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Progresso di Lettura:
STEPHEN NELSON HASKELL
LA CROCEELA SUA OMBRA
Titolo originale in inglese: The Cross and Its Shadow
© 1914 The Bible Training School
Revisione dall’originale, traduzione e impaginazione a cura di Kenan Digrazia
Controllo e correzione di bozze a cura di Lussorio Carboni
Prima edizione italiana: Luglio, 2023
a cura di Marco Dumitrascu
Il presente libro è stampato e distribuito dall’Associazione Raw Truth APS
www.rawtruth.it
I testi biblici citati sono estratti dalla traduzione Nuova Diodati ’91/’93 e dalla traduzione CEI 2008. La numerazione dei Salmi segue l’ordine tradizionale ebraico e può differire da quello delle Bibbie in cui è presente l’ordine greco della Septuaginta.
LA CROCE DI CRISTO
John Bowring
Nella Croce di Cristo c’è la mia gloria,
torreggiante sulle rovine del tempo,
e tutta la luce della sacra storia
è riunita al suo bel capo in sempiterno.
Quando i guai della vita mi assalgono,
le speranze deludono e la paura stanca
mai la Croce mi lascerà in abbandono.
Sì, essa risplende di pace e luce franca!
Quando il Sole di delizia fa brillare
la luce e l’amore lungo la mia via
dalla Croce posso veder sfavillare
nuovo lustro affinché il mio giorno sia!
Maledizione e benedizione, dolor
e gioia dalla Croce son santificati;
là c’è la pace, là lo smisurato amor,
là gaudio e letizia sempre insuperati.
Nella Croce di Cristo c’è la mia gloria,
torreggiante sulle rovine del tempo,
e tutta la luce della sacra storia
è riunita al suo bel capo in sempiterno.
«La tua via, o Dio, è nel Santuario…»
Salmo 77:13
L’eternità non riuscirà mai a sondare per intero la profondità dell’amore rivelato alla Croce del Calvario. Fu là che l’amore infinito di Cristo e l’egoismo senza limiti di Satana si incontrarono faccia a faccia. L’intero sistema sacrificale e religioso dell’ebraismo con i suoi tipi, cioè i suoi simboli, è un’ombra della Croce, che dal Calvario si proietta indietro nel tempo fino alle porte dell’Eden, contenendo una profezia in forma compatta del Vangelo.
Oggi chi si avvicina allo studio del Nuovo Testamento sotto la luce interpretativa dei tipi e dei simboli del servizio levitico troverà in questa indagine una profondità e una ricchezza ineguagliabili. È impossibile avere un’alta prospettiva dell’opera espiatoria di Cristo se il Nuovo Testamento viene studiato senza una conoscenza preliminare dei fondamenti – profondi e segnati dal sangue – che troviamo nei “vangeli” dell’Antico Testamento di Mosè e dei profeti.
“In ogni sacrificio si mostrava la morte di Cristo. In ogni nuvola d’incenso ascendeva la Sua giustizia. Il Suo nome risuonava in ogni tromba del giubileo. Nell’immenso mistero del luogo santissimo abitava la Sua gloria”.
Sotto la Luce che risplende dal Santuario, i libri di Mosè, con i loro dettagli di offerte e sacrifici, i loro riti e le loro cerimonie, oggi generalmente considerati vuoti e privi di senso, diventano raggianti di consistenza e di bellezza. Non c’è altra tematica come quella del Santuario che unisca così pienamente ogni parte della Parola ispirata in un tutto armonioso. Ogni verità del Vangelo è incentrata sul servizio del Santuario e da esso si irradia come i raggi di luce dal sole.
Ogni simbolo impiegato nell’intero sistema sacrificale ebraico è stato progettato da Dio per rappresentare una precisa verità spirituale. Il valore di questi tipi risiede nel fatto che essi furono scelti da Dio stesso per figurare le diverse fasi del piano della redenzione, reso possibile dalla morte di Cristo. La somiglianza tra il tipo (simbolo) e l’antitipo (sua realizzazione effettiva nella storia) non è mai accidentale, ma è semplicemente un compimento del grande piano di Dio.
Ne La Croce e la Sua Ombra il tipo e l’antitipo vengono posti fianco a fianco nella speranza che il lettore possa conoscere meglio il nostro Salvatore. Non è intenzione dell’autore attaccare alcun errore che sia stato insegnato riguardo al servizio del Santuario o suscitare delle controversie, ma si vuole solo presentare la verità biblica nella sua chiarezza.
Questo libro è il risultato di molti anni di preghiera e di studio dei tipi e dei simboli del servizio del Santuario. Viene pubblicato con una preghiera, affinché la sua lettura possa attirare l’attenzione dei disinteressati, presentare ai cristiani una nuova prospettiva sul carattere di Cristo e condurre molti alla Luce del Sole dell’Amore di Dio.
Nel governo di Dio la Legge è la base sulla quale poggia ogni cosa. La Legge è il fondamento del trono di Dio, la fonte della stabilità del Suo governo e l’espressione del Suo carattere, del Suo amore e della Sua saggezza.
La disobbedienza a questa Legge causò la caduta di Satana e dei suoi angeli. La disobbedienza ai comandamenti di Dio per Adamo ed Eva aprì le porte della disgrazia sul mondo e fece precipitare l’intera famiglia umana in un’oscurità impenetrabile, ma l’amore divino concepì un piano attraverso il quale l’uomo poteva essere redento. Questo piano fu già rivelato nella promessa: «Ed io porrò inimicizia tra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno» (Genesi 3:15).
Poiché la Legge divina è santa come Dio stesso, solo Uno uguale a Dio avrebbe potuto espiarne la trasgressione. Pertanto, l’espressione “il seme della donna” non poteva che riferirsi al Signore Gesù Cristo. Grazie a questa promessa fatta ai nostri progenitori, un barlume di speranza penetrò nelle tenebre che avevano circondato le menti della coppia peccatrice; quando fu loro rivelato un sistema di sacrifici che richiedeva la vita di una vittima innocente, poterono scorgere più chiaramente il significato della promessa che comportava la morte dell’amato Figlio di Dio per espiare il loro peccato e, allo stesso tempo, per adempiere alle richieste della Legge infranta. Attraverso questo sistema di sacrifici l’ombra della Croce si proiettò ai primordi della storia e divenne un Astro di speranza che illuminava il terribile e oscuro futuro, liberandolo dalle prospettive di assoluta desolazione.
Fu il riflesso della Croce irradiatasi fino all’era antidiluviana a tener viva la speranza tra i pochi fedeli in quegli anni di faticosa attesa. Fu la fede nella Croce a sostenere Noè e la sua famiglia durante quella terribile esperienza in cui Dio punì il mondo per la trasgressione della Sua santa Legge. È stata la conoscenza della Croce e del suo significato a far sì che Abramo lasciasse la sua terra, la sua parentela e la casa di suo padre, peregrinando coi suoi figli in terra straniera. Di lui sta scritto: «Egli credette nell’Eterno e ciò gli fu imputato in conto di giustizia» (Genesi 15:6). In una visione profetica a Mosè fu permesso di contemplare la Croce di Cristo tramite il segno del serpente di bronzo innalzato nel deserto per la guarigione delle persone. È stata la visione di questa Croce a rimuovere il pungolo provocato in Mosè dalla punizione del proprio peccato, riconciliandolo con la sentenza divina: «Tu morrai sul monte su cui stai per salire e sarai riunito al tuo popolo» (Deuteronomio 32:50).
Il semplice sistema di sacrifici istituito dal Signore in principio per simboleggiare, per prefigurare il Messia andò quasi completamente perduto di vista durante la schiavitù dei figli d’Israele in Egitto. Al loro ritorno in Canaan, Mosè, sotto la direzione divina, diede loro un sistema più elaborato, definito nelle Scritture come il “Santuario e il suo servizio”. Questo santuario terrestre, con tutte le minuzie della sua costruzione, degli utensili e dei compiti sacerdotali, doveva essere edificato e amministrato in armonia con lo schema celeste mostrato a Mosè sul monte Sinai. Ogni forma, cerimonia e dettaglio di quel servizio avevano un significato ed erano stati progettati per fornire all’adoratore una comprensione più completa del grande piano della salvezza.
Nel Santuario la Croce di Cristo è il grande centro dell’intero piano della redenzione umana. Tutta la verità biblica vi si raccoglie intorno. Da essa s’irradia una Luce che va dall’inizio alla fine dell’Antico e del Nuovo patto, ma che non si limita solo a questo. Essa procede nel grande Oltre, concedendo ai figli e alle figlie nella fede uno scorcio sulle glorie future dell’eternità. Sì, tutto questo è realizzato dalla Croce. L’amore di Dio è manifestato all’Universo. Il principe di questo mondo è scacciato. Le accuse che Satana ha presentato contro Dio sono confutate e il disonore che ha gettato sul Cielo è rimosso per sempre. La giustizia e l’immutabilità della Legge di Dio vengono custodite e sia gli angeli che gli uomini sono attratti dal Redentore. La Croce di Cristo diviene la scienza e il cantico dell’Universo.
Si può affermare con certezza che l’autore de La Croce e la Sua Ombra, al pari degli antichi, sia “potente nelle Scritture”. In questo libro egli dona al mondo, in forma condensata, i risultati di anni di studi su questo vasto argomento. Attraverso le figure e i simboli utilizzati nel ministero del santuario terreno, l’autore ha reso molto chiara l’opera finale di Cristo nel Santuario celeste. La somiglianza e il legame tra ogni tipo e antitipo sono così chiari che nessuno avrà difficoltà a capire le grandi verità centrali del piano della salvezza dischiuse nel servizio e nel ministero del santuario terreno.
In questi giorni di studio superficiale, con una conseguente abbondanza di teorie umane e artificiali in merito al piano della salvezza, è rinvigorente trovare un libro come La Croce e la Sua Ombra, che esalta Gesù e che lo presenta al mondo rivelato nei tipi all’ombra dei simboli, prefigurato nelle rivelazioni dei profeti, disvelato nelle lezioni date ai discepoli e manifestato nei meravigliosi miracoli operati in favore dei figli degli uomini.
Proprio come la Parola di Dio viene onorata dall’autore di questo libro, possa lo Spirito Santo, il grande Educatore alla rettitudine, onorare l’autore facendo del suo libro un mezzo per la salvezza di molte anime nel Regno eterno di Dio.
Università di Loma Linda,
California
SEZIONE 1 – IL SANTUARIO
IL SANTUARIO CELESTE
C’è una Dimora in Cielo costruita,
il Tempio dell’Iddio vivente,
Tabernacolo vero dove la colpa vinta
è lavata dal prezioso sangue corrente.
Da tempo il nostro Sommo Sacerdote vi è entrato,
Colui che del nostro corpo conosce ogni fragilità,
Colui che ode quando il Suo popolo ha pregato
e tali preghiere a Dio offre con perfetta abilità.
Il ministero quotidiano Egli compì
fino al termine dei giorni profetizzati,
dunque la porta interna aprì
per purificare il luogo santo dai peccati.
Di fronte all’arca coi dieci comandamenti,
sulla quale il propiziatorio è collocato,
Egli presenta del Suo sangue le gocce battenti
finché l’intero peccato d’Israele sia cancellato.
Ad ogni viaggiatore nel mare in tempesta della vita il Signore ha dato una bussola che, se usata correttamente, lo guiderà in sicurezza all’eterno porto di riposo. Tale bussola fu data ai nostri progenitori alle porte dell’Eden, dopo che essi avevano causato l’ingresso del peccato nella Terra, all’epoca bellissima, e nelle loro vite. Questa bussola consiste delle seguenti parole, pronunciate dal Signore a Satana: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei»1. In ogni cuore Dio ha piantato l’inimicizia contro il peccato, che, se coltivata, condurrà la persona alla rettitudine e alla vita immortale. Chiunque segua pienamente la bussola divina posta nel suo cuore, indipendentemente dal proprio rango nella società o dalla propria situazione di vita, giungerà ad accettare Cristo come suo Salvatore e sarà condotto alla Luce del Sole dell’amore e dell’approvazione divina2.
I nostri progenitori mangiarono il frutto proibito e, come risultato, la terra intera cominciò ad essere oscurata dall’ombra del decreto divino: «Perché nel giorno in cui tu ne mangerai, per certo morrai»3. I segni della morte e della decadenza furono ben presto scorti sulle foglie che cadevano e sui fiori che appassivano. Non c’era modo di sfuggire alla sentenza: «Il salario del peccato è la morte»4. Ma un raggio di luce era penetrato nell’oscurità quando Dio aveva pronunciato le seguenti parole a Satana: «…e questa [la discendenza della donna] ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno»5. Queste parole rivelavano il fatto che per coloro che avrebbero alimentato l’inimicizia contro il peccato posta da Dio nei loro cuori ci sarebbe stato un modo per sfuggire alla morte. Essi avrebbero vissuto mentre Satana sarebbe morto; tuttavia, prima della sua morte, egli avrebbe ferito il calcagno della discendenza della donna. Ciò era necessario affinché l’annientamento di Satana fosse assicurato e l’umanità potesse sfuggire alla morte perpetua.
Anche prima che l’uomo venisse messo alla prova l’amore del Padre e del Figlio per l’umanità era così grande che Cristo impegnò la propria vita come riscatto nel caso in cui l’essere umano fosse stato vinto dalle tentazioni di Satana. Cristo era «l’Agnello che è stato immolato fin dalla fondazione del mondo»6. Ecco la meravigliosa verità presentata ai nostri progenitori nelle parole: «…e questa [la discendenza della donna] ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il calcagno»!
Affinché l’uomo potesse realizzare l’enorme gravità del peccato, che sarebbe costato la vita all’immacolato Figlio di Dio, gli fu chiesto di condurre un agnello innocente, confessando i propri peccati sulla sua testa e poi, con le proprie mani, di togliergli la vita: un simbolo della Vita di Cristo. Questa offerta per il peccato veniva poi cotta sul fuoco, a simboleggiare che, con la morte di Cristo, ogni peccato sarebbe stato finalmente distrutto nella Fornace dell’ultimo giorno7.
Fu difficile per l’uomo, circondato dall’oscurità del peccato, comprendere queste meravigliose verità celesti. I raggi di luce che brillavano dal Santuario celeste sui sacrifici semplici furono oscurati dal dubbio e da vari errori. Così Dio, nel Suo grande amore e nella Sua misericordia, ordinò la costruzione di un santuario terrestre secondo il modello divino e la designazione di sacerdoti che «servissero come figura e ombra delle cose celesti»8. Ciò accadde affinché la fede dell’uomo potesse ancorarsi alla certezza che in cielo c’è un Santuario il cui servizio si svolge in favore della redenzione dell’umanità.
Il profeta Geremia capì questa grande verità quando esclamò: «Trono di gloria eccelso fin dal principio è il luogo del nostro santuario»9. Davide conosceva la Dimora di Dio in Cielo e, scrivendo alle generazioni future, disse: «Egli [Dio] guarda dall’alto del suo santuario; dal cielo l’Eterno osserva la terra»10. I fedeli hanno sempre saputo che quando cercano Dio con tutto il loro cuore, «la loro preghiera giunge fino alla santa dimora dell’Eterno in cielo»11.
Nel santuario terreno l’intero servizio di adorazione insegnava la verità sul Santuario celeste. Fino a quando fu presente il tabernacolo terreno, la via per il Tabernacolo celeste non era stata ancora manifestata12, ma quando Cristo entrò in cielo per presentare il Proprio sangue al posto di quello dell’uomo, Dio rivelò per mezzo dei Suoi profeti molta Luce sul Santuario celeste.
A Giovanni, il discepolo amato, furono presentate svariate visioni di quel glorioso Tempio. Egli contemplò l’altare d’oro, dove le preghiere dei sinceri credenti terreni vengono offerte davanti a Dio e mescolate con fragrante incenso. Nella visione scorse il candelabro con le sue sette lampade di fuoco che ardevano dinanzi al trono di Dio. Il velo del luogo santissimo fu per lui sollevato: «Allora si aperse nel cielo il tempio di Dio e in esso apparve l’arca del suo patto…»13.
È in questo “vero tabernacolo, che il Signore ha edificato e non un uomo”, che Cristo presenta il Suo sangue davanti al Padre in favore dell’umanità peccatrice14. Là ha anche sede il trono di Dio, circondato da miriadi di eserciti angelici, tutti in attesa di obbedire ai Suoi ordini15; da lì essi vengono inviati in risposta alle preghiere dei figli di Dio qui sulla terra16.
Il Santuario celeste è la vasta Dimora della Potenza dell’Eterno, dalla quale ogni aiuto necessario a vincere tutte le tentazioni di Satana è inviato a chiunque sia connesso a Dio per fede.
La cabina pesantemente caricata di una funivia, col suo agile braccio che raggiunge il cavo soprastante, dal quale riceve energia dalla centrale elettrica posta a chilometri di distanza, è un buon esempio del cristiano. Fin quando l’allaccio della corrente si mantiene intatto, anche lungo la notte più buia la cabina scorre dolcemente su e giù per la montagna, proiettando la sua luce non solo sul vicino sentiero, ma anche nella lontana oscurità con fulgidi raggi. Ma come cambiano le cose nell’istante in cui il collegamento s’interrompe! La cabina rimane nell’oscurità, incapace di avanzare.
È a questo punto che Cristo, il nostro grande Sommo Sacerdote nel Santuario celeste, stende il Suo braccio dai confini del Cielo per stringere saldamente la mano di chiunque agisca per fede, accettando l’aiuto offerto. Coloro la cui fede si appoggia a questo aiuto possono tranquillamente ascendere lungo le più ripide montagne delle difficoltà, continuando a mantenere i propri cuori pieni di luce mentre diffondono luce e benedizione sugli altri. Finché per fede si aggrapperanno saldamente a Dio, otterranno Luce e Potenza dal Santuario in Alto, ma se permettono che il dubbio e l’incredulità interrompano la connessione, rimarranno nell’oscurità, non solo incapaci di avanzare, ma divenendo anche delle pietre d’inciampo sul sentiero degli altri.
Coloro che non permettono a niente e a nessuno di interrompere la loro connessione con il Cielo diventano a loro volta dimore terrestri per l’Altissimo, «perché così dice l’Alto e l’Eccelso, che abita l’eternità, e il cui nome è Santo: “Io dimoro nel luogo alto e santo e anche con colui che è contrito e umile di spirito, per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare lo spirito dei contriti.”»17. Chi si separa dal peccato, allontanandosene il più possibile, diventa un tempio dello Spirito Santo18. Dio ama dimorare nei cuori del Suo popolo, ma il peccato accarezzato nel cuore impedisce allo Spirito di abitarvi19. Cristo bussa alla porta di ogni cuore, invitando tutti a scambiare il peccato con la Sua Giustizia, affinché Egli venga ad abitare con loro.
Dunque sono tre i templi presentati nella Bibbia: il Tempio celeste, la Dimora dell’Altissimo, dove Cristo intercede in nostro favore; il tempio del corpo umano, dove lo Spirito di Dio governa e regna, e il tempio terrestre con i suoi servizi simbolici progettati per insegnare agli uomini come ricevere l’aiuto divino dalla grande Casa d’Abbondanza in Cielo, affinché Dio possa onorarli dimorando con loro continuamente.
Il santuario terrestre con i suoi tipi e simboli somiglia alle potenti lenti dei telescopi, che consentono la visione di corpi celesti che altrimenti sarebbero invisibili. All’ignorante queste lenti meravigliose sembrano pezzi di vetro normale, ma l’astronomo, desideroso di conoscere le meraviglie dei cieli, si riempie di entusiasmo al solo guardarle.
Allo stesso modo i cristiani che studiano il servizio simbolico del santuario terrestre non come una collezione di reliquie morte dell’antico culto, ma come una meravigliosa galleria d’arte, dove per mano di un Maestro-Artista vengono ritratte le diverse parti del meraviglioso piano della redenzione, saranno sorpresi dalla bellezza in esso rivelata. I simboli parleranno limpidamente da sé, come le figure di un dipinto dalla tela, raccontando la bella storia d’amore del Salvatore al punto tale che i cuori saranno rapiti in ammirazione al solo contemplarla. Vedranno la vivida figura del sacerdote con un mantello bianco come la neve portare in una valle sterile e rocciosa una giovenca rossa, sulla quale nessuno abbia mai posto un giogo per arare, ed offrirla come sacrificio per il peccato. Contempleranno il sacerdote che spruzza il sangue sulle pietre più ruvide, insegnando con ciò che Cristo è morto anche per il più inutile e per il più indegno. Chi può fissare questo emblema senza che il suo cuore si riempia d’amore per un Redentore così compassionevole?
Considereranno poi l’immagine del peccatore indigente, che anela alla liberazione dal proprio peccato: egli guarda i suoi fratelli ricchi sfilare con i loro agnelli come offerte per il peccato, i poveri con i loro piccioni e le colombe, e sprofonda nello scoraggiamento, perché non possiede alcun animale vivo da offrire. Poi la luce della speranza balena sul suo viso quando qualcuno gli dice: “Basta solo una manciata di farina!”. E mentre il peccatore osserva il sacerdote offrire il grano macinato come emblema del Corpo benedetto che sarebbe stato spezzato e tritato per lui, sente dire: “Il tuo peccato ti è stato perdonato”; il suo cuore esulta di gioia, come il cuore del povero paralitico alla piscina di Siloe, che non aveva nessuno che lo potesse aiutare quando il Gesù, il Maestro benedetto, gli ordinò semplicemente di prendere il suo lettuccio e di camminare20.
Se colui che brama di conoscere maggiormente Cristo e il Suo amore infinito studierà i tipi e i simboli del santuario terrestre, collegando ogni dettaglio con la sua gloriosa realizzazione nell’antitipo, vedrà il proprio cuore riempirsi di estatica meraviglia. Le lenti del telescopio riveleranno le meravigliose bellezze del carattere del nostro beneamato Redentore, bellezze che in nessun altro modo avrebbero potuto essere svelate.
Ogni simbolo del servizio nel santuario terrestre ha il proprio corrispondente e ben distinto insegnamento celeste. Quando tutti i simboli sono contemplati insieme formano un meraviglioso e armonico Mosaico del carattere divino di Cristo, come solo un Artista celeste poteva ritrarlo.
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NOMI DATI AL SANTUARIO CELESTE DA VARI AUTORI BIBLICI
“Il luogo della tua dimora” | Salomone | 2 Cronache 6:39 |
“Palazzo” | Davide | Salmo 48:3 |
“Il suo Tempio santo” | Davide | Salmo 11:4 |
“Tempio di Dio” | Giovanni | Apocalisse 11:19 |
“Tua dimora santa e gloriosa” | Isaia | Isaia 63:15 |
“Vero Tabernacolo che il Signore ha eretto” | Paolo | Ebrei 8:2 |
“Casa del Padre mio” | Gesù | Giovanni 14:2 |
“Luogo della sua dimora” | Davide | Salmo 33:14 |
“La sua santa dimora” | Geremia | Geremia 25:30 |
“Santuario” | Paolo | Ebrei 8:2; Ebrei 9:8 |
NOMI DATI AL SANTUARIO TERRESTRE
“Santuario terreno” | Ebrei 9:1 |
“Primo tabernacolo” | Ebrei 9:8 |
“Figura per il tempo presente” | Ebrei 9:9 |
“Modello delle cose celesti” | Ebrei 9:23 |
“Santuario fatto da mani d’uomo” | Ebrei 9:24 |
“Figura delle cose vere” | Ebrei 9:24 |
“Non la realtà stessa delle cose” | Ebrei 10:1 |
“Il tempio” | 1 Corinzi 9:13 |
IL CORPO DEL CRISTIANO È CHIAMATO TEMPIO
Il Tabernacolo costruito nel deserto era davvero una bella struttura. Era circondato da un cortile delimitato da tende di lino, che giacevano sospese con ganci d’argento su colonne di bronzo decorate in argento. Da ogni punto di vista il tabernacolo era stupendo. I lati nord, sud e ovest erano costituiti da tavole alte dieci cubiti (circa cinque metri) poste in direzione verticale, ricoperte d’oro dentro e fuori, fissate con attacchi d’argento alle loro basi. Vi erano poi delle barre di legno rivestite d’oro che passavano attraverso anelli d’oro, estendendosi tutt’intorno all’edificio1. L’ingresso, sul lato orientale, era «una cortina di filo violaceo, porporino e scarlatto, e di lino fino ritorto, il lavoro di un ricamatore»2. Era sostenuta da cinque colonne di legno d’acacia rivestite d’oro e aggiungeva molto alla bellezza dell’entrata. Le ricche tonalità arcobaleno della tenda ricamata con immagini di cherubini costituivano la porta dell’edificio nel quale Dio aveva promesso di abitare: erano una bella “ombra” dell’ingresso del Santuario celeste. Là il Padre è seduto in trono, con un arcobaleno di gloria a circondarlo, mentre miriadi di migliaia di angeli ai Suoi lati aspettano un Suo comando3.
Il tetto o copertura del tabernacolo era formato da quattro tende di tessuto e pelli. La tenda interna, al pari di quella all’ingresso del tabernacolo, era di lino fino ritorto e filo violaceo, porporino e scarlatto con cherubini dorati, opera di un abile ricamatore4. Questa tenda formava il soffitto del tabernacolo, che era solo una pallida rappresentazione dello splendore glorioso che circonda il trono di Dio con miriadi di angeli pronti a compiere ogni Suo ordine5. Al di sopra della tenda interna c’era una tenda di pelo di capra; sopra di essa, una copertura di pelli di montone tinte di rosso e, infine, ancor più sopra, una copertura di pelli di tasso: una protezione perfetta contro il maltempo6. I diversi colori delle coperture si fondevano con quelli delle pareti dorate e della magnifica tenda d’ingresso (o velo, come veniva chiamato), creando una struttura di gloria ineguagliabile.
Durante il giorno, la Nuvola divina giaceva sopra il tabernacolo e durante la notte assumeva l’aspetto di una Colonna di fuoco che guidava gli israeliti in tutti i loro spostamenti7. In mezzo all’afa del deserto, ecco un rifugio fresco e refrigerante all’ombra della Nuvola per chi serviva nel tabernacolo o adorava nel cortile, mentre fuori imperversava il caldo torrido8. Che bella immagine per la copertura che Dio stende sopra il suo popolo in mezzo a questo mondo malvagio, di modo che sia possibile abitare al riparo dell’Altissimo, riposando all’ombra dell’Onnipotente9 anche in mezzo alle turbolenze e ai conflitti di un mondo perverso.
Di notte, quando il caldo intenso cessava e l’oscurità copriva il deserto, sopra il sacro tabernacolo la Nuvola diventava una grande Colonna di fuoco, «alla vista di tutta la casa d’ Israele, durante tutti i loro spostamenti»10. La presenza immediata e visibile di Dio illuminava l’intero accampamento, affinché tutti potessero camminare in sicurezza nell’oscurità. Che simbolo significativo è stato dato con ciò per rappresentare il cammino del cristiano! Potrebbe non esserci alcuna luce visibile, ma quando la Luce della presenza di Dio lo circonda, il suo percorso è facile. Davide lo sapeva bene quando scrisse: «Beato il popolo che conosce il grido di giubilo, o Eterno, perché esso camminerà alla luce del tuo volto»11. Anche il più debole dei figli di Dio, se fiducioso e volenteroso di rendere a Lui il proprio cuore, potrà avere il privilegio e la benedizione di essere guidato dalla Luce stessa del volto di Dio, al sicuro dalle trappole di Satana.
All’interno delle mura dorate del tabernacolo i sacerdoti scelti da Dio eseguivano un’opera che rappresentava in modo simbolico il piano della redenzione. L’opera di Cristo ha due fasi distinte, una eseguita nel primo compartimento del Santuario celeste, l’altra nel secondo. Egli offre a tutti la Sua salvezza gratuita. Molti la accettano e cominciano il Cammino cristiano. Cristo stende il Suo braccio infinito per proteggere e sostenere tutti coloro che invocano il Suo nome; nessuna potenza, né terrestre e né satanica, può strappare un figlio di Dio dalle Sue cure protettive12. L’unico modo per cui qualcuno si può perdere è smettere di aggrapparsi a quella Mano infinita. Molti, come Pietro, distolgono lo sguardo da Cristo, fissandolo sul mare della vita, e affondano, a meno che come lui non gridino: “Signore, salvami!”: vengono subito soccorsi dal Salvatore13. L’opera di Cristo è illustrata dalla parabola delle nozze del figlio del re. Tutti gli ospiti, sia buoni che cattivi, sono invitati, ma quando il re viene ad esaminare gli ospiti, tutti coloro che non indossano le vesti nuziali della giustizia di Cristo sono espulsi. «Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti»14.
Dunque, l’interno del santuario terreno (o tabernacolo) era diviso in due compartimenti o luoghi. Nel primo si svolgeva il servizio giornaliero per tutto l’anno, che corrisponde all’opera di invitare gli ospiti alle nozze e di raccoglierli in attesa. In un sol giorno, alla fine dell’anno, si svolgeva invece il servizio nel secondo compartimento, l’opera di selezionare – tra i tanti che hanno affermato di accettare l’invito – coloro che sono degni della vita eterna, come è illustrato dalla parabola del re che esamina gli invitati.
Tipo | Antitipo |
Ebrei 8:1-5 – Il santuario terreno era un’ombra del Santuario celeste | Apocalisse 11:19 – C’è un Tempio in cielo |
Ebrei 9:1-3 – Il santuario terreno aveva due stanze (“compartimenti” o “luoghi”) | Ebrei 9:24 – Anche il Santuario celeste ha due stanze |
La storia del servizio sacerdotale, di cui il tabernacolo terrestre era rappresentazione visibile, cominciò alle porte del giardino dell’Eden, dove i nostri progenitori portarono le loro offerte e le presentarono davanti al Signore. Abele dimostrò la propria fede nel Salvatore promesso conducendo un animale e presentando al Signore non solo il sangue versato nel sacrificio, ma anche il grasso, testimoniando così fiducia nel Salvatore e volontà di abbandonare il proprio peccato1.
Il popolo di Dio, prima dell’ingresso in Egitto, era contraddistinto da un’adorazione semplice. I patriarchi vivevano a contatto con il Signore e non erano necessarie molte forme o cerimonie per insegnare loro l’unica grande verità che il peccato poteva essere espiato solo con la morte di Colui che è senza peccato. Un altare rustico e un agnello innocente erano sufficienti per connettere la loro fede a Colui che, Infinito, ha portato su di Sé il peso di ogni peccato.
Quando i patriarchi peregrinavano da un luogo all’altro, costruivano i loro altari e offrivano i loro sacrifici, sicché Dio si avvicinava a loro, spesso dimostrando di aver accettato le loro offerte mediante l’invio di Fuoco dal cielo per consumare i sacrifici.
Di tutti i sacrifici registrati nel libro della Genesi nessuno si avvicina a rappresentare così bene la grande Offerta antitipica quanto quello richiesto ad Abramo da Dio: l’offerta del suo unico figlio. La prova paradossale della fede non consisteva semplicemente nella circostanza che Isacco fosse il suo unico figlio legittimo, ma sopratutto risiedeva nel fatto, compreso da Abramo, che attraverso la discendenza di Isacco sarebbe giunto il Messia a lungo promesso. Offrendo Isacco, Abramo stava eliminando la sua unica speranza di salvezza, così come quella del mondo intero! Ma la sua fede non vacillò. Egli credette che lo stesso Dio che aveva fatto un miracolo dandogli un figlio poteva riportare tale figlio in vita dalla morte per adempiere alla Sua promessa2.
Il Signore scelse il luogo esatto per l’offerta di Isacco. Disse ad Abramo: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico figlio, colui che tu ami, Isacco, va’ nel paese di Moriah e là offrilo in olocausto sopra uno dei monti che io ti dirò»3. Quando Abramo e Isacco partirono per quel viaggio memorabile furono diretti dal Signore sul Monte Moria; quando raggiunsero il luogo indicato, Abramo costruì un altare e vi legò Isacco, pronto a sacrificarlo, ma l’Eterno gli fermò la mano.
Da quel momento in poi, il luogo dove una così grande lealtà a Dio venne manifestata fu sempre onorato dal Signore. Ma anche il diavolo, come il Signore, sorvegliava questo luogo. Sapeva che era sacro all’Eterno, perché là Dio aveva messo alla prova la fede dell’uomo che aveva onorato chiamandolo “amico”4.
Quattrocento anni dopo, quando i figli d’Israele entrarono nella terra promessa, Satana occupava questo monte: era una fortezza nemica in mezzo a Israele. Ma infine fu preso da Davide, che lo rese la capitale del suo regno: da allora Gerusalemme fu chiamata “la Città di Davide”5.
L’aia di Ornan il gebuseo, dove l’angelo dell’Eterno apparve a Davide, si trovava nello stesso luogo. Il profeta ordinò a Davide di erigere un altare sull’aia e là Davide offrì sacrifici, riconsacrandosi in modo speciale al Signore. Pochi anni dopo, il tempio, eretto senza un singolo suono di martello, occupava il medesimo terreno6. Dio indicò e riconquistò il luogo che doveva essere santificato dalla Sua presenza. Purtroppo il Suo popolo fu infedele, e quando il Signore della Luce entrò nel Suo stesso tempio fu disprezzato e crocifisso; così, la città santa e il luogo del Suo tempio sacro passarono nelle mani dei Gentili.
Anche al giorno d’oggi Satana sorveglia questo luogo con la massima vigilanza, deciso a non lasciare mai più la presa su di esso. Ma arriverà il giorno in cui, a dispetto di Satana e di tutto il suo esercito, il Salvatore, rifiutato nel Suo stesso tempio, poggerà i Suoi piedi sul Monte degli Ulivi7 e tutto il luogo dell’antica Gerusalemme sarà purificato. Allora la Nuova Gerusalemme scenderà dal cielo e si poggerà su quel luogo reso santo dalla consacrazione del popolo scelto da Dio. Il nuovo e glorioso Tempio celeste di Dio se ne starà sul monte Sion in Moriah, per non cadere mai più in mani nemiche. Dio dice: «Io … stabilirò il mio santuario in mezzo a loro per sempre…»8.
Dopo aver brevemente tratteggiato il tema dall’Eden perduto all’Eden restaurato, torniamo al tempo in cui Israele lasciò l’Egitto. Sottomessi a una vita di duro e incessante lavoro, circondati dalle tenebre del paganesimo, i figli d’Israele avevano perso di vista il significato dei loro semplici sacrifici. A causa della loro servitù furono privati dei privilegi di cui godevano gli antichi patriarchi, non potendo più trascorrere molto tempo in comunione con Dio, e nel loro culto si avvicinarono di molto all’idolatria egiziana. Quando Dio li trasse dall’Egitto, proclamò la Sua legge al Sinai, ripristinando lo stesso sistema di adorazione che i patriarchi avevano seguito. Tuttavia, Egli dovette trattare con loro come se fossero dei bambini. Non potendo ancora capire le verità senza semplici illustrazioni, Dio diede loro il sistema di adorazione che Abramo, Isacco e Giacobbe avevano seguito, ma sotto una forma “elementare”, proprio come noi impieghiamo i metodi della scuola elementare per insegnare ai bambini quelle lezioni che gli adulti capiscono facilmente.
Gli israeliti erano così sbandati che non riuscivano a capire come Dio potesse vivere in mezzo a loro, dato che Egli è invisibile. Per questo motivo Dio disse: «mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro»9. La Colonna di Nuvola sopra il tabernacolo e la presenza tangibile di Dio manifestata al suo interno aiutarono gli israeliti a comprendere più facilmente la vera e continua presenza del Signore, che dimorava con loro.
Questo santuario era un’ombra, o modello, del Santuario celeste; il servizio era così ben pianificato dal Signore che ogni atto era un tipo, o rappresentazione, dell’opera che il Figlio di Dio avrebbe compiuto in Terra e in Cielo per la redenzione della razza perduta. Fu la più meravigliosa lezione simbolica mai concessa all’umanità.
Il santuario venne completato mentre gli israeliti erano accampati al Sinai. Durante i quarant’anni di pellegrinaggio nel deserto lo trasportarono con loro. Quando giunsero nella terra promessa, il tabernacolo si accampò in Ghilgal per alcuni anni10, per poi essere trasferito a Sciloh11, dove rimase per parecchi anni. Quando Davide era in fuga da Saul, il tabernacolo si trovava a Nob, poiché là i sacerdoti ponevano i pani della presentazione davanti all’Eterno in giorno di Sabato12. Poi un “alto luogo” fu stabilito a Gabaon13. Il tabernacolo vi rimase fino a quando non fu trasferito a Gerusalemme da Salomone. Lo storico Giuseppe Flavio riferisce che Salomone «trasportò al tempio il tabernacolo che Mosè aveva costruito e tutti i recipienti per ministrare i sacrifici di Dio»14.
Davide desiderava costruire una casa al Signore; tuttavia, a causa delle molte guerre da lui intraprese, l’Eterno gli preferì suo figlio per edificarla. Quando Salomone fu reso stabile in trono eresse una grandiosa struttura e la consacrò al Signore. Dio dimostrò di accettarla tramite la Sua Gloria, che di nuovo riempì il tempio. Non fu Salomone a pianificare il tempio, ma fu Dio a rivelarne il piano a Davide, proprio come fece con Mosè per il tabernacolo. Davide non poté vederlo costruito, ma quando consegnò il progetto di edificazione a Salomone disse: «Tutto questo mi è stato dato per iscritto dalla mano dell’Eterno, che mi ha fatto comprendere tutti i lavori di questo progetto»15.
La storia del tempio di Salomone è invero la storia dell’esperienza religiosa dei figli d’Israele. Quando si allontanavano dal Signore, il tempio veniva trascurato e a volte subiva anche dei maltrattamenti: fu saccheggiato da Shishak, re d’Egitto16. Sotto la guida del sacerdote Jehoiada, venne riparato dal re Joas17, il quale poi ne rubò nuovamente i tesori per fare allontanare i Siri da Gerusalemme18. In seguito, Achaz non solo rubò dal tesoro, ma profanò pure le sacre stanze e gli arredi19. Sotto il regno del buon Ezechia, il tempio fu purificato e il suo culto restaurato20, ma anche lui lo spogliò dei suoi tesori per ottenere un trattato di pace con gli Assiri21. Ancora una volta venne contaminato dall’adorazione idolatra di Manasse. Il “buon re Giosia”, quando era solo un giovane diciottenne, ripristinò e purificò il tempio, ristabilendone il culto. Infine, a causa dell’infedeltà del popolo scelto da Dio, il tempio fu bruciato fino alle ceneri e i suoi tesori portati a Babilonia.
Settant’anni dopo, la ricostruzione del tempio da parte di Zorobabele fu completata e la casa di Dio nuovamente consacrata con grande gioia22. Erode il Grande dedicherà poi quarantasei anni alla ristrutturazione del tempio di Zorobabele, rendendolo una magnifica struttura all’epoca di Cristo23.
La presenza di Dio dimorò nelle abitazioni costruite per Lui dal Suo popolo dal momento in cui il tabernacolo fu eretto nel deserto, lungo tutto il percorso storico del suo pellegrinaggio spirituale, fino a quel giorno memorabile in cui i simboli celebrati per quattromila anni trovarono la loro Realizzazione sulla croce del Calvario. Poi, con gran rumore, il glorioso velo del magnifico edificio di Erode si strappò dall’alto verso il basso, segno del fatto che il Signore si era ritirato per sempre dal Suo tempio. Fino ad allora il servizio sacro era stato diretto a Dio, ma da quel momento in poi non fu altro che una vuota parodia, poiché Dio si era ritirato dal santuario24. Il tempio rimase in piedi fino al 70 d. C., quando fu definitivamente distrutto dai Romani. Oggi sull’antico sito sacro sorge una moschea musulmana.
L’epistola agli Ebrei dimostra che l’apostolo Paolo insegnò chiaramente l’adempimento antitipico dei tipi e delle ombre celebrati per molti anni. Non bisogna dimenticare che il dono dello Spirito di profezia e il Sabato del Signore furono sempre connessi con il servizio del santuario. Non abbiamo motivo di dubitare che, durante la storia della chiesa cristiana primitiva, il tema del santuario e dell’opera antitipica di Cristo in cielo fosse stato chiaramente compreso, ma quando la Bibbia fu tolta dalle mani dei cristiani, il Sabato del Signore occultato e la voce dello Spirito di profezia non più ascoltata nella direzione della chiesa, allora la sublime opera antitipica rappresentata negli antichi servizi del santuario fu persa di vista. Giunse però il momento in cui fu inaugurato il grande giudizio in Cielo, quando il Padre, il Figlio e i santi angeli passarono al Luogo santissimo nel Santuario celeste. Nessun corteo in Terra potrà mai eguagliare tale maestoso Seguito. Dio pianificò che questo evento dovesse essere riconosciuto in Terra e fece sì che un messaggio fosse proclamato ai suoi abitanti per rivolgerne l’attenzione sull’opera del Figlio di Dio. Tutto ciò è noto come il messaggio del primo angelo di Apocalisse 14:6-7. Un grande gruppo di persone accettò il messaggio, la cui attenzione era incentrata sul Salvatore, ma esso non comprese l’opera antitipica nel Santuario, quindi ritenne che fosse giunto il momento in cui il Salvatore doveva tornare sulla Terra. Invece di tornare, Egli era entrato nel secondo compartimento del Santuario celeste per officiare l’opera del giudizio.
Questo gruppo, unito dal messaggio del primo angelo, amava il Signore e desiderava profondamente capire perché Egli non fosse tornato sulla Terra. Si avvicinò così tanto a Lui che, in risposta alle sue sincere preghiere, comprese che bisognava rivolgere l’attenzione al Santuario celeste, dove scorse l’arca dell’alleanza di Dio contenente la Sua santa Legge, riconoscendone le richieste. Per questo motivo, molti degli appartenenti a questo gruppo cominciarono a santificare il Sabato del Signore. Il servizio del Santuario, il Sabato e lo Spirito di profezia furono sempre uniti nelle epoche passate. Quando la conoscenza del servizio antitipico del Santuario celeste illuminò il popolo di Dio, Egli concesse ancora una volta lo Spirito di profezia per rivelare le verità più solenni sul ministero di Cristo in Cielo, verità che i credenti non avrebbero potuto capire altrimenti.
RIASSUNTO
IL TABERNACOLO
Costruito da Mosè nel deserto | Esodo 40:1-38 |
Conservato nel tempio di Salomone | 1 Re 8:4; 1 Cronache 22:19 |
IL TEMPIO
Costruito da Salomone | 2 Cronache 2-5 |
Distrutto dai Babilonesi | 2 Cronache 36:17-19 |
Ricostruito da Zorobabele | Esdra 6:13-15 |
Restaurato da Erode il Grande | Giovanni 2:20 |
Rigettato dal Signore | Matteo 23:37-39; 27:51 |
Distrutto dai Romani | Matteo 24:2 (compiutosi nel 70 d. C.) |
SEZIONE 2 – GLI ARREDI DEL SANTUARIO
LA CROCE E LA CORONA
Ora non c’è altare né sangue versato,
il Sacrificio è stato consumato;
non più fiamme o fumo salgono al cielo
– l’Agnello non è più sacrificato!
Mai sangue più ricco fluì da vene più nobili
per purificare l’animo dal peccato
e lavar via le macchie più vermiglie.
Ti ringraziamo per il sangue,
il sangue di Cristo, Tuo Figlio;
il sangue con cui la nostra pace è assicurata,
la nostra vittoria è garantita:
una grande vittoria su tomba, peccato e dolore
che non necessita di una seconda lotta
e che non produce un secondo avversario.
L’arca costituiva la figura centrale di tutto il santuario. La Legge infranta in essa contenuta era la sola ragione dell’esistenza di tutti i servizi sacrificali, tipici quanto antitipici. Quando il Signore diede le istruzioni per costruire il santuario, il Suo primo comando fu: «Faranno dunque un’arca di legno di acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga un cubito e mezzo e alta un cubito e mezzo»1. Dentro e fuori era rivestita d’oro puro con una cornice d’oro tutt’intorno al bordo superiore.
La copertura dell’arca fu chiamata “propiziatorio” ed era d’oro puro. Su ciascuna estremità del propiziatorio sorgeva un cherubino d’oro battuto, con le ali tese a proteggere l’arca e il viso rivolto con riverenza alla Legge di Dio ivi contenuta.
Grande conforto risiede nel fatto che il Signore stesso abbia ricoperto la Sua Legge infranta con un “seggio di grazia”, cioè col propiziatorio; Dio, il Misericordioso, si è seduto proprio su quel trono affinché ogni peccatore che venga a confessare i suoi peccati riceva misericordia e perdono. Il propiziatorio con la Nuvola gloriosa – rappresentazione visibile della presenza di Dio – e con i cherubini dorati posti a sua protezione è figura o “ombra” del trono del grande Dio, che proclama il Suo Nome come “Misericordioso e Compassionevole, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà”2.
All’interno dell’arca c’era la copia, scritta dal Signore stesso, di quella santa Legge che fu data all’umanità in principio. «Dove non c’è legge, non vi è neppure trasgressione»3. «Ora il peccato non è imputato se non vi è legge»4, quindi il Signore non avrebbe mai potuto cacciare i nostri progenitori dal giardino dell’Eden a causa del loro peccato se essi non avessero prima conosciuto la Sua santa Legge. Dio non ha mai rivelato nel Suo santo Libro il modo in cui proclamò la Sua Legge ai nostri progenitori; tuttavia, quando fu necessario rendere nuovamente nota la Sua Legge al Suo popolo, dopo un lungo periodo di schiavitù in Egitto, fece sì che questo evento fosse ricordato in modo impressionante e maestoso5, affinché le generazioni a venire potessero conoscere che Dio scese dal Cielo e annunciò i dieci comandamenti con voce tonante alle orecchie dell’intero Israele.
Dopo aver proferito i dieci comandamenti dalla vetta del monte Sinai, Dio li scrisse su due tavole di pietra che consegnò a Mosè con il comando: «le metterai nell’arca»6. L’arca era collocata nel luogo santissimo del santuario, dove nessun occhio mortale poteva contemplarla, eccetto quello del sommo sacerdote un solo giorno all’anno, quando questi aspergeva il propiziatorio con il sangue del capro del Signore, facendo l’espiazione per la Legge infranta dentro l’arca.
«Il salario del peccato è la morte…»7 ed infrangere la Legge determina la morte di ogni peccatore. Nel servizio tipico, il sangue veniva spruzzato sopra la Legge8 a dimostrazione della fede nel sangue di Cristo, che libera i giustificati in Lui dalle richieste (o “maledizione”) della Legge9.
Dio comunicava con il Suo popolo dalla Sua Nuvola gloriosa al di sopra del propiziatorio, tra i cherubini10. Questi cherubini d’oro con le ali tese erano una rappresentazione dei cherubini protettori che circondano il trono di Dio in Cielo11.
Non ci può essere governo senza legge. L’idea stessa di un regno è sempre collegata a quella di una legge. Non ci può essere giudizio alcuno senza una legge in base alla quale si è giudicati. Dio dichiara che «tutti quelli che hanno peccato sotto la legge saranno giudicati secondo la legge»12. «Tutti i tuoi comandamenti sono giusti»13. «Giustizia e diritto sono a base del suo trono»14.
«Nell’arca non c’era nient’altro che le due tavole di pietra che Mosè vi aveva deposto al monte Horeb, quando l’Eterno fece un patto con i figli d’Israele, dopo che questi erano usciti dal paese d’ Egitto»15 afferma il racconto divino. Il vaso contenente la manna fu posto “davanti al Signore” e la verga fiorita di Aaronne “davanti alla testimonianza”16. Poiché Paolo nella lettera agli Ebrei elenca tutti gli oggetti del luogo santissimo nel loro ordine, alcuni suppongono che, a un certo punto, anche il vaso della manna e il bastone fiorito di Aaronne siano stati collocati all’interno dell’arca; tuttavia, l’arca è stata realizzata al solo scopo di contenere la santa Legge di Dio17.
A nessuna mano profana era consentito di toccare l’arca. Uzzah venne colpito per aver steso il suo braccio e averla sostenuta quando i buoi che la trasportavano inciamparono18; anche migliaia tra gli “uomini di Beth-Scemesh” furono colpiti per aver guardato dentro di essa19. A nessuno, eccetto che ai Leviti, era permesso di spostare il sacro ricettacolo20.
In occasione di una battaglia contro i Filistei, gli empi figli di Eli, sommo sacerdote a quel tempo, trasportarono l’arca sul campo di battaglia ed essa fu catturata dai Filistei, ma Dio scosse i loro cuori affinché la restituissero a Israele con un’offerta d’oro per la trasgressione21. Quando il tempio di Salomone fu edificato, l’arca fu posta nel santo dei santi (o luogo santissimo), dove rimase fino a quando il profeta Geremia la prese e la nascose in una grotta montana prima della cattività babilonese, affinché non cadesse nelle mani dei gentili22.
Lo scrittore del libro apocrifo di Maccabei sostiene che l’arca tornerà alla luce negli ultimi tempi. Che quella copia della Legge data da Dio al Sinai venga riscoperta o meno, sappiamo comunque che una copia di quella stessa Legge, come tracciata da una penna di fuoco, apparirà nei cieli di fronte allo sguardo attonito degli abitanti della Terra in occasione della seconda venuta di Cristo23.
Ognuno sarà giudicato in base a questa santa Legge che condanna il colpevole, poiché «il peccato è la violazione della legge»24. Quella stessa Legge che condanna il peccatore testimonierà la giustizia di coloro che, tramite la fede in Cristo, hanno cercato di camminare in armonia con i Suoi santi precetti, chiedendo umilmente perdono per ogni loro trasgressione25.
Tipo | Antitipo |
Esodo 26:33 – L’arca fu collocata nel luogo santissimo | Apocalisse 11:19 – L’arca è stata vista nel Santuario celeste |
Esodo 25:21-22 – La presenza visibile di Dio si manifestava sopra il propiziatorio | Esodo 34:5-7 – L’Eterno proclama il Suo Nome: il Misericordioso, il Compassionevole e il Paziente |
Il candelabro d’oro con le sue sette lampade d’oro era situato sul lato Sud del primo compartimento del santuario. Era realizzato in oro battuto lavorato al martello1. Molti colpi dell’artigiano, dati con fermezza e abilità, furono necessari per modellarne i delicati fiori e i calici, nondimeno il candelabro fu fabbricato secondo il modello celeste per insegnare le lezioni divine all’umanità2.
A Giovanni, il discepolo amato, fu dato il permesso di guardare all’interno del primo compartimento del Santuario celeste: là vide sette candelabri d’oro. Contemplò anche il Salvatore in mezzo a quei gloriosi candelabri, dei quali quello terrestre era solo un’ombra.
Spiegando a Giovanni il significato di ciò che aveva visto, Cristo disse: «i sette candelabri che hai visto sono le sette chiese»3. Il numero sette nella Bibbia denota completezza. Il candelabro d’oro battuto con i sette calici per le lampade era «…figura e ombra delle cose celesti»4. I suoi sette bracci, ognuno a supporto di una lampada in alto, rappresentavano la Chiesa di Dio.
L’individuo che fa parte della «…chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli»5 si accorgerà spesso del martello dell’Artigiano. «Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo»6. Pertanto, «carissimi, non lasciatevi disorientare per la prova di fuoco che è in atto in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano»7. È solo il Maestro Artigiano che ci modella per diventare parte della grande Chiesa registrata e segnata in Cielo.
Il candelabro terreno, tipico, aveva sette lampade. Anche il discepolo amato ebbe una visione delle lampade celesti, delle quali quelle terrene erano un’immagine. Davanti al trono di Dio in Cielo, egli vide sette lampade ardenti, «che sono i sette Spiriti di Dio»8. La Chiesa di Cristo è il Candelabro che deve preservare la Luce in mezzo alle tenebre morali. Il Salvatore afferma: «voi siete la luce del mondo»9. Lo Spirito del Signore viene descritto come gli occhi dell’Eterno con cui Egli «…scorre avanti e indietro per tutta la terra per mostrare la sua forza verso quelli che hanno il cuore integro verso di lui»10. Quindi, l’intensità della nostra luce dipende dalla condizione del nostro cuore. Lo Spirito scorre tutta la terra alla ricerca di coloro i cui cuori sono perfetti davanti a Dio e “mostrerà la sua Forza” in favore di costoro: la loro luce non diminuirà e non si spegnerà. Le lampade nel santuario terrestre rimanevano accese continuamente11. Allo stesso modo, il cristiano deve sempre lasciare che lo Spirito di Dio governi la sua vita e, di conseguenza, condividerne la Luce.
Solo il sommo sacerdote poteva adempiere al sacro compito di accendere le lampade nel santuario terrestre: le metteva in ordine e le accendeva ogni mattina e ogni sera12. Analogamente, nessuno eccetto il nostro Sommo Sacerdote, «che è stato tentato in ogni cosa come noi»13, può concederci l’aiuto di cui abbiamo veramente bisogno. Al mattino abbiamo bisogno che il Suo Spirito ci diriga durante il giorno; alla sera abbiamo bisogno sempre di Lui per illuminare le nostre menti mentre rivediamo il lavoro della giornata, sicché possiamo individuare i difetti e i fili slegati nell’ordito delle nostre vite. Pulire e accendere le lampade era un bel simbolo contenente una lezione quotidiana per noi oggi. Era un collegamento a quella meravigliosa triplice catena del servizio tipico celebrato ogni mattina e ogni sera, quando «l’intera folla del popolo stava fuori in preghiera, nell’ora dell’incenso»14: l’olocausto nel cortile, l’incenso e le lampade accese all’interno del santuario. Ecco un meraviglioso e armonico simbolo che non perderà mai la sua bellezza.
Ogni volta che una persona compie nel proprio cuore l’antitipo dell’olocausto (“consumato per intero”), cioè quando si consegna totalmente a Dio, offrendo se stesso con tutto ciò che possiede sull’altare perché sia consumato al servizio di Dio come Egli vuole, costui, ricco o povero, colto o ignorante, sarà ricoperto del soffice incenso della giustizia di Cristo e il suo nome sarà scritto nella Chiesa dei primogeniti in Cielo. Anche in questa terra maledetta dal peccato, in ogni sua attività farà parte del grande Candelabro; dalla sua vita si irradieranno gli splendidi raggi dello Spirito di Dio.
In molti cuori può sorgere la domanda: come posso diventare un portatore di luce sulla Terra? Quando Zorobabele si stava impegnando a ricostruire il tempio di Gerusalemme in circostanze molto avverse, vi fu un momento in cui le difficoltà gli parvero delle montagne insormontabili. Allora il Signore mandò il Suo profeta con un messaggio per aiutarlo e incoraggiarlo. Zaccaria ebbe una visione dei candelabri d’oro; gli fu anche mostrato da dove proveniva l’olio che riforniva le lampade. Egli vide due ulivi, uno sul lato destro del candelabro e l’altro sul lato sinistro: tramite sette tubi dorati alimentavano le sette lampade con l’olio, affinché potessero brillare intensamente15. Il profeta chiese all’angelo il significato della visione. L’angelo rispose: «Questa è la parola dell’Eterno a Zorobabele: “Non per potenza, né per forza, ma per il mio Spirito”, dice l’Eterno degli eserciti». Così Egli inviò un incoraggiamento a Zorobabele per avanzare, affermando pure che la montagna delle difficoltà sarebbe diventata una pianura davanti a lui. Come le sue mani avevano gettato le fondamenta della casa dell’Eterno, così l’avrebbero finita.
Zorobabele camminava per fede nelle parole dei profeti che avevano predetto come e quando Gerusalemme sarebbe stata ricostruita16, ma quei profeti erano morti e in quel momento egli stava affrontando impedimenti tali da poterlo tentare a ritenere che neppure quei profeti avessero previsto simili circostanze. Per questo Dio mandò un profeta vivente con un messaggio di incoraggiamento: per mantenere accesa la Luce e per rendere Zorobabele in grado di avanzare e di completare l’opera profetizzata da quei profeti che erano morti.
Non possiamo comprendere la parola del Signore senza che lo Spirito illumini le nostre menti. La Luce brilla nella misura in cui crediamo alla parola data e rischiamo tutto per lei; quando passiamo attraverso delle difficoltà perché seguiamo le istruzioni date ai profeti ormai morti, il Signore manda messaggi per fortificarci e incoraggiarci tramite il profeta vivente, per farci insistere fino alla vittoria. «Questi sono i due unti [= donatori di luce] che stanno presso il Signore di tutta la terra». Sarà lo Spirito di Dio a far luce, accompagnando la parola che era stata data al popolo. Tutto ciò che i profeti di Dio hanno rivelato all’uomo in passato è Luce e coloro che hanno seguito rigorosamente la testimonianza che Dio ha rivelato tramite i Suoi profeti, anche centinaia di anni dopo tale rivelazione, saranno benevolmente rincuorati dal profeta vivente, proprio come Zaccaria confortò Zorobabele.
Tipo | Antitipo |
Esodo 40:24 – Candelabro d’oro nel primo compartimento del santuario terreno | Apocalisse 1:12 – Giovanni vide sette candelabri d’oro nel Cielo |
Esodo 25:37; 40:25 – C’erano sette lampade sul candelabro | Apocalisse 4:2,5 – Giovanni vide sette lampade ardenti davanti al trono di Dio in Cielo |
Esodo 30:7,8 – Il sommo sacerdote metteva in ordine e accendeva le lampade nel santuario terreno | Apocalisse 1:12-18 – Giovanni vide Cristo, nostro Sommo Sacerdote, in mezzo ai candelabri in Cielo |
Levitico 24:2 – Le lampade erano continuamente accese, irradiando sempre luce | Giovanni 1:9 – Lo Spirito Santo illumina ogni essere umano che viene al mondo, sia che questi lo accetti, sia che lo rigetti |
La tavola dei pani della presentazione era collocata sul lato nord del primo compartimento del santuario. Era lunga due cubiti, larga uno e mezzo e alta uno e mezzo. Era ricoperta d’oro puro e, come l’altare dell’incenso, era ornata da una cornice d’oro che correva intorno al bordo superiore1.
In giorno di Sabato i Leviti preparavano dodici focacce, o pani, di farina non lievitata2. Queste focacce venivano collocate ancora calde sulla tavola ogni Sabato3, venendo disposte in due file, sei per ogni fila, con incenso puro sparso lungo ciascuna fila4.
Per tutta la settimana, i pani della presentazione o della “presenza” (così chiamati in alcune traduzioni) stavano sul tavolo. Alla fine della settimana venivano tolti e mangiati dai sacerdoti5. Questo spiega perché il sacerdote di Ahimelek non avesse pane comune da dare a Davide di Sabato, dato che i sacerdoti mangiavano solo “pane consacrato” in quel giorno6. Non era lecito cuocere del pane comune di Sabato, il comandamento era molto chiaro: tutto il pane per l’uso domestico durante il Sabato doveva essere cotto il sesto giorno. «…Questo è ciò che l’Eterno ha detto: “Domani è un giorno solenne di riposo, un sabato sacro all’Eterno; fate cuocere oggi quel che dovete cuocere e fate bollire quel che dovete bollire; e tutto quel che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani»7. Ma il Signore aveva ordinato ai Leviti di preparare il pane della presentazione il Sabato8.
L’intero servizio che riguardava la tavola dei pani della presentazione veniva svolto in giorno di Sabato: come visto, il pane era preparato di Sabato e posto sulla tavola mentre era ancora caldo. Il Sabato successivo veniva rimosso e mangiato dai sacerdoti.
I sacerdoti servivano in quanto “figura e ombra delle cose celesti”; pertanto, c’è una lezione celeste per noi nell’antitipo dei pani della presentazione. Era un’offerta continua, che stava sempre davanti al Signore. Insegnava che l’uomo è totalmente dipendente da Dio, sia per il cibo materiale che per quello spirituale, e che entrambi provengono da Colui che «vive sempre per intercedere» per noi presso il Padre9.
Anche questo, come tutti gli altri simboli del servizio del santuario, ha trovato il proprio adempimento in Cristo. È Lui il vero Pane. Egli disse: «Io sono il pane vivente che è disceso dal Cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; or il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo». Quindi aggiunse: «…se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi»10. Anche i discepoli stentarono a comprendere le parole di Cristo e mormorarono. Gesù, leggendo nei loro pensieri, rispose: «È lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla; le parole che vi dico sono spirito e vita»11. La Sua Parola è il vero pane di cui dobbiamo cibarci.
I pani della presenza di Dio venivano rimossi dal santuario e mangiati; in modo analogo Gesù disse: «la parola che udite non è mia, ma del Padre che mi ha mandato»12. La Bibbia è proceduta direttamente dal Padre, che l’ha data a Cristo; Cristo l’ha inviata per mezzo del Suo angelo ai profeti e i profeti l’hanno comunicata al popolo13.
Spesso leggiamo la Bibbia per una mera forma di religione o per ottenere qualche argomento da predicare agli altri, ma se ricevessimo il suo potere di vita nei nostri cuori potremmo avere quel Pane sempre “caldo”, riscaldato direttamente dal Cielo.
Non c’è giorno più appropriato del Sabato per lasciare che Dio parli ai nostri cuori tramite la Sua Parola, quando mettiamo da parte le nostre ansie e i nostri affari mondani e dedichiamo del tempo a studiare la Sacra Parola e a lasciarla penetrare nell’intimo del nostro cuore fino a quel momento in cui udiamo parlare Dio soltanto a noi e non ad altri.
I sacerdoti non dovevano solo porre i pani caldi sulla tavola in giorno di Sabato, ma in seguito dovevano mangiare gli stessi pani (della settimana prima), affinché diventassero parte del loro vero essere. Era disegno di Dio che il Suo popolo ogni Sabato potesse maturare una nuova e fresca esperienza delle realtà divine; ciò li avrebbe resi più pronti ad affrontare le tentazioni della settimana. Il cuore che mai riceve un’esperienza più profonda durante il Sabato rispetto a qualsiasi altro giorno non riesce ad osservare il Sabato come Dio vorrebbe per lui14. Tuttavia, possiamo anche dedicare qualche minuto a uno studio tranquillo della parola durante il Sabato, quando sentiamo il Signore parlare a noi individualmente, ma se tali parole non vengono assorbite nelle nostre vite non ci daranno alcuna forza duratura. Quando i sacerdoti mangiavano il pane preparato il sabato precedente lo assimilavano, ricevendo quindi energia e vigore per i loro compiti durante il giorno.
Pietro comprese chiaramente questa verità quando ammonì la chiesa di ricercare sinceramente il Latte genuino della Parola, di modo che per mezzo di esso tutti avrebbero potuto crescere. Egli disse che se i credenti avessero compiuto ciò sarebbero diventati «un sacerdozio santo»15. Qui sta il segreto della vera vita cristiana. La vita eterna non giunge alla persona attraverso forme e cerimonie. Esse sono tutte corrette nei loro scopi e nel loro ordine, ma la vita eterna risulta dal nutrirsi del vero Pane che viene dalla presenza di Dio, la Sacra Parola di Dio – la Sacra Bibbia.
Tipo | Antitipo |
Esodo 25:30 – I pani della presentazione erano sempre davanti all’Eterno | Giovanni 6:48 – Cristo disse: «Io sono il Pane della Vita» |
Levitico 24:5 – Dodici erano i pani, secondo il numero delle tribù di Israele | 1 Corinzi 10:17 – Parlando della Chiesa, Paolo afferma: «Poiché vi è un solo Pane e noi, sebbene in molti, siamo un solo corpo, poiché tutti partecipiamo dell’unico Pane» |
L’altare d’oro, o altare dell’incenso, era situato davanti alla cortina interna nel primo compartimento del santuario. Era quadrato, misurando un cubito di lunghezza e di larghezza, e due cubiti di altezza, con un corno su ogni angolo. L’altare era fatto di śittim, o legno d’acacia, ed era interamente ricoperto d’oro puro. Lungo l’orlo superiore correva una bella cornice d’oro, sotto la quale si trovavano gli anelli ove passavano le stanghe, ricoperte d’oro puro, per il trasporto dell’altare1.
All’interno della cornice d’oro estesa sul bordo superiore dell’altare bruciava continuamente il fuoco santo2, da cui salivano i fumi aromatici dell’incenso che vi veniva posto ogni mattina e ogni sera. Il profumo permeava tutto il santuario ed era condotto dalla brezza ben oltre il recinto del cortile. L’incenso, composto in egual misura da quattro miscele aromatiche di gomme e resine, era preparato secondo la guida divina. Era molto sacro: chi lo avrebbe composto come semplice profumo per se stesso sarebbe stato rimosso dal suo popolo3.
Solo il sommo sacerdote poteva compiere il sacro ufficio di porre l’incenso davanti all’Eterno sull’altare d’oro4.
L’altare e l’incenso profumato nel santuario terrestre erano un esempio dell’opera che il nostro grande sommo Sacerdote sta compiendo in nostro favore5. Le nostre menti dovrebbero spesso meditare sull’opera di Cristo nel Santuario celeste6. Quando a Mosè fu ordinato di costruire il santuario, gli “fu mostrato” il Modello celeste di cui doveva fare “un’ombra”.
A Giovanni, il discepolo amato, fu permesso più volte di contemplare in visione il Salvatore che ministra nel Santuario in Cielo. Vide un essere celeste stare in piedi accanto al glorioso altare d’oro e l’incenso venire offerto su quel santo altare7. Come deve essersi commosso quando contemplò il prezioso incenso aggiungersi alle povere e traballanti preghiere dei santi che stanno combattendo qui sulla terra! Giovanni vide queste preghiere salire davanti a Dio dopo l’aggiunta dell’incenso ed essere accettate, proprio perché erano state profumate dall’incenso.
«Nello stesso modo anche lo Spirito sovviene alle nostre debolezze, perché non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere in preghiera, come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili. E Colui che investiga i cuori conosce quale sia la mente dello Spirito, poiché egli intercede per i santi, secondo Dio»8. Lo Spirito non può presentare le preghiere dei peccatori mortali davanti a Dio, Puro e Santo, senza prima aggiungervi l’incenso profumato.
Al preparare i Suoi discepoli per l’incombente separazione dalla Sua persona, Gesù li rassicurò dicendo: «in verità, in verità vi dico che tutto ciò che domanderete al Padre nel mio nome, egli ve lo darà»9. Il potere del nome sta nel carattere dell’individuo che lo porta. Il Nome prezioso del Redentore è onorato al di sopra di ogni cosa, per questo tutte le richieste presentate in armonia a questo Nome vengono soddisfatte nelle coorti celesti, in quanto Gesù ha vissuto una vita senza peccato. Egli “non ha conosciuto peccato”. Il principe di questo mondo, Satana, non ebbe nulla in Gesù10, poiché quest’ultimo è sempre stato puro e santo, senza alcuna macchia di peccato. È la giustizia di Cristo che rende le nostre preghiere accettevoli al Padre.
Giovanni vide il fumo dell’incenso con le preghiere dei santi salire davanti a Dio. Le nostre preghiere, profumate dalla giustizia di Cristo nostro Salvatore, sono presentate dallo Spirito Santo al Padre. Ciò apparve a Giovanni in visione come una nuvola di fumo con preghiere miste ad incenso profumato davanti al trono dell’Infinito. Anche il santo più debole che sa come perseverare nelle sue petizioni presso il Trono di grazia nel nome di Gesù, l’Unico senza peccato, ha tutti i tesori del Cielo a sua disposizione. Neppure il più ricco miliardario della Terra, che firmi assegni di ogni banca mondiale, può in alcun modo confrontarsi con il privilegio del cristiano.
Spesso però il nome di Gesù viene aggiunto alle preghiere senza senso. Molte preghiere sono pronunciate come una mera forma di adorazione e non si innalzano al di sopra la testa di colui che le offre, ma ogni preghiera di fede giunge all’orecchio del Dio dell’universo. Davide comprese il simbolo dell’incenso quando pregò: «Giunga la mia preghiera davanti a te come l’incenso, l’elevazione delle mie mani come il sacrificio della sera»11.
Non c’era altro compito del ministero quotidiano che portasse il sacerdote così vicino alla presenza di Dio come l’offerta dell’incenso; allo stesso modo, non c’è alcuna parte del nostro servizio religioso che ci avvicini al Maestro come aprire ed effondere i nostri cuori in fervente preghiera. Oggi come in passato la preghiera della fede entra nella “santa Dimora” di Dio in Cielo12.
Un agnello veniva offerto in olocausto sul fuoco dell’altare di bronzo nel cortile al mattino e alla sera, proprio al momento in cui l’incenso veniva rinnovato sull’altare13. L’altare d’oro era un “altare di intercessione continua”: rappresentava le preghiere del popolo di Dio che salgono perennemente davanti a Lui; l’altare di bronzo era un “altare dell’espiazione continua”, rappresentando l’allontanamento e la distruzione del peccato, la sola barriera che ci separa da Dio e che impedisce che le nostre preghiere vengano esaudite.
L’agnello del mattino e della sera era un’offerta consumata sul fuoco in favore di tutta l’assemblea, mostrando il suo desiderio di abbandonare il peccato e di consacrarsi al Signore, di modo che le sue preghiere potessero ascendere dall’altare con il profumato incenso.
Nell’antico Israele le persone che vivevano vicino al tempio si riunivano al momento del sacrificio e spesso «l’intera folla del popolo rimaneva fuori, pregando all’ora dell’incenso»14. L’abitudine della preghiera mattutina e di quella serale proviene proprio da questo tipo di adorazione. Il fedele israelita, lontano dal tempio, pregava con la faccia rivolta verso il tempio, dove l’incenso saliva ogni mattina e ogni sera. Giuseppe Flavio riferisce che l’incenso veniva offerto la sera quando il sole tramontava e la mattina quando sorgeva15.
Se il tipo simbolico era bello, l’antitipo, sua realizzazione, lo supera di gran lunga! Nel Santuario celeste c’è un apporto inesauribile della Giustizia di Cristo. Nel tipo l’incenso saliva continuamente, simboleggiando che, in qualsiasi momento, giorno o notte, quando un’anima angosciata grida aiuto o ringrazia e loda per l’aiuto ricevuto, la sua preghiera viene ascoltata.
Al mattino, quando i compiti del giorno sembrano essere più di quanto le forze umane possano sopportare, l’anima sopraffatta può ricordare che nel santuario un nuovo apporto di incenso era posto sull’altare proprio in quell’ora e che quindi, come realizzazione antitipica di quel simbolo, l’aiuto dal Santuario celeste giungerà per colui che rivendica il sostegno divino nel nome di Gesù16. Alla sera, rivedendo l’opera della giornata e trovandola macchiata dall’errore, c’è un conforto benedetto nell’inginocchiarsi e nel confessare i peccati sapendo che, in Cielo, il fragrante incenso della giustizia di Cristo sarà aggiunto alle nostre preghiere; la nuvola di incenso proteggeva il sacerdote17, così la giustizia di Cristo coprirà le imperfezioni della giornata; il Padre, guardandoci, contemplerà solo il mantello impeccabile della giustizia di Cristo. Se potessimo percepire più compiutamente il privilegio della preghiera, esclameremmo più spesso assieme al profeta: «Io mi rallegrerò grandemente nell’Eterno, la mia anima festeggerà nel mio DIO, perché mi ha rivestito con le vesti della salvezza, mi ha coperto col manto della giustizia, come uno sposo che si mette un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli»18.
Non tutte le preghiere accettate davanti a Dio sono esaudite immediatamente, poiché ciò non è sempre la cosa migliore per noi, ma ogni preghiera cui si aggiunge il profumo della giustizia di Cristo è depositata sull’altare del cielo e verrà risolta in accordo al giusto tempo di Dio. Giovanni vide coloro che ministravano davanti al trono di Dio tenere in mano «delle coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi»19. Queste preghiere furono accettate, poiché l’incenso aggiunto era così fragrante che Giovanni menziona che le coppe erano piene di profumi (incenso).
Nel cerimoniale tipico, chi avesse cercato di impiegare la fragranza dell’incenso per suo uso personale sarebbe stato eliminato dal mezzo del popolo di Dio; non doveva pure esserci imitazione alcuna di tale incenso20. Nessun altro fuoco doveva essere impiegato per bruciare l’incenso al di fuori di quello preso dall’altare d’oro davanti al Signore. Nadab e Abihu, sotto l’influsso di alcolici, offrirono un “fuoco estraneo” e furono uccisi21. La loro sentenza è un chiaro esempio di tutti coloro che non apprezzano la perfetta giustizia di Cristo e si presentano davanti al Signore vestiti con “l’abito sporco” della loro giustizia22.
Quando la peste colpì i figli d’Israele, il sommo sacerdote Aaronne pose l’incenso sopra l’incensiere e corse in mezzo al popolo: la peste cessò23. L’incenso sacro veniva bruciato solo sull’altare d’oro e sugli incensieri dei sacerdoti. Agli altri Leviti non era permesso bruciarlo24. Solo i sacerdoti che eseguivano l’opera caratteristica di Cristo in un modo speciale potevano bruciare l’incenso davanti all’Eterno.
Le corna dell’altare d’oro venivano spesso toccate con le dita intinte nel sangue dell’offerta per il peccato, figurando che solo la morte di Cristo può far sì che le nostre preghiere siano esaudite e che noi possiamo essere rivestiti della Sua Giustizia. L’odore dell’incenso non si trovava solo all’interno del santuario, ma veniva portato dal vento a chi viveva nei dintorni: allo stesso modo, quando qualcuno è vestito della giustizia di Cristo emanerà un forte influsso dal suo essere; chi entra in contatto con lui riconoscerà dalla sua fragranza che tale influsso è di origine celeste.
Tipo | Antitipo |
Esodo 30:1-3; 40:26 – L’altare d’oro era posto davanti al velo | Apocalisse 8:3 – C’è un altare d’oro in Cielo davanti al trono di Dio |
Esodo 30:7-8 – L’incenso veniva bruciato nell’altare d’oro dal sommo sacerdote ogni mattina e ogni sera | Apocalisse 8:3-4 – Molto incenso è aggiunto alle preghiere di tutti e dei santi; dopodiché esse ascendono al trono di Dio |
Esodo 30:9; Levitico 10:1-9 – Chi bruciava l’incenso con fuoco estraneo veniva distrutto | Isaia 64:6 – Chi si vestirà della propria giustizia sarà distrutto |
“L’anima mia attende il Signore, più che le guardie il mattino, sì più che le guardie il mattino”
Salmo 130:6
SEZIONE 3 – IL SACERDOZIO
IL SACERDOZIO CELESTE
Thomas Kelly
La Sua Opera in terra è compiuta,
il sangue della Vittima è stato versato
e adesso Gesù è andato
a perorare la causa del Suo popolo:
il gran Sommo Sacerdote è in Cielo
e porta i nomi dei Suoi sul Suo seno.
Con il Suo sangue Egli asperge
il propiziatorio che sta lassù,
sigillando la nostra fratellanza
nel Suo amore che dà redenzione;
la giustizia non ci spaventa più:
la misericordia apre i Suoi infiniti tesori.
Non in templi fatti da mano d’uomo
Egli svolge il proprio servizio,
ma invero nel Cielo si erge:
il Suo è un sacerdozio celeste!
In Lui tutte le ombre della Legge
sono soddisfatte ed ora compiute.
E anche se per un po’ Egli sarà
lontano dagli occhi del Suo popolo,
la Sua gente guarda e aspetta
il suo Sommo Sacerdote tornare
nella gloria più splendente per portare
i Suoi figli ansiosi finalmente a casa.
Il Salvatore ha molti titoli, perché «ha ereditato un nome più eccellente»1 di tutti gli eserciti angelici del Cielo. Dei numerosi titoli conferitigli nessuno è più amato dall’umanità di quello di “Agnello di Dio”2 e di “Sommo Sacerdote”. In virtù di questi due incarichi, Egli risolleva la povera umanità decaduta affinché gli esseri umani possano avere parte nel Suo glorioso Regno della grazia, pur vivendo ancora in questa terra maledetta dal peccato.
Nel servizio tipico, chi si rendeva conto di aver peccato doveva portare un agnello come offerta per il suo peccato. Il sacerdote non poteva officiare in suo favore senza tale offerta3. L’intero servizio era come una lezione per bambini: spiegava la via della salvezza in modo così semplice che nessuno poteva fare a meno di capirlo. Quando realizziamo di aver peccato, ci ricordiamo del nostro “Agnello”, confessiamo i nostri peccati e nel Suo nome essi sono perdonati. Poi Egli ministra in nostro favore come Sommo Sacerdote davanti al Padre, facendo appello ai meriti del Suo sangue e ricoprendo la nostra vita, macchiata dal peccato, col manto della Sua immacolata giustizia. In questo modo compariamo davanti al Padre «accettati nell’Amato suo Figlio»4. Come possiamo non amare Colui che ha dato la Sua vita per noi? Cristo poté dire di Suo Padre: «Per questo il Padre mi ama, perché io depongo la mia vita per prenderla di nuovo»5. Perfino il già infinito amore del Padre per il Figlio è stato incrementato da questo atto.
Nel tipo, il sangue dell’offerta per il peccato veniva versato nel cortile, quindi il sacerdote entrava nel santuario con un po’ di quel sangue, presentandolo al cospetto del Signore6. Il Salvatore ha donato la Sua Vita come sacrificio per il peccato qui sulla Terra (cortile); quando entra nel Santuario celeste in qualità di Sommo Sacerdote è chiamato “Precursore”. In nessun’altra circostanza questo nome è dato al Salvatore, eccetto che nel Suo passaggio «all’interno del velo» del Santuario celeste7.
In ogni forma di governo monarchica, il precursore è incarico ben noto: dotato di magnifica uniforme, sormontata da un pennacchio di piume ondulate, egli annuncia l’avvicinarsi del corteo reale. È sempre salutato con gioia dalle folle in trepidante attesa, ma non è il centro dell’attenzione: gli occhi della gente non seguono il suo passaggio, ma si rivolgono subito alla direzione da cui è venuto per cercare di carpire il primo scorcio della persona reale di cui egli è il precursore.
Tra gli innumerevoli riguardi che il nostro Maestro benedetto ci ha mostrato, questo è uno dei più grandi. Quando fece il Suo ingresso in Cielo come potente Conquistatore sulla morte e sulla tomba, davanti a tutti gli eserciti celesti e ai rappresentanti degli altri mondi, entrò proprio in qualità di nostro Precursore. Presentò il “covone agitato delle primizie”, ovvero coloro che si alzarono dalle tombe al momento della Sua risurrezione, in rappresentanza dell’umanità per la quale morì8. In questo modo Egli diresse l’attenzione di quella meravigliosa assemblea giù lungo la via da cui proveniva. Perché tutti potessero rivolgersi alla regalità? Sì, perché tutti potessero guardare alla regalità in noi istituita tramite il Suo preziosissimo sangue9.
I salvati sono solo un gruppo di poveri e fragili mortali che inciampano e sovente cadono lungo la strada, ma quando raggiungeranno le porte celesti entreranno come «eredi di Dio e coeredi di Cristo»10!
Quanto ha significato per noi che Cristo abbia attraversato il velo come nostro Precursore! Ora tutto il Cielo assiste e protegge la Chiesa di Dio in Terra. Quando siete tentati dal Nemico di dubitare dell’amore e della cura di Dio, ricordatevi che, grazie al grande Sacrificio compiuto, siete così amati dal Padre che «chi tocca voi tocca la pupilla del Suo occhio»11. Cielo e Terra si sono uniti intimamente da quando Cristo entrò attraverso il velo come nostro Precursore. L’attenzione di ogni angelo glorioso è rivolta a chi si sforza di seguire le orme di Cristo12. «Non sono essi tutti spiriti servitori, mandati a servire per il bene di coloro che hanno da ereditare la salvezza?»13. Perché dovremmo vacillare e deludere le schiere celesti che vegliano su noi lungo quella stessa strada che il nostro Precursore ha già attraversato in qualità di potente Conquistatore sulla morte e sulla tomba?
Tuttavia, non dimentichiamoci mai che si tratta di un percorso macchiato dal sangue. «Oltraggiato, non rispondeva con oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva nelle mani di colui che giudica giustamente»14. Non possiamo seguire le Sue orme con la nostra forza. Per questo motivo, «Egli doveva essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare l’espiazione dei peccati del popolo. Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati. Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della celeste vocazione, considerate l’ apostolo e il sommo sacerdote della nostra confessione di fede, Gesù Cristo»15.
Nel santuario terrestre officiavano anche sacerdoti comuni: era impossibile per un uomo solo compiere tutta l’opera, ma fu necessaria l’opera di tutti i sacerdoti in tutti i servizi simbolici per rappresentare solo quella del nostro Sommo Sacerdote. Il servizio rituale di un intero anno era simbolo dell’Opera del nostro Sommo Sacerdote. «I sacerdoti [plurale, sia il sommo che i comuni] entravano continuamente nel primo tabernacolo, per compiere il servizio divino». Ciò continuava per tutto l’anno, eccetto che in un sol giorno: in esso il cerimoniale mutava e «nel secondo compartimento entrava soltanto il sommo sacerdote … non senza sangue, che egli offriva per se stesso e per i peccati d’ignoranza del popolo»16. Questi sacerdoti ministravano come «figura e ombra delle cose celesti»17.
L’ingresso di Cristo in Cielo fu l’antitipo del servizio terrestre ordinato da Dio. Cristo oltrepassò il primo velo del Santuario celeste per compiere la Sua Opera. Quando il cerimoniale simbolico ordinato da Dio nel primo compartimento del santuario terrestre fu pienamente realizzato dal suo Antitipo, Cristo passò attraverso il secondo velo18 nel glorioso luogo santissimo celeste. Là Egli assolve al meraviglioso servizio che terminerà con l’estirpazione e con la distruzione totale dei peccati dei giusti, che non saranno mai più ricordati né dalla moltitudine dei redenti, né da Dio stesso.
Quando Cristo starà in piedi sul mare di vetro, ponendo corone scintillanti sul capo di chi ha percorso la Strada santificata dalle orme del Precursore anche se con lacrime versate e passi incerti, e che ora è vestito delle vesti imbiancate nel sangue dell’Agnello, «vedrà il frutto del travaglio della sua anima e ne sarà soddisfatto»19. Sarà allietato dai canti dei redenti20 e tutto il cielo intonerà assieme agli angeli che hanno operato sotto il loro Comandante per la salvezza delle persone: «a colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione, l’onore, la gloria e la forza nei secoli dei secoli. Amen!»21.
IL NOSTRO SOMMO SACERDOTE
Ebrei 7:25 | Può salvare appieno coloro che per mezzo suo si accostano a Dio, vivendo Egli sempre per intercedere per loro. |
Ebrei 4:15 | Simpatizza con le nostre debolezze. Tentato in ogni cosa come noi, non peccò. |
Ebrei 2:17-18 | Fedele e misericordioso: ha sofferto quando è stato tentato, ora aiuta chi è tentato. |
Nei tempi antichi i patriarchi erano i sacerdoti delle loro famiglie; il piano originale di Dio era che il figlio maggiore prendesse il posto del padre in qualità di sacerdote. Tuttavia, questo piano fu spesso ostacolato dai peccati del figlio maggiore. Le parole del Signore a Caino indicano che egli venne interdetto dalla sua posizione ereditaria a causa del suo peccato: «Se fai bene non sarai tu accettato? Ma se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu lo devi dominare»1. Il peccato ha impedito a Caino di avere “l’eccellenza”.
Sempre a causa del peccato, Ruben, il primogenito di Giacobbe, perse “l’eccellenza della dignità e l’eminenza della forza”, che erano suoi diritti ereditari2. Quando era solo un giovane, Giuseppe coltivò invece quei tratti caratteriali che gli avrebbero dato la prominenza sui suoi fratelli. È molto probabile che la tunica multicolore regalatagli dal padre3 sia stata interpretata dai suoi fratelli come segno della sua ascesa al sacerdozio.
Dio ha donato il Suo Primogenito per la redenzione del mondo: per questo nel piano di Dio il primogenito ereditava sempre privilegi speciali. Gli veniva data una doppia porzione del patrimonio di suo padre4, il sacerdozio e, nella discendenza d’Isacco, anche l’onore di essere il progenitore del Messia. Se il primogenito si rivelava indegno, la sua eredità veniva data ad altri, come nel caso di Ruben, in cui Giuda divenne il progenitore di Cristo, Giuseppe ricevette la parte doppia e Levi il sacerdozio5. A causa del peccato, i primogeniti erano spesso così indegni che quando il Signore portò Israele fuori dall’Egitto disse: «Ho preso i Leviti al posto di tutti i primogeniti dei figli d’Israele … i Leviti saranno miei»6. Ciò accadde perché la tribù di Levi rimase fedele a Dio in un momento di crisi e Dio li scelse per servire al Suo cospetto. Quando fu istituito il servizio del santuario, il sacerdozio fu dato ad Aaronne e ai suoi figli, mentre il resto della tribù di Levi doveva svolgere i lavori del santuario sotto la direzione dei sacerdoti. Aaronne fu designato per officiare come sommo sacerdote e i suoi figli come sacerdoti comuni. Il figlio maggiore avrebbe assunto la carica di sommo sacerdote alla morte di Aaronne.
La consacrazione all’ufficio sacerdotale fu una cerimonia davvero imponente. Aaronne fu vestito con abiti preparati per lui sotto direzione divina. Furono effettuati svariati sacrifici e un po’ del sangue del montone della consacrazione fu posto sul lobo dell’orecchio destro, sul pollice della mano destra e sul dito grande del piede destro sia di Aaronne che dei suoi figli, figurando che le loro orecchie, le loro mani e i loro piedi erano interamente consacrati al servizio di Dio. Il pane non lievitato, che denota “sincerità e verità”7, nonché la spalla destra del sacrificio della consacrazione, furono posti sulle mani di Aaronne e dei suoi figli. Così, i sacerdoti dovevano simboleggiare Colui di cui Isaia disse: «sulle sue spalle riposerà l’impero»8. Dovevano sostenere i pesi del popolo. L’olio dell’unzione e il sangue furono poi aspersi su Aaronne e sui suoi figli, figurando il sangue di Cristo e lo Spirito Santo – i soli a poterli qualificare appieno per svolgere l’ufficio sacro9.
Il sacerdozio fu tramandato ininterrottamente lungo la linea diretta della famiglia di Aaronne finché i peccati di Eli e dei suoi figli non resero necessario un cambiamento. Per un certo periodo, Samuele, un Efratita, ricoperse la carica di sacerdote principale in Israele10. Abiathar, discendente diretto di Eli, fu destituito dall’ufficio del sacerdozio in adempimento della profezia data a Eli11, sebbene Tsadok, che ricoprì la carica di sommo sacerdote al tempo di Davide e di Salomone, fosse ritenuto da molti un nipote di Eli. Quando gli israeliti si allontanarono dal Signore, il sacerdozio si corruppe, fino a quando, al tempo di Cristo esso era ormai comprato e venduto per denaro.
Dio aveva stabilito che il sommo sacerdote dovesse rappresentare Cristo in modo più simile di qualsiasi altro sacerdote. L’opera di ogni sacerdote era un simbolo dell’Opera di Cristo, ma i sacerdoti comuni svolgevano i loro compiti solamente nel cortile e nel primo compartimento del santuario, mentre il sommo sacerdote officiava non già in tali luoghi, ma entrava anche da solo nel luogo santissimo12. Comunque Aaronne a volte offriva anche degli olocausti sull’altare di bronzo nel cortile13.
Era impossibile per un uomo solo compiere l’intera opera del santuario, simboleggiante quella di Cristo; per questo motivo, c’era un gruppo di sacerdoti comuni che assisteva il sommo sacerdote. È regola universale che un funzionario superiore possa eseguire ogni incarico sotto di lui. Il sommo sacerdote offriva olocausti nel cortile e offerte per il peccato nel primo compartimento. Paolo parla del sommo sacerdote che offre le offerte per il peccato portando il sangue all’interno del santuario14, poiché nelle offerte per i peccati dei sacerdoti e dell’assemblea il sangue era portato all’interno del santuario15. Pertanto, si ritiene adeguato che il sommo sacerdote offrisse le offerte per i peccati in favore dei sacerdoti comuni o dell’intera assemblea16. Nella maggior parte delle offerte per il peccato la carne era mangiata nel luogo santo e il sangue non veniva portato dentro il santuario. Il sommo sacerdote poteva quindi eseguire un qualsiasi incarico nel primo compartimento del santuario svolto anche dagli altri sacerdoti, tuttavia, c’era un servizio quotidiano nel primo compartimento del santuario che nessuno, tranne il sommo sacerdote, poteva svolgere. Solo lui poteva infatti bruciare l’incenso sull’altare d’oro al cospetto dell’Eterno, nonché pulire e accendere le lampade sul candelabro d’oro. Ogni mattina e ogni sera, due volte al giorno per tutto l’anno, il sommo sacerdote officiava nel primo compartimento del santuario.
Il rito culmine di tutte le cerimonie annuali si svolgeva il decimo giorno del settimo mese, quando il sommo sacerdote entrava da solo nel luogo santissimo per fare l’espiazione dei peccati del popolo. Sul suo petto, in ognuna delle pietre del pettorale, erano incisi i nomi delle dodici tribù, figurando Cristo, nostro Sommo Sacerdote, mentre pensa a ciascuno noi individualmente e confessa i nostri nomi mentre essi vengono passati in rassegna davanti a Dio.
Tipo | Antitipo |
Esodo 28:1-2 – Chiamato da Dio | Ebrei 3:1-3 – Nominato da Dio |
Esodo 29:29 – Il sacerdozio passava senza interruzioni di padre in figlio | Ebrei 7:23-24 – Cristo vive per sempre |
Levitico 16:1-20 – Il sommo sacerdote faceva l’espiazione tipica al termine dell’anno cerimoniale | Ebrei 9:14, 26 – Cristo fa l’espiazione per il peccato sacrificando Se stesso |
Vi erano due ordini sacerdotali: quello di Melchisedek e quello levitico. L’ordine di Melchisedek precedette l’ordine levitico. Ai giorni di Abramo, Melchisedek era re di Salem nonché sacerdote del Dio Altissimo1. Nonostante si dica poco nella Bibbia sull’ordine sacerdotale di Melchisedek esso era superiore a quello levitico, poiché Cristo fu fatto Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek2.
L’ordine levitico si protrasse dal momento in cui Israele uscì dall’Egitto fino alla croce; da allora abbiamo il sacerdozio di Cristo, di cui tutti i sacerdoti terreni erano un simbolo. Essendo Cristo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, viviamo ora sotto l’ordine sacerdotale di Melchisedek. Molti sono i dettagli forniti in merito all’ordine levitico e dato che tutti i sacerdoti Leviti hanno servito come “figura e ombra delle cose celesti”, quando studiamo il sacerdozio levitico invero stiamo studiando l’opera sacerdotale del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Il sacerdozio levitico venne diviso in ventiquattro classi3. Ogni classe aveva il proprio capo o governatore del santuario4 e ciò continuò fino al tempo di Cristo. Quando il Salvatore salì al Cielo, condusse “una moltitudine di prigionieri”5; e quando a Giovanni fu mostrato in visione il primo compartimento del Santuario celeste con le sue sette lampade di fuoco che ardevano davanti al trono di Dio, egli vide ventiquattro anziani seduti su ventiquattro troni che adoravano l’Agnello, dicendo: «col tuo sangue ci hai comprati a Dio da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ci hai fatti re e sacerdoti per il nostro Dio, e regneremo sulla terra»6. In questo vediamo l’antitipo, la realizzazione del simbolo delle ventiquattro classi sacerdotali levitiche. I capi o anziani di ogni turno hanno dei seggi d’onore e sono re e sacerdoti secondo l’ordine di Melchisedek. Il resto della moltitudine che Cristo ha condotto in Cielo non viene menzionato, ma è ragionevole supporre che costituisca l’organico delle classi di cui quei ventiquattro anziani sono i capi.
Solo i discendenti di Aaronne potevano officiare come sacerdoti7: chi non poteva dimostrare la propria discendenza diretta da Aaronne, il primo sommo sacerdote, veniva cacciato dal sacerdozio8; allo stesso modo, il cristiano che non può dimostrare il suo legame diretto con Cristo, il Sommo Sacerdote celeste, non diventerà mai uno dei “sacerdoti regali”9.
Dio ha provveduto al sostentamento di tutti i diversi ordini sacerdotali con lo stesso metodo. «All’Eterno appartiene la terra e tutto ciò che è in essa, il mondo e i suoi abitanti»10. L’oro, l’argento e il bestiame che sta a migliaia su monti appartengono tutti a Lui11. L’uomo è posto come amministratore dell’eredità del Signore e il Signore richiede da lui come Sua porzione un decimo di tutto ciò che sta sulla terra. «Ogni decima della terra, sia dei prodotti del suolo che dei frutti degli alberi, appartiene all’Eterno; è cosa consacrata all’Eterno»12.
Della decima il Signore dice: «ai figli di Levi io do come eredità tutte le decime in Israele in cambio del servizio che svolgono, il servizio della tenda di convegno»13. L’individuo che egoisticamente impiega per se stesso tutte e dieci le porzioni delle proprie sostanze, non appartando neppure un decimo per il Signore, è colpevole di aver derubato il Signore. «Un uomo deruberà Dio? Eppure voi mi derubate e poi dite: “In che cosa ti abbiamo derubato?” Nelle decime e nelle offerte»14. Abramo diede fedelmente la decima a Melchisedek15; Giacobbe promise di dare la decima di ogni sua cosa se solo avesse ricevuto pane da mangiare e vesti per coprirsi16. Coloro che appartengono alla grande famiglia della fede e sono figli di Abramo faranno «le opere di Abramo»17. Devolveranno fedelmente la decima per il sostegno di coloro che, come i sacerdoti Leviti, dedicano la propria vita all’avanzamento del Regno di Cristo in terra. Come il sacerdote viveva «delle cose del tempio … così pure il Signore ha ordinato che coloro che annunciano l’evangelo, vivano dell’evangelo»17.
Tipo | Antitipo |
Ebrei 8:5 – I sacerdoti terreni officiavano come «figura e ombra delle cose celesti» | Ebrei 10:10 – «Siamo santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» |
1 Cronache 24:1-19, 31 – I sacerdoti erano suddivisi in ventiquattro classi o turni, con un uomo a capo di ogni classe | Apocalisse 4:4-5; 5:8-10 – Giovanni vide ventiquattro anziani nel primo compartimento del Santuario celeste |
Esdra 2:61-62 – Vi era un registro di tutti coloro che avevano diritto ad officiare come sacerdoti | Apocalisse 20:15 – Nessuno il cui nome non è scritto nel Libro della Vita sarà salvato |
Un’intera tribù d’Israele venne appartata per il servizio del santuario. Quando richiamiamo alla mente le ultime parole pronunciate a Levi da suo padre Giacobbe sul letto di morte, potremmo meravigliarci come sia stato possibile che i discendenti di Levi siano stati scelti per una tale opera sacra! Infatti, quando Giacobbe ricordò i peccati di Levi, pronunciò su suo figlio quasi una maledizione invece di una benedizione, concludendo con queste parole: «li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele»1.
Meraviglioso è l’amore del nostro Dio, che può trasformare una maledizione in una benedizione2! Solamente un Dio potente può far sì che i peccati scarlatti diventino bianchi come la neve3. Il temperamento impulsivo che, sotto il controllo di Satana, spinge un uomo a commettere i crimini più disparati, non è rimosso alla conversione. Quella stessa impetuosità, ora consacrata e posta sotto il controllo di Cristo, rende il convertito un valoroso guerriero per il Signore. Quando Saulo, l’implacabile persecutore, si fu convertito divenne Paolo, l’apostolo più eminente.
Il carattere intrepido che, sotto il controllo di Satana, aveva portato Levi a massacrare i Sichemiti passò poi sotto l’influsso della grazia di Dio e così permise ai suoi discendenti di prendere coraggiosamente posizione dalla parte del Signore quando la marmaglia israelita si votò all’idolatria4. Dio trasformò la maledizione in benedizione e affermò che i Leviti, avendo osservato la Sua legge e mantenuto la Sua alleanza, dovevano dunque «insegnare a Giacobbe i Suoi giudizi e a Israele la Sua legge»5.
Per estendere più ampiamente in tutto Israele il loro influsso positivo, il Signore, invece di dare loro una quota della terra promessa come loro eredità al pari delle altre tribù, indicò qual loro parte quarantotto città sparse tra tutte le tribù6. Furono davvero “divisi in Giacobbe e dispersi in Israele”, ma non per maledizione, bensì per benedizione. Il nostro Dio è «lo stesso ieri, oggi e in eterno»7. Quando pronuncia qualcosa di negativo contro una nazione o un individuo a causa della sua malvagità, se tale nazione o individuo si allontana dalla sua iniquità, Dio «si pente del male che aveva pensato di fare»: come nel caso di Levi, una benedizione verrà al posto di una maledizione8.
Il termine “Levita” fu applicato a tutti i sacerdoti, ma solo i discendenti di Aaronne dovevano ricoprire l’ufficio sacro. Il resto della tribù doveva svolgere il servizio del santuario sotto la direzione dei sacerdoti. Non era loro permesso di officiare all’altare dei sacrifici e degli olocausti, né di bruciare incenso o di compiere alcun compito sacerdotale all’interno del velo. I Leviti dovevano servire o assistere i sacerdoti, ma i sacerdoti dovevano officiare per il popolo davanti all’Eterno9.
I Leviti furono consacrati al servizio del santuario con l’imposizione delle mani da parte di tutta l’assemblea, quindi Aaronne li offrì «come offerta agitata davanti all’Eterno da parte dei figli d’Israele»10.
I Leviti furono scelti dal Signore al posto dei primogeniti di Israele11. Durante il viaggio nel deserto, si occuparono di trasportare tutto ciò che riguardava il tabernacolo; nonostante portassero tutti gli arredi sacri, non era loro permesso neppure di guardarli12.
Dopo che il tempio fu costruito, ai Leviti fu assegnato il compito di assistere i sacerdoti nel cerimoniale del santuario. Preparavano i pani della presentazione, guidavano spesso i canti, riscuotevano la decima e svolgevano una gran quantità di lavoro connesso al servizio del Signore13. Anche ai tempi di Davide i Leviti iniziavano a prestare servizio nel santuario all’età di venticinque anni. A cinquant’anni smettevano di «compiere questo lavoro». Non erano dimessi o pensionati, continuando ancora a supervisionare i lavori, ma non erano tenuti a svolgerne i compiti più ardui14.
L’opera dei Leviti era in gran parte confinata al cortile esterno, pertanto simboleggiava l’opera dell’attuale missionario e ministro del Vangelo.
Tipo | Antitipo |
Numeri 18:1-7 – I Leviti servivano agli ordini dei sacerdoti nel cortile del santuario terreno | Matteo 28:19-20 – I ministri di Cristo devono recarsi in tutto il mondo, cioè il cortile antitipico |
2 Cronache 35:3; 30:22 – I Leviti erano insegnanti in Israele | Matteo 28:19 – Cristo comandò ai Suoi discepoli di insegnare a tutte le nazioni |
Gli indumenti indossati dai sacerdoti ordinari erano di lino bianco, giusto emblema di Colui che è senza macchia e di cui il loro ministero era un tipo. La veste esterna era bianca, intessuta come pezzo unico; si estendeva fin quasi ai piedi. Era fermata sulla vita da una cintura di lino bianco, ricamata con motivi blu, viola e scarlatto. Un turbante o mitra di lino bianco copriva la testa. Gli indumenti del sacerdote comune erano completati dai calzoni di lino, sempre indossati da tutti i sacerdoti officianti. Queste vesti erano realizzate «per conferire onore e grazia»1.
Solo la famiglia di Aaronne poteva indossare le ricche vesti sacerdotali, ma vi sono vesti «di lino finissimo, puro e risplendente» messe da parte per ogni vincitore2. Anche in questa vita Cristo veste i Suoi fedeli con «le vesti della salvezza» e con «il manto della giustizia»3.
Le vesti bianche e pure erano indossate dal sommo sacerdote in occasioni ordinarie, ma quando egli entrava nel luogo santissimo per fare l’espiazione per il popolo era vestito di un abito ancor più splendido, che rappresentava in modo più appropriato il nostro Sommo Sacerdote mentre confessa i nomi della Sua gente alla sbarra del Giudice di tutta la terra. Il sommo sacerdote indossava sempre la lunga veste di lino bianco dei sacerdoti comuni, ma questa volta vi aggiungeva sopra un mantello violaceo a pezzo unico, splendidamente decorato sull’orlo inferiore con campanelli dorati e melograni blu, viola e oro. L’efod, un indumento senza maniche di lino fino bianco, splendidamente ricamato in oro, viola, porporino e scarlatto, era indossato sopra il mantello. L’efod era più corto degli altri indumenti ed era fissato lungo la vita da una cintura riccamente ricamata con gli stessi colori. Sulle spalline ricamate d’oro dell’efod c’erano due pietre d’onice, sulle quali erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele, sei nomi per ciascuna spalla, rappresentando così il Potente che porta le preoccupazioni e i pesi del Suo popolo sulle Sue spalle4.
Il manto violaceo con le sue campanelle dorate e l’efod splendidamente ricamato erano bellissimi, eppure il culmine della magnificenza dell’abito del sommo sacerdote era il pettorale indossato proprio vicino al suo cuore mentre officiava nel luogo santissimo davanti all’Eterno. Il pettorale era fatto della stessa fabbrica dell’efod. Era quadrato e misurava una spanna. In esso erano incastonate su fondo d’oro dodici pietre preziose, disposte in quattro file da tre. Su ogni pietra era inciso il nome di una delle dodici tribù d’Israele. Il tutto era incorniciato da un’orlatura tempestata di varie gemme. Le pietre presenti nel pettorale erano le medesime di quelle che costituiscono i fondamenti della Nuova Gerusalemme5. Il pettorale pendeva dalle spalline dell’efod ed era fissato alla vita da un cordoncino violaceo passante per anelli d’oro.
Nel pettorale erano incastonate anche due pietre brillanti, dette Urim e Thummim, una per ogni lato. Per mezzo di queste pietre il sommo sacerdote poteva consultare il proposito dell’Eterno. Quando venivano poste delle domande, se una luce circondava la pietra preziosa a destra, la risposta era affermativa; se un’ombra si poggiava sulla pietra a sinistra, la risposta era negativa. Il pettorale era sempre unito all’efod, ecco perché Davide chiese al sacerdote di portargli l’efod quando era indeciso su quale scelta intraprendere, volendo conoscere in questo modo la pensiero del Signore6.
C’era un altro indumento appartenente alle vesti del sommo sacerdote: il turbante o mitra7. Una piastra d’oro puro con l’iscrizione “SANTITÀ ALL’ETERNO” era fissata da un nastro violaceo alla parte anteriore dell’ordinario turbante bianco dei sacerdoti. I sacerdoti erano autorizzati a indossare le vesti sacerdotali solo quando officiavano all’interno del santuario o del cortile8.
Un toccante significato alberga nel simbolo del sommo sacerdote che indossava i nomi di tutto Israele sulle sue spalle e sul suo cuore mentre eseguiva l’opera che caratterizzava il giudizio, quando il caso di ognuno verrà esaminato davanti a Dio. Il pettorale era infatti chiamato “Pettorale del giudizio”9. Quei nomi incisi sulle pietre preziose erano un tipo di nomi dei vincenti che Cristo confesserà davanti al Padre e agli angeli. La pietra è un oggetto durevole, ma ancor più durevole è il Libro della Vita, dove i nomi che Cristo ha confessato sono scritti perché vi rimangano per sempre10.
Tipo | Antitipo |
Esodo 28:32 – Indumento a pezzo unico | Giovanni 19:23 – l’indumento terreno di Cristo era intessuto in un unico pezzo |
Esodo 28:15-21 – Il pettorale del giudizio conteneva i nomi delle dodici tribù. Era indossato sul cuore del sommo sacerdote mentre questi eseguiva l’opera caratterizzante quella del giudizio | Apocalisse 3:5 – Mano a mano che ogni singolo nome viene passato in rassegna davanti a Dio nel giudizio, Cristo “confessa” i nomi dei vincitori: i loro nomi rimarranno nel Libro della Vita |
“Benedici, o anima mia, l’Eterno e tutto quello che è in me benedica il Suo santo Nome.”
Salmo 103:1
SEZIONE 4 – LE FESTE ANNUALI DI PRIMAVERA
L’AGNELLO PASQUALE
John Bakewell
Agnello Pasquale, da Dio designato,
tutto il nostro peccato su Te fu posto:
da Onnipotente Amor fosti consacrato
e della redenzione hai pagato il costo.
Il Tuo intero popolo hai perdonato
in virtù del Tuo sangue amato;
ora sono aperti i portoni del Cielo
e pace è fatta tra Dio e l’uman gelo.
Lode a Te, o Gesù, nel Tuo trono di gloria!
Su di esso sei stabilito eternamente
e là ogni schiera celeste ben Ti adora.
Assiso accanto al Padre serenamente
intercede per tutti noi, i peccatori.
Là Egli ci sta preparando un luogo,
il nostro sempiterno Mediatore,
fino a quando nella gloria appariremo.
Lode, onore, potenza e benedizione
Tu sei meritevole di accettare
e i migliori elogi senza interruzione
proprio a noi spetterà di intonare!
Voi angeli splendenti, vogliate noi aiutare,
portateci la più dolce e nobile disposizione:
aiutateci a cantare i meriti del nostro Salvatore,
aiutateci a cantare dell’Emanuele il grande onore.
La Pasqua era la festa che apriva il ciclo annuale delle cerimonie religiose. Era sia di natura commemorativa che simbolica: commemorativa della liberazione dei figli d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto e simbolica della liberazione dalla schiavitù del peccato di ogni individuo che vanti Cristo come proprio Agnello pasquale, accettandone il sangue come copertura dei peccati commessi1.
La Pasqua era celebrata all’inizio della primavera, quando i boccioli si schiudevano e i fiori annunciavano la fine dell’inverno. All’avvicinarsi del momento della Pasqua ogni strada che conduceva a Gerusalemme si affollava di ebrei devoti che si dirigevano verso la città santa, giacché ogni maschio dei figli d’Israele doveva comparire davanti all’Eterno nei giorni di questa festa2. Ogni categoria di gente confluiva in gruppi di pellegrini, il cui numero aumentava costantemente man mano che ci si avvicinava alla città. Pastori, contadini, sacerdoti e Leviti, uomini d’ogni ceto si univano alle folle che entravano a Gerusalemme da tutte le direzioni. Le case della città venivano aperte per ospitarli e molte tende erette sui tetti e lungo le strade per fare da riparo a chi partecipava alla festa e per rendere disponibili spazi dove famiglie e gruppi potevano riunirsi per mangiare la Pasqua.
Prima della liberazione dei figli d’Israele dall’Egitto, l’anno nuovo iniziava in autunno3, ma quando il Signore affrancò gli israeliti dalla schiavitù egiziana nel mese di Abib (o Nisan), dichiarò: «Questo mese sarà per voi il mese più importante, sarà per voi il primo dei mesi dell’anno»4. Il mese di Abib corrisponde all’ultima decade di Marzo e alle prime di Aprile.
Il decimo giorno del mese di Abib l’agnello pasquale veniva scelto e tenuto separato dal resto del gregge fino al quattordicesimo giorno del mese, quando veniva ucciso. Anche l’ora per l’uccisione dell’agnello era stabilita: «all’imbrunire»5, cioè intorno all’ora nona del giorno; secondo il nostro computo del tempo, alle tre del pomeriggio.
L’agnello veniva cotto interamente, senza che gli venisse rotto alcun osso. Se una famiglia era troppo piccola per permettersi un agnello poteva unirsi ad altre per celebrare la festa. Pane non lievitato ed erbe amare accompagnavano l’agnello. Il pane non lievitato commemorava la rapida fuga dall’Egitto, quando i figli d’Israele dovettero portare via l’impasto prima che fosse lievitato: le loro madie vennero legate alle vesti sulle spalle6. Il pane non lievitato simboleggiava pure la condizione di chi è protetto dal sangue di Cristo, l’Agnello antitipico. A tal proposito, il Signore afferma: «Celebriamo perciò la festa non con vecchio lievito, né con lievito di malvagità e di malizia, ma con azzimi di sincerità e di verità»7. Non solo non veniva impiegato alcun pane lievitato durante la festa, ma non era pure permesso di avere alcun tipo di lievito in casa per tutta la settimana successiva al giorno della Pasqua. Ecco un bellissimo emblema del cristiano che afferma di essere custodito dal sangue di Cristo: non solo dovrebbe impedire alla sua bocca di pronunciare parole o discorsi negativi, ma deve pure sgombrare il suo cuore dal “lievito di malvagità e malizia”.
Le erbe amare erano invece un memoriale della crudele schiavitù in Egitto. L’agnello doveva essere mangiato nella notte del quattordicesimo giorno del mese e quel che ne rimaneva al mattino doveva essere bruciato col fuoco.
Quando l’agnello veniva ucciso, un rametto d’issopo era intinto nel suo sangue e con esso si aspergevano gli stipiti laterali della porta della casa dove veniva mangiato l’agnello e il suo architrave. Ciò commemorava la meravigliosa liberazione del primogenito Israele quando tutti i primogeniti dell’Egitto furono uccisi. Il Signore aveva detto: «E il sangue sarà un segno per voi sulle case dove siete; quando io vedrò il sangue passerò oltre e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d’Egitto»8.
Nonostante l’aspetto commemorato del sangue sulla porta fosse meraviglioso, l’evento da esso simboleggiato era ancor più meraviglioso. Proprio come l’angelo distruttore attraversò l’Egitto e pose la gelida mano della morte sulla fronte di ogni primogenito non protetto dal sangue, così la morte seconda, dalla quale non ci sarà più alcuna risurrezione, cadrà su chiunque non sia stato purificato dal peccato per mezzo del sangue di Cristo9. Non vi fu riguardo alcuno per le persone: tutti i primogeniti furono uccisi, dall’erede al trono d’Egitto fino al primogenito del prigioniero che giaceva in carcere. Incarichi elevati, ricchezza o fama terrena non proteggeranno dall’angelo distruttore dell’Eterno. Una sola cosa salverà tanto il ricco quanto il povero: il prezioso sangue di Cristo. «Il sangue di Gesù Cristo, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato … Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e da purificarci da ogni iniquità»10.
Meditare sul lato commemorativo della festa della Pasqua rafforza la nostra fede. Ricordare come il Signore ha lavorato per il Suo popolo afflitto, come ha ascoltato le loro grida e ha fatto miracoli per la loro liberazione, porta benedizione all’animo; tuttavia, la salvezza è riservata anche a colui che medita sulla parte simbolica della festa pasquale, richiedendo le benedizioni ivi prefigurate dal tipo e dal simbolo. Ogni agnello pasquale, da quello ucciso nella notte della liberazione dall’Egitto fino al tempo di Cristo, è stato un’immagine del Salvatore in modo speciale. «La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata per noi»11.
Proprio come per secoli l’agnello pasquale fu separato dal gregge pochi giorni prima di essere ucciso, qual agnello segnato per la morte, così pochi giorni prima che Cristo fosse crocifisso, il Sinedrio lo aveva già condannato a morte. Da quel momento in poi, quando i capi Giudei lo guardavano, sapevano che la Sua morte era stata già determinata. Al tempo in cui l’agnello pasquale era scelto e separato, «Gesù non si aggirava più pubblicamente tra i Giudei»12. Ciò accadde solo pochi giorni prima che Gesù fosse sequestrato dalla turba crudele e condannato da falsi testimoni.
La mattina dopo quella terribile notte di tortura e di agonia, il Salvatore fu portato nella sala del giudizio di Pilato. Per tutta la notte gli ebrei avevano seguito Cristo mentre compariva alla presenza del loro sommo sacerdote, ma ora, quando fu portato nell’aula di giustizia romana, gli ebrei «non entrarono nel pretorio, per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua»13. In accordo alle loro leggi cerimoniali sulla contaminazione essi non sarebbero stati autorizzati a mangiare la Pasqua se fossero entrati in tale luogo pagano. Ciò avvenne la mattina del giorno in cui il Salvatore fu crocifisso: era il giorno di preparazione della Pasqua ebraica, il giorno in cui “all’imbrunire” l’agnello doveva essere ucciso o, in altre parole, il quattordicesimo giorno del mese Abib (Nisan), che nell’anno in cui il Salvatore fu crocifisso cadeva di venerdì, perché il giorno successivo era il giorno di Sabato, secondo il comandamento, il settimo giorno della settimana14.
Non fu un caso che il Salvatore sia stato crocifisso di venerdì, sesto giorno della settimana. Per secoli Dio aveva ordinato che il giorno successivo alla Pasqua, il quindicesimo giorno del mese Abib, venisse rispettato come sabato cerimoniale15, caratterizzando così il fatto che Cristo, la vera Pasqua, sarebbe stato offerto il giorno prima del giorno di Sabato. L’agnello pasquale veniva ucciso intorno all’ora nona del giorno, all’imbrunire. Il grande Agnello antitipico, sospeso tra Cielo e Terra come offerta per l’uomo peccaminoso, gridò verso l’ora nona: «È compiuto», dando la sua Vita come offerta per il peccato16. In quell’ora i sacerdoti si accingevano a uccidere l’agnello nel tempio, ma furono fermati in corso d’opera. La natura intera aveva risposto al grido di agonia del Figlio di Dio. La terra vacillava avanti e indietro e mani invisibili squarciarono il velo interno del tempio dall’alto verso il basso17, mostrando in modo inequivocabile che il tipo aveva incontrato l’Antitipo. L’ombra si era congiunta a Colui che la proiettava. L’uomo non si sarebbe più avvicinato a Dio con offerte animali, ma ora poteva accostarsi con piena fiducia al Trono della grazia18 e presentare le sue richieste nel prezioso Nome di Cristo, “la nostra Pasqua”. L’opera simboleggiata nella festa della Pasqua si estende attraverso i secoli e non avrà pienamente incontrato il suo Antitipo fino a quando i figli di Dio non saranno liberati per sempre dal potere del Nemico di ogni giustizia.
Fu a mezzanotte che l’angelo distruttore passò in tutto l’Egitto e manifestò il suo potere nel liberare il popolo di Dio dalla schiavitù19; allo stesso modo, a mezzanotte Dio manifesterà il Suo potere per la liberazione finale del Suo popolo. Il profeta, gettando il suo sguardo lungo i secoli a venire, affermò: «in un attimo essi muoiono a mezzanotte; la gente è scossa e scompare, i potenti son portati via senza mano d’uomo»20.
Coloro che partecipavano alla Pasqua non dovevano farne avanzare alcunché fino al mattino, che doveva invece portare una nuova esperienza di libertà dalla schiavitù. L’anima che accetta Cristo come sua Pasqua e partecipa del Suo Corpo mediante la fede, entra in una nuova esperienza di libertà dalla condanna della vecchia vita. Quando Dio manifesterà il Suo potere a mezzanotte per la liberazione finale del Suo popolo, la mattina non lascerà più nessun essere umano in stato di schiavitù. Le mura della prigione saranno fatte a pezzi e il popolo di Dio, tenuto in schiavitù per la sua fede, verrà liberato e non avvertirà mai più il potere oppressivo del nemico.
La distruzione del Faraone e di tutto il suo esercito nel Mar Rosso, nonché il canto di liberazione intonato dagli israeliti sull’altra sponda simboleggiavano la liberazione finale del popolo di Dio da questa terra21. I giusti saranno presi e sollevati per incontrare il Signore nell’aria, ma i malvagi, al pari dell’esercito del Faraone, saranno lasciati morti sulla terra, né raccolti e né sepolti22.
Nessun estraneo poteva partecipare alla festa pasquale, ma nel vecchio ordinamento levitico vi erano delle disposizioni per cui uno straniero, rispettando certi riti formali, poteva diventare un israelita e quindi partecipare alla Pasqua23. Il peccato impedisce all’umanità di condividere le benedizioni promesse ai figli di Dio, ma c’è un rimedio per le iniquità: «…anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana»24. «Se pure qualcuno ha peccato, abbiamo un Avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il Giusto»25.
I figli d’Israele erano circondati da nazioni pagane, i cui guerrieri, quando gli israeliti salivano a Gerusalemme per partecipare alle feste annuali, avrebbero potuto razziare le loro greggi e la loro terra; ma esse erano protette in modo particolare da Dio. Non solo in occasione della Pasqua, ma anche tre volte all’anno tutti gli uomini d’Israele erano tenuti a partecipare alle feste a Gerusalemme. Essi vi andavano confidando nella promessa: «poiché io scaccerò nazioni davanti a te e allargherò i tuoi confini, e nessuno desidererà il tuo paese, quando salirai tre volte all’anno per comparire davanti all’Eterno, il tuo Dio»26. Noi abbiamo lo stesso Dio anche oggi e per l’uomo o la donna che cercherà «prima il regno di Dio e la sua giustizia», Dio “allargherà i suoi confini” e proteggerà anche i suoi interessi temporali27.
Il popolo di Dio non si riunisce più a Gerusalemme per mangiare la Pasqua, ma i fedeli seguaci del Signore in tutte le nazioni della terra partecipano al memoriale del Suo corpo spezzato e del Suo sangue versato. Ad ogni comunità vengono rivolte queste parole: «poiché ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga»28.
Sussisteva una differenza tra offerte annuali (feste) e offerte ordinarie. L’offerta per il peccato, quella per la trasgressione, il sacrificio di ringraziamento o una qualsiasi delle offerte abituali potevano essere celebrati in qualsiasi momento dell’anno, ogni volta che la situazione e il bisogno del popolo lo richiedevano; tuttavia, così non era per le feste annuali. Tutte le feste annuali erano sia profetiche che simboliche. Sebbene l’agnello pasquale, ucciso ogni anno, era un’ombra di Cristo, “la nostra Pasqua”, che è stato sacrificato per noi, il fatto che l’agnello potesse essere ucciso solo il quattordicesimo giorno del mese Abib, era una profezia secondo cui l’antitipico Agnello pasquale avrebbe ceduto la sua Vita per i peccati del mondo proprio nel quattordicesimo giorno del mese Abib.
Una prova inconfutabile del fatto che Gesù è il Messia è che Egli morì in croce esattamente il giorno e l’ora indicata da Dio per l’uccisione dell’agnello pasquale e che Egli resuscitò dai morti nello stesso giorno del mese in cui per secoli furono agitate le primizie del raccolto. Dio stesso ha certamente fissato le date della celebrazione di ciascuna delle offerte annuali. Il giorno dell’anno in cui ogni offerta annuale doveva essere celebrata era dunque una profezia diretta del tempo in cui il tipo avrebbe incontrato il suo antitipo.
Tipo | Antitipo |
«La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata per noi». 1 Corinzi 5:7 | |
Esodo 12:3-5 – Un agnello veniva appartato alcuni giorni prima della Pasqua per essere ucciso | Giovanni 11:47-53 – Cristo fu condannato a morte dal Sinedrio alcuni giorni prima della crocifissione |
Esodo 12:6 – messo da parte, separato dal gregge ed ucciso il quattordicesimo giorno di Abib (o Nisan), all’imbrunire (ora nona) | Giovanni 11:53, 54 – «Perciò Gesù non si aggirava più pubblicamente tra i Giudei». Giovanni 18:28; 19:14; 19:31; Luca 23:54-56 – Gesù fu crocifisso nel giorno in cui i Giudei si preparavano a mangiare la Pasqua, il 14° di Abib |
Marco 15:34-37 – Gesù morì all’ora nona | |
Esodo 12:46 – l’agnello non aveva alcun osso rotto | Giovanni 19:33-36 – nessun osso gli fu spezzato |
Esodo 12:7 – il sangue dell’Agnello era posto sugli stipiti e sull’architrave delle porte di casa | 1 Giovanni 1:7 – «Il sangue di Gesù Cristo, Suo Figlio, ci purifica da ogni peccato» |
Esodo 12:8 – l’agnello era accompagnato da pani azzimi ed erbe amare | 1 Corinzi 5:7-8 – Il pane azzimo rappresenta la liberazione dal “lievito di malvagità e di malizia” |
Esodo 12:19 – nessun lievito era permesso in tutte le case per una settimana dopo la Pasqua | 1 Pietro 3:10; 1 Tessalonicesi 5:23 – il cristiano guardi non solo le labbra ma anche il cuore dalla falsità: spirito, mente e corpo siano irreprensibili |
Esodo 12:7, 12, 29, 42 – liberazione a mezzanotte | Giobbe 34:20 – a mezzanotte Dio libererà i salvati |
Esodo 12:22-23 – Solo il sangue sulle porte salvava | Atti 4:12 – nessun nome salva all’infuori di Gesù |
Esodo 12:10, 46 – niente dell’agnello doveva essere lasciato al mattino; ciò che restava veniva bruciato | Malachia 4:1-3; Ezechiele 28:12-19 – dopo la liberazione dei giusti solo cenere resterà degli empi |
Esodo 12:43 – nessuno straniero mangerà la Pasqua | Apocalisse 21:27 – nessun peccatore avrà il premio |
Esodo 12:48 – sussisteva una disposizione per cui uno straniero poteva mangiare la Pasqua se diventava parte del popolo d’Israele | Efesini 2:13; Galati 3:29 – «Ma ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete stati avvicinati per mezzo del sangue di Cristo» |
La festa dei pani azzimi iniziava il quindicesimo giorno del mese di Abib (o Nisan) e si protraeva per sette giorni1. Il pane azzimo accompagnava l’agnello pasquale e così alla Pasqua seguiva la festa degli Azzimi, anche se a volte tale termine comprendeva pure il giorno stesso della Pasqua. Venivano fatte numerose offerte in ciascuno dei sette giorni, tra cui quella di sette agnelli. Il primo e l’ultimo giorno della settimana festiva erano osservati come sabati cerimoniali, ma il primo era considerato il più importante, venendo citato come “il sabato”2.
“L’intera economia ebraica è una profezia in forma compatta del Vangelo” ed ogni compito ordinato da Dio all’interno di tale sistema era un riflesso degli uffici del nostro Sommo Sacerdote nel Santuario celeste o degli incarichi affidati alla comunità terrena per la quale Egli sta officiando. Pertanto, il fatto che per secoli il giorno successivo alla Pasqua venisse rispettato come sabato nasconde un significato particolare.
Nel capitolo precedente abbiamo mostrato che non fu per caso che nell’anno in cui il Salvatore venne crocifisso la Pasqua cadeva di venerdì, sesto giorno della settimana. Né fu per caso che il sabato cerimoniale, il quindicesimo giorno di Abib, coincidesse con il settimo giorno, il Sabato dell’Eterno. Nuovamente il simbolo (tipo) incontrava la sua realizzazione (antitipo). Il discepolo amato, Giovanni, afferma: «quel sabato era un giorno di particolare importanza»3, termine impiegato ogni volta che il sabato annuale cerimoniale coincideva con il Sabato settimanale del Signore.
Quattromila anni indietro, durante il primo sesto giorno della settimana, Dio e Cristo completarono l’opera della creazione. Dio dichiarò l’opera conclusa come “molto buona” e «si riposò nel settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creato e fatto»4. Circa venticinque secoli più tardi, Dio, nella tremenda magnificenza nel Sinai, ordinò al Suo popolo: «ricordati del giorno di Sabato per santificarlo»5, perché in quel giorno, il settimo giorno, Egli si riposò dall’opera della creazione.
Portare all’esistenza questo mondo con la Parola, rivestendolo di verde e di bellezza, fornendolo di ogni vita animale e popolandolo di esseri umani fatti a immagine di Dio fu un’opera poderosa, ma ben più grande è l’opera di prendere questa Terra macchiata dal peccato con i suoi abitanti sprofondati nell’iniquità e ricrearli, portandoli invero a uno stadio di perfezione e di completezza più elevato di quello di cui essi godevano in principio quando vennero all’esistenza dalla mano del Creatore. Questa è l’opera intrapresa dal Figlio di Dio e al momento in cui Egli gridò sul Calvario: “È compiuto” parlò al Padre, annunciando il fatto che aveva ottemperato ai requisiti della Legge, vivendo una vita senza peccato. Cristo aveva versato il Suo sangue come riscatto per il mondo: da quel momento in poi era aperta la Via lungo la quale ogni figlio e ogni figlia di Adamo potevano essere salvati se avessero accettato il perdono offerto loro.
Il sole al tramonto annunciò al mondo l’avvicinarsi del santo Sabato del Signore e contemporaneamente dalla croce sul Calvario il Figlio di Dio proclamò compiuta l’opera della redenzione. Quell’opera avrebbe coinvolto l’intera creazione e, anche se gli uomini malvagi non compresero il significato di quelle parole mistiche – “È compiuto” – tutta la natura rispose e, per così dire, esultò di gioia al punto che anche le ferme rocce furono scosse. Dio progettò che questo stupendo evento dovesse essere riconosciuto dall’umanità: poiché i viventi sulla Terra e persino gli astanti alla scena erano del tutto ignari del suo significato, i santi addormentati furono risvegliati dalle loro tombe per proclamare la lieta notizia6.
L’opera di redenzione fu completata il sesto giorno: come Dio si riposò dopo l’opera della creazione, così anche Gesù si riposò nella tomba di Giuseppe durante le sacre ore di quel santo Sabato. Anche i Suoi seguaci riposavano, perché Egli aveva sempre insegnato loro ad obbedire alla santa Legge di Suo Padre. Aveva proibito a chiunque di pensare che anche un solo iota o un apice della Legge di Dio potesse essere cambiato7. Per quattromila anni il Sabato era stato osservato come memoriale della creazione e dopo la morte in croce del Salvatore fu doppiamente benedetto, divenendo un memoriale sia della creazione che della redenzione.
Simile a un vasto ponte, il Sabato connette tutte le epoche del tempo. Il primo pilone a sostegno di questa grande istituzione fu piantato nell’Eden, quando, secondo il resoconto dato in Genesi 2:2-3, Dio e l’uomo non ancora caduto si riposarono durante le sacre ore del Sabato. Il secondo pilone del ponte fu posto tra i tuoni del Sinai, quando Dio, nel proclamare il quarto comandamento come scritto in Esodo 20:8-11, affermò il motivo per cui l’uomo deve santificare il Sabato, poiché Dio si riposò in esso – il settimo giorno – dall’opera della creazione. Il terzo pilone fu consacrato dal sangue nel Calvario. Mentre il Figlio del Dio Onnipotente si riposava nella tomba dall’opera della redenzione, in Luca 23:54-56 è detto che i seguaci di Gesù «durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento». Il quarto pilone di questo meraviglioso ponte verrà innalzato sulla nuova Terra. In Isaia 63:22-23 ci viene detto che, dopo che l’ultima traccia della maledizione del peccato sarà rimossa dalla Terra, «…di Sabato in Sabato ogni carne verrà a prostrarsi davanti a Me, dice l’Eterno». Finché sussisteranno i nuovi Cieli e la nuova Terra, cioè per sempre, i redenti del Signore ameranno celebrare il Sabato qual memoriale dell’opera compiuta da Cristo nel redimere questo mondo caduto, come pure nel crearlo.
Il secondo giorno della festa degli Azzimi veniva eseguita l’offerta delle primizie. Si trattava di una cerimonia molto importante che verrà trattata separatamente nel prossimo capitolo. Durante i sette giorni successivi alla Pasqua, il popolo si nutriva di pane non lievitato. Il sette, numero che denota completezza, era un simbolo appropriato della vita che dovrebbe essere vissuta da chi si aggrappa a Cristo come sua Pasqua nella santa certezza che i suoi peccati sono stati cancellati dal sangue del Salvatore. Il lievito è un simbolo di malizia e falsità, mentre il pane azzimo rappresenta sincerità e verità. Colui i cui peccati passati sono stati coperti8 e che realizza il significato di essere sollevato dalla condanna della sua vecchia vita, entra in una nuova vita e non dovrebbe tornare alla sua vita peccaminosa, ma vivere in tutta “sincerità e verità”. Tutto ciò veniva rappresentato attraverso i sette giorni della festa dei Pani Azzimi, che seguiva alla Pasqua.
Tipo | Antitipo |
Levitico 23:6-7 – Il giorno seguente alla Pasqua, il quindicesimo di Abib, era un sabato cerimoniale | Luca 23:54-56; Giovanni 19:31 – Il quindicesimo giorno di Abib dell’anno in cui il Salvatore fu crocifisso era pure il settimo giorno della settimana, cioè il Sabato dell’Eterno |
Deuteronomio 16:4 – «Non si vedrà lievito presso di te, entro tutti i tuoi confini, per sette giorni…» | 1 Corinzi 5:7 – «Togliete via dunque il vecchio lievito affinché siate una nuova pasta, come ben siete senza lievito. Infatti, la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata per noi» |
Deuteronomio 16:3 – «Per sette giorni mangerai pane azzimo, pane di afflizione (poiché uscisti in fretta dal paese d’Egitto), affinché ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d’Egitto tutti i giorni della tua vita» | 1 Corinzi 5:8 – «Celebriamo perciò la festa non con vecchio lievito, né con lievito di malvagità e di malizia, ma con azzimi di sincerità e di verità» |
Quando i campi ondeggianti di grano dorato proclamavano che era giunto il momento del raccolto, nel tempio veniva realizzata la cerimonia dell’offerta delle primizie al Signore.
Mentre i figli d’Israele viaggiavano verso Gerusalemme per la Pasqua potevano ammirare in ogni direzione i gialli campi di orzo e le pesanti spighe di grano maturo incurvarsi alla brezza, ma neppure una falce poteva mietere il grano o un chicco essere mangiato fino a quando le primizie del raccolto non fossero state presentate davanti all’Eterno.
L’offerta delle primizie si compiva il terzo giorno dalla festa pasquale. Il quattordicesimo giorno di Abib (o Nisan) la Pasqua veniva mangiata, il quindicesimo giorno era il sabato cerimoniale e il sedicesimo giorno, o come la Bibbia dice, «il giorno dopo il sabato», le primizie venivano agitate davanti al Signore1.
Era una cerimonia bellissima. Il sacerdote avvolto nelle sue vesti sacre entrava nel tempio con una manciata di spighe gialle di grano maturo. Il bagliore dell’oro lustrato nelle pareti e negli arredi rifulgeva sulle spighe dorate. Il sacerdote si fermava presso l’altare d’oro e agitava il grano davanti all’Eterno. Quelle prime spighe erano un pegno dell’abbondante raccolto a venire: agitarle significava ringraziare e lodare il Signore della messe.
Agitare le primizie era la principale cerimonia della giornata, ma essa era accompagnata pure da un’offerta di un agnello come olocausto. Le primizie non venivano mai bruciate nel fuoco, perché erano un simbolo dei resuscitati rivestiti dall’immortalità, mai più soggetti a morte o a decadenza.
Per secoli Dio aveva incontrato il Suo popolo nel tempio e ne aveva accettato le offerte di lode e di ringraziamento, ma giunse un momento in cui tutto questo cambiò. Quando Cristo morì sul Calvario e il velo fu squarciato, il servizio del tempio cessò di avere valore. Gli ebrei sacrificarono i loro agnelli pasquali come tutti gli anni precedenti, ma la cerimonia fu solo una farsa, dato che in quell’anno, il quattordicesimo giorno del mese di Abib, Cristo, la nostra Pasqua, venne immolato per noi. Il giorno successivo alla Pasqua, i Giudei rispettarono la vuota forma del sabato cerimoniale, ma fu solo il riposo sperimentato da Gesù e dai Suoi seguaci ad essere accettato da Dio. Il sedicesimo giorno del mese e dell’anno in cui il Salvatore morì gli ebrei compirono la forma vuota dell’offerta delle spighe di grano nel tempio che Dio aveva abbandonato, mentre Cristo, l’Antitipo, si risvegliava dai morti divenendo «la primizia di coloro che dormono»2. Il tipo aveva incontrato l’antitipo.
Ogni campo di grano maturo raccolto nel granaio non è che un promemoria del grande raccolto finale, quando il Signore della messe, con la Sua moltitudine di angeli mietitori, verrà a mietere il raccolto spirituale del mondo. Proprio come la prima manciata di grano era un pegno del raccolto in arrivo, così la risurrezione di Cristo fu un pegno della risurrezione dei giusti, «infatti se crediamo che Gesù è morto ed è risuscitato, crediamo pure che Dio condurrà con Lui, per mezzo di Gesù, quelli che si sono addormentati»3.
Il sacerdote non entrava nel tempio con una sola spiga di grano, ma ne agitava una manciata davanti al Signore; allo stesso modo, Gesù non uscì solo dalla tomba, poiché «i sepolcri si aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono e, usciti dai sepolcri dopo la risurrezione di Gesù, entrarono nella santa città e apparvero a molti»4. Mentre gli ebrei si accingevano a svolgere l’ormai vacuo rito delle primizie nel tempio e i soldati romani raccontavano al popolo la storia che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù, questi santi risorti camminarono lungo le strade della città, proclamando che Cristo era davvero resuscitato5.
È triste notare che anche i discepoli, che amavano il loro Signore, erano così accecati da non riconoscere il fatto che era giunto il momento della comparsa del grande Antitipo del rito che avevano celebrato tutti gli anni della loro vita: quando ascoltarono l’annuncio della Sua risurrezione, sembrò loro un racconto assurdo e non vi credettero6. Ma a Dio non mancano mai agenti. Quando i viventi sono lenti a capire, Egli risveglia i santi addormentati per eseguire l’opera designata. Nel tipo il grano veniva agitato nel tempio: per adempiere l’antitipo, Cristo dovette presentare Se stesso e il gruppo dei risuscitati con Lui davanti a Dio nel primo compartimento del Santuario celeste.
La mattina presto, nel giorno della risurrezione, quando Gesù apparve a Maria, ella si prostrò ai Suoi piedi per adorarlo, ma «Gesù le disse: “non toccarmi, perché non sono ancora salito al Padre mio; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro che io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”»7. Con queste parole Gesù informò i Suoi seguaci del grande evento che avrebbe avuto luogo in Cielo, sperando che sulla terra ci potesse essere un accordo in risposta alla meravigliosa gioia divina; ma, proprio come avevano dormito la notte dell’agonia di Cristo nel giardino del Getsemani, non riuscendo a simpatizzare con Lui8, così anche in quel momento, accecati dall’incredulità, i discepoli mancarono di partecipare all’estasi del grande trionfo del Salvatore. Più tardi, durante lo stesso giorno, Gesù apparve loro e permise loro di stringergli i piedi e di adorarlo9, mostrando che nel frattempo era già salito al Padre.
Paolo ci dice che quando Cristo salì in Alto, «condusse una folla di prigionieri»10. Parlando di loro in Romani 8:29-30, egli racconta come venne scelto questo gruppo di santi risuscitati che uscirono dai loro sepolcri con Cristo. Essi furono «prescelti», quindi chiamati, «e quelli che ha chiamati Egli li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati». Questo fu fatto affinché Cristo potesse essere «il primogenito fra molti fratelli». Questo gruppo era composto da individui scelti da ogni epoca, da Adamo fino a Cristo. Non erano più soggetti alla morte, ma ascesero con Cristo come trofei della Sua Potenza capace di risvegliare tutti coloro che dormono nelle loro tombe. La manciata di grano nel servizio tipico era un pegno del raccolto venturo, così questi santi furono un pegno dell’immensa moltitudine che Cristo risveglierà dalla polvere della terra quando verrà la seconda volta come Re dei re e Signore dei signori11.
Ben poco immaginavano gli abitanti della terra della meravigliosa offerta antitipica delle primizie celebrata nel Tempio celeste mentre gli ebrei officiavano le vuote forme nel tempio terreste. Quella sì che fu una meravigliosa assemblea nelle corti celesti. Tutti gli eserciti celesti e i rappresentanti dei mondi non caduti si riunirono per salutare il potente Conquistatore mentre tornava dalla più terribile guerra mai combattuta e dalla più grande vittoria mai ottenuta. Le battaglie terrene combattute semplicemente per il predominio di una piccola parte del pianeta e per un breve periodo di anni sono niente in confronto alla guerra che infuriava tra Cristo e Satana qui, su questa Terra. Cristo tornò in Cielo portando le cicatrici di quella terribile lotta nei segni dei chiodi sulle Sue mani e sui Suoi piedi, nonché nella ferita al costato12.
Parole umane non possono descrivere la scena: l’esercito celeste, come un sol uomo, cade prostrato ai Suoi piedi in adorazione, ma Cristo fa loro cenno di fermarsi e li invita ad aspettare. Gesù entra in Cielo in qualità di “Primogenito fra molti fratelli” e non riceverà l’adorazione degli angeli finché il Padre non avrà accettato le primizie del raccolto del mondo per il cui riscatto è morto. Egli supplica: «Padre, io voglio che dove sono io siano con me anche coloro che tu mi hai dato». Non supplica invano. Il grande Antitipo del servizio celebrato per secoli è pienamente soddisfatto. Il Padre accetta le primizie come pegno del fatto che l’intera folla dei redenti sarà accolta da Lui. Poi si ode il decreto: «Tutti gli angeli di Dio lo adorino!».
Ci meravigliamo di come sia stato possibile che Cristo abbia lasciato le glorie del Cielo per tornare sulla Terra, dove aveva incontrato solo ignominia e discredito. Ma meraviglioso è il potere dell’Amore! I suoi seguaci addolorati sulla Terra erano così cari al Suo cuore che persino l’adorazione di tutto il Cielo non poteva tenerlo lontano da loro, così Egli tornò a confortare e rallegrare i loro cuori.
I primi tre giorni della festa pasquale rappresentarono eventi meravigliosi nell’Opera del nostro Salvatore. Il primo giorno simboleggiò il Suo corpo spezzato e il Suo sangue versato, ecco perché, il giorno prima che il tipo incontrasse l’antitipo, Cristo radunò i discepoli istituendo il toccante servizio commemorativo della Cena del Signore, per ricordare la Sua morte e la Sua sofferenza finché Egli non sarebbe tornato una seconda volta13. Riguardo al secondo giorno, abbiamo visto che ogni Sabato settimanale del Signore è un memoriale di quel Sabato quando Gesù riposò nella tomba dopo aver compiuto la sua Opera sulla Terra per la redenzione della razza perduta. Infine, Dio non ha lasciato la Sua chiesa senza un memoriale del grande Antitipo dell’offerta delle primizie nel terzo giorno: ha dato il battesimo per commemorare questo glorioso evento. Come Cristo fu deposto nella tomba, così il candidato al battesimo viene “seppellito” nella “tomba” d’acqua. «Noi dunque siamo stati sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte affinché, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, così anche noi similmente camminiamo in novità di vita». Le primizie della risurrezione portate da Cristo in Cielo erano un pegno della risurrezione finale, così alzarsi dalla sepoltura delle acque battesimali è una garanzia della risurrezione del figlio fedele di Dio, «poiché, se siamo stati uniti a Cristo per una morte simile alla sua, saremo anche partecipi della sua risurrezione»14.
Tipo | Antitipo |
«Cristo, la Primizia». 1 Corinzi 15:23 | |
Levitico 23:5-11 – primizie del raccolto offerte nel terzo giorno dalla Pasqua | 1 Corinzi 15:20; Luca 23:21-23 – Cristo resuscitò nel terzo giorno e divenne la Primizia |
Levitico 23:10-11 – Il sacerdote agitava un covone o un mazzo di spighe di grano | Romani 8:29; Matteo 27:52-53 – molti santi si alzarono con Cristo, “Primogenito fra molti fratelli” |
LE FESTIVITÀ PASQUALI IN SINTESI | |
Tipo | Antitipo |
14 Nisan: agnello ucciso all’imbrunire → Pasqua | 14 Nisan: ultima Cena → notte di prova → giorno di preparazione → Cristo, la nostra Pasqua, muore in croce all’imbrunire |
15 Nisan: Pasqua mangiata → si restava in casa fino al mattino → sabato cerimoniale (primo giorno della festa degli Azzimi) | 15 Nisan: Cristo riposa nella tomba → Sabato particolare, in cui coincidono il Sabato, settimo giorno della settimana, e il sabato cerimoniale |
16 Nisan: covone agitato → offerta delle primizie | 16 Nisan: presentazione delle primizie dei risorti in Cielo → Cristo, la Primizia, realizza l’antitipo |
Nota: per secoli gli studiosi della Bibbia si sono divisi in due gruppi in base alla loro opinione sul giorno in cui il Signore mangiò l’ultima Cena con i Suoi discepoli. Un primo gruppo crede che Gesù non abbia adempiuto al simbolo quanto al tempo, ma solo quanto al significato dell’evento. Asseriscono che la Pasqua cadesse di giovedì nell’anno in cui Cristo morì e che Egli fosse stato crocifisso il venerdì (sabato cerimoniale) e resuscitato il 17 Nisan. A supporto della loro posizione citano i seguenti testi: Matteo 26:17; Marco 14:1, 12; Luca 22:7.
Il secondo gruppo crede invece che quando Dio ordina uno specifico giorno del mese per una determinata offerta ciò significa che il tipo incontra l’antitipo proprio in quel giorno specifico. «I simboli si adempirono non solo in relazione all’evento ma anche al tempo», E. G. White, Il Gran Conflitto, p. 399 ed. inglese. Per adempiere a ciò, pertanto, Cristo fu crocifisso il venerdì 14 Nisan, morendo sulla croce all’imbrunire (ora nona), allo stesso momento in cui da secoli si uccideva l’agnello pasquale. La sera prima aveva mangiato l’ultima Cena con i Suoi discepoli. Il Salvatore riposò nella tomba in giorno di Sabato, il 15 Nisan, che era anche sabato cerimoniale. «Cristo fu l’antitipo del covone agitato, la Sua resurrezione avvenne nello stesso giorno dell’offerta agitata davanti all’Eterno», E. G. White, La Speranza dell’uomo, p. 785 ed. inglese. Ciò avvenne domenica 16 Nisan. I seguenti testi supportano questa posizione: Giovanni 13:1-2; 18:28; 13:29; 19:31.
La Pentecoste, così chiamata perché celebrata cinquanta giorni dopo la festa delle Primizie1, era l’ultima delle feste annuali che si tenevano lungo la prima metà dell’anno2. Era detta anche festa delle Settimane, a causa dell’intervallo di sette settimane che intercorreva tra essa e la festa pasquale. Ancora, era nota come “festa del Raccolto”, poiché cadeva proprio a conclusione della messe3. La festa delle Settimane era una delle tre principali feste annuali, quando tutti gli uomini di Israele dovevano comparire davanti all’Eterno in Gerusalemme.
Quando i figli d’Israele salivano a Gerusalemme per partecipare a questa festa potevano ovunque ammirare le stoppie residue di grano pronte per essere battute nell’aia. Al tempo della Pasqua l’incertezza sul raccolto venturo era comune, poiché la siccità o i temporali potevano rovinarlo prima che venisse mietuto, ma durante questa festa non vi erano più dubbi. Il frutto del raccolto era saldamente in possesso dei figli d’Israele per essere impiegato per il loro piacere e per l’avanzamento dell’Opera del Signore. Nessuno doveva presentarsi davanti al Signore a mani vuote. Non dovevano semplicemente portare qualche spiga di grano, come in primavera, ma un’offerta volontaria in base a quanto il Signore li aveva benedetti4.
Questa festa era talvolta chiamata “il giorno dei primi frutti”5, perché ci si aspettava che i figli d’Israele offrissero generosamente al Signore in questo momento. Era una stagione di grande gioia per tutte le famiglie in Israele: anche i Leviti, i poveri e gli afflitti dovevano unirsi.
Il cerimoniale della festa delle Settimane (o Pentecoste) occupava un solo giorno. Molte offerte venivano presentate al tempio, tra cui due pani lievitati agitati davanti all’Eterno. La festa delle Settimane era rispettata come un sabato cerimoniale: era una santa convocazione6.
Quando Cristo salì dalla Terra, Egli ordinò ai Suoi discepoli che istruissero tutte le nazioni. Dovevano portare il Vangelo a tutto il mondo. I discepoli vedevano di fronte a loro solo una manciata di credenti come risultato dei tre anni e mezzo di fatiche e sacrifici da parte di Cristo; ma quando la Pentecoste fu pienamente compiuta o, in altre parole, quando il seme che lo stesso Figlio di Dio aveva piantato durante quei tre anni e mezzo di lavoro era germogliato, allora giunse anche il raccolto7.
I discepoli ignoravano gli esiti della vita, dell’opera e del sacrificio del Salvatore sulle menti del popolo. Nell’enunciare loro la parabola della zizzania e del grano, Cristo aveva detto: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo» (Matteo 13:37), ma essi non compresero. Passando di città in città il Salvatore seminava costantemente il “buon seme”. Il raccolto di anime di questo seme doveva essere presentato all’antitipica festa del Raccolto. Per secoli i figli d’Israele avevano celebrato questa festa, portando offerte dai loro raccolti di grano. Ad ognuno di loro Dio aveva comandato di osservare questa festa «quando raccoglierai dai campi i frutti del tuo lavoro»8. L’antitipo giunse quando il Figlio dell’uomo presentò “i primi frutti del Suo lavoro”, di ciò che aveva seminato sul campo.
Per essere pronti per la grande festa antitipica del raccolto i discepoli avevano un lavoro da compiere: dovevano studiare le Scritture, mettere da parte ogni differenza e diventare di un unico cuore, per poter così ricevere l’effusione dello Spirito Santo che avrebbe loro permesso di sapere come prendersi cura del grande raccolto di tremila anime che li aspettava qual risultato del ministero del Salvatore. Avevano bisogno di questa speciale effusione dello Spirito per prepararli a portare avanti la meravigliosa opera iniziata il giorno di Pentecoste, fino a quando ogni creatura sotto il cielo avrebbe udito la buona novella della salvezza9.
In Palestina vi era una pioggia della prima stagione, alla semina, e una pioggia dell’ultima stagione, che giungeva in tempo per far maturare il raccolto. Il profeta Gioele, parlando dell’Opera di Dio negli ultimi giorni, impiega il termine “prima” e “ultima pioggia”, figurando così l’effusione dello Spirito di Dio. Nelle sue parole dà la certezza che anche al tempo dell’opera conclusiva del Vangelo Dio riverserà di nuovo il Suo Spirito sulla Terra: «Egli vi dà la pioggia d’autunno in giusta misura e, come prima, fa scendere per voi la prima pioggia, quella d’autunno e l’ultima, quella di primavera. Le aie saranno piene di grano, i tini traboccheranno di vino e di olio»10. Questa grande messe di anime all’antitipica festa del Raccolto fu solo l’inizio del più vasto raccolto che ci sarà alla fine del mondo.
Nel tipo i figli d’Israele portavano offerte liberali al Signore. Coloro che entrarono nello spirito dell’antitipica festa del Raccolto, o Pentecoste, «vendettero i loro beni» e ne diedero il ricavato per l’avanzamento dell’opera del Signore. Queste offerte permisero ai discepoli di estendere rapidamente l’Opera, al punto tale che, circa trentaquattro anni più tardi, si poteva asserire che ogni creatura sotto il Cielo aveva udito il Vangelo11. Coloro che entrano nello spirito della pioggia dell’ultima stagione, al pari dei primi discepoli, porranno ogni cosa che gli appartiene e tutto se stessi sull’Altare per essere usati dal Signore nella grande Opera finale.
Come il seme piantato dal Figlio dell’uomo durante il Suo ministero terreno portò un raccolto di anime alla Pentecoste (la prima pioggia), così il buon seme seminato dagli ambasciatori di Cristo che diffondono fedelmente la carta stampata col messaggio del Vangelo, che con la voce e con l’esempio della propria vita insegnano la Verità salvifica, darà una messe abbondante al tempo dell’ultima pioggia, quando lo Spirito di Dio sarà riversato su ogni carne. Poi sarà raccolto il frutto di ciò che ciascuno ha seminato sul campo. «Chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina generosamente mieterà altresì abbondantemente»12: questa è la promessa divina.
Tipo | Antitipo |
Levitico 23:16 – Festa realizzata sette settimane dopo l’offerta delle primizie, cioè cinquanta giorni dopo | Atti 2:1 – L’effusione dello Spirito fu proprio il giorno della Pentecoste, pienamente compiuto, cioè erano trascorse sette settimane complete |
Deuteronomio 16:16 – Ogni maschio dei figli d’Israele doveva comparire davanti all’Eterno a Gerusalemme al tempo di questa festa | Atti 2:7-11 – Uomini provenienti da ogni parte del mondo allora conosciuto si radunarono a Gerusalemme al tempo della Pentecoste |
Esodo 23:16 – La festa del Raccolto simboleggiava «i primi frutti delle tue fatiche, che hai seminato nel campo» | Atti 2:41 – L’antitipo dei primi frutti fu di tremila persone, il raccolto spirituale risultato dell’opera personale di Cristo |
Deuteronomio 16:11-12 – Chi celebrava questa festa doveva “rallegrarsi davanti al Signore” e ricordare la liberazione dalla schiavitù egiziana | Atti 2:41, 46 – Coloro che condivisero l’antitipica festa del Raccolto si rallegrarono per la liberazione dalla schiavitù del peccato |
Deuteronomio 16:10 – I figli d’Israele dovevano fare delle offerte volontarie e liberali in questa festa, secondo quanto Dio li aveva benedetti | Atti 2:44, 45 – Alla festa antitipica “tutti quelli che credevano” vendettero i loro beni e le loro proprietà donandoli per l’Opera del Signore |
SEZIONE 5 – OFFERTE VARIE
IL SACRIFICIO PERFETTO
Isaac Watts
Signore, siamo vili e pieni di peccati,
siamo nati senza santità e contaminati;
discendiamo dall’uomo che fu ingannato,
che corruppe la sua razza e ci ha macchiato.
Ecco, davanti alla Tua faccia ci prostriamo:
solo presso la Tua Grazia noi ci rifugiamo!
Non ci può purificare alcuna forma esteriore,
ché la lebbra del peccato giace nell’interiore.
Nessun uccello né bestia sanguinante,
ramo d’issopo o sacerdote in terra ministrante,
né rivo d’acqua corrente, inondazione o mare
questa terribile macchia può allontanare.
Gesù, il Tuo sangue, solo il Tuo sangue
ha il Potere sufficiente all’espiazione:
ci fa bianchi come la neve il Tuo sangue
– nient’altro ci può dare la liberazione.
Nessun altro tipo cerimoniale poneva il singolo adoratore in un contatto così ravvicinato con il servizio del santuario come l’offerta per il peccato. Nessuna parte del culto religioso accompagna il fedele in un rapporto così stretto con il Signore come l’inginocchiarsi ai piedi del Salvatore, confessando i peccati e conoscendo la forza della promessa: «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Giovanni 1:9). È allora che il peccatore pentito tocca l’orlo della veste del Maestro e riceve nell’animo il Suo Potere curativo.
Il peccato è la trasgressione della Legge di Dio. Chi avesse «fatto qualcosa contro i comandamenti del Signore» (Levitico 4:13) era colpevole di peccato; per essere liberato dal suo peccato doveva portare un’offerta animale di modo che, vedendo la vittima innocente morire per le sue iniquità, potesse comprendere più pienamente come l’innocente Agnello di Dio avrebbe offerto la Sua Vita per i peccati del mondo. Se il peccatore era un sacerdote, cioè uno che ricopriva una carica santa da cui l’influsso esercitato dal suo comportamento errato avrebbe fatto inciampare anche altri, allora doveva portare come offerta per il peccato un torello, un animale costoso; se era una persona comune, poteva portare un capretto o un agnello. Il valore dell’animale offerto era dunque determinato dalla posizione detenuta dal trasgressore.
L’offerta per il peccato veniva portata nel cortile del santuario, alla porta d’ingresso della tenda di convegno1. Il peccatore, ponendo le mani sulla testa dell’agnello, confessava su di esso tutti i suoi peccati per poi ucciderlo di sua propria mano2. A volte il sangue veniva portato nel primo compartimento del santuario dal sacerdote officiante, che lo spargeva davanti all’Eterno dopo avervi intinto il dito. Anche i corni dell’altare d’oro, o altare dell’incenso, venivano toccati con le dita sporche di sangue. Il sacerdote poi usciva nel cortile e versava tutto il sangue rimanente alla base dell’altare degli olocausti3. I corpi degli animali il cui sangue veniva portato nel santuario erano bruciati fuori dall’accampamento. «Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, ha sofferto fuori della porta» (Ebrei 13:12).
Il peccatore, confessando i propri peccati sull’agnello, li trasferiva simbolicamente all’agnello. La vita dell’agnello veniva quindi presa al posto di quella del peccatore, caratterizzando la morte dell’Agnello di Dio, che avrebbe offerto la Sua Vita per i peccati del mondo. Il sangue dell’animale era infatti impotente a rimuovere il peccato4, ma spargendolo, il penitente rivelava la sua fede nell’Offerta divina del Figlio di Dio. Ogni offerta per il peccato doveva essere priva di imperfezioni, a figurare il sacrificio perfetto del Salvatore5.
In alcune offerte il sangue non era portato all’interno del santuario, ma versato interamente alla base dell’altare degli olocausti nel cortile. Quando il sangue non era portato nel primo compartimento del santuario, una parte della carne dell’offerta veniva mangiata dal sacerdote in luogo santo6. Quando il sacerdote assimilava la carne dell’offerta per il peccato, rendendola così parte del proprio corpo e compiendo il servizio sacro, rappresentava solennemente che Cristo «ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce»7, per poi entrare nel Santuario celeste con quel medesimo corpo e comparire alla presenza di Dio per il Suo popolo. Il sacerdote mangiava la carne dell’offerta per il peccato solo quando il sangue non era portato all’interno del santuario. Il comando a tal proposito era molto chiaro: «Ma non si mangerà alcuna vittima per il peccato, il cui sangue è portato nella tenda di convegno per fare l’espiazione nel santuario. Essa sarà bruciata col fuoco»8. Violare questo comando voleva dire ignorare il significato del simbolo. Il sacerdote che entrava nel santuario per presentare il sangue dell’offerta per il peccato davanti al Signore era un emblema importante di Cristo che, con il Suo stesso sangue, entrò nel Santuario celeste, «avendo acquistato una redenzione eterna»9 per noi. Con il sangue e con la carne i peccati confessati dal peccatore erano simbolicamente trasferiti al santuario, venendo nascosti alla vista, poiché nessun occhio umano, eccetto quello di chi officiava come sacerdote, poteva guardare all’interno del santuario.
Se il simbolo era bellissimo, quanto più lo è la sua realizzazione! Quando il peccatore pone i suoi peccati su Cristo, “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, quei peccati vengono nascosti, coperti dal sangue di Cristo10. Quegli errori erano registrati nei libri in Cielo11, ma il sangue del Salvatore li copre: se colui che ha peccato rimarrà fedele a Dio, essi non saranno mai rivelati, ma distrutti infine nel Fuoco dell’ultimo giorno. La cosa più meravigliosa è che Dio stesso dice che li getterà alle Sue spalle12 e non li ricorderà mai più! Perché qualcuno dovrebbe portare il peso dei suoi peccati quando abbiamo un Salvatore così misericordioso che aspetta solo di riceverli?
In ogni offerta per il peccato due atti erano essenziali da parte del peccatore: in primo luogo, realizzare il proprio stato di peccaminosità al cospetto di Dio, dando il giusto valore al perdono con un sacrificio volto a ottenerlo; in secondo luogo, contemplare per fede, oltre la sua offerta, il Figlio di Dio, grazie al quale ricevere il perdono, «poiché è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati»13. Solo il sangue di Cristo può espiare il peccato.
Dopo che il sangue veniva presentato davanti al Signore, c’era ancora un’opera importante che il peccatore doveva eseguire. Con le sue mani egli doveva rimuovere tutto il grasso dai diversi organi dell’animale14 e consegnarlo al sacerdote, che lo avrebbe fatto bruciare sull’altare di bronzo. Potremmo ritenere questa una strana cerimonia, ma quando ci ricordiamo che il grasso rappresentava il peccato15, comprendiamo che si tratta invece di un rito ben appropriato.
Fu proprio questo cerimoniale a salvare Asaf dal dubbio e dall’incredulità. Egli aveva notato la prosperità dei malvagi e ne era divenuto invidioso, al punto che i suoi «passi scivolavano», ma quando entrò nel santuario comprese la fine degli empi16. Immaginiamo Asaf guardare il peccatore separare il grasso e il sacerdote porlo sul grande altare dove veniva completamente incenerito. La cenere è dunque la fine di tutti coloro che non si separeranno dal peccato17. Poiché il peccato diviene parte di loro, quando il peccato sarà bruciato, anche loro verranno bruciati con esso. L’unica ragione per cui Dio potrà distruggere un peccatore è perché questi manterrà il proprio carattere peccaminoso e non si separerà da esso.
Si trattava di un simbolo impressionante: il sacerdote aspettava con impazienza il peccatore mentre separava il grasso dall’offerta ed era pronto a prendere tale grasso non appena gli venisse offerto. Allo stesso modo, Cristo, il nostro grande Sommo Sacerdote, aspetta con ansia che ogni peccatore confessi i suoi peccati e li consegni a Lui, affinché in cambio Egli lo possa rivestire con il Suo manto di giustizia18 e possa consumare definitivamente le sue iniquità nel Fuoco dell’ultimo giorno. Paolo si riferisce in modo evidente a questa parte del servizio del santuario in Ebrei 4:12.
La combustione del grasso era «un odor soave all’Eterno»19. Ci sono pochi odori più sgradevoli di quello del grasso bruciato, eppure esso viene definito come “soave” per il Signore, perché rappresenta che il peccato è stato consumato e il peccatore è stato salvato. Dio non ha alcun piacere nella morte degli empi20, ma gioisce nella separazione del peccatore dal suo peccato, che viene distrutto. Quando i redenti del Signore, all’interno del loro rifugio nella Nuova Gerusalemme, vedranno il Fuoco dell’ultimo giorno consumare i peccati che essi hanno commesso, sarà davvero come un odor soave per loro21.
Un uomo troppo povero per offrire un agnello poteva comunque portare due piccioni; nel caso in cui fosse stato così povero da non possedere neppure due piccioni, poteva catturare due tortore selvatiche e offrirle come offerta per il peccato. Se fosse stato troppo debole anche per catturare le tortore selvatiche, il Signore gli consentiva di portare una piccola porzione di fior di farina: il sacerdote avrebbe presentato tale grano macinato come simbolo del corpo spezzato del Salvatore. Anche di chi portava un’offerta di fior di farina era detto: «il suo peccato gli sarà perdonato», proprio come per chi poteva permettersi un torello. La farina bruciata sull’altare corrispondeva alla
combustione del grasso nel simbolo della distruzione finale del peccato, mentre il resto era mangiato dal sacerdote, caratterizzando così Cristo che assumeva su di Sé il peccato22.
In ogni offerta animale per il peccato tutto il sangue veniva versato alla base dell’altare nel cortile del santuario. Quando ci ricordiamo quanto fosse importante per il Signore che l’intero accampamento venisse mantenuto in eccellenti condizioni igienico-sanitarie23, immaginiamo subito la mole di lavoro necessaria a tenere pulito il cortile. Pertanto, il Signore non avrebbe ordinato di versare tutto il sangue in terra se non per fornire una lezione di gran peso.
Il primo peccato commesso sulla terra ha colpito colui che ha peccato quanto la terra stessa. L’Eterno disse ad Adamo: «…il suolo sarà maledetto per causa tua»24. Quando fu commesso il primo omicidio, il Signore disse a Caino: «E ora tu sei più maledetto della terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra»25; dunque, ci sarebbero state carestie e sterilità.
La maledizione del peccato si fa sempre più pesante sulla terra26. C’è solo una cosa in tutto l’universo di Dio che può rimuovere questa maledizione. «Non si può fare alcuna espiazione per il paese, per il sangue che in esso è stato versato, se non mediante il sangue di chi lo ha versato»27. Deve essere un membro dell’umanità, appartenente alla stessa famiglia che ha versato il sangue. Per questo motivo Cristo partecipò della natura umana, divenendo nostro Fratello maggiore28, affinché potesse rimuovere la maledizione del peccato dalla terra e dai peccatori. Con la Sua morte sul Calvario, Cristo ha redento la Terra, riscattandola con tutti i suoi abitanti.
Poiché i peccati dell’umanità contaminano la terra, in ogni offerta per il peccato, concluso il rito, il sangue veniva versato sul terreno alla base dell’altare di bronzo nel cortile, come un simbolo del prezioso sangue di Cristo che avrebbe rimosso ogni macchia di peccato da questa terra e l’avrebbe rivestita con la bellezza dell’Eden29.
Tipo | Antitipo |
«Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» Giovanni 1:29 | |
Levitico 4:3, 23, 28 – L’animale doveva essere senza difetto alcuno | 1 Pietro 1:19 – Cristo fu «l’Agnello senza difetto e senza macchia» |
Levitico 4:4, 14 – L’offerta doveva essere portata davanti all’Eterno all’ingresso del santuario | Ebrei 4:15-16 – «…Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo opportuno» |
Levitico 4:4; Numeri 5:7 – Il peccatore poneva le sue mani sulla testa dell’offerta, riconoscendo così il proprio peccato | 1 Giovanni 1:9 – «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» |
Levitico 4:29 – Il peccatore uccideva l’offerta per il peccato e gli toglieva la vita con le sue stesse mani | Isaia 53:10 – La Vita di Cristo fu un’offerta per il peccato. I criminali di solito vivevano per giorni sulla croce: fu il terribile peso dei peccati del mondo a uccidere Cristo |
Levitico 4:5-7, 17, 18 – In alcune offerte il sangue veniva portato dentro il santuario ed asperso davanti all’Eterno | Ebrei 9:12 – «[Cristo] entrò una volta per sempre nel santuario, non con sangue di capri e di vitelli, ma col proprio sangue, avendo acquistato una redenzione eterna» |
Levitico 10:16-18 – Quando il sangue non veniva portato nel santuario, una parte della carne era mangiata in luogo santo dal sacerdote. Così il sacerdote portava “l’iniquità della congregazione per fare l’espiazione per loro davanti al Signore” | 1 Pietro 2:24 – «Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, viviamo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti» |
Levitico 4:31; 7:30 – Con le sue stesse mani il peccatore doveva separare tutto il grasso dall’offerta per il peccato, grasso che simboleggiava il peccato (cfr. Salmo 37:20) | Isaia 1:16 – non dobbiamo solo confessare i peccati passati, ma anche esaminare i nostri cuori e rimuovere ogni abitudine cattiva. “Cessate di fare il male!” |
Levitico 4:31 – Il grasso veniva ridotto in cenere nel cortile del santuario | Malachia 4:1-3 – tutto il peccato e i peccatori saranno bruciati fino alla cenere sulla Terra |
Levitico 4:7, 18, 25, 30 – Il sangue di ogni offerta per il peccato veniva sparso alla base dell’altare di bronzo nel cortile | Efesini 1:14 – Cristo ha redento la Terra e i suoi abitanti tramite la Sua morte in croce |
L’olocausto (dal greco ὁlόkauston, “interamente bruciato”) ebbe origine alle porte del giardino dell’Eden1, perdurando fino alla Croce: mai perderà il proprio significato finché l’umanità si troverà soggetta alla tentazione e al peccato. Nell’olocausto il sacrificio veniva posto per intero sul fuoco dell’altare e lì veniva bruciato2, simboleggiando non solo una completa rinuncia al peccato, ma anche la consacrazione dell’intera vita al servizio di Dio.
Al tempo dei patriarchi, ovunque il popolo di Dio soggiornasse, venivano eretti degli altari grezzi di pietra sui quali venivano offerti gli olocausti3. In seguito al lungo periodo di schiavitù in Egitto, Israele divenne così incline all’idolatria che il Signore dovette ordinare di costruire l’altare di bronzo nel cortile del tabernacolo, in modo tale che tutti gli olocausti offerti in precedenza dai capifamiglia fossero ora portati al santuario per essere offerti solo dai sacerdoti nominati da Dio4. Ci furono comunque delle occasioni particolari in cui degli olocausti vennero offerti in luoghi diversi dal santuario, come nel caso del sacrificio offerto da Davide presso l’aia di Ornan5 e del memorabile sacrificio offerto da Elia sul monte Carmelo6.
Gli episodi della Bibbia correlati agli olocausti raccontano una storia di meravigliose vittorie di individui che si sono avvicinati a Dio mettendo da parte i loro peccati e consegnando la loro intera vita e tutto ciò che possedevano al servizio del Signore. La grande prova di fede di Abramo fu un olocausto sul monte Moriah7. Le meravigliose vittorie di Gedeone vennero contraddistinte dagli olocausti offerti davanti all’Eterno: con essi egli mostrò la sua completa resa al Signore, offrendo ogni cosa per essere consumata sull’altare come Dio aveva ordinato8.
L’olocausto era un tipo della piena consacrazione che deve entrare in ogni vita che Dio può impiegare alla Sua gloria. Paolo sollecitò l’adempimento dell’antitipo nelle seguenti parole: «Io vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questa è la vostra adorazione razionale»9. Anche l’offerta del più costoso animale era un abominio per il Signore se non era accompagnata dalla resa del cuore e della vita di colui che la offriva10.
Tale principio fu splendidamente illustrato dal Salvatore quando Egli mostrò di considerare di scarso valore gli ingenti doni dei ricchi offerti solo per l’ostentazione e, al contrario, apprezzò enormemente i due spiccioli offerti dalla vedova, che erano tutto ciò che quella povera donna possedeva. In questo modo, Cristo dimostrò che una piccola offerta fatta con cuore pieno d’amore vale agli occhi del Cielo più di tutte le ricchezze date via per vano sfoggio11. Il Signore considera i doni e le offerte che il Suo popolo dà per l’avanzamento della Sua Opera sulla Terra come “un profumo di odore soave, un sacrificio gradito e accettevole a Dio”, il quale s’impegna a provvedere a ogni bisogno del Suo popolo12. «Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’ubbidire alla sua voce? No, l’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più del grasso dei montoni»13.
L’olocausto veniva offerto per l’espiazione del peccato14. Colui che lo offriva poneva le sue mani sopra la testa dell’animale, confessando i suoi peccati15; quindi, sia se fosse stato un capo preso dal gregge, sia se fosse della mandria, gli toglieva la vita con le sue stesse mani. Se l’olocausto fosse stato un uccello, allora era il sacerdote ad ucciderlo. Il sangue veniva spruzzato intorno all’altare di bronzo, simboleggiando il sangue purificatore di Cristo; poi l’offerta veniva bruciata sull’altare.
Ogni mattina e ogni sera un agnello veniva offerto nel santuario come olocausto16. In giorno di sabato venivano offerti quattro agnelli, due al mattino e due alla sera17. Questi sacrifici simboleggiavano la riconsacrazione di tutta l’assemblea, ogni mattino e ogni sera, al servizio di Dio.
Poiché ormai la forma ha incontrato la sostanza, sarebbe vano e ridicolo offrire ancora olocausti al mattino e alla sera; tuttavia, il simbolo non ha perso alcunché del suo significato, contenendo importanti lezioni anche per noi, perché amare Dio «con tutto il cuore, con tutto l’intelletto, con tutta la forza, e amare il prossimo come se stessi, è molto più di tutti gli olocausti e i sacrifici»18.
Il cuore ripieno di amore per Dio e per i nostri simili è un’offerta sempre accettevole a Dio. Al fine di mantenere il cuore in questa condizione, esso deve essere sempre riempito della Parola di Dio, che dà la Vita19. Il Signore valuta «la conoscenza di Dio più degli olocausti»20. L’individuo che sacrificherà interessi e piaceri egoistici abbastanza da prendersi del tempo al mattino e alla sera per studiare la Parola di Dio, sperimenterà quell’amore nel cuore che è sempre stato e sempre sarà molto più accettevole a Dio di “olocausti arsi per intero e sacrifici”21.
Tipo | Antitipo |
Levitico 1:9 – Il sacrificio offerto a Dio era accettato come un «odor soave all’Eterno» | Efesini 5:2 – «Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, in offerta e sacrificio a Dio come un profumo di odore soave» |
Esodo 29:38-43 – Dio incontrò il Suo popolo quando questi Gli offrì i propri olocausti; così, tutti furono santificati dalla Sua presenza | Ebrei 10:8-10 – «… noi siamo santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» |
Levitico 1:2-9, 13, 17 – L’intero corpo dell’animale doveva essere consumato sull’altare come «un sacrificio di odor soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno» | Romani 12:1 – «Io vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questa è la vostra adorazione razionale» |
La libagione, ovvero l’offerta sacrificale di bevande, veniva celebrata ben prima che il servizio del santuario fosse istituito al Sinai. Quando l’Eterno apparve a Giacobbe in Bethel dicendo: «Il tuo nome è Giacobbe [soppiantatore]; tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele [che lotta e vince, un principe di Dio]»1, Giacobbe si sentì così grato al Signore che eresse in Suo onore una stele di pietra nel luogo dove Dio gli aveva parlato, offrendovi sopra una libagione. In questo modo mostrava la propria volontà a spendere anche la vita, se necessario, per la causa di Dio. L’offerta di bevande consisteva propriamente di vino, che non veniva mai bevuto, né dal sacerdote né dalla gente comune, bensì veniva versato davanti all’Eterno. Non sorprende che il vino sia stato scelto sia per le libagioni che per la celebrazione della Cena del Signore, poiché esso è l’emblema della Vita di Cristo2, che «ha riversato se stesso [la sua vita] fino alla morte»3 per riscattare una razza perduta.
La libagione e l’oblazione di cibo accompagnavano gli olocausti come «sacrificio consumato dal fuoco, di odor soave all’Eterno»4. Quando Israele si allontanò dal Signore, le libagioni furono spesso impiegate nei culti idolatrici5. Le libagioni non venivano mai riversate sull’altare dell’incenso6, ma sempre su quello di bronzo del cortile, giacché simboleggiavano eventi accaduti nel cortile antitipico, la Terra. La libagione era, infatti, anche emblema dello spargimento dello Spirito Santo7.
Paolo impiegò il bellissimo simbolo del vino versato sull’altare degli olocausti e consumato completamente dal fuoco per illustrare la propria vita interamente resa al servizio di Dio. Egli disse: «tenendo alta la Parola della Vita, di modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. Ma se anche vengo offerto in libagione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi»8. Quando i tre prodi guerrieri di Davide rischiarono la loro vita per l’amore che gli portavano al fine di condurgli dell’acqua dal pozzo di Betlemme assediato dai Filistei, Davide considerò tale acqua troppo sacra perché lui la bevesse, in quanto quegli uomini «l’avevano portata a rischio della loro vita»; perciò, egli «la sparse davanti all’Eterno»9.
La libagione era dunque un simbolo della vita di Cristo sparsa per noi e il suo antitipo può essere ripetuto nella vita di ogni persona che, come Paolo, gioisce nell’essere riversata in sacrificio e consumata sull’Altare.
Certamente il testo di Giudici 9:13, in cui si dice che il vino «rallegra Dio e gli uomini», si riferisce alla libagione. Non era il vino bevuto a tavola con gli amici, ma quello impiegato sull’altare a rallegrare veramente il cuore di Dio e dell’uomo, in quanto, come l’acqua di Betlemme sparsa da Davide, rappresentava, se offerto sinceramente, l’effondersi a Dio del cuore e della vita del peccatore. Quando Anna consegnò Samuele al servizio del santuario, portò assieme all’animale dell’olocausto anche un otre di vino. Fu solo dopo aver espresso la piena resa del suo unico figlio al Signore tramite olocausto e libagione che ella poté riempire il cortile del santuario con la sua voce risuonante di lode e di ringraziamento10.
Tipo | Antitipo |
Genesi 35:14 – La libagione veniva riversata davanti all’Eterno | Isaia 53:12 – Cristo ha riversato per noi la Sua Vita fino alla morte |
Numeri 15:10 – Si versava sopra l’altare degli olocausti e lì era consumata dal fuoco: mentre ardeva produceva un odor soave e gradito a Dio | Filippesi 2:16-17 – Chi rende pienamente la propria vita al servizio di Dio la riversa sul Sacrificio di Cristo per essere impiegata alla gloria di Dio, come lo fu la Vita del Messia |
Daniele profetizzò che Cristo avrebbe «fatto cessare sacrificio e oblazione»1. Qui si fa riferimento a due grandi divisioni delle offerte sacrificali: sacrifici mediante spargimento di sangue e sacrifici senza spargimento di sangue. Le oblazioni di cibo appartengono alla seconda categoria. La King James Version traduce il termine “oblazione” con meat-offering, ma in realtà né carne e né sangue erano presenti nelle oblazioni: semplicemente il significato antico della parola inglese “meat” è appunto “cibo”2. L’oblazione di cibo consisteva in farina, olio e incenso3. In alcuni casi la farina, prima di venire offerta, era cotta in torte o focacce senza lievito. Ogni offerta di cibo doveva sempre essere priva di ogni tipo di lievito e condita con sale. Questa offerta era definita come «cosa santissima tra i sacrifici al Signore consumati dal fuoco»4.
Non era consentito lievito o miele in alcuna delle offerte di cibo, poiché il lievito indicava «malizia e malvagità»5 e il miele diventava acido, portando alla fermentazione.
Le qualità del sale sono invece diametralmente opposte. Il sale rimuove e previene la corruzione ed è anche un simbolo di amicizia. «Il sale del patto»6 non doveva mai essere dimenticato nell’oblazione, ricordando così al popolo che Dio si era impegnato a curare, proteggere e a salvare: solo la giustizia di Cristo poteva rendere il servizio accettabile a Dio.
Una parte dell’offerta veniva bruciata sull’altare di bronzo, sia che si trattasse di farina o di focacce non lievitate, come pure una parte dell’olio e tutto l’incenso7; il resto veniva mangiato dal sacerdote officiante8. Se un sacerdote offriva un’oblazione, questa non era mangiata, ma interamente bruciata sull’altare di bronzo9. Inoltre, ogni giorno il sommo sacerdote offriva un’oblazione di cibo.
Oblazione di cibo era detta pure ogni offerta di farina o di schiacciate connessa a qualsiasi altro tipo di sacrificio. Ricordiamo che il peccatore troppo povero per permettersi anche una tortora selvatica poteva portare un’offerta di cibo per la trasgressione. In questo caso non si aggiungeva né olio né incenso10: stessa cosa valeva per l’oblazione presentata da un marito geloso11. Nessun incenso veniva pure aggiunto alle offerte di cibo destinate a ricordare una iniquità. L’oblazione era un’offerta molto comune, spesso associata all’olocausto12, specie quello quotidiano di un agnello di un anno, al mattino e alla sera13.
L’oblazione che accompagnava l’offerta delle primizie consisteva di «spighe verdi tostate al fuoco e chicchi di grano nuovo, tritati»14. Citiamo Andrew A. Bonar per il significato delle spighe verdi, «un dettaglio di particolare valenza simbolica. Queste spighe sono figura di Cristo15 e infatti dovevano essere primizie del miglior tipo, “tostate dal fuoco” per rappresentare Gesù che passa attraverso l’ardore dell’ira di Suo Padre, una volta caricatosi di tutti i peccati del mondo. Proprio in tale occasione egli afferma: “il mio cuore, afflitto, inaridisce come l’erba …”16, cioè tutta la forza del suo essere fu disseccata, prosciugata…».
«…Che immagine commovente dell’Uomo di dolore! Che simbolo della Sua stessa Vita! Le migliori e più fini spighe delle pianure di Israele vengono tostate ancora verdi; non sono lasciate a maturare alla fresca brezza e sotto un sole mite, ma vengono essiccate dal fuoco rovente. Fu così che l’unica umanità pura che abbia mai camminato sulla Terra fu riarsa per trentatré anni dall’ira che non aveva mai meritato. Mentre obbediva notte e giorno, con tutta la Sua anima e tutta la Sua forza, l’ira ardente di Dio ne stava prosciugando l’intera struttura – fisica e interiore. I chicchi tritati rappresentavano invece i lividi e i colpi con i quali era stato preparato per l’altare. “Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì”17. Fu in seguito a questa preparazione che Egli divenne la perfetta Oblazione, pienamente consacrata, nel corpo e nella sostanza, al Signore…».
«In tutto questo Egli è dunque “la Primizia”, implicando che molti altri Lo seguiranno. Prima Lui, poi tutti quelli che sono Suoi, simili a Lui. Dobbiamo essere conformati a immagine di Gesù in tutte le cose e qui ci viene specialmente insegnato che dobbiamo essere conformi a Lui nell’abnegazione e nella rinuncia al proprio ego. Dobbiamo compiacere il Padre: Cristo ci ha lasciato un esempio, affermando: “Io faccio sempre le cose che Gli piacciono”18, allora anche noi dobbiamo agire così, perfino sotto il cielo più nero.».
L’oblazione caratterizzava la piena resa di tutto ciò che abbiamo e siamo al Signore. Questa offerta veniva sempre presentata insieme a qualche sacrificio animale, mostrando così la connessione tra il perdono dei peccati e la consacrazione al Signore. Dopo che i peccati di un individuo sono stati perdonati, egli depone tutto sull’Altare perché sia consumato al servizio di Dio.
Nell’oblazione di cibo e nel sacrificio per il peccato sussisteva una particolare disposizione riguardo ai poveri. I ricchi cuocevano le loro offerte in un forno, gli appartenenti alla classe media sulla griglia sul fuoco e il povero nella padella: tutte e tre erano ugualmente accettate19.
Tipo | Antitipo |
Levitico 2:1-3 – Era «cosa santissima tra i sacrifici al Signore consumati dal fuoco» | Romani 12:1 – «…Presentate i vostri corpi come un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» |
Levitico 2:9 – L’oblazione era di «odor soave all’Eterno» | Filippesi 4:18 – Quando ci sacrifichiamo per Dio, ciò è «un profumo di odor soave, un sacrificio accettevole, piacevole a Dio» |
Levitico 2:13 – «Ogni oblazione di cibo che offrirai, la condirai con sale; non lascerai mancare il sale del patto di DIO dalle tue oblazioni. Su tutte le tue offerte offrirai del sale» | Marco 9:50 – «Abbiate del sale in voi»; Colossesi 4:6 – «Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale» |
L’offerta o sacrificio per la colpa rientrava nella categoria dei sacrifici per il peccato, tanto che molti studiosi della Bibbia considerano i due termini intercambiabili. È vero che in alcuni passaggi le espressioni “offerta per il peccato” e “offerta per la colpa” paiono essere impiegati come sinonimi, come ad esempio in Levitico 5:1-13; tuttavia, da altri versetti risulta evidente che si trattasse di due distinte offerte sacrificali1.
Uno studio attento dei passaggi che descrivono in modo diretto l’offerta per la colpa (detta anche “per la trasgressione”), mostra che essa veniva specificatamente offerta per i peccati «riguardo a ciò che deve essere consacrato all’Eterno»2, cioè quando una persona aveva trasgredito un’istruzione divina in merito alle cose sante. Poteva aver trattenuto la decima3, mangiato le primizie o tosato il primogenito di una pecora4 – qualunque fosse stata la sua trasgressione, egli doveva portare un montone come offerta per la colpa. Il sacrificio veniva poi eseguito in maniera piuttosto simile a quello ordinario per il peccato, tranne per il dettaglio che il sangue veniva sparso “attorno all’altare” e non sui suoi corni come nell’offerta per il peccato.
Da ciò sembrerebbe che principalmente l’offerta per la trasgressione non riparasse ai peccati commessi in pubblico, come accadeva invece per la comune offerta per il peccato, ma che sovente fosse impiegata per peccati privati, noti al singolo individuo. Se una persona aveva preso delle cose sacre al fine di impiegarle per sé, qualora fosse stata disonesta nei suoi rapporti con il prossimo o si fosse appropriata di oggetti smarriti senza segnalarlo, non doveva solo restituirne il pieno valore, ma vi doveva aggiungere anche un quinto alla stima del valore di tali cose fatta dal sacerdote5.
La restituzione o riparazione veniva sempre rivolta a colui che subiva il torto. Se l’individuo era stato disonesto in relazione alle cose sante all’Eterno, la restituzione veniva fatta al sacerdote in quanto rappresentante del Signore. Se aveva fatto un torto agli uomini, restituiva agli uomini. Se colui che era stato danneggiato era morto, allora la restituzione veniva fatta al parente più prossimo, ma se non c’era alcun parente, la restituzione tornava al Signore6.
Non c’era alcuna virtù nell’offrire il montone se prima l’offesa non fosse stata ripagata per intero. Obiettivo speciale dell’offerta per la colpa era quello di fare ammenda dei rapporti disonesti con Dio o con gli uomini, pertanto richiedeva sempre la restituzione del maltolto, oltre al montone dell’offerta sacrificale. Ciò insegnava molto chiaramente che, se abbiamo trattato falsamente Dio e il prossimo, confessare il nostro peccato e portare un’offerta non è sufficiente: bisogna anche riparare, per quanto è possibile.
Zaccheo comprese lo spirito della legge riguardo all’offerta per la colpa: non appena consegnò la propria vita a Cristo, fu subito pronto ad andare ben oltre i requisiti della legge e a restituire “per quattro volte” il maltolto di tutti coloro che aveva derubato come esattore delle tasse7. L’offerta della colpa era un’offerta più completa di quella ordinaria per il peccato: oltre a fare l’espiazione per il peccato, ne copriva figurativamente anche le conseguenze. Il profeta Isaia impiegò l’immagine dell’offerta per la trasgressione come un tipo speciale di Cristo. Egli fu il vero compimento antitipico dell’offerta per la trasgressione quando versò il Suo sangue, non solo per liberare gli uomini dalle loro colpe, ma anche per rimuovere per sempre ogni traccia e conseguenza del peccato dall’Universo di Dio.
Citiamo il testo di Isaia 53:10 nella versione del traduttore ebreo Isaac Leeser: «Piacque all’Eterno di stroncarlo con i patimenti: dopo che la Sua persona avrà portato l’offerta per la colpa, vedrà la (Sua) discendenza, vivrà per lunghi giorni e tutto ciò in cui l’Eterno si compiace prospererà nelle Sue mani».
Molte preziose promesse sono rivolte a colui che presenterà la sua offerta per la trasgressione al Signore. Colui che vuol essere vittorioso in Dio non può accontentarsi di confessare semplicemente i propri peccati, ma deve effettuare riconciliazione e restaurazione. Questo è l’insegnamento delle parole del Salvatore contenute in Matteo 5:23-24: «Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta».
Tipo | Antitipo |
Levitico 5:15-16 – L’offerta per la colpa riparava non solo al peccato, ma anche alle sue conseguenze | Isaia 53:10-12 – La morte di Cristo, la grande Offerta per la colpa, non ci ha solo purificati dal peccato, ma ne ha pure distrutto tutti gli effetti |
Levitico 6:1-7 – Il sacrificio senza la restituzione non veniva accettato | Matteo 5:23-26 – Le nostre preghiere non ricevono alcun avallo da Dio se coltiviamo il male nei nostri cuori |
Ogni sacrificio, dal primo offerto alla soglia dell’Eden fino alla Croce, era un simbolo di quello di Cristo, ma l’offerta della giovenca rossa differisce in molti aspetti da tutti gli altri. Si trattava di un sacrificio occasionale, offerto quando necessario per purificare dall’impurità cerimoniale coloro che, per qualsiasi motivo, avessero toccato dei corpi morti per cause ignote1.
La giovenca doveva essere rossa, senza alcuna macchia, caratterizzando in modo particolare il sangue di Cristo. Inoltre, essa doveva essere esente da qualsiasi difetto, rappresentando così «Colui che non ha conosciuto peccato»2. Doveva essere un esemplare sul quale mai nessuno aveva posto un giogo: un animale libero, mai costretto a fare alcunché.
Questo dettaglio simboleggiava il Figlio di Dio, che di Sua spontanea volontà s’incarnò e morì per noi. Cristo era al di sopra di ogni legge di necessità, poiché nessun giogo fu mai posto su di Lui3. Mentre sopportava l’agonia del Getsemani avrebbe potuto tergersi il sudore sanguinante dalla fronte e in un attimo tornare al posto che Gli spettava in cielo, lasciando perire il mondo. Nessun potere, eccetto il supremo Amore celeste, costrinse Cristo alla croce del Calvario4. Egli è venuto sulla Terra come Offerta volontaria, per Sua scelta. Offrì Se stesso per i peccati del mondo e l’amore del Padre per la razza decaduta fu così grande che, per quanto amasse il Suo unico Figlio, Egli accettò che la Vita di Lui fosse offerta. Gli angeli sono soggetti alla Legge di Dio, quindi la loro vita non avrebbe potuto fare l’espiazione per la trasgressione di tale Legge. Solo Cristo è libero dalle richieste della Legge, perciò fu l’unico che potesse riscattare la razza perduta.
L’offerta della giovenca rossa era una cerimonia imponente. La giovenca non veniva condotta al tempio, come nel caso della maggioranza degli altri sacrifici, ma lungo una valle aspra, priva di colture e mai seminata. Il sacerdote, vestito con l’abito bianco e puro del sacerdozio, guidava la giovenca, accompagnato dagli anziani della città e dai Leviti. Del legno di cedro, di issopo e della stoffa scarlatta venivano portati al luogo dell’offerta.
Raggiungendo il fondo della valle riarsa la processione si fermava: gli anziani si ponevano accanto alla giovenca e le spezzavano il collo. Il sacerdote poi prendeva il sangue della giovenca e, rivolto verso il tempio, lo spargeva con il dito per sette volte.
Se veniva rinvenuto il cadavere di una persona ammazzata in un campo, un omicidio d’autore ignoto, allora gli anziani della città più vicina a dove era stato trovato l’ucciso si facevano avanti lavando le loro mani sul corpo della giovenca mentre chiedevano a Dio di non imputare loro sangue innocente5. Dopo di che, il corpo intero della giovenca, sangue compreso, veniva bruciato. Mentre le fiamme s’innalzavano al cielo, il sacerdote si avvicinava e gettava una parte del legno di cedro, del legno di issopo e il nastro scarlatto in mezzo al fuoco6.
La giovenca rossa veniva offerta fuori dall’accampamento, illustrando così che Cristo soffrì non solo per la nazione ebraica, ma anche per il mondo intero. Se ogni sacrificio fosse stato ucciso all’interno del cortile del santuario, alcuni avrebbero potuto insegnare che Cristo era morto solo per gli ebrei, ma la giovenca rossa veniva offerta fuori dal cortile e fuori dall’accampamento, simboleggiando il fatto che Cristo morì per ogni tribù, lingua e popolo7.
La condiscendenza e l’amore di nostro Signore sono meravigliosi. Affinché qualche anima povera, abbandonata e scoraggiata, non pensasse di essere indegna del sacrificio offerto, la giovenca rossa non veniva portata solo fuori dall’accampamento, ma era pure condotta in una valle aspra, rocciosa e assolutamente sterile, mai neppure arata. Nessuno aveva mai tentato di coltivare tale suolo, eppure esso fu scelto per cospargervi il sangue di quell’offerta speciale che simboleggiava Cristo in un modo del tutto particolare, ovvero in qualità di Colui che è al di sopra della Legge.
Anche se Satana ha rovinato l’immagine del Creatore nell’uomo a un punto tale che difficilmente in lui si può vedere traccia di alcunché che non sia il carattere del Maligno, ciò per Dio non ha alcuna importanza, poiché Cristo, con il Suo potente braccio, può risollevare la vita di ogni individuo fino a farlo sedere con Lui sul Suo trono. L’intera vita di una persona può essere stata sprecata, divenuta come valle riarsa, senza alcun valore; ma se quella persona volgerà il suo sguardo al Santuario celeste e supplicherà misericordia confessando i suoi peccati, il prezioso sangue di Cristo, di cui il sangue della giovenca rossa era un simbolo, sarà cosparso sulla sua vita sprecata, come il sangue della giovenca veniva cosparso sulle ruvide pietre della valle. Cristo si rivolgerà a colui che si è pentito come fece al buon ladrone in croce: «sarai con me in paradiso»8, nonostante questi avesse precedentemente sprecato la propria esistenza.
Non c’è nessuno che sia sprofondato nel peccato o nelle tenebre del paganesimo che non possa ricevere speranza e salvezza tramite la simbolica offerta della giovenca rossa, un sacrificio ombra delle realtà celesti. Oggi il tipo ha già incontrato l’antitipo. Cristo ha sofferto fuori dall’accampamento per i peccati del mondo intero. Non c’è nessuno caduto così in basso che Egli non possa rialzare. Può sembrare impossibile all’uomo: i costumi e le abitudini apprese in questo mondo possono condannare una persona e far dire che essa è perduta, ma Cristo è al di sopra di ogni legge. «Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro»9. Il legno di cedro, l’issopo e lo scarlatto gettati nel fuoco erano simboli della purificazione della terra e della vegetazione da ogni traccia di peccato grazie al sangue di Cristo10.
Dopo che il corpo della giovenca veniva ridotto in cenere, una persona che non si era contaminata toccando i morti ne raccoglieva le ceneri e le poneva in luogo santo. Esse venivano conservate per purificare chiunque toccava i morti11. Se una persona moriva in una tenda o in una casa, la casa e tutti coloro che avevano toccato il cadavere erano considerati impuri fino alla cerimonia di purificazione. Ciò fu ordinato per imprimere nelle menti del popolo la terribile natura del peccato12. Insegnava che la morte è sia il simbolo che il risultato del peccato. Un po’ di cenere veniva posta in acqua corrente mentre una persona cerimonialmente pura vi immergeva rametti d’issopo e di cedro, impiegandoli poi per aspergere la tenda, gli oggetti all’interno di essa e le persone. Questo veniva ripetuto più volte fino a quando ogni cosa era purificata13.
Allo stesso modo, Cristo, dopo aver versato il suo sangue per l’uomo peccatore, entrò nel primo compartimento del Santuario celeste per presentare il Suo sangue davanti al Padre, al fine di purificare l’uomo dalla contaminazione del peccato14.
Il cedro e l’issopo impiegati per aspergere con l’acqua purificatrice denotavano che la persona aspersa veniva purificata da ogni contaminazione morale terrena. Si trattava di un’opera completa, perfetta, come indicato dal suo essere ripetuta più volte.
Davide pregò per il perdono del suo peccato avendo in mente questa cerimonia: «Purificami con l’issopo e sarò netto, lavami e sarò più bianco che neve»15. Scrivendo ai suoi fratelli ebrei, il pensiero dell’apostolo Paolo passò dal tipo all’antitipo: «Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati li santificano, in modo da procurare la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!»16.
Molte persone scorrono la Bibbia con gli occhi e rapidamente bollano questi bellissimi simboli come cerimonie peculiari degli ebrei, che non significano nulla per i cristiani. Considerano l’Antico Testamento di scarso valore. Tuttavia, per mezzo di Mosè, il Signore rivelò una meravigliosa galassia simbolica nel servizio del santuario e nelle leggi levitiche; Mosè temeva che il popolo potesse pensare che fosse stato lui a inventare per loro tali leggi, pertanto nel Pentateuco troviamo ripetuto oltre duecento volte il fatto che Dio stesso ne era l’Autore. Ciò avviene tramite espressioni del tipo: «Poi l’Eterno disse a Mosé…» o «Or l’Eterno comandò tutte queste cose dicendo…». In questo modo Mosè desiderava che tutti conoscessero che Dio stesso aveva rivelato quel meraviglioso sistema di forme e di ombre, non solo illuminando la storia dall’Eden fino alla Croce, ma anche svelando in anticipo all’uomo peccatore l’opera che Cristo avrebbe compiuto dalla Croce fino alla fine dei tempi! Queste cerimonie simboliche, come un grande riflettore, gettano luce sul ministero di Cristo in un modo così dettagliato e profondo da non poter essere ritrovato in nessun’altra sezione delle Scritture. Il Salvatore stesso insegnò che lo studio degli scritti di Mosè avrebbe rafforzato la fede in Lui: «Perché se credeste a Mosè, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di me. Ma se non credete agli scritti di lui, come crederete alle mie parole?»17.
Tipo | Antitipo |
Numeri 19:2 – «…portino una giovenca rossa, senza macchia, senza difetti e su cui non è mai stato posto alcun giogo» | Ebrei 9:13-14 – Cristo offrì Se stesso senza macchia a Dio |
Giovanni 15:10; 2 Corinzi 5:21 – Cristo non disobbedì mai alla Legge di Dio. Egli «non ha conosciuto peccato» | |
Giovanni 10:15 – «il Padre conosce me e io conosco il Padre, e depongo la mia vita per le pecore» | |
Numeri 19:3; Deuteronomio 21:4 – La giovenca rossa veniva uccisa fuori dall’accampamento, in una valle riarsa, che nessuno aveva mai coltivato | Ebrei 13:12; Giovanni 10:16 – «Perciò anche Gesú, per santificare il popolo con il proprio sangue, ha sofferto fuori della porta» |
Numeri 19:5-6 – Legno di cedro, d’issopo e stoffa scarlatta erano bruciati nel fuoco | 2 Pietro 3:7 – La Terra è riservata «per il fuoco, conservata per il giorno del giudizio e per la distruzione degli uomini empi» |
Numeri 19:17-19 – Gli impuri cerimonialmente venivano purificati dall’aspersione delle ceneri | 1 Corinzi 6:11 – «…siete stati lavati, santificati e giustificati nel nome del Signore Gesú Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio» |
Il mondo intero è in cerca di pace. Le nazioni combattono per la pace e migliaia di uomini vendono le loro anime per ottenere ricchezze nella vana speranza che esse portino loro pace e felicità. Ma non esiste alcuna pace reale e duratura se non quella che proviene dal grande Principe della Pace: essa non è ottenuta come risultato della guerra e del sangue versato dagli uomini, né proviene dall’avidità di afferrare le cose del mondo. L’ultima eredità che il Salvatore lasciò ai Suoi discepoli fu proprio la pace: «Io vi lascio la pace, vi do la mia pace; io ve la do, non come la dà il mondo; il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi»1.
La costante pace divina nel cuore non si ottiene perseguendo fama o ricchezze mondane. L’offerta della pace nel servizio levitico, altresì detta “sacrificio di ringraziamento”, ha insegnato magnificamente, in tipi e in simboli, come ottenere questo ambito tesoro. Per molti aspetti l’offerta della pace era diversa da tutte le altre offerte. Era l’unica offerta, eccezion fatta per la Pasqua, in cui il popolo poteva mangiare della carne, ma a differenza della Pasqua, non era limitata a un solo giorno dell’anno, potendo essere celebrata in qualsiasi momento.
Gli animali per tali offerte venivano scelti dal gregge o dalla mandria. Dovevano essere privi di imperfezioni, perché nessun animale deformato poteva rappresentare in modo adeguato il Principe della Pace2. Le offerte della pace erano realizzate in segno di ringraziamento, per confermare un voto o un’alleanza e come offerte volontarie3. Con un’offerta di pace Mosè ratificò l’antico patto con Israele4. Come leggiamo nell’Antico Testamento, l’offerta della pace era celebrata in tempi di particolare gioia. Quando Davide condusse l’arca a Gerusalemme, offrì sacrifici di ringraziamento e «distribuì a tutti gli Israeliti, uomini e donne, a ciascuno di essi, una focaccia di pane, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa»5.
L’offerta della pace era spesso associata ad altre offerte e veniva celebrata ovunque il popolo mangiasse della carne, eccezion fatta per l’occasione della Pasqua. L’individuo che la offriva poneva le mani sulla testa dell’animale e poi lo immolava. In seguito separava tutto il grasso dai vari organi del corpo, grasso che il sacerdote faceva fumare sull’altare degli olocausti6. Non solo il grasso veniva dato al sacerdote, ma anche il petto, la spalla, la coscia destra e le mascelle di ogni offerta.
La separazione e la combustione del grasso sono l’unico modo in cui si può ottenere la vera pace, vale a dire, consegnando tutti i nostri peccati al legittimo proprietario7. Il Principe della Pace, il Salvatore benedetto, «ha dato se stesso per i nostri peccati»8. Li ha acquistati per distruggerli, in modo tale da darci la pace. Ciò era correttamente rappresentato dal sacerdote, il quale serviva come “figura e ombra delle cose celesti”, quando egli prendeva il grasso dalle mani di colui che offriva il sacrificio di ringraziamento e lo bruciava sull’altare. Il sacerdote agitava poi il petto e la spalla destra davanti all’Eterno, quindi li mangiava come sua parte dell’offerta.
La separazione del grasso, del petto e della spalla destra rivelano il segreto per ottenere la pace. Chi ottiene la pace deve separarsi dal peccato, quindi appoggiarsi, come il discepolo amato, sul petto del Salvatore. Quando Cristo disse ai dodici che uno di loro lo avrebbe tradito, tutti avevano paura di chiedergli chi fosse. Conoscevano a malapena la loro vera relazione con il Salvatore, ma Giovanni, appoggiandosi al Suo petto, poté alzare tranquillamente gli occhi verso il Salvatore e dire: «Chi è, Signore?». Aveva la certezza che non avrebbe mai tradito il suo Signore.
Il profeta Isaia capì il significato della presentazione del petto al sacerdote nell’ambito dell’offerta della pace, infatti disse del Salvatore: «Egli pascolerà il suo gregge come un pastore, radunerà gli agnelli col suo braccio e li porterà sul suo seno…»9. Il figlio e la figlia di Dio che oggi, come l’amato Giovanni, si appoggiano al seno del loro Signore, godranno della vera pace di Dio, di cui l’offerta della pace era solo un simbolo.
Troviamo forza e benedizione nel realizzare l’antitipo della cerimonia in cui il sacerdote riceveva la spalla destra di ogni sacrificio di ringraziamento. Citiamo dal profeta Isaia, che amava scrivere del Salvatore: «Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato. Sulle sue spalle riposerà l’impero e sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace. Non ci sarà fine all’incremento del suo impero e pace sul trono di Davide e sul suo regno, per stabilirlo fermamente e rafforzarlo mediante il giudizio e la giustizia, ora e sempre…»10.
Notiamo che riceve pace senza fine solo colui che realizza che Cristo è il suo Salvatore personale, lasciando riposare il governo dei suoi affari sulle Sue spalle. Il motivo per cui così spesso non riusciamo a ricevere una pace duratura quando ci accostiamo a Dio è perché non andiamo oltre la consegna del grasso. Confessiamo i nostri peccati a Cristo ed Egli li assume su di Sé, ma diamo la nostra fiducia agli elementi del mondo, non appoggiandoci al petto del Signore. In questo modo non lo rendiamo il nostro vero confidente in tutto e non riusciamo a confidare nel fatto che Egli è in grado di liberare la strada davanti a noi, poiché il Pastore si prende cura dei suoi agnelli. Non lasciamo che il governo dei nostri affari riposi sulla Sua forte e potente spalla. Abbiamo paura di fidarci di Lui per gestire i nostri affari temporali; di conseguenza, anche dopo aver confessato i nostri peccati e essere stati perdonati, siamo ben presto imbrigliati ancora nelle preoccupazioni e nei problemi dei nostri doveri quotidiani. Invece di avere pace senza fine, abbiamo problemi senza fine. Quando consegneremo la chiave, il controllo di tutti i nostri affari, a Cristo, scopriremo che Egli aprirà davanti a noi porte che nessuno potrà chiudere e chiuderà i sentieri nei quali non vuole che noi ci avventuriamo, in maniera tale che nessun potere potrà aprirli per intrappolare i nostri piedi11.
Quando Samuele ebbe unto Saul come re su tutto Israele, lo condusse a casa sua e «disse al cuoco: “porta la porzione che ti ho dato e di cui ti ho detto: “Mettila da parte””. Il cuoco allora prese la coscia e ciò che vi aderiva e la mise davanti a Saul. Quindi Samuele disse: “Ecco ciò che è stato tenuto in serbo è stato messo da parte per te; mangia perché è stato conservato appositamente per te quando ho invitato il popolo”. Così quel giorno Saul mangiò con Samuele»12. Se Saul avesse compreso la meravigliosa lezione caratterizzata da questo atto di Samuele, avrebbe posto il governo del regno sulla spalla e sulla coscia del grande Principe della Pace: non avrebbe fatto della sua vita un triste naufragio.
Un’altra caratteristica da considerare per sperimentare l’antitipica offerta della pace riguarda la consegna al sacerdote delle due mascelle13. Il grande Antitipo del Principe della Pace direbbe a ragione: «Ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva e le mie guance a chi mi strappava la barba, non ho nascosto il mio volto all’ignominia e agli sputi»14. E a colui che vuole godere della pace che il mondo non può né dare né togliere, Cristo afferma: «Ma io vi dico: Non resistere al malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra»15. Giobbe, di cui il Signore disse che era «un uomo integro e retto», aggiungerebbe: «mi percuotono con disprezzo sulle guance»16. Al figliuolo di Dio viene spesso chiesto di sopportare censura e biasimo per amore di Cristo.
Assieme all’offerta della pace venivano mangiate pure focacce non lievitate unte con olio. Il pane non lievitato indicava sincerità e verità17 e l’olio è emblema dello Spirito Santo, che porta la pace al cuore. Veniva mangiato anche del pane lievitato assieme ai sacrifici di ringraziamento, come segno di gioia.
Dopo che Abramo ebbe ricevuto la promessa che Sara avrebbe avuto un figlio, tre persone visitarono il patriarca mentre questi «sedeva all’ingresso della tenda durante il calore del giorno», indubbiamente pensando alla promessa ricevuta; in segno di ringraziamento preparò subito per loro un’offerta di pace con pane non lievitato e carne. I tre mangiarono e subito confermarono nuovamente ad Abramo la promessa di un figlio18.
Potrebbe essere stato a causa di uno snaturamento dell’offerta della pace, con sua conseguente perdita di significato, che i figli di Israele assunsero l’abitudine di mangiare continuamente carne.
Sussisteva una rigida restrizione su come mangiare l’offerta della pace: la carne doveva essere consumata il primo o il secondo giorno. Il comando era molto chiaro: «Se nel terzo giorno si mangia della carne del suo sacrificio di ringraziamento, esso non sarà accetto e non gli sarà accreditato; sarà una cosa abominevole; e colui che ne mangia, porterà la pena del suo peccato»19.
Questo sacrificio, che poteva essere offerto da ricchi e da poveri in qualsiasi momento dell’anno e tutte le volte che desideravano, era un tipo significativo della resurrezione del Principe della Pace. Invero l’intera economia ebraica, con le sue forme e le sue leggi, era una profezia in forma compatta del Vangelo.
La Pasqua con le primizie agitate il terzo giorno insegnavano la risurrezione, ma solo il sacerdote entrava nel tempio e agitava la manciata di grano come simbolo della resurrezione di Cristo, mentre nell’offerta della pace a ogni figlio e figlia di Dio fu data l’opportunità di mostrare la propria fede nella risurrezione di Cristo. Se uno mangiava la carne il terzo giorno, indicava che considerava l’Antitipo della propria offerta di pace ancora morto in tale giorno. Chi invece si rifiutava di mangiare la carne il terzo giorno e bruciava nel fuoco tutto ciò che era rimasto mostrava la sua fede nel Salvatore risorto.
Nella calda Palestina il corpo morto cominciava a decomporsi il terzo giorno. Marta disse di Lazzaro: «Egli puzza già, poiché è morto da quattro giorni»20. Ma il salmista, profetizzando la risurrezione di Cristo, disse: «non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione»21. Davide sapeva che il Salvatore sarebbe resuscitato il terzo giorno. Coloro che vissero a contatto con il Signore videro la Luce riflettersi dal simbolico servizio levitico.
Fu su questa verità riguardo alla resurrezione di Cristo, insegnata da Davide e simboleggiata nel sacrificio di ringraziamento, che Pietro basò l’argomento più forte del sermone di Pentecoste22. Paolo si riferiva evidentemente ai simboli della Pasqua e dell’offerta della pace quando insegnò che «Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture, e che fu sepolto e resuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture»23. Gli occhi dei discepoli erano così accecati dal peccato e dal dubbio che non poterono discernere la Luce che brillava dalle offerte sacrificali. Proprio come la luna riflette i raggi del sole in modo da fornire luce sufficiente per camminare in sicurezza durante la notte, così la Luce del grande Antitipo, l’Agnello di Dio, riflessa dalle leggi levitiche e dalle offerte sacrificali, era sufficiente a condurre il popolo in sicurezza nel Regno di Dio.
Oggi molte persone desiderano la pace e affermano di rallegrarsi con Dio banchettando della Sua Parola giorno dopo giorno, eppure inciampano nelle tenebre; ciò accade perché, al pari di chi mangiava la carne dell’offerta il terzo giorno e così rappresentava chi credette alla menzogna che il Signore fosse ancora morto, costoro attraversano la vita piangendo a lutto, come se il Signore della vita e della gloria fosse ancora morto nella tomba di Giuseppe, invece di essere vivo in Cielo alla destra del Padre, pronto a mandare Luce e soccorso a ogni Suo fiducioso seguace qui in Terra. Il messaggio che Egli ci invia dal Santuario celeste è: «io fui morto, ma ecco sono il Vivente per i secoli dei secoli, amen!»24.
Tipo | Antitipo |
«Cristo è la nostra Pace». Efesini 2:14 | |
Levitico 3:1 – L’offerta di pace era senza difetto | 1 Giovanni 3:5 – In Cristo non c’era peccato |
Levitico 7:29-30 – Grasso separato dall’offerta | 2 Corinzi 3:15 – Esaminate e provate voi stessi… |
Levitico 7:31 – Il grasso veniva bruciato | Matteo 25:41 – Peccato e peccatori saranno bruciati |
Levitico 7:32-33 – La spalla destra era la porzione del sacerdote | Isaia 9:6; Luca 15:5 – L’impero è e sarà sulle spalle di Cristo |
Levitico 7:31 – «Il petto sarà di Aaronne e dei suoi figli» | Isaia 40:11 – «Egli pascolerà il suo gregge come un pastore … porterà gli agnelli sul suo seno» |
Deuteronomio 18:3 – Mascelle date al sacerdote | Matteo 26:67; Isaia 50:6 – Gesù percosso in volto |
Levitico 7:15-16 – La carne poteva essere mangiata solo nel primo e nel secondo giorno | 1 Corinzi 15:3-4 – Cristo rimase il primo (venerdì) e il secondo (sabato) giorno nella tomba |
Levitico 7:17-18 – La carne non doveva essere mangiata nel terzo giorno | Matteo 28:6; Luca 24:21 – Il terzo giorno (domenica), l’angelo giunto alla tomba vuota disse: «Egli non è qui, è resuscitato dai morti» |
Tra tutte le malattie ereditate dall’umanità nessuna è più ripugnante della lebbra. L’individuo che ne è affetto convive per anni con questa terribile infermità che lentamente corrode intere porzioni del suo corpo, finché non gli resta che desiderare la morte come unica liberazione.
Fin dai tempi antichi la lebbra è stata considerata una rappresentazione molto appropriata della natura del peccato come disgustosa malattia spirituale che distrugge l’animo di colui che viola ripetutamente la sua coscienza fino a non avere più alcun potere di resistere al male, arrendendovisi completamente.
Quando Miriam divenne gelosa e invidiosa di sua cognata, mormorando assieme ad Aaronne contro Mosè, «l’ira dell’Eterno si accese contro di loro … ed ecco, Miriam era lebbrosa, bianca come la neve». Dopo che Dio ebbe insegnato la lezione che i peccati di gelosia, mormorio e ricerca dei difetti altrui sono per la vita spirituale ciò che la lebbra è per l’essere fisico, Miriam fu guarita in risposta alla preghiera di Mosè1.
Quando Ghehazi, servo di Eliseo, desiderò i tesori di Naaman, mentendo e dissimulando le proprie intenzioni al fine di ottenerli, fu su di lui il provvedimento del Signore: «la lebbra di Naaman si attaccherà a te…»2. Vista la testimonianza delle esperienze di Miriam e di Ghehazi, è normale che gli ebrei considerassero la lebbra come un giudizio del Signore.
Al lebbroso non era permesso di mescolarsi con la gente: dal re in trono fino al più umile servitore non c’era alcuna eccezione. Il comando del Signore era: «il lebbroso, affetto da questa piaga, porterà le vesti strappate e il capo scoperto; si coprirà la barba e griderà: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro tutto il tempo che avrà la piaga: è impuro, vivrà da solo; abiterà fuori dall’accampamento»3.
Poiché la lebbra figurava i peccati peggiori, la cerimonia per la purificazione del lebbroso abbracciava più elementi profetici di qualsiasi altra offerta. Solo il sacerdote che aveva esaminato il lebbroso, dichiarandolo impuro, poteva dichiararlo di nuovo puro. Il sacerdote usciva dall’accampamento ed esaminava il lebbroso: se la lebbra era guarita, allora l’uomo sanato doveva portare al sacerdote «due uccelli vivi e puri, del legno di cedro, dello scarlatto e dell’issopo». Uno dei due uccelli veniva ucciso in un vaso di terra su acqua corrente; poi l’uccello vivo, lo scarlatto, l’issopo e il cedro venivano tutti immersi nel sangue dell’uccello sgozzato. Il sacerdote aspergeva sette volte il sangue su colui che doveva essere purificato e lo dichiarava puro4.
La lebbra è una malattia molto contagiosa: tutto ciò che il lebbroso tocca è contaminato. Anche il peccato è una malattia terribile: terra, aria e acqua sono tutti maledetti dai peccati dell’umanità e devono essere purificati dallo stesso sangue che purifica l’uomo. Pertanto, solo dopo che il lebbroso veniva dichiarato puro, l’uccello vivo, con le sue piume scarlatte macchiate di sangue, veniva lasciato libero di volare. Il sangue non era solamente asperso sulla persona impura, ma veniva anche trasportato nell’aria, carica dei germi della malattia e del peccato, simboleggiando così il sangue di Cristo che darà un nuovo cielo (una nuova atmosfera) a questa terra maledetta dal peccato.
Prima che l’uomo peccasse, non c’era vegetazione in decomposizione, gli incantevoli alberi non erano distrutti dai parassiti degli insetti, tutto era libero dalla rovina. Solo il sangue di Cristo può ripristinare la vegetazione alla bellezza dell’Eden. Per simboleggiare questo Potere rigenerante, un pezzetto di cedro, il gigante della foresta, e uno di issopo, la piccola pianta «che spunta dal muro»5, erano immersi nel sangue. Furono scelti proprio per rappresentare i due estremi dimensionali della vegetazione, abbracciando così ogni specie di pianta.
Anche la vita animale è stata maledetta dal peccato, ma tramite il Potere redentore del sangue di Cristo verrà il momento in cui «il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo giacerà col capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato, staranno insieme e un bambino li guiderà»6. La lana scarlatta immersa nel sangue rappresentava il regno animale7. Il sangue dell’uccello era collocato in un vaso di terra su acqua corrente. Notiamo dunque che nella purificazione del lebbroso il sangue veniva a contatto diretto non solo con l’uomo, ma figurativamente pure con tutto il resto del creato macchiato dal peccato: vale a dire, terra, aria, acqua, vegetazione e regno animale.
Questi tipi così meravigliosi erano solo profezie sintetiche del più meraviglioso Antitipo. Durante l’agonia Cristo si inginocchiò sul freddo terreno del giardino del Getsemani e grandi gocce di sangue caddero a terra dal Suo volto8. Quattromila anni prima, quando Caino uccise suo fratello, per la prima volta la terra si era macchiata del sangue umano, che cadde come un’avvizzente maledizione, distruggendo la fertilità del suolo9. Da allora, molte volte il seno della Terra è stato toccato dal sangue dell’uomo, inondato da fiumi di sangue mentre schiere armate di esseri umani, istigate da Satana, si sono massacrate a vicenda. Ogni goccia di sangue si è aggiunta a questa maledizione10. Ma quanto è diverso l’effetto del sangue del nostro Salvatore benedetto! In esso vi era la cura, la panacea purificatrice11.
La maledizione del peccato grava pesantemente sull’atmosfera, così carica dei germi della malattia che «la morte è salita per le nostre finestre, è entrata nei nostri palazzi per far sparire i bambini dalla strada e i giovani dalle piazze»12. Nella cerimonia tipica il sangue dell’offerta gocciolava dalle piume dell’uccello mentre questi volava in aria. Nella grande Offerta antitipica, il prezioso sangue curativo di Cristo gocciolò nell’aria dalle Sue mani e dai Suoi piedi feriti, mentre Egli pendeva dalla Croce del Calvario, e cadde sulle rocce sottostanti. Come vediamo, i simboli del vecchio servizio levitico non erano cerimonie senza senso, ma profezie del grande Antitipo.
Sin dai tempi antichi, l’acqua è stata colpita dalla maledizione del peccato13. L’uccello sgozzato su acqua corrente era un simbolo della morte di Cristo, che avrebbe rimosso per sempre la maledizione del peccato dalle acque della terra. Il sangue di Cristo venne a contatto diretto con l’acqua; quando il soldato trafisse il costato del Salvatore con la lancia crudele, «subito ne uscì sangue ed acqua»14, non una miscela di sangue e acqua, ma sangue e acqua, due fonti abbondanti.
Il meraviglioso simbolo dell’uccello vivo immerso nel sangue dell’uccello ucciso e poi lasciato libero alla sua vita gioiosa è per noi il simbolo dell’espiazione. Morte e vita erano mescolate, presentando al ricercatore della Verità il tesoro nascosto, l’unione del sangue perdonatore con la risurrezione e la vita del nostro Redentore. L’uccello veniva ucciso su acqua corrente; quel ruscello che scorreva era il simbolo dell’efficacia sempre corrente e sempre purificante del sangue di Cristo.
La croce su cui pendeva il Salvatore, macchiata del Suo sangue prezioso, era fatta degli alberi della foresta e un piccolo bastoncino di issopo sosteneva la spugna immersa nell’aceto, datagli per placare la Sua sete.
Il Salvatore appeso in croce non udì alcuna parola, né vide alcun segno umano che indicasse che il Suo Sacrificio fosse stato apprezzato: solo scherno, sarcasmo, blasfemia e improperi giungevano alle Sue orecchie. Anche uno dei due condannati al Suo fianco si unì al coro, ma fu allora che l’altro condannato lo rimproverò e si rivolse a Gesù: «Signore, ricordati di me quando verrai nel tuo regno». La risposta di Gesù: «In verità oggi ti dico che tu sarai con me in paradiso»15 conteneva la garanzia del perdono. Mentre il sangue purificante di Cristo scorreva via dalle sue vene, il criminale gioì del suo Potere di lavare via il peccato. Colui che i Suoi nemici ritennero vinto, morì come potente Conquistatore; il condannato a morte sperimentò l’adempimento della promessa: «anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve…»16.
Un significato particolare si nascondeva nel colore della lana immersa nel sangue dell’offerta cerimoniale. È quasi impossibile rimuovere delle macchie scarlatte, ma “anche se i vostri peccati fossero come scarlatto”, il sangue di Cristo può renderli “bianchi come la neve”. Potreste essere dei condannati a morte, degli emarginati da tutti sulla Terra, ma se guardate al Salvatore, credendo con forza nel Suo Potere purificante per voi, Egli laverà via i vostri peccati e porrà gioia e allegrezza nel vostro cuore.
Anche se chi guariva dalla lebbra era asperso dal sangue e dichiarato puro, c’era ancora qualcosa che doveva fare. Otto giorni dopo essere stato dichiarato puro doveva comparire davanti al sacerdote e, tra le varie cose, portare due agnelli, un’oblazione di cibo e mezzo litro d’olio. Il sacerdote presentava l’individuo all’ingresso del tabernacolo e agitava uno degli agnelli e l’olio davanti al Signore. Poi immolava l’agnello agitato e prendeva parte del suo sangue mettendolo «sulla punta del lobo dell’orecchio destro della persona da purificare, sul pollice della sua mano destra e sul dito grosso del suo piede destro»17, consacrando così le sue orecchie per ascoltare solo ciò che le avrebbe mantenute pure, le sue mani al servizio di Dio e i suoi piedi a camminare esclusivamente lungo il sentiero dei comandamenti del Signore.
Poi il sacerdote prendeva il vaso con mezzo litro d’olio e, dopo averne asperso una parte davanti all’Eterno, ne collocava un poco «sull’estremità dell’orecchio destro di colui che deve essere purificato, sul pollice della sua mano destra e sul dito grosso del suo piede destro» e poi versava l’olio rimasto sul capo della persona sanata18.
Questo servizio non era una forma vuota, ma un simbolo benedetto di ciò che si compie in ogni cristiano che si presenta al servizio di Dio dopo che il Signore ha perdonato i suoi peccati e lo ha dichiarato puro. Gesù disse di Maria: «I suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui al quale poco è perdonato, poco ama»19. Il lebbroso purificato da quella ripugnante morte graduale si sentiva ora così grato a Dio per la liberazione e la catarsi ricevute da decidere di consacrare la propria vita al servizio del Signore. L’olio, emblema dello Spirito Santo che prepara il cristiano al servizio, non toccava solo il suo orecchio, la sua mano e il suo piede, ma veniva anche versato sulla sua testa, segnando così una completa resa dell’intero essere umano al servizio del Maestro che lo ha redento. I libri del Cielo registrano i nomi dei molti che hanno adempiuto a questo bellissimo antitipo, cedendo tutto il loro essere al servizio del loro Redentore.
La legge levitica prevedeva anche la purificazione delle case e degli indumenti infetti da lebbra. Se il proprietario di una casa vedeva segni di lebbra, doveva riferire la questione al sacerdote, che procedeva immediatamente all’esame della casa. Per prima cosa la casa doveva essere svuotata e se il sacerdote vedeva striature “verdastre o rossastre” sui muri, la casa doveva essere chiusa per sette giorni. Se alla fine di quel periodo i muri erano ancora coperti con la muffa, dovevano essere raschiati, le pietre tolte e la casa accuratamente riparata. Se le macchie comparivano ancora, questo dimostrava che la lebbra non proveniva da alcuna perdita o difetto nelle pareti, ma che la posizione della casa era umida e malsana: essa doveva essere abbattuta20.
Se le istituzioni sanitarie moderne vigilassero sull’integrità delle case delle persone come facevano le antiche leggi levitiche, ci sarebbero molti meno casi di quella terribile malattia che è la tubercolosi.
Le leggi relative agli indumenti infetti da lebbra erano molto rigide21. Se la piaga di lebbra non poteva essere rimossa con il lavaggio, allora l’indumento doveva essere bruciato nel fuoco. C’è una profonda lezione spirituale contenuta in questa istruzione. Dio ha dato indicazioni molto precise sul vestiario dei Suoi seguaci22. Non ha mai voluto che il Suo popolo seguisse le sciocche mode del mondo23. Ci dovrebbe essere una marcata differenza tra il vestiario del cristiano e quello del mondo24. I cristiani possono argomentare di aver vinto l’orgoglio e che quando indossano abiti alla moda e si vestono come il mondo ciò non li tocca, perché hanno conquistato l’orgoglio. Questa è la medesima situazione di una persona appena guarita dal vaiolo che indossi gli indumenti infetti. Poiché ha già avuto la malattia una volta e se ne è ripreso, sa che non c’è pericolo che essa ritorni e quindi pensa che anche gli indumenti non siano pericolosi, ma in realtà egli ne sta seminando i germi ovunque vada. Analogamente, il cristiano che viene meno all’obbedire alle istruzioni divine sull’abbigliamento, mal rappresenta il suo Signore e pianta i semi dell’orgoglio e della vanità nei cuori dei membri di chiesa più deboli. È meglio seguire le istruzioni del servizio levitico e persino bruciare gli indumenti infetti da orgoglio e vanità, piuttosto che rappresentare in modo scorretto il nostro Signore e Maestro anche solo nel vestiario.
Tipo | Antitipo |
«L’intero sistema del giudaismo fu l’Evangelo velato» | |
Levitico 14:6-7 – Il sangue veniva asperso su colui che doveva essere purificato | 1 Pietro 1:2; 1 Giovanni 1:7 – L’aspersione del sangue di Gesù purifica da ogni peccato |
Levitico 14:6 – Cedro, scarlatto e issopo venivano immersi nel sangue e rappresentano l’interezza della vegetazione (foresta-arbusti: 1 Re 4:33) e della vita animale (Ebrei 9:19) | Giovanni 19:29 – Un ramo d’issopo sosteneva la spugna inzuppata nell’aceto accostata alla bocca di Cristo. La croce era realizzata con il legno degli alberi della foresta |
Levitico 14:5 – Il sangue dell’uccello ucciso era raccolto in un vaso di terra | Luca 22:44 – Il sangue di Gesù toccò la Terra |
Levitico 14:6-7 – L’uccello immerso nel sangue era libero di volare nell’aria (l’aria è impura: Geremia 9:21) | Apocalisse 21:1 – Ci sarà una nuova atmosfera (un nuovo cielo). Dalla Croce il sangue di Cristo è entrato in contatto con l’aria, purificandola |
Levitico 14:14, 17 – La punta del lobo dell’orecchio destro, il dito della mano destra e il dito grosso del piede destro erano intinti nel sangue e nell’olio | Isaia 42:18-20 – I servi di Dio sono sordi in merito alle cose che non devono ascoltare |
Salmo 119:48 – «Alzerò le mie mani verso i tuoi comandamenti, perché li amo…» | |
Genesi 17:1 – «Io sono il Dio Onnipotente; cammina alla mia presenza e sii integro» |
SEZIONE 6 – IL SERVIZIO DEL SANTUARIO
DAVANTI AL TRONO STA IL MIO SALVATORE
Charles Wesley
Alzati, anima mia, alzati,
scuoti le tue paure di reità;
il Sacrificio insanguinato
anche per me fu manifestato.
Davanti al Trono sta il mio Salvatore:
il mio nome è scritto sulle Sue Mani.
Egli lassù vive per sempre,
intercedendo in mio favore;
tutto redime il Suo amore,
il Suo Sangue prezioso
perora la mia causa.
Per l’intera nostra razza
il Suo Sangue fu versato
e or asperge il Trono della Grazia.
Cinque ferite insanguinate,
ricevute al Calvario, Egli porta;
effondono suppliche efficaci,
per me gridando:
«Perdonalo! Oh, perdona!»,
esse piangono, «non lasciar
morire il peccatore affranto!».
Il Padre ode il Suo Santo,
il Suo caro Unto così implorare
e le spalle non può voltare
alla presenza di Suo Figlio.
Il Suo Spirito al Sangue risponde
e mi dice che anch’io
figlio sono di Dio!
Il tabernacolo era circondato da un cortile di cento cubiti di lunghezza e cinquanta di larghezza, racchiuso da tendaggi di lino fino ritorto sostenuti da colonne di bronzo. Le colonne erano rifinite con uncini e aste d’argento; i tendaggi erano appesi agli uncini mediante ganci d’argento. Il cortile formava un rettangolo, i cui lati più lunghi erano a nord e a sud, mentre i lati corti sorgevano a est e a ovest. La porta, o ingresso, di venti cubiti di larghezza, era centrata sul lato orientale. I tendaggi costituenti l’ingresso del cortile erano «di filo violaceo, porporino, scarlatto e di lino fino intrecciato, lavorato con ricami» ed erano sospesi su quattro colonne di bronzo, sempre rifinite in argento1.
L’altezza del cortile era solo metà di quella del tabernacolo, sicché, al di sopra dei bei tendaggi del cortile e del luccichio dell’argento e del bronzo delle numerose colonne, si potevano scorgere le pareti dorate del tabernacolo con le sue magnifiche cortine e i suoi rivestimenti. Chi si trovava fuori dal cortile doveva guardare al di sopra di esso per poter ammirare le glorie del tabernacolo, così colui che per fede contempla le bellezze del Santuario celeste deve elevare i suoi pensieri al di sopra delle cose di questa terra e centrarli sulle cose celesti.
Due gli arredi principali del cortile: la conca e l’altare degli olocausti. L’altare era ricoperto di bronzo ed erano di bronzo pure la conca, i vasi e tutti gli utensili impiegati nel servizio dell’altare degli olocausti. L’altare era posto tra il tabernacolo e l’ingresso, ma più vicino all’ingresso che al tabernacolo2. Niente nel santuario venne realizzato secondo piani umani, ma ogni cosa fu plasmata in accordo al modello divino. Quando il Signore ebbe dato a Mosè le istruzioni in merito alla costruzione dell’altare di bronzo, aggiunse: «dovrà essere fatto come ti è stato mostrato sul monte»3.
L’altare era una scatola cava a base quadrata di cinque cubiti, alta tre cubiti e fatta di tavole di legno d’acacia. Su ogni angolo sorgeva un corno dello stesso legno. Una griglia di bronzo, posta internamente al centro dell’altare, sosteneva il fuoco e gli dava forma, oltre ad agevolare la caduta delle ceneri verso il basso. L’altare con i suoi corni era interamente rivestito di bronzo4. «L’altare sarà santissimo: tutto ciò che toccherà l’altare sarà santo»5 era il decreto divino. Indubbiamente fu per questo che Adonijah e Joab si aggrapparono ai corni dell’altare nel tentativo di sfuggire alla sentenza di morte pronunciata su di loro da Salomone6.
Tutti gli olocausti del santuario venivano consumati interamente sull’altare di bronzo. Il suo fuoco fu acceso dal Signore stesso7 e da quel momento in poi fu sempre tenuto acceso, senza interruzioni: non si doveva mai spegnere8. Il Fuoco che distruggerà ogni peccato, come quello sull’altare di bronzo, sarà acceso da Dio, scendendo dal Cielo, e non sarà spento finché non ci sarà più alcun peccato da consumare9.
Oltre agli olocausti, sull’altare di bronzo venivano bruciate anche porzioni di svariate offerte. Vi era consumato tutto ciò che rappresentasse il peccato. Poiché il fuoco vi ardeva continuamente, è stato chiamato “l’altare dell’espiazione continua”. Il peccato separa l’uomo da Dio10: ogni peccato deve essere abbandonato prima che il peccatore possa essere riunito11 a Dio. Pertanto l’opera svolta su questo altare era anche un simbolo della distruzione finale del peccato, che sarà necessaria affinché i redenti possano poi godere della loro eredità eterna.
Paolo parlò di questo altare come di un simbolo di Cristo12. Tutto il servizio dell’altare degli olocausti caratterizzava l’opera collegata alla distruzione del peccato, un’opera che solo Cristo può compiere. Il Padre ha consegnato nelle mani del Figlio la distruzione finale di peccato e peccatori13.
I corni dell’altare di bronzo venivano di frequente toccati con le dita intinte nel sangue delle varie offerte e il sangue di ogni offerta per il peccato era versato alla base di questo altare. Eccettuati pochissimi casi, tutti i sacrifici venivano immolati nel cortile o alla porta della tenda di convegno, come era spesso chiamato l’ingresso del luogo santo, dato che l’intera congregazione di Israele si riuniva nel cortile di fronte a questa porta. Nessuno, tranne i sacerdoti, poteva entrare all’interno del luogo santo, in quanto esso caratterizzava il Santuario celeste, dove Cristo dimora col Padre, circondato da radiosi cherubini e serafini. Il servizio del cortile era rappresentativo dell’Opera svolta in Terra, mentre le cerimonie del primo e del secondo compartimento del santuario caratterizzavano l’Opera compiuta in Cielo.
Nessun sacrificio venne mai immolato all’interno del santuario, ma tutti furono uccisi nel cortile; poi il sangue e la carne potevano essere portati all’interno del santuario dal sacerdote. Cristo, il grande Sacrificio, realizzazione di tutti i simboli, fu immolato nel “cortile” di questa Terra, per poi accedere al Santuario nei cieli con il Suo stesso sangue e con il medesimo corpo in cui portò i nostri peccati sul Calvario. I peccati sono perdonati e cancellati dai registri del Santuario celeste, ma non vengono distrutti là. Proprio come nelle varie cerimonie il fuoco dell’altare di bronzo nel cortile consumava ciò che rappresentava il peccato (il grasso), così nell’antitipo, i malvagi saranno sparsi «sulla superficie della Terra» quando il Fuoco divino scenderà dal Cielo su di loro e li divorerà14. Questa Terra è il grande Cortile antitipico, dove tutto il servizio svolto nel cortile del santuario terreno incontrerà il suo adempimento.
Il fuoco bruciava costantemente sull’altare e alla sua base si accumulavano le ceneri. Come sappiamo, i sacerdoti nel santuario terreno servirono in tutto «di esempio e d’ombra delle cose celesti» (Ebrei 8:5): persino la rimozione delle ceneri fu progettata dal Signore in modo da caratterizzare una parte dell’opera finale di Cristo. Mentre il sacerdote toglieva le ceneri dalla base dell’altare doveva essere vestito con i capi di lino bianco e puro. Le ceneri venivano dapprima prelevate dal sacerdote, raccolte e poste «accanto all’altare», «verso est»15. Quando giungeva il momento di rimuoverle da tale luogo, il sacerdote dismetteva le proprie vesti sacerdotali e indossava altri indumenti, poi portava le ceneri fuori dall’accampamento e le riversava in «luogo puro»16. Cenere è tutto ciò che rimarrà del peccato, del diavolo e dei peccatori dopo che i fuochi dell’ultimo giorno avranno concluso il loro lavoro. Rimossa l’ultima traccia del peccato, apparirà una nuova Terra, un luogo puro e senza macchia. I giusti cammineranno allora sulla faccia di una Terra pulita, pura e le ceneri del peccato e di tutto ciò che ad esso aveva aderito si troveranno sotto i loro piedi. Invero il tipo avrà infine incontrato l’antitipo e le ceneri saranno in “luogo puro”17.
Il sacerdote depositava le ceneri accanto all’altare indossando le vesti sacerdotali. Le ceneri rappresentavano i peccati confessati dei giusti. Quando Cristo porta su di Sé i peccati confessati del Suo popolo indossa le vesti sacerdotali, ma giungerà il momento in cui porrà i peccati dei giusti sulla testa di Satana. Allora metterà da parte le vesti sacerdotali e verrà su questa terra con vesti regali, per rimuovere dal Suo Regno «tutti gli scandali e gli operatori di iniquità»18. In quel momento tutti i peccati e i peccatori saranno bruciati nel Fuoco. Non in vesti sacerdotali Cristo uscirà nel cortile antitipico, la Terra, per completare la distruzione del peccato, ma in qualità di Re dei re e Signore dei signori.
Gran parte del servizio simbolico è stato ordinato dal Signore in modo particolare per suscitare uno spirito di indagine nelle menti dei giovani, affinché essi stessi ponessero delle domande in merito. La Pasqua fu pianificata in modo tale che i bambini chiedessero: «Che significa per voi questo rito?»19. Dodici pietre furono ammucchiate sulle rive del Giordano come “segno” per attirare l’attenzione dei bambini, affinché in risposta alla loro domanda, «Che significano per voi queste pietre?», potessero apprendere del tempo in cui Dio separò le acque del Giordano davanti agli eserciti d’Israele20. Se nel bambino si suscita la curiosità al punto tale da spingerlo a indagare da se stesso, allora le lezioni apprese rimarranno impresse nella sua mente con maggiore forza.
È dunque plausibile che per proprio questa ragione Dio ordinò che le ceneri del sacrificio fossero prima poste accanto all’altare, a formare un mucchio così appariscente che ogni bambino, entrando nel cortile, non avrebbe potuto fare a meno di notarle e chiedere: “Cosa intendete con queste ceneri?”. In risposta il genitore gli avrebbe insegnato la meravigliosa verità della fine di tutti i peccati, bruciati in cenere nei fuochi dell’ultimo giorno21. Quando poi i bambini uscivano fuori dall’accampamento coi genitori, la loro attenzione sarebbe stata attratta dall’insolita vista delle ceneri collocate in un luogo perfettamente pulito; in risposta alle loro domande la bella lezione della nuova Terra, che emergerà dal Fuoco distruttore di ogni traccia di peccato, sarebbe rimasta incisa nelle loro giovani menti. L’intero sistema di purificazione di questa Terra dal peccato era davanti alle menti d’Israele nei simboli delle ceneri e dello sversamento del sangue alla base dell’altare.
L’assemblea d’Israele poteva riunirsi nel cortile, ma solo i sacerdoti dovevano eseguire il servizio dell’altare22. I Leviti erano incaricati della cura del santuario, ma non potevano svolgere il servizio dell’altare, quell’opera tipica che nessuno tranne Cristo poteva compiere. Lui solo può distruggere il peccato.
La conca stava tra l’altare di bronzo e l’ingresso del santuario. Sia la conca che la sua base erano realizzate in bronzo. Vi era conservata dell’acqua perché i sacerdoti si lavassero le mani e i piedi prima di entrare nel santuario per svolgere un qualsiasi compito. Erano anche tenuti a lavarsi sempre mani e piedi prima di andare «all’altare per fare il servizio, per far fumare un’offerta fatta all’Eterno mediante il fuoco». La mancata ottemperanza a questa regola avrebbe determinato la morte23. Il popolo nel cortile osservava i sacerdoti mentre si lavavano nell’acqua prima di svolgere i santi incarichi e questo rito sicuramente suggeriva loro la verità che Cristo rivelò a Nicodemo quando disse: «se uno non è nato d’acqua e di Spirito non può entrare nel Regno di Dio»24.
Tipo | Antitipo |
Esodo 27:9-18 – Intorno al tabernacolo sorgeva un cortile ove le offerte erano immolate (cfr. Levitico 4:4, 14-15, 24, 29 | Giovanni 12:31-33 – La grande Offerta antitipica, Cristo, è stata immolata sulla Terra |
Levitico 6:10-11 – Ceneri collocate in luogo puro | Malachia 4:1-3 – Le ceneri degli empi saranno lasciate sulla Terra purificata |
Levitico 6:10 – Il sacerdote indossava le vesti sacerdotali al sistemare le ceneri accanto all’altare | Ebrei 2:17 – Cristo è il Sommo Sacerdote che fa l’espiazione per i peccati del Suo popolo |
Levitico 6:11 – Il sacerdote si cambiava d’abito al rimuovere le ceneri dal loro mucchio accanto all’altare e le collocava fuori dall’accampamento | Apocalisse 19:14-16; Isaia 63:1-4 – Quando Cristo verrà sulla Terra per distruggere peccato e peccatori cambierà le vesti sacerdotali con quelle reali |
L’opera nel primo compartimento del santuario consisteva principalmente dei servizi quotidiani del mattino e della sera, delle offerte individuali per il peccato e dei servizi nei giorni festivi o in occasioni speciali. La presenza visibile di Dio fu manifestata nel primo compartimento o “tenda di convegno”. Presso il primo velo, l’ingresso della tenda di convegno1, dove il popolo presentava le proprie offerte per il peccato, Dio incontrava i figli d’Israele e comunicava con loro. A volte la Nuvola della gloria, che rappresentava la presenza visibile del Santissimo, riempiva il primo compartimento al punto che nessuno era in grado di entrare2.
La presenza di Dio manifestata nel primo compartimento del santuario terreno era un’ombra della gloriosa presenza e del trono del Padre nel primo compartimento del Santuario celeste, dove, dopo aver sopportato «la croce, disprezzando la vergogna», il Salvatore si sedette «alla destra del trono di Dio»3.
Il servizio mattutino e serale era molto importante. All’interno del luogo santo il sommo sacerdote offriva incenso sull’altare d’oro e teneva le lampade ben accese e in ordine4. Nessuno, eccetto il sommo sacerdote, poteva svolgere questa opera sacra, che caratterizzava l’aggiunta del fragrante incenso della giustizia di Cristo alle preghiere del popolo di Dio, per renderle accettabili davanti a Dio5. Il sommo sacerdote preparava pure le lampade e le accendeva, figura dello Spirito Santo proveniente da Dio, che in un certo momento della vita brilla nel cuore di ognuno6, invitandolo ad accettare il Signore e la Sua Opera, e che oltre a ciò brilla continuamente nella vita di colui che cammina nella Luce, fedele a Dio.
Mentre il sommo sacerdote all’interno del santuario svolgeva il servizio quotidiano presso l’altare d’oro, i sacerdoti nel cortile ardevano gli olocausti, le oblazioni di cibo e le libagioni sull’altare di bronzo e il popolo si riuniva fuori per pregare7.
Quando i figli d’Israele furono condotti in cattività, uomini fedeli come Daniele pregavano con le finestre aperte verso Gerusalemme8. Benché il tempio fosse stato distrutto, ci si rivolgeva ancora in direzione del luogo in cui prima sorgeva l’altare dell’intercessione continua, quello d’oro, da cui saliva l’incenso. Questo simbolo rappresenta il prigioniero della crudele schiavitù di Satana, il principe di questo mondo. Non importa dove si trovi né quanto siano forti le catene che lo legano: se con determinazione volgerà il suo sguardo da ciò che lo circonda al Santuario celeste, dove Cristo presenta il Suo sangue e la Sua giustizia in nome del peccatore, la sua preghiera di fede porterà pace e gioia al suo animo, spezzando i lacci con cui Satana lo teneva legato. Cristo porrà davanti a lui una «porta aperta, che nessuno può chiudere»9. L’ambiente e gli influssi circostanti non faranno differenza alcuna: l’uomo e la donna possono essere liberi in Dio. Nessun essere umano o demoniaco, neppure il diavolo in persona, potrà mai impedire questo.
«Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede»10.
Giorno dopo giorno, mentre i peccatori presentavano le loro offerte per il peccato all’ingresso del primo compartimento, confessando i loro peccati, per mezzo del sangue asperso davanti all’Eterno o mediante una parte della carne del sacrificio mangiata dal sacerdote nel luogo santo, i peccati confessati venivano simbolicamente trasferiti al primo compartimento. Il sacerdote incontrava il peccatore al primo velo (ingresso) del santuario e portava oltre tale velo il sangue o la carne. Il peccatore non poteva guardare all’interno del santuario, ma per fede sapeva che il sacerdote era fedele nel presentare la sua offerta per il peccato davanti all’Eterno e si allontanava dal santuario rallegrandosi per i peccati che gli erano stati perdonati.
Nell’antitipo di questo servizio noi confessiamo i nostri peccati, e anche se non possiamo vedere l’opera nel Santuario celeste, sappiamo che Cristo mostra il Suo sangue e la Sua carne ferita11 – le mani, i piedi e il costato – a nome nostro davanti al Padre: allora ci rallegriamo del perdono ricevuto. I peccati sono coperti, nascosti alla vista. «Beato colui la cui trasgressione è perdonata, il cui peccato è coperto!»12. Mentre giorno per giorno i peccati del popolo venivano figurativamente trasferiti al santuario, il luogo santo andava contaminandosi e doveva quindi essere periodicamente purificato. I peccati sono perdonati e coperti quando vengono confessati: mai più verranno scoperti se chi li confessa rimane fedele; tuttavia, se questi abbandona il Signore e torna al mondo, quella parte della sua vita passata che, mentre era fedele, era stata coperta dalla giustizia di Cristo, ora risulterà scoperta nei libri del cielo, perché l’individuo stesso ha rinunciato a Cristo e nel giudizio dovrà rendere conto del registro dell’intera sua vita.
Questo insegnamento è stato impartito con molta chiarezza ed efficacia nella parabola del servo spietato, il quale, dopo essere stato liberato da tutto il suo debito, ha trattato duramente i suoi debitori: il Signore esigé da lui il pagamento di tutto ciò che gli era stato in precedenza perdonato13.
Verrà il momento in cui i peccati dei giusti non saranno soltanto perdonati e coperti dal sangue di Cristo, ma ogni traccia di essi verrà rimossa per sempre dai registri celesti: il Signore non li ricorderà mai più. Tutto ciò è stato simboleggiato dall’opera nel secondo compartimento del santuario, durante il giorno dell’espiazione.
Tipo | Antitipo |
Esodo 29:42-43 – La presenza visibile di Dio si manifestava nel luogo santo terreno | Apocalisse 4:2-5 – Giovanni vide le sette lampade in Cielo davanti al Trono di Dio |
Esodo 30:7-8 – Il sommo sacerdote teneva in ordine le lampade e le accendeva | Apocalisse 1:13 – Cristo si manifestò tra i candelabri d’oro nel Santuario celeste |
Esodo 40:24,25 – Le lampade nel santuario terreno stavano accese davanti al Signore | Apocalisse 4:2, 5 – Sette Lampade ardenti vennero scorte accese davanti al Trono di Dio |
Ebrei 9:6 – «I sacerdoti entravano continuamente nel primo tabernacolo, per compiere il servizio divino» | Ebrei 7:25 – Cristo vive sempre per intercedere per noi |
Levitico 4:7; 10:16-18 – Con sangue e carne i peccati venivano trasferiti al santuario terreno | 1 Pietro 2:24; 1 Giovanni 1:7 – Per il sacrificio del corpo e del sangue di Cristo i nostri peccati sono perdonati |
Levitico 4:7 – I segni del peccato (un po’ del sangue) toccavano i corni dell’altare d’oro | Geremia 2:22 – Il peccato non confessato è “segnato”, marcato davanti al Signore in Cielo |
Numeri 18:7 – Solo i sacerdoti potevano guardare all’interno del velo d’ingresso. Tutto ciò che restava dell’offerta per il peccato al di fuori del velo veniva bruciato. Ogni traccia dell’offerta era nascosta alla vista | Salmo 32:1 – Quando confessiamo i nostri peccati essi vengono trasferiti al Santuario celeste e là coperti, affinché non siano mai più esposti alla vista, se resteremo fedeli |
Il periodo ordinario di servizio quotidiano durante l’anno rappresentava la confessione dei peccati a Cristo, Colui che li porta su di Sé per noi nel Santuario celeste. Ma Cristo non porterà per sempre i peccati del mondo. Verrà un giorno in cui Egli cancellerà l’ultima traccia d’iniquità dai libri del cielo. Allora i peccati dei giusti verranno posti su Satana, l’originario autore del peccato, ed egli sarà consumato nello stagno di fuoco assieme a tutti i peccati e ai peccatori.
Dio è un Dio di giustizia, pertanto, prima che i peccati dei fedeli o i nomi degli infedeli siano cancellati dai libri del Cielo1, sarà tenuto un esame di tali registri, un giudizio investigativo. Il servizio nel secondo compartimento del santuario era simbolo di quest’Opera. Era chiamato “il giorno dell’espiazione” o “la purificazione del santuario”. Le Scritture affermano: «Poiché in quel giorno il sacerdote farà l’espiazione per voi, per purificarvi, affinché siate purificati da tutti i vostri peccati davanti all’Eterno»2.
Quando gli uomini e gli angeli vennero messi alla prova, fu stabilito un tempo in cui sarebbero stati giudicati. La risurrezione di Cristo è un pegno, una garanzia di tale giudizio. Dio «ha stabilito un giorno in cui giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo di quell’Uomo che egli ha stabilito; e ne ha dato prova a tutti, risuscitandolo dai morti»3.
Il “giorno” del giudizio è un momento ben preciso, riservato per il compimento di un’opera specifica. Si tratta di un intervallo temporale. «Dio giudicherà il giusto e l’empio, perché c’è un tempo stabilito per ogni cosa e per ogni opera»4. Dio non ha lasciato il mondo all’oscuro riguardo ai tempi del giudizio, di cui il giorno dell’espiazione o purificazione era emblema, ma per mezzo del profeta Daniele ha preannunciato quando questo evento si sarebbe verificato.
Nell’ottavo capitolo del libro di Daniele leggiamo che, negli ultimi giorni del nuovo regno babilonese, al profeta fu data una visione riguardante la storia del mondo da quei giorni fino alla fine di tutti i regni terreni. Il profeta vide dapprima un montone con due corna e poi un capro peloso con un cospicuo corno tra gli occhi provenire da ovest e vincere il montone, calpestandolo sotto le sue zampe. Il capro divenne molto forte, ma quando giunse all’apice della sua forza il grande corno si ruppe e al suo posto spuntarono quattro corna cospicue. «Da uno di questi uscì un piccolo corno, che … si ingrandì fino a giungere all’esercito del cielo e … s’innalzò addirittura fino al Capo dell’esercito»5, cioè pretese di essere uguale al Principe degli eserciti celesti.
Mentre il profeta osservava questo piccolo corno perseguitare il popolo di Dio sulla Terra, la sua attenzione fu attratta da una conversazione tra due esseri celesti, che egli annotò come segue: «Poi udii un santo che parlava e un altro santo disse a quello che parlava: “fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo e la trasgressione della desolazione, che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati?”. Egli [Colui che numera i giorni di ogni cosa, il Principe dell’esercito] mi disse: “Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato”».
Daniele non comprese la visione e Colui che ha autorità sulle forze celesti incaricò l’angelo Gabriele di fargliela capire. Gabriele diede quindi la seguente spiegazione sintetica6: «Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia. Il capro peloso è il re di Javan [grecia-macedonia]; il gran corno che era in mezzo ai suoi occhi è il primo re [Alessandro Magno]».
Disse poi che i quattro regni in cui sarebbe stato diviso l’impero macedone, rappresentati dalle quattro corna, non sarebbero stati forti come l’impero che li aveva originati, ma che il regno rappresentato dal piccolo corno sorto dopo le quattro corna, cioè l’impero romano, avrebbe cercato di distruggere il popolo di Dio e si sarebbe persino opposto al Signore dei signori quand’Egli sarebbe venuto sulla Terra.
Quest’ultima spiegazione fu più di quanto Daniele potesse sopportare: quando comprese che questo potere avrebbe persino tolto la vita al Principe dei principi, svenne; Gabriele allora concluse dicendo: «la visione delle sere e delle mattine [cioè dei 2300 giorni] di cui si è parlato è vera» e non proseguì oltre, poiché Daniele non era più in grado di intendere.
Daniele rimase malato per alcuni giorni, ma ben presto cominciò a pregare per ricevere una più dettagliata e completa spiegazione della visione. La sua preghiera viene riportata al capitolo 9 del libro di Daniele e non è lunga. Quando Daniele iniziò a pregare, Dio in Cielo incaricò Gabriele di rispondere personalmente alla preghiera del profeta: prima che questi avesse concluso la propria orazione venne toccato dall’angelo7. Il Cielo e la Terra si avvicinano di molto grazie a una preghiera fatta con fede. Colui che aspetta con fede una risposta dal Cielo è molto amato dal Signore8.
Gabriele assicurò a Daniele che era giunto per «metterlo in grado di intendere». Infatti non era stata ancora chiarita la questione dei 2300 giorni. Tutto il Cielo si interessa e partecipa all’Opera di Dio sulla Terra, per cui non fu per oziosa curiosità, ma per genuino interesse che venne posta la domanda: «fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo e la trasgressione della desolazione, che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati?». Precisiamo che i traduttori della Bibbia spesso pongono in corsivo parole o espressioni non contenute nel testo originale, ma ritenute utili per chiarirne il significato. La parola “sacrificio” è una di queste. All’epoca in cui fu posta la domanda, infatti, il tempio di Salomone giaceva in rovina e il popolo di Dio si trovava in cattività in terra straniera.
La visione rivelava agli angeli e a Daniele che in futuro sarebbe sorto un potere che avrebbe perseguitato il popolo di Dio come mai prima di allora, profezia adempiutasi durante i 1260 anni di persecuzione da parte del potere papale, dal Medioevo in poi9. Questa persecuzione non poté materialmente influenzare il Santuario celeste, giacché nessun potere terreno può alterare il Cielo, ma ha calpestato “l’esercito” che adorava rivolto verso il Santuario celeste, privando cioè il popolo della Parola di Dio e oscurando la corretta conoscenza del Santuario celeste per un lungo periodo di tempo.
Il Meraviglioso Numeratore dei giorni rispose alla domanda e rivolse le Sue parole a Daniele invece che a colui che lo stava interrogando. Nessuno tranne il Padre o il Figlio poteva rivelare il tempo in cui la grande Corte del giudizio si sarebbe riunita nel Santuario celeste. Fu dunque Cristo a rivelare gli anni che sarebbero trascorsi prima dell’inizio del giudizio10. Per questo Egli è davvero il Numeratore dei Segreti. Quando fu detto a Daniele di considerare la visione, Egli richiamò senza dubbio alla mente quelle parole che gli erano state rivolte direttamente: «Fino a duemilatrecento giorni [sere e mattine], poi il santuario sarà purificato». Mentre la mente di Daniele rivedeva queste parole, Gabriele continuò nella spiegazione da dove l’aveva lasciata in precedenza.
La profezia dei duemilatrecento giorni di Daniele 8:14 copre l’arco temporale più grande di tutta la Bibbia. Altre linee profetiche predicono l’ascesa e la caduta delle nazioni, ma i duemilatrecento giorni individuano con certezza due dei più grandi eventi della storia dell’umanità: il tempo in cui Cristo si sarebbe incarnato sulla Terra, offrendo Se stesso come riscatto per la razza perduta, e l’apertura del grande Tribunale celeste, quando il Giudice di tutta la Terra deciderà il destino eterno di ogni essere umano che sia vissuto sul nostro pianeta.
Durante il suo primo colloquio, Gabriele spiegò a Daniele i simboli del montone e del capro peloso con quattro corna, dando anche un resoconto dell’azione del piccolo corno, ma Daniele era svenuto prima di poter comprendere i duemilatrecento giorni. L’abilità e l’intendimento infusi da Gabriele a Daniele gli permisero di tornare subito alla questione dei tempi. Le prime parole dell’angelo furono: «Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città». Qui “stabilito” significa che le settanta settimane vengono estratte da un periodo di tempo più lungo, cioè i duemilatrecento giorni in esame. Pertanto, settanta settimane dovevano essere ritagliate all’interno di tale periodo per essere assegnate agli ebrei e alla loro città santa11.
In linguaggio profetico un giorno rappresenta un anno12. Sette anni terrestri fanno dunque una “settimana di anni”13. Settanta settimane sono 70 × 7 = 490 anni. Quattrocentonovanta anni furono dunque stabiliti per il popolo ebraico per realizzare sei cose:
Meravigliosi cambiamenti furono operati nella storia della Chiesa durante quei 490 anni. Dopo che l’angelo enumerò gli eventi che si sarebbero verificati in quel periodo, disse a Daniele dove posizionare tale intervallo lungo la storia del mondo, annunciandone la data di inizio: «Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il Principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane; essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi»17.
Il lungo periodo di duemilatrecento giorni a partire dal quale vengono contate anche le settanta settimane interne (i 490 anni) iniziò con l’emissione del triplice decreto18 (di Ciro prima, di Dario poi e di Artaserse Longimano infine) volto a restaurare e a ricostruire Gerusalemme, il cui effettivo e finale ordine esecutivo fu emesso nel 457 a. C., entrando in vigore solo a metà circa del 456 a. C.19, che è pertanto la data da prendere in considerazione come inizio del nostro computo.
Gabriele divise le settanta settimane in tre periodi: sette settimane per la ricostruzione, poi sessantadue settimane e una settimana per l’opera messianica. Il profeta Neemia dà un resoconto della ricostruzione delle mura avvenuta proprio durante tempi difficili (prima settimana profetica)20.
Le sette settimane e le sessantadue settimane, sessantanove in tutto, dovevano giungere fino al Messia, il Principe. Sessantanove settimane sono 69 × 7 = 483 anni. Dal 456½ a. C. giungiamo così al 27½ d. C.21. Nell’autunno del 27 d. C. (cioè il 27 più ½ – l’anno iniziava a marzo), Gesù fu battezzato e unto con lo Spirito Santo: da quel momento in poi fu il Cristo, il Messia, l’Unto22.
Dopo questo periodo il Messia doveva «essere ucciso, ma non per se stesso»: per espiare i peccati del mondo. Affermato che il Messia sarebbe stato messo a morte, Gabriele aggiunse: «Egli stabilirà un patto con molti, per una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione»23. Il ministero di Cristo dopo il Suo battesimo è continuato per tre anni e mezzo, mezza settimana profetica.
Cristo fu messo a morte in mezzo alla settantesima settimana, ma l’intero periodo di settanta settimane era stato stabilito per gli ebrei. Cristo ordinò infatti ai Suoi discepoli di cominciare il loro lavoro a Gerusalemme: fu solo con la lapidazione di Stefano, nell’autunno del 34 d. C., tre anni e mezzo dopo la crocifissione di Gesù, che il Vangelo fu diffuso ai Gentili. Tale patto fu confermato dai discepoli24, i quali limitarono i loro sforzi principalmente agli ebrei fino al 34 d. C., data di fine del periodo di tempo assegnato a quel popolo25.
Concludendosi le settanta settimane nel 34 d. C., rimangono 1810 anni (2300 – 490 = 1810) al termine del periodo profetico. Aggiungendo perciò 1810 a 34 giungiamo al 1844 d. C. «Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato»26. Il santuario terreno cessò di esistere molto prima di questa data: era dunque giunto il momento per il compimento della purificazione del Santuario celeste, l’Opera corrispondente al giorno dell’espiazione nel santuario terreno. Nell’autunno del 1844 il grande Tribunale perfetto, contro il quale non sussiste alcun ricorso, fu convocato nel luogo santissimo del Santuario celeste.
Questa meravigliosa profezia dei duemilatrecento anni iniziò con la restaurazione del popolo di Dio ai loro possedimenti terreni e con la ricostruzione della città santa di Gerusalemme; purtroppo, ancora una volta, gli ebrei si dimostrarono infedeli alla promessa e così la loro terra passò sotto il controllo dei pagani.
Allo stesso modo, la prima venuta di Cristo e la Sua morte sul Calvario fissano come un grande Sigillo l’intera profezia in modo definitivo, assicurando l’eredità della futura Terra ai fedeli; il processo inaugurato alla fine di quel meraviglioso periodo di tempo profetico consegnerà ai fedeli il “titolo giuridico” di diritto all’eredità eterna della Città di Dio, la Nuova Gerusalemme.
GLI EVENTI IDENTIFICATI DAI 2300 GIORNI-ANNI
«Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Sciloh; e a Lui ubbidiranno i popoli».
Genesi 49:10
SEZIONE 7 – LE FESTE ANNUALI DI AUTUNNO
IL SANGUE ASPERSO
Anonimo
Il Sangue asperso sta piangendo
davanti al trono del Signore,
il potere dello Spirito sta cercando
di render noti virtù e amore;
il Sangue asperso sta manifestando
l’amor dell’Eterno all’essere umano,
mentre le arpe celesti stan suonando
le dolci note della misericordia e del suo piano.
Il Sangue asperso sta dichiarando
il totale e gratuito perdono
e il suo Poter meraviglioso per me
sta rompendo le catene di peccato.
Il Sangue asperso sta rivelando
del Padre il volto sorridente
e l’amor del Salvatore sta scalando
ogni livello di Grazia esistente.
Il Sangue asperso sta mostrando
la Sua virtù in vece della mia
e già il mio cuore sta credendo
che al Trono sarò in Sua compagnia.
Il Sangue asperso Sua sta facendo
anche la più debole supplica
e con lacrime sta gemendo
davanti al Padre, me difendendo!
Presso gli antichi israeliti la tromba non era solo uno strumento musicale, ma occupava anche una posizione fondamentale in tutte le cerimonie, tanto da essere associata alla vita dei figli d’Israele nel suo complesso. Veniva impiegata nei giorni di festa e nelle solennità, nonché in occasione degli olocausti e dei sacrifici di ringraziamento all’inizio di ogni mese (novilunio). Le trombe dovevano essere per loro un ricordo dell’Eterno, il loro Dio1.
In ottemperanza al comando divino, Mosè fece due trombe d’argento impiegate per la convocazione delle assemblee e per scandire partenze e soste dei viaggi dei figli d’Israele2. Quando i sacerdoti suonavano ambo le trombe, tutto il popolo si riuniva all’ingresso del tabernacolo; se suonava una sola tromba, allora soltanto i principi d’Israele avrebbero risposto all’appello3.
Il suono di convocazione alle assemblee religiose differiva da quello dell’allarme, che radunava l’esercito per la guerra. Dio promise che quando gli israeliti avrebbero suonato l’allarme per la guerra sarebbero stati «ricordati davanti all’Eterno» e salvati dai loro nemici4.
Alla consacrazione del tempio di Salomone le trombe vennero suonate con grande abilità, tanto che centoventi sacerdoti soffiarono in esse “all’unisono”5.
Quando Dio volle radunare le schiere d’Israele ai piedi del monte Sinai affinché udissero la proclamazione della Sua santa Legge, dal centro della gloria dell’Eterno che adombrava il monte fu udito «un fortissimo suono di tromba; e tutto il popolo che era nell’accampamento tremò». «Mentre il suono della tromba andava facendosi sempre più forte» perfino Mosè, che era un santo uomo di Dio, disse: «Io sono tutto spaventato e tremante!»6.
Era disegno di Dio che ogni squillo di tromba, per gioia o per dolore, per adorazione o per guerra, fosse associato all’idea del ricordo, un memoriale del potere di Dio nel confortare, sostenere e proteggere il Suo popolo; «esse vi serviranno di ricordanza davanti al vostro Dio. Io sono l’Eterno, il vostro Dio»7. Ogni figlio di Dio che appieno confidò nella promessa divina, avanzando e suonando le trombe in obbedienza al comando del Signore, vide la liberazione dell’Eterno davanti a ostacoli alti come le mura di Gerico8 o a nemici numerosi come gli eserciti di Madian9.
Il suono della tromba era udito abitualmente dai figli d’Israele, ma c’era un giorno dell’anno appositamente messo da parte allo scopo di suonare le trombe. Il Signore comandò in merito: «Nel settimo mese, nel primo giorno del mese avrete una santa convocazione; non farete alcun lavoro servile; sarà per voi il giorno del suono delle trombe»10.
Ogni mese dell’anno cominciava col suono delle trombe e venivano offerti dieci olocausti e un sacrificio per il peccato11, ma il primo giorno del settimo mese, oltre alle undici offerte del primo di ogni mese, venivano offerti ulteriori dieci sacrifici12. Il giorno della festa delle trombe era rispettato come sabato cerimoniale o annuale: era uno dei sette giorni di santa convocazione delle feste annuali13.
Questa festa delle trombe era “un memoriale”. Alcuni hanno ritenuto che si trattasse di un memoriale della creazione del mondo, poiché veniva celebrato alla «fine dell’anno»14; potrebbe essere stato un memoriale del tempo in cui «tutti i figli di Dio mandavano grida di gioia» alla creazione del mondo15. Secondo il dott. William Smith, «la festa delle trombe … passò ad essere considerata come l’anniversario o compleanno del mondo».
È abbastanza evidente che, al pari della Pasqua, la Festa delle Trombe era di natura sia commemorativa che simbolica. Cadeva dieci giorni prima del dì dell’espiazione, simbolo del grande giudizio investigativo iniziato nel 1844, al termine del lungo periodo profetico dei duemilatrecento anni di Daniele 8:14.
Poiché nel cerimoniale le trombe venivano suonate per tutto Israele, avvertendo ciascuno dell’avvicinarsi del solenne giorno dell’espiazione, nell’antitipo ci si deve aspettare che un messaggio mondiale risuoni chiaramente qual squillo di tromba, annunciando che è vicino il giorno del giudizio nei Cieli16. A partire dagli anni 1833-34 fino al 1844, tale messaggio fu dato al mondo, annunciando come tromba che «l’ora del Suo giudizio è venuta»17.
William Miller e altri approfondirono lo studio di Daniele 8:14, scoprendo che il lungo periodo profetico di 2300 sere e mattine si sarebbe concluso nel 1844. Non riuscirono ancora a collegare questo testo al simbolismo del Santuario, ma ritennero che il vocabolo “santuario” indicasse questa Terra, pertanto cominciarono a diffondere l’idea che nel 1844 Cristo sarebbe venuto sulla Terra per purificarla e per giudicarne gli abitanti.
William Miller fu accompagnato da centinaia di altri ministri di culto statunitensi, che proclamarono il suo messaggio con grande potenza. Edward Irving, con altri uomini consacrati, predicò lo stesso in Inghilterra, mentre Joseph Wolff e altri lo annunciarono all’Asia e al resto del mondo. Dieci giorni intercorrevano tra la festa delle trombe e il giorno dell’espiazione e per dieci anni, fino al 1844, ogni nazione sviluppata sulla terra udì lo squillo di tromba del messaggio di Apocalisse 14:6-7: «Temete Dio e dategli gloria, perché l’ora del suo giudizio è venuta». Questo messaggio fu consono a tale periodo storico. Paolo infatti ai suoi tempi parlava di un “giudizio a venire”18, ma in quegli anni si diceva che “l’ora del Suo giudizio è venuta”.
Il fatto che gli uomini che proclamarono questo messaggio ne abbiano frainteso il significato e le conseguenze non impedì la realizzazione dell’antico simbolo cerimoniale. Quando i seguaci di Cristo gridarono: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore»19, spargendo rami di palma lungo la via, poiché credevano che Gesù stava entrando a Gerusalemme per prendere possesso del regno terreno, adempirono comunque la profezia di Zaccaria 9:9. Se avessero saputo che pochi giorni dopo il loro Signore sarebbe stato appeso al legno maledetto20, non avrebbero potuto adempiere la profezia: sarebbe stato impossibile per loro “rallegrarsi grandemente”.
Allo stesso modo, il messaggio annunciato al mondo tra il 1834 e il 1844 non avrebbe mai potuto essere predicato con il potere e la gioia richiesti per adempiere il simbolo profetico, se chi lo annunciava avesse compreso che il Salvatore, invece di venire su questa terra, doveva entrare nel luogo santissimo celeste per iniziare l’opera del giudizio investigativo. Dio nascose ai loro occhi il fatto che rimanevano altri due messaggi da dare al mondo prima che il Signore tornasse sulla Terra in potenza e gloria21; Egli non poteva tornare fino a quando i Suoi seguaci non avessero adempiuto l’antitipo. Pertanto, per confortarli della delusione ricevuta, permise loro di guardare con gli occhi della fede all’interno del santuario celeste22 e di intravedere l’opera del grande Sommo Sacerdote, officiante in loro favore.
È evidente che il profeta Gioele collegò l’Opera conclusiva del Vangelo sulla Terra al suono delle trombe quando disse: «Suonate la tromba in Sion e date l’allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti del paese, perché il giorno dell’Eterno viene, perché è vicino»23.
Molte volte in passato fu udito il suono delle trombe, da quelle degli eserciti dell’Eterno sul monte Sinai, quando tutta la terra tremava24, al suono dei corni d’ariete davanti alle mura di Gerico. Adesso sta arrivando il momento in cui la tromba del Signore sarà di nuovo ascoltata dai mortali, quando le sue note scuoteranno «non solo la terra, ma anche il cielo»25. Le note chiare e nette di quella tromba penetreranno nei recessi più reconditi della Terra e, come in antichità la tromba convocava tutto Israele a comparire davanti all’Eterno, così ogni figlio di Dio che riposa il sonno della morte risponderà al richiamo e risorgerà per incontrare il suo Signore! Anche negli antichi anfratti dell’oceano il clamore sarà udito e il mare, obbediente, restituirà i morti che sono in esso26. La terra intera risuonerà dei passi dell’immensa folla dei redenti, mentre i santi viventi e quelli risuscitati si uniranno assieme per incontrare il Signore in risposta all’ultima convocazione dell’ultima tromba suonata su questa Terra maledetta del peccato27.
Allora ogni nota discordante cesserà per sempre e i redenti udranno il Salvatore dire: «Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo»28.
Nell’antico patto il popolo di Dio si riuniva per il culto all’inizio di ogni mese e in giorno di Sabato, in risposta alle note squillanti delle trombe d’argento. Allo stesso modo, possiamo immaginare che quando la Terra sarà rinnovata, «di novilunio in novilunio e di sabato in sabato» i redenti si riuniranno per adorare l’Eterno29 al richiamo delle trombe celesti, di cui quelle impiegate nell’antico patto erano un pallido simbolo.
Tipo | Antitipo |
Levitico 23:24-27 – Le trombe venivano suonate per annunciare che il giorno dell’espiazione era vicino | Apocalisse 14:6-7 – Il messaggio del primo angelo proclama che è giunto il vero giorno dell’espiazione, il giudizio |
Numeri 28:11-15 – Numerosi sacrifici venivano offerti nella Festa delle Trombe | Ebrei 10:32-27 – Coloro che annunciarono il messaggio del primo angelo sacrificarono molte cose della propria vita, “avendo accettato con gioia di essere spogliati” dei loro beni |
Numeri 10:3-10 – Lo squillo della tromba radunava l’intera assemblea d’Israele per comparire davanti all’Eterno | 1 Corinzi 15:51-53 – La tromba di Dio convocherà tutti i santi (i salvati) per incontrare il Signore quando Egli tornerà |
Il decimo giorno del settimo mese era il giorno dell’espiazione1. Era considerato il giorno più santo dei riti annuali. Era un sabato cerimoniale e un giorno di digiuno2. L’israelita che non si fosse pentito in cuor suo durante quel giorno sarebbe stato tagliato fuori dal suo popolo3. Nonostante gli ebrei abbiano rifiutato Cristo e pochi di loro abbiano riguardo per il Sabato, considerano tale giorno così sacro che ancor oggi in esso nessuno di loro lavora o fa affari, per quanto irreligioso sia.
Vari erano i sacrifici offerti il giorno dell’espiazione. Prima di iniziare il servizio quotidiano, il sommo sacerdote offriva un torello per sé e per la sua famiglia4. La cerimonia principale del giorno era l’offerta dei capri. Due capri venivano condotti alla porta del santuario, dove si tirava a sorte: uno per il Signore e l’altro come capro espiatorio, per Azazel5. Il sommo sacerdote sacrificava il capro del Signore e poi, rivestito dei suoi splendidi paramenti, col pettorale del giudizio che recava i nomi delle dodici tribù d’Israele sul suo cuore e le sacre pietre d’onice coi nomi delle tribù sulle spalle, portava il sangue del capro nel luogo santissimo. Attraversando il secondo velo, portava l’incensiere d’oro, pieno dei carboni ardenti presi dall’altare davanti all’Eterno, e con la mano poneva l’incenso in polvere sui carboni dell’incensiere, affinché la nuvola d’incenso profumato potesse coprirlo mentre entrava alla presenza visibile di Dio, manifestata tra i cherubini al di sopra del propiziatorio. Allora con le dita spargeva il sangue sul propiziatorio, sopra la Legge di Dio infranta. Infine, mentre tornava nel luogo santo, toccava i corni dell’altare d’oro con il sangue6.
Quando terminava «di fare l’espiazione per il santuario, per la tenda di convegno e per l’altare», usciva nel cortile. Simbolicamente il sommo sacerdote portava ora sulla sua persona tutti i peccati dei figli d’Israele che erano stati confessati e trasferiti al santuario. Quindi poneva le mani sulla testa del capro espiatorio e confessava «su di esso tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni e tutti i loro peccati, ponendoli sulla testa del capro», il quale veniva mandato via nel deserto, «per mano di un uomo appositamente scelto». Il capro portava su di sé tutte le iniquità verso una terra «desolata», letteralmente “di separazione”7.
Tornando al tabernacolo della congregazione, il sommo sacerdote si spogliava delle sue splendide vesti sacerdotali e indossava altri abiti8; poi, giungendo nel cortile, lo purificava dalla contaminazione con il peccato. I corpi degli animali il cui sangue era stato condotto all’interno del santuario venivano portati fuori dall’accampamento e bruciati. Quando il sole tramontava nel giorno dell’espiazione, ogni peccato era ormai andato in “terra di separazione”: di esso restava solo cenere9.
Così si svolgeva la rappresentazione di quell’Opera celeste in cui è deciso il destino eterno di ogni persona che abbia mai vissuto sulla Terra. In simboli, i peccati confessati di Israele venivano trasferiti al santuario durante tutto l’anno; la purificazione del santuario rimuoveva quei peccati. «Era dunque necessario che i modelli delle cose celesti fossero purificati con queste cose [i sacrifici animali]; ma le cose celesti stesse lo dovevano essere con sacrifici più eccellenti di questi»10.
Ogni peccato viene segnato davanti al Signore in Cielo11. Quando i peccati sono confessati e perdonati vengono coperti12. Questa verità era simboleggiata dal trasferimento del sangue nel santuario, dove nessun occhio umano, eccetto quello del sacerdote, poteva vedere le macchie rosse sui corni dell’altare d’oro davanti al secondo velo.
Non è possibile che i libri celesti mostrino per sempre i registri dei peccati o che Cristo porti sempre su di Sé i peccati del mondo. Il servizio tipico era eseguito alla fine dell’anno, così la purificazione del Santuario celeste ha luogo poco prima della fine dell’Opera sacerdotale di Cristo. Tale purificazione richiede un esame dei registri – un giudizio investigativo.
Il santuario terreno veniva purificato il decimo giorno del settimo mese di ogni anno; quello celeste sarà purificato una volta per tutte. Questa Opera è iniziata nel 1844 d. C., alla fine del periodo profetico dei duemilatrecento giorni13. Nel cerimoniale anche il Signore entrava nel luogo santissimo il giorno dell’espiazione, in quanto aveva promesso che la Sua presenza sarebbe stata lì14. Il sommo sacerdote si preparava in modo speciale per entrare in servizio il giorno dell’espiazione15.
Al profeta Daniele fu data una visione dell’Opera corrispondente nel Santuario celeste. Egli la descrive così: «Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l’Antico di giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. Il giudizio si tenne e i libri furono aperti»16.
La Bibbia è stata scritta in un paese orientale, in cui vige l’usanza da parte del capofamiglia di portare sedie e sedili agli ospiti. Nella traduzione ciò è reso con l’espressione “furono collocati i troni”. La posizione del trono del Padre è dunque cambiata. Daniele infatti vide prima i troni collocati, cioè mutati di posizione, e poi l’Antico di giorni, il Padre, assidersi sul trono. In altre parole, Daniele vide che il trono del Padre si spostava dal primo al secondo compartimento del Santuario celeste. Non a caso, la sua attenzione fu attratta dalle grandi ruote di fuoco ardente che si muovevano sotto il glorioso trono del Dio infinito17. Le miriadi dell’esercito celeste si radunavano per assistere alla grande scena. Migliaia e migliaia servivano l’Eterno mentre Egli prendeva posto sul trono per giudicare il mondo.
Nessuno specchio può ritrarre i connotati di un individuo in modo così accurato come i registri celesti. Tutti sono «giudicati in base alle cose scritte nei libri, secondo le loro opere»18. Contempliamo la scena. Il Padre è assiso sul trono del giudizio. Gli angeli, «spiriti servitori» inviati in favore di coloro i cui casi vengono passati in rassegna davanti a Dio, sono pronti a obbedire ai Suoi comandi. I libri sono aperti, ma qualcosa ancora manca. L’attenzione di Daniele si rivolge ora alle «nubi del cielo», ossia alle miriadi di angeli che portano in trionfo il Salvatore alla presenza del Padre19. I soldati romani portavano spesso in trionfo sulle loro spalle i comandanti che li avevano condotti a grandi vittorie su campi insanguinati da carneficine. Cristo, l’Arcangelo, il Comandante delle schiere celesti, ha guidato gli angeli in molte battaglie. Essi hanno combattuto al Suo comando quando l’arcinemico di ogni rettitudine è stato espulso dal Cielo. Hanno contemplato il loro Comandante morire di una morte ignominiosa per redimere la razza perduta. Lesti ai Suoi comandi, hanno operato per la salvezza di molti uomini, evitando che venissero sopraffatti da Satana. Ora è giunto il momento in cui Cristo deve ricevere il Regno e rivendicare i Suoi sudditi: gli angeli desiderano portare il loro potente Condottiero in trionfo al Seggio del giudizio, dove, coi registri aperti davanti a Sé, Cristo confessa il nome di ogni vincitore davanti al Padre e all’innumerevole compagnia angelica20.
Il trono di Dio è una “struttura” mobile. Nel santuario terreno la Sua presenza visibile si manifestava sopra il luogo santo come Nuvola o Colonna di fuoco. Allo stesso modo, in Cielo il trono di Dio era “situato” nel primo compartimento quando Cristo ascese e sedette alla destra del Padre. Daniele non vide solo il Padre e il Figlio cambiare posizione, ma vide anche mutare la collocazione dei troni quando «il giudizio si tenne e i libri furono aperti»: il tipo incontra l’antitipo. Il Sommo Sacerdote entra nel Luogo santissimo del Santuario celeste: come nel tempio terreno Dio aveva promesso d’incontrare il sommo sacerdote in tale luogo, così ora il Padre “si sposta” nel Luogo santissimo prima del Sommo Sacerdote e “incontra” Cristo, portato in trionfo dagli angeli.
Il sommo sacerdote terreno portava i nomi di Israele sulla sua persona all’entrare nel luogo santissimo21. Per evitare che qualche anima debole possa temere di essere dimenticata, il nostro Sommo Sacerdote ci rivolge queste parole: «Può una donna dimenticare il bambino lattante e non aver compassione del figlio delle sue viscere? Anche se esse dovessero dimenticare, io non ti dimenticherò». Poi, come per dare doppia sicurezza, alza le mani che portano le cicatrici dei chiodi crudeli e dice: «Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stanno sempre davanti»22. Il sommo sacerdote terreno presentava il sangue degli animali per fare l’espiazione per i peccati del popolo. Il nostro Sommo Sacerdote supplica invece mediante il Suo stesso sangue: «Padre, il mio sangue! Il mio sangue! Il mio sangue!». Il sommo sacerdote terreno portava l’incensiere con l’incenso fragrante. Cristo presenta il profumo della giustizia del Suo stesso carattere, che pone su tutti coloro i cui peccati sono confessati pienamente e quindi coperti dal Suo sangue mentre i loro nomi vengono passati in rassegna dinanzi al sommo Giudice.
Nel santuario terreno, il sommo sacerdote si fermava nel luogo santo per toccare i corni dell’altare d’oro e purificarlo da tutti i peccati trasferiti su di esso23, poiché mentre i riti del giorno dell’espiazione proseguivano, uno poteva ricordarsi di non aver confessato dei peccati e poteva ancora portare la sua offerta per il peccato ed essere perdonato24. Allo stesso modo, mentre il nostro Sommo Sacerdote officia davanti al Padre nel giudizio investigativo, chiunque si renda conto di essere peccatore può ancora venire a confessare i suoi peccati ed essere perdonato per i meriti di Cristo, Colui che porta su di Sé i peccati di tutti.
Quando l’Opera nel Luogo santissimo del Santuario celeste sarà terminata, il nostro Sommo Sacerdote indugerà ancora un momento nel Luogo santo, affinché i peccati confessati mentre Egli si trovava nel Luogo santissimo possano essere presi e messi assieme ai peccati dei giusti di ogni epoca, così da essere portati fuori dal Santuario.
Mentre Gesù intercede come nostro Sommo Sacerdote c’è speranza per ogni peccatore che si penta, ma quando infine Egli uscirà dal Santuario, la porta della misericordia si chiuderà per sempre: non ci sarà più alcun Intercessore25. Nel cerimoniale, quando il sommo sacerdote usciva dal santuario aveva «terminato di fare l’espiazione». Quando il nostro Sommo Sacerdote uscirà dal Santuario celeste, proclamerà: «Chi è ingiusto continui ad essere ingiusto, chi è immondo continui ad essere immondo, chi è giusto continui a praticare la giustizia e chi è santo continui a santificarsi»26. Ogni caso è deciso per l’eternità. Il tempo di grazia è chiuso. Tutti coloro che fino a quel momento temporeggiavano, sperando di essere salvati senza confessare i propri peccati e abbandonarli, non troveranno più nessuno a intercedere per loro presso il Padre e saranno perduti.
Nel simbolo rituale, dopo che il sommo sacerdote aveva concluso l’opera all’interno del santuario, usciva fuori e poneva i peccati di tutto Israele sulla testa del capro espiatorio. Il capro espiatorio non aveva avuto parte alcuna nel riconciliare il popolo con Dio. L’opera di riconciliazione era terminata27 quando il capro espiatorio veniva condotto alla porta per svolgere la sua parte nel cerimoniale. L’unico scopo del capro espiatorio era quello di agire come veicolo che porti i peccati dei giusti in “terra di separazione”.
Il termine “capro espiatorio”, ben lungi dall’accezione di vittima innocente contenuta nel senso moderno del termine, è invece un vocabolo impiegato nella Bibbia come sinonimo di un malvagio. Azazel è un nome proprio (“Colui che si fa forte contro Dio”, “Sfrontato”) che rappresenta il diavolo. Quando il nostro Sommo Sacerdote avrà concluso la Sua opera nel Santuario celeste, porrà tutti i peccati dei giusti, che aveva portato su di Sé fino a quel momento, sulla testa di Satana28, l’istigatore del peccato. Satana sarà poi lasciato sulla Terra desolata29, non abitata, per mille anni, al termine dei quali sarà ridotto in cenere nei fuochi dell’ultimo giorno30.
Nel simbolo rituale, dopo che il sommo sacerdote aveva posto i peccati d’Israele sulla testa del capro espiatorio, lasciava le vesti indossate mentre officiava come sommo sacerdote nel santuario per indossare altri indumenti, segno di una nuova opera, ora svolta nel cortile. Prendeva i corpi degli animali il cui sangue era stato portato nel santuario e li portava fuori dall’accampamento per poi bruciarli. Alla fine della giornata, le ceneri erano l’unica cosa che si poteva vedere delle offerte per il peccato.
Il nostro Sommo Sacerdote mette da parte i Suoi indumenti sacerdotali e, vestito da Re dei re, avanza come potente Conquistatore per raccogliere «dal suo regno tutti gli scandali e gli operatori d’iniquità e gettarli nella fornace del fuoco»31. Cristo viene a porre in ordine il Cortile, la Terra. Alla conclusione dell’antitipo del giorno dell’espiazione non rimarrà nulla che ricorderà in alcun modo il peccato – solo ceneri sotto i piedi dei giusti32.
La parola “espiazione” significa “riconciliazione”: quando Cristo pronuncia il decreto che determina il destino eterno di ogni anima, Egli si riconcilia finalmente con i sudditi del Suo Regno. Il peccato non separerà mai più Cristo dal Suo popolo. Ma il territorio del Suo regno è ancora contaminato dal peccato, per cui l’unione tra Cristo e la Sposa non sarà completa in ogni senso del termine fino a quando dai fuochi dell’ultimo giorno non sorgerà una nuova Terra in cui ogni segno di maledizione verrà rimosso. Allora, non solo i sudditi del Regno di Cristo, ma anche l’intero pianeta Terra sarà riconciliato con Cristo e con il Padre33. Il peccato non tornerà mai più a rovinare la Terra, ma essa sarà la casa dei redenti per sempre.
Tipo | Antitipo |
Levitico 16:29-30 – Il decimo giorno del settimo mese il santuario terreno veniva purificato | Daniele 8:14 – «Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il Santuario sarà purificato» |
Levitico 16:15-19 – Peccati purificati dal sangue del capro del Signore, alla fine del ciclo annuale | Atti 3:19-20 – I peccati saranno cancellati dai registri celesti alla fine dell’Opera di Cristo |
Levitico 16:2 – La presenza di Dio stava nel luogo santissimo nel giorno dell’espiazione | Daniele 7:9-10 – Il Padre entra nel luogo santissimo celeste prima dell’inizio del giudizio |
Levitico 16:4-6 – Il sommo sacerdote si preparava in modo particolare per entrare nel luogo santissimo | Daniele 7:13-14 – Cristo è portato al luogo santissimo in trionfo dagli angeli del Cielo |
Esodo 28:9-21 – Il sommo sacerdote portava i nomi delle tribù d’Israele sul suo cuore e sulle sue spalle quando entrava nel luogo santissimo | Apocalisse 3:5 – Cristo conosce i nomi di tutti i vincitori e li confessa davanti al Padre e agli angeli |
Levitico 16:20 – Quando il sommo sacerdote usciva dal santuario “terminava l’espiazione” | Apocalisse 22:11-12 – Quando Cristo esce dal Santuario celeste annuncia il destino eterno di tutti |
Levitico 16:21 – Tutti i peccati erano collocati sopra il capro espiatorio | Salmo 7:16 – Ogni peccato tornerà sul capo di colui che lo ha originato, Satana |
Levitico 16:22 – Il capro portava i peccati e le iniquità in terra deserta, non abitata, desolata | Apocalisse 20:1-3 – Satana sarà vincolato a stare sulla Terra deserta per mille anni |
Levitico 16:23 – Uscendo dal santuario, il sommo sacerdote cambiava i propri indumenti | Apocalisse 19:11-16 – Cristo depone le Sue vesti sacerdotali e torna sulla Terra in qualità di Re dei re e Signore dei signori |
Levitico 16:27 – I cadaveri degli animali sacrificati venivano portati fuori dall’accampamento e bruciati: solo cenere restava a ricordo del peccato | Matteo 13:41-43; Malachia 4:1-3 – Cristo radunerà “tutti gli scandali e gli operatori di iniquità” e li getterà nel Fuoco dell’ultimo giorno. Di loro rimarranno solo le ceneri |
Dio desiderava che il Suo antico popolo lo servisse fedelmente tutti i giorni dell’anno e ne accettava il servizio sacro; tuttavia, quando giungeva il giorno dell’espiazione, delle speciali condizioni venivano richieste a ogni individuo durante tale giorno, condizioni la cui mancata ottemperanza avrebbe determinato l’esclusione dal popolo di Israele. Analogamente, Dio ha accettato il servizio del Suo popolo nel corso dei secoli, ma da quando è iniziato il Giorno antitipico dell’espiazione e il giudizio investigativo è stato inaugurato nel Santuario celeste, Egli spera che la congregazione antitipica sulla Terra compia la sua parte dell’antitipo altrettanto fedelmente quanto Cristo, il nostro Sommo Sacerdote, sta adempiendo alla propria in Cielo.
Al tempo del popolo d’Israele, il dovere dell’assemblea non veniva riferito alla congregazione nel suo insieme, ma era un’opera individuale1. Anche oggi ognuno risponde per sé davanti a Dio. Non dobbiamo accontentarci di agire come fecero i nostri padri, morti prima dell’apertura del giudizio investigativo nei tribunali celesti. Dio ha bisogno che i Suoi compiano ora un servizio particolare: devono mantenersi spiritualmente vivi mentre i loro casi vengono decisi in Cielo, poiché Satana esercita sull’ultima generazione – la più debole della storia, fisicamente e moralmente – tutta l’astuzia e la furbizia acquisite in un conflitto di seimila anni. Coloro che alla chiusura del giudizio investigativo saranno considerati degni vivranno per un po’ di tempo senza Mediatore. La loro esperienza sarà completamente diversa da quella di qualsiasi altro gruppo di fedeli che abbia mai vissuto sulla Terra. Ci sono molte ragioni per cui Dio, nella Sua infinita misericordia, ha ingiunto dei doveri speciali all’ultima generazione, affinché potesse fortificarsi potentemente contro gli attacchi del nemico senza essere sopraffatta dai suoi stratagemmi.
Nell’antico cerimoniale, se un individuo non osservava il giorno dell’espiazione come Dio aveva ordinato, i suoi peccati non erano confessati sul capro espiatorio dal sommo sacerdote: quella persona veniva tagliata fuori dal popolo di Dio2. L’individuo che, durante il Giorno antitipico dell’espiazione, o giudizio investigativo, pensa che Cristo intercederà per lui mentre non si cura affatto di ciò che Dio gli ha ordinato di fare, scoprirà alla fine che il suo nome sarà stato cancellato dal Libro della Vita. Noi siamo salvati per la fede nel nostro Sommo Sacerdote, ma la fede senza le opere è morta3. Se abbiamo una fede vivente, agiremo volentieri come il Signore ordina.
Quattro erano le richieste4 rivolte a ogni individuo dell’antico Israele durante le ventiquattr’ore del giorno dell’espiazione, in cui si svolgeva l’opera simbolica, «figura e ombra» di quella originale:
Quel giorno ci doveva essere una santa convocazione. La gente doveva riunirsi per il culto religioso. Paolo, rivolgendosi a coloro che avrebbero abbandonato le riunioni religiose al tempo futuro in cui il Sommo Sacerdote si sarebbe approssimato a uscire dal Santuario celeste, disse: «avendo noi un Sommo Sacerdote sopra la casa di Dio, avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse. Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza, come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda tanto più che vedete avvicinarsi il giorno»5.
Colui che ha perso la fede nell’imminente ritorno del nostro Sommo Sacerdote dal Santuario celeste non prova piacere nell’incontrarsi con chi condivide tale fede per adorare Dio: ha una «cattiva coscienza». L’adorazione comunitaria elargisce benedizioni speciali. Dio promette che dove anche due o tre sono riuniti nel Suo nome, Egli sarà in mezzo a loro6. Questo primo requisito è un termometro spirituale con cui ogni cristiano può testare il proprio stato spirituale: se si allontana dal culto a Dio, poiché non trova alcun piacere in esso, la sua spiritualità è a un livello molto basso.
In secondo luogo, ogni individuo doveva umiliarsi, investigare il proprio cuore e allontanare da sé ogni peccato, dedicando molto tempo alla preghiera. Questo precetto era collegato all’astinenza dal cibo e rimase così fortemente impresso sulle menti dell’antico Israele che perfino al giorno d’oggi gli ebrei digiunano il decimo giorno del settimo mese. L’individuo che si rende conto che nel Santuario celeste il giudizio è in corso, e che il suo nome sarà sicuramente presentato davanti a quel grande Tribunale, esaminerà il suo cuore e pregherà intensamente che Dio lo possa accettare. Abbiamo bisogno di meditare spesso sull’opera del nostro Sommo Sacerdote nel Santuario celeste, affinché le nostre menti non si riempiano di pensieri terreni e noi, come le vergini stolte, non scopriamo che lo sposo è arrivato solo quando è già troppo tardi e la porta è chiusa; allora l’opera sarà conclusa e noi non vi avremmo avuto parte alcuna!
Nel cerimoniale l’assemblea ascoltava in silenzio nel cortile il tintinnio delle campanelle d’oro sulle vesti del sommo sacerdote, potendone così seguire i movimenti. Il nostro Sommo Sacerdote ha dato segni nei cieli, in terra e tra le nazioni per marcare l’avanzamento della Sua Opera. Disse che quando avremmo visto questi segni adempiersi avremmo conosciuto che Egli è vicino, alle porte7.
La realizzazione antitipica del giorno dell’espiazione copre naturalmente più di un giorno terreno: si tratta di un certo numero di anni. Nel simbolo era richiesto un digiuno di ventiquattro ore. Durante queste ore bisognava esercitare controllo completo degli appetiti, il che era simbolo dell’autocontrollo che deve essere esercitato durante il periodo che inizia nel 1844. Dio vuole che il Suo popolo diventi padrone dei propri appetiti, mantenendo il corpo sotto pieno controllo8. Satana vuole invece che si diano briglie sciolte agli appetiti, lasciando che essi controllino la persona.
Nonostante un esercito di fedeli stia facendo tutto il possibile per resistere al diluvio di intemperanza dilagante, Satana sta agendo con tale potere che l’ubriachezza e il crimine stanno aumentando sulla Terra a un ritmo allarmante. Nel 1844, quando il giudizio investigativo fu aperto in Cielo, solo pochi uomini e donne erano schiavi del tabacco, ma ora anche migliaia di giovani, bambini e perfino donne vengono distrutti da questo vizio. Le taverne e i birrifici sono in costante aumento e bevande inebrianti vengono servite a migliaia nei luoghi d’incontro.
Dio chiama il Suo popolo a essere padrone degli appetiti e non schiavo di essi, di modo che possa avere una mente limpida per comprendere la Verità divina e per accompagnare l’Opera del Sommo Sacerdote nel Santuario celeste. Pochi sono disposti a negare a se stessi le cose che i loro appetiti bramano, anche quando sono a conoscenza delle richieste di Dio a riguardo! Il profeta Isaia, guardando attraverso i secoli, descrive l’attuale stato delle cose come segue: «In quel giorno il Signore, l’Eterno degli eserciti, vi ha chiamati a piangere, a far cordoglio, a radervi il capo e a cingervi di sacco. Invece ecco gioia e allegria, si ammazzano buoi e si scannano pecore, si mangia carne e si beve vino: “Mangiamo e beviamo, poiché domani moriremo!”»9. Che descrizione accurata della condizione attuale del mondo! Dio chiama il Suo popolo a umiliarsi, a controllare gli appetiti, a nutrirsi del cibo che dà buon sangue e una mente limpida per discernere le verità spirituali; invece di obbedire, ecco che molti si impegnano a “mangiare carne e a bere vino”. Il profeta registra il risultato finale di questo atteggiamento: «Ma l’Eterno degli eserciti ha rivelato ai miei orecchi: “Questo vostro peccato non sarà espiato, finché non sarete morti”, dice il Signore, l’Eterno degli eserciti»10.
Il Salvatore ha rivolto un avvertimento particolare contro il male insito nel dare libero sfogo agli appetiti durante il periodo in cui i registri delle vite umane vengono esaminati e gli individui considerati degni o indegni della vita immortale: «fate attenzione che talora i vostri cuori non siano aggravati da gozzoviglie, da ubriachezza e dalle preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno vi piombi addosso all’improvviso. Perché verrà come un laccio su tutti quelli che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate dunque, pregando in ogni tempo, affinché siate ritenuti degni di scampare a tutte queste cose che stanno per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo»11. L’avvertimento è contro gozzoviglie – mangiare in eccesso – e ubriachezza – introdurre alimenti dannosi. In altre parole, il Salvatore desidera che il Suo popolo, durante il giorno antitipico dell’espiazione, faccia attenzione sia alla quantità che alla qualità del suo cibo. Anche mangiando i migliori alimenti in eccesso si può comunque offuscare la mente e rovinare la salute. Ghiottoni e ubriaconi vanno sempre di pari passo: «Non stare coi bevitori di vino, né con i ghiotti e i mangiatori di carne, perché l’ubriacone e il ghiottone impoveriranno e il dormiglione si vestirà di stracci»12.
I nostri progenitori fallirono la prova dell’appetito13, ma laddove essi fallirono, Cristo ha trionfato14. Se Cristo dimora nel cuore del cristiano professo questi può dunque essere pienamente padrone dei propri appetiti, astenendosi da ogni cosa dannosa, per quanto la bramosia naturale la possa desiderare, e non mangiando in eccesso, neppure gli alimenti salutari.
Nel suo ministero terreno il Salvatore è stato messo alla prova sugli appetiti, ma fin dall’infanzia gli fu insegnato a controllare i desideri. Parlando della sua fanciullezza, Isaia disse: «mangerà panna e miele fino a quando sappia rigettare il male e scegliere il bene»15. Le sue abitudini alimentari svilupparono in Lui il potere spirituale di discernere tra il bene e il male. Anche molti intemperanti, che hanno finito in anticipo i propri giorni nella tomba, hanno mangiato “panna e miele”, ma Gesù lo ha fatto in modo da sviluppare la Forza spirituale. Si è nutrito secondo le regole della Bibbia. Ci sono tre testi che, presi insieme, danno un criterio per mangiare il miele, che si applica anche a tutti i cibi che sono buoni e a ciò che il miele simboleggia. «Figlio mio, mangia il miele perché è buono»16; «se trovi del miele, mangiane quanto ti basta»; «mangiare troppo miele non è bene»17. Colui che segue le istruzioni di cui sopra e mangia solo buon cibo “quanto gli basta”, godrà di buona salute e di una mente luminosa. Dio desidera che il Suo popolo stia in salute, con l’animo libero da condanna. Satana si diletta invece nell’offuscare il cervello e distruggere la salute. Tutti coloro che adempiranno all’antitipo saranno padroni dei loro appetiti, affinché si preparino a incontrare il Salvatore quando verrà sulla Terra in qualità di Re dei re e Signore dei signori.
Il terzo requisito del giorno dell’espiazione era quello di «offrire all’Eterno un sacrificio fatto col fuoco». Tali offerte venivano consumate sull’altare. Nell’antitipo non offriamo sacrifici e olocausti di buoi e capri, ma Dio desidera che possiamo adempiere al significato simbolico dell’offerta consumata sull’altare, ovvero che l’intero nostro «spirito, anima e corpo siano conservati irreprensibili per la venuta del Signor nostro Gesù Cristo»18. Tutta la vita del cristiano sia posta sull’Altare, pronta per essere impiegata come il Signore vuole. Nessuno può fare questo se non accetta quotidianamente Cristo come sua Offerta di peccato, sapendo cosa significhi essere «accettati nell’Amato Figlio» (Efesini 1:6).
Il giorno dell’espiazione era rispettato come sabato cerimoniale dall’antica assemblea19. Ogni lavoro era messo da parte, i pensieri tutti centrati su Dio e sul Suo servizio. Il primo pensiero della giornata doveva essere rivolto all’opera di Dio. Questo era il rito, ma da ciò non segue che nel Giorno antitipico dell’espiazione non bisogna lavorare, perché Dio non ha mai voluto che il Suo popolo fosse «pigro nel suo lavoro»20. Egli promette di benedirci nelle cose temporali se ci occupiamo prima della Sua Opera e del Suo servizio, ponendo in secondo piano i nostri interessi economici21. Questo è stato splendidamente insegnato dalle parole del Salvatore: «fate attenzione che talora i vostri cuori non siano aggravati … dalle preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno vi piombi addosso all’improvviso»22.
Con il laccio delle preoccupazioni materiali Satana può riuscire a intrappolare più persone bene intenzionate che con qualsiasi altro dei suoi numerosi inganni. Spesso persuade le brave persone che le cure quotidiane della famiglia sono così importanti che non non c’è tempo per studiare la parola di Dio e per pregare, fino a che, per mancanza di cibo spirituale e di comunione con Dio, diventano così deboli spiritualmente da accettare i dubbi e le incredulità che il nemico presenta loro costantemente. Quando arriva il momento in cui pensano di avere tempo per leggere la Bibbia, scoprono di aver perso ogni gusto di approfondire la Parola di Dio.
Dio sta mettendo alla prova la grande assemblea antitipica. Chi adempirà all’antitipo, non abbandonando la compagnia del popolo fedele a Dio? Chi manterrà una mente chiara, controllando gli appetiti, e un cuore puro con la preghiera e un profondo esame del cuore? Chi deporrà tutti i propri interessi sull’Altare di Dio, perché siano usati alla Sua gloria, non lasciando mai che le “preoccupazioni di questa vita” cancellino in loro l’Opera di Dio o lo studio della Sua Parola? A chi avrà vinto su queste cose, il nostro Sommo Sacerdote dirà: «chi è giusto continui a praticare la giustizia e chi è santo continui a santificarsi» (Apocalisse 22:11).
Tipo | Antitipo |
Levitico 23:27 – «Avrete una santa convocazione». Tutti si riunivano per adorare | Ebrei 10:25 – Il popolo di Dio non deve smettere di riunirsi, poiché la fine si approssima |
Levitico 23:27-29 – Nel cerimoniale ognuno doveva umiliarsi, passando le ore del giorno in digiuno, preghiera e profondo esame del cuore | Luca 21:34-36; Isaia 22:12-14 – L’ammonimento è di vegliare e pregare sempre, evitando gozzoviglie e ubriachezze |
Levitico 23:27 – Bisognava offrire un sacrificio fatto mediante il fuoco | 1 Tessalonicesi 5:23; Romani 12:1 – Tutto, spirito, anima e corpo, devono essere totalmente consacrati a Dio |
Levitico 23:30 – Ogni interesse personale e lavoro doveva essere messo da parte nel giorno dell’espiazione | Luca 21:34-36; Matteo 6:32-33 – Le preoccupazioni di questa vita non devono prendere il sopravvento e allontanarci da Dio |
«Benedetto sia il Signore, che giorno per giorno porta per noi i nostri pesi; egli è il DIO della nostra salvezza. Selah»
Salmo 68:19
Il giudizio è menzionato da ogni autore biblico, comparendo oltre mille volte nelle Sacre Scritture. Si tratta di una realtà ben più solenne della morte, perché la morte separa gli amici solo fino al tempo della resurrezione, ma il giudizio li può separare per sempre. Nessuno può sfuggirne. Ignorare il pensiero del giudizio e vivere senza prepararsi in vista di esso non potrà evitarlo. Salomone riconobbe questo fatto quando scrisse: «Rallegrati pure, o giovane, nella tua giovinezza e gioisca il tuo cuore nei giorni della tua giovinezza; segui pure le vie del tuo cuore e la visione dei tuoi occhi, ma sappi che per tutte queste cose Dio ti chiamerà in giudizio»1.
Le decisioni dei tribunali terreni possono spesso essere influenzate da denaro o amicizie, portando anche a un rilascio dei colpevoli, ma non così è per il Tribunale celeste. Là ognuno sarà faccia a faccia col registro dei fatti della propria vita. «Così dunque ognuno di noi renderà conto di se stesso a Dio»2. È noto che un genitore terreno sacrificherebbe tutto ciò che possiede per salvare i figli da una condanna penale. Pensiamo allora che il nostro Padre celeste lascerebbe Satana distruggere tutti i suoi figli senza fare prima ogni sforzo per salvarli? Ha rischiato tutto il Cielo per il loro bene: «Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna»3. Nessun essere umano può far fronte al registro della sua vita nei libri del Cielo e sfuggire alla condanna, a meno che tali registri non testimonino la sua fede in Cristo e l’amore per il Suo servizio.
Cristo, l’Avvocato celeste, patrocinerà i casi di tutti coloro che gli hanno consegnato i loro peccati. Egli afferma: «Io, proprio io, sono colui che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e non ricorderò più i tuoi peccati»4. Il corso della vita di un individuo, macchiato dallo scarlatto dei peccati e della pochezza, è coperto dal Salvatore con l’abito bianco e immacolato della Sua giustizia. Il Giudice, guardandolo, vede solo il sacrificio di Suo Figlio ed emette la sentenza: «accettato nell’Amato». Chi può rifiutare questo Amore infinito?
Il giudizio involve, in primo luogo, l’indagine di tutti i casi, la deposizione di tutti i testimoni e la difesa dell’avvocato, qualora ci sia. Poi arriva la decisione del tribunale, cui segue l’esecuzione della sentenza emessa. Nessun tribunale può emettere giusta sentenza finché tutti i testimoni non abbiano deposto, pertanto non può essere eseguito alcun giudizio su un individuo alla sua morte. Facciamo un esempio concreto per comprendere questo importante fatto. Coi loro scritti, dopo la loro morte, T. Paine e Voltaire hanno causato più infedeli di quando erano in vita. Una giusta sentenza non può essere emessa su di loro finché il registro di tutte le vite di chi si è perduto a causa delle loro opere e dei loro scritti non abbia completamente deposto a loro sfavore. Per converso, possiamo paragonare l’influsso dei giusti alle increspature sulla superficie di un lago, le cui onde continuano dolcemente ad espandersi fino a raggiungere la riva da ogni parte. Abele, «benché morto, parla ancora»5. J. Wycliffe, coraggioso uomo di Dio, non avrebbe potuto essere giudicato alla fine della sua vita, perché migliaia e migliaia di persone sono state illuminate dall’influsso delle sue opere anche dopo che la sua voce fu messa a tacere dalla morte.
Se le Scritture fossero silenti su questo punto, dal ragionamento fatto risulterebbe comunque chiaro ed evidente che il giudizio non può essere realizzato se prima non abbia vissuto l’ultima generazione; tuttavia, la Bibbia non tace a riguardo. La data dell’apertura di questo grande Tribunale è stata rivelata dal Signore migliaia di anni prima che avesse luogo. Pietro ha insegnato la stessa verità. «Ravvedetevi dunque e convertitevi, affinché i vostri peccati siano cancellati, e perché vengano dei tempi di refrigerio dalla presenza del Signore, ed egli mandi Gesù Cristo che è stato predicato prima a voi»6. Dunque i peccati saranno cancellati poco prima della venuta del Signore.
Il giudizio investigativo è l’esame, tenuto in Cielo, della vita di ogni individuo. Quando Daniele vide il giudizio cominciare, notò che «i libri furono aperti»7. Ci sono diversi “libri” menzionati per indicare i registri celesti. Il libro dei ricordi registra i pensieri del cuore8. Come è giusto e misericordioso il nostro Dio, che non dimentica neppure quando pensiamo soltanto al Suo Nome! Spesso, pressati dalla tentazione, gridiamo al Dio vivente: anche ciò viene registrato in Cielo. Molte sono le azioni compiute all’oscuro, anche degli amici e dei familiari più intimi, ma quando i libri del Cielo saranno aperti, Dio porterà «alla luce le cose occulte delle tenebre e manifesterà i consigli dei cuori». «Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, anche tutto ciò che è nascosto, sia bene o male»9. Vengono registrate non solo le azioni, ma anche le motivazioni o i consigli del cuore che hanno spinto verso una data scelta; ci si ricorda pure delle lacrime amare del pentimento, versate in segreto, di cui il Signore dice: “non stanno forse tutte nel mio libro?”.
Possiamo considerare di scarso valore la nostra conversazione quotidiana o le parole pronunciate senza pensare, ma «nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di ogni parola oziosa che avranno detta. Poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato»10. Le parole sono un indicatore dello stato del cuore, «poiché la bocca parla dall’abbondanza del cuore»11. Il luogo di nascita, l’ambiente, tutto ciò che può in qualche modo influenzare lo sviluppo del carattere e della personalità è registrato nei libri del cielo12.
Tra tutti i documenti celesti che riguardano l’umanità, il Libro della Vita è il più sublime. Questo libro contiene i nomi di tutti coloro che hanno professato il Nome di Cristo13. Esservi registrati costituisce il più alto onore conferito ai mortali14. È fonte di grande gioia sapere che i nostri nomi sono scritti in Cielo15, ma affinché i nostri nomi rimangano in compagnia di quelli dei giusti, la nostra vita deve essere in armonia con le cose celesti. I nomi dei malvagi non rimangono nel Libro della Vita16, ma sono scritti in terra, poiché tutte le loro speranze e i loro affetti sono rimasti aggrappati alle cose terrene. Quando nelle coorti celesti saranno vagliati i casi di tutti coloro i cui cuori sono la Dimora dell’Altissimo e le cui vite mostrano il Suo carattere, Gesù Cristo il Giusto sarà il loro Avvocato17. Confesserà i loro nomi davanti al Padre e agli angeli. I loro peccati saranno cancellati e costoro verranno rivestiti delle bianche vesti della giustizia di Cristo.
Nel giorno dell’espiazione, solo quei peccati che erano stati confessati e trasferiti al santuario tramite l’offerta per il peccato venivano deposti sulla testa del capro espiatorio. Nel giudizio investigativo, saranno indagati solo i casi di coloro che hanno confessato i loro peccati. I loro nomi saranno nel Libro della Vita. Pietro afferma: «Poiché è giunto il tempo che il giudizio cominci dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di coloro che non ubbidiscono all’evangelo di Dio?»18. I casi di coloro che non hanno servito Dio verranno scartati automaticamente. Non ci sarà nessuno a presentarli, poiché non avranno alcun avvocato in Cielo.
Davvero triste sarà lo stato di coloro che hanno iniziato il Cammino verso il Cielo, ma che, dopo aver sperimentato la gioia dei peccati perdonati e la pace di Dio nel cuore, sono tornati al mondo e alle sue follie. I loro nomi sono stati scritti nel Libro della Vita, per cui i loro casi verranno passati in rassegna, ma solo perché venga emessa la sentenza: “infedele”. I loro nomi saranno poi cancellati per sempre dal Libro della Vita.
Quando il Salvatore verrà sulle nubi del Cielo darà la ricompensa ai giusti, ma il giudizio finale sui malvagi non potrà ancora essere eseguito, perché tutti devono essere giudicati «in base alle cose scritte nei libri, secondo le loro opere»19. Durante i mille anni successivi al secondo avvento di Cristo sulla terra, i giusti si uniranno a Lui nel giudicare i malvagi20. Allora la giustizia di Dio nel condannare gli empi sarà mostrata a tutti. Il fatto che non abbiano avuto parte al primo giudizio, quello investigativo, poiché i loro nomi non erano nel Libro della Vita e nessuno li rappresentava in Cielo, è già sufficiente a condannarli. Anche i libri celesti, contenenti una fedele testimonianza della loro vita, li condannano. La deposizione degli angeli, che hanno registrato fedelmente ogni loro atto, li condanna; tuttavia, nonostante tutte queste prove, Dio vuole che ogni nome dei perduti sia esaminato anche dai santi, i riscattati dalla Terra.
Molti tra i perduti erano considerati all’apparenza dei giusti: se dovessero essere distrutti senza previo esame dei registri da parte dei salvati, qualcuno potrebbe avere un’occasione di mettere in discussione la giustizia di Dio; tuttavia, quando i registri sveleranno come alcuni hanno lavorato per fini egoistici e altri si sono resi colpevoli di peccati nascosti alla vista dei loro simili, la mostruosità del peccato e la pazienza di Dio saranno universalmente riconosciute.
Il Salvatore disse che gli apostoli che lo avevano seguito mentre era in Terra avrebbero giudicato le dodici tribù di Israele21. Quando in Cielo saranno aperti i registri con le scene dei capi dei sacerdoti che urlano: “crocifiggilo! Crocifiggilo!”, Giovanni, che seguì il suo Signore in quella crudele sentenza, potrà affermare: “li ho sentiti dire quelle parole orribili!”.
Una lunga lista di nomi sarà revisionata, per cui i salvati potranno testimoniare. Quando uscirà il nome del tiranno Nerone, con il suo verbale che afferma come ha torturato i santi di Dio, ci saranno testimoni che diranno: “siamo coloro che egli ha bruciato come fiaccole per illuminare il suo giardino”. I redenti di ogni epoca giudicheranno i casi dei malvagi, attribuendo a ciascuno la sua pena secondo le sue opere.
Nel giorno del giudizio Dio chiamerà a raccolta i cieli e gli angeli con i registri delle vite dei demoni e degli esseri umani: le parole che hanno detto, le azioni che hanno fatto, anche le cose più segrete verranno alla luce per deporre la loro testimonianza. «Il nostro Dio verrà e non se ne starà in silenzio; lo precederà un fuoco divorante e intorno a lui ci sarà una grande tempesta. Egli convocherà i cieli di sopra e la terra, per giudicare il suo popolo». Proprio nel momento di quel giudizio, il Signore convoca i suoi. «Radunatemi i miei santi, che hanno fatto con me un patto mediante il sacrificio». E i cieli proclameranno la Sua giustizia, perché è Dio stesso il Giudice»22.
Noi stiamo già vivendo nel “giorno” del giudizio investigativo di Dio. La parte esecutiva avrà luogo a partire dalla chiusura del tempo di grazia e dopo che tutti i testimoni avranno deposto.
Quando il giudizio dei malvagi si sarà concluso, i santi, gli angeli e tutto l’Universo saranno in armonia con le decisioni prese. Allora, alla fine dei mille anni, quando il Fuoco dal Cielo divorerà i malvagi «come stoppia totalmente secca»23, tutto l’Universo esclamerà: «sì, o Signore, Dio Onnipotente, i tuoi giudizi sono veraci e giusti»24.
TRE LIBRI DI GIUDIZIO
La Festa dei Tabernacoli (o delle Capanne) era l’ultima festa dei riti annuali e simboleggiava il compimento finale dell’intero piano della redenzione. Cominciava il quindicesimo giorno del settimo mese, quando era già stato ultimato tutto il raccolto di campi, vigneti e uliveti. All’avvicinarsi del tempo della festa, in ogni luogo della Palestina si potevano scorgere gruppi di ebrei devoti dirigersi verso Gerusalemme. Provenivano non solo dalla Terra Santa, ma anche da molte nazioni vicine, salendo a Gerusalemme per prendere parte alla festa. Il Signore richiedeva la partecipazione di ogni maschio, nondimeno molte donne e bambini si univano alla celebrazione1.
Era un momento di grande gioia. Tutti portavano le loro offerte di ringraziamento al Signore, accompagnate da olocausti, oblazioni di cibo e libagioni2. La festa dei Tabernacoli iniziava cinque giorni dopo il giorno dell’espiazione: tutto Israele si rallegrava di essere stato nuovamente accettato da Dio, in corrispondenza con l’abbondante raccolto appena mietuto. La festa si protraeva per sette giorni: sia il primo che l’ottavo dovevano essere rispettati come sabati cerimoniali3.
Questa festa era sia commemorativa che simbolica. Commemorava le peregrinazioni d’Israele nel deserto: in ricordo delle sue antiche case di tenda, tutto Israele abitava in capanne durante quei sette giorni. Lungo le strade, sui tetti, nei cortili e alla corte della casa di Dio, si potevano osservare capanne in «rami di palma, rami dal folto fogliame e salici di torrente»4. Tutti condividevano la gioia e l’allegrezza della festa con i Leviti, con i poveri e con gli stranieri5.
Ogni sette anni proprio durante la Festa dei Tabernacoli cadeva “la solennità dell’anno della liberazione”, quando i debitori venivano sollevati dai loro obblighi6. Inoltre, nei giorni di questa festa, la Torah (il Pentateuco) veniva recitata per intero, di modo che tutti, uomini, donne e bambini, potessero udirla; anche i forestieri e gli stranieri che dimoravano nel territorio di Israele erano tenuti ad ascoltare la lettura della Legge7.
Il primo anno nuovo iniziò in autunno, poiché alla creazione gli alberi erano carichi di frutti, pronti a fornire cibo all’uomo8. La Festa dei Tabernacoli, o Festa del Raccolto, come veniva anche chiamata, si teneva alla «fine dell’anno», o alla “rivoluzione dell’anno”9. L’anno civile del calendario ebraico terminava sempre in autunno, ma l’anno sacro iniziava in primavera, per questo la Festa dei Tabernacoli si teneva nel “settimo mese” dell’anno sacro.
Alcuni episodi biblici molto interessanti sono collegati a questa festa. Il tempio di Salomone fu dedicato alla Festa dei Tabernacoli10. Quando Israele tornò dalla cattività babilonese, questa fu la prima festa celebrata dopo la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, ricordata come un tempo di grande gioia11.
Durante la festa, i figli di Israele non commemoravano soltanto il periodo storico in cui vissero in tende, ma illuminavano il tempio in modo particolare, in ricordo della Colonna di Fuoco che li aveva guidati nelle loro peregrinazioni. L’ultimo giorno, a coronamento della festa, si svolgeva una cerimonia bellissima. Veniva celebrata la miracolosa fornitura di acqua nel deserto. Il sacerdote immergeva un vaso nelle acque del torrente Kedron, per poi tirarlo fuori pieno d’acqua, sollevandolo in alto. Poi si marciava a suon di musica, mentre si cantavano varie parti del Salmo 122. La processione si dirigeva quindi verso il cortile del tempio. Una volta entrati, il sacerdote versava l’acqua raccolta in uno dei due catini d’argento che erano posti a destra e a sinistra dell’altare di bronzo. Mentre il sacerdote versava l’acqua in un catino, un secondo sacerdote versava del vino nell’altro; da questi catini, il vino e l’acqua fuoriuscivano tramite due canule che si univano in una conduttura, mescolandosi assieme, e così scorrevano fino al Kedron.
Molti sono gli episodi notevoli della vita di Cristo accaduti in occasione dell’ultima festa dei Tabernacoli cui Egli partecipò. Fu proprio durante la cerimonia appena descritta, «nell’ultimo giorno, il gran giorno della festa», che «Gesù si alzò in piedi ed esclamò: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva”»12. Fu Cristo a guidarli con la colonna di nuvola e di fuoco, fu Lui a provvedere l’acqua dalla roccia. «Tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, perché bevevano dalla roccia spirituale che li seguiva; or quella roccia era Cristo»13. Il grande Donatore della Vita era in mezzo a loro, eppure, mentre celebravano il Suo potere di dissetare ogni uomo, erano pronti a ucciderlo.
La festa commemorava il viaggio di Israele nel deserto, ma anche la liberazione dalla schiavitù egiziana. Sarebbe bello se ognuno che è stato affrancato dalle tenebre del peccato celebrasse di tanto in tanto il ricordo della propria liberazione, riconoscendo la guida del Signore nel cammino della sua vita e ringraziandolo per le abbondanti benedizioni ricevute.
La Festa dei Tabernacoli seguiva al giorno dell’espiazione, che abbiamo visto incontrare il suo antitipo nel giudizio, quindi tale festa deve caratterizzare l’evento successivo alla chiusura del giudizio. Quando Cristo lascerà il santuario celeste, ci sarà solo poco tempo prima che venga sulla Terra a radunare i Suoi. Poi li porterà in Cielo, dove contempleranno la gloria che Egli ha col Padre sin da prima che il mondo fosse14. Per mille anni i santi regneranno con Cristo in Cielo15, prima di tornare alla loro casa imperitura – questa Terra, liberata da ogni male. La Nuova Gerusalemme, con le sue porte di perle e le sue strade d’oro, sarà la Città, la gloriosa dimora dei redenti. Le bellezze della Terra nuova saranno tali che i salvati in Cielo, pur circondati dalle glorie del trono dell’Eterno, non vedranno l’ora che giunga il momento in cui «regneranno sulla Terra»16.
Attraversando questa vita, questo deserto di peccato e di dolore, è nostro privilegio e benedizione contemplare per fede il passaggio del nostro Sommo Sacerdote nel Luogo santissimo, così da essere pronti a salutare con gioia la Sua apparizione quando verrà a prendere i Suoi fedeli per stare assieme per un po’ nelle corti celesti prima di condividere la beatitudine eterna della Terra rinnovata. Ogni festa, così come ogni offerta e cerimonia levitica, puntava verso la bella Casa dei redenti. Ognuna di esse è una guida al percorso della vita in direzione della Casa celeste.
Gli ebrei non riuscirono a leggere correttamente queste guide, per cui oggi vagano senza la Luce del Messia benedetto e la croce del Calvario a splendere sul loro percorso. Consideriamo il loro fallimento come un avvertimento, affinché non commettiamo lo stesso errore fatale, divenendo incapaci di discernere la Luce ancor oggi riflessa dai simboli e dalle cerimonie, poiché tutte queste cose sono illuminate dalla Luce della Croce. Ognuna di esse rivela un tratto speciale del meraviglioso carattere del nostro Redentore.
L’intero sistema ebraico era il Vangelo. È vero, si trovava come velato in simboli, ma la Luce del Calvario ora illumina pienamente il cerimoniale israelitico; chi lo studierà alla luce della Croce, acquisirà la conoscenza intima e confidenziale di Colui che è la Realizzazione di tutti quei simboli. Ogni cerimonia contemplata li trasformerà a Sua immagine, di gloria in gloria17.
Il servizio tipico brilla maggiormente se posto accanto al suo Antitipo. Lo studio di una parte qualsiasi del sistema levitico ci mostra alcune caratteristiche della vita di Cristo, ma lo studio del sistema ebraico nel suo complesso rivela la Pienezza del Suo carattere quasi più di qualsiasi altra parte delle Scritture. L’intera Bibbia è ripiena di tali realtà. Ogni scrittore biblico si rivolge al servizio levitico per illustrare una specifica verità divina. Colui che ha familiarità con il servizio del santuario ebraico nel suo insieme riceverà non solo benedizioni dallo studio di esso, ma comprenderà ancor più pienamente le altre porzioni del Libro Sacro, perché le diverse feste e i vari sacrifici vengono menzionati frequentemente in tutta la Bibbia.
Tipo | Antitipo |
Levitico 23:27, 34 – La Festa dei Tabernacoli cadeva pochi giorni dopo il giorno dell’espiazione | Apocalisse 22:11-12 – Poco dopo la chiusura del giudizio investigativo, Cristo torna per liberare il Suo popolo |
Levitico 23:40-42 – Il popolo soggiornava in capanne, vivendo una vita di accampamento | Apocalisse 20:9 – Il luogo di dimora dei redenti prima che la Terra sia rinnovata è chiamato “l’accampamento dei santi” |
Levitico 23:42 – Tutti coloro che nascevano israeliti potevano partecipare alla Festa dei Tabernacoli | Giovanni 3:5 – È la nuova nascita a dare diritto a una persona di far parte dell’accampamento dei santi |
SEZIONE 8 – LEGGI E CERIMONIE LEVITICHE
L’ANNO DEL GIUBILEO
Oh, gloria a Dio! Sta tornando di nuovo:
è il giubileo felice dei figli degli uomini;
suonate la tromba e gridate: “gloria!”
Cantate, unitevi alla lode di Gesù, il Re.
Così si realizza il simbolo di quel dì antico,
quando gli eserciti del Signore non si riunivano
e nessuno seminava la terra, ma tutti i servitori
erano liberi dalle proprie fatiche in Israele:
la terra riposava nel giubileo della gioia.
Di gran lunga più felice è quel Riposo,
quando su ali d’aquila saliremo al Cielo;
per sempre dimoreremo in Terra benedetta
in quel grande Giubileo, Sabato di riposo.
Il giubileo era il culmine di una serie di istituzioni sabbatiche. Il Sabato settimanale fu la prima istituzione religiosa data all’uomo1. Il settimo giorno della settimana fu santificato e messo da parte per essere rispettato come giorno di riposo sacro all’Eterno2.
Dopo che i figli d’Israele entrarono nella terra promessa, Dio ordinò che ogni settimo anno dovesse essere considerato come «un sabato di riposo per la terra, un sabato per l’Eterno». Durante il settimo anno al popolo non era permesso di seminare i campi, né di potare le vigne e non si poteva accumulare nei magazzini ciò che cresceva spontaneamente. Il proprietario di un terreno poteva raccogliere ciò che desiderava per il proprio uso immediato, ciononostante i servi, gli stranieri e persino le bestie godevano tutti degli stessi diritti del proprietario di raccogliere i frutti dei suoi campi durante tutto l’anno sabbatico3.
Il settimo mese dell’anno sacro4, il mese di Tisri, è stato chiamato da alcuni studiosi “il mese sabbatico”, poiché la maggior parte dei sabati e delle feste annuali ricorrevano durante tale mese. Il primo giorno di questo mese era la Festa delle Trombe, poi il decimo giorno era il giorno dell’espiazione e la festa dei tabernacoli cadeva durante il quindicesimo giorno; ogni cinquantesimo anno, il decimo giorno del mese Tisri era pure l’inizio ufficiale del giubileo5.
L’osservanza del Sabato settimanale era un segno di appartenenza personale a Dio; permettere al suolo di riposare durante il settimo anno – l’anno sabbatico – significava riconoscere che non solo la persona, ma anche la Terra, il tempo e tutti gli averi appartengono a Dio6.
Il Signore prendeva piacere in modo particolare nell’anno sabbatico: disprezzarlo e non osservarlo costituiva un’offesa ai Suoi occhi. I figli d’Israele furono condotti in cattività babilonese «finché il paese avesse osservato i suoi sabati»7. Nella loro avidità di guadagno avevano lavorato la terra ogni anno, così Dio li allontanò e lasciò che il paese restasse desolato per settant’anni, affinché potesse osservare il proprio riposo sabbatico.
Se il comando di Dio fosse stato sempre e ovunque rispettato, facendo riposare il suolo ogni sette anni, oggi la Terra non sarebbe “logora come un vestito”8, ma sarebbe di gran lunga più fertile.
Le ordinanze divine saranno pienamente onorate: come la terra d’Israele fu desolata per settant’anni, riposandosi durante la cattività babilonese, finché fosse purificata dalla disobbedienza dell’antico Israele, così, dopo la seconda venuta di Cristo, la terra rimarrà desolata per mille anni, finché si riposi per tutti i sabati ignorati dalla caduta di Adamo fino al ritorno di Cristo9.
Il Sabato settimanale era infatti la via maestra che portava alle altre istituzioni sabbatiche: oltre a essere un memoriale della creazione, puntava al riposo finale del futuro Giubileo10.
Quando per amore degli interessi mondani il popolo di Dio lo ignorava, non era più in grado di apprezzare la compiutezza dell’originale piano divino di riposo sabbatico11.
Il giubileo ricorreva ogni cinquant’anni, cioè dopo sette settimane di anni: accadeva almeno una volta nella vita di ogni individuo che avrebbe raggiunto il suo limite naturale12.
Il giorno dell’espiazione era la più solenne di tutte le feste, mentre il giubileo era la più gioiosa. Al termine del giorno dell’espiazione, quando tutti i peccati d’Israele erano stati perdonati e posti sul capro espiatorio abbandonato nel deserto, chi si era reso conto di ciò che Dio aveva compiuto per lui era pronto a cancellare i debiti dei suoi simili, a liberarli dalla schiavitù e a restituire a ciascuno la propria terra con la stessa buona volontà con cui si aspettava che Dio gli avrebbe concesso la sua parte immortale di eredità nel Giubileo antitipico.
Alla fine del giorno dell’espiazione, il decimo giorno del settimo mese dell’anno sabbatico che concludeva la settima settimana di anni, quindi allo scadere del quarantanovesimo anno, le trombe suonavano per tutto il paese, annunciando il giubileo. La tradizione ebraica afferma che in quel tempo a ogni israelita veniva data una tromba di qualsiasi tipo: quando giungeva il tramonto del giorno dell’espiazione, ciascuno soffiava per nove volte nella propria tromba. Dio aveva comandato che le trombe dovessero risuonare per tutto il paese13. Oh, come questa esplosione sonora dell’antico Israele rassomigliava alla tromba finale del giorno del Signore14!
Lo schiavo che faticava si alzava e gettava via le sue catene. All’uomo avido e avaro, che aveva sfruttato il cottimante e i beni della vedova, questo giorno giungeva come una campana a morto per tutti i suoi progetti15. Ogni persona ridotta in schiavitù veniva liberata, tutti tornavano alle proprie terre16. Non è registrata richiesta alcuna di cerimonie o di offerte durante il giubileo, a differenza delle feste ordinarie degli altri anni. Era un tempo in cui tutti, ricchi e poveri, alti e bassi, condividevano allo stesso modo ciò che cresceva spontaneamente nei campi e nei vigneti.
Il giubileo era un sabato di riposo che seguiva all’anno sabbatico, determinando così due anni susseguenti di riposo per il suolo. Comunque, Dio provvedeva ampiamente ai bisogni del Suo popolo, ponendo la Sua benedizione sul raccolto del quarantottesimo anno, di modo tale che la terra avrebbe fornito così tanto da bastare non per due, ma per tre anni17!
Non c’è menzione nella Bibbia dell’osservanza di alcun giubileo, per cui alcuni studiosi hanno ritenuto che esso non sia mai stato celebrato; nondimeno, tutte le altre feste mosaiche erano regolarmente rispettate: sarebbe stato strano che una festa così organicamente connessa con le altre, tanto da essere il culmine di tutte, venisse sistematicamente ignorata.
Il giubileo deve essere stato rispettato dagli ebrei, poiché tra essi si riscontra la legge dell’inalienabilità della proprietà terriera, la quale è basata proprio sul giubileo18. Anche Giuseppe Flavio parla dell’osservanza del giubileo tra gli israeliti19. Ancora, sono registrati casi in cui le ordinanze giubilari furono ingiunte dal governo ebreo. Neemia, nella sua grande opera di riforma, ordinò infatti che i servi fossero rimessi in libertà e che le terre e i vigneti tornassero ai proprietari originali20. Alla vigilia della cattività babilonese, Sedekia proclamò libertà per tutti. Evidentemente aveva in mente di celebrare il Giubileo. Se l’avesse fatto, anche lui avrebbe avuto libertà, ma il suo carattere era troppo esitante per soddisfarne i requisiti. Il Signore gli inviò un messaggio, dicendo che aveva fatto bene nel proclamare «a ciascuno la libertà del proprio fratello», ma che poi, venendo meno alla parola data e non garantendo tale libertà, aveva profanato il nome del Signore21.
L’economia dell’antico Israele insegnava il Vangelo. Il popolo poteva abitare nella terra promessa e godere dei suoi privilegi, ma era sempre amministratore, non Proprietario. «Le terre non si venderanno per sempre, perché la terra è mia; poiché voi siete forestieri e affittuari con me»22. Questo era il decreto divino. Nonostante il Signore possieda il Mondo intero, si considera straniero e pellegrino con il Suo popolo sulla Terra fino al Giubileo antitipico, quando Satana, l’attuale principe di questo mondo, incontrerà la sua fine.
Se un uomo si indebitava al punto di essere costretto a vendere la sua casa, essa tornava comunque al proprietario originale al suonare delle trombe del Giubileo. Se lo sventurato aveva un parente prossimo in grado di riscattare la sua terra, il creditore non poteva tenerla, neppure fino al giubileo23.
Immaginiamo una vedova caduta in disgrazia, che inanella sventura dopo sventura finché il suo ricco vicino, che a lungo ha ambito la sua terra, ne prende possesso: con dolore lei è costretta a cedere la casa della sua infanzia e a lavorare per una miseria, che non riesce a soddisfare i bisogni della sua famiglia. Il ricco vicino continua ad anticiparle denaro finché la vedova è venduta come serva. Il suo caso sembra senza speranza, ma in una città lontana ha un fratello maggiore che viene a conoscenza della disgrazia della sorella e le viene in soccorso. Il fratello fa i conti con l’uomo che ha acquistato la donna e paga i soldi del riscatto: lei è libera. Allora il fratello comincia a calcolare anche ciò che è dovuto per la terra, ma l’uomo si oppone, perché lo stesso spirito che lo anima è quello che ha contestato contro l’Arcangelo Michele, quando giunse da un “paese lontano” per riscattare il corpo di Mosè dalla prigionia della tomba24, e così insiste: “No! Non ti restituirò il terreno, che ora è unito alla mia fattoria; non me ne separerò. Che diritto hai di interferire?” Allora il fratello produce la prova della sua parentela: egli è «uno che ha il diritto di redimere»25. Offre il denaro per il riscatto e la casa torna al legittimo proprietario. Uno sconosciuto avrebbe potuto desiderare di aiutare la povera vedova, ma i suoi soldi non avrebbero mai potuto liberarla: il prezzo doveva essere pagato da “chi ha il diritto di riscatto”, cioè un parente prossimo. Con quale forza il potere di Cristo è stato così insegnato nella vita quotidiana ed economica dell’antico israelita!
Un angelo non avrebbe potuto red2imere l’umanità o il mondo. La sua vita sarebbe stata impotente a salvare, poiché non era parente stretto dell’umanità26. Cristo lasciò le corti celesti, partecipando con carne e sangue «per distruggere, mediante la sua morte, colui che ha l’impero della morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la loro vita. Infatti Egli non assunse la natura degli angeli, ma divenne progenie di Abrahamo»27. Divenne il «primogenito tra molti fratelli»28, l’unico Parente stretto, affinché potesse avere il diritto di redimere ogni figlio e figlia di Adamo. Attraverso i secoli, giunge a noi la rassicurante promessa che Egli «non si vergogna di chiamarci fratelli»29. «Poiché così dice l’Eterno: “Voi siete stati venduti per niente e sarete riscattati senza denaro”»30, «…con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia»31.
Se anche tu hai ceduto alla tentazione fino a essere ridotto nell’abietta schiavitù di Satana, ricorda: hai un Fratello maggiore capace e disposto a redimerti dalla schiavitù del peccato e a renderti libero in Cristo Gesù. Per essere libero, devi riconoscerlo come “parente stretto”. Se la povera vedova non avesse riconosciuto suo fratello nel momento in cui egli giungeva a riscattarla dalla schiavitù, questi sarebbe stato impotente ad aiutarla. Satana può incatenare la persona solo fino a quando questa ritiene che la sua condizione sia per sempre, ma quando chiede aiuto e rivendica Cristo come “Parente prossimo”, Colui che ha il potere di redimerla presenta il prezzo di tale redenzione, “il Suo sangue prezioso”, e Satana non può più tenere la persona prigioniera.
Lo studio delle leggi levitiche in merito ai terreni e alla schiavitù conferisce nuova bellezza al nome del nostro Redentore. Giobbe conosceva il potere di Colui che ha il diritto di riscatto. Udiamolo rivendicare: «Io so che il mio Redentore vive!»32. La sua fede si aggrappava a un potere che non solo lo avrebbe redento dal peccato, ma che avrebbe fatto anche tornare in vita il suo corpo dopo che i vermi lo avrebbero consumato.
In qualsiasi momento si poteva essere liberi se redenti da un parente prossimo col diritto di riscatto, ma il giubileo era atteso da tutto Israele come il grande giorno della liberazione. Era allora che ogni torto veniva riparato e ogni israelita reintegrato nei propri possedimenti33.
Se uno vendeva un’abitazione in una città murata poteva riscattarla lungo tutto l’anno seguente alla vendita, ma, se non la riscattava entro il primo anno, essa restava nelle mani dell’acquirente. Non tornava al suo primo proprietario nel giorno del giubileo, perché le case erano opera dell’uomo e il giubileo liberava soltanto la terra e le persone34.
Le città dei Leviti soggiacevano a una regola differente: erano le uniche città murate a partecipare al giubileo. Se un uomo acquistava la casa di un levita, essa poteva sempre essere riscattata e «nelle città in possesso dei Leviti» la casa tornava ai proprietari nell’anno del giubileo35.
I sacerdoti erano simbolo di Cristo. Il nostro Sommo Sacerdote ha preparato per i Suoi una Città murata36 che essi riceveranno nel Giorno del Giubileo antitipico. I regolamenti riguardanti le città dei Leviti erano un modello continuo della Nuova Gerusalemme che sarà data al popolo di Dio nel grande Giubileo finale.
Dio voleva che il Suo popolo lo ricordasse in tutte le transazioni commerciali e in ogni dettaglio della vita. Ad esempio, il valore di acquisto di una proprietà dipendeva dal periodo di tempo intercorrente tra la data di acquisto e il giubileo37.
Nel cerimoniale, il giubileo iniziava alla fine del giorno dell’espiazione. Comprendiamo così che il Giubileo antitipico seguirà all’antitipico Giorno dell’Espiazione, quando «l’Eterno farà udire la sua voce maestosa»38. Allora lo schiavo che è stato giustificato dal sangue di Cristo si leverà e si scrollerà di dosso le catene che lo legavano. La tromba del giubileo del Signore risuonerà in lungo e in largo per tutta la Terra. I santi che dormono nella prigione di Satana, la tomba, udranno il suono felice e colui «che ridusse il mondo come un deserto, distrusse le sue città e non lasciò mai andar liberi i suoi prigionieri»39 non potrà più trattenere le sue prede, perché il nostro Redentore ha parlato: «anche il prigioniero sarà portato via e la preda del tiranno sarà ricuperata. Io stesso combatterò con chi combatte con te e salverò i tuoi figli»40.
Il piano originale di Dio era che l’uomo possedesse la Terra. «I cieli sono i cieli dell’Eterno, ma la terra egli l’ha data ai figli degli uomini»41. Adamo ricevette il dominio sulla Terra e su tutto ciò che era in essa42. A causa del primo peccato, i piani di Dio vennero apparentemente ostacolati e così Satana divenne temporaneamente il principe di questo mondo. Nel Giubileo antitipico i redenti del Signore verranno reintegrati nella dimora originale dell’umanità. La Terra sarà
restaurata alla sua bellezza primigenia e sarà donata ai figli degli uomini in qualità di loro casa imperitura43. Il settimo giorno, il Sabato settimanale, che il Signore ha santificato e dato all’umanità sin da prima che la maledizione del peccato si posasse sulla Terra, verrà ancora osservato secondo l’originale disegno divino; per tutta l’eternità, «di sabato in sabato ogni carne verrà a prostrarsi»44 davanti all’Eterno.
«L’Eterno infatti sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine, renderà il suo deserto come l’Eden e la sua solitudine come il giardino dell’Eterno. Gioia ed allegrezza si troveranno in lei, ringraziamento e suono di canti»45.
Tipo | Antitipo |
Levitico 25:10 – Il giubileo restituiva la libertà a tutti | 1 Tessalonicesi 4:16-17 – Ai vivi e ai morti sarà restituita la libertà |
Levitico 25:9 – Il suono della tromba annunciava il giubileo | 1 Corinzi 15:51-53 – Il suono della tromba del Signore libererà tutti i Suoi |
Levitico 25:9 – Il giubileo iniziava al termine del giorno dell’espiazione, simbolo del giudizio | Apocalisse 22:11-12 – Cristo torna subito dopo la proclamazione della chiusura del giudizio |
Levitico 25:13 – Nell’anno del giubileo a ogni uomo venivano restituiti i propri beni | Isaia 35:1-10 – I redenti del Signore godranno per sempre della Terra riscattata per loro |
Levitico 25:23 – Il Signore ha sempre posseduto la Terra. L’uomo è soltanto un amministratore | Salmo 24:1; 1 Corinzi 10:26-28 – Il Signore è il Proprietario di tutta la Terra. Non ha mai rinunciato al Suo diritto di possederla |
Levitico 25:48-49; Ruth 2:20 – Solo un parente stretto aveva il diritto di riscatto | Ebrei 2:14-16 – Gesù è nato dal seme di Abramo e così è diventato nostro parente stretto |
Levitico 25:47-51 – Le persone vendute in schiavitù venivano riscattate e liberate | Romani 8:23; Osea 13:14 – Egli, nostro parente stretto, dice: li riscatterò dal potere della tomba |
Levitico 25:25-28 – La terra poteva essere riscattata solo da un parente prossimo | Efesini 1:14 – Cristo ha acquistato il possesso del Suo popolo |
Levitico 25:29-30 – Le abitazioni nelle città murate non tornavano ai proprietari originali nel giubileo | Apocalisse 16:19; Geremia 4:26 – Tutte le città terrene saranno distrutte alla seconda venuta di Cristo |
Levitico 25:32-33 – Le case nelle città dei Leviti potevano esser riscattate, tornando ai proprietari nel giubileo. I sacerdoti erano simbolo di Cristo | Ebrei 11:10, 16; Apocalisse 21:1-27 – Cristo, il Sacerdote antitipico, donerà la Sua Città al Suo popolo nel gran Giorno del Giubileo antitipico |
Genesi 2:2-3 – Il Sabato settimanale era la via maestra al giubileo e al suo significato | Isaia 66:22-23 – Il Sabato verrà osservato sulla nuova Terra per sempre |
Fin dall’inizio della storia del mondo furono previste le conseguenze dell’assassinio. L’Eterno aveva avvertito: «chiunque spargerà il sangue di un uomo, il suo sangue sarà sparso per mezzo di un uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine»1.
Divenne consuetudine che il parente più stretto della vittima si vendicasse dell’assassino, tuttavia, spesso accecati dalla rabbia del momento e dall’ansia di vendetta, i parenti potevano uccidere individui innocenti; per questo motivo, Dio consentiva all’assassino di fuggire e di mettersi al sicuro, aggrappandosi all’altare. Nessuno poteva essere ucciso senza previo esame se si fosse aggrappato all’altare, ma se si scopriva che l’assassino aveva premeditato di uccidere la vittima, allora veniva preso dall’altare e giustiziato; in caso contrario, la sua vita veniva risparmiata2.
Dopo l’ingresso dei figli d’Israele nella terra promessa, sei città furono scelte come “città rifugio”. Erano distribuite equamente lungo il paese, tre per ciascun lato del Giordano3. Le strade che portavano a queste città dovevano sempre essere mantenute in buone condizioni, affinché colui che fuggiva dal vendicatore del sangue non fosse rallentato o ostacolato nella sua fuga4. Le città sorgevano su un terreno sopraelevato e potevano essere viste a distanza.
Quando l’assassino giungeva alle porte della città rifugio doveva esporre «il suo caso agli anziani di quella città»5 prima che gli venisse dato asilo. Il suo caso era pure processato dai giudici della città più vicina a dove era stato commesso l’omicidio: se non c’era premeditazione, ma si trattava di una fatalità o di un atto involontario, allora l’uomo in esame era riportato nuovamente nella città rifugio nella quale si era nascosto6. È proprio questo il giudizio cui fa riferimento il Salvatore in Matteo 5:21.
Se in qualsiasi momento l’omicida avesse varcato i confini della sua città rifugio, la sua vita poteva essere presa dal vendicatore del sangue, «… poiché l’omicida avrebbe dovuto rimanere nella sua città di rifugio fino alla morte del sommo sacerdote; dopo la morte del sommo sacerdote l’omicida può invece tornare nella terra di sua proprietà»7. Le città rifugio d’Israele differivano molto dall’asyla dei greci e dei romani, che spesso proteggevano i personaggi più dissoluti. Le città di rifugio servivano da protezione solo per coloro che avevano ucciso una persona involontariamente, senza odiarla. Tali città appartenevano ai Leviti, in questo modo i loro abitanti si trovavano sotto il miglior influsso possibile. Erano in contatto con gli insegnanti religiosi di Israele e avevano tutte le opportunità per riformare le loro vite e per sviluppare un carattere giusto.
L’ordine di istituire le città rifugio era parte del grande sistema di leggi e cerimonie levitiche che insegnava le semplici verità dell’Evangelo di Cristo. Tyndale affermò che “sebbene la luce della Stella di Cristo rifulga in tutte le cerimonie levitiche, in alcune essa è così forte da essere veramente ‘la chiara luce del giorno’: non si può fare a meno di credere che Dio abbia mostrato in anticipo a Mosè i segreti di Cristo e la modalità stessa della Sua morte”. Il dott. Adam Clarke ebbe a dire che l’intero Evangelo potrebbe essere predicato a partire dai dettagli che riguardano le città rifugio.
Dio pianificò ogni cosa affinché ogni volta che un israelita avesse levato lo sguardo verso una delle città rifugio avrebbe potuto ricordarsi di Cristo, la «Torre del gregge, la Roccaforte della figlia di Sion»8 presso la quale ogni anima gravata dal peccato può ripararsi.
Satana, l’accusatore, ci bracca tutti «come un leone ruggente cercando chi possa divorare»9. La persona che abbandona il peccato e ricerca la giustizia di Cristo è protetta in modo sicuro dal sangue espiatorio dell’Agnello10. Salomone, assediato dalle tentazioni e dal peccato, comprese questa lezione e dichiarò: «Il nome dell’Eterno è una forte torre; a lui corre il giusto ed è al sicuro»11. Suo padre Davide sapeva cosa significasse dimorare nell’antitipica Città rifugio quando cantò: «Io dico all’Eterno: “Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio in cui confido”»12.
Non c’era tempo per riposarsi lungo la strada verso una città di rifugio. Una volta commesso per errore l’omicidio, l’assassino doveva fuggire immediatamente: nessun legame familiare poteva trattenerlo, la sua vita dipendeva dalla rapidità della sua corsa verso la città. Che tutti noi possiamo imparare questa lezione: invece di ritardare e di cercare di calmare la voce della coscienza che ci ricorda i nostri errori, quando sappiamo di aver peccato, fuggiamo subito a Cristo, confessando tutti i nostri peccati e dimorando nel Rifugio che Cristo ha preparato per noi. Egli ha provveduto ampiamente affinché «avessimo un grande incoraggiamento, noi che abbiamo cercato rifugio nell’afferrare saldamente la speranza che ci è stata messa davanti»13.
Il fuggitivo trovava la vita entro le mura della città, ma, se le avesse oltrepassate, lo attendeva la morte. Il discepolo amato si riferiva a questa verità quando scrisse: «la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita»14. Non è sufficiente semplicemente credere in Cristo. Dobbiamo dimorare in Lui se vogliamo avere la Vita (cfr. Giovanni 15). Dio ha promesso di “prenderci per la mano destra”. Chi dimora all’interno del Suo Rifugio avvertirà e riconoscerà le Sue cure protettive; quando sarà assalito dal nemico, potrà udire il Salvatore dire: «Non temere, io ti aiuto»15.
Nell’antico Israele colui che trovava riparo presso una città rifugio non poteva trascorrere parte del suo tempo fuori dalla Città e parte all’interno delle sue mura protettive. Al di fuori di esse infatti non c’era sicurezza alcuna in ogni momento. Allo stesso modo, la nostra unica sicurezza è dimorare «nel riparo dell’Altissimo», riposando «all’ombra dell’Onnipotente»16. Nessun uomo può servire due maestri17. Non possiamo dare al mondo e ai suoi piaceri il meglio del nostro tempo e dei nostri pensieri per poi sperare di essere protetti dagli esiti finali del peccato. Riceveremo il nostro “salario”, la ricompensa finale, dal maestro che serviamo. Se il meglio della nostra vita è stato trascorso al servizio del mondo, saremo fuori dall’antitipica Città rifugio e alla fine riceveremo la morte, ricompensa di chiunque elegga Satana (il mondo) come suo padrone18.
Quando il sommo sacerdote moriva, coloro che erano fuggiti nelle città di rifugio durante il suo mandato tornavano alle loro case. Erano liberi per sempre dal vendicatore del sangue, che non poteva più fare loro del male secondo la legge19. Ogni sommo sacerdote era simbolo di Cristo, il nostro vero Sommo Sacerdote. Il sommo sacerdote terreno cessava di essere tale alla sua morte. Il nostro Sommo Sacerdote non muore mai, ma verrà il momento in cui metterà da parte le Sue vesti sacerdotali e indosserà un manto regale con su scritto “Re dei Re e Signore dei signori”20.
Non intercederà più per la causa del Suo popolo davanti al trono di Dio, perché ogni caso sarà stato deciso per l’eternità. A coloro che hanno confessato ogni peccato e sono rimasti purificati dal sangue di Cristo, Egli dirà: «Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo»21. Costoro godranno poi della loro eredità senza paura alcuna del vendicatore del sangue, perché i giusti saranno per sempre al di fuori del potere di Satana22.
Satana ha usurpato l’autorità su questo mondo e sta addosso a ogni figlio e figlia di Adamo. Ma Dio ha da sempre fornito loro Rifugio sulla Terra. Abele abitò in sicurezza all’interno dei suoi recinti sacri23 e Giobbe si rese conto del potere protettivo di Dio quando fu esposto per un attimo all’assalto di Satana con le sue più feroci tentazioni24.
Anche il più debole figlio di Dio che vive continuamente all’interno di questo Rifugio non potrà mai essere rovesciato dal nemico delle anime, poiché gli angeli di Dio si accampano intorno a costui per liberarlo25. Tale Rifugio è illustrato tramite molti simboli in tutta la Bibbia, ognuno dei quali rivela una caratteristica speciale della cura protettiva di Dio. Ad esempio, Gesù, pregando per coloro che avevano rifiutato il Suo amore, disse: «quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, ma voi non avete voluto!»26.
Felice è colui che in ogni momento della tentazione può affermare: «l’anima nostra è scampata come un uccello dal laccio dell’uccellatore; il laccio si è spezzato e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome dell’Eterno, che ha fatto i cieli e la terra»27.
Tipo | Antitipo |
Giosuè 20:2-3; Deuteronomio 19:4-5 – Le città erano un rifugio per tutti coloro che uccidevano qualcuno inavvertitamente o senza volerlo | Apocalisse 22:16-17; Giovanni 7:37; 1 Giovanni 1:7 – Cristo è l’unico Rifugio in questo mondo dal peccato e dalla distruzione |
Deuteronomio 19:2-4 – Le strade dovevano essere mantenute libere e in buone condizioni, sicché a nessuno fosse impedita la fuga alla città | 1 Corinzi 11:1; Malachia 2:8 – Dio vuole che il Suo popolo sia un esempio per il mondo; quando pecca, diventa di inciampo sulla via degli altri |
Giosuè 20:3-4 – Chi fuggiva confessava il suo peccato alle porte della città rifugio: era accolto qualora non avesse premeditato l’omicidio | 1 Giovanni 1:9 – «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» |
Deuteronomio 19:11-13 – Se l’omicidio nasceva da odio o da premeditazione, allora l’assassino veniva consegnato nelle mani del vendicatore | Matteo 7:21-23; Ebrei 10:26-29; 12:16-17 – Chi si pente solo per paura della punizione, ma accarezza nel cuore il peccato, non sarà accettato |
Numeri 35:24-25 – Non bastava essere accolti in città: l’assassino era sottoposto al giudizio davanti all’assemblea e là si decideva il suo caso | Atti 17:31; Apocalisse 3:5 – Ognuno sarà giudicato presso il tribunale di Dio in base alle azioni compiute durante la propria vita |
Numeri 35:26-27 – All’interno della città c’era la vita, al di fuori di essa la morte | 1 Giovanni 5:11-12 – «Chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita» |
Giosuè 20:6; Numeri 35:28 – Dopo «la morte del sommo sacerdote in carica in quei giorni, comparirà in giudizio davanti all’assemblea. Allora l’omicida potrà tornare e rientrare nella sua città e nella sua casa, da dove era fuggito» | Matt. 25:34 – Quando Cristo metterà da parte le Sue vesti sacerdotali per venire a regnare come Re dei re, tutti coloro che dimorano in Lui riceveranno la loro eredità nella Terra resa nuova |
La roccia è sempre stata impiegata come sinonimo di forza e di solidità. La parabola della casa costruita sulla roccia ne è un esempio1. Il vocabolo “roccia” compare numerose volte nella Bibbia per illustrare la cura protettiva di Dio per il Suo popolo. Il salmista canta: «L’Eterno è la mia Rocca, la mia Fortezza»2.
Il termine selah, ripetuto oltre settanta volte nei Salmi, è definito dalla maggior parte dei commentatori come una pausa o un intermezzo musicale, ma compare anche con il significato di rocca fortificata3. Calza quindi a pennello pensare che, al cantare la grande potenza di Dio nel guidare il Suo popolo, il salmista si fermi di tanto in tanto (selah) per meditare con l’ausilio della musica su Selah, “la Roccaforte” spirituale, cioè Cristo4.
Quante volte nella nostra vita quotidiana le vittorie prenderebbero il posto delle sconfitte se nello scrivere la musica della nostra esistenza inserissimo le stesse pause usate dal dolce cantore d’Israele. Se nella frenesia delle nostre occupazioni giornaliere ci fermassimo a meditare sulla Roccia, potremmo affermare assieme a Davide: «nel giorno dell’avversità egli mi nasconderà nella sua tenda, mi occulterà nel segreto del suo tabernacolo, mi leverà in alto sopra una roccia»5.
I quarant’anni di pellegrinaggio dei figli d’Israele si svolsero nell’Arabia Petra o rocciosa, come a volte veniva chiamata. Il deserto pietroso li sfidava a ogni tappa del loro viaggio, ma da queste rocce Dio fece scaturire l’acqua che placò la loro sete. Anche nel nostro andare quotidiano le rocce delle difficoltà ci paiono insormontabili, ma se ci nasconderemo in Cristo esse saranno soltanto delle pietre miliari a custodia di sempre maggiori vittorie.
«Dio disse: “Ecco, io starò davanti a te, là sulla roccia in Horeb; tu percuoterai la roccia, ne scaturirà dell’acqua e il popolo berrà” E Mosè fece così davanti agli occhi degli anziani d’Israele»6. La moltitudine assetata vide sgorgare l’acqua pura e rinfrescante dalla roccia granitica. Bevvero e furono rinvigoriti per proseguire il loro viaggio. «Essi non hanno avuto sete quando li ha condotti attraverso i deserti. Egli ha fatto scaturire per loro acqua dalla roccia; ha spaccato la roccia e sono sgorgate le acque»7.
Non si trattava di una misera riserva d’acqua o di un’oasi, perché sta scritto che le acque «scorrevano nel deserto come un fiume»8. Durante tutto il loro pellegrinaggio furono miracolosamente riforniti d’acqua. Il ruscello non continuò più a scorrere dal luogo della prima roccia percossa, ma, ovunque essi avessero bisogno di acqua, sgorgava dalle rocce adiacenti al loro accampamento. Ben cantò il salmista nel volere che la Terra intera tremi dinnanzi a Dio, Colui che può trasformare «la roccia in un lago, il macigno in una sorgente d’acqua»9.
Quando gli israeliti avvistarono la terra promessa, l’acqua cessò di scorrere. Dio disse loro che dovevano attingere l’acqua dai pozzi mentre attraversavano Edom10. Per quanto strano possa sembrare, dopo aver bevuto da fonti miracolose nel deserto per così tanti anni, cominciarono subito a mormorare e a lamentarsi perché l’acqua non sgorgava più dalle rocce a loro vicine.
Fu in quei giorni che, al confine della terra di Canaan, Mosè, servo dell’Eterno, commise il peccato che gli impedì di entrare nel “buon paese”. La roccia era già stata colpita, per cui il Signore disse a Mosè di radunare l’assemblea dei figli d’Israele e di parlare alla roccia davanti ai loro occhi: essa avrebbe dato loro acqua. Mosè, che aveva sopportato pazientemente i loro mormorii così a lungo, perse il controllo e disse: «ora ascoltate, o ribelli; dobbiamo far uscire acqua per voi da questa roccia?»11. Poi percosse la roccia due volte e l’acqua sgorgò.
Dio non ha riguardi personali: proprio perché aveva molto onorato Mosè lo punì per il suo peccato. Quand’ebbe percosso la roccia per la seconda volta, ignorò il grande evento di cui la roccia colpita era un simbolo. Cristo è morto una sola volta per i peccati del mondo12 e tutti coloro che gli avrebbero parlato, confessando i loro peccati e supplicando per il perdono, avrebbero ricevuto le Acque curative della salvezza. Agendo in tal maniera, Mosè disobbedì a Dio e macchiò la bellissima rappresentazione posta davanti agli israeliti in tutte le loro peregrinazioni nel deserto.
Gli scrittori della Bibbia si riferiscono spesso all’esperienza della roccia colpita per insegnare la tenera cura che Dio ha per il Suo popolo. Isaia dice: «ognuno di essi sarà come un riparo dal vento e un rifugio contro l’uragano, come ruscelli d’acqua in luogo arido, come l’ombra di una grande roccia in una terra riarsa»13. Paolo afferma che quest’Uomo, che è “un riparo”, “un rifugio” e come “ruscelli d’acqua in luogo arido”, era Cristo, la Roccia14. Egli è “l’ombra di una grande roccia in una terra riarsa”. Ciò che fu per gli israeliti, Egli lo sarà per tutti coloro che ripongono la loro fiducia in Lui, cui oggi si rivolge, dicendo: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva»15. Chi ascolta l’invito di Cristo «berrà dal torrente per via e perciò alzerà il capo»16.
Presso ogni “accampamento” scorre acqua rinfrescante. Tutti possono bere liberamente dal Flusso che dà la Vita, il quale scorre dalla Roccia colpita una volta sulla croce del Calvario. «Chi ha sete venga e chi vuole prenda in dono dell’acqua della vita»17. Avete sete? Ricordatevi che la Roccia è stata colpita per voi. Non commettete l’errore di Mosè, ritenendo di doverla percuotere e ferire di nuovo, ma «parlate alla roccia ed essa darà la sua acqua»18. Ditele che siete stanchi del peccato, che desiderate accettare la Sua giustizia. Raccontategli i vostri peccati ed Egli vi rivestirà della Sua giustizia19.
Il Rio delle Amazzoni riversa nell’Oceano Atlantico un volume di acqua così grande che per chilometri e chilometri in mare aperto essa rimane ancora dolce. Si racconta di una nave che aveva esaurito le sue provviste d’acqua navigando nell’Oceano Atlantico. Si trovava nei pressi della foce del Rio delle Amazzoni e, segnalata a distanza la carenza d’acqua a un’altra nave, ottenne per tutta risposta: “pescate e bevete”. Il capitano ritenne che l’altra nave non aveva capito, per cui domandò nuovamente dell’acqua, ottenendo la medesima risposta di prima. Indignato, sbottò ai suoi: “Dicono: ‘pescate e bevete’! Gettate il secchio e assaggiate l’acqua”. Con loro grande sorpresa, i marinai scoprirono che si trattava di acqua dolce e così placarono la loro sete.
Spesso pensiamo di esserci persi in terra nemica e che il Signore è lontano, ma il flusso del Fiume della Vita scorre ovunque. Dobbiamo solo “pescare e bere” se vogliamo essere condotti alla Luce del Sole della presenza di Dio e avvertire la Sua cura protettiva. Più volte come Davide abbiamo bisogno di implorare: «Dall’estremità della terra io grido a te, mentre il mio cuore si strugge; conducimi tu alla Rocca più alta di me, perché tu sei stato un rifugio per me e una torre fortificata davanti al nemico. Io abiterò nella tua tenda per sempre, cercherò rifugio all’ombra delle tue ali. Selah»20.
Il fondamento della Chiesa cristiana è l’insegnamento degli apostoli e i profeti; Gesù Cristo è la Pietra angolare21. Cristo è la «Pietra vivente, rigettata dagli uomini, ma eletta e preziosa davanti a Dio»22. Ogni abitante della Terra è entrato o entrerà in contatto con questa Pietra in qualche momento della sua vita. O cadrà su di essa per sfracellare il vecchio uomo e diventare una nuova creatura in Cristo Gesù, o rifiuterà tale Pietra, la quale alla fine cadrà su di lui e lo distruggerà23.
Beato è colui che fa di Cristo la Pietra angolare e maestra in ogni sua opera quotidiana. Oggi Gesù ci chiede, come fece a Pietro un tempo: “Chi dite che io sia?”. Le nostre vite forniscono la risposta a questa domanda. Quella di Pietro fu: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Questa risposta gli è stata data dal Padre. Cristo replicò: “Tu sei Pietro”. In queste parole Egli riconobbe Pietro come suo discepolo, perché gli aveva dato tale nome quando lo aveva chiamato a seguirlo24.
La parola “Pietro” significa “sasso”, “frammento di roccia”. Cristo insegnava usando cose terrene per illustrare lezioni celesti; prese il nome Pietro, cioè un frammento di roccia, per dirigere la sua mente verso la solidità della confessione e la stabilità della causa fondata sulla Roccia, Cristo Gesù, di cui Pietro, quando accettò Cristo come Suo Maestro, divenne una porzione, un frammento. Ogni vero seguace di Cristo diventa una delle “pietre viventi” del grande edificio spirituale di Dio25. Cristo non disse: “su di te, Pietro, costruirò la mia chiesa”, ma mutando oggetto della frase affermò: «e sopra questa Pietra edificherò la mia chiesa»26.
Secoli prima, Isaia aveva scritto: «Ecco, io pongo come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una testata d’angolo preziosa, un fondamento sicuro…»27. L’apostolo Pietro e ogni figlio di Adamo hanno fallito quando sono stati provati. Cristo è il solo nato da donna che ha resistito a ogni tentazione, perciò è una pietra provata, atta a essere la Pietra angolare della grande Chiesa di Dio. Cristo non ha posto alcun uomo mortale a fondamento della Sua Chiesa. Triste sarebbe stata la condizione della Chiesa se essa fosse stata edificata su Pietro; un attimo dopo aver fatto la confessione di cui sopra, il suo cuore era così pieno di deduzioni malevoli e sbagliate che, come afferma il testo biblico, Cristo gli disse: «Vattene, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini»28.
Quando il Salvatore verrà tra le nubi del Cielo, coloro che hanno rifiutato la Roccia, Cristo Gesù, invocheranno le montagne e le rocce della Terra affinché li nascondano dall’ira dell’Agnello29. I nostri nemici allora testimonieranno il fatto che «la loro roccia non è come la nostra Roccia»30. «Magnificate il nostro Dio! Egli è la Roccia, l’opera sua è perfetta, poiché tutte le sue vie sono giustizia. È un Dio di fedeltà e senza ingiustizia; egli è giusto e retto»31.
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«Tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, perché bevevano dalla Roccia spirituale che li seguiva; or quella Roccia era Cristo». 1 Corinzi 10:4 | |
Esodo 17:6 – La roccia fu percossa per gli assetati | Ebrei 9:28 – «Cristo fu offerto una sola volta…» |
Salmo 78:15-16 – «Spaccò le rocce nel deserto e li abbeverò … fece scaturire fiumi dalla roccia» | Giovanni 7:38 – «Chi crede in me, come disse la Scrittura, in lui sgorgheranno fiumi d’acqua viva» |
Numeri 20:8 – «Parlate ed essa darà l’acqua» | Luca 11:9-10 – «Chiedete e vi sarà dato» |
Il cristiano non può avere vita se è separato da Cristo1. Ogni dettaglio della sua esistenza è diretto dal grande Maestro e questa verità fu chiaramente esposta tramite gli antichi riti e le cerimonie levitiche. I particolari della vita quotidiana dell’antico israelita erano infatti tutti sotto la direzione divina: il cibo, il vestiario, l’agricoltura, l’edilizia, gli acquisti e le vendite erano regolamentati dalla legge mosaica. Al lettore superficiale queste direttive possono sembrare solo una raccolta di forme e cerimonie prive di senso, ma per il vero studioso delle Scritture, che segue i passi del suo Maestro, ogni legge levitica è un riflettore dei preziosi raggi del Sole di giustizia.
Leggiamo: «non porterai vestito di tessuto misto, fatto di lana e di lino»2. Sorge spontanea la domanda: “perché questa regola?”. Una delle prime cose che Dio fece per Adamo ed Eva dopo la caduta fu quella di provvedere al loro vestiario3. Gli indumenti sono un simbolo della giustizia di Cristo, con la quale Egli copre tutti coloro i cui peccati sono perdonati4. Prima che l’uomo peccasse, era rivestito solo da un indumento di luce e di gloria. Ora Dio desidera che i nostri indumenti ricordino l’abito celeste che i redenti indosseranno alla fine di quest’era5.
Dio afferma: «Io sono il primo e sono l’ultimo, all’infuori di me non c’è Dio»6. La nostra vita non può essere rivestita in parte con «un abito sporco», quello della nostra giustizia7, e in parte con la veste pura e immacolata della giustizia di Cristo. Non possiamo servire Dio nella nostra vita domestica o in chiesa e poi servire il denaro nella nostra vita lavorativa quotidiana. Chi continua a fare ciò non entrerà mai nel regno dei cieli. «Non potete servire a Dio e a mammona» (Luca 16:13).
Anche il Salvatore ci ha insegnato che non possiamo rattoppare le vesti sudicie della nostra giustizia con quelle della vera e pura giustizia di Cristo. «Nessuno cuce un pezzo di un vestito nuovo sopra un vestito vecchio, altrimenti si trova con il nuovo strappato e il pezzo tolto dal nuovo non si adatta al vecchio»8. L’israelita che con coscienza si rifiutava di combinare lana e lino nelle sue vesti quotidiane poteva scorgere in questa legge la lezione che Dio voleva insegnargli, astenendosi perciò dal peccato. Il suo vestiario, fatto con un solo tipo di fabbrica, gli avrebbe costantemente ricordato la veste perfetta e d’un sol pezzo della giustizia di Cristo, data ai fedeli.
Alzandosi ogni mattina per lavorare la terra, l’antico israelita incontrava un altro comando singolare: «non lavorerai con un bue e un asino insieme»9. Il bue era un animale puro, mentre l’asino era impuro10. Nonostante entrambi fossero utili, non dovevano essere aggiogati insieme.
Il Salvatore pregò: «Io non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno»11. Possiamo usare il mondo come gli israeliti usavano l’asino impuro per il loro lavoro, tuttavia non dobbiamo guastare noi stessi con alcuno dei mali del mondo. «Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è il vostro, infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il credente e l’incredulo?»12. Questo comando include anche le relazioni matrimoniali e commerciali. Gli empi uomini d’affari spesso si servono di criteri nella conduzione del loro business che un cristiano non potrebbe mai adottare senza compromettere la sua integrità.
Il cristiano deve portare il giogo di Cristo, non impegnandosi in affari in cui Gesù non può aiutarlo a portare il peso delle ansie e delle problematiche che in essi sorgono. Il Salvatore invita tutti: «prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre»13.
Ogni precetto dell’Antico Testamento irradia la gloria del Figlio di Dio. Ciò vale particolarmente per il comando: «non seminerai nella tua vigna semi di specie diverse, perché il prodotto di ciò che hai seminato e la rendita della vigna non siano contaminate»14. Gli orticoltori conoscono il valore di questa regola. Ad esempio, seminando insieme grano e avena, quest’ultima marcisce e anche la crescita del grano viene compromessa. Tuttavia, questa legge, come le altre levitiche, riguardava ben più della prosperità materiale degli israeliti. Insegnava loro che se volevano rimanere fedeli a Dio non dovevano associarsi a cattive compagnie. «Non vi ingannate, le cattive compagnie corrompono i buoni costumi»15. Nella traduzione inglese del Nuovo Testamento del XX Secolo il versetto viene reso in maniera ancora più forte per far comprendere che la contaminazione delle cattive compagnie va ben oltre le maniere esteriori: «non fatevi ingannare; il buon carattere è rovinato dalle cattive compagnie». Lo stesso versetto nel Nuovo Testamento siriaco recita: «non fatevi ingannare, le storie malvagie corrompono le menti ben disposte».
Non importa come tali narrazioni influenzate dal male siano ricevute, se in forma orale o scritta, tramite libri e quotidiani, la verità rimane sempre la stessa: anche le menti meglio disposte ne vengono corrotte. Proprio come il grano, che fornisce il nostro pane quotidiano, viene danneggiato se mescolato con altre sementi nel campo, così anche le persone più spirituali possono essere portate fuori strada se si associano con persone cattive, poiché «la loro parola andrà rodendo come un cancro»16. «Non peccò forse Salomone, re d’Israele, per queste cose? Eppure fra tante nazioni, non ci fu re simile a lui; era amato dal suo Dio, e Dio lo aveva stabilito re su tutto Israele; ma le donne straniere fecero peccare anche lui»17.
“Siamo trasformati in ciò che contempliamo”: è una legge del nostro essere. Se contempliamo a viso scoperto la gloria del Signore, siamo mutati a Sua immagine18. Se lasciamo che le nostre menti si soffermino su cose malvagie, diventeremo malvagi. Dobbiamo pregare come Davide: «distogli i miei occhi dal contemplare vanità e vivificami nelle tue vie»19.
A colui che avrebbe edificato una nuova abitazione fu dato il comando: «Quando costruirai una casa nuova, vi farai un parapetto intorno alla terrazza. Così, se qualcuno cade da lassù, la tua casa non sarà responsabile del suo sangue»20. Generalmente le case in Palestina e in Medio Oriente sono provviste di tetti piani e calpestabili, sui quali si può godere l’aria fresca, conversare insieme, dormire, ecc… La necessità di un parapetto risulta piuttosto evidente.
In questo comando si nasconde anche una profonda lezione spirituale. Ogni uomo costruisce il proprio carattere. Paolo afferma: «voi siete l’edificio di Dio» che sarà messo alla prova dal Signore21. È possibile edificare un carattere che superi la prova del giudizio, un carattere che stia in questo mondo come un faro nell’oscurità morale del peccato, guidando anche altri al riposo del Porto sicuro. Viceversa, come un tetto senza parapetto, potremmo essere la causa della caduta e della rovina di molte persone. Nel costruire il nostro carattere dobbiamo tracciare sentieri diritti per i nostri passi, «affinché l’arto zoppo non divenga slogato, ma sia piuttosto risanato»22.
L’espressione di una statua di marmo può variare in base alla luce sotto la quale è irradiata e così il semplice comando: «non metterai la museruola al bue che trebbia il grano»23, se visto alla luce del Nuovo Testamento, contiene preziose lezioni spirituali per la Chiesa cristiana.
A supporto del ministro cristiano, Paolo dice: «nella legge di Mosè infatti sta scritto: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”. Si dà forse Dio pensiero dei buoi? O invece dice tutto questo per noi? Certo queste cose sono scritte per noi, perché chi ara deve arare con speranza e chi trebbia deve trebbiare con la speranza di avere ciò che spera»24. Poi spiega che se riceviamo aiuto spirituale dai ministri cristiani è giusto far loro parte dei nostri beni materiali per il loro sostentamento. Come gli antichi israeliti non dovevano mettere la museruola al bue che pazientemente trebbiava il loro grano, così noi non dobbiamo godere dell’aiuto e dell’opera spirituale di chi vive dell’Evangelo senza poi aiutarlo finanziariamente per sostenere lo sviluppo dell’Opera.
Paolo conclude il suo ragionamento mostrando che lo stesso sistema di decima dato da Dio per sostenere anticamente la Sua Opera resta ancora valido per la Chiesa cristiana. «Non sapete voi che quelli che fanno il servizio sacro mangiano delle cose del tempio e quelli che servono all’altare hanno parte dei beni dell’altare? Così pure il Signore ha ordinato che coloro che annunziano l’evangelo, vivano dell’evangelo»25.
“Non mettere la museruola al bue che trebbia” contiene una lezione per il ministro cristiano e per coloro in favore dei quali lavora. Non si mette la museruola al bue “che trebbia il grano”, ma se il bue si adagia pigramente senza mietere, allora la museruola è necessaria. Il comando è di vasta portata: richiede sia il servizio fedele del lavoratore nella causa di Dio, sia l’impegno dei credenti a sostenere fedelmente i lavoratori dell’Evangelo. Per i vari insegnamenti biblici sicuramente si applicano le seguenti parole di W. Tyndale: “I simboli hanno più virtù e potere in essi che le mere parole, elevando la comprensione umana all’essenza della cosa in sé – e ciò è stato chiamato ‘comprensione spirituale’ – nessun flusso di parole immaginabile potrà mai sortire lo stesso effetto”.
Durante i quarant’anni di pellegrinaggio nel deserto, i figli di Israele passarono tramite varie esperienze. Come l’umanità odierna, non furono grati per la cura protettiva di Dio. Non riconoscevano che Dio li aveva protetti dai rettili velenosi che infestavano il loro percorso nel deserto. Quando Dio rimosse la sua cura tutelare e permise ai “serpenti ardenti” di mordere il popolo, «molti Israeliti morirono»26. Il popolo confessò di aver peccato e mormorato contro Dio, supplicando Mosè di pregare per loro. Dio allora comandò a Mosè di realizzare un serpente di bronzo e di issarlo su un’asta, di modo che, chiunque lo avesse guardato, avrebbe avuto vita.
La speranza si riaccese nei cuori di molte persone mentre sollevavano il capo dei loro cari avvelenati, dirigendone lo sguardo verso il serpente di bronzo. Non appena gli occhi di coloro che erano stati morsi si posavano sul serpente, la vita e la salute tornavano in loro. Il rimedio era così semplice – solo guardare – che alcuni ne risero e lo rigettarono, ma rifiutando di guardare, rifiutarono la vita. L’introduzione alle meravigliose e ben note parole di Giovanni 3:14-15 è: «come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna»27.
Come il serpente fu innalzato su un’asta, così Gesù Cristo è stato innalzato sulla croce. Come gli israeliti dovettero guardare al serpente di bronzo, così i peccatori devono guardare a Cristo per ottenere salvezza. Come Dio non fornì altro rimedio al morso del serpente, così non ha dato altra Via di salvezza che la fede nel sangue di Suo Figlio. Come colui che guardava il serpente di bronzo era guarito e viveva, così colui che crede nel Signore Gesù Cristo non perirà, ma avrà la vita eterna.
Gli esiti fatali del peccato non possono essere rimossi in altro modo se non con i mezzi che Dio ha provveduto. Il serpente antico, ossia il diavolo, continua a mordere uomini e donne da ogni lato con il suo veleno mortale, ma Cristo ha versato il Suo sangue alla Croce del Calvario perché chiunque guardi a Lui, credendo che il Suo sangue lo purifica da ogni peccato, sia libero dal veleno del serpente28.
Infine a commento del comando: «non scannerete una vacca o una pecora con il suo piccolo nello stesso giorno»29 Andrew A. Bonar spiega: «Alcuni dicono che il comando fosse inteso a scoraggiare la crudeltà. Senza dubbio ebbe anche questo risultato. Tuttavia, una ragione simbolica, molto preziosa, è nascosta in esso. Il Padre dovette rinunciare a Suo Figlio e il Figlio fu, per così dire, strappato dalle cure paterne per essere dato in mano agli empi. E come si poteva rappresentare questo fatto se sia la pecora che il suo piccolo venivano uccisi assieme nello stesso giorno? La verità che ‘Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Suo Unigenito Figlio’ non doveva né dovrà mai essere offuscata. I belati del tenero agnello strappato dall’ovile per essere scannato riempivano di tristezza le orecchie dei suoi genitori e rappresentavano i “belati” dell’Agnello di Dio che fu immolato per noi, quando angosciosamente gridava al Padre: ‘Elì! Elì! Lama sabachtanì?’. Quindi vediamo che, tramite questo precetto, venne posto in ogni casa di Israele un emblema della grande verità che ‘Dio non ha risparmiato il Suo proprio Figlio, ma Lo ha dato per tutti noi’.».
Tipo | Antitipo |
Deuteronomio 22:11 – «Non porterai vestito di tessuto misto, fatto di lana e di lino» | Isaia 64:6; 61:10 – Non possiamo unire il nostro abito sudicio alla veste della giustizia di Cristo |
Deuteronomio 22:10 – «Non lavorerai con un bue e un asino insieme» | 2 Corinzi 6:14-17 – «Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è il vostro» |
Deuteronomio 22:9 – «Non seminerai nella tua vigna semi di specie diverse, perché il prodotto di ciò che hai seminato e la rendita della vigna non siano contaminate» | 1 Corinzi 15:33 – Traduzione inglese del XX secolo: «il buon carattere è rovinato dalle cattive compagnie». Nuovo Testamento siriaco: «le storie malvagie corrompono le menti ben disposte». |
Deuteronomio 22:8 – «Quando costruirai una casa nuova, vi farai un parapetto intorno alla terrazza. Così, se qualcuno cade da lassù, la tua casa non sarà responsabile del suo sangue» | Ebrei 12:13; 1 Corinzi 3 – «Fate dei sentieri diritti per i vostri piedi, affinché l’arto zoppo non divenga slogato, ma sia piuttosto risanato» |
Deuteronomio 25:4 – «Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano» | 1 Corinzi 9:11; 1 Timoteo 5:18 – «Se abbiamo seminato fra voi le cose spirituali, è forse gran cosa se mietiamo i vostri beni materiali?» |
Numeri 21:8-9 – «quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, viveva» | Giovanni 3:14-15 – «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» |
SEZIONE 9 – LE TRIBÙ D’ISRAELE
QUANDO IL RE CHIAMERÀ I SUOI
Divers Santee
Nel tempo lieto della mietitura,
durante il grande Anno millenario,
quando il Re prenderà il Suo scettro
e apparirà per giudicare il mondo,
terra e mare daranno i loro tesori:
tutti staranno davanti al trono di Dio.
Sarà quindi assegnato il Premio,
quando il Re chiamerà i Suoi.
O il rapimento dei Suoi! A lungo essi
dimorarono sul basso suolo terrestre,
coi cuori sempre rivolti alla casa celeste,
ripieni della fede e dell’amore per Dio.
Condivideranno la vita immortale,
conosceranno come furono conosciuti.
Passeranno per i portali perlacei,
quando il Re chiamerà i Suoi.
A lungo faticarono per il raccolto,
seminando il prezioso seme con lacrime;
presto lasceranno andare i loro pesi
durante i felici anni millenari.
Parteciperanno alla beatitudine celeste,
senza mai più sospirare o gemere.
Corone di stelle saranno loro date,
quando il Re chiamerà i Suoi.
Saluteremo i cari e gli affetti
che soli ci avean lasciato qui;
sarà bandito ogni dolor di cuore
quando apparirà il Salvatore.
Mai stanchi di peccato o dolore,
mai soli o affaticati, oh!
Desideriamo quel lieto domani,
quando il Re chiamerà i Suoi.
Il Signore nomina gli individui in base al loro carattere. Dato che Egli scelse i nomi dei dodici figli di Giacobbe, da cui provennero le dodici tribù d’Israele, come nomi per le dodici divisioni dei centoquarantaquattromila di Apocalisse 7, ci dev’essere più di un elemento nel carattere dei figli di Giacobbe e delle dodici corrispondenti tribù di Israele degno di accorto studio.
Il significato dei nomi che il Signore dà alle persone è molto importante. Il nome Giacobbe fu mutato in Israele solo quando, dopo una lunga lotta stancante, questi aveva vinto con Dio e con gli uomini1. Quando Iose vendette il proprio campo per provvedere ai bisogni della causa di Dio fu chiamato Barnaba, “figlio di consolazione”2.
I centoquarantaquattromila, redenti tra gli uomini al ritorno del Salvatore, per tutta l’eternità seguiranno «l’Agnello ovunque Egli vada» ed entreranno nella Città di Dio schierati in dodici compagini, ognuna delle quali porterà il nome di una delle dodici tribù d’Israele3. Conveniamo quindi sul fatto che ci sia un significato speciale nei nomi dati ai dodici figli di Giacobbe.
In ogni antica famiglia israelita il primogenito ereditava per diritto di nascita una doppia porzione del patrimonio paterno, l’onore di officiare come sacerdote nella casa di suo padre e, cosa di maggior valore per ogni vero figlio di Abramo, più della posizione sociale o di tutte le ricchezze, ereditava anche il diritto alla nascita spirituale, cioè il grande privilegio di divenire progenitore del Messia promesso. Purtroppo Ruben, il maggiore dei dodici figli di Giacobbe, al pari dello zio Esaù4, mostrò di apprezzare ben poco il suo diritto di nascita: in un momento di debolezza commise un peccato che lo escluse per sempre da ogni beneficio spirituale e temporale di primogenitura. Commise adulterio con la moglie di suo padre, un peccato che Paolo affermò non essere neppure «nominato tra i pagani»5.
A causa di questo peccato la primogenitura temporale (doppia porzione dell’eredità) fu data a Giuseppe6, il sacerdozio a Levi7, mentre a Giuda, il quarto figlio di Giacobbe, fu conferito l’onore di diventare avo di Cristo8.
Sul letto di morte Giacobbe ritrasse il carattere che Ruben avrebbe potuto possedere come primogenito. «Ruben, tu sei il mio primogenito, la mia forza, la primizia del mio vigore, eminente in dignità ed eminente in forza». Possiamo immaginare il cambio di tono nella voce del vecchio patriarca mentre passò a descrivere l’effettivo carattere del primogenito, colui che avrebbe potuto ottenere il rispetto di tutti: «impetuoso come l’acqua, tu non avrai la preminenza»9. Ci sono tracce nella storia della vita di Ruben dell’eccellenza della dignità che originariamente gli era stata conferita, come dimostrato dalla sua gentilezza nel portare a sua madre le mandragole10 o nel cercare di salvare la vita di Giuseppe, quando i suoi fratelli avevano deciso di ucciderlo11. Ruben aveva un carattere vacillante, impetuoso, instabile come l’acqua. Suo padre aveva poca fiducia nella sua parola: quando i suoi fratelli dovettero trarre Beniamino in Egitto, Giacobbe non prese in considerazione l’impegno di Ruben di far tornare Beniamino a casa sano e salvo, ma non appena Giuda si fece garante per il ragazzo, Giacobbe accettò l’offerta12.
La natura instabile di Ruben pare essere stata trasmessa ai suoi discendenti. La tribù di Ruben mostrò il medesimo carattere egoista quando desiderò di prendere possesso delle prime terre conquistate dopo l’uscita dall’Egitto senza aspettare l’ingresso in Canaan. Mosè evidentemente lesse tra le righe il movente della richiesta, ciononostante concesse loro i possedimenti «lungo l’altra riva del Giordano» a patto del loro impegno a collaborare militarmente nella conquista di Canaan. Come conseguenza di questa richiesta, essi furono tra i primi a essere deportati in Assiria da Tiglat-Pileser, re d’Assiria, nel 740 a. C. circa13.
Le parole profetiche del patriarca, «non avrai la preminenza», si adempirono lungo la storia della tribù di Ruben, la quale non fornì alcun giudice, profeta o eroe, eccettuati Adina e i suoi trenta uomini, contati tra i valorosi guerrieri dell’esercito di Davide14. Indubbiamente costoro fecero parte dei centoventimila uomini di Ruben, Gad e Manasse che salirono a Hebron per proclamare Davide re su tutto Israele15.
Dathan e Abiram, entrambi della tribù di Ruben, capitanati dal levita Kore, sono tristemente noti per essersi ribellati contro Mosè e Aaronne, istigando l’accampamento di Israele: la loro distruzione fu una lezione esemplare del destino di tutti coloro che seguono un corso simile16.
Il territorio scelto dai Rubeniti li collocava in stretta vicinanza a Moab. Vare città dell’eredità di Ruben (Heshbon, Elealeh, Kirjathaim, Nebo, Baalmeon, Shibmah, …) divennero note come città moabite, non israelite. Non sorprende che Ruben, così lontano dalla sede centrale del governo e della religione nazionale, abbia abbandonato la fede nell’Eterno. «Si prostituirono andando dietro agli dèi dei popoli del paese, che Dio aveva distrutti davanti a loro»17 e ben poco è narrato di loro fino a quando Hazael, re di Siria, occupò il loro territorio per un certo periodo di tempo18.
Come tribù non compirono pienamente l’opera che Dio avrebbe voluto che realizzassero nella loro terra, per cui il Signore permise a Pul e a Tiglat-Pileser di deportarli nella Mesopotamia del Nord, dove rimasero fino a quando, alla fine dei settant’anni di cattività, i rappresentanti delle dodici tribù furono nuovamente riuniti nella terra d’Israele19.
La storia della tribù è un registro di continui fallimenti nell’attuazione degli obiettivi divini. Ruben, il primogenito, ebbe l’opportunità di essere leader, ma fallì: allo stesso modo, la sua tribù, situata ai confini di Moab, avrebbe potuto rivelarsi fedele a Dio ed essere un faro per condurre i pagani al vero Dio, ma essi furono instabili come l’acqua, al pari del loro antenato. Sebbene il patriarca e i suoi discendenti non riuscirono ad effettuare il piano di Dio per loro, il nome di Ruben sarà immortalato e, per tutta l’eternità, l’incalcolabile folla dei redenti leggerà quel nome scolpito su una delle dodici porte perlacee della Nuova Gerusalemme. Dodicimila dei centoquarantaquattromila apparterranno a questo gruppo, portando al loro ingresso nel Regno di Dio il nome di Ruben.
Come può uno che apparentemente è stato un fallimento nella sua vita essere così onorato? Questo è il grande mistero della pietà. Come potrà il ladrone, che della sua vita aveva fatto completo naufragio, stare accanto al Salvatore in paradiso? È solo mediante la potenza del sangue di Cristo, il Redentore che perdona ogni peccato.
Quando Mosè pronunciò la sua benedizione finale sulle tribù di Israele, di Ruben disse: «Viva Ruben e non muoia! E i suoi uomini siano numerosi»20. Potremmo chiederci in che modo un carattere instabile come l’acqua possa “vivere e non morire”: la scelta presa dalla tribù di Ruben in un momento di grande crisi in Israele ci spiega come costoro possano essere dei vincitori.
Al tempo della battaglia di Meghiddo, che è per molti aspetti un simbolo della battaglia finale e spirituale di Armagheddon, viene riportato che «tra le divisioni di Ruben, grandi furono le deliberazioni del cuore»21 (vi fu un profondo esame del cuore). Ecco il segreto di tutta la faccenda.
Anche oggi moltitudini di uomini e donne nel mondo hanno un carattere simile a quello di Ruben. Sono instabili come l’acqua, senza il potere di fare alcunché di buono da se stessi, ma se inizieranno seriamente ad esaminare i loro cuori, scopriranno le proprie debolezze. Se si rivolgeranno a Dio, Egli verrà in loro soccorso e dirà di loro, come fece di Ruben un tempo: «vivano e non muoiano!».
RIEPILOGO
Il diritto di nascita comprendeva:
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Simeone era il secondogenito di Lea, la moglie non amata da Giacobbe. Era un uomo dalle forti passioni. La sua vita e quella della tribù che portava il suo nome contengono alcune delle macchie più oscure della storia dell’antico Israele.
Il peggior peccato nella vita di Simeone fu lo sterminio di tutti gli uomini di Sichem1. Levi si unì a Simeone in tale opera empia, ma pare che quest’ultimo ne sia stato l’ideatore e l’ispiratore principale, poiché la narrazione biblica menziona sempre per primo il suo nome al ricordarne l’atto.
La vicenda fu drammatica. Il principe di Sichem aveva violentato Dina, l’unica figlia di Giacobbe. È facile immaginare come l’unica sorella poteva essere amata e protetta dai fratelli, specie dai figli di Lea, madre di Dina. Quando Giacobbe rimproverò Simeone e Levi per lo sterminio, la loro unica risposta fu: «doveva egli trattare nostra sorella come una prostituta?»2.
L’amore per la sorella evidentemente provocò l’atto di vendetta. I due fratelli volevano anche salvarla, in quanto Dina era stata rapita in casa del principe di Sichem. Dopo l’omicidio, Simeone e Levi la riportarono a casa con loro3.
Le parole che Giacobbe rivolse a Simeone mostrano che Dio non ignora il peccato di nessuno. Il fatto che la loro unica sorella fosse stata violentata non era una scusa valida per commettere quella terribile vendetta. Quando i figli di Giacobbe si radunarono intorno al letto sul quale giaceva il padre per ricevere la loro benedizione finale, la vista di Simeone e Levi portò vividamente alla mente del patriarca morente il ricordo dell’omicidio commesso circa quarant’anni prima, così egli esclamò: «Simeone e Levi sono fratelli: le loro spade sono strumenti di violenza». Poi, ripugnato dall’idea che il suo buon nome fosse stato offuscato dal loro comportamento malvagio, continuò: «non entri l’anima mia nel loro consiglio, non si unisca la mia gloria alla loro adunanza! Poiché nella loro ira hanno ucciso degli uomini e nella loro caparbietà hanno tagliato i garretti ai tori. Maledetta la loro ira, perché è stata violenta, e il loro furore, perché è stato crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele»4.
Entrambe le tribù furono “divise” e “disperse”, ma in modo così diverso! I Leviti ricoprirono posizioni d’onore e furono sparsi per tutto il paese in qualità di educatori religiosi e di sacerdoti, mentre la dispersione della tribù di Simeone nacque dagli elementi corrotti nella tribù stessa, che ne provocarono una riduzione di numero e quindi un allontanamento dalla propria eredità. Quando infatti la terra promessa venne spartita tra le varie tribù, Simeone era così piccolo in numero che non gli fu assegnata parte alcuna; tuttavia, dato che il lotto spettante a Giuda risultava troppo grande per quella tribù, a Simeone fu permesso di occupare una parte dell’eredità di Giuda. In seguito, alcuni Simeoniti furono obbligati a cercarsi un nuovo territorio, finendo così separati dal resto dei loro fratelli5.
Negli scritti degli antichi rabbini si legge che la tribù di Simeone si rimpicciolì al punto tale che buona parte di essa fu costretta a provvedere alla propria sussistenza svolgendo il lavoro di insegnante dei figli delle altre tribù. Davvero furono divisi in Giacobbe e dispersi in Israele.
Quando Israele fu censito al Sinai, Simeone contava 59.300 guerrieri: era superato solo da due tribù per numero e forza. Ma al nuovo censimento di Scittim, Simeone era la più debole di tutte le tribù, contando solo 22.200 combattenti. Qual è la ragione di un così grande cambiamento? Non fu perché gli uomini forti di Simeone sacrificarono la loro vita sul campo di battaglia, combattendo per l’onore di Dio, ma fu perché vennero uccisi a causa della licenziosità dei loro cuori. Il venticinquesimo capitolo di Numeri racconta la triste storia della rovina di Simeone. Dal resoconto pare che i capi Simeoniti fossero i principali istigatori di quel grande episodio di apostasia. Divennero preda delle prostitute madianite. Veramente la prostituta «ne ha fatti cadere molti feriti a morte e tutti quelli da lei uccisi erano uomini forti.»6.
Salomone, il più saggio di tutti gli uomini, per tre volte chiamato “l’amato di Dio”, divenne schiavo della sua passione, sacrificando la sua integrità al medesimo potere ammaliante7. Le rive del fiume del tempo sono disseminate dei relitti di coloro che si sono arenati sui massi dell’indulgenza sessuale. Israele fu preda della lussuria prima di cadere nell’idolatria. Quando i desideri licenziosi dominano il cuore altri peccati seguono rapidamente.
«Beati i puri di cuore»8. Chi domina il suo spirito è più grande di chi espugna una fortezza9, ma «l’uomo che non sa governare se stesso è come una città smantellata e senza mura»10.
Alcuni suppongono che l’omissione del nome di Simeone nella benedizione finale di Mosè fosse dovuta al suo grande dispiacere per il comportamento della tribù a Scittim.
Poco si dice della posizione assunta da questa tribù alla divisione del regno, ma ci sono due riferimenti che sembrerebbero indicarne la simpatia per il regno di Israele11.
Il medesimo carattere impavido e guerriero manifestatosi nella collera di Simeone fu impiegato nella vita di Giuditta per la protezione del popolo di Dio. Non è certo se l’omonimo libro apocrifo sia una cronaca fedele o una versione romanzata degli eventi, ma in ogni caso Giuditta rimarrà per sempre una delle figure di spicco tra i liberatori della sua nazione. Ella uccise il capo dell’esercito nemico, al pari di Jael, secoli prima12. Trovò forza per la sua tremenda impresa nella preghiera al «Signore, Dio del padre mio Simeone», in cui alluse anche al massacro di Sichem13.
La storia di Giuditta, che come Ester rischiò la vita per la liberazione del suo popolo, contrasta in modo positivo con il corso malvagio intrapreso da Simeone e dai suoi discendenti.
Nel Targum Pseudo-Jonathan viene riportato che furono Simeone e Levi a complottare per uccidere il giovane Giuseppe; Simeone legò Giuseppe prima che fosse calato nel pozzo di Dothan. Questo avvenne circa due anni dopo il massacro di Sichem. Tutti questi eventi dovettero tornare vivamente alla memoria di Giuseppe quando comandò che Simeone venisse legato come ostaggio davanti agli occhi di quegli stessi uomini che un tempo lo avevano visto legare Giuseppe con l’intento di ucciderlo14.
Qualcuno può ritenere strano il fatto che il nome di un uomo noto solo per la sua violenza e i suoi peccati sia inciso su una delle porte della Città Santa di Dio e che un dodicesimo dei centoquarantaquattromila entrerà per essa portando il nome di quell’uomo. Ma il fatto che uno abbia commesso peccato non lo esclude mai automaticamente dal Regno di Dio. Tutti hanno peccato. È il peccato non confessato e non abbandonato che impedisce di ricevere la vita immortale.
Gesù è l’unico nato da donna senza peccato. Solo Lui in tutta la famiglia di Adamo avrà per l’eternità il Proprio registro di vita aperto a tutti: nessuna parte della Sua vita sarà mai coperta, ma la nostra vita, segnata dal peccato, sarà coperta dalla giustizia di Cristo. Il sangue di Cristo può purificare dal peccato più scarlatto: anche gli assassini possono entrare in Cielo, non come assassini, naturalmente, ma come peccatori perdonati e trasformati. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana»15.
Tratti fuori dal peccato e dalla malvagità dell’ultima generazione, dodicimila redenti saranno innestati nella tribù spirituale di Simeone in virtù del sangue di Cristo: per tutta l’eternità rappresenteranno quella tribù sulla Terra rinnovata.
RIEPILOGO
Quando Lea diede alla luce il suo terzo figlio disse: «questa volta mio marito sarà ben unito a me, perché gli ho partorito tre figli». Per questo fu chiamato Levi»1, che vuol dire “unito”. Nel desiderio di essere amata dal marito, Lea non si rese conto che il piccolo avrebbe adempiuto al significato del suo nome in un senso molto più ampio di quanto potesse aspettarsi: avrebbe aiutato a unire i figli di Israele al loro Marito infinito, il Creatore di tutte le cose2.
Il nome Levi parve una profezia dell’opera della vita dell’intera tribù. Satana aveva separato Lea dalle attenzioni e dal rispetto del marito tramite invidie e gelosie, così cercò di rovinare Levi persuadendolo a unirsi a Simeone nel vendicare il male fatto alla loro unica sorella3.
Le parole di Giacobbe in punto di morte rivelano l’entità del crimine e il modo in cui il Signore lo aveva considerato. Il cuore del vecchio padre si agitò al ricordo di esso, così egli esclamò: «non entri l’anima mia nel loro consiglio, non si unisca la mia gloria alla loro adunanza … Maledetta la loro ira, perché è stata violenta, e il loro furore, perché è stato crudele!» Poi, come se non potesse sopportare il pensiero di una loro crescita che sarebbe equivalsa a una tribù forte per perpetrare tali crimini, esclamò: «li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele»4. Suonò più come una maledizione che una benedizione, ma quando un peccatore si pente e si allontana dai suoi peccati, il nostro Dio rende la maledizione in benedizione: così fu nel caso di Levi5.
Nulla indica che la tribù di Levi abbia avuto particolare preminenza sulle altre durante la schiavitù egiziana. È abbastanza evidente che il piano originale di far officiare il primogenito qual sacerdote della famiglia continuò fino all’accampamento presso il Sinai. I «giovani tra i figli di Israele» offrirono i sacrifici fino a tale momento6. Nel Targum Pseudo-Jonathan si afferma espressamente: «Mandò i primogeniti dei figli di Israele, perché fino a quel tempo il culto veniva officiato dal primogenito, in quanto il tabernacolo non era ancora stato edificato, né il sacerdozio dato ad Aaronne».
Il carattere degli individui è formato in base a come essi affrontano i comuni accadimenti della vita quotidiana, ma è testato sulla base di come reagiscono nei momenti di crisi. Al Sinai il popolo di Dio affrontò una delle più grandi crisi della sua storia: l’intera moltitudine di Israele adorò il vitello d’oro. Fu in tale momento, quando Dio si dichiarò pronto a distruggere Israele7, che la tribù di Levi si fece avanti, contribuendo a salvare la causa di Dio grazie alla loro fedeltà.
Quando Mosè scese dal monte, vide che i figli d’Israele adoravano il vitello d’oro; si fermò all’ingresso dell’accampamento e disse: «“chiunque è per l’Eterno, venga a me!”. E tutti i figli di Levi si radunarono vicino a lui. Ed egli disse loro: “Così dice l’Eterno, il Dio d’Israele: ‘Ognuno di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate da un’entrata all’altra dell’accampamento, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l’amico, ciascuno il vicino’. I figli di Levi fecero come aveva detto Mosè e in quel giorno caddero circa tremila uomini»8.
In questa crisi l’onore di Dio e della Sua causa fu più caro ai Leviti di tutti i vincoli mondani; né fratelli, né amici o vicini si frapposero tra loro e il dovere verso Dio. Come ricompensa per la loro fedeltà, venne data ai figli di Levi una parte dei diritti di primogenitura, il sacerdozio. Quel che Ruben aveva perso per infedeltà nella casa di suo padre, Levi aveva guadagnato per la fedeltà a Dio davanti a tutto Israele.
Giacobbe sul letto di morte denunciò i peccati di Levi, ma Mosè nella benedizione finale lo esaltò sopra tutti gli altri, dicendo: «I tuoi Thummim e i tuoi Urim appartengono al tuo Uomo pio, che tu provasti a Massa, col quale contendesti alle acque di Meriba. Egli dice di Suo padre e di Sua madre: “Io non li ho visti”; egli non ha riconosciuto i suoi fratelli e non considera i propri figli, perché i Leviti hanno osservato la tua parola e hanno custodito il tuo patto. Essi insegnano i tuoi decreti a Giacobbe e la tua legge a Israele; mettono l’incenso davanti a te e l’intero olocausto sopra il tuo altare. O Eterno, benedici la sua forza e accetta l’opera delle sue mani. Trafiggi i lombi di quelli che insorgono contro di lui e di quelli che lo odiano, affinché non si rialzino più»9.
Dalla caduta dell’uomo ogni famiglia aveva celebrato il culto con i sacerdoti che gli appartenevano. Quando giunse il momento di modificare tale metodo, Dio lo fece in modo da dare a tutto Israele una comprensione approfondita della questione.
I primogeniti d’Israele furono censiti e si scoprì che il loro numero ammontava a 22.000. Poi anche la tribù di Levi fu censita: 22.273 uomini. I Leviti superavano il numero dei primogeniti, quindi fu raccolto un prezzo di riscatto – “cinque sicli a testa” – per i 273 Leviti in eccedenza10. Poi tutti i Leviti furono appartati perché la loro vita venisse adoperata al servizio del Signore. Nel terzo capitolo di Numeri la somma degli appartenenti ai tre rami della tribù di Levi ammonta a 22.300 (erano cresciuti di poco nel frattempo). Resta inteso che questi 300 in più erano primogeniti Leviti e come tali erano già consacrati: non potevano prendere il posto di altri primogeniti.
Il tabernacolo era per i figli d’Israele il segno tangibile del loro Re invisibile; possiamo paragonare i Leviti alla guardia reale, attendenti esclusivi del Re. Quando il popolo si accampava, i Leviti erano i guardiani della sacra tenda. Quando viaggiava, solo i Leviti potevano trasportarne la struttura, gli arredi e gli utensili.
Quando Israele entrò nella terra promessa, alla tribù di Levi non fu data alcuna eredità. Non avrebbero dovuto impiegare tempo e forze in colture o allevamenti. Il benessere spirituale di tutto Israele era loro responsabilità, per cui, al fine di svolgere più facilmente le mansioni sacre, i Leviti ricevettero quarantotto città, sparse in tutte le dodici tribù; le decime furono impiegate per il loro sostentamento11. Si adempì allora la profezia di Giacobbe: i Leviti erano “divisi, dispersi in Israele”.
La storia del tempio e del servizio sacro è la storia dei Leviti. Quando Dio era onorato dal Suo popolo, i Leviti compivano i loro incarichi designati, ma quando giungevano periodi di apostasia, i Leviti erano obbligati a cercare altri impieghi per il loro sostentamento12.
Come ogni altra tribù, Levi presenta una storia ricca di luci e di ombre: non tutti rimasero fedeli a Dio, ma la tribù continuò comunque a perdurare in Israele fino al tempo di Cristo ed ebbe anche un degno rappresentante tra i primi apostoli nella persona di Barnaba13.
Fu in tempo di crisi che i Leviti ottennero una grande vittoria. Durante una crisi si prendono decisioni rapide, ma molti falliscono in questo perché non hanno sviluppato un carattere cristiano indipendente. Hanno l’abitudine di seguire la guida di coloro in cui ripongono la loro fiducia, ma non possiedono Forza in se stessi. Chi vuol mostrarsi veritiero e fedele nelle crisi della vita deve avere un legame vivente con il Dio del Cielo: deve amare e rispettare Dio più degli uomini14.
Mosè e Aaronne sono le figure più note della tribù di Levi. Vi era un marcato contrasto tra i due. Mosè assomigliava a una grande roccia contro la quale le onde s’infrangevano continuamente, ma senza scalfirla. Aaronne era più gentile e conciliante: a volte sembrava quasi vacillare, ma anch’egli era forte, seppure in modo diverso da suo fratello.
La prova dell’incoronazione sacerdotale di Aaronne giunse al momento in cui i suoi due figli furono colpiti e uccisi nel tabernacolo, in quanto, sotto l’influenza di bevande inebrianti, avevano offerto del fuoco estraneo davanti all’Eterno. Ad Aaronne non fu permesso mostrare alcun segno di cordoglio, poiché il popolo doveva imparare che Dio era giusto nel punire tutti i malfattori, anche quando sono suoi figli.
Non fu affatto una prova semplice e, dopo aver considerato Levitico 10:11, possiamo capire meglio perché, nonostante gli omicidi commessi in giovinezza da Levi, il Signore parlò del discendente Aaronne come del “santo dell’Eterno”14.
Un dodicesimo dei centoquarantaquattromila sarà schierato sotto il nome di Levi. Saranno persone che, a causa dei loro peccati, avrebbero meritato solo maledizioni, ma che invece hanno abbandonato il peccato. Mentre gli uomini intorno a loro vacillano e cadono, essi si mantengono fedeli a Dio e alla Sua Causa, ricevendo una ricca benedizione dalle mani di Dio, il Misericordioso.
RIEPILOGO
Il nome e l’appartenenza etnica di un individuo, separati dal suo carattere, non hanno peso alcuno nei registri celesti. Ruben, ad esempio, non riuscì a coltivare un carattere degno della sua primogenitura, perdendo i diritti di nascita temporali e spirituali. Le benedizioni che gli sarebbero spettate gli furono tolte e vennero date ad altri fratelli che avevano sviluppato un carattere degno di esse. A Giuseppe, divenuto grande amministratore economico dell’Egitto, fu data la doppia porzione dell’eredità del padre, cioè la primogenitura temporale. Invece ricevere la primogenitura spirituale e diventare antenato del Messia richiedeva molto più della capacità di gestire ingenti ricchezze.
Le Cronache affermano che Giuda, il quarto figlio, ebbe «la preminenza tra i suoi fratelli, perché dalla sua stirpe sorse il Principe…»1. Sul letto di morte Giacobbe pronunciò le seguenti parole profetiche: «lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Sciloh; e a lui ubbidiranno i popoli»2.
In che modo Giuda prevalse sui suoi fratelli, ereditando così la primogenitura spirituale? Si tratta di un argomento degno di attento studio per chiunque voglia essere partecipe del grande diritto di Nascita spirituale in virtù del quale oggi noi possiamo diventare coeredi in Cristo per sempre. Non c’è traccia del fatto che Giuda abbia mai prevalso mediante la forza delle armi. Analizzando la vita dei dodici figli di Giacobbe, notiamo invece il fatto che Giuda era un leader. Quando si fece garante della vita di Beniamino, Giacobbe acconsentì a lasciare che il suo ultimo figlio si recasse in Egitto, mentre la precedente offerta di Ruben era stata rigettata3.
Quando i figli di Giacobbe furono gettati in una grande costernazione poiché il primo ministro d’Egitto voleva trattenere Beniamino come ostaggio, fu Giuda a intercedere per loro davanti a Giuseppe, in modo così toccante che quest’ultimo infine gettò via la maschera e si fece riconoscere dai fratelli4. Quando Giacobbe giunse in Egitto con la sua famiglia «mandò Giuda davanti a sé da Giuseppe, perché lo introducesse nel paese di Goscen»5. Giuda aveva conquistato la fiducia del padre e dei fratelli per la sua stretta integrità di principi. L’intera sua storia è sintetizzata nella benedizione pronunciata su di lui dall’anziano padre: «Giuda, i tuoi fratelli ti loderanno; la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici e i figli di tuo padre si inchineranno davanti a te»6. Essi si erano inchinati davanti a Giuseppe, ma le circostanze erano ben diverse. La ricchezza e la posizione che Giuseppe aveva acquisite in terra straniera gli diedero la preminenza, ma Giuda vinse il rispetto dei suoi fratelli giorno dopo giorno, a stretto contatto con loro nella vita domestica. Questa fiducia non nacque tutta in un momento, ma quotidianamente la sua integrità e la sua onestà ottennero il rispetto dei suoi familiari, finché essi, di loro spontanea volontà e non forzati dalle circostanze, lo elogiarono e si inchinarono davanti a lui. Nelle parole: «Giuda, i tuoi fratelli ti loderanno» leggiamo una vita di lotta e di vittoria sulle tendenze egoistiche del cuore umano.
Vale la pena notare che Giuda prevalse nelle stesse circostanze ove Ruben fallì. Non furono i peccati pubblici ad impedire a Ruben di avere la preminenza, ma la sua infedeltà nella vita domestica7. Non ebbe riguardo alcuno per l’onore della famiglia, per cui il padre e i fratelli non potevano più fidarsi di lui nelle varie problematiche della casa. Nella stessa casa e nello stesso ambiente, circondato dalle medesime tentazioni, Giuda ha invece prevalso sui suoi fratelli e per questo da lui è venuto il Principe, il Capo8.
Dodicimila dei centoquarantaquattromila entreranno nella città santa con il nome di Giuda – persone che in tempi difficili saranno riconosciute dai loro fratelli come leader fidati9.
«Giuda è un giovane leone; tu sorgi sulla preda, figlio mio; egli si china, si accovaccia come un leone, come il leone capobranco – e chi osa destarlo?»10. In queste parole Giacobbe suggerì che prevaricare uno con il carattere di Giuda sarebbe stato difficile come catturare un leone e che contendere con chi si mantiene integro e fermo davanti a Dio sarebbe stato pericoloso come svegliare il leone capobranco. Il carattere di Giuda è ben desiderabile, dotato di una fermezza tale da non abbandonare la propria lealtà cristiana, conoscendo con certezza che il Signore è con noi quando siamo assaliti da Satana e dai suoi demoni con le loro tentazioni11.
Giuda viene menzionato nelle Scritture più frequentemente di ogni altro dei dodici patriarchi, eccetto il solo Giuseppe. Dei cinque figli di Giuda, due morirono senza prole, ma dai tre rimasti sorse la tribù più forte di tutto Israele. Al Sinai i figli di Giuda censiti furono 74.600. Evidentemente parteciparono poco o niente all’apostasia di Shittim, in cui i Simeoniti si erano invece ridotti notevolmente: Giuda ammontava a 76.500 all’ingresso della terra promessa.
La tribù di Giuda continuò ad avere sulle altre tribù una posizione simile a quella del suo progenitore nella famiglia di suo padre. Essa proteggeva il sacerdozio. Le nove città occupate dai discendenti di Aaronne, i sacerdoti, si trovavano tutte nel territorio di Giuda (in cui fu incluso pure Simeone)12. Il resto delle quarantotto città occupate dai Leviti erano sparse in tutte le altre tribù. Giuda era una tribù indipendente. Dopo la morte di Saul, non aspettò che gli altri riconoscessero Davide come sovrano, ma subito lo incoronò re di Giuda. Davide regnò sette anni e mezzo a Hebron (in Giuda) prima di essere definitivamente incoronato re su tutto Israele13.
Dopo la morte di Salomone, Giuda e Beniamino rimasero fedeli alla discendenza di Davide, formando “il regno di Giuda”, che con alterne vicende conservò i propri territori fino a circa 142 anni dopo che il regno di Israele era già stato deportato in cattività dagli assiri14. A Sedekia, re di Giuda, fu data l’ultima possibilità di scongiurare che la città santa cadesse nelle mani dei pagani15, ma egli fallì e Giuda, la tribù regale, fu deportata a Babilonia.
Lo scettro non si allontanò mai del tutto da Giuda fino all’arrivo di Colui al quale spettava, cioè “Sciloh”, il Messia. Erode, l’ultimo re che regnò sugli ebrei, morì poco dopo la nascita di Cristo. Inizialmente Erode aveva designato Antipa come suo successore, ma nelle sue ultime volontà aveva indicato Archelao come regnante al suo posto. Il popolo era pronto a riconoscere Archelao, ma in seguito gli si ribellò. Archelao e Antipa si recarono entrambi a Roma per presentare le loro rivendicazioni davanti a Cesare Augusto, il quale non confermò nessuno dei due, ma riportò Archelao in Giudea come etnarca16, con la promessa della corona se si fosse dimostrato degno di essa, in realtà non ricevendola mai. Così, la terra fu «abbandonata dalla presenza dei suoi due re» durante l’infanzia di Cristo, come profetizzato da Isaia17.
La tribù di Giuda fornì una galassia di volti noti della storia sacra. Nessun’altra tribù ha dato al mondo così tanti potenti uomini di Dio. In cima alla lista c’è l’unico Nome incomparabile: Gesù di Nazareth, il Leone della tribù di Giuda.
Abbiamo anche la grande fede e il coraggio inarrestabile di Caleb, d’ispirazione per gli uomini di tutte le età. Nel fiore della sua vita, la sua fede era già forte. Quando gli altri vedevano soltanto i giganti delle difficoltà lungo il cammino verso la Terra promessa, egli affermò: «saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo»18. All’età di ottantacinque anni, con la forza di Dio, scacciò i nemici dalla roccaforte di Hebron19.
Davide ricevette l’onore più grande per un re terreno, quello di divenire figura di Cristo, Colui che per ispirazione sarebbe stato chiamato “il Figlio di Davide”20. Da Giuda vennero anche altri re che, nonostante fossero circondati dalle tentazioni della vita di corte, rimasero fedeli a Dio.
Dopo la cattività, quando per un certo periodo di tempo parve che l’Israele di Dio fosse stato quasi cancellato dalla faccia della Terra, quattro giovani della tribù di Giuda, fedeli al carattere del Leone, preferirono rischiare la vita piuttosto che contaminarsi coi cibi prelibati della mensa del re di Babilonia21. Uno di questi era colui che sarebbe diventato il profeta Daniele.
Pochi anni più tardi, tre di questi uomini affrontarono senza paura il re di Babilonia, dicendo: «ecco, il nostro Dio, che noi serviamo, è in grado di liberarci dalla fornace di fuoco ardente e ci libererà dalla tua mano, o re. Ma anche se non lo facesse, sappi o re, che noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo l’immagine d’oro che tu hai fatto erigere»22.
In adempimento alla promessa fatta oltre un secolo prima23, il Signore camminò con quei tre figli di Giuda nella fornace ardente ed essi ne uscirono illesi24. E Daniele, fedele all’integrità della sua tribù, affrontò i leoni affamati piuttosto che interrompere la sua comunione giornaliera con Dio.
RIEPILOGO
Neftali, sesto figlio di Giacobbe, era il secondogenito di Bilhah, serva di Rachele. La Bibbia tace riguardo alla sua storia personale, affermando soltanto che ebbe quattro figli da cui sorse l’omonima tribù. La tradizione ebraica attesta che Neftali fu un rapido corridore e che fu scelto da Giuseppe come uno dei cinque rappresentanti della famiglia d’Israele dinnanzi al Faraone. Nella benedizione di Giacobbe, Giuda fu paragonato a un leone, Dan a un aspide, Issacar a un asino robusto, Beniamino a un lupo, ma «Neftali è una cerva messa in libertà; egli dice delle belle parole»1. Una cerva è sicuramente un animale schivo, pronto a fuggire anche solo all’idea del minimo pericolo. Nessuno inoltre può riuscire nell’impresa di far portare dei pesi a un cervo.
Neftali ha un carattere libero, diverso da quello di Issacar, che sopporta i pesi, o dalla regalità di Giuda, ma ha un dono prezioso che tutti dovrebbero desiderare: «dice delle belle parole». Sconvolto dai pesanti fardelli e dalle colpe che i suoi fratelli devono sopportare, egli ha il tempo di trovare chi tra loro è abbattuto o scoraggiato: con le sue buone parole rinfranca e conforta chi soffre.
Neftali non rappresenta la lingua indisciplinata, «infiammata dalla Geenna»2, ma al contrario di questa «dice delle belle parole» e «le parole gentili sono un favo di miele per l’anima e un refrigerio per il corpo»3.
Neftali diceva belle parole, ma nessuno deve ritenere che per questo motivo egli possedesse un carattere frivolo o instabile. Nella grande battaglia simbolica di Meghiddo, «Neftali ha messo in pericolo la sua vita fino alla morte sulle alture della campagna»4: era una tribù determinata a vincere o a morire, per cui i suoi uomini si gettarono nel folto della mischia. La causa di Dio era per loro più preziosa della loro stessa vita e non si sottrassero al combattimento anche in aperta campagna, venendo così esposti alle frecce e ai dardi nemici, poiché per loro solo la vittoria contava.
Ci saranno dodicimila della tribù di Neftali che per tutta l’eternità “seguiranno l’Agnello ovunque Egli vada”; dodicimila che durante la loro vita di prova su questa terra hanno proferito buone parole in luoghi difficili, restando fermi e senza paura al loro posto di dovere, pronti a sacrificare le loro vite piuttosto che compromettere l’Opera di Dio.
Nella benedizione finale di Mosè si dice: «O Neftali, tu sei sazio di favori e ricolmo delle benedizioni dell’Eterno…»5. Si tratta di una condizione sicuramente ambita da ogni figlio di Dio, l’essere “sazio di favori”. Il Signore favorisce grandemente tutti coloro i cui peccati sono stati perdonati, ma spesso siamo insoddisfatti e impazienti, passando per la vita con un volto abbattuto.
Ciò accade perché non apprezziamo i favori ricevuti, per cui non possiamo essere “ripieni della benedizione del Signore”. Il figlio di Dio che si rende pienamente conto di cosa abbia significato l’essere purificato dal peccato e rivestito della giustizia di Cristo, sarà soddisfatto del grande favore ricevuto e così apprezzerà le molte benedizioni della mano del Signore, contandole giorno per giorno: scoprirà che la sua vita è in realtà “ricolma delle benedizioni dell’Eterno”.
Neftali si unì a Israele per proclamare Davide re a Hebron: con le altre tribù del Nord portò grandi quantità di provviste e viveri a Hebron6.
Barak, di Kadesh-Neftali, è l’unico grande eroe di questa tribù ad essere menzionato nella Bibbia. La battaglia combattuta da lui sotto la direzione di Debora, giudice e profetessa, fu per molti aspetti la più importante battaglia combattuta dall’antico popolo di Dio: è un simbolo, un’analogia, della grande battaglia spirituale e finale di Armagheddon7.
Il territorio assegnato a Neftali confinava con la sponda occidentale del Mar di Galilea e si estendeva verso nord. Si trattava di un paese fertile; durante il regno di Salomone era uno dei suoi distretti di approvvigionamento, gestito da Ahimaats, uno dei generi del re8.
Il territorio di Neftali sorgeva lungo la via delle invasioni siriache e assire. Fu dalla buona terra di Neftali che Ben-Hadad prima e Tiglath-Pileser poi cominciarono a saccheggiare e quindi a deportare gli israeliti. Nel 730 a. C. Tiglath-Pileser invase l’intero regno israelita del nord e la tribù di Neftali fu completamente deportata in cattività in Assiria.
Al tempo di Cristo, la riva del Mar di Galilea non apparteneva più a Neftali, ma tale terra divenne ben più rinomata, poiché ricevette il Messia. Isaia, oltre settecento anni prima di Cristo, aveva profetizzato che le terre di Zabulon e di Neftali avrebbero visto una grande Luce9; in adempimento a questa profezia, Gesù, la vera Luce del mondo, fece della Galilea la Sua casa. Essa divenne ben presto la culla della fede cristiana: dalle rive del Mar di Galilea i principali apostoli e molti discepoli furono chiamati alla loro vita al servizio dell’Evangelo.
O Galilea, dolce Galilea,
che ricordi sorgono al pensare a te!
Sulle tue rive, assunta la natura mortale,
il Salvatore adorato ha camminato.
Le onde che un tempo la sua barca portarono
canteranno la Sua lode per sempre;
dalle tue profondità, o amato mare,
udiamo l’invito: “Vieni e seguimi!”.
Nelle ere a venire, il tuo nome canterà
per sempre la Sua lode: sei la terra sacra
che il Principe della Pace ha calpestato,
che il Figlio di Dio ha amato.
O Galilea, dolce Galilea,
il tuo nome benedetto sarà consacrato:
in ogni cima e ogni riva sarà ricordato
fino a quando il sole non ci sarà più.
RIEPILOGO
Dell’infanzia e della vita personale di Gad, settimo figlio di Giacobbe, non si è conservato alcunché di preciso. Sappiamo solo che era il primo figlio di Zilpah, serva di Lea. Pare che Gad e gli altri figli di Giacobbe nati dalle concubine Bilhah e Zilpah fossero ben lungi dall’essere dei personaggi esemplari durante la loro gioventù1.
Le parole profetiche del padre morente ci aprono una finestra sulla vita e sul carattere di questo figlio: «Gad: una banda di razziatori lo assalirà, ma egli a sua volta li assalirà alle calcagna»2. Gad può dunque essere considerato come modello di coloro che nella loro vita hanno apostatato, sopraffatti da orde di tentazioni, ma che all’ultimo si risveglieranno, divenendo consapevoli del pericolo che stavano correndo: nella forza loro data da Dio, alla fine vinceranno ed entreranno per le porte perlacee della Nuova Gerusalemme, gioendo nel Signore.
Il segreto della vittoria dei Gaditi sui loro nemici ci viene presentato nel racconto storico di una delle grandi battaglie che dovettero affrontare: «durante il combattimento gridarono a Dio, che diede ascolto alla loro preghiera, poiché avevano avuto fiducia in Lui»3.
Quando Pietro realizzò che stava affondando sotto le stesse onde sulle quali un attimo prima camminava, gridò: «“Signore, salvami!” E subito Gesù stese la mano e lo prese»4. In modo simile, colui che si ritrova sopraffatto dalle tentazioni sulle quali in passato era stato vittorioso, ha il privilegio, come Gad e Pietro, di invocare l’aiuto del Signore, aiuto che riceverà immediatamente se avrà riposto completa fiducia in Dio.
Il Signore rivolge questo messaggio a chiunque si sia allontanato dalla fede: «“Io non vi mostrerò un viso accigliato, poiché io sono misericordioso”, dice l’Eterno, “e non serbo l’ira per sempre. Soltanto riconosci la tua iniquità … Tornate, o figli traviati”, dice l’Eterno, “poiché io sono il vostro Sposo, il vostro Signore; vi prenderò, uno da una città, due da una famiglia, e vi ricondurrò a Sion”»5. Il Signore impiega il simbolo del matrimonio per illustrare l’intima unione tra Lui e il Suo popolo e, quando qualcuno si volge indietro e Lo disonora, Egli – cosa meravigliosa! – dice ancora: «Va’ e proclama queste parole: “Io sono il vostro Sposo”».
Volendo ricordare che la Sua fedeltà non è mai venuta meno, il Signore domanda: «Dov’è la lettera di divorzio di vostra madre con la quale io l’ho ripudiata? O a quale dei miei creditori vi ho venduto?». Quindi risponde Lui stesso: «Ecco, voi siete stati venduti per le vostre iniquità e vostra madre è stata ripudiata per le vostre trasgressioni»6. Il Signore richiede infatti una cosa sola a chi ha apostatato: «Soltanto riconosci la tua iniquità, perché ti sei ribellato all’Eterno, il tuo Dio»7. «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e da purificarci da ogni iniquità»8.
A tutti coloro che si sono allontanati il Signore dice: «Venite quindi e discutiamo assieme … anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana»9.
Ancora udiamo il Signore supplicare gli apostati: «Convertitevi, figliuoli ribelli, ed io guarirò le vostre ribellioni»10. Si tratta di una promessa meravigliosa, ma ascoltiamo con più attenzione: «Io guarirò il loro traviamento, li amerò grandemente, perché la mia ira si è ritirata da loro»11. Chi ritorna dopo essersi allontanato non riceve una porzione limitata dell’amore di Dio, ma il Signore cura le sue ribellioni e lo ama grandemente. Chi tra coloro che hanno gustato la pace e la gioia dei propri peccati perdonati potrà rifiutare una simile offerta di grazia e d’amore?
Su una delle porte della Città di Dio sarà inscritto il nome di Gad, colui che fu sopraffatto da un’orda, ma che all’ultimo fu vincitore. Dodicimila dei centoquarantaquattromila saranno schierati sotto il nome di Gad12 – dodicimila provenienti da apostasie e sconfitte che riconoscono le loro trasgressioni, aggrappandosi alle promesse di Dio e lavando le loro vesti nel sangue dell’Agnello: entreranno come vincitori nella Città di Dio13.
È molto difficile per il cuore dell’uomo reintegrare chi ha tradito la fiducia e chi ha respinto l’amore e l’amicizia, ma il Dio infinito non solo guarirà i traviamenti di costoro, non solo li amerà liberamente e grandemente, ma afferma pure: «Io, proprio io, sono colui che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e non ricorderò più i tuoi peccati»14!
I Gaditi erano pastori e, necessitando di spazio per le loro greggi, chiesero di ricevere subito la loro porzione di eredità tra le prime conquiste al di là del Giordano. Presero comunque parte alle battaglie per l’occupazione della terra a ovest del Giordano: non tornarono dalle loro famiglie finché non vennero congedati con onore da Giosuè, alla porta del tabernacolo in Sciloh15. Mosè, nella sua benedizione finale, si riferì alla promessa di fedeltà di Gad, benché questi avesse già preso per sé le prime conquiste16. Il suo territorio era inserito tra quello di Ruben a sud e la mezza tribù di Manasse a nord. Inizialmente l’eredità di Gad comprendeva metà della regione di Galaad, ma in seguito occupò interamente tale area17. Gad fu ben presto identificato strettamente con Galaad o Gilead, al punto tale che in alcuni casi Gilead è impiegato nella Bibbia come sineddoche per l’intero Gad.
Il carattere della tribù era prevalentemente feroce e bellicoso, «erano uomini forti e valorosi, addestrati alla guerra, abili nel maneggiare scudo e lancia; le loro facce erano come le facce dei leoni e sui monti erano veloci come gazzelle». Questa è la descrizione data degli undici eroi Gaditi che si unirono a Davide nel suo momento di maggior discredito e imbarazzo: «erano capi dell’esercito; il più piccolo ne comandava cento, il più grande mille. Questi sono coloro che passarono il Giordano nel primo mese, quando era straripato su tutti gli argini, e misero in fuga tutti gli abitanti delle valli, a est e a ovest»18.
Separato dal resto di Israele per la sua posizione a ovest del Giordano, Gad mantenne comunque legami con il regno del Nord, come si può dedurre dalle parole di Acab: «non sapete voi che Ramoth di Galaad è nostra e noi ce ne stiamo tranquilli, senza riprenderla dalle mani del re di Siria?»19.
Tiglath-Pileser condusse Gad prigioniero in Assiria20 e gli Ammoniti abitarono le sue città al tempo di Geremia. Il profeta lamenta tale condizione: «Israele non ha forse figli, non ha egli alcun erede? Perché dunque Milkom [Molok] prende possesso di Gad e il suo popolo si è stabilito nelle sue città?»21. Di tutte le tribù connesse all’Israele del Nord, solo Gad e Ruben tornarono alla loro terra natia con le stesse occupazioni trasmesse loro dagli antenati. La vita di città e l’oppressione in Assiria avevano infatti mutato le occupazioni della maggior parte delle tribù.
Barzillai, amico e aiutante di Davide, era Galadita22, come pure Jefte, “uomo valoroso”. Il più grande Galadita (o Gadita) fu Elia, “il Tishbita”, che alla sua parola chiuse il cielo per tre anni e mezzo; in risposta alla sua preghiera, le nuvole riversarono di nuovo la loro acqua sulla terra d’Israele. Elia fu onorato da Dio come soltanto Enoch lo era stato23: quando si avvicinò il momento della sua traslazione in Cielo, attraversò il Giordano tornando nella terra della sua infanzia, dove, per grazia di Dio, aveva acquisito quella forza caratteriale che gli aveva permesso di rimproverare senza paura il re Acab e la regina Jezebel. Fu nella sua terra natia, in Galaad, che i carri infuocati di Dio lo portarono in trionfo in Cielo24. Tornò un’altra volta soltanto sulla Terra, quando assieme a Mosè “apparve in gloria” sul monte della trasfigurazione e parlò con Gesù del grande Sacrificio che Egli avrebbe presto offerto a Gerusalemme per tutti noi25.
RIEPILOGO
Come accadde per altri patriarchi, ben poco è stato registrato della storia personale di Ascer, l’ottavo figlio di Giacobbe avuto da Zilpah, serva di Lea. Lea si rallegrò grandemente della sua nascita e lo chiamò Ascer, che in ebraico vuol dire appunto “felice”1. Della sua infanzia e giovinezza sappiamo solo che crebbe coi suoi fratelli e che si recò in Egitto col resto della famiglia. Ebbe quattro figli e una figlia di nome Serach: da costoro sorse l’omonima tribù2.
Alla stesura dei libri delle Cronache, gli uomini della tribù di Ascer furono menzionati come «uomini scelti, forti e valorosi»: ventiseimila di loro «erano atti alla guerra»3. Quando tutto Israele si riunì a Hebron per confermare Davide re, Ascer radunò quarantamila «specialisti di guerra»4.
Ascer (Aser in greco) è nome di una delle dodici compagnie dei centoquarantaquattromila5. Per questo motivo è importante considerarne il carattere, ma dato che scarse sono le notizie sulla sua vita, impiegheremo le parole profetiche di Giacobbe e di Mosè come guida allo studio.
La benedizione finale del patriarca Giacobbe fu: «da Ascer verrà il pane saporito ed egli fornirà delizie reali»6, parole che indicano prosperità. Mosè, al momento della sua dipartita, disse: «Benedetto tra i figli sia Ascer! Sia il favorito dei suoi fratelli e immerga il suo piede nell’olio. Siano i tuoi sandali di ferro e di bronzo e la tua forza duri quanto i tuoi giorni»7.
Pare che Ascer fosse un uomo dall’amabile disposizione di spirito e per questo divenne il preferito dei suoi fratelli. «Immerga il suo piede nell’olio»: alcune persone possiedono la bella facoltà di uscire sempre fuori dalle difficoltà, nelle quali gli altri inciampano, come se ogni cosa fosse ben oliata. Intingono i loro piedi nell’olio e attraversano con disinvoltura gli ostacoli della vita.
Ad Ascer fu data una promessa preziosa: «la tua forza duri quanto i tuoi giorni» e, come disse Giacobbe, egli avrebbe fornito delizie reali. Normalmente, chi immerge i piedi nell’olio, passando sulla vita senza intoppi, riceve poca simpatia dagli altri. La simpatia è di solito riservata a chi non ha i piedi oliati e sperimenta tutta l’asprezza di questo mondo; tuttavia, Dio sa che colui che tiene la testa alta e avanza lietamente, fornendo delizie reali di incoraggiamento, risorse e parole gentili agli altri, spesso sperimenta in realtà prove più dure di chi sospira e geme per ogni difficoltà che trova lungo il suo cammino. Perciò Dio dice di loro: “la loro forza duri quanto i loro giorni”.
È glorioso intingere i piedi nell’olio! L’olio è simbolo dello Spirito Santo: chi ha i piedi unti dallo Spirito di Dio passerà oltre ogni cattivo corso della vita con cuore pieno di lode e rendimento di grazie; sotto i piedi avrà ferro e bronzo a suo sicuro fondamento. Non sprofonderà nelle insidie della vita, perché Dio gli assicura che la sua forza durerà per tutti i suoi giorni.
I piedi unti nell’olio saranno calzati con ferro e bronzo. Quando il discepolo amato vide in visione il Salvatore officiare qual nostro Sommo Sacerdote nel Santuario celeste, notò che «i Suoi piedi erano simili a bronzo lucente, come se fossero stati arroventati in una fornace»8. Il bronzo si può formare solo in una fornace – i piedi bronzei del Salvatore, “arroventati in una fornace”, ricordarono a Giovanni il crogiolo infuocato dell’afflizione attraverso cui era passato il Salvatore.
Esistono membri della famiglia umana così intrisi dello Spirito di Dio da seguire in modo ravvicinato i passi insanguinati del Salvatore9: i loro piedi sembrano rivestiti di bronzo, come i piedi del loro Maestro. Altri ancora indossano calzari di ferro: uno speciale spirito di fortezza viene loro concesso, ma non entrano in una relazione così intima col Maestro come i fratelli calzati di bronzo.
Dodicimila dei centoquarantaquattromila apparterranno alla tribù di Ascer: avranno intinto i piedi nell’olio e, ripieni dello Spirito di Dio, lasceranno che il Signore col Suo Spirito levighi le asperità del loro cammino. Come per Zorobabele, le montagne delle avversità diventeranno pianure davanti a loro10. Offriranno “delizie reali”, parole di allegria e di conforto che incoraggeranno gli altri. È bene imparare a intingere i piedi nell’olio per coltivare il carattere di Ascer.
La Bibbia riporta poche informazioni in più sulla tribù di Ascer di quante ne aveva date su di lui come individuo. La tribù viene menzionata in relazione alle altre, ma nessuna sua azione indipendente è registrata nella storia sacra. Ascer è l’unica tribù a ovest del Giordano, oltre Simeone, a non fornire alcun eroe o giudice noto alla nazione ebraica. L’oscurità che investe i membri della tribù è squarciata da un solo personaggio: Anna, la profetessa che «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere»11. Ebbe l’onore di portare la felice notizia della nascita di Cristo ai fedeli che aspettavano la redenzione d’Israele.
Il territorio di Ascer confinava con il Mar Mediterraneo e continuava verso Nord; comprendeva il Monte Carmelo, teatro della grande vittoria di Elia. I discendenti di Ascer non ebbero la forte propensione bellica manifestata da altre tribù e non scacciarono i precedenti abitanti della regione: «così i figli di Ascer si stabilirono in mezzo ai Cananei che abitavano il paese, perché non li scacciarono»12. S’indebolirono notevolmente come risultato della mescolanza con i pagani.
Quando Israele fu censito al Sinai, Ascer era una tribù forte13, ma ai tempi di Davide si erano ridotti al punto tale che il loro nome non è menzionato nella selezione dei capi governanti14. Anche se come tribù si allontanarono dalle vie del Signore, tra loro c’erano cuori onesti che temevano Dio.
Quando Ezechia indisse la grande e solenne celebrazione pasquale invitò tutto Israele a salire a Gerusalemme per partecipare alla festa. In molte tribù i messi del re furono derisi, «tuttavia alcuni uomini di Ascer … si umiliarono e vennero a Gerusalemme»15. Rimanere fedeli a Dio quando tutt’intorno il numero di coloro che in massa rigettano la Luce della Parola di Dio è in aumento richiede grande resistenza morale. Questo spirito di fedeltà e fermezza non abbandonò la tribù: quando il Salvatore entrò nel Suo tempio per la prima volta come uomo, solo due persone in tutta la città di Gerusalemme erano in condizione di riconoscere nel santo Bambino il Redentore del mondo e una di esse era la profetessa Anna, proprio della “felice” tribù di Ascer16.
RIEPILOGO
Issacar era il nono figlio di Giacobbe, il quinto di Lea, la prima moglie. La Bibbia tace su di lui dopo averne registrato la nascita. Non sappiamo nulla dei suoi rapporti con i fratelli, ma la benedizione del vecchio padre in punto di morte svela la storia di Issacar come quella di una vita spesa nel sacrificio di sé, portando i pesi altrui con spirito mite e tranquillo.
Giacobbe lo paragona a un asino paziente che porta due fardelli così pesanti da curvarsi sotto il loro peso. La metafora non lo compara a una comune bestia da soma, ma a un animale “robusto”, il che indica la forza caratteriale di Issacar. «Issacar è un asino robusto, accovacciato su un doppio peso». Il patriarca rivela poi il segreto della vita di abnegazione di Issacar, il motivo che lo ha spinto a portare un doppio fardello: «egli ha visto che il riposo è buono e che il paese è gradevole; ha curvato la spalla per portare il peso ed è divenuto un servo del lavoro forzato»1.
Molti perdono le proprie benedizioni perché si lamentano e mormorano nei momenti in cui devono sostenere un doppio peso. Issacar invece si consolava al pensiero del buon paese in serbo per lui e per la sua discendenza, del riposo che sarebbe giunto poco a poco. La stessa speranza sostiene i portatori di pesi al giorno d’oggi.
Nella battaglia di Meghiddo, Issacar è descritto fedelmente al ritratto della benedizione di Giacobbe: «i principi di Issacar vennero con Debora; come fu Issacar, così fu Barak…»2. Dalle parole di Debora sembrerebbe che Issacar sostenne il fardello della battaglia anche più di Barak.
Il medesimo carattere di Issacar viene ricordato all’incoronazione di Davide qual re d’Israele. Issacar possedeva limpido discernimento. Le Cronache affermano: «i figli di Issacar avevano intendimento dei tempi e sapevano quindi ciò che Israele doveva fare»3. Rappresentano uomini e donne che portano pesanti responsabilità, dei pilastri nella Casa di Dio. A differenza di Zabulon, guerrieri esperti, pronti a precipitarsi d’impulso e in un attimo nella mischia feroce della battaglia, quelli di Issacar pianificano la battaglia, sostenendo il peso dell’Opera.
Dall’unione di tutte le singole peculiarità dei vari caratteri cristiani emerge la rappresentazione del perfetto carattere di Cristo. Chi porta i pesi è importante nell’opera di Dio tanto chi ha la regalità di Giuda o l’insegnamento di Levi. Dodicimila di ogni classe formeranno quella meravigliosa compagnia – i centoquarantaquattromila, «che seguono l’Agnello dovunque Egli va».
I figli di Issacar costituivano una tribù laboriosa, resistente e valorosa, paziente nella fatica e invincibile in guerra. Erano «…valorosissimi combattenti…»4. Possedevano una delle porzioni più ricche della Palestina, delimitata a est dal Giordano, a nord da Zabulon e a sud dalla mezza tribù di Manasse.
Molti dei luoghi ricordati nella storia sacra si trovano all’interno dei confini di Issacar. Là fu ottenuta la grande vittoria di Debora e Barak, «a Taanach, presso le acque di Meghiddo»5. A Shunem sorgeva la residenza della nobildonna che, ritenendo la sua dimora non abbastanza spaziosa da ospitare Eliseo, il «santo uomo di Dio», costruì e arredò una camera aggiuntiva in modo da avere il privilegio di ospitarlo sempre a casa sua6. Ricche benedizioni vennero a lei7 ed ella si rese conto di quella verità contenuta nelle parole di Gesù: «tutte le volte che l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me»8. Fu alla porta della città di Nain, ai confini di Issacar, che le parole del Salvatore: «ragazzo, dico a te, alzati!» portarono vita e salute al cadavere del giovane che in quel momento veniva portato alla tomba dai suoi amici9.
Il medesimo territorio, santificato dai passi del Salvatore e dei profeti di Dio, fu testimone del potere del diavolo. A En-Dor, nella terra di Issacar, Saul commise l’ultimo peccato della sua vita quando consultò la medium: ponendosi definitivamente al di fuori della mano divina, divenne preda del diavolo10. Saul morì «anche perché aveva interrogato e consultato quelli che evocano gli spiriti … mentre non aveva consultato l’Eterno»11. Coloro che seguono lo stesso corso oggi incontreranno alla fine lo stesso destino: moriranno spiritualmente e saranno eternamente separati dal Signore12.
Jezreel, situato nella fertile pianura di Esdraelon, fu il teatro dello scellerato omicidio di Naboth13 e per le strade della stessa città i cani sbranarono Jezebel14.
Tola, giudice d’Israele per ventitré anni, era della tribù di Issacar: durante il suo governo il paese ebbe riposo15. Baasha, che governò il regno del Nord per ventiquattro anni, proveniva da Issacar, ma «fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno». Elah, suo figlio, seguì le sue orme e perciò fu ucciso da Zimri, allontanando così dalla tribù di Issacar l’autorità regale16. Issacar divenne poi il centro del potere di Jezebel: il culto di Baal da lei introdotto esercitò la sua nefasta influenza anche molto tempo dopo la sua morte.
Circa cinque anni prima che Issacar venisse deportato in Assiria da Salmaneser17, Ezechia celebrò una grande pasqua a Gerusalemme. La tribù di Issacar si era talmente allontanata dal vero culto che si era dimenticata di compiere le necessarie purificazioni, eppure alcuni risposero all’invito e andarono alla festa, pur cerimonialmente inadatti a parteciparvi. Ezechia era sufficientemente a contatto col Signore da discernere che il desiderio del cuore di servire Dio aveva ben più importanza delle forme e delle cerimonie; dunque, permise loro di mangiare la pasqua e, mentre partecipavano a essa, offrì per loro la seguente preghiera: «l’Eterno, che è buono, perdoni chiunque ha disposto il proprio cuore a ricercare l’Eterno Dio, il Dio dei suoi padri, anche senza la purificazione richiesta dal santuario». Il Signore «non vede come vede l’uomo; l’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore». «E l’Eterno ascoltò Ezechia e sanò il popolo»18.
RIEPILOGO
Lea fu la madre di sei dei dodici patriarchi. Vale la pena notare che, sebbene Giacobbe avesse accettato la poligamia sotto quelle che potrebbero essere definire delle circostanze forzate, tuttavia riconobbe Lea, la prima moglie, come sua legittima sposa: ella fu inumata presso i sepolcri patriarcali. In punto di morte Giacobbe chiese di essere sepolto nella grotta di Makpelah. «Là furono sepolti Abrahamo e Sara, sua moglie; là furono sepolti Isacco e Rebecca, sua moglie, e là io seppellii Lea»1 furono le ultime parole di Giacobbe, da cui sembrerebbe emergere il fatto che egli volesse che i suoi discendenti si ricordassero della sua sepoltura allo stesso modo: “là seppellirono Giacobbe e Lea, sua moglie”. Durante la sua vita, Giacobbe permise che le circostanze e il suo amore per Rachele lo influenzassero, ma faccia a faccia con la morte riconobbe l’originario piano divino di monogamia per il matrimonio2.
Zabulon era il figlio più giovane di Lea; era più grande di Giuseppe e nacque mentre Giacobbe serviva ancora Labano. Israele profetizzò l’eredità di Zabulon dicendo: «Zabulon abiterà sulla costa dei mari e sarà un rifugio per le navi; il suo confine si estenderà verso Sidone»3.
Il territorio di Zabulon nella terra promessa si estendeva proprio tra la regione di Neftali e quella di Issacar, confinando con la parte meridionale della sponda occidentale del Mar di Galilea e giungendo fino al Mar Mediterraneo. Anche Mosè nella sua benedizione finale parlò di Zabulon come di un popolo marittimo4. La Bibbia non riporta nulla su Zabulon come individuo oltre alla sua nascita. A lui sono attribuiti tre figli, fondatori dell’omonima tribù5. Non è stata registrata alcuna azione distinta della tribù durante il pellegrinaggio nel deserto o nella conquista della Palestina.
Nel cantico di trionfo dopo la battaglia di Meghiddo Debora afferma che nella tribù di Zabulon al comando c’era chi maneggiava «la penna dello scrittore», letteralmente “chi tracciava segni con lo stilo da scriba”6. Ciò indica che si trattava di un popolo letterario e artistico. In tale battaglia, emblema della grande battaglia finale spirituale di Armagheddon, Zabulon «ha messo in pericolo la sua vita fino alla morte»7. Dio e la Sua causa erano per lui più preziosi della sua stessa vita o della sua reputazione.
Dodicimila dei centoquarantaquattromila entreranno nella città di Dio col nome di Zabulon – dodicimila che, quando i nemici del Signore sono numerosi e popolari, “esporranno la loro vita fino alla morte … sulle alture della campagna”. Ci saranno uomini in posizioni di responsabilità che, come al tempo di Zabulon, maneggeranno la penna dello scrittore, esercitando ampia influenza. Tali uomini, quando la causa di Dio si troverà in un momento di crisi, si alzeranno e rischieranno le loro vite fino alla morte pubblica, traendo in questo modo vittoria alla causa di Dio.
Fu per puro amore che gli uomini di Zabulon combatterono quell’antica battaglia: Debora afferma che «non riportarono alcun bottino d’argento»8. Pare che Zabulon e Neftali fossero delle eccezioni in tal senso, ma il racconto non dice se ciò sia da imputare a una loro maggiore opulenza, che li rendeva più equipaggiati di altre tribù per combattere come guerrieri autosufficienti.
Al ritorno d’Israele dalla cattività, in un momento in cui l’Opera di Dio era di nuovo in crisi, Neemia, un lavoratore autosufficiente, si fece avanti e compì ciò che altri non potevano fare. Quando il Salvatore morì in croce e l’ignominia sui Suoi discepoli andava crescendo, Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, due uomini facoltosi che ricoprivano alti incarichi, si fecero avanti e compirono per il Salvatore quel che chi lo amava forse più sinceramente non fu in grado di fare.
Sebbene all’apparenza sembri che Zabulon e Neftali non abbiano amato Dio più di altre tribù, dal racconto di Debora emerge invece che mutarono le sorti della battaglia rischiando la loro vita e non per guadagno di denaro.
Sicuramente Zabulon era una tribù intelligente e agiata, benedetta con gli averi di questo mondo, nondimeno, in tempi di crisi nella causa del Signore, la troviamo in prima linea a rischiare tutto pur di mantenere l’onore del Nome di Dio.
Oltre duecento anni più tardi, ecco sopraggiungere un altro momento difficile. Saul era morto e i sinceri di cuore in Israele vennero da Davide a Hebron per consegnare il regno dalle mani di Saul a lui, «secondo la parola dell’Eterno»9. In questo consesso ogni tribù era rappresentata, ma nessuna eccelleva quanto Zabulon in numero ed equipaggiamento. Si presentarono cinquantamila guerrieri esperti, «abili a disporsi in ordine di battaglia con tutte le armi da guerra e capaci di tenere la propria posizione…»; inoltre, cosa più preziosa per la causa di Dio dei numeri o dell’abilità, erano «di cuore fermo», non avevano doppiezza nei loro animi: questi sono gli uomini di cui il Signore può fidarsi in un momento di crisi10. Chi è pronto a perfezionare un simile carattere nel timore di Dio, avendo il sigillo di Dio posto sulla sua fronte? Chi desidera il carattere di Zabulon così sinceramente e con così tanto zelo da essere disposto a rischiare la sua vita per amore di Cristo?
La terra di Zabulon ha ricevuto anche il grande onore di essere la casa dell’infanzia di Gesù. Nazareth era infatti situata all’interno dei suoi confini. In quei luoghi le persone ebbero l’opportunità di vedere e di udire Cristo più di chiunque altro in qualsiasi luogo.
Isaia profetizzò che la terra di Zabulon avrebbe visto una grande Luce11. Veramente questa profezia si è adempiuta, dato che ospitarono entro i loro confini la più grande Luce che questo mondo abbia mai visto.
Il primo miracolo compiuto da Gesù fu a Cana, proprio nel territorio di Zabulon. Fu anche a Cana che un funzionario regio venne a Gesù pregandolo affinché guarisse suo figlio; la richiesta, come in ogni altra preghiera di fede, fu concessa dal Grande Medico12.
RIEPILOGO
Nelle pagine della storia sacra Giuseppe svetta come uno dei pochi personaggi dei quali il racconto ispirato non abbia registrato cadute. Giuseppe ricevette uno dei tre privilegi del diritto di primogenitura; interessante notare come ogni quota di tale diritto sia stata immortalata nella Bibbia.
Giuda perfezionò nella vita domestica un carattere tale da conferirgli l’onore di diventare progenitore del Messia; in Cielo, dinnanzi al trono di Dio, i santi esseri si rivolgono a Cristo dicendo: «ecco il Leone della tribù di Giuda»1.
Levi trionfò in tempo di grande crisi nella causa di Dio, perfezionando un carattere che lo rese degno del sacerdozio, la cui opera simboleggiava quella del gran Sommo Sacerdote in Cielo2.
Giuseppe, separato dai suoi fratelli, circondato da idolatri in terra straniera, ottenne una vittoria tale da permettergli di ricevere la doppia porzione dell’eredità. Due lotti della terra promessa furono infatti assegnati alla famiglia di Giuseppe e per tutta l’eternità due divisioni dello specifico gruppo dei centoquarantaquattromila porteranno i nomi di Giuseppe e di suo figlio Manasse, in ricordo della fedeltà del padre3. Ciò fu annunciato profeticamente nella benedizione di Giacobbe: «le benedizioni di tuo padre sorpassano le benedizioni dei miei antenati fino alle cime dei colli eterni. Esse saranno sul capo di Giuseppe e sulla corona di colui che fu separato dai suoi fratelli»4.
Giuseppe era l’undicesimo figlio di Giacobbe, primogenito di Rachele, la moglie amata5. I primi diciassette anni della sua vita trascorsero in casa di suo padre6. Dei primi anni di vita di Giuseppe ricordiamo soprattutto il grande amore di Giacobbe per il figlio, il regalo paterno della tunica multicolore, i sogni del ragazzo e il suo essere venduto come schiavo in Egitto.
Nella tunica multicolore emerge con chiarezza un significato ben preciso: Giuseppe non era un bambino quando gli fu regalata, ma un giovane diciassettenne dotato di un carattere esemplare. L’anziano padre sapeva che Ruben aveva perso il suo diritto di officiare come sacerdote della famiglia e ora guardava alla vita pura di Giuseppe: era naturale che lo ritenesse degno di ricoprire tale santo ufficio. In particolare, è possibile che in visione gli sia stato permesso di contemplare il Sommo Sacerdote celeste; dunque, quella tunica voleva essere una debole rappresentazione della veste sacerdotale che nell’idea di Giacobbe i discendenti di Giuseppe avrebbero indossato. Tuttavia, Dio non vede le cose come l’uomo le vede: da quel gruppo di figli invidiosi e gelosi, che nei loro cuori pianificavano di uccidere Giuseppe, il Signore prese un altro uomo, Levi; lo purificò e lo affinò finché i suoi discendenti furono in grado di svolgere il sacro servizio sacerdotale.
I sogni di Giuseppe, profetizzanti l’inchino della famiglia davanti a lui, furono più di quanto i cuori gelosi degli altri dieci fratelli potessero sopportare (Beniamino, il dodicesimo figlio, era solo un bambino a quel tempo). Quando Giuseppe incontrò i fratelli nei campi, lontano dalla tenda del padre, parve che tutti tranne Ruben covassero progetti omicidi contro di lui. La tradizione ebraica afferma che Simeone legò Giuseppe prima di calarlo nella fossa con l’intenzione di impedirgli la fuga, così da farlo morire là. Quando i sogni dell’infanzia di Giuseppe si realizzarono e i suoi fratelli si prostrarono faccia a terra davanti a lui, allora egli si ricordò delle visioni7. Possiamo concludere che Giuseppe, ordinando agli ufficiali egiziani di legare Simeone davanti a tutti, ricordasse quando Simeone stesso un tempo lo aveva legato, sordo alle sue suppliche, mentre i suoi fratelli stavano a guardare senza mostrare alcuna pietà per lui. Anche Simeone dovette averlo ricordato, poiché poco prima Ruben aveva esclamato: «non ve lo dicevo io: ‘non commettete questo peccato contro il fanciullo?’ Ma voi non mi voleste dare ascolto. Perciò, ecco, il suo sangue ci è ridomandato»8.
Giuseppe agiva per educare, non perché fosse risentito o volesse vendicarsi; in seguito disse ai suoi fratelli: «non siete dunque voi che m’avete mandato qua, ma è Dio»9. «Voi avevate pensato del male contro a me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: conservare in vita un popolo numeroso»10. Giuseppe vedeva solo la mano del Signore in tutto ciò che gli accadeva. Quando fu venduto come schiavo a Potifar, sapeva di essere nelle mani divine. La sua fede si aggrappò a Dio e, mentre serviva Potifar, «il suo arco è rimasto saldo; le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del Potente di Giacobbe, da colui che è il Pastore e la Roccia d’Israele»11. Il salmista afferma di lui: «la parola dell’Eterno lo mise alla prova, finché si adempì ciò che Egli aveva detto»12. Credeva nella parola di Dio insegnatagli durante l’infanzia. Fu quella parola a mantenerlo coraggioso in prigione e umile al governo dell’Egitto. La sua forza, sia nelle avversità che nelle prosperità, proveniva dal “Potente Dio di Giacobbe”.
Al considerare la rigorosa integrità di Giuseppe in mezzo all’oscurità egiziana non dobbiamo dimenticare che la madre Rachele visse fino a quando egli aveva circa sedici anni. Con la sua pia istruzione fortificò il figlio per la grande vita che lo aspettava. Nella sua misericordia Dio mise a riposo Rachele prima che Giuseppe venisse venduto come schiavo in Egitto, risparmiandole quel gran dolore. Per l’eternità ella contemplerà i frutti della sua educazione, poiché senza dubbio furono le indicazioni materne a permettere a Giuseppe di connettersi a Dio così intimamente da far restare “saldo il suo arco”. La traduzione dei Settanta di Genesi 49:26 unisce il nome della madre a quello del padre nella benedizione: «Le benedizioni di tuo padre e di tua madre superano quelle delle montagne immortali, oltre i colli eterni». Il patriarca morente, richiamando il carattere di Giuseppe, pensò agli anni di fedeli insegnamenti che Rachele gli aveva impartito, dalla nascita fino a quando la morte di lei li aveva separati. Le madri degli altri figli non vengono menzionate nelle benedizioni.
Felice la madre che dà una tale educazione e tre volte felice è il bambino che la riceve. L’educazione spirituale durante l’infanzia ha un grande potere nel modellare il carattere, ponendo un “diadema di grazia” sul capo di chi la riceve13.
Giuseppe vide la mano di Dio in tutti gli eventi della sua vita. Giobbe aveva manifestato lo stesso spirito. Dopo che Dio aveva permesso al diavolo di portargli via tutti gli affetti e i beni terreni, Giobbe ignorò completamente Satana, limitandosi a dire soltanto: «L’Eterno ha dato e l’Eterno ha tolto. Sia benedetto il nome dell’Eterno»14. Questo spirito, se custodito nel cuore, anche oggi può rendere un uomo grande come fu ai tempi di Giobbe e di Giuseppe.
I primi anni della vita di Giuseppe in Egitto trascorsero in casa di Potifar, che lo rese sorvegliante su tutti i suoi interessi15: «il suo padrone vide che l’Eterno era con lui e che l’Eterno faceva prosperare nelle sue mani tutto ciò che faceva»16. Giuseppe era anche «bello di forma e di bell’aspetto»17. La moglie del suo padrone aveva gettato gli occhi su di lui e cercava di adescarlo, ma la sua risposta fu: «come potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?»18.
La sua retta integrità gli costò il suo incarico. Da un posto d’onore fu gettato in prigione. Nuovamente Dio mostrò il suo favore nei confronti di Giuseppe: fu onorato e messo a capo di tutti i prigionieri19. Accettò la sua prigionia come proveniente dalla mano del Signore.
Dopo diversi anni in carcere, all’età di trent’anni20, comparì alla presenza del Faraone interpretandone i sogni, ma fu attento ad attribuire sempre tutto l’onore a Dio. Venne allora innalzato come secondo nel regno21 e insegnò agli anziani d’Egitto la sapienza22.
Durante i sette anni di abbondanza, Giuseppe accumulò grandi quantità di grano da usare durante per i susseguenti sette anni di carestia. Sposò una donna egiziana d’alto rango e anche i suoi due figli, Manasse ed Efraim, nacquero durante questi sette anni di abbondanza23.
Giuseppe era governatore d’Egitto da nove anni24 quando i suoi fratelli giunsero per acquistare grano. È interessante notare che quando Giuseppe disse ai suoi fratelli che avrebbe tenuto Beniamino prigioniero ebbe la soddisfazione di udire Giuda, lo stesso che anni prima aveva suggerito di vendere Giuseppe agli Ismaeliti per venti pezzi d’argento, offrirsi come schiavo a vita al posto di Beniamino25.
Giuseppe ebbe il privilegio di sostentare suo padre e i suoi fratelli per molti anni, vedendo realizzarsi i sogni della gioventù. Durante i centodieci anni della sua lunga vita non abbiamo traccia alcuna di infedeltà da parte sua nei confronti del Signore. Morì con ferma fiducia nella promessa fatta a Isacco e a Giacobbe. Le sue ultime parole furono: «Dio per certo vi visiterà; allora porterete via da qui le mie ossa»26.
Il suo corpo fu imbalsamato e, quando Mosè condusse i figli d’Israele fuori dall’Egitto, essi adempirono al suo ultimo desiderio27.
Quando la voce di Cristo chiamerà i santi addormentati dai loro letti polverosi, Giuseppe si alzerà vestito di gloriosa immortalità per salutare “il Pastore e la Roccia d’Israele” grazie alla fede per la quale ha ottenuto tutte le sue vittorie.
RIEPILOGO
Beniamino, dodicesimo e ultimo figlio di Giacobbe, rimase orfano di madre alla nascita. L’unica richiesta della madre Rachele per lui fu che venisse chiamato Benoni, “il figlio del mio dolore”, ma Giacobbe gli cambiò nome in Beniamino: “figlio della mano destra”1.
Il premuroso amore del padre per il figlio privato della presenza materna si mostra nella sua riluttanza a permettergli di accompagnare i fratelli in Egitto2. Sebbene Beniamino venga spesso chiamato “giovane” al tempo del suo viaggio in Egitto3, dato che era l’ultimo dei fratelli, il racconto biblico specifica che egli era già padre di dieci figli a quel tempo4. Indubbiamente il sistema sociale dei patriarchi lo poneva sotto la guida paterna molto più di quanto oggi siano i ragazzi sposati.
Sappiamo poco di Beniamino come individuo, ma la tribù che portava il suo nome ha avuto un ruolo di primo piano nella storia d’Israele. Il carattere della tribù è ritratto nelle parole profetiche di Giacobbe: «Beniamino è un lupo che sbrana: al mattino divora la preda e alla sera spartisce le spoglie»5. Queste parole sicuramente non descrivono un carattere ammirevole, ma quello di un bambino coccolato e viziato fino a voler soddisfare solo i propri desideri con petulanza – un po’ come ci si potrebbe aspettare dal figlio più giovane di una famiglia numerosa e, per di più, senza una madre a controllarlo.
Questo spirito capriccioso e testardo riemerse nella tribù di Beniamino, che combatté fino ad essere quasi sterminata piuttosto che liberare gli uomini malvagi di Gibeah, affinché fossero puniti6. Nonostante in seguito a questo episodio fossero stati ridotti a un numero di soli seicento guerrieri, al tempo di Davide erano nuovamente tornati a essere una tribù numerosa7. Ai giorni dei giudici, i Benianimiti potevano contare su settecento tiratori scelti «capaci di colpire con la fionda un capello, senza fallire il colpo»8. Circa trecento anni più tardi, leggiamo che gli abili frombolieri di Beniamino «erano armati di arco e sapevano tirare frecce e sassi con la destra e con la sinistra»9. Pare che i Benianimiti fossero l’unica tribù d’Israele specializzatasi nell’arte dell’arco e della fionda in ogni tipo di battaglia – la loro abilità in tal senso era ben rinomata10.
Il territorio di Beniamino si trovava a nord di Giuda e il confine tra le due tribù attraversava Gerusalemme. Dopo la grande crisi risultata dal crimine in Gibeah11, molti accadimenti modellarono la natura testarda e volitiva della tribù. Per vent’anni la santa arca dell’Eterno rimase all’interno dei suoi confini, a Kirjath-Jearim, con un sacerdote incaricato di custodirla12. Ramah, città benianimita, ospitò la casa del profeta Samuele, che là fece costruire un altare al Signore su cui offrì sacrifici. Samuele «ogni anno faceva il giro di Bethel, di Ghilgal e di Mitspah ed esercitava l’ufficio di giudice d’Israele in tutti questi luoghi. Poi ritornava a Ramah»13. Mitspah, il luogo delle grandi assemblee di tutto Israele14, era situato all’interno dei confini di Beniamino. Qui il Signore compì una potente liberazione per il Suo popolo terrorizzato. «L’Eterno in quel giorno tuonò con grande fragore contro i Filistei e li mise in confusione, ed essi furono sconfitti davanti a Israele»15.
Le parole profetiche di Mosè indicano un cambiamento deciso del carattere della tribù rispetto al ritratto fattone da Giacobbe: «l’amato dell’Eterno abiterà sicuro presso di lui. L’Eterno lo proteggerà del continuo ed egli abiterà fra le Sue spalle»16. Lo stesso spirito impavido che Giacobbe aveva paragonato a un lupo che distrugge tutto davanti a lui fu mutato dal potere di conversione dello Spirito Santo: la forza, un tempo usata per distruggere, venne poi impiegata per proteggere il popolo e gli interessi del Signore. “L’amato del Signore dimorerà al sicuro presso di lui”.
È interessante notare l’affinità tra il carattere di questa tribù e quello dell’apostolo delle genti, che di se stesso dice: «anch’io sono israelita … della tribù di Beniamino»17. Saulo, in seguito chiamato Paolo, è introdotto mentre assiste al martirio di Stefano, approvandone l’uccisione18. Poi, come “un lupo che sbrana” devasta la chiesa, entrando di casa in casa per imprigionare uomini e donne19. Assetato del sangue delle sue prede, spira «minacce e stragi contro i discepoli del Signore»20. Non c’è sicurezza alcuna per gli amati dal Signore con un simile uomo nei paraggi. Tuttavia, la medesima cifra caratteriale del lupo rapace nel ferire e nel distruggere il popolo di Dio, una volta convertita, protegge e custodisce l’onore di Dio e della Sua causa.
Infatti, dal momento in cui il Benianimita Saulo incontrò Gesù21, la sua natura di lupo fu trasformata e gli amati del Signore poterono dimorare in sicurezza presso di lui. I santi di Damasco non erano più in pericolo: colui che aveva progettato di distruggerli era ora loro amico22.
Dio non dimentica mai di ricambiare un atto di gentilezza23. Dal momento in cui Paolo divenne scudo e protezione per gli amati del Signore, Dio lo protesse a Sua volta – nulla poté danneggiarlo. Il morso del serpente velenoso fu impotente24. Non ci fu abbastanza acqua nel mare da annegarlo25. Dio lo protesse del continuo.
La benedizione di Mosè afferma: «l’Eterno lo proteggerà del continuo e abiterà fra le sue spalle». Alcuni commentatori ritengono che ciò si riferisca al tempio costruito sul monte Moriah, entro i confini di Beniamino, ma per colui che ricorda come, nei suoi primi anni, le forti spalle paterne lo sostenessero e trasportassero al di sopra dei tratti accidentati di un sentiero, queste parole hanno un altro significato. Il Signore lo custodirà continuamente: ci libera da ogni male e pericolo. Quando lungo il cammino della nostra vita giungiamo a un punto che ci pare impossibile, là dove le nostre forze non ci fanno avanzare, il nostro Padre celeste ci solleva con le Sue braccia onnipotenti e ci pone a sedere tra le Sue spalle, oltre ciò che senza il suo aiuto non riusciremmo assolutamente a realizzare. Per lui siamo come bambini che riposano saldamente tra le spalle paterne, con le mani intorno al Suo collo: così possiamo fare quel che va al di là di ogni possibilità umana. Che luogo benedetto in cui stare, ma riservato per colui presso il quale gli amati dal Signore possono dimorare in sicurezza: critica e calunnia devono tacere per sempre in chi desidera sedersi sulle spalle divine26.
Ehud, sotto il quale il paese ebbe riposo per ottant’anni, era un Benianimita. Era mancino e con la mano sinistra uccise abilmente Eglon, re di Moab, che opprimeva Israele27. Saul, primo re di Israele, era della tribù di Beniamino28. Dio non solo unse Saul re su Israele, ma «gli mutò il cuore»29. Il Signore lo aveva anche fatto associare con «uomini valorosi ai quali Dio aveva toccato il cuore»30. Finché rimase umile, il Signore fu con lui. Quando si esaltò in cuor suo, fu rigettato dal Signore31. In seguito a questa sua triste caduta, le inclinazioni caratteriali del lupo ritornarono preponderantemente: simile a lupo rapace, per anni diede la caccia a Davide come «a una pernice su per i monti» (1 Samuele 26:20). Il suo unico desiderio era quello di uccidere “l’amato del Signore”.
In diretto contrasto con Saul, che spese le sue forze per distruggere “l’uomo secondo il cuore di Dio”, svetta Mardocheo, “discendente di Kish, un Benianimita”, forse parente di quel Kish che fu proprio il padre di Saul. L’intera vita di Mardocheo è una storia di continue liberazioni dal male. Salvò la vita del re di Persia32. In seguito Satana istigò Haman affinché eliminasse ogni credente nel vero Dio33. Mentre Mardocheo implorava con zelo il Signore per ottenere liberazione34, Dio usò proprio la gentilezza che il Benianimita aveva mostrato nei confronti del re in passato come via di uscita35. Mardocheo fu innalzato di rango e dalla sua posizione poté essere impiegato dal Signore per proteggere e custodire il Suo popolo36.
La vera vittoria dai risultati eterni non dipende dall’appartenenza tribale o dalle tendenze ereditarie, ma dall’umile fede in Dio. «L’Eterno infatti con i suoi occhi scorre avanti e indietro per tutta la terra per mostrare la sua forza verso quelli che hanno il cuore integro verso di lui»37. Dio può umiliare i re quando ignorano la Sua parola38 e può innalzare i prigionieri al potere regale39.
Il carattere naturale di Beniamino è il prototipo del carattere di un cuore non convertito come si mostra in ogni epoca della storia e in ogni angolo del globo40. Beato colui che anche al giorno d’oggi, come Mardocheo, sarà fedele ai principi divini41 anche a costo di rischiare tutto pur di proteggere gli amati dal Signore presso di Lui. Così, potrà rivendicare per sé la promessa data a Beniamino un tempo: «L’Eterno lo proteggerà del continuo ed egli abiterà fra le Sue spalle».
Dodicimila provvisti del medesimo carattere porteranno il nome di Beniamino e serviranno il Signore giorno e notte nel Suo santo Tempio per tutta l’eternità42.
RIEPILOGO
La benedizione di un patriarca in punto di morte rivestiva grande valore nei tempi antichi. Quando Giuseppe fu informato che suo padre era malato, prese i suoi due figli, Manasse ed Efraim, e lo andò a visitare. Dopo aver ripetuto a Giuseppe la promessa del paese di Canaan data ad Abramo e rinnovata a Isacco e a Giacobbe, l’anziano patriarca disse: «i tuoi due figli, che ti sono nati nel paese d’Egitto prima che io venissi da te, sono miei. Efraim e Manasse sono miei come Ruben e Simeone». Quando Giacobbe vide i ragazzi, esclamò: «deh, falli avvicinare a me, e io li benedirò»1.
Giuseppe fece stare il primogenito Manasse alla destra di Giacobbe e il secondogenito Efraim alla sua sinistra, ma Israele, benedicendoli, posò la mano destra sulla testa del più giovane e la mano sinistra sulla testa del maggiore. Quando Giuseppe vide ciò, tentò di collocare la mano destra di Giacobbe sulla testa di Manasse, dicendo: «non così, padre mio, perché costui è il primogenito: metti la tua mano destra sul suo capo». Ma suo padre rifiutò, dicendo: «lo so, figlio mio, lo so; anche lui diventerà un popolo e sarà grande, tuttavia suo fratello più giovane sarà più grande di lui…»2.
Come lo zio Esaù, Manasse, benché primogenito, ricevette il secondo posto nella benedizione, ma con circostanze completamente diverse. Manasse non fece nulla per perdere i suoi privilegi come primogenito. Pur non avendo la propensione bellica e le benedizioni di Efraim, cose che a quest’ultimo permisero di costruire il regno di Israele, il nome di Manasse sopravviverà a quello di Efraim. Una frase nella benedizione del patriarca pare applicarsi più largamente a Manasse che al fratello prospero: «l’Angelo che mi ha liberato da ogni male benedica questi fanciulli!»3.
La benedizione del Signore fu apprezzata e coltivata da Manasse e dai suoi discendenti. Pur vivendo a una certa distanza dal centro spirituale e governativo della nazione e sebbene fossero divenuti parte del regno settentrionale, si interessarono a tutte le riforme religiose istituite dai re di Giuda fedeli al Signore. Quando il re Asa abbattè gli idoli e rinnovò il culto del Signore, da Manasse vennero «a lui in gran numero: avevano visto che l’Eterno, il suo Dio, era con lui»4. Quando Ezechia tenne la grande celebrazione pasquale, i rappresentanti di Manasse umiliarono i loro cuori e parteciparono alla festa5. Si unirono anche all’opera di distruzione delle immagini e dei luoghi di culto pagani nel proprio territorio6.
Anche le riforme dell’epoca di Giosia furono accettate nella terra di Manasse7. La tribù non perse interesse per il tempio di Gerusalemme e con mezzi propri provvedette al suo restauro dopo la contaminazione subita durante i re di Giuda Manasse e Amon8. Si suppone che il Salmo 80 sia stato scritto da qualche cantore ispirato della casa di Giuseppe durante una di queste stagioni di riforma.
Poco è registrato in merito alla tribù di Manasse dopo l’insediamento nella terra promessa, ma in positivo, poiché tutti gli sparuti riferimenti mostrano il desiderio maggioritario di tale tribù di servire il Signore: la benedizione dell’Angelo continuava a riposare su Manasse.
Efraim e Manasse erano i nomi delle due porzioni di eredità terrena di Giuseppe. I nomi alle due divisioni dei centoquarantaquattromila nel Regno di Dio saranno Manasse e Giuseppe9. Il nome di Manasse verrà così immortalato, mentre quello di Efraim affonderà nell’oblio.
Gedeone, il più rinomato tra i giudici, apparteneva alla tribù di Manasse. Sembra essere stato l’unico grande guerriero della metà occidentale della tribù; la parte orientale era più bellicosa. Quando Davide uscì con i Filistei per combattere contro Saul, i guerrieri di Manasse si unirono a Davide; poi i principi dei Filistei non permisero a Davide di salire con loro in battaglia, ma comunque sette potenti guerrieri, «capi delle migliaia di Manasse», si unirono a Davide a Ziklag. «Costoro aiutarono Davide contro le bande dei razziatori» che avevano imprigionato la sua famiglia, «perché erano tutti uomini forti e valorosi e divennero capi nell’esercito»10. Dopo la morte di Saul, diciottomila della mezza tribù di Manasse «furono scelti individualmente per andare a proclamare re Davide» a Hebron11.
Le cinque figlie di Tselofehad, della tribù di Manasse, sono le prime donne menzionate nella Bibbia ad avere il diritto di possedere un’eredità a proprio nome12.
Se Ruben non avesse perso i diritti di primogenitura a causa del suo peccato o se Dan non avesse coltivato un carattere così simile a Satana da sparire dalla lista delle dodici tribù spirituali, il nome Manasse non sarebbe stato dato a una delle dodici divisioni dei centoquarantaquattromila. Qui c’è una lezione per ogni figlio di Dio. Quando il Signore dice: «ecco, io vengo presto; tieni fermamente ciò che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona»13 è bene prestare attenzione all’ammonimento. Se non lo facciamo, potremmo scoprire troppo tardi che abbiamo permesso al mondo di derubarci del nostro amore per il Maestro e che il nostro discernimento è stato così oscurato dal peccato e dall’incredulità che, come Ruben, non siamo più all’altezza di compiere l’opera che il Signore aveva progettato per noi. Qualcun altro come Giuseppe, benché separato dalla comunione con quelli della sua stessa fede e senza aver goduto delle nostre stesse opportunità, farà ciò che noi non siamo stati capaci di fare e riceverà la ricompensa che avremmo potuto ottenere.
Il fiume del tempo è cosparso dei relitti di coloro che una volta furono membri veri e fedeli dell’Israele di Dio14, che furono «scritti per restare in vita a Gerusalemme»15, ma che permisero a Satana di riempire i loro cuori di invidia, di gelosia e di critiche, finché, come la tribù di Dan, persero il senso delle cose di Dio e la loro fermezza: mai più saranno contati nell’Israele spirituale. «Tieni fermamente ciò che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona».
RIEPILOGO
La Genesi è il libro degli inizi, l’Apocalisse quello della fine. Nell’Apocalisse convergono le più importanti tracce della Verità presentate in ogni libro dell’Antico Testamento. La Genesi ci introduce alle dodici tribù di Israele, l’Apocalisse ci mostra gli ultimi rappresentanti spirituali di quelle tribù in piedi sul Monte Sion nell’eterno Regno di Dio1.
I redenti del Signore sono una moltitudine innumerevole, che nessun uomo può contare, ma tra le fila di tale folla si nota un gruppo appartato, contato e numerato: i centoquarantaquattromila. Questo gruppo è ordinato in dodici divisioni, ognuna delle quali contiene dodicimila persone riscattate dalla Terra e riunite sotto il nome di ciascuna delle dodici tribù di Israele2. La lista delle tribù presentata in Apocalisse 7 varia leggermente rispetto alla lista dei dodici figli di Giacobbe3, poiché Dan viene omesso e al suo posto compare il nome di Manasse, primogenito di Giuseppe.
Questo gruppo godrà di particolari privilegi: i suoi membri risiederanno sul Monte Sion con Cristo4 e seguiranno «l’Agnello dovunque Egli va»5. Riceveranno l’onore di servire Cristo nel nuovo Tempio celeste e sono irreprensibili davanti a Dio: nelle loro bocche non è stata trovata menzogna, come, d’altronde, in tutto il resto della folla dei salvati6.
La morte, la grande Mietitrice, ha deposto nella tomba una generazione dopo l’altra dei santi di Dio. Affinché nessuno ritenga che la tomba sia la fine di tutto, Dio ci rivolge la seguente promessa tramite il Suo profeta: «Io li riscatterò dal potere della tomba e li redimerò dalla morte»7.
Dei centoquarantaquattromila si dice invece che «sono i riscattati dalla Terra … tra gli uomini»8. Sono dunque i viventi sulla Terra al momento del ritorno del Salvatore: saranno traslati assieme all’incalcolabile folla di salvati che si alzeranno dai loro letti polverosi per essere rivestiti di gloriosa immortalità quando Cristo verrà tra le nubi del Cielo9.
Inoltre, i centoquarantaquattromila si distinguono dagli altri redenti per avere il sigillo del Dio vivente sulla loro fronte: tutti coloro che hanno tale sigillo sono inclusi in questo gruppo10. Questo segno distintivo è detto “il nome del Padre”11. La medesima scena, seppur con diverso contesto, fu mostrata anche a Ezechiele: il profeta parla di un “segno” (tāw) sulla fronte12.
Il termine “sigillo” si riferisce all’antica affrancatura dei documenti legali. Il sigillo contiene il nome della persona che rilascia il documento, il suo incarico o la sua autorità e la portata della sua giurisdizione. Il sigillo posto sulla fronte dei centoquarantaquattromila è il sigillo del Dio vivente. I sigilli vengono uniti a un proclama ufficiale, una legge o un documento – se ne conclude che il sigillo di Dio sia connesso alla Sua Legge. Il profeta Isaia, guardando attraverso i secoli, vide un popolo che aspettava il ritorno di Cristo dal Santuario celeste alla Terra. Il messaggio di Dio a costoro è: «sigilla questa legge tra i miei discepoli»13.
La Bibbia ci è stata data tramite i profeti, i santi uomini14 che Dio ha impiegato come portavoce per far conoscere la Sua volontà al Suo popolo. Al contrario, la Legge di Dio – i dieci comandamenti – non è stata rivelata tramite alcun agente umano. Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – scese sul Monte Sinai assieme a miriadi di esseri celesti15 per proclamare i dieci comandamenti alla grande moltitudine d’Israele (oltre un milione di persone16). Affinché tale legge non fosse affetta da alcun errore di trascrizione, Dio chiamò Mosè sul monte e gli diede due tavole di pietra sulle quali aveva inciso col Suo stesso dito i medesimi dieci comandamenti proclamati alla moltitudine. Questa Legge sarà il criterio secondo il quale sarà giudicato ogni figlio e ogni figlia di Adamo. Dio ha posto il proprio sigillo su questa Legge, per cui tutti possono conoscere le sue affermazioni vincolanti! Ricordando che il sigillo deve contenere in primo luogo il nome di colui che emette la legge, in secondo luogo l’ufficio o l’autorità conferita al legislatore e in terzo luogo il territorio su cui governa, vediamo di riscontrare dove tali caratteristiche compaiano insieme nella Legge di Dio.
I primi tre comandamenti e il quinto menzionano il nome di Dio come Dio personale del credente17, ma non lo distinguono dagli altri dèi18. Gli ultimi cinque comandamenti mostrano il nostro dovere verso i nostri simili, ma non contengono il nome di Dio19. Il quarto comandamento contiene, in primo luogo, il nome «l’Eterno, il tuo Dio»; in secondo luogo, l’affermazione che l’Eterno, il tuo Dio, è il solo Creatore di tutte le cose e che quindi ha il potere di promulgare la Legge; in terzo luogo, ecco la portata della Sua giurisdizione: Cielo e Terra, che Egli ha creato20.
Dunque il quarto comandamento richiede a tutti coloro che dimorano nel territorio dell’Eterno Dio, il Creatore, di santificare il settimo giorno della settimana, che Egli ha a Sua volta santificato e benedetto come memoriale della Sua opera creativa21. Il comandamento del Sabato contiene perciò il sigillo della Legge. La parola segno è talvolta usata come sinonimo di sigillo22. Proprio riguardo al Sabato Dio dice: «è un segno tra me e voi per tutte le vostre generazioni»23. «Inoltre diedi loro i miei sabati, affinché fossero un segno fra me e loro, perché conoscessero che io sono l’Eterno che li santifico»24.
Dio ha benedetto e ha santificato il giorno di Sabato25; per colui che lo rispetta esso è un segno, o sigillo, del potere di Dio di santificare anche lui e di trasformarlo a Sua immagine26. Osservando correttamente il Sabato si conosce Dio con sempre maggiore profondità: «santificate i miei sabati e siano un segno fra me e voi, affinché conosciate che io sono l’Eterno, il vostro Dio»27.
Durante il Medioevo, quando la Parola di Dio fu nascosta al popolo, questo sigillo venne occultato nella Legge di Dio. La domenica, il primo giorno della settimana, un giorno in cui Dio operò28, fu sostituito come giorno di riposo al settimo giorno, il Sabato, in cui invece Dio si riposò29. Il Signore, tramite il profeta Daniele, rivelò in anticipo che sarebbe sorto un potere che avrebbe pensato «di mutare i tempi e la legge»: i santi (e la Legge) sarebbero stati dati nelle sue mani per milleduecentosessanta anni, un periodo di tempo menzionato sia da Daniele che da Giovanni30. Dopo tale periodo, la Bibbia sarebbe tornata nelle mani del popolo e il vero Sabato del quarto comandamento sarebbe stato restaurato e osservato. La breccia, la violazione della Legge, sarebbe stata riparata ed essa sarebbe stata suggellata tra i discepoli del Signore che ansiosamente avrebbero aspettato il ritorno di Cristo.
In Apocalisse 7:2 l’opera di suggellamento è raffigurata come proveniente da est, dalla direzione del sorgere del sole. Da questo comprendiamo che essa inizierà come l’aurora: dapprima una debole luce, poi in costante aumento fino a rischiarare la Terra intera. Quattro angeli sono stati incaricati di trattenere i quattro venti fino a quando tale opera non sarà completata. I venti sono un simbolo della guerra31. In adempimento a ciò dobbiamo aspettarci che in un certo periodo della storia del mondo i venti di guerra siano stati miracolosamente trattenuti mentre l’opera di ripristino del sigillo della Legge di Dio proseguiva.
Sulla Terra sono stati sempre presenti dei cristiani che rispettavano il Sabato, il settimo giorno; tuttavia, l’opera di ripristino della breccia nella Legge cominciò dal 1845 circa in poi, presso coloro che aspettavano la seconda venuta del Signore. Trascorso il tempo fissato, nell’autunno del 1844, l’attenzione di coloro che ritenevano che Cristo sarebbe tornato sulla Terra in quel tempo fu diretta al Santuario celeste, dove per fede contemplarono Cristo officiare come loro Sommo Sacerdote. Mentre accompagnavano metaforicamente il Salvatore nella Sua Opera, «si aperse nel Cielo il Tempio di Dio e in esso apparve l’arca del Suo patto…»32. La loro attenzione si concentrò sulla Legge contenuta in quell’arca33. Alcuni di loro riconobbero in essa la richiesta di osservanza del Sabato del Signore, accettandola qual sigillo della Legge. Intorno al 1847-48 il Sabato cominciò a essere predicato come il sigillo della Legge del Dio vivente.
Nel 1848 si verificò uno dei più grandi sconvolgimenti negli Stati nazionali europei degli ultimi secoli. Nelle principali nazioni si verificarono dei cambiamenti decisi. In un breve periodo di tempo, molti dei capi coronati d’Europa si sottomisero al popolo. Pareva che una guerra fosse inevitabile. Nel bel mezzo delle turbolenze e dei conflitti, tutto si calmò improvvisamente. Nessun uomo comprese le profonde ragioni di ciò, ma gli studiosi delle profezie sapevano che erano gli angeli a trattenere i venti per il suggellamento dei servi di Dio.
La fronte è la sede dell’intelletto: quando i sinceri di cuore vedranno e riconosceranno le rivendicazioni della Legge di Dio, santificheranno il Sabato. Il sigillo posto dagli angeli sulla fronte non può essere letto dall’uomo, perché solo Dio legge i cuori. Riposare semplicemente il settimo giorno dal lavoro fisico non servirà a ricevere il sigillo. Il riposo è necessario, ma con esso deve essere santificata anche la vita, che deve essere in armonia con lo spirito del santo giorno34.
Ezechiele vide un angelo che poneva un “segno” sulla fronte di coloro che sospiravano a causa delle abominazioni praticate da coloro che si dichiaravano “il popolo di Dio”35. Coloro che si adagiano in Sion, seguendo la deriva della corrente mondiale, incentreranno gli affetti dei loro cuori sul mondo e non potranno ricevere il sigillo del Dio vivente.
Il ripristino del Sabato, l’opera di suggellamento di Apocalisse 7:1-4, sorge pian piano come il sole. Per alcuni anni, solo pochi cristiani osservarono il sabato del quarto comandamento. In seguito molti, qua e là, in ogni parte del mondo, hanno scoperto che la Bibbia intera, dalla Genesi all’Apocalisse, insegna che il settimo giorno è il Sabato e che Gesù Cristo36 e gli apostoli37 lo hanno custodito e accettato38; oggi, in ogni luogo della Terra, ci sono coloro che onorano Dio come Creatore, mantenendo santo il giorno che Egli ha santificato e benedetto come memoriale della Sua opera creativa.
Nella Chiesa cristiana non c’è più né ebreo, né gentile, poiché tutti sono uno in Cristo Gesù39. Siamo tutti innestati nella famiglia di Abrahamo40. I centoquarantaquattromila non sono perciò necessariamente dei discendenti letterali degli ebrei41, ma sono tutti coloro che avranno ricevuto il sigillo del Dio vivente sulla fronte, le cui vite sono in armonia con i sacri precetti dell’Eterno.
In Apocalisse 14:9-14 siamo informati dell’esistenza di un potere contrario alla Legge di Dio, che vorrà imporre il proprio “marchio” su tutti gli esseri umani per mezzo del potere civile42. Poiché il Sabato del Signore è stato dato da Lui come segno del Suo potere e del Suo diritto di governare, il giorno di riposo contraffatto – la domenica, primo giorno della settimana – sarà inevitabilmente il marchio del potere opposto. La legge di Dio ordina a tutti di osservare il settimo giorno della settimana, il Sabato, come memoriale della creazione di Dio: le leggi della terra invece imporranno a tutti di riposare la domenica, primo giorno della settimana43.
Quando questa prova giungerà sulla Terra, ognuno dovrà decidere da sé. Molti, come Pietro e Giovanni mentre affrontavano i magistrati e la prigionia, esclameranno: «Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini»44.
Questo conflitto continuerà, ci dice Giovanni, finché il dragone, Satana, si infurierà così tanto con la Chiesa fedele che farà «guerra al resto della progenie di lei, che custodisce i comandamenti di Dio e ha la testimonianza di Gesù Cristo»45.
In questo conflitto saranno raccolti i centoquarantaquattromila. La loro esperienza sarà simile a quella dei figli di Israele all’uscita dall’Egitto. Il faraone non permetteva loro di riposare il Sabato. Chiamò le istruzioni di Mosè e Aaronne «parole d’inganno»46; come afferma il Dr. Adam Clarke, oggi il faraone avrebbe detto: “Lascia stare la religione e preoccupati del tuo lavoro”. In «quello stesso giorno»47 in cui il faraone si lamentava perché Mosè e Aaronne istruivano il popolo a riposare, il re d’Egitto ordinò: «non date più paglia al popolo per fare i mattoni, come prima; vadano essi stessi a raccogliere la paglia! Ma imponete loro la stessa quantità di mattoni che facevano prima, senza diminuzione alcuna…». I pesi dei figli d’Israele furono notevolmente aumentati. Satana era determinato a impedire agli israeliti di rispettare il Sabato del Signore, mantenendoli in schiavitù, ma Dio liberò il Suo popolo e distrusse il potere del faraone e tutto il suo esercito48.
Il segno distintivo dei centoquarantaquattromila in Terra è il sigillo di Dio sulle loro fronti; in Cielo sarà il meraviglioso cantico che intoneranno: «Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono, davanti ai quattro esseri viventi e davanti agli anziani; nessuno poteva imparare il cantico se non i centoquarantaquattromila, i quali sono stati riscattati dalla terra»49. «Cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello»50. È un cantico frutto di un’esperienza meravigliosa! Nemmeno i cori angelici potranno unirsi a quei meravigliosi accordi echeggianti alle porte del Cielo. Anche Abrahamo, l’amico di Dio, con tutta la sua fede, non si unirà a tale inno. Che coro sarà: centoquarantaquattromila voci all’unisono intonanti in perfetto accordo “il cantico dell’Agnello e di Mosè, servo di Dio”!
Come le dodici tribù dell’Israele terreno, dopo aver attraversato il Mar Rosso, si unirono in coro in un cantico di trionfo, così gli ultimi rappresentanti spirituali delle dodici tribù di Israele sulla Terra, stando in piedi sul mare di vetro davanti al Trono di Dio come un potente esercito, canteranno il canto di Mosè e dell’Agnello.
RIEPILOGO
Molto è stato detto e scritto in merito alle tribù perdute d’Israele e molte teorie fantasiose sono state inventate a riguardo. Non seguiremo queste argomentazioni, ma parleremo delle tribù realmente perdute secondo la profezia biblica.
Nei capitoli precedenti abbiamo visto che Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Neftali, Gad, Ascer, Issacar, Zabulon, Giuseppe, Beniamino e Manasse ricevettero ciascuno in eredità una data porzione della Palestina. Ma non solo. I loro nomi saranno immortalati e rappresentati nel Regno di Dio per l’eternità. I nomi mancanti all’appello – Efraim e Dan – sono dunque le vere tribù perdute d’Israele.
Perché l’orgoglioso Efraim, che era la forza del regno d’Israele, e Dan, superato solo da Giuda per numero di guerrieri all’ingresso nella terra promessa, saranno esclusi dal grande raduno degli ultimi giorni dell’Israele spirituale?
Efraim era figlio di una principessa egiziana, figlia di un sacerdote idolatra, per quanto ne sappiamo. È molto probabile che abbia trascorso la maggior parte della propria vita in compagnia degli egiziani, perché difficilmente possiamo supporre che con i suoi nobili e altezzosi legami di sangue egli si associasse con gli ebrei a Goscen, come dimostrato pure dal successivo comportamento del faraone egiziano che non conosceva Giuseppe1. Manasse visse nello stesso ambiente del fratello, ma Efraim, sapendo di aver ricevuto il primo posto nella benedizione di Giacobbe, potrebbe essersi riempito il cuore d’orgoglio, imprimendo un andamento diverso alla sua vita. Efraim aveva circa ventuno anni quando fu benedetto. Ebbe davanti a sé il consacrato e devoto esempio paterno per molti anni: Giuseppe vide infatti i figli di Efraim fino alla terza generazione2.
La Bibbia ci dà solo uno scorcio della vita personale di Efraim: in una razzia i suoi figli rubarono il bestiame appartenente agli uomini di Gath e questi li uccisero. «Il loro padre Efraim li pianse per molto tempo e i suoi fratelli vennero a consolarlo»3. Dopo il lutto per la perdita dei figli, Efraim generò un altro figlio, che chiamò Beriah, “sventura”, «perché sulla sua casa era caduta l’avversità»4. Per quanto strano possa sembrare, da Beriah venne il più illustre di tutti i discendenti di Efraim: Giosuè, il grande condottiero d’Israele5. «Osea, figlio di Nun»6 fu scelto come una delle dieci spie mandate in esplorazione della terra promessa. Dopo aver mostrato fedeltà in quell’occasione di prova, Mosè gli cambiò nome da Osea (“aiuto”) in Giosuè, «l’aiuto dell’Eterno». Il cambio di nome era prassi consueta nei tempi antichi, poiché per quegli uomini il nome indicava il carattere e la vita di colui che lo portava. Abramo divenne Abrahamo al ricevere la promessa; solo dopo una notte di lotta Giacobbe, “il soppiantatore”, divenne Israele, “il principe di Dio”7.
Illustre discendente di Efraim fu anche la figlia di Beriah, Sceerah, che costruì due città8. Samuele, ultimo giudice d’Israele, era un efratita. A Sciloh, in Efraim, Anna consegnò Samuele alla custodia del sacerdote Eli9. Samuele è uno dei personaggi più forti della Bibbia. Pochi uomini hanno adempiuto a un così grande numero di incarichi durante una vita così lunga e fruttuosa come Samuele. Egli officiò come sacerdote, pur non essendo un sacerdote di discendenza levitica10. Giudicò Israele per tutti i giorni della sua vita11. Fu anche un grande educatore e fondò le scuole dei profeti. Quando era solo un bambino, ricevette il dono dello Spirito di profezia12 e generalmente si ritiene che scrisse una parte dei libri storici della Bibbia.
La tribù di Efraim dunque ricevette molti vantaggi, ma non riuscì a trarne vero profitto. Erano invidiosi e gelosi, sempre pronti a offendersi anche per le cose più minime13.
Dopo la morte di Salomone il regno fu diviso: da quel momento in poi la storia di Efraim è principalmente la storia del regno d’Israele. Geroboamo, primo re d’Israele, era proprio un efratita. Fu Dio a togliere il regno dalle mani di Roboamo e a dare dieci tribù a Geroboamo14; se quest’ultimo avesse camminato umilmente con Dio, una storia completamente diversa sarebbe stata scritta per Efraim. Purtroppo, fu lo stesso spirito paranoico di gelosia e sospetto, che macchiò la storia della tribù, a influenzare Geroboamo nella creazione dei due vitelli d’oro stabiliti uno a Bethel e l’altro a Dan, instaurando così un sistema di culto idolatrico15. Il Signore mandò un solenne messaggio di avvertimento e compì persino un miracolo sulla persona del re16, ma «Geroboamo non si tirò indietro dalla sua strada malvagia»17.
Poche cose nella Bibbia sono più tristi della costante discesa della tribù altezzosa e gelosa di Efraim, che dall’apice del suo successo con un proprio re e con il centro del culto a Sciloh, nei suoi confini, finì rapidamente nell’idolatria, nella cattività e nel totale oblio a chiosa della sua storia.
Alcuni dei messaggi di amore divino più intensi e profondi dell’Antico Testamento furono rivolti alla tribù di Efraim18. Quasi l’intero libro di Osea supplica Efraim di pentirsi. «Io stesso insegnai ad Efraim a camminare, sostenendolo per le braccia; ma essi non compresero che ero io che li guarivo. Io li attiravo con corde di umana gentilezza, con legami d’amore; ero per loro come chi solleva il giogo dal loro collo e mi piegavo per dar loro da mangiare … ma l’assiro sarà il suo re, perché hanno rifiutato di convertirsi»19. Osea spiega la ragione della caduta di Efraim: «Efraim si mescola con i popoli, Efraim è una focaccia non rivoltata»20. Il Regno di Dio e i regni del mondo sono completamente diversi. Nessuno può servire Dio e mammona. Efraim era “una focaccia non rivoltata”, ovvero non coltivò un’esperienza profonda delle cose di Dio, non cercava completezza nella conoscenza dell’Altissimo. Non ci si può mescolare con i modi di fare della gente mondana, spendendo le proprie forze nella ricerca delle ricchezze e della fama, e allo stesso tempo essere parte del vero Israele di Dio.
Il Signore implorò Efraim: «Come potrei abbandonarti, Efraim, o lasciarti in balia di altri, Israele? … Il mio cuore si commuove dentro di me, le mie compassioni s’infiammano tutte»21. E ancora: «Ho scritto per lui le grandi cose della mia legge, ma sono state considerate come una cosa strana»22.
Il grande peccato di Efraim fu l’idolatria, che gli impedì di apprezzare le cose sacre di Dio. Infine, respinte per l’ennesima volta le suppliche del Signore, della tribù di Efraim fu detto: «Efraim si è unito agli idoli: lascialo!»23. «Il mio Dio li rigetterà, perché non gli hanno dato ascolto»24: non hanno accettato il Suo amore.
Anche oggi molti sono idolatri e percorrono il medesimo sentiero di Efraim. Magari non tutti adorano idoli fatti di metallo, legno o pietra, poiché gli dèi più popolari al giorno d’oggi non hanno tale forma, ma sono il denaro, la ricchezza, il piacere e gli onori. Dio chiama queste persone, ma essi, al pari di Efraim, si sono unite ai loro idoli. Inizialmente fanno parte della Chiesa di Dio, come Efraim fece parte d’Israele, ma i divertimenti e i piaceri di questo mondo li attraggono molto più della preghiera; la compagnia delle persone mondane è per loro di gran lunga più piacevole della comunione dei santi. Un bel giorno si ritroveranno prigionieri, in una cattività ben peggiore di quella assira o babilonese, quando il gran Re dei re si leverà e scuoterà terribilmente tutta la Terra. «In quel giorno gli uomini getteranno ai topi e ai pipistrelli i loro idoli d’argento e i loro idoli d’oro, che si erano fabbricati per adorarli ed entreranno nelle fenditure delle rocce e nei crepacci delle rupi davanti al terrore dell’Eterno, sì, davanti allo splendore della sua maestà, quando Egli si leverà per far tremare la terra»25.
Dan era il quinto figlio di Giacobbe: i suoi discendenti costituivano la seconda tribù più forte di tutto Israele: 64.400 guerrieri si schierarono sotto lo stendardo di Dan all’ingresso nella terra promessa26. Per qualche motivo, alla grande tribù di Dan fu data una delle porzioni più piccole dell’eredità: allora, col passare del tempo, svariati Daniti migrarono verso Nord e combatterono contro «Lescem; la presero e la passarono a fil di spada; ne presero possesso, vi si stabilirono e a Lescem misero nome Dan, dal nome di Dan loro padre»27. Geroboamo collocò i suoi vitelli d’oro uno a Bethel (Efraim) e l’altro nella città di Dan: così, pure i Daniti furono consegnati all’idolatria. Anche prima dei giorni di Geroboamo troviamo Daniti intenti ad adorare immagini scolpite28.
Quando il tabernacolo fu costruito nel deserto, oltre Betsaleel, Dio dotò principalmente Oholiab, della tribù di Dan, di ogni sapienza per «per ideare disegni artistici, per lavorare l’oro, l’argento e il bronzo»29, fornendogli anche l’abilità di insegnare agli altri le medesime arti30. Questi doni rimasero nella tribù di Dan e furono indubbiamente la ragione per cui molti di essi vennero attratti dai ricchi commerci della città di Tiro, sposandosi con i suoi abitanti. Anni dopo, quando Salomone costruì il tempio, Hiram, re di Tiro, mandò un discendente di Dan, uno che possedeva ancora i doni dati dal Signore ai suoi antenati per lavorare ogni tipo di materiale nella costruzione del tempio di Gerusalemme31. La tribù di Dan era ancora presente tra gli israeliti al tempo di Davide32, ma in seguito il suo nome svanisce: raramente viene menzionato, eccetto in riferimento all’omonima città nel Nord. Sansone è l’unico giudice proveniente dalla tribù di Dan, che giudicò Israele per vent’anni33.
La benedizione pronunciata da Giacobbe su Dan ne ritrae il carattere: «Dan giudicherà il suo popolo come tribù d’Israele. Dan sarà un serpente sulla strada, un aspide sul sentiero, che morde i talloni del cavallo e fa cadere il cavaliere all’indietro»34. Al pari della benedizione pronunciata su Ruben, la prima parte mostra il carattere che la tribù avrebbe potuto possedere se avesse colto le opportunità poste da Dio lungo il cammino. Che contrasto tra un giudice, rispettato e onorato, e un serpente sul ciglio della strada, pronto ad affondare le sue fauci mortifere nella carne dei passanti!
Dan fu il primo figlio delle concubine di Giacobbe, ma l’anziano patriarca gli aveva conferito un posto d’onore tra le tribù d’Israele. Di natura era provvisto di rapido e acuto discernimento, il che lo rendeva un ottimo giudice. Tuttavia, non esercitò questo dono come Dio aveva progettato: lo impiegava per scovare negli altri il male e non il bene.
«Un serpente sulla strada, un aspide sul sentiero, che morde i talloni del cavallo e fa cadere il cavaliere all’indietro»: quali altre parole potrebbero descrivere meglio la lingua malvagia, che «è infiammata dalla Geenna … e piena di veleno mortale»35? Dan rappresenta il calunniatore, che morde alle calcagna il cavallo. Tali personaggi non sono accettati da Dio e dagli uomini; di essi il Signore dice: «sterminerò chi calunnia in segreto il suo prossimo e non sopporterò l’uomo altezzoso di occhi e superbo di cuore»36. Le parole profetiche di Giacobbe rivelano il motivo per il quale la tribù di Dan non avrà parte nell’eredità spirituale. Secoli prima che la tribù sigillasse il proprio corso malvagio, simbolo di chi agirà allo stesso modo nella Chiesa, Dio aveva già decretato che nessun calunniatore potrà mai stare sul monte Sion. Il salmista domanda: «O Eterno, chi dimorerà nella tua tenda? Chi abiterà sul tuo santo monte?». In altre parole: “chi ti servirà giorno e notte nel Tuo Tempio e starà con Te sul monte Sion?”. «Colui che cammina in modo irreprensibile, fa ciò che è giusto e dice la verità come l’ha nel cuore, che non calunnia con la sua lingua, non fa alcun male al suo compagno e non lancia alcun insulto contro il suo prossimo»37 è la risposta dell’Eterno Dio.
Mediante un profondo esame del cuore, affidandosi al Signore, Ruben superò il proprio carattere naturale, “impetuoso come l’acqua”, finché di lui fu detto: “viva Ruben e non muoia!”. Per grazia di Dio, Levi mutò la maledizione paterna in benedizione. Giuda, appoggiandosi al Signore nella sua vita quotidiana, ebbe “la preminenza tra i suoi fratelli”, al punto che Giacobbe in punto di morte disse di lui: “lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Sciloh; e a lui ubbidiranno i popoli”. Gad, dapprima vinto da numerose tentazioni, ottenne infine la vittoria ritornando al Signore. Beniamino, da lupo qual era, imparò a confidare in Dio, che gli mutò il cuore e di lui disse: “il Signore lo proteggerà del continuo e abiterà tra le sue spalle”. Ascer “intinse il piede nell’olio” e apprese a superare agevolmente prove che, senza lo Spirito Santo, non avrebbe mai potuto padroneggiare.
Efraim e Dan, invece, pur avendo ricevuto le medesime opportunità dei loro fratelli per superare i tratti caratteriali malevoli, non vollero ottenere vittoria; non sono perciò contati nei centoquarantaquattromila che staranno sul monte santo di Dio e dimoreranno nel Suo tabernacolo.
Oggi la stessa storia si ripete nelle famiglie di tutta la terra. Fratelli e sorelle, cresciuti dagli stessi genitori nello stesso ambiente, attraversano le stesse esperienze dei figli di Giacobbe. Come del grano e della zizzania, di loro è detto: “crescano insieme fino al raccolto”. Lo stesso sole e le stesse tempeste che maturano il grano per il raccolto fanno crescere la zizzania e la pula per la distruzione finale. Le stesse benedizioni quotidiane del Padre degli astri luminosi preparano un individuo per il Regno di Dio e l’altro per la distruzione finale: ognuno è il fabbro del proprio carattere. A tutti viene detto: “volgete a Me il vostro sguardo e sarete salvati”. Chi concentrerà la propria mente su Dio, contemplando Cristo e nutrendosi di Lui, sarà mutato a Sua immagine. Giorno dopo giorno una misteriosa trasformazione avrà luogo nella sua anima, una trasformazione tale da lasciare gli angeli sbalorditi per la portata dell’Opera compiuta sull’umanità.
Lo stesso Cristo che un tempo camminò sulla Terra assumendo la natura umana dimorerà con il Suo Spirito di natura divina in ogni essere umano che Gli aprirà la porta del suo cuore e che Lo farà entrare. Chi medita su Cristo e studia la Sua vita immacolata, contemplando la gloria del Signore, sarà “mutato nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore”.
“Cristo posa per essere ritratto in ogni Suo discepolo”. La povera umanità decaduta può riflettere il carattere divino grazie alla Potenza di Dio. Cristo ricopre la vita macchiata e rovinata dell’uomo con la veste immacolata della Sua giustizia e la trasforma. Dio e gli angeli, contemplando l’individuo rivestito di un tale manto, vedono solo il perfetto carattere del divino Figlio di Dio e, per tutti i secoli dell’eternità, i redenti saranno una testimonianza vivente del potere del preziosissimo sangue di Gesù Cristo di sanare e di trasformare ciò che un tempo sembrava perduto.
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UNO STUDIO APPROFONDITO
SUL TEMPIO EBRAICO E SUL SANTUARIO CELESTE
«La centrale importanza della morte di Cristo verrà contemplata dai santi e dagli angeli per tutta l’eternità. Gli esseri umani decaduti non avrebbero mai potuto ottenere una dimora nel Paradiso di Dio senza l’Agnello immacolato e preconosciuto prima della fondazione del mondo. Non esalteremo dunque la Croce gloriosa di Cristo? … La perfezione angelica fallì in Cielo. La perfezione umana fallì nell’Eden, nel giardino della felicità. Allora, tutti coloro che desiderano stare salvi e al sicuro, in Cielo e in Terra, devono guardare all’Agnello di Dio.»
Stephen Nelson Haskell (1833-1922) fu evangelista, missionario e scrittore profondamente coinvolto nello sviluppo del movimento cristiano Avventista del 7° giorno. Dotato di grandi capacità di amministratore, autore e predicatore, Haskell contribuì all’inaugurazione del primo piano americano di distribuzione di opuscoli e libri spirituali nel 1869, opera che ottenne importanti risultati nel lungo termine e che lo rese noto in ambiente cristiano. Partecipò alla fondazione e allo sviluppo di varie università e collegi educativi: Battle Creek, Healdsburg, South Lancaster, Avondale e la Scuola Madison.
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