questa istruzione di Chi che “è perfetto nella conoscenza” su questo argomento della morale? Che cosa dice alla morale, al carattere dell’uomo come così com’è: alla morale umana? – Ecco la Parola di Colui che insegna all’uomo la conoscenza: “Sia i Giudei che i Gentili … sono tutti sotto il peccato; come sta scritto: «Non c’è alcun giusto, neppure uno. Non c’è alcuno che abbia intendimento, non c’è alcuno che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti sono divenuti inutili; non c’è alcuno che faccia il bene, neppure uno. La loro gola è un sepolcro aperto, con le loro lingue hanno tramato inganni, c’è un veleno di aspidi sotto le loro labbra; la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza; i loro piedi sono veloci per spandere il sangue; sulle loro vie c’è rovina e calamità, e non hanno conosciuto la via della pace; non c’è il timore di Dio davanti ai loro occhi»” {Romani 3: 9-18}. “Dal cuore degli uomini, procedono pensieri malvagi, adulteri, fornicazioni, omicidi, furti, cupidigie, malizie, frodi, insolenza, invidia, bestemmia, orgoglio, stoltezza. Tutte queste cose malvagie escono dal di dentro dell’uomo e lo contaminano” {Marco 7: 21-23}.

Questo è uno schizzo del carattere umano fatto da Colui che certamente lo conosce. E lo studio della morale umana è semplicemente lo studio di questo tipo di carattere o meglio, lo studio del concetto che gli uomini hanno su questo tipo di carattere. E in questo, le concezioni degli uomini sono completamente errate, perché gli scrittori di scienze morali non credono che il carattere umano sia come quello descritto qui. Lo concepiscono come una cosa molto diversa. Ma quando la scienza morale è “la scienza dei doveri umani, basata sulla conoscenza della natura umana, i suoi stimoli e delle sue facoltà d’azione” – e quando le concezioni degli uomini sulla natura umana sono del tutto diverse da ciò che essa è realmente, e queste false concezioni della natura umana vengono costruite in una “scienza morale” per la guida degli uomini – è perfettamente evidente che l’intera idea mondana di scienza morale non è solo una “scienza falsamente chiamata così”, ma è un’illusione fatale.

La scienza morale è “la scienza dei doveri umani, basata sulla conoscenza della natura umana, dei suoi stimoli e delle sue facoltà d’azione, e sulla conoscenza delle varie relazioni in cui l’uomo, in quanto essere morale e sociale è, o può essere collocato”. E non bisogna dimenticare, nello studio di qualsiasi scienza, che un’impressione non è conoscenza, una congettura non è conoscenza, un’ipotesi non è conoscenza; ma che la conoscenza è sapere, sapere con certezza. È sapere e, sapere di sapere.

Dove si trova, dunque, la certezza della “conoscenza della natura umana, dei suoi stimoli e facoltà d’azione”, ecc? – Certamente solo presso Colui che è perfetto nella conoscenza, che è la Fonte della conoscenza e che insegna all’uomo la conoscenza. Solo questa può essere la vera conoscenza della natura umana. E solo ciò che si basa su questa conoscenza della natura umana può essere vera scienza morale. La vera conoscenza della natura umana, così com’è, ci è stata rivelata nei passi della rivelazione sopra citati. Ma certamente nessuna persona che crede a questa rivelazione, nessuno che riceve come verità quella conoscenza della natura umana, potrà pensare, anche per un istante, di usarla come base su cui costruire la scienza dei doveri umani. Perché quella rivelazione, quella vera conoscenza della natura umana, mostra che tutto ciò che la natura umana è, essenzialmente è immoralità. E qualsiasi scienza morale di cui questa è la base, è chiaramente una scienza immorale, non morale: è solo la scienza dell’immoralità. E lo studio di una tale “scienza morale” è solo lo studio dell’immoralità. Naturalmente non è destinato a essere tale. A causa dell’errata concezione di ciò che la natura umana è, si suppone che questo studio sia lo studio di una vera e propria morale. Ma alla luce della vera conoscenza di ciò che è la natura umana, è evidente come l’ABC che lo studio della scienza morale umana non è altro che lo studio dell’immoralità. Ognuno può verificarlo leggendo i libri pubblicati come trattati e testi sulla scienza morale. Quasi sempre si scoprirà che sono essenzialmente pagani, quando non sono essenzialmente papali, che è peggio. Questo è talmente vero che, con una sola eccezione, o forse due, non abbiamo mai visto, e non crediamo che esista al mondo un’opera di scienza morale, in quanto tale, che non sia essenzialmente pagana, laddove non sia essenzialmente papale. Questo perché non si riesce a discernere la vera, la divina base della morale, ma l’umano permane in tutti. È l’albero della conoscenza del bene e del male, che nella sua essenza e alla fine si rivela di essere solo del male. Eppure questi libri – libri in cui non c’è né vera morale, né vera scienza – sono stati e sono usati come libri di testo di scienza morale nelle scuole dichiarate cristiane. Questo non andrà mai bene.

Il cristianesimo è l’albero della vita. {Proverbi 3: 18}. La vera scienza morale non è la scienza della natura umana così com’è, ma della natura umana com’era e come deve essere. Alla base della vera scienza morale non è la conoscenza, anche se perfetta, della natura umana così com’è, con i suoi stimoli e le sue facoltà d’azione: quella, come abbiamo visto, potrebbe essere solo la perfetta conoscenza dell’immoralità. La perfetta conoscenza della natura umana com’era e come deve essere, con i suoi stimoli e le sue facoltà d’azione – solo questa può essere la base della vera scienza morale: questa è la perfetta conoscenza della natura umana con i suoi perfetti stimoli e facoltà d’azione, ed è quindi la perfetta conoscenza di una morale perfetta.

Questa conoscenza è rivelata in Gesù Cristo nella natura umana e si trova nella Parola di quella rivelazione dal giorno in cui la natura umana si è allontanata da ciò che era fino al giorno in cui la natura umana sarà pienamente redenta a ciò che deve essere. La natura umana, così com’è, è cieca, nelle tenebre, sprofondata nel peccato e sotto il dominio di Satana. La natura umana com’era e come deve essere, vede chiaramente, è nella luce, è liberata dal peccato, è nel regno e sotto il dominio di Dio in Cristo. “Liberandoti dal popolo e dai gentili, ai quali ora ti mando, per aprir loro gli occhi e convertirli dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, affinché ricevano mediante la fede in me il perdono dei peccati e un’eredità tra i santificati” {Atti 26: 17-18}. Il cristianesimo, dunque, la scienza del cristianesimo, come è nel Libro del Cristianesimo – la Parola fatta carne, il vangelo di Cristo – è l’unica vera scienza morale. Qual è dunque la vera natura umana com’era e come deve essere? – È la natura umana che partecipa della natura divina. È l’umano e il divino uniti in un unico Uomo divino-umano. Questo è Cristo, l’Uomo modello. Essendo Dio si è fatto uomo: essendo divino è diventato umano: essendo il Verbo di Dio e Dio, “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… pieno di grazia e di verità”, “Dio manifestato in carne”, “Dio con noi”. E ora la natura umana, “lontana” da Dio, è “resa vicina dal sangue di Cristo”. “Perché Egli è la nostra pace, che ha reso entrambi [Dio e l’uomo, il divino e l’umano] una cosa sola, … avendo abolito nella sua carne l’inimicizia… per fare di due [Dio e l’uomo] un solo uomo nuovo, facendo la pace” {Efesini 2: 14-15}. E così, la Sua potenza divina ha dato a tutti gli uomini “preziose e grandissime promesse, affinché per mezzo di esse diventiate partecipi della natura divina, dopo essere fuggiti dalla corruzione che è nel mondo a motivo della concupiscenza” {2 Pietro 1: 4}. Qual è il vero carattere di questo vero uomo, quest’uomo com’era e come deve essere? Quale carattere può essere il solo che gli si addice? – Il carattere divino, naturalmente: il carattere divino che si manifesta nella natura umana.

Questo è Cristo; e questo è l’oggetto del Vangelo di Cristo per sempre. Perciò “io non mi vergogno dell’evangelo di Cristo, … perché in esso è rivelata la giustizia [il carattere] di Dio” {Romani 1: 16-17}. Così il Vangelo è sempre e solo “Dio manifestato in carne”, “Dio con noi” e “Cristo in voi, speranza di gloria”. Qual è dunque questo carattere in sé? Qual è la certezza della conoscenza di questo carattere come base della scienza morale? Eccola: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il nome dell’Eterno davanti a te… E l’Eterno passò davanti a lui e gridò: «L’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato” {Genesi 33: 19; Genesi 34: 6-7} “Dio è amore” {1 Giovanni 4: 8}. “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna {Giovanni 3: 16}. “Sì, ti ho amata di un amore eterno; per questo ti ho attirata con benevolenza” {Geremia 31: 3}. E “il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è lo stesso che ha fatto brillare il Suo splendore nei nostri cuori per illuminarci nella conoscenza della gloria di Dio, che rifulge sul volto di Gesù Cristo”. E “noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore” {2 Corinzi 4: 6; 2 Corinzi 3: 18} Ecco un carattere del tutto degno della più devota contemplazione. È la perfezione stessa della morale. La conoscenza di questo carattere è la più vera scienza morale. E lo studio diligente, serio e in preghiera di questa benedetta trasformazione dell’anima, attraverso la fede di Gesù Cristo e la potenza dello Spirito di Dio – dal male al bene, dalla malvagità alla rettitudine, dal peccato alla santità, dal carattere umano a quello divino, dall’immoralità alla moralità – questo è lo studio della vera scienza della morale, ed è l’unica vera scienza morale.

Nell’ambito della morale, che è il carattere, da quando gli uomini hanno dimenticato la vera morale e sono diventati del tutto immorali – dal momento che “tutti hanno smarrito la strada” e sono “diventati tutti inutili”, poiché “non c’è più nessuno che cerchi Dio” – a meno che Dio non li abbandoni completamente – è essenziale che venga posto davanti agli uomini il vero standard di carattere in modo tale da attirarli alla contemplazione di esso. Tuttavia, anche se l’uomo fosse diventato del tutto immorale, Dio non potrebbe abbandonarlo; perché Egli è “l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato” {Genesi 34: 6-7}. Per questo motivo ha formulato per l’uomo una trascrizione del Suo proprio carattere in una forma tale da essere particolarmente adatta alla condizione e ai bisogni dell’uomo così com’è. Questa trascrizione del carattere di Dio, questo vero standard di carattere, è formulato nella Legge di Dio, i dieci comandamenti. E mentre “il Dio della natura ha scritto la sua esistenza in tutte le sue opere”, ha anche “scritto la sua legge nel cuore dell’uomo”. Ed ecco la Legge di Dio:

  1. “Io sono l’Eterno, il tuo DIO, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dèi davanti a me”.
  2. “Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai, perché io, l’Eterno, il tuo DIO, sono un Dio geloso che punisce l’iniquità dei padri
    sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso benignità a migliaia, a quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”.

III. “Non userai il nome dell’Eterno, il tuo DIO, invano, perché l’Eterno non lascerà impunito chi usa il suo nome invano”.

  1. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Lavorerai sei giorni e in essi farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è sabato, sacro all’Eterno, il tuo DIO; non farai in esso alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si riposò; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno di sabato e l’ha santificato”.
  2. “Onorerai tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano lunghi sulla terra che l’Eterno, il tuo DIO, ti dà”.
  3. “Non ucciderai”.

VII. “Non commetterai adulterio”.

VIII. “Non ruberai”.

  1. “Non farai falsa testimonianza contro il tuo prossimo”.
  2. “Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo”.

Era necessario che il Signore presentasse la Sua legge, la trascrizione del Suo carattere, in questa forma, proprio a causa dell’immoralità essenziale del genere umano. Perché ” la legge non è stata istituita per il giusto, ma per gli empi e i ribelli, per i malvagi e i peccatori, per gli scellerati e i profani, per coloro che uccidono padre e madre, per gli omicidi, per i fornicatori, per gli omosessuali, per i rapitori, per i falsi, per gli spergiuri, e per qualsiasi altra cosa contraria alla sana dottrina” {1 Timoteo 1: 9-10}. Poiché questa è una descrizione dell’uomo così com’è naturalmente, nel mondo, è facile capire quanto sia perfettamente adatta alla sua condizione, come sia perfettamente calcolata per risvegliarlo, per allontanarlo da sé stesso, è la legge universale ed eterna del “non farai” che gli proibisce assolutamente di fare tutto ciò che è nella sua natura fare. Questo rivela all’uomo la vera conoscenza di sé stesso; che egli è completamente sbagliato, un perfetto peccatore. Allo stesso tempo, si fa pesare su di lui l’inimicizia, divinamente impartita, contro Satana, l’odio per il male e il desiderio per il bene; con la fatale consapevolezza che da sé stesso non c’è alcuna possibilità di raggiungere la perfezione della condotta richiesta da quella legge e sancita dal desiderio dell’anima. Così il conflitto interiore si approfondisce finché, disperato, grida: “O miserabile uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” {Romani 7: 24}. Allora, in risposta, arriva “il Desiderio di tutte le nazioni”, che gli si presenta e, una volta accettato da lui, lo salva dalla schiavitù della corruzione alla gloriosa libertà dei figli di Dio.

Così “la legge intervenne affinché la trasgressione abbondasse; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata, affinché come il peccato ha regnato nella morte, così anche la grazia regni per la giustizia a vita eterna per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” {Romani 5: 20-21}. E “ciò che era impossibile alla legge, in quanto era senza forza a motivo della carne, Dio, mandando il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché la giustizia della legge si adempia in noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito” {Romani 8: 3-4}. Di conseguenza, “noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio, perché nessuna carne sarà giustificata davanti a lui per le opere della legge; mediante la legge infatti vi è la conoscenza del peccato. Ma ora, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia [il carattere] di Dio, alla quale rendono testimonianza la legge e i profeti, cioè la giustizia [la morale] di Dio mediante la fede in Gesù Cristo verso tutti e sopra tutti coloro che credono, perché non c’è distinzione; poiché tutti hanno peccato [sono diventati immorali] e sono privi della gloria di Dio, ma sono gratuitamente giustificati per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Lui ha Dio preordinato per far l’espiazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare così la sua giustizia per il perdono dei peccati, che sono stati precedentemente commessi durante il tempo della pazienza di Dio, per manifestare la sua giustizia [la sua moralità] nel tempo presente, affinché egli sia giusto [morale] e giustificatore di colui che ha la fede di Gesù” {Romani 3: 19-26}. Questo è il percorso moralmente scientifico della natura umana da ciò che è a ciò che deve essere, per essere veramente morale.

CAPITOLO 15 – LO STUDIO DELLA SCIENZA FISICA

Nel campo delle scienze fisiche la Bibbia non è un trattato diretto e completo, come nel caso delle scienze mentali e morali. Tuttavia, tutto ciò che viene detto nella Bibbia a proposito di una qualsiasi delle scienze fisiche è altrettanto sicuramente vero quanto ciò che viene detto su qualsiasi altro argomento. Per esempio, la Bibbia ha detto che l’atmosfera ha un “peso” 3000 anni prima che Torricelli lo scoprisse e lo annunciasse all’Europa sbalordita. La Bibbia ha detto che una stella differisce da un’altra in luminosità e bellezza – “in gloria” – più di 600 anni prima che gli astronomi scoprissero che in realtà si trattava di una differenza di splendore e non di distanza. La Bibbia ha detto che c’è “guarigione” nei raggi del sole, 2290 anni prima che la scienza medica ne facesse la scoperta.

Questi esempi sono sufficienti come illustrazione, anche se si potrebbero citarne molti altri. Queste affermazioni della Bibbia erano vere, scientificamente vere, in tutte queste epoche. Se gli uomini avessero letto la Bibbia con occhi santificati e menti illuminate e se avessero semplicemente creduto a ciò che essa diceva, avrebbero, in tutte queste epoche, conosciuto queste verità scientifiche. E gli uomini che hanno creduto a queste affermazioni della Bibbia da seicento a tremila anni fa, hanno conosciuto queste verità scientifiche con la stessa certezza con cui ogni scienziato o chiunque altro le conosce da quando sono state scoperte.

Quando la Bibbia viene studiata, con mente illuminata e devota, si scopre molto presto che in essa sono contenute molte più cose che riguardano la filosofia naturale e la scienza fisica di quanto non creda anche la stragrande maggioranza dei cristiani. E in tutte queste cose che parlano della verità nella perfezione della conoscenza, la Bibbia è, quindi, la vera guida nello studio delle scienze fisiche e in quello delle scienze mentali e morali. La Bibbia è, dunque, del tutto degna di essere il libro di testo nella scienza fisica come in ogni altro settore educativo e dovrebbe avere questo posto in ogni scuola cristiana. In questo libro sarebbe troppo impegnarsi a tracciare in modo estensivo ogni fase della scienza fisica toccata dalla Bibbia. Tutto ciò che si può tentare di fare è solo un breve schizzo illustrativo di come e quanto la Bibbia può essere utilizzata come libro di prova nel campo delle scienze fisiche nelle scuole cristiane.

La Bibbia è la base vera e perfettamente affidabile per lo studio della scienza fisica, perché è il vero e perfettamente affidabile resoconto della creazione. E la Creazione, non l’evoluzione, è l’origine di tutte le cose. La creazione per mezzo della Parola di Dio, in quanto origine di tutte le esistenze fisiche e spirituali sotto Dio – Rivelazione della Parola di Dio – è la fonte vera e affidabile di tutta l’istruzione, sia nella scienza fisica che in quella spirituale. Come già indicato in precedenza, la vera conoscenza e la comprensione della creazione fisica si acquisisce con gli stessi mezzi della conoscenza e la comprensione della creazione spirituale: “Per fede intendiamo che l’universo è stato formato per mezzo della parola di Dio, sì che le cose che si vedono non vennero all’esistenza da cose apparenti” {Ebrei 11: 3}. Negli ultimi anni si è parlato molto di “legge naturale nel mondo spirituale”. Questo è bene. Ma molto più necessaria di questa e molto più utile da approfondire sarebbe il riconoscimento riverente e lo studio devoto della legge spirituale nel mondo naturale. La fede, la fede è la via per la conoscenza e la comprensione nel mondo fisico come in quello spirituale, perché tutti i mondi provengono da Dio, per mezzo della Parola di Dio; come anche la fede proviene di Dio, per mezzo della Parola di Dio {Genesi 1: 1; Salmi 33: 6, 9; Ebrei 11: 3; Efesini 2: 8; Ebrei 12: 2; Romani 10: 17}.

Molti, anche tra i cristiani dichiarati, sono abbastanza increduli di fronte alla proposta che la Bibbia debba essere per i cristiani la base di tutta la vera istruzione e il libro di testo in ogni settore educativo. Loro “non possono immaginare questo” perché non ci credono; e poi, non ci crederanno perché non riescono a immaginarlo. Ma l’unico vero motivo di questa incredulità è il posto estremamente ridotto che la Bibbia occupa nella loro vita. Questo posto è così piccolo, così assolutamente angusto e circoscritto che, secondo loro, cominciare a rendere la Bibbia la base di tutta l’educazione e il libro di testo in ogni settore educativo, equivale a insegnare praticamente nulla.

È quindi, letteralmente vero che l’atteggiamento che ciascuno di noi ha nei confronti di questa proposta, rivela pubblicamente il posto che la Bibbia occupa nella vita di quella persona. Tuttavia, c’è un errore molto comune che viene commesso riguardo all’uso della Bibbia come libro di testo in tutti gli studi. Molti pensano che questo significhi che la Bibbia debba essere l’unico libro di studio, l’unico libro usato a scuola. Anche se fosse così, l’uso della Bibbia da parte di coloro che la conoscono sarebbe di gran lunga migliore di quanto si fa ora nell’educazione popolare. Ma non si tratta di questo. C’è una differenza sostanziale tra un libro di testo e un libro di studio. L’errore di pensare che la Bibbia, come libro di testo, significhi che essa sia l’unico libro di studio è nato dal fatto che nelle scuole di oggi tutti i libri di studio sono chiamati libri di testo. Per gli insegnanti questi libri dovrebbero essere libri di testo, mentre per gli studenti ci si aspetta che siano libri di studio. Ma invece che i libri di studio degli studenti siano libri di testo per gli insegnanti, nove volte su dieci i libri di testo sono libri di studio per gli insegnanti; e gli insegnanti non escono dai confini dei libri di testo e gli studenti difficilmente aprono i libri di studio.

La Bibbia è il libro dei principi che sono la guida sicura per la giusta via in tutto ciò che riguarda la vita. La Bibbia come libro di testo, quindi, non è solo come un deposito di sentimenti retti, detti o motti degni di nota da cui scegliere una frase o un versetto come base di una conferenza o lo spunto per una disquisizione. La Bibbia come libro di testo è il libro dei principi divini che sono la vita e la guida dello studio, la luce che illumina il cammino dello studente affinché la verità e solo la verità, nella filosofia e nella scienza, possa essere conosciuta. L’utilizzo della Bibbia come libro di testo di tutti gli studi è per conoscere nella Bibbia il principio e fondarsi su quel principio come base solida e guida sicura; e poi, da questa base e alla luce di questo principio usare tutto il campo della natura, della rivelazione e dell’esperienza umana come libro di studio.

CAPITOLO 16 – LO STUDIO DELLA SCIENZA FISICA – L’ANATOMIA

Tra tutti gli argomenti della scienza fisica, quello che più interessa l’uomo, quello che c’entra più pienamente e vitalmente con la sua vita, è la scienza del proprio corpo: la conoscenza della sua costruzione, della sua conservazione e delle sue funzioni. Questo è vero anche per il fatto che l’uomo stesso è la corona della creazione; e perché l’Ispirazione ha dichiarato che l’uomo è “fatto in modo stupendo” {Salmi 139: 14}. Come perfetta illustrazione del principio che fa della Bibbia un libro di testo della scienza e dell’insegnamento, e della scienza veramente cristiane, l’autore è autorizzato a presentare un discorso su “Come studiare l’anatomia”, di Stephen Smith, M.D.LL.D. di New York, presentato agli studenti del Dipartimento di Medicina dell’Università di Syracuse il 13 ottobre 1902 e pubblicato sul Medical Record del 3 gennaio 1903.

COME STUDIARE L’ANATOMIA

Una conoscenza accurata e pratica dei meccanismi del corpo umano è alla base del vero successo nell’esercizio della professione medica. È della massima importanza, quindi, adottare fin dall’inizio un piano di studio che, mentre affascina e quindi assorbe tutta la vostra attenzione, tenda anche a fissare saldamente nella memoria le relazioni tra funzione e struttura. È solo quando queste relazioni sono così accuratamente afferrate e conservate dalla mente, che la struttura suggerisce la funzione e la funzione suggerisce la struttura, che l’anatomia diventa disponibile in tutte le emergenze della pratica quotidiana della medicina e della chirurgia.

Non si può negare che l’attuale metodo di studio dell’anatomia, di regola, non raggiunge questo risultato. Raramente uno studente si applica così tanto allo studio dell’anatomia da trascurare, nel suo zelo, gli altri studi o da sacrificare i piaceri e i divertimenti! E, cosa ancora più importante, quanto raramente si incontra un professionista in grado di ricordare con precisione l’anatomia e le funzioni degli organi e delle strutture più importanti del corpo! Se esaminiamo criticamente i moderni libri di testo di anatomia con l’intento di determinare il loro adattamento al duplice scopo – di ispirare allo studente un genuino amore per la scienza e di rendere la sua conoscenza immediatamente disponibile nella pratica – ci convinceremo che non ottengono né l’uno né l’altro risultato; né è difficile spiegare la causa del fallimento. Il corso di studi è del tutto privo di quel sistema, o sviluppo ordinato e logico delle strutture del corpo che fa appello alle facoltà inventive e costruttive. Invece di essere trattato come un’entità in cui ogni organo e struttura contribuisce in giusta proporzione all’apparato completo, le varie parti vengono studiate in modo frammentario e scollegato, il che non riesce necessariamente a interessare anche il genio più inventivo.

Si perde completamente di vista il fatto che l’anatomia è una scienza naturale e che, come tutte le scienze naturali, ha uno sviluppo perfettamente logico che, quando correttamente scoperto, trasporta insensibilmente la mente dallo studio delle parti semplici alla loro sistemazione in forme complesse, come è abbondantemente illustrato nella scienza della botanica, chimica o biologia. Ma né i libri di testo di anatomia, né gli insegnanti di questa branca fondamentale della formazione medica adottano il sistema naturale di insegnamento di questa scienza. Al contrario, lo schema di studio è organizzato in modo tale da impedire, da parte dello studente, relazioni associate e quindi, continuità di pensiero. Pertanto, gli viene costantemente richiesto di memorizzare fatti astratti che non hanno alcun legame necessario tra loro. Prendiamo, ad esempio, l’esperienza di uno studente di medicina che ha frequentato uno dei nostri più rinomati college durante l’ultimo anno: egli afferma che la sua prima lezione di anatomia è stata una descrizione delle parti esterne della clavicola; la seconda è stata una descrizione simile della scapola; la terza fu uno studio simile del femore. Nel frattempo non aveva imparato nulla sulla struttura delle ossa, né sulla loro funzione nello scheletro. Quando fu interrogato, si scoprì che era convinto che il suo successo come studente dipendesse esclusivamente dalla sua capacità di memorizzare e ripetere prontamente i termini che trovava nel suo libro di testo. Il meraviglioso organismo che egli stava studiando non aveva più attrattiva per lui di quanta ne avrebbe avuta una lingua per uno studente che, nell’apprenderla, doveva prima memorizzare il suo dizionario.

Il metodo prevalente di studiare l’anatomia potrebbe essere paragonato allo studio di una filatura di cotone, iniziando da un fuso e imparando tutte le sue parti, piuttosto che esaminare una ruota lontana e memorizzare tutti i nomi particolari di una sezione della sua struttura, e procedendo così finché l’intera macchina non fosse stata studiata in frammenti. È evidente che nessuno studente si interesserebbe a uno studio del genere, né la sua conoscenza del macchinario lo renderebbe un ingegnere esperto. Potrebbe essere in grado di rispondere a tutte le domande che riguardano i semplici termini del libro e, tuttavia, avere pochissime informazioni utili o utilizzabili se dovesse essere chiamato a rimediare ai difetti del macchinario.

Ma l’esperienza pluriennale nell’insegnamento dell’anatomia mi ha convinto che si può seguire un corso di studi che interesserà a fondo lo studente medio fin dall’inizio e che gli consentirà di acquisire facilmente e conservare saldamente nella memoria i minimi dettagli della funzione e della struttura dei tessuti. Come si dovrebbe studiare l’anatomia? Rispondo: esattamente come iniziereste, continuereste e terminereste lo studio di qualsiasi altro meccanismo la cui struttura, funzioni e sistema vorreste conoscere bene quanto le conosce l’inventore stesso. È evidente che per ottenere una conoscenza così accurata di una qualsiasi macchina è necessario studiarla secondo le linee seguite dall’inventore nello sviluppo delle sue diverse parti.

Ciò richiede porsi in una tale relazione con lui da pensare il suo pensiero, dal concepimento del bisogno di un tale apparato o organismo fino al suo completamento nello strumento perfezionato. E qui sta il fascino e l’attrattiva dello studio dell’anatomia, se si adotta il metodo logico che segue l’inventore nella creazione di una macchina. Fin dall’inizio dei vostri studi sareste portati a pensare il pensiero del Creatore e, man mano che il meraviglioso meccanismo del corpo umano viene scoperto, sareste sempre più ispirati dalle più elevate concezioni della saggezza e del potere divini. Il salmista, contemplando le prove del progetto nella creazione, cantava: “Quanto sono preziosi per me i tuoi pensieri, o Dio! Quanto grande è l’intero loro numero!” {Salmi 139: 14}.

Non si può dubitare che il miglior istruttore di una persona che sta per studiare una macchina, in modo così approfondito da poterne diventare l’ingegnere, sia l’inventore stesso, perché mentre descrive il proprio lavoro diventerebbe, naturalmente, molto entusiasta e fornirebbe il resoconto più accurato e dettagliato della nascita, dello sviluppo e del completamento della sua invenzione. Mentre lo studente continua a seguire il filo dei pensieri, coglie l’ispirazione dell’inventore e, mentre ogni nuova caratteristica della struttura si sviluppa gradualmente in una successione ordinata e logica, la sua mente si accende dell’entusiasmo del suo insegnante e si trasforma, impercepibilmente, in un inventore, un architetto, un creatore e, del tutto inconsciamente, la cosa studiata diventa sua. Un tale schema porterebbe lo studente a iniziare dal concepimento che l’inventore ha della macchina che sta per essere inventata.

Questo concetto è sempre preceduto dall’individuare una funzione da compiere e dall’assenza di un apparato o di un organismo che la svolga. In altre parole, la legge universale che governa le invenzioni richiede che la funzione da svolgere debba essere riconosciuta prima che la struttura venga ideata. La storia di ogni invenzione dimostra che essa è nata dalla necessità riconosciuta di una macchina per realizzare un determinato oggetto e che, nella sua costruzione ogni parte è stata concepita in modo tale che, pur svolgendo una funzione speciale a sé stante, contribuisse con una forza o un fattore al meccanismo completo necessario al raggiungimento del grande scopo. Possiamo e dobbiamo applicare lo stesso metodo allo studio della struttura del corpo umano. Dovremmo, innanzitutto, riconoscere appieno la funzione prima di costruire l’apparato adatto al suo svolgimento. Qui sta il segreto del successo dell’invenzione di ogni meccanismo utile. Lo studente che intraprende e porta avanti con costanza lo studio dell’anatomia con questo spirito è fin dall’inizio un inventore e riconosce costantemente le funzioni da svolgere e si adopera costantemente per ideare apparecchi strutturali che svolgano tali funzioni. Non solo entra nei pensieri del Creatore, ma diventa egli stesso un creatore. Così un’autentica ispirazione stimola ogni facoltà inventiva della sua mente e, invece di essere un mero agente passivo che riceve e nella sua memoria inutili termini tecnici, diventa un ricercatore ed esploratore attivo in questo nuovo campo della scienza.

Ora, un corso di studio dell’anatomia organizzato in modo tale che lo studente sia fin dall’inizio in un rapporto così immediato con il Creatore del meccanismo umano, tanto da pensare i suoi pensieri, presuppone che il Creatore abbia intrapreso, proceduto e concluso la sua opera secondo i metodi che governano tutte le invenzioni. Cioè, che il Creatore abbia scoperto una mancanza nella creazione, una funzione non svolta, e proceduto immediatamente all’invenzione di uno strumento per soddisfare quel bisogno e per svolgere quella funzione. Adottando questa teoria, dobbiamo ipotizzare la creazione diretta dell’uomo come una creatura nuova e originale, specificamente adattata in ogni struttura per un determinato scopo, e il nostro studio deve seguire le linee già indicate, ossia: prima di tutto imparare la funzione che deve essere svolta da questa nuova creazione e poi seguire lo sviluppo della struttura fino al suo completamento nell’organismo perfezionato.

La critica che verrà fatta a questo schema di studio è evidente. Si sosterrà di ignorare la moderna teoria dell’evoluzione, inculcando così idee antiquate sulla creazione che possono fuorviare lo studente. In difesa del metodo si può affermare che lo stesso risultato può essere raggiunto della dottrina dell’evoluzione, ma lo schema sarebbe necessariamente intricato e complicato a tal punto da confondere lo studente medio di medicina. Inoltre, i termini della creazione sono utilizzati perché sono più suggestivi in fatto di anatomia più di qualsiasi altri termini. Forse la testimonianza più importante a favore di questo metodo d’insegnamento dell’anatomia è quella fornita dal professor Huxley, il più grande sostenitore della teoria dell’evoluzione. In una delle sue ultime lezioni, descrivendo il processo di sviluppo di un ovulo, come i vari stadi si susseguono in ordine simmetrico sotto un potente microscopio, si legge che egli disse: “Strane possibilità si celano in quel globo semifluido. Basta che un moderato apporto di calore raggiunga la sua culla acquosa e la materia plastica subisce cambiamenti così rapidi, eppure così costanti e mirati nel loro susseguirsi, che possiamo solo paragonarli a quelli operati da un abile operatore su un informe pezzo di argilla. Vediamo, per così dire, come se un abile modellatore manipolasse la massa plastica con la cazzuola; come se un dito delicato tracciasse la linea che diventerà la colonna vertebrale e modellasse il contorno del corpo, pizzicando la testa da un lato e la coda dall’altro, e plasmando fianchi e arti nelle proporzioni salamandrine in modo così artistico che, dopo aver osservato il processo ora per ora, si arriva quasi involontariamente all’idea che qualche ausilio alla visione più sottile di un acromatico mostrasse l’artista nascosto con il suo piano davanti a sé, che si sforza di perfezionare il suo lavoro con abili manipolazioni”.

Uno scrittore molto illustre si riferisce a questa citazione come segue: “Queste sono le parole di Huxley, vale a dire che quando il primo biologo in Europa (secondo Virchow) arriva a descrivere lo sviluppo della vita, può farlo solo in termini di creazione”.

Con queste osservazioni esplicative mi propongo di sviluppare i contorni di un corso di studio dell’anatomia basato sui “Termini della Creazione”. Se ci avviciniamo all’argomento come inventori, e questo è il vero spirito con cui intraprendiamo questo studio, la nostra prima indagine dovrebbe riguardare l’origine della concezione, perché l’uomo dovesse essere creato. Ovvero, quali erano le condizioni esistenti che richiedevano la creazione dell’uomo? Potremmo forse giungere a una conclusione corretta se analizzassimo il suo organismo esistente, ma, come nella narrazione biblica, c’è una dichiarazione del motivo immediato della sua creazione e, poiché questa è l’unica testimonianza del genere nella storia umana e risponde al nostro scopo, la adotteremo.

Facendo riferimento al racconto della creazione riportato nella Genesi, apprendiamo che la terra era stata preparata per gli esseri viventi e, in modo ordinato erano apparsi erba, alberi da frutto, esseri viventi nelle acque, uccelli alati, rettili e bestie della terra; e il Creatore dichiarò che tutto era buono. Ma ora sembra che ci sia stata una pausa nella creazione e, seguendo la narrazione, apprendiamo che si scoprì che non c’era un uomo che coltivasse la terra o che la riempisse e la sottomettesse o che avesse il dominio su di essa. Ecco un nuovo stimolo all’energia creativa e, a quanto pare, un compito più difficile non si era mai presentato nemmeno all’Onnipotenza. La conclusione delle delibere del Concilio della Creazione sono riportate nell’annuncio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” {Genesi 1: 26}. Questa è la prima menzione dell’uomo registrata nella storia della terra. La decisione è nel dialogo di un consiglio di architetti, inventori o creatori. In quanto studenti, siamo subito interessati a determinare come quest’uomo sia stato fatto a immagine e somiglianza del Creatore. Esaminando, apprendiamo solo che il Creatore “formò l’uomo dalla polvere del suolo e gli soffiò nelle narici l’alito della vita”. Non vengono forniti dettagli sul metodo di costruzione del corpo umano e noi siamo lasciati a determinare questi fatti con la nostra conoscenza delle leggi che regolano l’invenzione e la costruzione di macchinari e da uno studio analitico e sintetico dell’organismo completato, così come lo abbiamo davanti a noi. Cioè, dobbiamo metterci il più possibile in linea con il pensiero logico dell’Inventore e, quindi, fare in modo che la macchina si sviluppi nei nostri studi come si è sviluppata nei Suoi.

Per quanto riguarda le leggi dell’invenzione, abbiamo detto che la prima concezione nella mente dell’inventore è la funzione, la seconda la struttura. Avendo riconosciuto la funzione, dobbiamo ora ideare e creare una struttura adatta a svolgere quella funzione. Quali regole saranno la nostra guida? – Evidentemente le regole che governano la costruzione in tutte le invenzioni. Queste regole possono essere enunciate come segue: ogni inventore crea, in primo luogo, la struttura; in secondo luogo, l’apparato che la fa funzionare; in terzo, il motore o la forza che dà all’apparecchio energia o azione; il quarto, il meccanismo con il quale la vita e l’integrità dell’organismo devono essere mantenute; il quinto, gli organi con i quali la macchina, nel suo complesso, deve essere riprodotta.

Seguendo l’ordine di invenzione, dobbiamo determinare quale sia l’ossatura del corpo e iniziare la costruzione con essa. È evidente, a un esame generale dei vari tessuti dell’organismo umano, che le ossa articolate ne costituiscono la struttura o lo scheletro, perché tutti gli altri tessuti e organi sono raggruppati o attaccati a esso, o nascosti e protetti all’interno dei suoi recessi. Dobbiamo, quindi, concludere che l’energia creativa ha iniziato l’opera di costruzione con lo scheletro e che questa struttura deve essere la prima a ricevere attenzione.

Ma come si può costruire lo scheletro senza una perfetta conoscenza dei materiali di cui è composto? Questa indagine conduce subito lo studente a uno studio esaustivo della natura intima dell’osso, perché la conoscenza di questi fatti deve precedere il lavoro costruttivo vero e proprio. Passando allo scheletro articolato come lezione-oggetto, per apprendere le principali funzioni delle ossa, egli nota che: primo, devono sostenere un grande peso e, in secondo luogo, devono agire come leva in tutti i movimenti del corpo. Come architetto, sa che le specifiche strutturali necessarie allo svolgimento di queste funzioni sono: (1) la durezza, per sostenere peso; (2) leggerezza, per facilitare il movimento; (3) elasticità, per resistere agli shock. Ecco tre qualità quasi opposte da combinare in un unico tessuto; e la sua curiosità è stimolata per scoprire i pensieri dell’Architetto Divino mentre procede a risolvere il difficile quesito.

Ma non seguiremo lo studente nello studio dell’osteologia, o la scienza delle ossa. Iniziamo dal presupposto che ogni fase del suo sviluppo, a partire dalla selezione dei materiali che lo compongono fino alla loro organizzazione finale deve interessare chi cerca, come inventore, di determinarne l’adattamento allo scopo per il quale è stato creato. Non può che meravigliarsi della saggezza con cui prende certi sali della terra e li combina con un particolare tipo di materia organica in modo tale che queste sostanze eterogenee, per una qualche sconosciuta e inconoscibile affinità, creino una nuova sostanza con le qualità di durezza, leggerezza ed elasticità, qualità essenziali per l’osso nel compiere le sue funzioni nello scheletro. Non è meno meraviglioso lo sviluppo, partendo dalla cellula osteale alla conversione del corpo della cellula in massa acquosa, attraverso la quale il nuovo osso viene nutrito tramite la pressione idrostatica. E mentre segue la formazione dell’osso fino al suo completamento, scopre nella costruzione del suo tessuto la dimostrazione di due nuovi principi fisici molto importanti. Il primo è che un cilindro cavo è più forte di un’asta solida delle stesse dimensioni. Questo principio, applicato alla meccanica, consente di risparmiare sui materiali impiegati e di rendere la struttura relativamente leggera, aumentando così la facilità di movimento. Il risultato è splendidamente illustrato dalle ossa lunghe o, le leve dello scheletro. Il secondo principio è l’arco gotico, che dà la massima capacità di sostenere il peso con la minima quantità di materiale; la massima elasticità con il massimo grado di leggerezza.

Dopo aver completato uno studio minuzioso dell’osso e ottenuto una conoscenza accurata dei suoi costituenti, dei suoi metodi di sviluppo e delle disposizioni strutturali che lo adattano ai vari scopi, lo studente è pronto a passare alla costruzione delle ossa e a collocarle nella loro giusta posizione nello scheletro.

Esaminando lo scheletro nel suo intero sorge di nuovo la domanda: dove deve iniziare il lavoro di costruzione? In altre parole, quale serie di ossa è stata creata per prima? La risposta deve essere determinata ricordando il principio di costruzione di tutte le macchine, ossia che la parte centrale o assiale deve essere realizzata per prima. Applicando questo principio, mentre esamina criticamente le ossa articolate, la sua attenzione viene subito catturata dalla serie di ossa che costituiscono la colonna vertebrale in quanto, non solo per la sua posizione centrale, ma ovviamente perché le altre ossa sono attaccate a essa in modo tale da dimostrare che da essa dipende lo svolgimento delle loro funzioni. È giustificato, quindi, concludere che la colonna vertebrale deve essere stata la parte dello scheletro che per prima ha ricevuto l’attenzione del Creatore.

Ma questa conclusione non risolve la questione del punto iniziale della costruzione in quanto la colonna vertebrale è costituita da molte ossa. Ha deciso la serie di ossa che è stata costruita per prima, ma non ha deciso il singolo osso della serie. Nell’individuare tale osso deve determinare, nuovamente, quale sia il più centrale e importante dal punto di vista funzionale. Va notato che, in questa ricerca, una vertebra propriamente detta comprende le coste corrispondenti e i loro attacchi sternali, come descritto dal professor Owen nella sua grande opera sui “Vertebrati”. In quel sistema, ogni segmento completo – chiamato “vertebra” – consiste in una serie di pezzi ossei disposti secondo un tipo o un piano generale, per formare un cerchio o un arco sopra e un altro sotto un pezzo centrale; il cerchio superiore, che circonda un segmento dell’asse nervoso è detto arco neurale; quello inferiore, che circonda una parte del sistema vascolare è chiamato arco ematico; il loro centro comune si chiama centrum. Una vertebra, così definita, viene chiamata “segmento tipo”, e lo scheletro del suo vertebrato ideale, o “prototipo”, è costituito da una serie di segmenti di questo tipo perfettamente formati, come li vediamo nello scheletro di un serpente.

Mentre lo studente esamina criticamente le diverse vertebre, per determinare con quale il Creatore ha iniziato la costruzione, è impressionato dal fatto importante che, mentre i segmenti della colonna vertebrale hanno una somiglianza generale tra loro, come se fossero costruiti su un unico modello, ci sono delle differenze che diventano sempre più marcate quando si contrappongono i segmenti di una delle due estremità della colonna a quelli della regione centrale o dorsale. Questa regione deve essere il punto di partenza nella costruzione. Esaminando criticamente ogni vertebra per determinare quale sia il “segmento tipo”, la scelta cade sulla settima dorsale, perché tutte le sue parti sono più complete di qualsiasi altra, e le sue costole sono più lunghe e più perfettamente adattate alle loro funzioni. Conclude che la costruzione deve aver avuto inizio con la settima dorsale.

Prendendo in mano questa vertebra, per iniziare il lavoro pratico, lo studente scopre subito che è costituita da molte parti individuali, ognuna adattata alla sua funzione specifica. Anche in questo caso, deve determinare quale parte sia il centro o l’asse della vertebra, prima di poter stabilire con certezza dove è iniziato il lavoro di costruzione e, quindi, dove deve iniziare le sue operazioni. Esaminando molto attentamente le varie parti di una vertebra e confrontandola con le altre della serie, si nota che il corpo è la parte più importante, perché non solo le altre parti vi sono disposte intorno e collegate a esso come base d’azione, ma è anche l’unico componente di una vertebra che è continuo in tutta la colonna vertebrale. Il corpo, quindi, o il centrum, deve essere stato creato per primo. Con questo processo d’indagine scientifica e di ragionamento logico egli giunge, infine, al punto iniziale in cui il Creatore ha effettivamente cominciato il lavoro di costruzione del meccanismo umano, e cioè il centro della settima vertebra dorsale.

Qui, dunque, lo studente inizia lo studio vero e proprio di quella che è, in un vero senso, l’anatomia pratica. La settima vertebra dorsale è il punto di partenza da cui deve sviluppare, in ordine progressivo, non solo lo scheletro, ma l’intero organismo umano. La scienza dell’anatomia, come le scienze naturali affini, ha dunque origine da pochi principi, o condizioni semplici, da cui nascono le forme complesse che sono così difficili da comprendere quando vengono studiate indipendentemente e senza una precedente conoscenza approfondita di questi fatti fondamentali.

Quando lo studente, ora completamente equipaggiato per il suo compito, inizia lo studio costruttivo, possiamo considerarlo un “abile operatore” di Huxley su “una massa informe di argilla”, “un competente modellatore che plasma la massa plastica”; “l’artista nascosto con il suo piano davanti a sé, che si sforza di perfezionare, con esperta manipolazione, il suo lavoro”. Il piano davanti a lui è lo scheletro articolato e i materiali sono le singole ossa; il primo – per lo studio sintetico o per la collocazione di ogni osso nella sua giusta posizione, e il secondo – per lo studio analitico o l’esame minuzioso delle sue peculiarità tecniche. Il suo metodo è ancora quello dell’inventore e del creatore, poiché apprenderà la natura della funzione prima di iniziare il lavoro strutturale. Avendo trovato il punto iniziale del meccanismo che si appresta a creare e, conoscendo a fondo le regole che governano la sua arte, il nostro artista-studente, il nostro “abile modellatore”, “con il suo piano davanti a sé”, si dedica al suo compito con entusiasmo e prosegue i suoi studi con sempre maggiore soddisfazione. Lo vediamo plasmare con grande competenza l’interno del corpo della settima vertebra dorsale, riempiendolo di archi gotici affinché possa sostenere un grande peso e restare, comunque, molto leggero. Nessuno scalpello da scultore ha mai realizzato nel marmo curve più artistiche di quelle che egli conferisce al rivestimento esterno. Con “dita delicate” modella l’arco neurale, “pizzicando” le porzioni terminali delle lamine per formare il grazioso processo spinoso. Con matematica esattezza taglia le sfaccettature articolari in modo da assicurare un minimo movimento con un massimo di forza. Per l’arco ematico forma le costole e le incurva in modo che svolgano la duplice funzione di proteggere gli organi del torace e aiutare la respirazione attraverso le loro articolazioni ben regolate con il corpo e i processi laterali. Egli termina l’arco ematico con le cartilagini costali e lo sterno e regolando le varie parti l’una con l’altra, la settima vertebra – il “segmento prototipo” – si staglia perfetta in tutti i suoi dettagli, un bellissimo esemplare di alta arte.

Arrivato qui, lo studente ha acquisito la chiave per una conoscenza approfondita di tutte le ossa dello scheletro, poiché le altre ossa non sono che variazioni della settima dorsale – il “segmento tipo”. E tutte queste variazioni rispetto alla settima sono semplicemente progettate per adattare altre vertebre a nuove funzioni. Perciò egli procede con relativa facilità nel suo studio costruttivo della colonna vertebrale sotto e sopra la settima dorsale. Man mano che scende, modifica ogni vertebra in base alla sua funzione fino a raggiungere il coccige, dove conserva solo un residuo del corpo. Risalendo dalla settima dorsale si verificano cambiamenti più notevoli, come nell’atlante e nell’asse, ma soprattutto nelle ossa del cranio e del viso. Ma in queste ossa irregolari e curiosamente formate, lo “studente-artista” riconosce solo variazioni del “segmento tipo”, adattando parti o l’intera vertebra a nuove funzioni. Persino nelle ossa delle estremità superiori e inferiori scopre due vertebre che hanno subìto variazioni estreme a causa delle funzioni peculiari che devono svolgere. Nel nostro schema di studio, la settima dorsale rappresenta la “Vertebra prototipo” di Owen, che secondo Holden è “la grammatica di tutta l’osteologia”. Egli afferma: “Di questo lo studente può essere certo, che per quanto possa aver esaminato minuziosamente le ossa, non può capirle se non conosce qualcosa sulla vertebra prototipo; senza questa sarebbe come qualcuno che parla correntemente una lingua, ma ne ignora la grammatica”. E possiamo aggiungere che ha acquisito una catena di fatti associati che rimarranno indelebilmente impressi nella sua memoria e che gli permetteranno di ricordare prontamente la funzione e le specifiche strutturali di ogni osso in tutte le emergenze della pratica.

Dopo aver completato lo scheletro o l’ossatura, il nostro artista-studente ammette che per consentire all’uomo futuro di svolgere il compito di coltivare la terra e di sottometterla, egli deve essere dotato di almeno due forze. In primo luogo, deve avere il potere di locomozione, ovvero di spostarsi da un luogo all’altro e, in secondo luogo, deve avere la capacità di prensione, ovvero di afferrare e trattenere gli oggetti. Nella costruzione, lo studente deve aver notato che le ossa sono state progettate per muoversi l’una sull’altra e che quelle poste alle estremità hanno la forma di leve. La domanda che sorge riguarda il tipo di apparato da costruire per far funzionare queste leve e come esso deve essere applicato. Mostrando alla mia classe la settima e la sesta vertebra dorsale in posizione corretta, ho chiesto: “Come fareste a far muovere queste ossa l’uno sull’altro?”. Uno studente del primo corso ha risposto: “Attaccando una cinghia di gomma ai loro processi spinosi”. Egli enunciò un principio e un fatto: il principio era che l’apparato con cui un osso deve essere spostato su un altro deve avere la capacità di contrazione e il fatto era che una cinghia, come quella da lui suggerita – anche se non di gomma – era già attaccata ai loro processi spinosi. L’aneddoto illustra la prontezza dello studente, la cui mente è addestrata a ideare strutture adatte a svolgere funzioni, ad anticipare l’esistenza e la natura stessa dei tessuti che si appresta a studiare. Serve anche ad accentuare l’ipotesi che feci allora, secondo la quale – essendo che queste ossa dorsali centrali sono state costruite per prime – secondo il nostro schema di creazione, possiamo logicamente concludere che a queste ossa sono state applicate le prime strutture fatte per muovere le leve del corpo. Qui, dunque, alla settima dorsale, troviamo il prototipo del muscolo e qui iniziamo il nostro studio costruttivo del sistema muscolare.

Preparatorio per il lavoro costruttivo, lo studente deve ora acquisire, in primo luogo una conoscenza accurata delle specifiche istologiche dei muscoli e della loro classificazione e, in secondo luogo deve imparare praticamente la natura e la classificazione delle leve; due argomenti molto interessanti per l’inventore e che, se compresi a fondo, conferiscono al chirurgo una grande abilità pratica. Supponendo di aver acquisito queste conoscenze, inizia lo studio dei muscoli in situ. Deve rifiutare completamente il metodo proposto nei libri di testo che segue l’ordine delle dissezioni; perché non c’è niente di più antiscientifico che costruire i muscoli partendo dallo strato più superficiale e finendo con i muscoli più profondi. Ora, l’ordine di creazione deve essere stato necessariamente inverso. Se applicassimo i muscoli con le nostre dita, come io propongo, dovremmo posizionare per primi i muscoli più profondi e per ultimo lo strato superficiale. Questo metodo ha l’ovvio vantaggio che i muscoli più profondi sono di solito semplici e hanno un’unica azione, mentre i muscoli superficiali sono composti e complessi nella forma e nell’azione.

Si dirà che questo metodo di studio richiede di rimandare le dissezioni fino a quando lo studente non avrà completato la revisione dell’intero sistema muscolare come indicato nei libri di testo. È vero che, prima di tentare la dissezione dovrebbe imparare dal libro i muscoli di una parte, come il tronco o un arto. E questo ordine di studio presenta il vantaggio che la dissezione è fatta in modo molto più accurato e intelligente se si ha già una conoscenza corretta delle parti che vengono praticamente dimostrate.

Tornando ora all’adattamento dei muscoli alle leve dello scheletro per conferire a queste ultime un’attività funzionale, l’artista-studente si pone di nuovo la domanda sul punto da cui deve iniziare. In altre parole, “quale muscolo è stato applicato per primo, nell’ordine della creazione?”. Logicamente, il primo osso creato – il settimo dorsale, secondo il nostro schema – riceverebbe la prima attenzione. Ora, le articolazioni di quest’osso mostrano che ha un movimento limitato sulle vertebre adiacenti e, per ottenere questo movimento la leva più grande sarebbe assicurata da un muscolo attaccato ai processi spinosi delle due ossa, come suggerito dallo studente. Stava pensando ai pensieri del Creatore, perché nei muscoli interspinali troviamo gli stessi cordoni elastici che egli aveva riconosciuto come necessari per lo svolgimento della prima e la più semplice funzione di queste ossa. Queste semplici strutture, così piccole nella regione dorsale, ma così ben sviluppate in quella cervicale, possono essere considerate come i primi muscoli applicati.

Iniziando, quindi, dal muscolo interspinale della settima vertebra dorsale – punto di partenza nello studio del sistema muscolare – lo studente segue la linea di pensiero costruttivo, nel modo più naturale e scientifico possibile, fino all’applicazione finale dell’ultimo muscolo alle ossa terminali delle estremità. Durante l’intero studio il suo pensiero dominante come inventore è in ogni caso: “Quale classe di muscoli devo scegliere? E dove li devo attaccare alle ossa per consentire loro di svolgere le funzioni per le quali sono stati separatamente creati?”. Così, come lo scheletro si è sviluppato da un unico pensiero centrale, anche il sistema muscolare si sviluppa ora sotto la sua mano plastica in forma simmetrica, dalla piccola e delicata lamina che ha posto tra i processi spinosi della settima dorsale e i suoi confinanti, fino agli enormi, intricati e complessi erector spinae, multifidus e compexus, che gli studenti – seguendo il vecchio metodo di studio – di solito raggruppano in modo molto appropriato sotto il musculus perplexus.

Dopo aver completato i muscoli del tronco, procede ad applicarli alle grandi leve delle estremità. In questa parte dello studio tutte le sue facoltà inventive sono ispirate dalla più acuta intuizione tramite la rivelazione delle meravigliose forme di adattamento della forza muscolare per realizzare l’infinita varietà di movimenti di queste leve. E il fatto che, forse, lo colpirà di più è che tutti questi muscoli, fino alle falangi terminali, hanno come base della loro azione la colonna vertebrale e soprattutto la vertebra centrale dorsale, dove ha iniziato lo studio dello scheletro e del sistema muscolare. Questa disposizione e azione dei muscoli apparirà quando si tracceranno le relazioni tra un muscolo e l’altro, partendo dalla colonna vertebrale e terminando con le ossa estreme di entrambi gli arti. Anche se nella serie ci possono essere diversi muscoli, ognuno dei quali ha la sua funzione speciale quando agisce da solo, tuttavia è evidente che possono agire tutti insieme come un muscolo composto e svolgere un’attività nuova e relativamente indipendente. Ciò è illustrato in modo sorprendente dal professor Owen nella figura di un uomo che si china sotto un pesante carico che poggia sulle sue spalle. Il peso è sostenuto principalmente dai seguenti muscoli: gli erettori spinali della schiena, i glutei dell’anca, gli estensori del quadricipite della coscia, i gastrocnemici delle gambe e i flessori brevi dei piedi. Si tratta di dieci muscoli separati e indipendenti che si estendono dalla colonna vertebrale alle estremità delle dita dei piedi, ora uniti nella loro azione per svolgere un’unica funzione.

Nella costruzione dell’organismo umano abbiamo ora completato l’ossatura e l’apparato che la farà funzionare. Tuttavia, abbiamo solo un oggetto inerte e inanimato, del tutto incapace di svolgere le funzioni per le quali è stato creato. La nostra prossima domanda come inventori deve essere: “Come si possono dotare questi muscoli di forza e come si possono stimolare all’attività queste ossa secche?”. Il risultato del pensiero e dell’energia creativa è stato lo sviluppo di quel meccanismo meraviglioso e squisitamente bello, il sistema nervoso. Seguendo le linee della creazione, anche lo studente più ottuso sarà affascinato dal meraviglioso adattamento di mezzi a un fine, che scopre in ogni parte di questo sistema ma soprattutto nei centri nervosi, dove viene generata la potenza che muove i muscoli all’azione. Come nello studio dello scheletro e del sistema muscolare – lo studente ha imparato a conoscere l’intima natura dell’osso e del muscolo prima di iniziare la costruzione – così ora le peculiarità istologiche dei materiali che costituiscono il tessuto nervoso sono state apprese in modo approfondito e gli usi speciali di ogni tipo o forma sono pienamente compresi. Poi inizia il lavoro di costruzione e il punto di partenza è di nuovo la settima dorsale, perché qui si trova il centro nervoso tipo, di cui tutti gli altri sono solo varianti per soddisfare esigenze particolari. Questo unico centro nervoso, analizzato e compreso a fondo, è la chiave per apprezzare le specificità di tutti gli altri, così come la conoscenza della settima vertebra dorsale è la chiave per comprendere rapidamente le caratteristiche speciali di ogni altro osso dello scheletro. Anche nelle forme complicate e complesse dei centri nervosi del cervello, lo studente riconosce prontamente le speciali variazioni del “centro nervoso tipo” per far fronte a nuove funzioni e apprezza così tanto la necessità dei cambiamenti, da custodirli per sempre nella sua memoria. Non meno interessanti, se studiati in ordine, sono l’origine dei nervi dai centri, il metodo di distribuzione attraverso un plesso, la loro terminazione finale nei muscoli e in altri tessuti e le loro relazioni, nei loro percorsi, con altri tessuti.

Finora abbiamo esaminato la costruzione di tre grandi sistemi di tessuti: quello osseo per l’ossatura del meccanismo, quello muscolare per farlo funzionare e quello nervoso per dargli energia. Ma ci sembra evidente, come inventori, che questa macchina – essendo soggetta a “usura” e, quindi, a decadimento e morte – non solo deve essere fornita di mezzi per riparare i guasti, ma anche di perpetuarsi quando la sua vita finirà. Questi fatti aprono nuovi campi di studio e lo studente-artista inizia, con rinnovato zelo, a tracciare nel suo piano l’origine e lo sviluppo dell’apparato digerente, poi del suo ausiliario – il sistema circolatorio, e infine del sistema riproduttivo.

Non è necessario seguire lo studente oltre. Egli continua il suo studio e la sua costruzione lungo le linee del pensiero originale, riconoscendo sempre una funzione da svolgere prima di studiare l’apparato destinato a compierla. Man mano che procede, tutti i dettagli del meccanismo si dispiegano nell’ordine logico specifico delle scienze naturali “indicando”, dice Holden, “l’unica grande Causa di tutta l’organizzazione”.

Uno studente, che ha acquisito in questo modo una padronanza teorica approfondita dei vari sistemi di tessuti, trova nella loro dimostrazione mediante dissezione una costante fonte di soddisfazione. Ogni colpo di bisturi è eseguito con precisione e rivela il pensiero nascosto del Creatore in una luce nuova e vivace, che incide nella memoria di chi opera la dissezione i dettagli della funzione e della struttura in modo così distinto che, in ogni momento e in ogni emergenza questa conoscenza è immediatamente disponibile. E posso aggiungere, come affermazione finale, che per la mente filosofica, devota e creativa alla ricerca di conoscenze lungo queste linee di indagine, l’osservazione estatica di Galeno è perfettamente vera: “Lo studio dell’anatomia è un inno perpetuo agli dei”.

*Questo testo integrale è stato utilizzato con il permesso speciale del dott. Smith e del direttore del Medical Record. È una splendida illustrazione non solo del modo di utilizzare la Bibbia come libro di testo scientifico, ma anche per l’idea presentata in questo libro. Per questo motivo, l’autore riconosce con gratitudine l’immenso favore ricevuto tramite il permesso di riportare questo testo nel suo libro.

CAPITOLO 17 – LO STUDIO DELLA SCIENZA FISICA – LA GUARIGIONE

 

Relativamente al campo medico, nella Bibbia leggiamo: “Nessun abitante dirà: «Io sono malato». Il popolo che vi abita otterrà il perdono della sua iniquità” {Salmi 139: 14}, rivelando il principio che il peccato sia un elemento essenziale della malattia fisica e che, di conseguenza, il perdono del peccato – che implica la cessazione dello stesso, l’annientamento del peccato con la giustizia – sia un elemento da riconoscere e da impiegare nel trattamento cristiano delle malattie. Procedendo su questo principio si può tranquillamente dichiarare e insegnare per sempre, come è stato dichiarato e insegnato dal direttore dell’American Medicine, George M. Gould, M.D.: La relazione tra peccato e malattia è stata riconosciuta da tutte le grandi menti filosofiche, ma da nessuna parte è stata espressa in modo così accurato come nelle parole trancianti di Cotton Mather, che parla della malattia come Flagellum Dei pro peccaiis mundi. Per i moderni materialisti o atei e, soprattutto per gli agnostici onniscienti che abusano della scienza per scopi dogmatici, questo detto di Cotton Mather sembrerà degno del loro disprezzo, perché per loro non c’è né peccato, né Dio. Dovrebbero, insieme ai loro alleati, gli scienziati non cristiani, fare un passo avanti e concludere negando anche l’esistenza delle malattie e del mondo. È un vecchio trucco della mente liberarsi dalle difficoltà e dalle responsabilità negando l’esistenza dei fatti. Chi mette a tacere la propria coscienza negando il peccato, aggiunge solo un altro peccato al suo fardello individuale e un altro peccatore al fardello del mondo … Assumiamo quindi, al di là di ogni discussione, che l’ateismo è antiscientifico, che Dio vive e che il peccato si oppone e non favorisce la sua opera biologica nel mondo…

Dio è un vero medico che lavora per riportare finalmente la normalità. Può cauterizzare per curare e preferire l’amputazione alla necrosi. Il suo paziente è l’intero futuro corpo e anima dell’umanità, non i singoli membri esistenti qui e ora. I saggi del mondo, i filosofi e i profeti, le guide degli uomini verso una vita migliore sono stati coloro che hanno visto le lunghe e sottili linee e leggi della causalità che dalla malattia e dalla morte prematura risalgono alle fonti dell’ignoranza (che è anche peccato), dell’egoismo e delle azioni sbagliate. Questo è l’argomento di tutte le predicazioni e profezie, il fardello di tutte le tragedie, la trama di tutta la letteratura. Ed è il cuore della medicina!… Come medici dobbiamo lavorare per curare e prevenire le malattie. Se, come abbiamo visto, la malattia dipende sempre – in parte o del tutto – dal peccato, in una profilassi scientifica dobbiamo cercare di fermare il peccato che – in parte o del tutto – genera o permette la malattia…

La scienza, è evidente, ha superato la morale; sappiamo come prolungare la vita media dell’uomo di molti anni con una riduzione proporzionale di tutte le sofferenze, ma siamo incapaci di farlo semplicemente a causa del peccato. Non c’è dubbio che il peccato da solo impedisca di ridurre a metà il tasso di mortalità e di malattia e di allungare la vita da 50 o 60 anni. E abbiamo quasi raggiunto il limite per quanto riguarda l’arte terapeutica. Non potremo mai curare una percentuale maggiore di malati finché non avremo corpi e anime migliori nei pazienti. Il grande progresso della medicina del futuro sarà la prevenzione. Dobbiamo perdere la nostra vita per trovarla. Ogni anno negli Stati Uniti si registrano circa 1.500.000 decessi – almeno 500.000 in più di quelli che ci sarebbero se potessimo attuare riforme sanitarie di provata efficacia… Non si possono prevenire le malattie senza soffocare le cause della malattia. Ovunque esiste il peccato, esso si traduce in malattia e morte. Chi dice che il suo unico dovere è curare le malattie, senza preoccuparsi del peccato o della società, è un cattivo medico e un povero cittadino. In cento modi può influenzare i suoi vicini e la sua nazione per diminuire la malattia e la morte, oltre che con quella che i libri di testo chiamano terapia. La migliore terapia consiste nel rendere la terapeutica non necessaria”.

Questa idea del perdono dei peccati come elemento del vero trattamento della malattia non sanziona in alcun modo la ciarlataneria delle cosiddette cure di fede. È innegabile che la fede c’è: perché il perdono dei peccati si riceve e si conosce soltanto per mezzo della fede. Ma è la “fede che opera”, non una “fede” superficiale e fittizia che prega e “crede” ma sta con le mani in mano e non fa nulla. È la fede che, fondata sulla Parola e l’amore di Dio, insegna il perdono dei peccati e poi opera vigorosamente per ridurre la febbre, per eliminare i veleni e cercare diligentemente le cause fisiche della malattia, affinché queste cause, insieme ai peccati, siano abbandonate per sempre, e la vera via della salute, che è inseparabile dalla santità, sia fedelmente seguita in futuro. Su questo principio viene studiata la filosofia del perdono dei peccati per sapere in che modo, in materie di conoscenza pratica, il perdono dei peccati centri come elemento nella scienza medica pratica. E in questa direzione non bisogna andare lontano per trovare almeno una verità importante su come ciò avvenga. Eccola: “Pace, pace a chi è lontano e a chi è vicino», dice l’Eterno. «Io lo guarirò». Ma gli empi sono come il mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque vomitano melma e fango. «Non c’è pace per gli empi» ” {Isaia 57: 19-21}. La pace di Dio che giunge all’uomo con il perdono dei peccati e la restaurazione dell’anima alla rettitudine è un elemento distinto nella guarigione dalla malattia ed è una via d’accesso alla salute. E non c’è un medico intelligente al mondo, anche se un ateo dichiarato, che non affermi che una mente disturbata, una vita dubbiosa sia un vero ostacolo a qualsiasi cosa si possa fare per riportare una persona dalla malattia alla salute; mentre, d’altra parte, la pace della mente, la tranquillità e il riposo del cuore sono un aiuto reale.

E questo sano principio della medicina, riconosciuto da ogni medico, è dichiarato nella Bibbia come tale; ed è dato dal Signore direttamente come prescrizione medica ai malati: “Pace, pace… dice l’Eterno. Io lo guarirò”. Eppure questo non è che un esempio che illustra la virtù e il potere guaritore essenziale della parola di Dio. È scritto: “Egli mandò la sua parola e li guarì” {Salmi 107: 20}. E della virtù medicinale della Sua parola in quanto tale, è scritto: “Figlio mio, fa’ attenzione alle mie parole, porgi l’orecchio ai miei detti; non si allontanino mai dai tuoi occhi, custodiscili nel centro del tuo cuore; perché sono vita per quelli che li trovano, guarigione [ebr.medicina] per tutto il loro” – spirito? – No. Mente? – No. Ma “a tutta la loro carne” {Proverbi 4: 20-22}, È della carne che la malattia si impadronisce. Ma le parole di Dio accolte nel cuore, custodite nella vita e lasciate e che siano davvero la sorgente della vita, questo è “salute per tutta la carne”. È la ricetta del divino medico per la salute e la virtù divina è in essa per tutti coloro che prenderanno la “medicina” così prescritta. La prescrizione è ripetuta in {Esodo 15: 26} e in {Deuteronomio 7: 12-15}. Eppure tutto questo non è che una parte dell’espressione del desiderio supremo del Signore per quanto riguarda la salute dell’umanità. Egli dice infatti: “desidero che tu prosperi in ogni cosa e goda buona salute” {3 Giovanni 1: 2}. In effetti, Egli pone il suo desiderio per la salute dell’uomo esattamente alla pari con il suo desiderio di prosperità della sua anima. “Carissimo, io desidero che tu prosperi in ogni cosa e goda buona salute, come prospera la tua anima”. Questo non è altro che la ripetizione della potente verità già espressa, ovvero che, come il peccato e la malattia sono inseparabili, al polo opposto la salute e la santità sono inseparabili.

Questa verità è rivelata nella lingua madre inglese, in cui parliamo, e nelle sue lingue originarie, così come nella Bibbia. La parola “salute” [health] è un sostantivo astratto, derivato da “intero” [whole], non da “guarire” [to heal]. Il vero significato della parola “whole” è “sano, integro, intero, completo”. Il senso originale della parola “intero” è “hale”, che significa “in buona salute”. Ciò è confermato da quel versetto delle Scritture, “Non sono i sani [whole] che hanno bisogno del medico, ma i malati” {Luca 5: 31}. La forma originale dell’attuale parola “hale” è “hal”. E la sua metamorfosi è “hal”, hol, hool, hole, hwole, whole”. Quindi l’ortografia “h-a-l-e” è solo una forma successiva scandinava della parola “whole”. L’attuale parola norvegese per “intero” è “hel”. In effetti, la “w” nella parola “whole” è in uso solo da circa quattrocento anni; e la Società Filologica Inglese ha raccomandato l’eliminazione della “w”, in modo da restituire alla parola il suo legame con le parole affini “santo”, “guarire”, “salute”, ecc. Così la discendenza della nostra parola “whole”, in questa linea, dall’originale “hal”, mostra che essa significa “in buona salute”. Questa parola ha un’altra linea di discendenza, che presenta un’idea aggiuntiva e molto importante. Essa si snoda così: hal, hol, hool, hole, holy, hole-ness, holy-ness, holiness; perché la nostra parola attuale “santo” è nient’altro che “hool” in Middle English (ora scritto w-h-o-l-e), con il suffisso “y”. L’Anglosassone è lo stesso: “hal”, con il suffisso “ig”, che forma “halig”. Il suffisso “ig” corrisponde esattamente alla nostra “y” Inglese Moderno, così che l’Anglosassone “halig” è esattamente la nostra parola moderna “holy”. Corrispondente all’Anglosassone “halig” è il Tedesco “heilig”, che corrisponde esattamente alla nostra parola attuale “holy”. Il termine Tedesco “heilig” deriva dalla parola “heil”, che significa “salute, felicità, sicurezza, salvezza”. La discendenza e la famiglia della parola in Tedesco è la seguente: Heil, che significa sano, integro, in salute – Heiland, che significa Salvatore, dal “vecchio participio presente: il guaritore o il salvatore” – Heilig, che significa salutare, portatore massimo benessere; quindi santo, sacro – Heiligkeit, che significa santità – Heilsam, che significa salubre, curativo. In Tedesco leggiamo così in {Isaia 12: 2} “Siehe, Gott ist mein Heil… Gott der Herr ist meine Starke und mein Psalm, und ist mein Heil”. Le lingue scandinave – anzi, l’intera famiglia delle lingue teutoniche – raccontano la stessa storia. E questa storia è che nella vera concezione della salute sono comprese entrambe: la santità e la sua conseguenza, la salvezza. Dove la nostra lingua madre più lontana dice “heil”, la nostra lingua madre contemporanea dice “salvezza”.

E la Bibbia afferma che la salute e la salvezza sono la stessa cosa: “DIO abbia pietà di noi e ci benedica; DIO faccia risplendere il suo volto su di noi, affinché si conosca sulla terra la tua via e la tua salvezza fra tutte le nazioni” {Salmi 67: 1-2}. La salute che viene da Dio è “salute salvifica”. Significa santità e salvezza grazie alla santità. La sua “via” conosciuta sulla terra è la sua “salute salvifica” conosciuta tra tutte le nazioni. Ancora: “Perché ti abbatti, anima mia, perché gemi dentro di me? Spera in DIO, perché io lo celebrerò ancora; egli è la mia salvezza e il mio DIO” Le parole ebraiche dicono: “Perché la Sua presenza è salvezza”. E un’altra traduzione dice: “loderò colui che è la salute del mio volto e il mio Dio». La sua presenza è la salute del mio volto. La Sua presenza è salvezza e la Sua presenza è salute. Quindi, secondo le Scritture, la vera salvezza è salute, e la vera salute è salvezza {Salmi 42: 5, 11; Salmi 43: 5}. Infine: “purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio” {2 Corinzi 7: 1} Che cos’è la sporcizia della carne? – È il consumo di tabacco, di oppio, di tè, di caffè, di birra o di whisky; mangiare cibi impuri e non salutari; avere abitudini di vita impure. Da tutte queste cose il cristiano si purifica. Ma una volta fatto questo si raggiunge solo la metà della purificazione dell’uomo. Deve anche purificarsi da “ogni sporcizia dello spirito”, da ogni impurità di pensiero e di parola. L’uomo deve farle entrambe, per raggiungere la vera santità, l’integrità, la salute, la salvezza. Così la verità come principio medico, che è la salute e la santità inseparabilmente intrecciate, è enfatizzata dalla Bibbia e dalla sua filosofia e radicata nel linguaggio stesso in cui ci esprimiamo.

Perciò anche in ogni cristiano queste devono essere inseparabilmente combinate: altrimenti come si potrebbe essere veri cristiani in modo sincero e intelligente? E tra tutte le cose, queste due – salute e santità – devono essere inseparabilmente intrecciate nel medico, e non di meno nel predicatore. Il predicatore che le separa non riesce a declamare i principi della vera santità; e il medico che le separa, non riesce a praticare i principi della vera salute. E ciò che Dio ha così inseparabilmente unito, come si può fare bene a separarli?

TEMPERANZA: VITA SANA

L’unità di salute e santità implica il principio della temperanza e di una vita sana. Abbiamo visto che questo era uno studio specifico nelle scuole dei profeti. Abbiamo notato che la temperanza era una delle caratteristiche principali della giovinezza e, di fatto, della vita di Daniele. Che questo gli sia stato insegnato nella scuola che frequentava e che sia stato una parte materiale della sua educazione prima della prigionia, è evidente dal fatto che costituiva già un principio fisso nella sua vita a quel tempo.

Quando i prigionieri reali giunsero a Babilonia, “il re assegnò loro una razione giornaliera dei cibi squisiti del re e del vino che beveva egli stesso”. La parola usata qui significa “prelibatezze” e si riferisce a quelle reali, come ciò che ci si aspetta dalla tavola di un così grande re. Comprendeva anche le carni, naturalmente, perché queste erano largamente utilizzate; ma la parola indica tutte le prelibatezze reali. Però Daniele rifiutò tutto, respinse anche il vino e scelse “legumi per mangiare e acqua per bere”. La parola tradotta con “legumi” è una parola di ampio significato, così come la parola tradotta con “carne”, che si riferisce alle prelibatezze del re. La parola “legumi” comprende l’intero campo della dieta vegetariana, così come l’altra parola comprende l’intero campo delle prelibatezze del re. Quello che Daniele chiese di poter avere, con i suoi tre compagni, fu una dieta vegetariana come cibo e acqua da bere, invece delle prelibatezze preparate e condite della tavola del re come cibo e del suo vino come bevanda {Daniele 1}.

L’azione di quei quattro ragazzi non era che l’espressione di un principio fisso, che derivava dalla conoscenza degli effetti che le provviste del re avrebbero avuto. Perché Daniele, infatti, non solo “decise in cuor suo” di non mangiare e bere le squisitezze re, ma lo fece perché non voleva “contaminarsi” con quelle cose. Rifiutò quel cibo e quella bevanda perché conosceva il loro effetto contaminante su coloro che ne facevano uso. Infatti, l’effetto di tutti questi cibi e bevande è certamente quello di contaminare. Per illustrare: Se il vetro della vostra lampada è tutto appannato, la luce non brillerà chiaramente attraverso di esso: nemmeno la metà della luce che farebbe quando è ben pulito. Eppure, la luce all’interno della lampada può essere sempre la stessa. L’olio può essere purissimo, lo stoppino perfettamente tagliato, non c’è alcuna mancanza nella luce: ma se il vetro è impolverato, affumicato o in qualche modo offuscato, la luce non brillerà in modo chiaro. Semplicemente non può brillare chiaramente a causa delle condizioni del mezzo attraverso il quale deve brillare. Sapete che, in questi casi, la cosa da fare non è armeggiare con la luce o trovarle dei difetti, ma pulire il vetro. E sapete che quando pulite il vetro, la luce non solo può risplendere, ma è addirittura in grado di brillare come non lo potrebbe mai fare senza un vetro. Quindi è letteralmente vero che, a parità di altre condizioni, la forza e la chiarezza della luce dipendono dal mezzo attraverso il quale essa deve risplendere.

Ora, i credenti in Cristo sono il mezzo attraverso il quale la luce di Dio, per mezzo del Suo Spirito Santo, deve risplendere al mondo. Questa luce è perfetta. È impossibile che ci sia una qualsiasi mancanza nel perfetto splendore di quella luce stessa. Per quanto la mancanza di un perfetto splendore sia dovuta a un difetto del mezzo attraverso il quale la luce dovrebbe risplendere. Qualsiasi cosa che logora i nervi, o intasa i vasi sanguini, intorbidisce il sistema e offusca la luce di Dio, così come certamente fa il vetro appannato della lampada. Ogni tipo di stimolante e di narcotico – vino, tabacco, birra, caffè, tè – e tutti i cibi riccamente cucinati, molto conditi e a base di carne intasano i vasi sanguini, cosicché l’effetto di tutti, o di alcuni di questi, è quello di intorbidire il sistema e di offuscare la luce di Dio che, per mezzo del Suo Spirito Santo, risplende tramite la nostra vita nelle tenebre del mondo.

Daniele visse nell’epoca più buia dell’antico Israele, l’epoca in cui esso cadde sotto il peso della sua stessa iniquità. Visse anche nell’epoca più buia dell’antica Babilonia – l’epoca in cui anche Babilonia cadde sotto il peso della sua stessa iniquità. Daniele si trovava nel mondo come uno dei professanti appartenenti al popolo di Dio, attraverso il quale la luce di Dio deve risplendere nelle tenebre del mondo del suo tempo. Oggi viviamo in un’epoca che corrisponde a quella di Gerusalemme e di Babilonia. Oggi Dio chiama il Suo popolo a uscire da Babilonia, affinché “non sia partecipe dei suoi peccati” e “non riceva le sue piaghe”. Noi siamo il popolo che si professa di Dio, attraverso il quale la luce deve risplendere nelle tenebre del mondo. Eppure, centinaia, temo migliaia di cristiani che si professano tali bevono tè, caffè o altre cose nocive e mangiano abitualmente carni, prelibatezze e cibi molto conditi; e poi si chiedono perché i loro vicini non “vedono la luce”! Chiedono al Signore il Suo Spirito Santo e poi si chiedono perché hanno “così poca influenza”! La verità è che i loro vicini non riescono a vedere la luce: è talmente offuscata dalle loro menti e vite annebbiate che le persone non riescono a vederla chiaramente. Il Signore
dà il Suo Spirito Santo, ora ha effuso il Suo Spirito Santo; la luce perfetta è stata data, ma per quanto riguarda la luce stessa, essa non può risplendere in modo più chiaro; ma questa santa luce viene offuscata dai nervi logorati e dai sensi annebbiati di questi consumatori di tè, caffè, carni e prelibatezze, cosicché anche coloro che desiderano vederla e la cercano ardentemente non riescono a scorgerla. Essa non può raggiungerli.

Daniele non si sarebbe contaminato in questo modo. Aveva rispetto per le pretese della sua professione di appartenenza al popolo di Dio. Perciò si purificò “da ogni sporcizia della carne e dello spirito”, affinché la luce di Dio potesse risplendere senza essere offuscata e senza ostacoli dal mezzo attraverso il quale quella luce doveva risplendere nell’oscurità in cui si trovava. E tutto questo avvenne come esempio, ed è scritto “per nostro avvertimento, per noi, che ci troviamo alla fine delle età” {1 Corinzi 10: 11}. Per favore, quindi, non osate più cantare: “Vorrei essere un Daniele” [*ndt: inno cristiano], a meno che non abbiate davvero il coraggio di essere un Daniele. Nessuno ebbe difficoltà a vedere la luce in Daniele e nei suoi compagni. Essa brillava chiaramente. L’integrità morale che avevano acquisito attraverso la Parola e lo Spirito di Dio diffondeva i suoi raggi chiari e distinti in ogni situazione in cui si trovavano. La luce di questo singolo principio di temperanza e di retta condotta di vita risplendeva così chiaramente e con tanta forza in questi ragazzi, in contrasto con gli altri, tanto da ottenere l’approvazione dell’alto ufficiale del re {Daniele 1: 12-15}. Tutto questo è esattamente ciò che ci vuole oggi nelle tenebre della Babilonia che ci circonda. Chi di coloro che oggi professano di avere la luce di Dio per il mondo si contaminerà con le carni e le bevande babilonesi di chi gli sta intorno? Chi di loro, oggi, “vorrà essere un Daniele” nei fatti e nella verità?

CAPITOLO 18 – LO STUDIO DELLA SCIENZA FISICA: LA CULTURA FISICA – prima parte

 

La cultura fisica è un ramo dell’educazione che suscita molto interesse. E come le altre caratteristiche dell’educazione, anch’essa viene portata avanti con metodi il più possibile lontani da quelli della vera educazione. La vera cultura fisica è l’addestramento manuale o l’educazione produttiva. È l’addestramento o l’educazione di tutte le facoltà a svolgere un lavoro esperto in occupazioni oneste e utili, mentre la cultura fisica popolare è dedicata esclusivamente all’addestramento dei poteri muscolari per vincere nei giochi, nelle gare e in ogni tipo di competizione di forza e resistenza fisica. E in questa differenza c’è un mondo di significato. Il cristianesimo esige un lavoro onesto in occupazioni degne e utili, come è scritto: “Infatti, anche quando eravamo tra di voi, vi ordinavamo questo: se qualcuno non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che vi sono alcuni fra di voi che camminano disordinatamente, non facendo nulla, ma occupandosi di cose vane. Or a tali ordiniamo, e li esortiamo nel Signor nostro Gesù Cristo, che mangino il loro pane lavorando quietamente” {2 Tessalonicesi 3: 10-12}. “Or imparino anche i nostri a dedicarsi a buone opere per i bisogni urgenti, affinché non siano senza frutto” {Tito 3: 14}. Chi rubava non rubi più, ma piuttosto si affatichi facendo qualche buona opera con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi è nel bisogno” {Efesini 4: 28}.

L’unico modello di cristiano e di uomo ha dato l’esempio a tutta la cristianità. E partendo dal momento in cui aveva dodici anni al momento del battesimo, quando si avviò, specificamente all’insegnamento e al ministero, ha trascorso quasi sei volte tanto del tempo della Sua vita sulla terra nell’occupazione quotidiana del lavoro manuale, rispetto all’opera diretta del Suo ministero pubblico. Non si può dire che abbia imparato questo mestiere e dedicato quel tempo con l’aspettativa di doverne o poterne avere bisogno in seguito, “qualche volta”, come mezzo per “guadagnarsi da vivere”. Questo dimostra, quindi, che nel lavoro manuale, nell’occupazione onesta, c’è un valore intrinseco: che di per sé è un fine e non solo un mezzo per raggiungere uno scopo. È, quindi, un completo errore per chiunque pensare che il lavoro manuale sia in qualche senso una maledizione, o una parte della maledizione. Tuttavia, non si può negare che moltitudini di uomini pensino che tale lavoro sia simile a una maledizione, se non la maledizione stessa. In effetti, persino molti cristiani interpretano in modo così errato la Parola di Dio da far sembrare che l’esigenza che l’uomo mangi il pane con il sudore del suo volto sia una parte materiale della maledizione. Non è così. La parola di Dio all’uomo è: “il suolo sarà maledetto per causa tua; [engl. per te] … mangerai il pane col sudore del tuo volto” {Genesi 3:17, 19}. Quando una cosa è maledetta per me, allora la maledizione di quella cosa non è per me una maledizione, ma una benedizione. Perché ciò che è stato fatto per me è una prova di un pensiero, di una cura e considerazione speciali per me e di una buona volontà nei miei confronti. E talmente è saggio il provvedimento che: “mangerai il pane col sudore del tuo volto”.

Quando l’uomo fu creato e messo nel giardino era con lo scopo che egli lavorasse. Si osserva infatti che prima della sua creazione “non vi era l’uomo che coltivasse il suolo”. E quando fu creato, Dio “lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” {Genesi 2: 5, 15}. Quindi l’occupazione produttiva era essenziale per il benessere dell’uomo nella sua stessa creazione e nel paradiso, con lo scopo di fargli godere per sempre di quel luogo e di quello stato di beatitudine. E se questo era stato essenziale per il benessere dell’uomo nella rettitudine, nella perfezione e nel paradiso, a maggior ragione è essenziale quando cade nel peccato e nell’imperfezione. Pertanto, in quest’ultimo stato, poiché il lavoro è tanto più necessario per il suo benessere, per il suo bene il terreno richiede più lavoro per essere coltivato e custodito, affinché fornisca all’uomo il sostentamento necessario. Ma oltre a questo, c’è una componente morale. Mentre l’uomo era senza peccato, non c’erano elementi nocivi nella terra; e la sua occupazione era soltanto, nella sua perfetta e benedetta abbondanza di tutto ciò che è buono, di coltivarla e di custodirla. Ma dopo la caduta dell’uomo nel peccato, e quando Dio lo avrebbe salvato dal peccato, è richiesto un aumento delle occupazioni. E anche se ora si tratta di lavoro vero e proprio, nella misura del “sudore del suo volto”, tuttavia è tutto “per il suo bene”. E tutto questo rivela la potente verità che il lavoro, il lavoro manuale, l’occupazione produttiva occupa un posto importante come elemento per la guarigione dall’invasione del peccato e per lo sviluppo della morale. E questa visione è chiaramente confermata dalla vita di Cristo sulla terra. È quindi nel perfetto rigore della verità e della filosofia che si colloca la parola “il suolo sarà maledetto per causa tua; … mangerai il pane col sudore del tuo volto”.

Ma nella sua oscurità e perversione mentale, l’uomo vede naturalmente le cose al contrario. È quindi scontata l’inclinazione degli uomini, se possono, a non lavorare: farlo solo per forza e solo il minimo possibile per raggiungere una posizione o una condizione che permetta loro di vivere senza lavorare. Essi spendono molto denaro e tempo per prendere lezioni di atletica, per fare sforzi violenti in giochi di ogni tipo, in movimenti vigorosi e sistematici per l’esercizio fisico e la salute; ma non lavoreranno. Il lavoro manuale, l’occupazione produttiva la disprezzano come qualcosa di disdicevole per la loro specie, perché a loro “non serve il lavoro”. Questa tendenza persistente a evitare il lavoro e a indulgere in gare disperate di giochi e concorsi è oggi industriosamente coltivata nell’educazione popolare. Il corso così intrapreso è un serio danno per i giovani e una minaccia per la società stessa.

Questa verità è confermata dall’evidenza infallibile prodotta dalla macchina fotografica. Nelle fotografie dei partecipanti alle gare ciclistiche, ad esempio, scattate nel momento cruciale della gara, al traguardo, quando ogni facoltà dell’essere viene inghiottita dalla competizione, si è scoperta una similitudine rimarcabile: nell’espressione del volto si nota la stessa intensità di tutte le peggiori passioni dell’animo umano. Le espressioni – di odio, discordia, rivalità, ira, invidia, gelosia, malignità, omicidio, paura, orrore, disperazione – rendono i loro volti demoniaci piuttosto che umani.

C’è un’educazione migliore di questa. C’è una cultura fisica migliore di questa. Unicamente per questa ragione, se non ce ne fossero altre, ogni scuola cristiana esclude assolutamente tutti i giochi, tutte le gare e le rivalità di ogni genere, sia intellettuali che fisiche. Al posto di queste, la scuola cristiana istituisce occupazioni produttive utili per l’impiego di tutti gli studenti. Il coinvolgimento effettivo in tali occupazioni è una parte essenziale dell’educazione che la scuola fornisce e per la quale lo studente paga; e nessuna persona sarà accolta come studente o impiegata come insegnante se non sarà disposta a svolgere questa attività durante le ore di lavoro, così come svolge l’attività sui libri durante le ore di corso o seminari.

La scuola cristiana non ammetterà nulla che possa in qualche modo suggerire che ci sia una distinzione tra lavoro e istruzione: essa sosterrà costantemente e senza compromessi che il lavoro è educazione e che l’educazione è lavoro. La scuola cristiana non riconoscerà l’idea che il lavoro sia un mezzo per l’istruzione nel senso che una persona può lavorare per ottenere un’istruzione e quando l’ha ottenuta può considerarsi al di sopra di tale lavoro. La scuola cristiana ammetterà che il lavoro è un mezzo per l’educazione solo nel senso che il lavoro stesso è educazione: la vera educazione si trova nel lavoro stesso. Perciò una scuola di questo tipo che impiega insegnanti a istruire solo nelle sale di corso e si occupino degli studenti solo durante le ore di seminari, mentre gli studenti stessi devono seguire sia i seminari sia le ore di lavoro – non fa altro che sancire nel modo più forte, con l’esempio, che c’è una chiara distinzione tra istruzione e lavoro, in modo che, quando una persona raggiunge un’istruzione sufficiente per essere in grado di insegnare, può essere giustamente esonerato dal lavoro. Questo sarebbe un abbandono del principio, sostituendolo con una mera teoria.

Un altro principio importante relativo a questo è che la scuola cristiana, come tutto ciò che è cristiano, può funzionare continuamente: non sono mai necessarie lunghe vacanze. Le vacanze lunghe sono di per sé un danno, a meno che il tempo trascorso fuori dalla scuola non venga impiegato in qualche attività utile. Ma quando tutto il tempo a scuola è adeguatamente diviso tra il lavoro manuale e lo studio dei libri, lo sforzo educativo non è così unilaterale da dover essere abbandonato per diversi mesi per permettere allo studente di ritrovare il proprio equilibrio. In combinazione con la grande benedizione di Dio del lavoro fisico – un onesto coinvolgimento in mestieri e occupazioni oneste – per rinvigorire il corpo, gli sforzi educativi nelle scuole cristiane, invece di diventare sempre dei compiti faticosi, sono ispirazioni rigeneranti continue e possono funzionare continuamente per sempre con la stessa facilità di movimento. In ogni modo c’è una vera scienza e filosofia nella grande benedizione di Dio del lavoro manuale nelle scuole cristiane come in ogni altro luogo. E in vista della verità della Parola di Dio su questo argomento, come potrebbe una vera scuola cristiana disprezzare o trascurare volontariamente questa vera cultura fisica cristiana?

CAPITOLO 19 – LO STUDIO DELLA SCIENZA FISICA: LA CULTURA FISICA – seconda parte

 

L’ASTRONOMIA deve essere studiata nelle scuole cristiane in obbedienza all’invito del Signore: “Levate in alto i vostri occhi e guardate: Chi ha creato queste cose? Colui che fa uscire il loro esercito in numero e le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo vigore e la potenza della sua forza, nessuna manca” {Isaia 40: 26}. Questo sarà uno dei testi; e la brillante galassia dei cieli, con i suoi soli, sistemi, orbite e leggi e la letteratura sull’argomento, sarà il libro di testo. E mentre lo studente contempla l’innumerevole schiera e ricorda che Dio non solo conosce il numero complessivo di tutti loro ma chiama ognuno col proprio nome che mai dimenticherà non sfugge mai alla Sua attenzione e non perde di vista il loro numero o il nome – e quando comprende che, grazie a questa conoscenza infinita e a questa attenzione che tocca l’infinitesimale ognuno di essi è mantenuto esattamente nella Sua orbita e nel Suo tempo, come una tela di ragno spaziale, era dopo era – mentre studia il libro di testo si confronta con la domanda supplichevole del versetto successivo del suo Libro di testo: “Perché dici: «La mia via è nascosta all’Eterno e il mio diritto è trascurato dal mio DIO»?” {Isaia 40: 27} e sa che Colui che chiama tutti questi con il loro nome pensa a lui, mai dimenticherà il suo nome né gli farà mai mancare la Sua infinita cura.

Un altro testo potrebbe essere: “Puoi tu unire assieme i legami delle Pleiadi?” {Giobbe 38: 31}. Con questo testo, tutta l’astronomia delle Pleiadi sarà il libro di testo. E quando lo studente avrà coperto il campo delle Pleiadi e saprà quali sono i dolci influssi attrattivi delle Pleiadi, saprà di poter conoscere, nella propria vita, le dolci influenze dello Spirito di Colui che ha dato dolci influssi alle Pleiadi; e questo farà di lui, collocato nell’ordine di Dio, ciò che le Pleiadi sono – al loro posto – nell’ordine di Dio.

Può leggere anche il testo: “Egli guarisce quelli che hanno il cuore rotto e fascia le loro ferite. Conta il numero delle stelle e le chiama tutte per nome” {Salmi 147: 3-4}. E quando avrà studiato l’aspetto delle Pleiadi e i loro dolci influssi, l’Orione e le sue catene e saprà che Colui che può “unire assieme i legami delle Pleiadi o sciogliere le catene di Orione” può anche fasciare il cuore spezzato e guarire lo spirito ferito e sciogliere i nodi del peccato e delle cattive abitudini che tengono in schiavitù la sua anima. Allora sarà più capace di apprezzare e più pronto ad accettare l’invito a “cercare Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione” {Amos 5: 8}.

LA GEOGRAFIA fisica del mare, così come quella della terra, sarà oggetto di studio in tutte le scuole cristiane. Questa è la scienza dei venti e delle onde, dell’atmosfera, della pioggia, della rugiada, delle maree oceaniche e dell’oceano stesso. Uno dei testi potrebbe essere: “Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; gira e rigira continuamente e ritorna a fare gli stessi giri” {Ecclesiaste 1: 6}. Partendo da questo testo, l’insegnante condurrà gli studenti nel loro studio sulla direzione dei venti come escono dal nord, poi si dirigono verso il sud, vorticano continuamente e ritornano di nuovo secondo i loro circuiti. Guiderà gli studenti verso i libri che spiegano la scienza dei venti e così li condurrà lungo il percorso del circuito dei venti. Allora gli studenti sapranno che il vento ha un circuito così come il sole ha un percorso e che la brezza più dolce che accarezza le guance in un giorno d’estate è mossa dalla mano di Colui che “fa soffiare il suo vento” {Salmi 147: 18} e “fa dei venti i suoi messaggeri” {Salmi 104: 4}.

Un altro testo potrebbe essere: “Tutti i fiumi corrono al mare, ma il mare non si riempie mai; al luogo da cui i fiumi provengono, là essi ritornano nuovamente” {Ecclesiaste 1: 7}. Questo sarà il testo: il libro di studio sarà qualsiasi libro scientifico, filosofico e di letteratura specialistica che darà allo studente i fatti reali, la procedura e i mezzi con cui Dio, “chiama le acque del mare e le riversa sulla faccia della terra” {Amos 5: 8}, raccoglie l’acqua dal mare, la trasporta sulla terra e la riversa di nuovo – 255 miglia cubiche d’acqua ogni 24 ore; come “Egli fa salire i vapori dall’estremità della terra” {Salmi 135: 7}, fino a quando “carica le dense nubi di umidità e disperde lontano le sue nubi luminose” per trafiggere la nube spessa e far venire la pioggia “per castigo o per la Sua terra o per bontà” {Giobbe 37: 11-13}.

Quando si studia il modo in cui Dio “chiama le acque del mare” per poterle “riversare sulla faccia della terra”, il mare stesso sarà considerato un meraviglioso libro di studio. Come mai le acque che vengono chiamate dal mare e riversate sulla faccia della terra particolarmente fresche, mentre le acque del mare sono estremamente salate? Perché il mare è salato? Quali meravigliose e vitali conseguenze derivano dal fatto che all’inizio Dio ha reso il mare salato anziché fresco? Perché i più grandi fiumi del mondo, con acqua calda fino a 86 gradi, si trovano negli oceani, uno nell’Atlantico e l’altro nel Pacifico: l’uno crea il clima morbido e bello delle isole britanniche, l’altro quello del Nord America sulle coste del Pacifico, mentre entrambe queste regioni sono sulla stessa latitudine del tetro e gelido Labrador? Com’è possibile che da questo potente fiume dell’Atlantico venga trasportata e scaricata in continuazione una quantità di calore
“sufficiente a portare le montagne di ferro da zero al punto di fusione e a far fluire da esse una quantità di metallo fuso del volume maggiore delle acque del fiume Mississippi”? Com’è possibile che quando Dio “chiama le acque del mare” per poterle “riversare sulla faccia della terra” sotto forma di neve, nel produrre una quantità di quei fragili cristalli che un bambino potrebbe facilmente tenere tra le mani, si esercita una potenza sufficiente a raccogliere una delle più potenti valanghe di pietra delle Alpi e a scaraventarla a un’altezza doppia di quella da cui è partita?

“Nella ricerca di questo argomento, la mente viene condotta dalla natura al suo Grande Architetto; e quale mente non si colmerà di proficue emozioni studiando di questo tema? Armoniosi nella loro azione, l’aria e il mare sono obbedienti alla legge e soggetti all’ordine in tutti i loro movimenti. Quando li consultiamo nello svolgimento dei loro molteplici e meravigliosi uffici, impariamo lezioni dalle meraviglie degli abissi, dai misteri del cielo, dalla grandezza e dalla saggezza, dalla bontà del Creatore, che ci rendono uomini più saggi e migliori. Le indagini sull’ampia cerchia di fenomeni legati ai venti del cielo e alle onde del mare non sono seconde a nessuno per il bene che recano e per gli insegnamenti che offrono. Degli astronomi si dice che vedono la mano di Dio nel cielo; ma il navigatore di buon senso, che guarda in alto mentre riflette su queste cose, non sente forse la Sua voce nello sciabordio delle onde e non avverte la Sua presenza nel vento che soffia? Immutato e immutabile tra tutte le cose create, l’oceano è il grande emblema del suo eterno Creatore. “Cammina sulle alte onde del mare” {Giobbe 9: 8} e si vede nelle meraviglie degli abissi”. “I fiumi hanno elevato la loro voce” {Salmi 93: 3}, “i fiumi battano le mani” {Salmi 98: 8} alla presenza del Signore; e “un abisso chiama un altro abisso, al fragore delle tue cascate” {Salmi 42: 7} perché “L’Eterno persegue il suo cammino nel turbine e nella tempesta e le nuvole sono la polvere dei suoi piedi” {Nahum 1: 3}.

LA BOTANICA deve essere studiata nelle scuole cristiane di tutto il mondo; però, come già notato, non la botanica come il termine è comunemente inteso, come una “scienza” in cui i fiori sono considerati solo sotto un nome impronunciabile, in una lingua straniera, vengono fatti a pezzi per essere studiati e a ogni parte viene dato un altro nome impronunciabile. Non questo, ma i fiori stessi, così come sono, come creati da Dio e così come crescono in quanto espressione del pensiero di Dio. Uno dei testi può essere: “Considerate come crescono i gigli della campagna” {Matteo 6: 28}. Poi, il giglio stesso, e come cresce – con tutta la storia, la letteratura e la scienza del giglio – diventerà il libro di testo. Sarà il campo di studio di quel testo. E per quale scopo? Perché Gesù ci chiede di considerare “come crescono i gigli della campagna”, e cioè di studiare il giglio? – Per il motivo indicato in quest’altro testo che recita: “Israele… fiorirà come il giglio” {Osea 14: 5}. I cristiani, anche gli studenti stessi, devono crescere, sotto lo sguardo di Dio, come cresce il giglio. Gesù dice a ogni studente di studiare il giglio, di vedere e conoscere come esso cresce in modo da sapere come deve crescere lui stesso. Deve scoprire nel giglio la vita e la potenza di Dio che lo fanno crescere – i mezzi che Dio impiega nel sole, nel terreno, nella rugiada e nella pioggia per svilupparlo e la scienza e la filosofia della crescita stessa cosicché conosca il modo in cui Dio lo farà maturare come il giglio. Quindi, ogni studente che impara la botanica in questo modo, solo per quanto riguarda il giglio, ogni volta che ne vedrà uno, riceverà da quel giglio una lezione diretta da parte di Dio, che gli dirà cosa Dio sta facendo nella sua vita e cosa Dio metterà nella sua vita se crederà in Lui.

Un altro testo potrebbe essere: “rivivranno come il grano, fioriranno come la vite” {Osea 14: 5}. Questo è il testo; e il libro di studio sarà il grano e la vite stessi, in tutta la scienza, la filosofia, la letteratura e le Scritture che si possono trovare sulla natura del grano e della vite. “Se il granel di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” {Giovanni 12: 24}. “Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore…voi siete i tralci” {Giovanni 15: 1, 5}. Così il grano e la vite saranno il libro di studio per lo studente che ha nella Bibbia il testo: “rivivranno come il grano, fioriranno come la vite”. Allora, ogni volta che vedrà il grano o la vite in un posto qualsiasi, gli daranno lezioni di insegnamenti e di esperienza nel linguaggio di Dio.

Un altro aspetto: è impossibile “considerare” i fiori, il grano, la vite, gli alberi, “come crescono” senza tenere conto dove crescono. Questo porta l’allievo nel giardino, nei campi, nei boschi, dove con ogni facoltà del suo essere può ricevere istruzioni dal grande Maestro. E così, invece di stare come un pigro seduto in una casa a studiare le forme morte e rinsecchite di formiche, farfalle e altre cose striscianti o volanti che qualche “scienziato” ha catturato e crudelmente impalato vivo, insegnante e studente saranno in armonia con l’insegnamento del Maestro divino: “Va’ dalla formica, o pigro” {Proverbi 6: 6}. Non sedetevi e non aspettate pigramente che qualche “scienziato” o inserviente catturi la formica e ve la porti morta; non siate nemmeno così indolenti da accontentarvi di stare seduti in casa a leggere ciò che è stato scritto da una persona viva e sensibile che è “andata dalla formica”. No: andate voi stessi. “Va’ dalla formica, o pigro; considera le sue abitudini” – non considerare soprattutto la formica – ma “considera le sue abitudini e diventa saggio”. E questo si impara dai fiori e dagli alberi, dalle bestie, dagli uccelli e dagli esseri striscianti, è una conoscenza più profonda di quella che può essere appresa dai libri stampati. Puoi raccogliere tutte le parole e le sfumature di significato nella nostra lingua su un argomento, eppure tutto ciò sarà ben lontano dalla completa espressione del pensiero che viene trasmessa alla mente e al cuore quando – per esempio – la delicata e pudica violetta parla nella sua lingua nativa e divina a chi la capisce.

LA FISICA. Da ogni parte della creazione si aprono porte che invitano lo studente sveglio a scoprirla. Una di queste, estremamente piacevole, è quella che va dalla botanica alla fisica. Ci sono fiori che non producono semi, ma che crescono solo dalle radici della loro specie. Ci sono anche fiori che portano i semi in sé stessi secondo la loro specie. Di quest’ultimo tipo è l’innocente e casto bucaneve. “I botanici ci dicono che la costituzione di questa pianta è tale da richiedere che, a un certo punto della sua crescita, il gambo pieghi la testa perché possa avvenire un’operazione necessaria affinché l’erba produca un seme secondo la sua specie; e che, dopo questa fecondazione, la sua salute vegetale richiede che alzi di nuovo la testa e stia in posizione eretta”. E in questo delicato equilibrio di quel piccolo fiore è racchiusa la filosofia della gravitazione, che è semplicemente l’equilibrio dell’universo. Infatti, “se la massa della terra fosse stata minore o maggiore [di quanto lo è], la forza di gravità sarebbe stata diversa; in quel caso la forza della fibra nel bucaneve, così com’è, sarebbe stata troppa o insufficiente; la pianta non avrebbe potuto piegare o alzare la testa al momento giusto; la fecondazione non avrebbe potuto avere luogo e la sua specie si sarebbe estinta con il primo esemplare che è stato piantato, perché il suo “seme” non sarebbe portato “in sé” e quindi non avrebbe potuto riprodursi e la sua creazione sarebbe stata un fallimento”.

Perciò, “la fisica ci insegna che, quando fu creato il piccolo bucaneve – che nelle nostre passeggiate in giardino vediamo alzare la sua bella testa al “canto degli uccelli”, per ricordarci “l’inverno è finito e se n’è andato” – l’intera massa della terra, da un polo all’altro e dalla circonferenza al centro, deve essere stata presa in considerazione e pesata, in modo che il giusto grado di forza potesse essere fornito alle sue minuscole fibre”. Uno dei testi della Scrittura che raccontano questa verità fisica è {Isaia 40: 12}: “Chi ha misurato le acque nel cavo della sua mano, preso le dimensioni del cielo con la spanna, raccolto la polvere della terra in una misura o pesato le montagne con la stadera e i colli con la bilancia?”. Le colline sono in equilibrio con i monti, i monti con la terra, la terra con le acque, con l’aria e anche con il piccolo fiore che cresce dal suo seno, e tutto con il grande universo.

“Dio fece la terra, l’aria e l’acqua e l’intera disposizione del regno animale e vegetale, così com’è in esatto contrappunto. Se non fosse così, perché sarebbe stato dato il potere ai venti di sollevare e trasportare l’umidità e di nutrire le piante? O perché sarebbe stata data al mare la proprietà di trasformare le sue acque in vapore, e quindi in piogge fruttuose o in dolci rugiade? Se le proporzioni e le proprietà della terra, del mare e dell’aria non fossero state regolate in base alle capacità reciproche di svolgere le funzioni richieste da ciascuno, perché ci viene detto che Egli “ha misurato le acque nel cavo della sua mano, preso le dimensioni del cielo con la spanna, raccolto la polvere della terra in una misura o pesato le montagne con la stadera e i colli con la bilancia?” Perché prendere le dimensioni del cielo con la spanna se non per distribuire l’atmosfera in un’esatta proporzione con tutto il resto e conferirle quelle proprietà e quei poteri che erano necessari affinché potesse svolgere tutti gli uffici e i compiti per i quali l’ha progettata?”

“Nel contemplare il sistema degli adattamenti terrestri, queste ricerche insegnano a considerare le catene montuose e i grandi deserti della Terra come l’astronomo considera i contrappesi del suo telescopio – anche se sono semplici pesi morti, sono tuttavia necessari per rendere l’equilibrio completo e le regolazioni della sua macchina perfette. Questi contrappesi danno facilità ai movimenti, stabilità alle prestazioni e precisione al funzionamento dello strumento. Sono compensazioni”.

“Ogni volta che mi soffermo a contemplare le opere della natura rimango colpito dall’ammirabile sistema di compensazione, con la bellezza e la precisione con cui ogni reparto è compensato dagli altri: cose e principi vengono distribuiti in apparente opposizione, ma in proporzioni così esattamente bilanciate e ben regolate da produrre i risultati più armoniosi. È grazie all’azione di forze opposte e compensate che la terra è mantenuta nella sua orbita e le stelle sono tenute sospese nell’azzurra volta celeste. E queste forze sono così squisitamente regolate che, anche dopo un millennio, la terra, il sole, la luna e ogni stella del firmamento luna e ogni stella del firmamento si trovano al loro posto al momento giusto”.

Questa legge o sistema di compensazioni si chiama gravitazione. La parola “gravitazione” deriva dalla parola gravus, che significa “peso”. La legge di gravitazione è la legge in base alla quale ogni particella di materia nell’universo attira in alto con il suo peso, attrae o è in equilibrio con ogni altra particella. Un altro testo della Scrittura che racconta questa verità della fisica e definisce anche la gravitazione, è {Ebrei 1: 1-3}: “Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, per mezzo del quale ha anche fatto l’universo. Egli, che è lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza”.

Questa “potenza” della Parola creatrice e potente di Dio è la vera definizione di gravitazione. Perché la gravitazione è ciò per cui tutte le cose sono equilibrate e mantenute al loro posto: ciò per cui tutte le cose sono sostenute. Eppure, nel campo della sola scienza accettata, questo è il massimo a cui uno studente è generalmente autorizzato ad arrivare. Può chiedere: “Che cosa tiene in piedi tutte le cose? La risposta è: la gravitazione. Può quindi domandare: “Che cos’è la gravitazione? La risposta di solito è: “Ciò che tiene in piedi tutte le cose” o qualcosa di simile. Ma questa non è una risposta valida: gli si chiede solo di muoversi in cerchio senza trovare una meta. Ora, in una scuola cristiana, quando si insegna che la legge o il sistema di equilibri secondo cui si reggono le cose al loro posto relativo è la gravitazione e poi lo studente serio chiede onestamente: “Ma cos’è la gravitazione in sé?”, la risposta è: il potere presente e immanente della Parola vivente di Dio. Nell’educazione cristiana nessuno studente viene mai abbandonato in un labirinto, né gli viene chiesto di muoversi in cerchio. Viene istruito fino al limite e portato a trovarsi faccia a faccia con Dio, nel quale la mente e il cuore trovano il loro posto e soddisfazione, come Fonte di conoscenza.

CAPITOLO 20 – LETTERATURA, STORIA, DIRITTO, LOGICA

 

La lingua e la letteratura [inglese] devono essere studiate nelle scuole cristiane: “La nostra lingua, seconda solo a quella greca per forza e copiosità”; “la nostra letteratura, seconda a nessuna che sia mai esistita”. E in questo campo, come in qualsiasi altro, la Bibbia è preminente. Per quanto riguarda la lingua, l’inglese della Bibbia è il più puro e il migliore che esista al mondo. Nella Bibbia ci sono più parole inglesi pure e migliori che in qualsiasi altro libro in lingua inglese. Quindi, chiunque familiarizzasse con l’inglese più puro e migliore dovrebbe studiare l’inglese della Bibbia. Nell’inglese della Bibbia si esprime di più in meno parole che in qualsiasi altro scritto del mondo. Questa schiettezza e forza, questo vero peso [delle parole – ndt] è la caratteristica del linguaggio biblico al di sopra di quella di tutti gli altri scritti. E la persona il cui vocabolario è composto nel modo più completo dalle parole, dalla fraseologia e dalla schiettezza della Bibbia sarà l’oratore o lo scrittore più forte e diretto, in grado di esprimere di più con il minor numero di parole.

La Bibbia ha l’immenso vantaggio, rispetto a tutte le altre materie in lingua inglese, che a essa appartiene, per merito, il diritto di essere il principio di tutti gli studi di letteratura inglese e la base e la guida di tutti gli studi di letteratura inglese degli altri libri. Ma questo non è tutto. Dire che la Bibbia è meritatamente l’inizio, la base e la guida nello studio della letteratura inglese non è sufficiente. La Bibbia da sola è un’intera letteratura inglese. Questa verità è stata espressa al meglio da Macaulay, riferendosi alla Bibbia come “quell’opera stupenda che è la Bibbia inglese – un Libro che, se tutto il resto della nostra lingua dovesse svanire, basterebbe da solo a mostrare l’intera portata della sua bellezza e potenza”. – Saggio su Dryden

Nessuno che conosca la Bibbia inglese e il suo spirito, insieme all’altra letteratura in inglese, metterà – anche per un istante – in dubbio questa stima della ricchezza della Bibbia come letteratura inglese. Nella Bibbia c’è ogni fase della letteratura che è coinvolta nell’arte dell’espressione umana o nella rappresentazione dei sentimenti umani. E il merito trascendente della Bibbia in tutto questo è che è tutto vero. Le sue scene sono tutte adottate dalla vita reale e sono tratte dalla vita. Non sono “fondate sui fatti”: sono fatti.

D’altra parte, quanto di ciò che viene studiato oggi come letteratura inglese nelle scuole, nei college e nelle università, è verità? Non è forse per nove decimi di finzione? E non è forse la finzione che si colloca più in alto in queste scuole, come letteratura? Cosa può portare un uomo alla ribalta – nel mondo della letteratura inglese – più rapidamente della scrittura di un romanzo popolare? Persino un ministro del Vangelo – un sincero, pio e potente ministro del Vangelo – semplicemente predicando il Vangelo della Parola di Dio non potrà mai ottenere – anche tra le persone che professano il Vangelo – il rilievo che gli verrebbe assicurato scrivendo un romanzo popolare; e soprattutto se ne scrivesse due o tre, dimostrando così di avere un’abilità speciale come romanziere. In altre parole, la sua posizione di ministro della Parola di Dio, che è verità, viene fatta dipendere dalla sua popolarità come produttore di narrativa! Ora, cosa è meglio, cosa è più cristiano per i fedeli o per una scuola cristiana: studiare una letteratura inglese di qualità inferiore che, tra l’altro è finzione, o studiare quel “Libro che, se tutto il resto della nostra lingua dovesse svanire, basterebbe da solo a mostrare l’intera portata della sua bellezza e potenza” e che, inoltre, rappresenta tutta la perfezione della verità, la verità di Dio? Porre la domanda è certamente solo per avere una risposta nella mente di ogni cristiano e di ogni persona che vuole ricevere un’educazione cristiana.

Visto che si può affermare tutto questo della Bibbia, rispetto alla letteratura della cristianità, cosa non si potrà dire di essa rispetto alla letteratura del paganesimo? “È ormai generalmente riconosciuto che i classici della Grecia e di Roma si trovano nella posizione di una letteratura ancestrale – ispirazione dei nostri grandi maestri – e il legame di associazione comune tra i nostri poeti e i loro lettori. Ma una simile posizione non appartiene forse, ugualmente, anche alla letteratura della Bibbia? Se il nostro intelletto e la nostra immaginazione sono stati formati dai greci, non abbiamo forse tratto in modo analogo la nostra formazione morale ed emotiva dal pensiero ebraico? Perché, allora, la trascuratezza nei confronti della Bibbia nelle nostre scuole superiori e nei college? È una delle curiosità della nostra civiltà il fatto che ci accontentiamo di rivolgerci – per la nostra educazione liberale – a letterature che, moralmente, si trovano a un polo opposto a noi: letterature in cui il tono più esaltato è spesso un’apoteosi del sensuale, che degrada la divinità non solo al livello umano, ma al livello più basso dell’umanità.

Essendo la temperanza il nostro più difficile problema sociale, studiamo in greco la glorificazione dell’ebbrezza. Mentre nella vita matura siamo occupati a tracciare legge fino all’angolo più remoto dell’universo, andiamo a scuola per ricevere un impulso letterario dalla poesia che drammatizza il peso di un destino senza speranza. La nostra più alta politica mira a conservare le arti della pace; le nostre prime lezioni di poesia sono in un’Iliade che non può essere apprezzata senza una gioia sanguinaria di uccidere. Cerchiamo di formare un carattere in cui la delicatezza e il riserbo siano supremi e allo stesso tempo stiamo formando il nostro gusto con letterature che, se pubblicate come libri inglesi, verrebbero sequestrati dalla polizia”.

“Ricordo questi paradossi non per fare un’obiezione, ma per suggerire la ragionevolezza dell’affermazione che la nostra educazione liberale debba avere un altro lato per bilanciarla. I timori prudenti possono essere poco saggi, ma non c’è bisogno di mettere un embargo sulla decenza. È certamente un bene che i nostri giovani, durante il periodo di formazione, abbiano a disposizione una veste letteraria brillante come quella della letteratura greca – in liriche che Pindaro non può superare, in una retorica incisiva come quella di Demostene o in una prosa contemplativa non inferiore a quella di Platone – di una nazione dominata da un’assoluta passione per la rettitudine, un popolo le cui idee – di purezza, di bene infinito, di ordine universale, di fede nell’irresistibile distruzione di tutti i mali morali – muovevano a una passione poetica tanto fervida e una parola altrettanto musicale, come quando Saffo cantava d’amore o Eschilo tuonava le sue profonde note sul destino”.

Solo del libro di Isaia è stato, giustamente, detto: “Si può affermare con sicurezza che in nessun’altra parte della letteratura mondiale sono state riunite tante idee colossalmente grandi nei limiti di un’unica opera”. Questo può essere esteso a tutta la Bibbia e sarà ugualmente vero. Così anche quanto segue: “Anche per ciò che riguarda la forma letteraria, il mondo non ha prodotto nulla di più di Isaia; e la stessa difficoltà di determinare la sua forma letteraria è una prova di quanto la critica sia stata resa angusta e imperfetta dalla limitazione del suo sguardo all’unico tipo di letteratura che monopolizza il concetto di “classico”. Ma quando passiamo alla materia e al pensiero di Isaia – la materia letteraria, a prescindere dalla teologia fondata su di essa – come possiamo spiegare l’abbandono di questo capolavoro nei nostri piani di educazione liberale?”

“L’Inghilterra e l’America si vantano di avere un’istruzione superiore religiosa nel suo spirito. Perché allora ai nostri giovani viene insegnato ad associare la squisitezza dell’espressione, la forza della presentazione, la brillantezza dell’immaginazione solo a letteratura in cui la materia e il pensiero prevalenti sono di basso livello morale? Questo paradosso fa parte del paganesimo che è arrivato con il Rinascimento, e che la nostra istruzione superiore è ancora troppo conservatrice per scrollarsi di dosso”. È possibile che i cristiani, nella loro educazione si rifiutino ancora di scrollarsi di dosso questo paganesimo? La più alta letteratura cristiana, la Bibbia, non dovrebbe avere la sua supremazia in ogni fase dell’educazione cristiana?

LA STORIA, sia nazionale che ecclesiastica, separata, correlata e interconnessa è uno studio essenziale in tutte le scuole cristiane. E per lo studio della storia universale, della storia nazionale e della storia della chiesa, dal Diluvio fino a oggi e fino alla fine del mondo, la Bibbia è l’unico grande libro di testo, il Libro dei principi fondamentali e di guida sicura. Solo lì sono riportate l’origine e la distribuzione della razza. Solo lì sono indicate l’origine e le cause della storia. Solo lì sono indicate l’origine e le cause del governo civile, dello Stato, della monarchia e dell’impero.

“Il Dio della natura ha scritto la Sua esistenza in tutte le opere e la Sua legge nel cuore dell’uomo”. Ha scritto il Suo carattere nella Bibbia e la Sua provvidenza tra le nazioni. Egli “ha tratto da uno solo tutte le stirpi degli uomini, perché abitassero sopra tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche prestabilite e i confini della loro abitazione” {Atti 17: 26}; “ha diviso tra le nazioni la loro eredità” {Giosuè 23} “affinché cercassero il Signore, se mai riuscissero a trovarlo come a tastoni, benché egli non sia lontano da ognuno di noi” {Atti 17: 27}. “Dio ha parlato una volta; due volte ho udito questo: che la potenza appartiene a Dio” {Salmi 62: 11}. “Non c’è potere se non da Dio; le potenze che esistono sono ordinate da Dio” {Romani 13}. “Poiché all’Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni” {Salmi 22: 28}. “L’Altissimo domina sul regno degli uomini; egli lo dà a chi vuole e vi innalza l’infimo degli uomini” {Daniele 4: 17}, “chiama da un paese lontano l’uomo che esegue il suo disegno” {Isaia 46: 11}.

“La storia, quindi, con le sue pagine polverose e ammuffite è per noi un volume sacro quanto il libro della natura”; perché la storia studiata correttamente non è altro che lo studio dei grandiosi propositi di Dio attraverso tutte le vicissitudini dell’uomo e delle nazioni. La storia così studiata si scopre essere molto di più di un resoconto di marce, battaglie e assedi nell’ascesa e nella caduta delle nazioni: molto più della storia di quelli come Nimrod, i Faraoni, Alessandro, Cesare e Napoleone.

Tutti questi eventi e queste persone si scopriranno essere solo puntate di una storia molto più grande per il significato degli eventi e del vero scopo della vita dell’uomo e delle nazioni sulla terra: solo degli episodi della grande filosofia delle cose che è sopra tutto, attraverso tutto e in tutto. La “storia” è stata giustamente definita come “filosofia che insegna tramite l’esempio”. Ma su questo, come su altri argomenti, la domanda importante è: “Quale filosofia? Dovrà essere una filosofia umana evocata e ricavata o estratta dall’esempio? O sarà la filosofia divina rivelata e precedente a tutto e quindi, filosofia che ammaestra, la filosofia che insegna davvero, attraverso l’esempio? Nella Bibbia si trova la filosofia della storia universale. Nella storia come in altri studi, la Bibbia fornisce il testo, il principio, il fatto principale o la descrizione simbolica, ognuno dei quali contiene un volume: questo è il testo e la guida, quindi, tutto ciò che si può trovare nella Bibbia, nelle iscrizioni indigene o in qualsiasi altro documento su quell’argomento, esso sarà il libro di studio. La Bibbia, dalla Genesi alla cattività di Babilonia è il vero libro di testo della storia, sia nazionale che ecclesiastica, di quel periodo. Dalla cattività babilonese alla fine del mondo, la parte della Bibbia che va dalla cattività di Babilonia alla fine del Libro è il libro di testo dell’intera storia, sia nazionale che della chiesa. E in questa parte della Bibbia i libri di Daniele e di Apocalisse sono le chiavi: Daniele in particolare per la storia nazionale e l’Apocalisse per la storia della chiesa.

Una volta svelato questo segreto della storia, chi lo trova sarà sorpreso di scoprire quanta storia del mondo ci sia soltanto nella Bibbia. Si troveranno esempi in cui, con l’eccezione delle date e dei nomi individuali, l’intera storia di una nazione è raccontata da uno a mezza dozzina di versetti della Bibbia. Prendiamo, ad esempio, {Daniele 7: 4}: “La prima era simile a un leone ed aveva ali di aquila. Io guardavo, finché le furono strappate le ali; poi fu sollevata da terra, fu fatta stare ritta sui due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo”. Questo unico versetto racconta l’intera storia dell’Impero babilonese. E se si legge tutto ciò che è stato scritto altrove su questo argomento, si scoprirà che, anche se vengono raccontati fatti e dettagli più specifici e i nomi degli uomini, non c’è nulla di più vero della storia che non sia contenuta nel simbolismo di questo versetto. In effetti, si scoprirà che tutto ciò che è stato scritto altrove sulla storia dell’impero babilonese non è altro che il riempimento dei contorni espressivi così tracciati. Ci sono abbastanza altri casi simili nella Bibbia da farne un libro; ma questo è sufficiente per illustrare il principio della Bibbia come libro di testo e guida nello studio della storia.

IL DIRITTO è una materia che deve essere studiata nelle scuole cristiane e la Bibbia deve essere l’unico libro di testo – non il diritto come il termine è usato e generalmente inteso dagli avvocati e dai giudici dei tribunali terreni, ma come è usato e inteso dal Giudice del Tribunale celeste – la legge com’è nei principi divini di giustizia e rettitudine: il diritto come è usato e compreso dal Giudice nel Tribunale del cielo, giustizia e rettitudine: la legge come è coinvolta nella colpa e nella giustificazione, nel peccato e nel perdono dell’uomo.

Questo studio è essenziale anche per istruire i giovani sui principi della condotta quotidiana. È doloroso vedere l’indifferenza di chi si professa cristiano nei confronti dei principi della giustizia e della rettitudine quotidiana tra uomo e uomo, così come vengono resi perfettamente evidenti nelle Scritture, specialmente nei libri dell’Esodo, Levitico e Deuteronomio. La verità è che ogni cristiano dovrebbe leggere, più e più volte, semplicemente i principi di giustizia quotidiana e di rapporti equi e onesti, {l’Esodo 20-24; Levitico 19-25} e il libro del Deuteronomio, finché questi principi non diventino la sua stessa vita; poi leggere e rileggere il sermone sul monte, i primi otto e dal dodicesimo al quattordicesimo capitolo di Romani. Tutto questo come studio della legge in quanto tale, nei principi fondamentali della legge che devono essere manifestati nella condotta quotidiana della vita cristiana e degli affari cristiani. Ogni cristiano e, soprattutto quelli che occupano una posizione di responsabilità o di fiducia nelle istituzioni o negli affari di Dio o degli uomini, dovrebbe rileggere più volte queste parti delle Scritture. Questi principi, inculcati fedelmente nelle menti e nei cuori dei giovani a scuola, varranno mille volte di più per loro e per il popolo di quanto possa valere tutta la legge umana del mondo.

LA LOGICA deve essere studiata nelle scuole cristiane. E la Bibbia deve essere l’unico libro di testo; non la logica di Aristotele o di qualsiasi altro uomo; non la logica formale che si trova nei libri; ma la logica che si manifesta nel ragionamento divino che si trova nella Bibbia. Vale a dire, la Parola di Dio deve essere studiata finché i pensieri di quella Parola non diventino i pensieri di colui che studia; finché il ragionamento, la logica della Parola di Dio non diventi il suo ragionamento; sì, fino a quando la mente stessa che ha dato la Parola di Dio non diventerà la sua mente.

Solo questa è la logica cristiana. E solo uno studio come questo è lo studio della logica cristiana. In questo la Bibbia non è solo il libro di testo, ma anche il libro di studio. Perché è possibile trovare una logica più vera, un ragionamento più solido, che non sia quello divino? E l’Autore della ragione non ha forse rivolto l’invito a tutti gli uomini: “Venite e ragioniamo insieme”? {Isaia 1: 18}. Quale invito più benedetto, quale onore più alto, quale prospettiva più grande di questa potrebbe mai essere posta davanti a una mente che ragiona? Tuttavia, non avremmo il tempo di occuparci di tutti gli argomenti che rientrano nel campo della vera conoscenza e dell’educazione; non possiamo esaurire la Bibbia come vero libro educativo. Ma si spera vivamente che ciò che è stato presentato in queste pagine possa risvegliare l’attenzione e far sì che la fedeltà dei cristiani si rivolga alla Bibbia nel suo vero posto nell’educazione. Perché è letteralmente vero che non c’è nulla al mondo che possa creare capacità mentali e dare potere intellettuale come lo studio della Parola di Dio, per il quale supplichiamo in questo libro.

Una delle difese che vengono offerte a favore dello studio dei “classici” pagani di fronte alla loro essenziale immoralità è che “l’idea non è che lo studente raccolga la filosofia o l’istruzione che si trova in questa letteratura, ma che venga usata principalmente come il mezzo migliore per sviluppare la mente, creare vigore mentale, aumentare il potenziale intellettuale”. Per l’occasione ammettiamo la validità di questa argomentazione. Uno studente viene condotto attraverso questo corso fino al suo completamento. Supponiamo l’impossibile, che egli sia riuscito a escludere dalla sua mente la sostanza immorale della materia studiata e che abbia raggiunto il pieno beneficio del suo potere di creare capacità. Quale deve essere il risultato? – Una capacità superiore; ma cosa c’è dentro? Ha la capacità, se volete, ma per quanto riguarda un vero e proprio bene, è vuota. E che nessuno dimentichi mai che, con l’umanità com’è in questo mondo e, specialmente in questi giorni, ogni grado di capacità che sia mai stato raggiunto ma non è stato riempito con ciò che è buono, sarà inevitabilmente colmato da ciò che non è buono. E qui sta la perniciosità dell’affermazione secondo la quale gli anni del periodo più ricettivo e formativo della vita dei giovani possano essere trascorsi in gran parte in letterature essenzialmente immorali, eppure l’immoralità che è nella sostanza stessa della letteratura non trovi posto nelle loro menti! Questo non sarebbe più impossibile che portare del fuoco in grembo senza essere bruciati o maneggiare la pece senza essere contaminati.

La vera filosofia dell’educazione consiste nello sviluppare le capacità solo con il bene; e non svilupparle più velocemente di quanto possano essere riempite con il bene, l’utile e il pratico. I cristiani devono attenersi esclusivamente all’educazione che mette nella mente solo ciò che è buono, vero, utile e pratico. La Bibbia come base di tutta l’educazione e il libro di testo in ogni campo di studio, ne farà da garante. La filosofia è questa: l’educazione cristiana, la vera educazione riguarda la fede. La fede viene dalla Parola di Dio. Siccome questa fede che viene dalla Parola di Dio è esercitata nella Parola di Dio e sulla Parola di Dio, essa “aumenta eccessivamente” e sviluppa così la capacità da parte sua. Dall’altro lato, la giustizia di Dio si rivela a ogni grado dell’esercizio e dello sviluppo della fede; “di fede in fede”. La giustizia di Dio è un principio in espansione. Così la capacità si sviluppa anche da quel lato. E così la capacità viene incrementata dal lato dell’individuo, attraverso l’esercizio e la crescita della fede, e dal lato di Dio dalla potenza di espansione della giustizia di Dio che si rivela a ogni grado di fede in crescita; senza che ci sia un grado di capacità sviluppata che non sia riempito pienamente dal bene e dalla verità assoluta; e tutto questo avviene attraverso la Parola di Dio; la Bibbia si pone quindi come la più grande forza educativa del mondo. E il testo della Scrittura che esprime il principio è {Colossesi 1: 9-10}: “non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che siate ripieni della conoscenza della sua volontà, in ogni sapienza ed intelligenza spirituale, perché camminiate in modo degno del Signore, per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio”. Ripieni e tuttavia in crescita: sempre riempiti e sempre crescenti, fino all’essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Così la Bibbia, come base di tutta educazione ha in sé la vera filosofia.

L’educazione cristiana è più che la coltivazione della parte intellettuale dell’uomo: è la coltivazione della parte morale come suprema e il più alto sviluppo possibile della parte intellettuale come tributario della moralità suprema. Ma non è solo la coltivazione del lato intellettuale e morale: è anche la coltivazione del lato fisico. E anche questo come tributario sia dell’intellettuale che della morale. La morale è l’unica sicurezza dell’educazione. E il cristianesimo è l’unica vera morale. L’educazione cristiana, quindi, è la simmetrica e massima coltivazione possibile di ogni facoltà – fisica, intellettuale e morale – al fine di glorificare Dio sulla terra e di portare a termine l’opera che Egli ha dato ai cristiani.

Un giorno l’autore [di questo libro – ndt] e un laureato di un’importante università, che all’epoca era anche il direttore di una famosa rivista negli Stati Uniti, stavano parlando insieme dei principi e della visione dell’educazione che sono presentati in questo libro. Quando il principio fu chiaramente colto, l’universitario redattore esclamò: “Con un sistema del genere in funzione, ognuna delle vostre scuole sarà un’università e ogni insegnante sarà un genio – dovrà esserlo”. È vero. Quando i cristiani avranno veramente la visione di Dio sull’educazione e la mettono in pratica nello Spirito e nella potenza di Dio, è vero che ogni scuola cristiana sarà un’università. Non si chiamerà così, perché i cristiani avranno una visione modesta delle loro capacità e dei loro risultati, ma sarà così. Con il Libro universale come libro di testo, con l’universo stesso come libro di studio, con il Maestro universale a capo di ogni scuola e con insegnanti guidati e istruiti dallo Spirito universale – cosa possono essere queste scuole se non vere e proprie università? La considerazione più grande è che in questo modo lo studente vive, pensa, cammina e lavora sempre con Dio. E questo da solo è già un’università.

CAPITOLO 21 – I FALLIMENTI DELL’EDUCAZIONE POPOLARE

Si lamentano seriamente, e da anni, i fallimenti dell’intero sistema educativo, così come viene impostato, dalle elementari fino all’università e al seminario teologico. Queste lamentele non sono fatte da semplici critici, ma dai principali e più responsabili educatori dell’intero Paese. Una delle riviste più importanti, Cosmopolitan, ha pubblicato una serie di articoli che si sono protratti per un anno intero, evidenziando i gravi difetti del sistema, sotto la significativa domanda: “Sta educando l’istruzione universitaria?”. Gli articoli sono stati scritti da maestri dell’educazione riconosciuti. The Outlook, uno dei principali settimanali religiosi del Paese, ha avuto molto da dire nella stessa direzione. Il Ladies’ Home Journal, nello stile deliziosamente semplice e accattivante del suo direttore, non ha risparmiato di offrire consigli schietti e salutari sul tema.

Il presidente Eliot, dell’Università di Harvard, uno dei principali educatori non solo degli Stati Uniti, ma del mondo, essendo nella posizione di parlare con autorità sull’argomento, lo ha fatto senza mezzi termini in una serie di discorsi rivolti agli educatori, sottolineando che “le carenze e i fallimenti dell’educazione americana e le delusioni sui suoi risultati, sono state molte e gravi”.

Anche il Senato degli Stati Uniti è stato costretto a occuparsi di questo tema; con risultati deludenti. Ne presentiamo alcuni estratti illustrativi. Alla riunione annuale dell’Associazione Connecticut State Teachers’ di New Haven, del 17 ottobre 1902, il presidente Eliot, di Harvard, ha pronunciato un discorso “a favore di una maggiore spesa per l’istruzione negli Stati Uniti, sostenendo che le carenze e i fallimenti dell’istruzione americana sono stati molti e gravi”. Quello che segue è un riassunto, con le sue parole, delle prove del fallimento dell’educazione popolare:

  1. L’ubriachezza – Per più di due generazioni abbiamo lottato contro il barbaro vizio dell’ubriachezza, ma non abbiamo ancora scoperto un metodo efficace per affrontarlo. La legislazione degli Stati è stata variabile e dal significato morale incerto. “In alcuni Stati dell’Unione ci siamo affidati a una legislazione proibizionista, ma l’assimilazione da parte del popolo non è stata sufficiente per applicare tale legislazione o per sostituirla con una migliore”.
  2. Il gioco d’azzardo – “La persistenza del gioco d’azzardo negli Stati Uniti è un’altra cosa deludente per i difensori dell’educazione popolare, perché il gioco d’azzardo è una straordinaria forma poco intelligente di eccitazione piacevole. È un vizio diffuso tra tutte le popolazioni selvagge, ma che una moderata coltivazione dell’intelligenza, un po’ di lungimiranza e un minimo di senso di responsabilità dovrebbero essere sufficienti a sradicarlo”.
  3. Il cattivo governo – “Bisogna confessare che i risultati del suffragio universale non sono in tutto e per tutto quelli che ci saremmo aspettati da un popolo che si supponeva fosse preparato a scuola per un esercizio intelligente del voto. Abbiamo scoperto dall’osservazione concreta che il suffragio universale spesso produce un cattivo governo, soprattutto nelle grandi città”.
  4. Crimine, mafia e sommosse – “È un rimprovero all’educazione popolare il fatto che i più gravi crimini di violenza siano commessi in gran parte in tutti gli Stati Uniti, sia negli Stati più vecchi che in quelli nuovi, da individui e da folle e con un’ampia impunità. La popolazione produce un numero considerevole di scassinatori, rapinatori, rivoltosi, linciatori e assassini, ma non è abbastanza intelligente da sopprimere o sterminare questi criminali”.
  5. La lettura scadente – “La natura della lettura giornaliera fornita al pubblico americano offre molti motivi di scoraggiamento.

Poiché il gusto per la buona lettura è il risultato inestimabile dell’educazione, l’acquisto da parte del popolo di migliaia di tonnellate di materiale di lettura effimero, che non è buono né nella forma né nella sostanza, dimostra che un grande obiettivo dell’educazione popolare non è stato raggiunto”.

  1. Il teatro popolare – “Il gusto popolare è per gli spettacoli banali, burlesco, il vaudeville volgare, la stravaganza e il melodramma e il palcoscenico presenta spesso agli spettatori impassibili scene e situazioni di tipo sgradevole…”.
  2. Le ciarlatanie mediche – “Gli americani… sono i più grandi consumatori di medicinali brevettati nel mondo conosciuto e i più creduloni clienti di ogni sorta di “guaritori e guaritrici” e di nuove arti curative”.
  3. Gli scioperi dei lavoratori – “Un’altra grave delusione, per quanto riguarda i risultati dell’educazione popolare, è che gli scioperi dei lavoratori si verifichino sempre più frequentemente e siano sempre più diffusi. Come abbiamo visto tutti ultimamente, lo sciopero è spesso utilizzato per motivi non resi pubblici o, almeno, non dichiarati fino a quando esso non ha avuto luogo”.

Sui “processi educativi del nostro tempo”: il prevalente “processo scettico, analitico e critico di indagine e investigazione”; il processo in cui “il dubbio è il pedagogo che conduce l’allievo alla conoscenza”; l’Outlook del 21 aprile 1900, osserva: “Sta studiando il corpo umano? – La dissezione e l’anatomia sono le basi del suo studio. Chimica? – Il laboratorio gli fornisce i mezzi per l’analisi e l’indagine sulle sostanze fisiche. Storia? – Mette in discussione le affermazioni che finora sono state indiscusse, rovista nelle biblioteche alla ricerca di autorità in volumi antichi e documenti ancora più antichi. Letteratura? – La poesia che ha letto solo per piacere, ora la sottopone al bisturi, si chiede se sia davvero bella, perché è bella, come deve essere classificato il suo metro, come sono state costruite le sue figure. Filosofia? – Egli sottopone la propria coscienza a un processo di vivisezione nel tentativo di accertare la fisiologia e l’anatomia dello spirito umano, la porta in laboratorio per conoscerne i costituenti chimici. Nel frattempo, il processo costruttivo e sintetico viene relegato in secondo piano o si perde di vista del tutto. Sta studiando medicina? – Dà più attenzione alla diagnosi che alla terapeutica, all’analisi della malattia piuttosto che al problema di come superarla. Diritto? – Dedica più tempo all’analisi dei casi che a sviluppare la capacità di afferrare i grandi principi e di applicarli nell’amministrazione della giustizia a condizioni diverse. I classici? – È strano se al momento della laurea non ha trascorso più settimane a studiare la sintassi e la grammatica della lingua rispetto a quante ore ne abbia passate nell’acquisire e apprezzare il pensiero e lo spirito dei grandi autori classici. È stato detto dello studente moderno che non studia la grammatica per capire Omero, ma legge Omero per ottenere la grammatica greca.

Il suo studio storico gli ha fornito date, eventi, un diagramma storico mentale; gli ha dato anche, forse, il potere dello studioso di discriminare tra il vero e il falso, tra lo storico e il mitico nelle antiche leggende; ma non a molti ha dato una comprensione del significato degli eventi, una comprensione, o addirittura una nuova luce sul vero significato della vita dell’uomo sulla terra.

Ha studiato filosofia? – È contento se, come risultato della sua analisi dell’autocoscienza non sia diventato morboso nei confronti della propria vita interiore o cinicamente scettico nei confronti della vita interiore degli altri. È senza dubbio che nell’ambito dell’etica e della religione si possono osservare i risultati disastrosi di un processo analitico e di uno spirito critico troppo esclusivi. Portando lo stesso spirito, applicando gli stessi metodi, all’indagine sulla religione, la Bibbia diventa per lui semplicemente una raccolta di letteratura antica di cui studia le fonti, la struttura e le forme e di cui, almeno per il momento, dimentica lo spirito; il culto è un rituale di cui investiga l’origine, la crescita e lo sviluppo, il cui significato reale come espressione di penitenza, gratitudine e consacrazione perde completamente di vista. La fede è una serie di principi di cui traccia lo sviluppo biologico; o una forma di coscienza la cui relazione con l’attività cerebrale deve indagare; o la cui crescita attraverso processi evolutivi da stati precedenti si sforza di ripercorrere, dimenticando nel frattempo qual è il significato dell’esperienza stessa come fatto presente nella vita umana, quale forza vitale e quale significato essa possiede.

La vivisezione, è quasi certo che prima o poi diventerà un’autopsia; e il soggetto di essa – che si tratti di un fiore, un corpo, un autore o un’esperienza – generalmente muore sotto il bisturi. È per questo motivo che molti studenti a scuola, all’accademia e all’università, mentre stanno acquisendo un’istruzione perdono non solo la loro teologia, che forse non è una grande perdita, ma la religione, che è una perdita irreparabile.”

La città di Washington ha il merito di avere le migliori scuole e il miglior sistema educativo degli Stati Uniti. Ma alla Commissione del Senato degli Stati Uniti sul Distretto di Columbia sono arrivate così tante lamentele riguardo al lavoro svolto in quelle scuole che il Senato ha nominato una commissione per indagare sull’intero argomento. Ciò che questa commissione ha trovato è suggerito nel seguente rapporto al Senato, pubblicato nel supplemento letterario del New York Times del 23 giugno 1900, sotto il titolo “Strano lavoro scolastico”: “C’è stata un’indagine per scoprire quali fossero le condizioni degli alunni al loro ingresso nelle scuole superiori all’età media di quattordici anni. A quel punto avevano ricevuto tutta la formazione scolastica prevista in aritmetica; avevano studiato per 5 anni la storia del loro paese e, secondo i mandatari, si riteneva che fossero “in grado di disporre correttamente di quasi tutte le frasi inglesi”. In pratica, avevano raggiunto il limite dei vantaggi che la maggioranza dei bambini di ogni grande città può ottenere dalle scuole pubbliche e si pensava che fossero pronti per quell’insegnamento “superiore” che solo una piccola parte di quei bambini può permettersi di seguire.

Sembra che a Washington si ritenga che i metodi d’insegnamento siano particolarmente avanzati e “i più adatti a formare le menti dei bambini e dei giovani e a insegnare loro a pensare e a esprimersi chiaramente”. Già a partire dalla quinta classe, quando i bambini hanno circa dieci anni, si mette l’accento sulle potenze e le radici, sulla misura quadrata, la misura cubica, il cubo e la radice. La storia viene insegnata in modo che “il bambino possieda una visione chiara, connessa e sequenziale dell’intera materia selezionata”. Nell’insegnamento dell’inglese il processo è così descritto: “Il lavoro della quarta elementare, di stabilire la base della frase, è stato continuato, padroneggiando frasi sempre più difficili; è stata differenziata in base all’identità, alla condizione, al luogo, al tempo, alla dimensione, ecc. e all’azione; e infine l’idea è stata analizzata per i suoi elementi. A questo punto il bambino inizia lo studio delle parti del discorso, oltre a dover conoscere la frase – nel suo insieme, le sue parti, le sue basi, i modificatori, gli assertori – se enfatici, potenziali, assoluti, ecc. e ciò che viene asserito.

Il risultato degli esami, che sono stati inquadrati dalla Commissione per il Servizio Civile, è stato decisamente scoraggiante. In aritmetica, dove non si richiedeva altro che la conoscenza delle quattro regole fondamentali e delle frazioni, solo gli alunni di una scuola – circa 350 su 1.300 – hanno raggiunto la media del 70%, che ammetteva alla lista di idoneità per il lavoro impiegatizio comune, mentre meno del 30% in tutte le scuole ha raggiunto questa media; e solo il 7% ha raggiunto un punteggio del 90%, che è la media di quei che riescono a entrare in servizio. Poiché l’istruzione aritmetica è stata completata, questo è un pessimo risultato.

In storia è andata ancora peggio. Solo il 3,6% ha raggiunto il 90, solo il 19% il 70 e la media totale è stata del 53,1%. Una delle domande era la seguente: “Fornire una breve relazione sui Puritani o sui Pellegrini (ndt: i padri pellegrini), indicando il motivo per cui sono stati chiamati così, il Paese da cui provenivano, le ragioni per cui emigrarono, dove si stabilirono e alcune loro caratteristiche, usanze e costumi”. Alcune delle risposte mettono in luce la “visione chiara, connessa e sequenziale dell’intera materia” che gli alunni dovrebbero avere. Per esempio:

“I Pellegrini erano chiamati tali perché pellegrinavano e viaggiavano”.
“I Pellegrini pregavano per la provvidenza, che a volte veniva loro concessa”.
“Gli esuli dall’Inghilterra furono chiamati Pellegrini per la costa rocciosa di Plymouth su cui sbarcarono”.
“I Pellegrini sbarcarono sulla roccia di Plymouth all’inizio della primavera con una piccola barca chiamata May-Flower. Quando sbarcarono erano pochi. Essendo stati colti dalle intemperie, molti morirono. I loro vestiti non erano molto spessi per l’inverno e il loro riparo non proteggeva dal freddo, dal vento, dalla pioggia e dalla neve”.

Queste risposte danno anche un’idea della capacità acquisita dagli alunni di “disporre rapidamente di quasi tutte le frasi inglesi”, così come i vari modi di scrivere i nomi degli Stati. Florida appare come Florda, Florido, Florada, Floridy, e Floriday. Il Massachusetts diventa in successione Massachusettes, Massachuesettes, Masschusetts, Masschusettes, Masschsuetts, Massachtusettes e Massachewsettes.

Con questo rapporto non vogliamo condannare l’intero sistema d’insegnamento a Washington: non ne rivela abbastanza su di esso. E siamo ben consapevoli della diabolica ingenuità della stupidità di cui sono talvolta capaci anche i ragazzini ben istruiti; ma riteniamo che i ragazzini, nello stato in cui si trovano i fatti che abbiamo citato, non siano adatti a ricevere insegnamento “superiore” e che, finché i risultati degli sforzi al di sotto del grado raggiunto non saranno migliori, il denaro e l’energia spesi per questa superiore istruzione scolastiche sono sprecati – o peggio”.

Se questo è il bilancio del lavoro educativo nel presunto miglior sistema scolastico degli Stati Uniti, quale deve essere quello del peggiore!? E che questo sia molto probabilmente una dimostrazione corretta è confermata dal fatto che, nel 1900, la Columbia University si è trovata costretta a rendere il libro di common spelling (ortografia) un punto fermo nel suo piano di studi, a causa della barbara incapacità ortografica che si rivelava nelle domande d’iscrizione delle matricole diplomate che chiedevano l’ammissione.

Sulla necessità di “un migliore sistema educativo” in questo Paese, un collaboratore dell’Outlook, nel 1899, disse: “In questo Paese deve esistere un sistema educativo migliore, un sistema che sia in più stretto contatto con la vita e che si adatti alla vita anziché disadattarla. Ci deve essere qualcosa nelle nostre scuole pubbliche che produca rispetto per sé stessi e per gli altri, che è parte del vero rispetto di sé; qualcosa che sviluppi la fedeltà, l’intelligenza e l’orgoglio del lavoro; qualcosa che colleghi testa e mani con legami indissolubili. La scienza domestica e la formazione manuale nelle scuole produrrà gradualmente un maggiore rispetto per il lavoro manuale; e questo rispetto andrà a braccetto con una maggiore diffusione del lavoro manuale, perché il nostro sistema attuale manca tanto di datori di lavoro quanto di lavoratori.

Una donna intelligente e di larghe vedute mi ha recentemente fatto notare che la Regina Vittoria sarebbe una donna migliore se si facesse il letto ogni giorno. Anche se può non essere possibile per le regine farsi il letto da sole, o per il presidente degli Stati Uniti a tagliarsi la legna da solo, non ci saranno mai fedeltà, rispetto e intelligenza da parte dei lavoratori, a meno che lo stesso atteggiamento verso il lavoro non si riscontri nei datori di lavoro”.

Questo stesso pensiero e la necessità di un’educazione industriale sono stati enfatizzati nel 1901, con l’introduzione alla Camera dei Rappresentanti del Congresso della seguente PROPOSTA DI LEGGE per stabilire un sistema generale di educazione industriale nei territori degli Stati Uniti e nelle dipendenze insulari. “Il Senato e la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso stabiliscono: (sezione 1) in tutti i territori soggetti alla giurisdizione esclusiva degli Stati Uniti, compresi il Distretto di Columbia e le dipendenze insulari di recente acquisizione, un sistema di educazione primaria industriale, affinché tutti i bambini diventino intelligenti, abili, efficienti e autosufficienti (sezione 2). Che in queste scuole l’agricoltura e le arti ordinarie della vita civile siano insegnate praticamente a tutti i giovani candidati tra i tredici e i diciotto anni. L’insegnamento comprenderà le scienze che sono alla base di queste arti e ogni allievo dovrà lavorare con le proprie mani per almeno quattro ore al giorno sotto la direzione di tali scuole, con fattorie idonee, edifici e insegnanti adeguati, e che tali scuole siano esonerate dalle tasse, a condizione che tutti gli alunni lavorino con le mani quattro ore al giorno per cinque giorni di ogni settimana del trimestre”.

Della necessità e del valore di tutto ciò, il Prof. Edward Daniells di Washington D.C., ha scritto così: “Questo sistema costerà milioni di dollari, ma presto sarà ripagato dieci volte tanto. L’ignoranza è una maledizione per il Paese! Non quella dei libri, ma una ancora più pericolosa che, avvolta nella presunzione di una cultura superficiale si spaccia per cultura e inganna le masse! Il vecchio sistema monacale ha vissuto il suo tempo; ciò che di buono c’era in esso è andato perduto mentre muschio e funghi hanno ricoperto i secoli. La mentalità dell’infanzia è stentata, nanizzata e soffocata. Nelle città sta già cedendo allo studio della natura, all’addestramento manuale e ad alcuni lievi miglioramenti. Ma i giovani di campagna crescono in molti Stati in una selvaggeria senza speranza”.

Nell’esortare “Le necessità dell’istruzione pubblica americana” per riscattarla dalle sue “numerose e gravi carenze e fallimenti”, in un discorso pubblico pronunciato davanti al Rhode Island Institute il 23 ottobre 1902, Il Presidente Eliot ha trattato in modo così mirabile l’intera materia che non possiamo fare di meglio che presentare i punti principali di tale discorso.

CASE E TERRENI SCOLASTICI – Egli ha sollecitato un maggiore dispendio di denaro da impiegare innanzitutto per rendere tutti gli edifici scolastici il più possibile perfettamente a prova di fuoco e sanitizzati. A quest’ultimo scopo ha offerto il seguente saggio suggerimento: “Tutte le canne fumarie, i condotti e le scatole per la ricezione e il trasporto dell’aria fredda o calda devono essere costruite e disposte in modo tale da poter essere pulite internamente. Chiunque abbia esaminato con una lente la straordinaria quantità di materia animale e vegetale che si accumula su un foglio di carta moschicida collocato in una cassetta per l’aria fredda, in qualsiasi stagione dell’anno in cui il terreno non è coperto di neve, concorderà di cuore con questa prescrizione. L’osservanza di queste regole richiederebbe, ovviamente, un’ulteriore spesa iniziale per gli edifici scolastici, ma diminuirebbe i costi di manutenzione”. Per quanto riguarda gli spazi scolastici, ha presentato la seguente bella riflessione: “Sia in città che in campagna, un ampio spazio aperto, un cortile o un giardino dovrebbe circondare ogni edificio scolastico e dovrebbe essere tenuto in ordine e decorato con arbusti e fiori”.

SALUTE DEGLI ALUNNI – “Oltre al miglioramento delle case e dei cortili scolastici è necessario migliorare il controllo e la gestione sanitaria delle scuole. Questo controllo richiede il coinvolgimento di medici competenti; e un tale medico dovrebbe essere ufficialmente collegato a ogni grande scuola. Il suo compito dovrebbe essere quello di controllare malattie contagiose, prevenire il rientro a scuola troppo precoce dei bambini che hanno sofferto di tali malattie, di prendersi cura degli occhi dei bambini per evitare che vengano danneggiati nella lettura o nella scrittura da posture scorrette o da una luce non adeguata, di consigliare la correzione di difetti corporei rimediabili in qualsiasi bambino sotto la sua supervisione, di correggere a casa la dieta e il sonno dei bambini la cui nutrizione è visibilmente difettosa e, in breve, di essere il protettore, il consigliere e l’amico dei bambini e dei loro genitori per quanto riguarda la salute, la crescita normale e la conservazione di tutti i sensi in buone condizioni.

Tale controllo medico degli alunni sarebbe costoso, ma rappresenterebbe la spesa scolastica più gratificante che una comunità potrebbe fare, anche dal punto di vista industriale o commerciale, poiché nulla pregiudica il benessere e la produttività di una comunità quanto la malattia, la disabilità o la morte prematura. Come in un individuo, così in una nazione, la salute e la forza sono le basi della produttività e della prosperità”.

INSEGNANTI MIGLIORI – “Il prossimo oggetto di spesa aggiuntiva è rappresentato da insegnanti migliori. Naturalmente, gli insegnanti dovrebbero conoscere bene le materie che devono insegnare, ma questo non è affatto sufficiente. Ogni insegnante dovrebbe anche conoscere i metodi migliori per insegnare le sue materie. In passato i professori universitari erano propensi a pensare che la conoscenza della materia da insegnare fosse la qualifica sufficiente per un insegnante; ma tutte le università, così come tutte le scuole, hanno subito perdite incommensurabili a causa di questa illusione”.

UN INSEGNAMENTO MIGLIORE – “Con insegnanti migliori si otterrebbero numerosi altri miglioramenti, come, ad esempio, un migliore insegnamento della letteratura e della storia, un migliore insegnamento della biologia e della geografia, questi studi di storia naturale che verrebbero portati avanti dagli alunni sia all’aria aperta che nelle aule scolastiche.

Ho già sollecitato altrove che tutti gli spazi aperti pubblici – che si tratti di parchi, campagna, foreste, spiagge, piazze cittadine, parchi di divertimento, giardini o viali – siano utilizzati per l’istruzione dei bambini delle scuole pubbliche da parte di insegnanti capaci di interessarli ai fenomeni della vita animale e vegetale. Ma questo significa una nuova razza di insegnanti della scuola pubblica.

L’insegnamento della geografia all’aria aperta è una forma di istruzione deliziosa; ma richiede un insegnante che conosca a fondo i principi della fisiografia e che sappia illustrarli su scala ridotta nei canali, ruscelli, burroni, gole, burroni, pendii e cime di colline.

Un po’ di studio della natura di questo tipo auspicabile è già stato introdotto nelle scuole americane, ma non viene portato avanti sufficientemente, anno dopo anno, nel percorso scolastico. È necessario aumentare la pratica di questo tipo di studio, a partire dalla scuola materna e fino alla scuola superiore”.

PROGRAMMI MIGLIORI – “Un miglioramento costoso nelle scuole pubbliche, ma urgentemente necessario, è l’arricchimento del programma scolastico per gli anni tra i nove e i quattordici e l’introduzione di una selezione degli studi già a dieci anni. Se non si fa questo, e anche presto, le scuole pubbliche cesseranno di essere frequentate dai figli degli americani benestanti. Le scuole private e dotate di fondi offrono una scelta di lingue straniere – per esempio – già a dieci anni di età e anche prima; e tutti sanno che questa è l’età in cui iniziare lo studio delle lingue straniere, siano esse antiche o moderne. Nelle grandi città sembra essere già stabilito che le scuole private e dotate accolgono i figli di tutti i genitori che possono permettersi di pagare le spese. Uno dei motivi di questo risultato è che i programmi delle scuole pubbliche sono nettamente inferiori a quelli delle buone scuole private e sono inferiori proprio su questo punto: hanno una gamma di studi troppo limitata per l’età tra i nove e i quattordici. Naturalmente, non è auspicabile che ogni singolo bambino debba perseguire una grande varietà di studi, ma è essenziale che ogni singolo bambino abbia accesso a una varietà di studi”.

FORMAZIONE MANUALE – “In molti luoghi sparsi degli Stati Uniti è stata data una perfetta dimostrazione che l’addestramento manuale e l’istruzione nelle arti meccaniche e nei mestieri è, in primo luogo, prezioso come mezzo di formazione mentale e morale e, in secondo luogo, è utile all’individuo per ottenere un sostentamento, e per la nazione per sviluppare le sue industrie. Di conseguenza, le scuole di formazione manuale, le scuole superiori di arti meccaniche e le scuole di commercio dovrebbero diventare una parte abituale del sistema scolastico americano; e le scuole normali e le università dovrebbero fornire un’istruzione facoltativa in queste materie, dato che tutti gli insegnanti della scuola pubblica dovrebbero comprenderle. Queste scuole sono più costose di quelle che non richiedono apparecchiature meccaniche e il servizio di bravi meccanici come istruttori; ma non c’è dubbio che ripagheranno prontamente i costi alla comunità che le mantiene.”

SCUOLE DI VACANZA – “Le scuole di vacanza hanno dimostrato la loro grande utilità anche nelle città e nei grandi centri. Le migliori offrono una formazione manuale sia per i ragazzi che per le ragazze, oltre al lavoro sui libri e sono accolte con entusiasmo sia dai genitori che dai bambini. Essi combattono efficacemente la politica sbagliata delle lunghe vacanze per i bambini, che non possono scappare dalle strade affollate della città e dai tuguri. Infatti, l’esperienza recente nelle scuole di vacanza cittadine e nei corsi estivi di college e università dimostra che la lunga vacanza estiva di nove o tredici settimane non è affatto necessaria per la salute dei bambini o degli studenti adulti. Il metodo migliore è quello di mantenere l’alunno attivo durante tutto l’anno attraverso frequenti pause tra le ore scolastiche, mezze giornate libere due volte alla settimana e occasionali pause di una settimana.

In estate, poi, le vacanze scolastiche dovrebbero offrire una varietà distinta di lavoro in materie diverse da quelle svolte durante il resto dell’anno, perché sia i bambini che gli adulti trovano grande ristoro nel semplice cambiamento del lavoro. Per esempio, il professore universitario competente può effettivamente cercare di cambiare aria e scena durante le vacanze estive, ma allo scopo di svolgere in condizioni vantaggiose un tipo di lavoro intellettuale diverso da quello che lo impegna durante il semestre, e non con l’intenzione di mantenere la sua mente vuota o inerte.

“Inoltre, le scuole di vacanza nei quartieri poveri e affollati delle città sono veri e propri rifugi dallo squallore fisico e dai pericoli morali della strada. È ovvio che le scuole di vacanza, su scala adeguata, causeranno un aumento di spese scolastiche in una città o un grande centro, perché richiedono i servizi di un corpo di insegnanti aggiuntivo e necessitano di attrezzature, materiali e servizi supplementari. È altrettanto ovvio che queste scuole sono urgentemente necessarie per una grande fetta della popolazione per motivi che sono contemporaneamente fisici, mentali e morali.”

LA CHIESA RICREATIVA – “Non si può dire che dopo la guerra civile, la Chiesa e i suoi ministri siano cresciuti negli occhi dell’opinione pubblica. Il suo controllo sull’educazione è nettamente diminuito. In alcuni dei suoi rami sembra aggrapparsi a una metafisica arcaica e a immaginazioni poetiche morbose; in altri, sembra che sia propensa a rifugiarsi in decori, sfarzo, costumi e cerimonie. Nel complesso…ha mostrato una scarsa disponibilità a fare affidamento sulla realtà intensa dei sentimenti universali a cui si era appellato Gesù o di tornare alla semplice predicazione del Vangelo di fratellanza e di unità – dell’amore per Dio e per l’uomo. Così la chiesa nel suo complesso non ha, oggi, alcuna influenza su molti milioni di nostri connazionali – ebrei o cristiani, protestanti o cattolici che siano.

Continuiamo a credere che la chiesa volontaria sia la migliore delle chiese, perché una religione accettata per costrizione non è affatto una religione per l’anima individuale, anche se può essere un abbellimento sociale o un sostegno per lo Stato. Tuttavia, credendo in questo modo, dobbiamo ammettere che la chiesa volontaria negli Stati Uniti non ha alcuna presa su una parte consistente e crescente della popolazione.

Non per colpa loro, ma per una sorta di incapacità negativa, il legislatore, la corte e la chiesa sembrano attraversare una transizione che indebolisce temporaneamente il loro potere… Per redimere e vivificare le legislature, i tribunali e le chiese, quale azione è così promettente come l’educazione?”

IL BISOGNO DELLE MASSE – “Dovremmo chiederci quale miglior rimedio di una saggia educazione popolare, quale altra soluzione si possa immaginare per i nuovi mali che minacciano la società a causa delle nuove possibilità di creare enormi aggregazioni di produttori o di intermediari, di agricoltori, di minatori o di fabbricanti, di ricchi o di poveri, di operai o di capitalisti?

Le masse di uomini sono molto più eccitabili della media degli individui e faranno, in preda alla passione gregaria, cose che gli individui che le compongono non farebbero. Una folla è pericolosamente soggetta a rabbia improvvisa o, cosa peggiore, a terrore improvviso e l’una o l’altra emozione possono sopraffare il senso di responsabilità e annientare per il momento sia la prudenza che la pietà. Non c’è mai stato un tempo in cui i sentimenti e i desideri comuni potessero essere così rapidamente ammassati, mai un tempo in cui la forza di moltitudini potesse essere così efficacemente concentrata in un punto prescelto per uno scopo comune.

Contro questo formidabile pericolo c’è solo una difesa affidabile. Le masse del popolo devono essere educate a usare la ragione, a cercare la verità e ad amare la giustizia e la misericordia. Non c’è sicurezza per la società democratica nella verità o nell’amore per la giustizia da parte di pochi; i MILIONI devono accordarsi per fare la cosa giusta, amare la misericordia e camminare umilmente con il loro Dio. I milioni devono essere educati a discutere, non a combattere; a fidarsi della trasparenza, non della segretezza e a prendere tempestivamente precauzioni pubbliche contro ogni tipo di oppressione egoistica… Le scuole pubbliche dovrebbero impartire gli elementi di formazione fisica, mentale e morale; e gli elementi della morale sono di gran lunga la parte più preziosa.

Per quanto riguarda un individuo istruito, possiamo chiederci: È in grado di vedere bene? Sa riconoscere i fatti? E poi, è in grado di trarre una giusta deduzione dai fatti accertati? In terzo luogo, ha autocontrollo? O le sue passioni lo assalgono? Gli eventi spiacevoli lo spaventano? Queste sono prove corrette della sua capacità mentale e morale. Un altro test che possiamo applicare con correttezza a un individuo istruito è: Continua a crescere in potenza e saggezza nel corso della sua vita? Il suo corpo cessa di crescere a venticinque o trent’anni, ma l’anima continua a crescere?”

Uno scrittore di una delle più importanti riviste inglesi, il Nineteenth Century, nel febbraio del 1903, in un articolo intitolato “Gli svantaggi dell’istruzione” ricalca gli stessi discorsi del presidente Eliot, con la stessa finalità: le carenze e i fallimenti dell’istruzione in Inghilterra, di conseguenza l’urgente richiesta di riforma, ma ammettendo la verità che “non solo in Gran Bretagna, ma dappertutto, sembra chiaro che sarebbe irragionevole aspettarsi che le scuole si riformino da sole. Pertanto, le riforme devono venire dall’esterno, se non si vuole che l’istruzione rimanga ciò che è: una finzione elaborata, con la scienza sulle labbra, ma in realtà un percorso di preparazione distruttivo per il buon senso”.

Gli estratti presentati in questo capitolo sottolineano con forza non solo il serio bisogno mondiale di un migliore sistema d’istruzione, ma anche la consapevolezza del mondo di questa necessità e la sua brama di ciò che lo soddisferà. Questi estratti sottolineano anche la verità che niente meno di un sistema di istruzione costruito sui principi sostenuti in questo libro – la vera educazione cristiana – potrà mai soddisfare questo grande bisogno di un sistema educativo migliore. I difetti e le esigenze dell’educazione popolare, così come sono presentati in questi estratti, mostrano che solo un’educazione che sia veramente cristiana nello spirito, nella forza e nella morale del cristianesimo autentico, potrà mai rispondere a questa richiesta. Il Presidente Eliot, in parole povere, chiede un’educazione tale da indurre “i milioni” della “società democratica” a “comportarsi con giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il loro Dio”. In parole povere il suo obiettivo è “il perfezionamento di una cittadinanza individuale intelligente in una democrazia cristiana”.

È impossibile raggiungere questo obiettivo senza un insegnamento, un’educazione, che sia religiosa e cristiana. Ed è impossibile per lo Stato, o per un qualsiasi sistema di scuole statali, che possa mai raggiungere questo obiettivo, perché lo Stato non può insegnare la religione. Questo è vero nella natura delle cose; ma negli Stati Uniti è doppiamente vero perché nei principi fondamentali e nella Costituzione della nazione è dichiarata la totale separazione tra Stato e religione e, in particolare dalla religione cristiana. Lo Stato non può utilizzare in modo più appropriato o sicuro il metodo religioso nella sua educazione più di quanto la Chiesa possa usare il metodo laico nella sua educazione. I due ambiti sono distinti e non possono essere mescolati senza distruggere sia la Chiesa che lo Stato.

Solo alla Chiesa spetta l’insegnamento della religione, inculcare la morale, promuovere il cristianesimo. Questo per dire, quindi, che l’unica possibilità di fornire un sistema di educazione migliore, per il quale il Paese sta perendo, è che sia la Chiesa cristiana a fornirlo. Ma ecco che in presenza di questa verità vitale ci troviamo di fronte al fatto deplorevole sulla Chiesa cristiana accettata – secondo le parole del presidente Eliot e del Commissario per l’Educazione degli Stati Uniti – che il suo “controllo sull’educazione” è “decisamente in diminuzione”. Questa conclusione di due alte autorità tra i laici è confermata da un maestro di teologia dell’Università di Chicago, che scriveva nel 1899 le seguenti parole, che ogni cuore cristiano e ogni osservatore sa che sono fin troppo vere: “Non c’è nulla di più deludente per la religione evangelica delle sue grandi scuole. Il terribile stress che si è abbattuto sulle…denominazioni negli ultimi dieci anni è derivato in gran parte dalle grandi scuole promosse da queste denominazioni… Le fondamenta stesse dell’insegnamento religioso sono state minate dagli insegnanti delle nostre grandi scuole, così come sono state in gran parte nelle università tedesche. Ciò che è noto come “critica superiore” sta semplicemente creando scompiglio nella crescente minoranza delle tre denominazioni menzionate.

Non c’è nessuna scuola sul continente americano dove un giovane possa andare e imparare la Bibbia nella sua interezza sotto la direzione di insegnanti profondamente pii e colti. Ci sono scuole in cui un giovane adatto al ministero può andare e spendere tre anni per farsi imbottire di filosofia speculativa sotto il nome di teologia e di infedeltà sotto il nome di “critica superiore”. Questa è una vergogna reale e bruciante. Lo scrittore nutre la speranza che qualche uomo o donna di buon cuore possa fondare una scuola in questo Paese dove si possano formare uomini che non solo conoscono la Bibbia dalla prima all’ultima parola, ma la predicano dalla prima all’ultima. Sarebbe una novità sotto il sole”.

Essendo questo l’atteggiamento e la condizione di quella che è la Chiesa cristiana accettata, per quanto riguarda l’educazione che il mondo desidera; ed essendo la Chiesa cristiana l’unica fonte di speranza che questo bisogno di educazione possa mai essere veramente soddisfatto; ne consegue inevitabilmente che ci deve essere una riforma, una rinascita del cristianesimo vitale, in questi giorni come lo è stato in passato, quando era venuta meno quella che si ergeva a Chiesa cristiana accettata.

Il presidente Eliot guarda all’educazione come all’agenzia promettente “per redimere e vivificare le chiese”. Questo è corretto, ma deve essere un’educazione CHE SCENDE DAL CIELO, non che si eleva dal mondo, per la Chiesa. E questa educazione arriverà. L’anelito del mondo – la sua fame e la sua sete, che possono essere soddisfatte solo attraverso la Chiesa del cielo e senza la quale sta morendo – Dio non lo lascerà mai insoddisfatto. Dio vive ancora. La Sua cura amorevole per l’uomo e le nazioni è la stessa di sempre. L’educazione è davvero l’unica agenzia che può redimere e vivificare la Chiesa. Questa educazione può venire solo dal cielo e da Colui che è il Capo della Chiesa. Egli manderà l’educazione e questa arriverà.

E quando arriverà, verrà solo nella Parola e attraverso la Parola di Colui che è nei cieli e che è il Capo della Chiesa. Questa educazione sarà trasmessa e inculcata solo in “termini di creazione”. La Chiesa che darà questa educazione al mondo sarà una Chiesa che tratta e comunica solo in “termini di creazione”. L’istruttore di quella Chiesa sarà il Creatore stesso, attraverso la Parola creatrice per mezzo dello Spirito creatore. I principi e gli standard morali di quella Chiesa saranno la legge morale del Creatore, come scritta con il Suo stesso dito sulle tavole di pietra, come dimostrata nella Sua vita sulla terra nella carne e come scritta dal Suo Spirito nelle carnali tavole del cuore di chi crede in Gesù. In tutta l’istruzione condotta da quella Chiesa il libro di testo sarà il Libro della Parola del Creatore e Redentore e il libro di studio sarà tutta la creazione e tutta la redenzione.

Così, quella Chiesa sarà distintamente una Chiesa universalmente educativa. Stabilirà un sistema educativo in base a questo ordine e istruirà veramente tutti coloro che riceveranno l’educazione. Anche se fornirà pienamente e realmente quell’educazione per la quale il mondo anela ed esprime il suo bisogno, tuttavia né questa Chiesa né l’educazione che impartisce saranno popolari per il mondo. Piuttosto sarà considerata un’estremista dalla schiena dritta. Tuttavia, in questo avrà ragione, sarà assolutamente ed eternamente nel giusto. Sarà la vera Chiesa di oggi e per oggi.

E l’educazione che darà sarà la vera educazione di oggi e per sempre. Tutti coloro che desiderano un sistema educativo migliore, che sono alla ricerca di un sistema che soddisfi pienamente tutti i bisogni educativi – che tutti questi aprano gli occhi e guardino con preghiera per vedere la Chiesa educativa celeste; e Dio farà in modo che la vedano. Ora è il suo momento. Deve, e lo farà, sorgere e risplendere, e la gloria del Signore si vedrà su di lei. E questa è la Chiesa che Cristo presenterà a Sé alla Sua venuta, una Chiesa “gloriosa, senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma … santa e irreprensibile” {Efesini 5: 27}.