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Progresso di Lettura:
LA RISPOSTA DELLA STORIA ALLA PROFEZIA DI DANIELE
Uriah Smith
tradotto da: Carlo Fanni
TUTTI I DIRITTI DELLA TRADUZIONE ITALIANA
SONO RISERVATI IN TUTTO IL MONDO DA CARLO FANNI © 2017
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ogni dichiarazione deve essere presa nel suo senso più ovvio e letterale, tranne i casi in cui il contesto e le importanti leggi del linguaggio mostrano che le parole sono simboliche, non letterali; e qualunque cosa sia simbolica deve essere spiegata da altre parti letterali della Bibbia.
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che arrivano sino alla fine. In nessun altro libro si trova questa grande successione di eventi che ci portano sino alla fine del tempo di prova, introducendoci nelle realtà dello stato eterno, in modo così completo e preciso. Nessun altro libro considera così completamente tutte le verità che riguardano l’ultima generazione degli abitanti della terra, ed espone in modo così ampio tutti gli aspetti temporali, concreti, morali e politici in cui i trionfi dei nemici terreni e della malvagità finiranno, dando inizio all’eterno regno di giustizia. Siamo lieti di richiamare la vostra attenzione in modo speciale verso queste caratteristiche dei libri di Daniele e dell’Apocalisse che finora sembrano essere stati generalmente trascurati o male interpretati.
Con una preghiera che lo stesso Spirito con cui erano state inizialmente ispirate quelle parti della Scrittura che formano la base di questo libro, il cui aiuto è stato ricercato dallo scrittore nel suo sforzo espositivo, possa posarsi abbondantemente sul lettore nelle sue investigazioni, secondo la promessa del Salvatore in Giovanni 16:7,13,15, questa opera è raccomandata alla sincera e scrupolosa attenzione di tutti coloro che sono interessati ai temi profetici.
Battle Creek, Michigan, U.S.A.
Gennaio 1897
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INTRODUZIONE
Non c’è ragione di dubitare che il libro di Daniele sia stato scritto dalla persona che porta questo nome. Ezechiele, che era contemporaneo con Daniele, testimonia, attraverso lo spirito profetico, della sua pietà e rettitudine, paragonandolo a Noè e Giobbe: “Oppure se mandassi contro quel paese la peste e riversassi su di esso il mio furore fino al sangue, sterminando uomini e bestie, anche se nel suo mezzo ci fossero Noè, Daniele e Giobbe, com’è vero che io vivo«, dice il Signore, l’Eterno »essi non salverebbero né figli né figlie; per la loro giustizia essi salverebbero soltanto la loro vita«.” (Ezechiele 14:19,20) Dallo stesso scrittore si capisce che, già in quei primi giorni, la saggezza di Daniele era diventata proverbiale. Il Signore aveva inviato Ezechiele dal principe di Tiro per dire: “Ecco, tu sei più savio di Daniele, nessun segreto rimane nascosto a te.” (Ezechiele 28:3) Ma soprattutto, il nostro Signore lo riconosceva come un profeta di Dio, e ordinava ai Suoi discepoli di comprendere le predizioni date attraverso di lui per il beneficio della Sua chiesa: “»Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge intenda), allora coloro che sono nella Giudea fuggano ai monti” (Matteo 24:15,16).
Anche se abbiamo un più particolare resoconto della sua gioventù rispetto a ciò che è documentato su qualsiasi altro profeta, tuttavia, la nascita e la famiglia di Daniele sono completamente sconosciute, tranne il fatto che fosse di discendenza reale, probabilmente della casa di Davide che, a quei tempi, era diventata molto numerosa. Innanzi tutto, lui è presentato come uno dei nobili di Giuda prigionieri, all’inizio del primo anno di Nabucodonosor, re di Babilonia, all’inizio dei settanta anni di prigionia, nell’a.C. 606. Geremia e Abacuc stavano ancora pronunciando [20] le loro profezie. Ezechiele iniziò subito dopo, e Abdia un po più tardi; ma entrambi terminarono la loro opera anni prima della conclusione della lunga e brillante carriera di Daniele. Solo tre profeti gli succedettero: Aggeo e Zaccaria, che contemporaneamente esercitarono la funzione profetica per un breve periodo, 520 – 518 a.C., e Malachia, l’ultimo profeta dell’Antico Testamento, che operò per poco tempo, verso il 397 a.C.
Durante i settanta anni di prigionia degli Ebrei, dal 606 al 536 a.C., predetti da Geremia (Geremia 25:11), Daniele risiedeva alla corte di Babilonia, passando la maggior parte del tempo come primo ministro di quella brillante monarchia. La sua vita ci da una più impressionante lezione sull’importanza e il vantaggio di mantenere una rigorosa integrità verso Dio già dalla prima giovinezza, e da anche un notevole esempio di un uomo con una grande pietà che esegue fedelmente tutti i doveri che riguardano il servizio di Dio, mentre allo stesso tempo si impegna nelle attività più stimolanti, portando le preoccupazioni e le responsabilità più pesanti che possano ricadere su di un uomo in questa vita terrena.
L’esempio di Daniele è un rimprovero per le molte persone che oggi non hanno neppure la centesima parte dei problemi che assorbono il loro tempo e la loro attenzione, ma ciononostante scusano il loro quasi totale abbandono dei doveri cristiani per mancanza di tempo. Cosa direbbe il Dio di Daniele a costoro, quando verrà a premiare senza parzialità i Suoi servi, in base al miglioramento o alla trascuratezza delle opportunità loro offerte?
La memoria di Daniele e l’onorevole ricordo del suo nome, non si devono soltanto, o principalmente, al suo legame con la monarchia caldea, la gloria dei regni.
Dall’altezza della sua gloria, egli vide il declino di quel regno e il passaggio ad un altro potere. Il loro periodo di maggior prosperità durò il tempo della vita di un uomo. La loro supremazia fu molto breve, la loro gloria era transitoria, ma Daniele ricevette onori ancora più durevoli. Nel mentre che era amato e onorato dai principi e dai sovrani di Babilonia, egli godette di una esaltazione infinitamente più alta nell’essere amato e onorato da Dio e dai Suoi santi angeli per essere ammesso ad una conoscenza dei consigli dell’Altissimo.
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Per molti aspetti, la sua profezia è la cosa più eccezionale di qualsiasi altro documento biblico. È la cosa più completa. Era la prima profezia che diede una storia consecutiva del mondo da quel momento sino alla fine; che localizzava la maggior parte delle sue previsioni all’interno di tempi profetici ben definiti, anche se raggiungevano molti secoli nel futuro; che dava la prima profezia cronologicamente precisa sulla venuta del Messia; che segnava il tempo di questo evento in maniera così definita che gli Ebrei proibiscono ogni tentativo di interpretare i suoi numeri, dato che la profezia dimostra loro di essere senza scuse nel rifiutare Cristo; e le sue accurate e dettagliate predizioni letterali sono state adempiute al tempo di Porfirio, nel 250 d.C. , che dichiarò (l’unica scappatoia che poteva escogitare per il suo grande scetticismo) che le predizioni non erano state scritte al tempo di Babilonia, ma solamente dopo che gli eventi erano accaduti. Tuttavia, questo espediente ora non è più disponibile, dato che ogni secolo successivo ha portato ulteriori evidenze a favore dell’autenticità della profezia, e proprio ora, ai giorni nostri, noi ci stiamo avvicinando al culmine del suo adempimento.
La storia personale di Daniele raggiunge e supera di qualche anno lo stravolgimento del regno babilonese da parte dei Medi e dei Persiani. Si suppone che egli sia morto a Shushan, o Susa, in Persia, verso il 530 a.C. , all’età di quasi novantaquattro anni; probabilmente, era l’età il motivo principale che gli impedì di tornare in Giudea con gli altri prigionieri Ebrei, sotto la proclamazione di Ciro (Esdra 1:1), nel 536 a.C. , che segnò la fine dei settanta anni di prigionia.
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Caratteristiche delle Sacre Scritture – Cinque fatti storici – Profezia della cattività di Gerusalemme – La santa città sconfitta tre volte – La testimonianza di Dio contro il peccato – Condizione e trattamento di Daniele e dei suoi compagni – Carattere del re Nabucodonosor – Significato dei nomi pagani – L’integrità di Daniele – Il risultato del suo esperimento – Daniele vive fino al tempo di Ciro
“Verso 1 Nel terzo anno del regno di Jehoiakim, re di Giuda, Nebukadnetsar, re di Babilonia, venne contro Gerusalemme e la cinse d’assedio. 2 Il Signore diede nelle sue mani Jehoiakim, re di Giuda, assieme a una parte degli utensili della casa di DIO, che egli fece trasportare nel paese di Scinar, nella casa del suo dio, e depose gli arredi nella casa del tesoro del suo dio.”
Con una immediatezza tipica degli scrittori sacri, Daniele inizia subito il suo libro con un semplice stile storico che, tranne una parte del secondo capitolo, resta tale sino al settimo capitolo, in cui inizia la parte profetica. Sapendo di pronunciare solo verità ben conosciute, egli subito afferma una serie di particolari la cui accuratezza può [24] essere provata velocemente. Così, nei due versi citati, Daniele dichiara cinque particolari che pretendono di essere dei fatti storici, cosa che nessuno scrittore vorrebbe introdurre in una narrazione falsificata: #1 che Jehoiakim era il re di Giuda; #2 che Nabucodonosor era il re di Babilonia; #3 che quest’ultimo attaccò il primo; #4 che questo avvenimento accadeva nel terzo anno del regno di Jehoiakim; e #5 che Jehoiakim venne dato nelle mani di Nabucodonosor, il quale prese una parte degli utensili sacri della casa di Dio e li portò nel paese di Scinar, la nazione babilonese (Genesi 10:10) ponendoli nella casa del tesoro della sua divinità pagana. Le parti successive del racconto abbondano di fatti storici della stessa natura.
Questa sconfitta di Gerusalemme era stata predetta da Geremia, e si adempì immediatamente nel 606 a.C. (Geremia 25:8-11) Geremia colloca questa prigionia nel quarto anno di Jehoiakim, mentre Daniele la colloca nel terzo. Questa apparente discrepanza si spiega con il fatto che Nabucodonosor partì per la sua spedizione verso la fine del terzo anno di Jehoiakim, a cui Daniele fa riferimento. Nabucodonosor, però, sottomise Gerusalemme non prima del nono mese dell’anno successivo; proprio il quarto anno a cui si riferisce Geremia. (The old and new testament connected in the history of the Jews… vol. 1, pag. 99,100 di Humphrey Prideaux) Anche se Jehoiakim venne obbligato ad andare a Babilonia, dopo essersi umiliato, gli fu concesso di governare Gerusalemme, dando sempre i tributi al re di Babilonia.
Questa era la prima volta in cui Gerusalemme venne presa da Nabucodonosor. Essendosi ribellata due volte, in seguito la città venne conquistata dallo stesso re, che la trattò con maggiore severità ogni volta successiva. Di queste successive sconfitte, la prima avvenne nel 599 a.C. , durante il regno di Jehoiakin, figlio di Jehoiakim, quando tutti gli utensili sacri furono presi o distrutti e gli abitanti migliori, assieme al re, furono condotti in cattività. La seconda avvenne sotto Sedekia, quando la città subì il più formidabile assedio mai sostenuto prima, escludendo quello di Tito, nel d.C. 70. Durante i due anni continui di questo assedio, gli abitanti della città subirono tutti gli orrori della carestia più estrema. Alla fine, il re con le sue truppe furono catturati dai Caldei mentre tentavano di fuggire dalla città. I figli del re furono uccisi di fronte a lui,
poi il re venne accecato [25] [26] e portato a Babilonia; così si adempì la previsione di Ezechiele, che dichiarò che lui doveva essere portato a Babilonia, e lì doveva morire senza vedere il posto. (Ezechiele 12:13) In questi anni, sia la città che il tempio furono interamente distrutti, e tutta la popolazione della città e della campagna, eccetto alcuni agricoltori, furono condotti in cattività a Babilonia nel 588 a.C.
Questa era la testimonianza di Dio contro il peccato. I Caldei non erano i favoriti del cielo, ma Dio li usò per punire i peccati del Suo popolo. Se gli israeliti fossero stati fedeli a Dio, seguendo il Suo sabato di riposo, Gerusalemme sarebbe rimasta per sempre. (Geremia 17:24-27) Loro, però, si allontanarono da Lui, ed Egli li abbandonò. Innanzi tutto, gli israeliti profanarono gli utensili sacri con il peccato, introducendo idoli pagani tra di loro; quindi Dio li profanò con il Suo giudizio, facendoli andare come dei trofei nei templi pagani, all’estero.
Durante questi giorni difficili e angosciosi per Gerusalemme, Daniele e i suoi compagni furono nutriti e istruiti nel palazzo del re di Babilonia; e sebbene fossero prigionieri in una terra straniera, senza dubbio, si trovavano in una posizione molto più favorevole lì che nel loro paese nativo.
“Verso 3 Il re disse quindi ad Ashpenaz, capo dei suoi eunuchi, di condurgli dei figli d’Israele: di stirpe reale e di famiglie nobili, 4 giovani in cui non ci fosse alcun difetto, ma di bell’aspetto, dotati di ogni sapienza, che avessero conoscenza e buon intendimento, adatti a stare nel palazzo del re e ai quali si potesse insegnare la letteratura e la lingua dei Caldei. 5 Il re assegnò loro una razione giornaliera dei cibi squisiti del re e del vino che beveva egli stesso; dovevano essere educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero passati al servizio del re.”
In questi versi abbiamo la documentazione del probabile adempimento dell’annuncio dei giudizi imminenti che il profeta Isaia diede al re Ezechia, più di un centinaio di anni prima. Quando questo re aveva mostrato con vanto tutti i tesori e le cose sante del suo palazzo e del suo regno ai messaggeri del re babilonese, gli venne detto che tutte queste cose sarebbero state portate come trofei nella città di Babilonia; [27] che non sarebbe rimasto nulla; e che anche i suoi figli e i suoi discendenti sarebbero stati portati via e sarebbero stati eunuchi nel palazzo del re babilonese. (2Re 20:14-18) È probabile che Daniele e i suoi compagni furono trattati come indica la profezia; non sappiamo nulla della loro discendenza, che può essere facilmente a favore di questa ipotesi più che di qualsiasi altra, sebbene alcuni pensano che il termine “eunuco” possa aver significato una carica di responsabilità, piuttosto che una condizione.
La parola “figli”, applicata a questi prigionieri, non deve essere limitata al senso che oggi gli attribuiamo, ma include anche la “giovinezza”. E dai documenti apprendiamo che questi “figli” fossero già dotati di ogni sapienza, capivano la scienza, avevano buon intendimento, ed erano capaci di servire nel palazzo del re. In altre parole, loro avevano già acquisito un buon grado di istruzione, e le loro forze fisiche e mentali erano così sviluppate che un bravo lettore della natura umana avrebbe potuto fare una stima accurata delle loro capacità. Si suppone che loro avessero avuto un età di circa diciotto o venti anni.
Nel modo in cui furono trattati questi prigionieri ebrei, noi vediamo un esempio della saggia politica e della liberalità del crescente re Nabucodonosor.
#1 Anziché scegliere, come molti altri re in tempi successivi, la gratificazione dei desideri più volgari e meschini, lui scelse giovani che sarebbero stati educati in tutte le questioni riguardanti il regno, affinché potesse avere un aiuto efficace nell’amministrazione dei suoi affari.
#2 Il re diede loro una provvigione giornaliera dei suoi cibi e del suo vino. Invece del pasto grossolano che qualcuno avrebbe ritenuto essere sufficiente per dei prigionieri, lui offrì loro il suo cibo reale.
Per tre anni, essi ebbero tutti i vantaggi che il regno si poteva permettere. Anche se prigionieri, essi erano figli reali, e il benevolo re dei Caldei li trattò proprio in questo modo.
Ci si può chiedere come mai queste persone furono scelte per partecipare, dopo un’adeguata preparazione, agli affari del regno. Non c’erano abbastanza nativi babilonesi che potessero svolgere [28] queste posizioni di fiducia e di onore? L’unica ragione è che i giovani Caldei non potevano competere con le capacità mentali e fisiche che una tale posizione richiedeva, e che gli israeliti possedevano.
“Verso 6 Tra costoro c’erano dei figli di Giuda: Daniele, Hananiah, Mishael, e Azaria. 7 Il capo degli eunuchi mise loro altri nomi: a Daniele pose nome Beltshatsar, ad Hananiah Shadrak, a Mishael Meshak e ad Azaria Abed-nego.”
Probabilmente, questo cambiamento di nomi venne fatto a causa del significato delle parole. In ebraico, Daniele significa “Dio è il mio giudice”; Hananiah, “dono del Signore”; Mishael, “colui che è un forte Dio”; e Azaria, “aiuto del Signore”. Ciascuno di questi nomi, che si riferivano al vero Dio e che, quindi, significavano un collegamento con la Sua adorazione, furono cambiati con nomi corrispondenti all’adorazione delle divinità pagane del culto dei Caldei. Così, Beltshatsar, il nome dato a Daniele, significava “custode dei tesori nascosti di Bel”; Shadrak, “l’ispirazione del sole” (che i Caldei adoravano); Meshak, “della dea di Shaca” (adorata anche sotto il nome di Venere); e Abed-nego, “servo del fuoco brillante” (anche questo veniva adorato).
“Verso 8 Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con i cibi squisiti del re e con il vino che egli stesso beveva; e chiese al capo degli eunuchi di concedergli di non contaminarsi. 9 DIO fece trovare a Daniele grazia e misericordia presso il capo degli eunuchi. 10 Il capo degli eunuchi disse quindi a Daniele: »Io temo il re mio signore, che ha stabilito il vostro cibo e la vostra bevanda. Perché dovrebbe egli vedere le vostre facce più tristi di quelle dei giovani della vostra stessa età? Così mettereste in pericolo la mia testa presso il re«. 11 Allora Daniele disse a Meltsar, che il capo degli eunuchi aveva preposto a Daniele, Hananiah, Mishael e Azaria: 12 »Ti prego, metti alla prova i tuoi servi per dieci giorni, e ci siano dati legumi da mangiare e acqua da bere. 13 Poi siano esaminati alla tua presenza il nostro aspetto e l’aspetto dei giovani che mangiano i cibi squisiti del re; farai quindi con i tuoi servi in base a ciò che vedrai«. 14 Egli acconsentì a questa loro proposta e li mise alla prova per dieci giorni. 15 Or, al termine dei dieci giorni il loro aspetto appariva più bello e avevano una carnagione più piena di tutti i giovani che avevano mangiato i cibi squisiti del re. 16 Così Meltsar tolse via i loro cibi squisiti e il vino che dovevano bere e diede loro legumi.”
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In questo documento, Nabucodonosor appare meravigliosamente privo di bigottismo. Sembra che non costrinse i suoi prigionieri reali a cambiare la loro religione.
Egli sembrava soddisfatto a patto che mantenessero una qualche religione, sia che fosse quella che egli professava o meno. E sebbene i loro nomi vennero cambiati per intendere una connessione con il culto pagano, questo venne fatto più per evitare che i Caldei utilizzassero nomi ebraici, piuttosto che indicare un cambiamento di sentimenti o di pratiche da parte di coloro a cui questi nomi venivano dati.
Daniele era deciso a non contaminarsi con il cibo e con il vino del re. La decisione di Daniele andava oltre il semplice effetto di questa alimentazione sul suo corpo, anche se la dieta che aveva deciso di adottare gli avrebbe recato molti vantaggi. Infatti, accadeva frequentemente che il cibo destinato ai re e ai principi delle nazioni pagane, che spesso erano i sommi sacerdoti della loro religione, veniva prima offerto in sacrificio agli idoli, e il vino che bevevano veniva sparso come libazione davanti ad essi; inoltre, alcuni dei cibi che loro consumavano erano considerati impuri per la legge ebraica; in entrambi i casi, e coerentemente con la sua religione, Daniele non poteva partecipare a queste pratiche; quindi, non in modo malinconico e scontroso ma a causa degli scrupoli della sua coscienza, Daniele chiese di non essere obbligato a contaminarsi; lui fece conoscere rispettosamente la sua richiesta all’ufficiale opportuno. Il capo degli eunuchi temeva di accogliere la richiesta di Daniele perché era stato il re stesso a decidere per il cibo. Questo dimostra il grande interesse del re verso queste persone. Il re non li lasciò ai suoi servi dicendogli di prendersi cura di loro nel modo migliore senza occuparsene personalmente, ma era lui stesso che decideva per il loro cibo e la loro bevanda. Il re pensava onestamente che sarebbe stata la cosa migliore per loro, e anche il capo degli eunuchi era convinto che, abbandonando questa dieta, sarebbero stati più deboli e tristi degli altri, ed essendo ritenuto il responsabile del loro abbandono o del loro maltrattamento, gli sarebbe costata la testa. Era anche chiaro che se loro avessero mantenuto buone condizioni fisiche, il [30] re non si sarebbe opposto alle misure adottate, anche se questo fosse stato contrario al suo preciso ordine. Sembra che il sincero obbiettivo del re fosse quello di garantire loro, attraverso qualsiasi mezzo a sua disposizione, il miglior sviluppo fisico e mentale possibile. Quanto diverso è il comportamento di Nabucodonosor rispetto all’intolleranza e alla tirannia che di solito detengono il controllo supremo dei cuori di coloro che possiedono il potere assoluto. Nel carattere di Nabucodonosor troviamo molte cose degne della nostra più alta ammirazione.
Daniele chiese legumi e acqua per sé e per i suoi tre compagni. I legumi sono un alimento vegetale come i piselli, i fagioli, eccetera. Bagster dice: “ZeroimH2235 indica tutte le piante leguminose che non si falciano ma che si estraggono o si svellano e che per quanto genuine, non si pensava potessero dare una carnagione più piena rispetto agli altri alimenti”. [H2235 zeroa’ = “vegetali”]
Se i dieci giorni di questa alimentazione fossero risultati favorevoli, a loro sarebbe stato permesso di continuare anche durante tutto il corso della loro formazione per i doveri del palazzo. Questa loro carnagione più piena ed il loro migliore aspetto esteriore avvenuti durante questi dieci giorni non possono essere attribuiti al risultato naturale dell’alimentazione, perché sarebbe difficile produrre un tale risultato in così poco tempo. Non è più naturale concludere che questo risultato era stato prodotto da un intervento speciale del Signore, come segno della Sua approvazione riguardo la loro scelta che, se mantenuta nel tempo, avrebbe portato allo stesso risultato?
“Verso 17 A tutti questi quattro giovani DIO diede conoscenza e intendimento in tutta la letteratura e sapienza; e Daniele ricevette intendimento di ogni genere di visioni e di sogni. 18 Alla fine del tempo stabilito dal re perché quei giovani gli fossero condotti, il capo degli eunuchi li condusse davanti a Nebukadnetsar. 19 Il re parlò con loro ma fra tutti loro non si trovò nessuno come Daniele, Hananiah, Mishael e Azaria; perciò essi furono ammessi al servizio del re. 20 E su ogni argomento che richiedeva sapienza e intendimento e intorno ai quali il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che erano in tutto il suo regno. 21 Daniele continuò così fino al primo anno del re Ciro.”
Sembra che la comprensione delle visioni e dei sogni era stata data soltanto a Daniele. Ma questi rapporti del Signore [31] con Daniele non provano che gli altri fossero meno accetti. La sopravvivenza dentro la fornace ardente era una buona prova del favore divino che loro avrebbero potuto avere. Probabilmente, Daniele era favorito a causa di alcune qualifiche naturali che lo rendevano idoneo per questa opera speciale.
Fino ad ora, il re continuò a manifestare lo stesso interesse personale per questi individui. Al termine dei tre anni, il re li chiamò per un colloquio personale. Lui doveva sapere come si sarebbero comportati e quali abilità avevano. Questa intervista mostra anche come il re fosse un uomo esperto in tutte le arti e le scienze dei Caldei, altrimenti non avrebbe avuto la competenza per esaminarli. Come risultato, riconoscendo il merito ovunque lo vedeva e senza considerare la religione o la nazionalità, Nebukadnetsar riconobbe che i tre giudei erano dieci volte superiori a chiunque altro nel suo regno.
Si deve aggiungere che Daniele continuò a servire sino al primo anno del re Ciro. Questo è un esempio dell’uso particolare della parola “fino”, o “finché”, che occasionalmente si trova nelle sacre scritture. Ciò non significa che Daniele non continuò a servire dopo il primo anno di Ciro, infatti, Daniele visse alcuni anni dopo l’inizio del suo regno; ma questo è il tempo in cui lo scrittore desiderava indirizzare una particolare attenzione, dato che ha portato la liberazione per i prigionieri Ebrei. Un uso simile della parola si trova nei Salmi 112:8 ed in Matteo 5:18.
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“Verso 1 Nel secondo anno del regno di Nebukadnetsar, Nebukadnetsar ebbe dei sogni; il suo spirito rimase turbato e il sonno lo lasciò.”
Daniele fu condotto in schiavitù nel primo anno di Nabucodonosor. Per tre anni gli furono affidati degli istruttori, e ovviamente, durante questo tempo Daniele non sarebbe stato annoverato fra i saggi del regno, e non avrebbe nemmeno partecipato agli affari pubblici. Eppure, i fatti documentati in questo capitolo accaddero nel secondo anno di Nabucodonosor. In che modo, allora, Daniele potrebbe essere stato chiamato ad interpretare il sogno del re nel suo secondo anno? La spiegazione sta nel fatto che Nabucodonosor regnò per i primi due anni congiuntamente con il padre, Nabopolassar. I giudei conteggiavano a partire da questa fase, mentre i Caldei conteggiavano dal momento in cui Nabucodonosor iniziò [33] a regnare da solo, dopo la morte del padre. Quindi, secondo il calcolo dei Caldei, l’anno di cui si sta parlando era il secondo anno del suo regno, ma secondo i giudei era il quarto anno. In questo modo risulta che proprio l’anno seguente dopo che Daniele ebbe completato la sua preparazione per partecipare agli affari dell’impero Caldeo, la provvidenza di Dio lo portò ad essere conosciuto improvvisamente e meravigliosamente attraverso tutto il regno.
“Verso 2 Il re allora diede ordini di chiamare i maghi, gli astrologi, gli stregoni e i Caldei, perché raccontassero al re i suoi sogni. Questi vennero e si presentarono al re.”
I maghi erano molto esperti nella magia, usando il termine nel suo senso peggiore, ovvero, praticavano tutti i riti superstiziosi e le cerimonie degli indovini, calcolavano le date, eccetera. Gli astrologi erano uomini che pretendevano di predire gli eventi futuri attraverso lo studio delle stelle. La scienza, o la superstizione dell’astrologia venne coltivata estensivamente dalle nazioni orientali dell’antichità. Gli stregoni pretendevano di comunicare con i morti; e noi crediamo che sia sempre questo il senso usato nelle Scritture. Lo spiritismo moderno è semplicemente una rinascita dell’antica magia pagana. I Caldei di cui ora parliamo, erano una setta di filosofi simili ai maghi e agli astrologi che studiavano il paranormale, le divinazioni, eccetera. Tutte queste sette o mestieri abbondavano in Babilonia. Il loro scopo finale era lo stesso, ovvero, la spiegazione dei misteri e la predizione degli eventi futuri, e la principale differenza tra di essi erano i mezzi attraverso cui cercavano di raggiungere il loro obiettivo. Ognuno di essi aveva la responsabilità di spiegare il sogno del re, di conseguenza, il re li convocò tutti. Per il re, la questione era importante. Lui era molto turbato, e pertanto concentrò tutta la saggezza del suo regno nella ricerca della soluzione ai suoi dubbi.
“Verso 3 Il re disse loro: »Ho fatto un sogno e il mio spirito è turbato, finché riuscirò a conoscere il sogno«. 4 Allora i Caldei risposero al re in aramaico: »O re possa tu vivere per sempre. Racconta il sogno ai tuoi servi e noi ne daremo l’interpretazione«.”
Qualunque fosse stata la bravura di questi antichi maghi e astrologi, sembra che fossero stati accuratamente istruiti [34] nell’arte di ricavare abbastanza informazioni per formare la base per qualche astuto calcolo, o formulare le loro risposte in un modo così ambiguo da poter essere applicate anche se l’evento fosse mutato. In questo caso, fedeli al loro istinto astuto, essi invitarono il re a raccontare il suo sogno. Se avessero potuto conoscere tutto il sogno, si sarebbero potuti facilmente accordare su qualche interpretazione che non avrebbe messo in pericolo la loro reputazione. Essi si rivolsero al re in Siriaco, un dialetto della lingua Caldea utilizzato dalle classi istruite e colte. Da questo punto sino alla fine del capitolo 7, il documento continua in lingua Caldea.
“Verso 5 Il re rispose e disse ai Caldei: »La mia decisione è presa: se non mi fate conoscere il sogno e la sua interpretazione, sarete tagliati a pezzi e le vostre case saranno ridotte in letamai. 6 Se invece mi indicherete il sogno e la sua interpretazione, riceverete da me doni, ricompense e grandi onori; indicatemi dunque il sogno e la sua interpretazione«. 7 Essi risposero una seconda volta e dissero: »Racconti il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo l’interpretazione«. 8 Il re allora rispose e disse: »Mi rendo chiaramente conto che voi intendete guadagnare tempo, perché vedete che la mia decisione è presa; 9 se non mi fate conoscere il sogno, c’è un’unica sentenza per voi; infatti, vi siete messi d’accordo per dire davanti a me parole bugiarde e perverse, nella speranza che i tempi mutino. Perciò raccontatemi il sogno e io saprò che siete in grado di darmene anche l’interpretazione«. 10 I Caldei risposero davanti al re e dissero: »Non c’è alcun uomo sulla terra che possa far sapere ciò che il re domanda. Infatti nessun re, signore o sovrano ha mai chiesto una cosa simile ad alcun mago, astrologo o Caldeo. 11 La cosa che il re domanda è troppo difficile e non c’è nessuno che la possa far sapere al re, se non gli dei, la cui dimora non è fra i mortali«. 12 A questo il re si adirò,
montò in collera e ordinò di sterminare tutti i savi di Babilonia. 13 Cosi fu promulgato il decreto in base al quale i savi dovevano essere uccisi, e cercavano Daniele e i suoi compagni per uccidere anche loro.”
Questi versi documentano la lotta disperata tra i cosiddetti uomini saggi e il re: vedendosi intrappolati sul loro stesso terreno, i saggi cercavano una via di fuga, mentre il re era determinato a conoscere il suo sogno tramite i saggi, la cui professione serviva proprio a questo. Riguardo a questo episodio, alcuni hanno disapprovato severamente Nabucodonosor, come se agisse [35] come un tiranno brutale e senza misericordia. Ma cosa pretendevano di essere in grado di fare questi maghi? Dicevano di poter rivelare le cose occulte, di predire gli eventi futuri, di far conoscere i misteri interamente al di là della previsione e intuizione umana; e dicevano di farlo con l’aiuto di forze soprannaturali. Se, dunque, la loro affermazione avesse avuto un qualche valore, non avrebbero potuto far conoscere al re quello che aveva sognato? L’avrebbero potuto fare di sicuro. E se, conoscendo il sogno, erano in grado di darne un interpretazione affidabile, non sarebbero stati in grado anche di far conoscere proprio quel sogno che era sfuggito al re? Certamente, se vi era una qualche virtù nella loro pretesa di essere in contatto con l’altro mondo. Dunque non c’era nulla di ingiusto nella richiesta di Nabucodonosor in cui i saggi avrebbero dovuto far conoscere il suo sogno. E quando essi dichiararono (verso 11) che “nessuno tranne gli dei, la cui dimora non è tra i mortali avrebbe potuto far conoscere la cosa al re”, fecero una tacita ammissione di non avere alcuna comunicazione con questi dei, e di non conoscere nulla oltre a quello che la saggezza e il discernimento umano potevano rivelare. Questo era il motivo che fece indignare ed infuriare il re. Il re vide che lui e tutto il suo popolo erano stati ingannati. Il re li accusò (verso 9) di voler ritardare nell’attesa “che i tempi fossero mutati”, o nell’attesa che la questione gli fosse passata via di mente, in modo da far affievolire la sua rabbia per la loro falsità, e si fosse ricordato del sogno, oppure che non avesse più insistito per conoscerlo e per farselo interpretare. Anche se non possiamo giustificare le misure estreme a cui [il re] fece ricorso, condannandoli a morte e distruggendo le loro case, noi non possiamo che provare una certa simpatia per Nabucodonosor quando condanna una classe di miserabili impostori. La severità della sua sentenza era probabilmente dovuta più per i costumi di quei tempi che per la malignità del re. Eppure era un azione coraggiosa e disperata. Considerate chi erano coloro che, in questo modo, si attirarono l’ira del re. Essi erano una setta numerosa, ricca ed influente. Inoltre, essi erano la classe più colta e ben educata di quei tempi, ma ciononostante, il re non era così accecato dalla sua falsa religione da risparmiarli persino con tutta questa influenza a loro favore.
Se il sistema era falso e ingannevole, doveva cadere, nonostante [36] [37] il grande numero o l’importante posizione degli aderenti, o nonostante il numero delle persone coinvolte in questa rovina. Il re non avrebbe preso parte alla disonestà o all’inganno.
“Verso 14 Allora Daniele si rivolse con parole prudenti e sagge ad Ariok, capitano delle guardie del re, il quale era uscito per uccidere i savi di Babilonia. 15 Egli prese la parola e disse ad Ariok, capitano del re: »Perché mai un decreto così duro da parte del re?«. Allora Ariok fece sapere la cosa a Daniele. 16 Così Daniele entrò dal re e gli chiese di dargli tempo, perché potesse far conoscere al re l’interpretazione del sogno. 17 Allora Daniele andò a casa sua e fece sapere la cosa ai suoi compagni Hananiah, Mishael e Azaria, 18 perché implorassero misericordia dal Dio del cielo riguardo a questo segreto, perché Daniele e i suoi compagni non fossero messi a morte col resto dei savi di Babilonia.
In questo racconto si vede la provvidenza di Dio che opera in molti modi straordinari.
#1 Era provvidenziale che il sogno del re avesse lasciato una così forte impressione sulla sua mente, tanto da farlo svegliare con la più grande ansia, anche se la cosa stessa doveva essere trattenuta dal suo ricordo. Questo portò ad una completa esposizione del falso sistema dei maghi e degli altri insegnanti pagani, perché quando vennero messi alla prova per far conoscere il sogno, si scoprì che non erano in grado di fare ciò che prometteva la loro professione.
#2 Era degno di nota il fatto che Daniele e i suoi compagni, recentemente definiti dal re “dieci volte superiori” a tutti i suoi maghi e astrologi, non vennero per nulla consultati subito su questo argomento. In questo, però, c’era la provvidenza. Proprio come il sogno era stato tolto al re, allo stesso modo lui evitò di chiamare Daniele per dare una soluzione al mistero; infatti, se Daniele fosse stato chiamato per primo, e avesse subito chiarito la questione, i maghi non sarebbero stati provati. Dio, però, diede la prima possibilità al sistema pagano dei Caldei. Dio li avrebbe fatti provare, fallire rovinosamente, e confessare la loro assoluta incompetenza persino sotto la pena di morte, affinché potessero essere ben preparati per riconoscere il momento in cui sarebbe intervenuto a favore dei Suoi servi in schiavitù, e per l’onore del Suo stesso nome.
[38]
#3 Sembra che la prima indicazione avuta da Daniele riguardo la questione era la presenza dei carnefici, venuti per arrestarlo. Essendo la sua vita in gioco, Daniele sarebbe stato portato a cercare il Signore con tutto il suo cuore finché Lui non avesse operato per la loro liberazione. Daniele ottiene dal re il consenso di avere del tempo per esaminare la questione – un privilegio che probabilmente nessuno dei maghi avrebbe potuto assicurarsi, dato che il re li aveva già accusati di preparare parole false e corrotte, e di cercare di guadagnare tempo proprio per questo scopo. Daniele andò immediatamente dai suoi tre compagni, coinvolgendoli ad unirsi con lui nel chiedere la misericordia del Dio celeste riguardo a questo segreto. Daniele avrebbe potuto pregare da solo, e senza dubbio sarebbe stato ascoltato; ma ieri come oggi, c’è più forza nell’unione del popolo di Dio; e laddove ci sono due o tre in comune accordo, c’è anche la promessa della realizzazione di ciò che viene chiesto. (Matteo 18:19,20)
“Verso 19 Allora il segreto fu rivelato a Daniele in una visione notturna. Così Daniele benedisse il Dio del cielo. 20 Daniele prese a dire: »Sia benedetto il nome di Dio per sempre, eternamente, perché a lui appartengono la sapienza e la forza. 21 Egli muta i tempi e le stagioni, depone i re e li innalza, dà la sapienza ai savi e la conoscenza a quelli che hanno intendimento. 22 Egli rivela le cose profonde e segrete, conosce ciò che è nelle tenebre, e la luce dimora con lui. 23 O Dio dei miei padri, ti ringrazio e ti lodo, perché mi hai dato sapienza e forza e mi hai fatto conoscere ciò che ti abbiamo chiesto, facendoci conoscere la cosa richiesta dal re«.
Non sappiamo se la risposta arrivò o meno, mentre Daniele e i suoi compagni stavano ancora offrendo le loro suppliche. Se così fosse, mostrerebbe la loro insistenza, dato che era attraverso una visione notturna che Dio si era rivelato in loro favore, il ché mostrerebbe che loro continuarono le suppliche (come si potrebbe ragionevolmente dedurre) sino a tarda notte, continuando sino all’ottenimento di una risposta. Oppure, se il loro momento di preghiera era terminato, e Dio aveva inviato la risposta in un momento successivo, ci mostrerebbe che, come talvolta accade, le preghiere non sono inutili anche se non vengono risposte immediatamente. Alcuni pensano che la questione
fu resa nota a Daniele perché fece lo stesso sogno di Nabucodonosor, ma [39] Matthew Henry ritiene più probabile che “quando Daniele era sveglio e perseverava contemporaneamente a pregare e a vegliare, il sogno e la sua interpretazione gli furono comunicati attraverso il servizio di un angelo, per la sua abbondante soddisfazione.” Le parole “visione notturna” significano qualunque cosa si veda, sia per mezzo di sogni che di visioni.
Daniele offerse immediatamente una lode a Dio per il Suo gentile intervento nei loro confronti; e anche se la sua preghiera non è documentata, lo è pienamente il suo ringraziamento. Dio è onorato quando lo lodiamo per le cose che ha fatto per noi, così come quando riconosciamo il bisogno del Suo aiuto attraverso la preghiera. Lasciamo che il comportamento di Daniele sia il nostro esempio a riguardo. Non lasciate che le benedizioni di Dio non ricevano il vostro ringraziamento e la vostra lode. I dieci lebbrosi non furono guariti? E Cristo chiese tristemente: “Dove sono gli altri nove?” (Luca 17:17)
Daniele ebbe la massima fiducia in quello che gli era stato mostrato. Lui non andò subito dal re per sapere se il sogno che gli era stato rivelato era lo stesso sogno del re; ma Daniele lodò immediatamente Dio per aver risposto alla sua preghiera.
Anche se la questione era stata rivelata a Daniele, lui non se ne attribuì l’onore, come se il merito fosse attribuibile unicamente alle sue preghiere, ma associò immediatamente i suoi compagni a se stesso, riconoscendola essere una risposta tanto alle loro preghiere quanto alla sua. Daniele disse “e mi hai fatto conoscere ciò che [noi] ti abbiamo chiesto, facendoci conoscere la cosa richiesta dal re«.”
“Verso 24 Perciò Daniele entrò da Ariok, a cui il re aveva affidato l’incarico di far perire i savi di Babilonia, andò e gli disse così: »Non far perire i savi di Babilonia! Conducimi davanti al re, e darò al re l’interpretazione«.”
La prima supplica di Daniele è per i saggi di Babilonia. “Non distruggerli perché il segreto del re è rivelato.” Era vero che questa rivelazione non era fatta grazie ai loro meriti o del loro sistema di divinazione pagano; infatti, i saggi erano meritevoli della stessa condanna. Ma la loro confessione di assoluta impotenza a riguardo, era una umiliazione sufficiente; inoltre, Daniele era ansioso che, come lui, anche loro avessero [40] il benefico della vita risparmiata. Così, i saggi pagani vennero salvati perché un uomo di Dio era in mezzo a loro. È sempre così. Per amore di Paolo e Sila, furono liberati tutti i prigionieri assieme a loro. (Atti 16:26) Per amore di Paolo, furono salvate le vite di tutti coloro che navigavano con lui. (Atti 27:24) Così, gli empi traggono beneficio dalla presenza dei giusti. Sarebbe bene che gli empi ricordassero gli obblighi a cui sono sottoposti. Cosa salva il mondo di oggi? Per amore di chi è ancora risparmiato? Per amore di quei pochi giusti che sono ancora rimasti. Togliete questi pochi giusti, e per quanto tempo verranno sopportate le colpe di questi malvagi? Non più degli antidiluviani dopo che Noè entrò nell’arca, o dei sodomiti dopo che Lot si allontanò dalla loro presenza inquinata ed inquinante. Se in Sodoma fossero stati trovati soltanto dieci giusti, per amor loro, sarebbero stati risparmiati tutti i suoi abitanti malvagi. Ciononostante, i malvagi disprezzeranno, ridicolizzeranno e opprimeranno proprio coloro che permettono il loro godimento della vita e di tutte le sue benedizioni.
“Verso 25 Allora Ariok condusse in fretta Daniele davanti al re e gli parlò così: »Ho trovato un uomo fra i Giudei in cattività, che farà conoscere al re l’interpretazione«.
I ministri e i cortigiani hanno sempre voluto conquistare il favore del loro sovrano. Così, qui Ariok dichiara di aver trovato un uomo capace di far conoscere l’interpretazione desiderata, come se, con grande disinteresse, e per il beneficio del re, Ariok fosse stato alla ricerca di qualcuno in grado di risolvere la sua difficoltà, e che infine l’avesse trovato. Per rendersi conto dell’inganno del suo capo esecutore, il re avrebbe dovuto soltanto ricordare (cosa che probabilmente fece) la sua conversazione con Daniele (verso 16), e la promessa di Daniele di mostrargli l’interpretazione se gli fosse stato concesso del tempo.
“Verso 26 Il re prese a dire a Daniele, che si chiamava Beltshatsar: »Sei capace di farmi conoscere il sogno che ho fatto e la sua interpretazione?«. 27 Daniele rispose in presenza del re e disse: »Il segreto di cui il re ha chiesto l’interpretazione non può essere spiegato al re né da saggi, né da astrologi, né da maghi, [41] né da indovini. 28 Ma c’è un Dio nel cielo che rivela i segreti, ed egli ha fatto conoscere al re Nebukadnetsar ciò che avverrà negli ultimi giorni. Questo è stato il tuo sogno e le visioni della tua mente sul tuo letto.”
Il saluto dubbioso del re quando Daniele giunse alla sua presenza era: “Sei capace di farmi conoscere il sogno?” Nonostante il suo precedente incontro con Daniele, sembra che il re abbia dubitato che un ragazzo così giovane ed inesperto potesse spiegare un argomento che i maghi e gli indovini esperti e venerabili non erano riusciti a spiegare. Daniele disse chiaramente che i saggi, gli astrologi, gli indovini e i maghi non potevano spiegare questo segreto. La cosa era oltre il loro potere. Per questo motivo, il re non doveva arrabbiarsi con loro, né fidarsi delle loro inutili superstizioni. Poi Daniele procede a far conoscere il vero Dio che regna nei cieli: l’unico rivelatore dei segreti che ha fatto conoscere al re Nabucodonosor ciò che avverrà negli ultimi giorni.
“Verso 29 O re, i pensieri che ti sono venuti sul tuo letto riguardano ciò che deve avvenire d’ora in poi; e colui che rivela i segreti ti ha fatto conoscere ciò che avverrà. 30 Ma quanto a me, questo segreto mi è stato rivelato non perché io abbia maggiore sapienza di tutti gli altri viventi, ma perché l’interpretazione sia fatta conoscere al re, e tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore.”
Qui si evidenzia un altro lodevole tratto caratteriale di Nabucodonosor. A differenza di alcuni governanti che vivono il presente con follia, dissolutezza e senza riguardo per il futuro, lui guardava in avanti sui giorni a venire con un ansioso desiderio di sapere quali eventi sarebbero accaduti. Senza dubbio, Nabucodonosor voleva sapere come poter migliorare saggiamente il presente. Per questa ragione, Dio gli diede questo sogno, che noi dobbiamo considerare come un segno del favore divino verso il re, dal momento che potevano essere usati tanti altri modi per mostrare la verità associata a questo argomento, sia per l’onore del nome di Dio che per il bene del Suo popolo, sia in quel momento che attraverso le generazioni successive. Dio però, non avrebbe operato per il re in modo indipendente dal Suo popolo, quindi, anche se diede il sogno al [42] re, Lui mandò l’interpretazione attraverso uno dei Suoi servi riconosciuti. Innanzi tutto, Daniele non si attribuì il merito nella spiegazione, e per cambiare in qualche modo i sentimenti orgogliosi che il re avrebbe naturalmente avuto (tenendo presente di essere notato dal Dio del cielo), lo informò indirettamente che, nonostante avesse ricevuto il sogno,
la spiegazione non era stata data interamente per il suo bene, ma per amore di coloro che lo avrebbero fatto conoscere nel modo migliore. Ah! Dio aveva alcuni servi lì, ed era per essi che operava. Ai Suoi occhi essi hanno più valore dei re e dei potenti della terra. Se non fosse stato per loro, il re non avrebbe mai avuto l’interpretazione del suo sogno, e probabilmente non avrebbe avuto neppure il sogno. Così, quando tracciati verso la loro fonte, si scopre che tutti i favori riversati verso chiunque sono dovuti alle attenzioni che Dio ha per i Suoi figli. Quanto completa era l’opera di Dio in questo caso! Rivelando il sogno del re a Daniele, Dio raggiunse i seguenti obiettivi: #1 fece conoscere al re le cose che Lui desiderava; #2 salvò i Suoi servi che confidavano in Lui; #3 fece conoscere apertamente il vero Dio alla nazione dei Caldei; #4 fece disprezzare i falsi sistemi degli indovini e dei maghi; e #5 onorò il Suo nome ed esaltò i Suoi servi davanti ai Caldei.
“Verso 31 Tu stavi guardando, o re, ed ecco una grande immagine; questa enorme immagine, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te, e il suo aspetto era spaventevole. 32 La testa di questa immagine era d’oro fino, il suo petto e le sue braccia erano d’argento, il suo ventre e le sue cosce di bronzo, 33 le sue gambe di ferro, i suoi piedi in parte di ferro e in parte d’argilla. 34 Mentre stavi guardando, una pietra si staccò, ma non per mano d’uomo, e colpì l’immagine sui suoi piedi di ferro e d’argilla e li frantumò. 35 Allora il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro furono frantumati insieme e diventarono come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via e di essi non si trovò più alcuna traccia. Ma la pietra che aveva colpito l’immagine diventò un grande monte, che riempì tutta la terra.”
Praticare la religione dei Caldei faceva di Nabucodonosor un idolatra. Un immagine era un oggetto a cui lui avrebbe immediatamente rivolto la sua attenzione e il suo rispetto. Inoltre, i regni terreni che, come vedremo in seguito, sono rappresentati da questa [43] immagine, erano oggetti che lui stimava e valorizzava. Avendo una mente non illuminata dalla luce della rivelazione, Nabucodonosor era impreparato per dare un giusto valore alla ricchezza e la gloria terrena, e guardare i governi terreni nella loro vera luce. Ecco, quindi, l’impressionante armonia tra il valore che lui dava a queste cose, e gli oggetti attraverso cui queste cose venivano simboleggiate davanti a lui. Questi regni furono presentati al re sotto forma di una grande immagine, un oggetto che per lui aveva valore e che ammirava. Con Daniele la cosa era molto diversa. Egli era in grado di vedere sotto la loro vera luce tutta la grandezza e la gloria edificata senza il favore e l’approvazione di Dio, e pertanto, questi stessi regni terreni gli furono successivamente mostrati sotto la forma di bestie crudeli e rapaci. (Vedi Daniele capitolo 7)
Questa rappresentazione venne adattata in modo formidabile per trasmettere una grande e indispensabile verità alla mente di Nabucodonosor. Oltre a delineare l’andamento degli eventi lungo tutto il corso del tempo per il bene del Suo popolo, Dio avrebbe mostrato a Nabucodonosor lo spreco e l’inutilità dell’ostentazione e della gloria terrena. Come si sarebbe potuta fare una cosa più impressionante di questa se non attraverso una immagine che inizia con il più prezioso dei metalli e che continua scendendo verso il più povero, finché si arriva al metallo più grossolano e grezzo – il ferro mescolato con la molle argilla – che poi viene interamente frantumato e diventa come la pula (che non vale nulla ed è leggera come la vanità) che viene spazzata via per non essere più trovata, per essere sostituita da qualcosa di durevole e degna del cielo? In questo modo, Dio avrebbe mostrato ai figli degli uomini che i regni terreni dovevano cessare di esistere, e la grandezza e la gloria terrena sarebbe scoppiata e svanita come una bolla di sapone; il regno di Dio, per tanto tempo usurpato da queste nazioni, sarebbe stato istituito,
per non avere più fine, e tutti coloro che vi si interessano dovranno riposare per sempre sotto l’ombra delle sue ali pacifiche. Ma questo è soltanto un anticipo.
“Verso 36 Questo è il sogno; ora ne daremo l’interpretazione davanti al re. 37 Tu, o re, sei il re dei re, perché il Dio del cielo ti ha dato il regno, la potenza, la forza e la gloria. 38 Dovunque dimorano i figli degli uomini, le [44] bestie della campagna e gli uccelli del cielo, egli li ha dati nelle tue mani e ti ha fatto dominare sopra tutti loro. Tu sei quella testa d’oro.”
Ora inizia uno dei più sublimi capitoli della storia umana. Otto brevi versi del documento ispirato raccontano tutta la storia; eppure, quel racconto abbraccia la storia dell’ostentazione e del potere di questo mondo. Bastano pochi istanti per ricordarlo; ma il periodo di tempo interessato (che inizia più di venticinque secoli fa), partendo da quel lontano passato, supera l’ascesa e la caduta degli imperi, supera la loro fondazione e la loro sconfitta, supera i cicli e le età, e supera anche i nostri giorni, sino ad arrivare allo stato eterno. È così completo che abbraccia tutto questo, eppure, è così preciso da darci tutte le grandi linee dei regni terreni da quel tempo sino al nostro. La saggezza umana non ha mai ideato un documento così breve che comprende così tanto. Il linguaggio umano non ha mai esposto una così grande quantità di verità storiche in così poche parole. Qui c’è il dito di Dio. Stiamo bene attenti alla lezione.
Il re deve aver ascoltato con molto interesse e stupore il profeta che lo informava che lui, o piuttosto, il suo regno, dato che qui il re sostituisce il suo regno (vedi il prossimo verso) era la testa dorata della magnifica immagine da lui vista. I re dell’antichità erano grati per il successo; e quando vi era prosperità, la divinità protettrice, a cui attribuivano questo loro successo, era l’oggetto adorabile su cui avrebbero speso generosamente le loro ricchezze e dato le loro migliori devozioni. Daniele informa indirettamente il re che, in questo caso, tutto dipende dal Dio del cielo, dato che è proprio Lui ad avergli dato il regno, facendolo governare su tutti. Questo avrebbe frenato l’orgoglio del re nel pensare di aver ottenuto quella posizione grazie al suo potere e alla sua saggezza, portandolo a ringraziare il vero Dio.
Il regno di Babilonia, che in fine si sviluppò nella testa d’oro della grande immagine storica, fu fondato da Nimrod, pronipote di Noè, più di duemila anni prima di Cristo. Genesi 10:8-10 dice: “Kush generò Nimrod, che cominciò a essere un uomo potente sulla terra. Egli fu un potente [45] cacciatore davanti all’Eterno; perciò si dice: »Come Nimrod, il potente cacciatore davanti all’Eterno«. E l’inizio del suo regno fu Babel (Babilonia), Erek, Akkad e Kalneh nel paese di Scinar.” Pare che Nimrod fondò anche la città di Ninive che, in seguito, divenne la capitale della Siria. (vedi la lettura nel margine di Genesi 10:11, e la Johnson’s Cyclopedia riguardo la Siria.) Secondo le più recenti autorità in materia, la breve descrizione della storia di Babilonia (presa dalla Johnson’s Universal Cyclopedia alla voce “Babilonia”) è la seguente:
“Verso il 1270 a.C. i re dell’Assiria divennero maestri della Caldea, o Babilonia, di cui Babilonia era la capitale. In seguito, questo paese fu governato da una dinastia di re assiri che regnarono a Babilonia, e che alcune volte mossero guerra contro coloro che regnavano proprio in Assiria. Altre volte, i re babilonesi pagavano i tributi a quelli dell’Assiria. Trascorsero parecchi secoli in cui la storia di Babilonia è quasi vuota. Al tempo di Tiglatpileser dell’Assiria, Nabonassar salì al trono di Babilonia nel a.C. 747. Egli è celebrato per il periodo di tempo che porta il suo nome, e che ha avuto inizio
nel a.C. 747. Verso il 720 a.C. , Berodak-Baladan divenne il re di Babilonia ed inviò ambasciatori ad Ezechia, re di Giuda (vedi 2Re 20, e Isaia 39). Pochi anni dopo, Sargon, re d’Assiria, sconfisse e detronizzò Berodak-Baladan. Sennacherib completò la sottomissione di Babilonia, che annesse all’impero assiro verso l’a.C. 690. La conquista di Ninive e il sovvertimento dell’impero assiro, compiuto verso il 625 a.C. da Ciassare il Medo [Cyaxeres] e il suo alleato Nabopolassar, il ribelle governatore di Babilonia, permise a quest’ultimo di fondare l’impero babilonese che, secondo lo storico George Rawlinson, era il quarto delle ‘cinque grandi monarchie’, e comprendeva la valle dell’Eufrate, la Susiana, la Siria, e la Palestina. Il suo regno durò circa ventuno anni e probabilmente era pacifico, perché la sua storia è quasi vuota; nel 605 a.C. , però, il suo esercito sconfisse Nechao, re d’Egitto, che invase la Siria. A Nabopolassar succedette il suo figlio più famoso, Nabucodonosor (604 a.C.), che fu il più grande dei re di Babilonia”.
[46]
Gerusalemme venne presa da Nabucodonosor nel primo anno del suo regno, e il terzo anno di Jehoiakim, re di Giuda (Daniele 1:1), nell’a.C. 606. Nabucodonosor regnò due anni congiuntamente con il padre, Nabopolassar. Gli Ebrei calcolano il regno di Nabucodonosor da questo punto, mentre i Caldei partono dalla data del suo regno senza il padre Nabopolassar, nel 604 a.C. , come sopra indicato. Riguardo i successori di Nabucodonosor, la Johnson’s Universal Cyclopedia aggiunge:
“Lui morì nel 561 a.C. e gli succedette il figlio Evil-Merodak, che regnò solo due anni. Nabonide (o Nabonedo), divenuto re nel 555 a.C. , formò un alleanza con Creso contro Ciro il Grande. Sembra che Nabonide abbia condiviso il potere reale con il figlio Belshatsar, la cui madre era una figlia di Nabucodonosor. Ciro assediò Babilonia, e la prese con uno stratagemma nel 538 a.C. , e con la morte di Belshatsar, ucciso dai persiani, il regno babilonese cessò di esistere.”
Quando diciamo che l’immagine di Daniele capitolo 2 simboleggia le quattro grandi monarchie universali profetiche, e consideriamo Babilonia come la prima di queste, si chiede come questo possa essere vero, dal momento che non tutti i paesi del mondo furono assolutamente sotto il dominio di una qualsiasi di esse. Babilonia non conquistò mai la Grecia o Roma; tuttavia, Roma venne fondata prima che Babilonia arrivasse al massimo della sua potenza. La posizione e l’influenza di Roma riguardavano ancora il futuro; e il fatto che Dio inizi a preparare i suoi agenti molti anni prima che inizino a compiere le cose importanti che fanno adempiere la profezia, non è contrario alla profezia stessa. Dobbiamo immedesimarci con il profeta, e vedere questi regni dallo stesso punto di vista. Poi dovremmo giustamente considerare le sue dichiarazioni alla luce della posizione che occupava, il tempo in cui scriveva, e le circostanze in cui viveva. Seguendo la chiara regola interpretativa, dobbiamo cercare il momento in cui le nazioni citate nella profezia si relazionano con il popolo di Dio, in modo da essere necessarie per completare il documento della storia sacra. Quando questo riguardava Babilonia, era, dal punto di vista del profeta, il grande ed irresistibile [47] oggetto nel mondo politico. Secondo il profeta, Babilonia eclissava necessariamente ogni altro regno, quindi, lui ne avrebbe naturalmente parlato come di un regno che dominava su tutta la terra. Per quanto ne sappiamo, tutte le province dei paesi contro i quali Babilonia si mosse all’apice del suo potere, furono soggiogate dai suoi eserciti. In questo senso, tutti erano sotto il suo potere; e questo spiega il linguaggio un po esagerato del verso 38. Il fatto che ci fossero alcune parti di territorio sconosciuti, e un numero considerevole di popoli
che si trovavano al di fuori dei confini della civiltà all’epoca esistente che non furono scoperti, né sottomessi, non è una prova sufficientemente forte o importante per condannare l’espressione del profeta, o per falsificare la profezia.
Nel 606 a.C. , Babilonia venne in contatto con il popolo di Dio, quando Nabucodonosor conquistò Gerusalemme e portò Giuda in schiavitù. Di conseguenza, a questo punto si arriva (profeticamente parlando) alla fine della teocrazia ebraica. Il carattere di questo impero è indicato dal tipo di materiale che costituisce quella parte dell’immagine attraverso cui era simboleggiata la testa d’oro. Era il regno prosperoso di un epoca prosperosa. Babilonia e le sue metropoli si innalzavano ad un altezza mai raggiunta da nessuno dei suoi successori. Situata nel giardino d’oriente; disposta in un quadrato perfetto di quasi 97 Km di circonferenza, 24 Km su ogni lato; circondata da un muro alto 106 metri e spesso 26.5 metri, con intorno un fossato della stessa capacità cubica del muro; divisa in seicentosettantasei quadrati, ognuno avente 3.62 Km di perimetro, con le sue cinquanta strade larghe mezzo chilometro ciascuna, che si incrociavano formando un angolo retto, con 25 corsie, tutte dritte, livellate e lunghe 24 Km; i suoi 582 Km quadrati di superficie delimitata, suddivisa come già descritto, disposta in parchi e giardini lussureggianti e piacevoli, intervallati da splendide abitazioni, con i suoi 97 Km di fossato, i suoi 97 Km di muro esterno, i suoi 48 Km di muro del fiume attraverso il suo centro, le sue centocinquanta porte di ottone massiccio, i suoi giardini pensili, che si sollevavano con una terrazza sopra l’altra, sino ad avere la stessa altezza delle mura, il tempio di Belus, avente quasi 5 Km di [48] [49] circonferenza, i suoi due palazzi reali, aventi l’uno 5.6 Km e l’altro quasi 13 Km di circonferenza, con un tunnel sotterraneo scavato sotto il fiume Eufrate che collega questi due palazzi, perfettamente organizzata per essere comoda, bella, difesa e con risorse illimitate, questa città (che conteneva molte cose che di per se erano delle meraviglie del mondo) era una meraviglia ancora più grande. Prima di allora, il mondo non aveva mai visto una città simile; e dopo di allora non ve ne fu un altra uguale. E lì, con tutto il mondo inginocchiato ai suoi piedi, ecco una regina di incomparabile grandezza che la penna ispirata descrive con un ammirevole titolo “lo splendore dei regni, la gloria dell’orgoglio dei Caldei” [Isaia 13:19], sedeva questa città, la giusta capitale di quel regno che costituiva la testa dorata di questa grande immagine storica.
Questa era la Babilonia, con Nabucodonosor, negli anni migliori, audace, vigorosa, appagata e sedeva sul suo trono, quando Daniele entrò nelle sue mura inespugnabili e nei suoi splendidi palazzi per servire settanta anni come prigioniero. Lì, i figli del Signore, oppressi più per l’allegria della gloria della nazione in cui erano schiavi, appesero le loro arpe nei salici del scintillante Eufrate e piansero quando ricordarono Sion.
Lì, iniziò la prigionia della chiesa in un senso ancora più ampio, perché da quel momento in poi, il popolo di Dio è stato sottomesso, e pressapoco oppresso, dai poteri terreni. E così sarà, fino a quando tutti i poteri terreni verranno finalmente dati a Colui che ha il diritto di regnare. Ed ecco! quel giorno di liberazione si avvicina rapidamente.
In un altra città, oltre a Daniele, presto entreranno anche tutti i figli di Dio, dal più piccolo al più grande, dal più basso al più alto, dal primo all’ultimo; una città la cui circonferenza non è di soli 96.5 Km, ma di 2.414 Km; una città i cui muri non sono fatti di mattoni e bitume, ma di pietre preziose e diaspro; le cui strade non sono le strade pavimentate con la pietra di Babilonia, lisce e belle, ma di oro trasparente; il cui fiume non è quello delle lugubri acque dell’Eufrate, ma il fiume della vita; la cui musica
non sono i sospiri e i lamenti dei prigionieri affranti, ma gli emozionanti canti trionfali della vittoria sulla morte e la tomba, [50] che solleveranno le moltitudini riscattate; la cui luce non è la luce intermittente della terra, ma è l’incessante e ineffabile gloria di Dio e dell’Agnello. Essi entreranno in questa città non come prigionieri in un paese straniero, ma come esuli che ritornano alla casa del padre; non in un luogo in cui parole agghiaccianti come “schiavitù”, “servitù” e “oppressione” atterreranno il loro spirito, ma uno in cui le dolci parole, “casa”, “libertà”, “pace”, “purezza”, “felicità indicibile” e “vita infinita” faranno deliziare i loro cuori di gioia nei secoli dei secoli. Sì, quando il Signore porrà fine alla schiavitù di Sion, le nostre bocche si riempiranno di sorrisi e le nostre lingue di canti. (Salmi 126:1,2; Apocalisse 21:1-27)
“Verso 39 Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno di bronzo, che dominerà su tutta la terra.”
Nabucodonosor regnò quarantatré anni, e fu succeduto dai seguenti governanti: suo figlio Evil-Merodak, due anni; Neriglissar, suo genero, quattro anni; Labashi-Marduk [Laborosoarchod] figlio di Neriglissar, nove mesi che, essendo meno di un anno, non è conteggiato nel canone di Tolomeo; ed infine Nabonide [Nabonedo] il cui figlio Belshatsar, nipote di Nabucodonosor, venne associato con lui sul trono, e con il quale si concluse quel regno.
Nel primo anno di Neriglissar, a soli due anni dalla morte di Nabucodonosor, scoppiò quella fatale guerra tra i Babilonesi e i Medi che doveva concludersi nella totale sconfitta del regno babilonese. Nei suoi sforzi contro i Babilonesi, Ciassare, re dei Medi (chiamato “Dario” in Daniele 5:31), chiamò in suo aiuto il nipote Ciro, della linea persiana. La guerra proseguiva con l’ininterrotto successo da parte dei Medi e dei Persiani, fino a quando, nel diciottesimo anno di Nabonide (il terzo anno di suo figlio Belshatsar), Ciro assediò Babilonia, l’unica città in tutto l’oriente che gli resisteva. Raccolti all’interno delle loro mura inespugnabili, con venti anni di provviste disponibili, e tanta terra quanto il limite della loro vasta città sufficiente a sfamare tutti gli abitanti [51] e la guarnigione per un tempo indefinito, i babilonesi deridevano Ciro dalle loro alte mura, e deridevano i suoi sforzi apparentemente inutili di renderli schiavi. Secondo tutti i calcoli umani, essi avevano buone ragioni per sentirsi sicuri. Sulla base di qualsiasi probabilità terrena, e con i mezzi di guerra allora conosciuti, quella città non si sarebbe mai potuta conquistare. Quindi, [i babilonesi] se ne stavano tranquilli come se attorno alle loro mura assediate non ci fosse alcun nemico che aspettava e che li osservava per poterli distruggere. Dio, però, aveva decretato che l’orgogliosa e malvagia città sarebbe scesa dal suo trono di gloria; e quando Dio parla, quale braccio mortale può sconfiggere la Sua parola?
La fonte del loro pericolo si trovava proprio nella loro sicurezza. Ciro decise di realizzare con lo stratagemma ciò che non poteva fare con la forza; e venendo a sapere che si avvicinava una festività annuale in cui tutta la città si sarebbe abbandonata all’allegria e alla baldoria, lui fissò quel giorno come il momento per eseguire il suo obbiettivo. Per lui non c’era ingresso nella città, a meno che lo trovasse dove il fiume Eufrate entrava ed emergeva, passando sotto le sue mura. Ciro decise di fare del canale del fiume la sua strada maestra dentro la roccaforte del suo nemico. Per fare questo, l’acqua doveva essere deviata dal suo canale che attraversava la città. A tale scopo, la sera della festività sopracitata, Ciro designò tre gruppi di soldati: il primo, ad una determinata ora, doveva deviare il fiume verso un grande lago artificiale nelle vicinanze, sopra la città; il secondo doveva stazionare nel punto in cui il fiume entrava nella città;
mentre il terzo doveva posizionarsi 24 Km al di sotto, dove il fiume emergeva dalla città; e questi ultimi due gruppi furono istruiti di entrare nel canale non appena il fiume fosse stato percorribile e, nell’oscurità della notte, di esplorare la strada al di sotto delle mura, e di spingersi verso il palazzo reale, dove si sarebbero incontrati (e prendendo di sorpresa il palazzo) avrebbero ucciso le guardie e catturato o ucciso il re. Quando l’acqua venne deviata nel lago sopracitato, ben presto il fiume divenne percorribile, e i soldati preposti a quello scopo percorsero il suo canale, addentrandosi fino al cuore della città di Babilonia.
Ma tutto questo sarebbe stato vano se, in quella notte ricca di eventi, l’intera città non si fosse abbandonata alla più grande [52] [53] incosciente disattenzione e presunzione, una circostanza sulla quale Ciro contava grandemente per raggiungere il suo obbiettivo perché su ogni lato del fiume, per tutta la lunghezza della città, c’erano mura molto alte che avevano lo stesso spessore delle mura esterne. In queste enormi mura vi erano delle porte di ottone massiccio che, quando chiuse e protette, impedivano l’accesso dal letto del fiume verso tutte le venticinque strade che attraversavano il fiume; e se in questo momento fossero state chiuse, i soldati di Ciro avrebbero potuto marciare entro la città lungo il letto del fiume, per poi uscirne nuovamente, perché questo è tutto ciò che avrebbero potuto compiere circa la conquista del luogo. Ma nell’ubriachezza della baldoria di quella fatale notte, queste porte furono lasciate tutte aperte, e l’ingresso dei soldati persiani non fu percepito. Molte facce sarebbero sbiancate dal terrore se avessero notato l’improvviso abbassamento del fiume e compreso le sue spaventose conseguenze. Molte lingue avrebbero diffuso allarmi sfrenati per tutta la città, se avessero visto le scure sagome dei loro nemici armati farsi strada furtivamente verso la cittadella della loro forza. Nessuno, però, si accorse dell’improvviso abbassamento delle acque del fiume; nessuno vide l’ingresso dei guerrieri persiani; nessuno si prese cura di chiudere e sorvegliare le porte del fiume; nessuno si preoccupava di nient’altro che vedere quanto profondamente e incautamente potersi immergere nella gozzoviglia selvaggia. L’opera di quella notte costò loro il regno e la libertà. Iniziarono quella rozza baldoria come sudditi del re di Babilonia, e si svegliarono schiavi del re di Persia.
Inizialmente, i soldati di Ciro mostrarono la loro presenza in città attaccando le guardie reali, proprio nel vestibolo del palazzo del re. Presto, Belshatsar comprese la causa del disturbo e morì invano combattendo per la sua vita in pericolo. La festa di Belshatsar è descritta nel quinto capitolo di Daniele; e la scena si chiude con la semplice memoria: “In quella stessa notte Belshatsar re dei Caldei, fu ucciso; e Dario, il Medo, ricevette il regno all’età di sessantadue anni.” [Daniele 5:30,31]
Così, la prima parte della grande immagine venne completata. Un altro regno era sorto, proprio come aveva dichiarato il profeta. [54] La prima parte del sogno profetico era adempiuta.
Ma prima di abbandonare Babilonia, cerchiamo di dare uno sguardo verso la fine della sua inevitabile storia malinconica. Sarebbe stato naturale supporre che il conquistatore, possedendo una così nobile città che superava di gran lunga qualsiasi altra cosa al mondo, l’avrebbe presa come sede del suo impero, preservandola nel suo splendore originario. Ma Dio disse che quella città sarebbe diventata un cumulo di macerie, l’abitazione delle bestie del deserto; che le loro case sarebbero state piene di gufi; che le iene avrebbero ululato nelle sue case desolate e gli sciacalli nei suoi palazzi lussuosi. (Isaia 13:19-22). Innanzitutto, [Babilonia] doveva essere abbandonata. Ciro spostò la sede imperiale a Susa, una famosa città nella provincia di Elam, ad est di Babilonia,
sulle rive del fiume Ulai [Choaspes], un ramo del Tigri. Questo è stato probabilmente fatto, dice H. Prideaux (The old and new testament connected in the history of the Jews, vol. 1, pag. 180), nel primo anno del suo unico regno. Essendo l’orgoglio dei Babilonesi particolarmente provocato da questo atto, nel quinto anno di Dario Istaspe, il 517 a.C. , loro si ribellarono, e ricevettero nuovamente l’intera forza dell’impero persiano contro di essi. La città venne nuovamente presa attraverso uno stratagemma. Zopyrus, uno dei principali comandanti di Dario che, dopo essersi tagliato il naso e le orecchie, ed aver sfigurato tutto il suo corpo con tagli, fuggì in questa condizione verso gli assediati, bruciando apparentemente dal desiderio di vendetta contro Dario per la sua grande crudeltà di questa mutilazione. In questo modo, Zopyrus vinse la fiducia dei babilonesi che, alla fine, lo fecero comandante in capo delle loro forze; dopodiché, Zopyrus tradì la città, dandola nelle mani di Dario.
Per dissuadere i babilonesi dalla ribellione, Dario fece impalare tremila di coloro che erano stati i più attivi nella rivolta, tolse le porte di bronzo della città e ridusse l’altezza dei muri da 200 cubiti a 50 cubiti. Questo era l’inizio della distruzione di Babilonia. In questo modo, la città venne lasciata esposta alle devastazioni di ogni gruppo ostile. Serse, al suo ritorno dalla Grecia, saccheggiò il tempio di Belus della sua immensa ricchezza, e poi lasciò l’orgogliosa struttura in rovina. Alessandro Magno cercò di ricostruirlo ma, dopo due mesi in cui diecimila uomini cercavano di liberare il tempio dalla spazzatura, morì a causa dell’eccessiva ubriachezza e depravazione, [55] [56] e il lavoro venne sospeso. Nell’anno 294 a.C. , Seleuco Nicatore costruì la città di Nuova Babilonia nelle sue vicinanze, e prese gran parte del materiale e molti degli abitanti della vecchia città per costruire e popolare la nuova. Ora quasi senza abitanti, l’antica città di Babilonia era lasciata all’abbandono e al degrado. La violenza dei principi dei Parti affrettò la sua rovina. Verso la fine del IV secolo, i re persiani la usavano come un recinto per animali selvatici. Alla fine del XII secolo, secondo un famoso viaggiatore, le poche rovine rimaste del palazzo di Nabucodonosor erano così piene di serpenti e rettili velenosi che era molto pericoloso andare a ispezionarle da vicino. Oggi rimane abbastanza poco anche delle rovine che indicano il punto in cui un tempo sorgeva la più grande, ricca e fiera città che il mondo abbia mai visto. Così, la rovina della grande Babilonia ci mostra quanto accuratamente Dio adempirà la Sua parola, facendo apparire i dubbi dello scetticismo come una ostinata cecità.
“Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo.” L’uso del termine “regno” qui mostra che i regni, e non i re individuali, sono rappresentati dalle diverse parti dell’immagine; e dunque, quando venne detto a Nabucodonosor “Tu sei quella testa d’oro” [Daniele 2:38], anche se era usato il pronome personale, si intendeva il regno, non la persona del re.
Il regno successivo, la Medo-Persia, è quello che corrisponde al petto e alle braccia d’argento della grande immagine. Doveva essere inferiore al regno precedente. In che senso inferiore? Non in potenza, perché era il suo vincitore. Non in estensione, perché Ciro sottomise tutto l’oriente, dal mar Egeo al fiume Indo, erigendo l’impero più esteso mai esistito sino a quel momento. Ma [il regno] era inferiore in quanto a ricchezza, lusso e magnificenza.
Dal punto di vista biblico, l’evento principale sotto l’impero babilonese era la schiavitù dei figli d’Israele; così, l’evento principale sotto il regno Medo-Persiano era la restaurazione di Israele nella propria terra. Alla conquista di Babilonia (538 a.C.), Ciro, come atto di cortesia, assegnò il primo posto del regno a suo zio Dario.
[57]
Ma due anni dopo, nel 536 a.C. , Dario morì, e nello stesso anno morì anche Cambise re di Persia, il padre di Ciro. Attraverso questi eventi, Ciro rimase l’unico monarca di tutto l’impero. In quest’anno, che concluse i settanta anni della prigionia di Israele, Ciro pubblicò il suo famoso decreto per il ritorno degli Ebrei e la ricostruzione del loro tempio. Questa era la prima pubblicazione del grande decreto per la restaurazione e la ricostruzione di Gerusalemme (Esdra 6:14) che venne completato nel settimo anno del regno di Artaserse Longimano, nel 457 a.C. , segnando, come vedremo in seguito, l’inizio dei 2300 giorni di Daniele 8, il periodo profetico più lungo e più importante menzionato nella Bibbia. (Daniele 9:25)
Dopo aver regnato sette anni, Ciro lasciò il regno a suo figlio Cambise, che regnò per sette anni e cinque mesi, sino all’a.C. 522. Otto monarchi, i cui regni variano dai sette mesi ai quarantasei anni ciascuno, si succedettero al trono sino all’anno 336 a.C. come segue: #1 Smerdi il Mago, sette mesi, nell’anno 522 a.C. ; #2 Dario Istaspe, dal 521 al 486 a.C. ; #3 Serse, dal 485 al 465 a.C. ; #4 Artaserse Longimano, dal 464 al 424 a.C. ; #5 Dario Nothus, dal 423 al 405 a.C. ; #6 Artaserse Mnemone, dal 404 al 359 a.C. ; #7 Artaserse Oco, dal 358 al 338 a.C. ; #8 Artaserse Arses, dal a.C. 337 al 336. Il 335 a.C. è considerato come il primo anno di Dario Codomano, l’ultimo nella linea degli antichi re persiani. Secondo lo storico Prideaux, quest’uomo era di nobile statura, di bell’aspetto, del più grande valore personale, di indole mite e generosa. Se fosse vissuto in una qualsiasi altra epoca, lui avrebbe indubbiamente avuto una lunga e splendida carriera; ma purtroppo per lui, doveva fare i conti con un agente che doveva far adempiere la profezia; e nessuna qualifica, naturale o acquisita, avrebbe potuto fargli ottenere il successo in questa contesa impari. Lo storico sopra citato dice: “Lui [Dario Codomano] non fece in tempo a sedersi sul trono, che subito trovò il suo formidabile nemico Alessandro Magno, alla guida dei soldati greci, che si preparava a detronizzarlo.” Lasciamo la causa ed i particolari della contesa tra i greci e i persiani alle storie specialmente dedicate a questi argomenti. Qui basta dire che il momento decisivo venne [58] raggiunto sul campo di Arbela, nel 331 a.C. , dove i Greci, anche se di numero molto inferiore rispetto ai Persiani, vinsero la battaglia; e da allora, Alessandro Magno divenne il signore assoluto dell’impero persiano nell’estensione più vasta mai posseduta da uno qualsiasi dei suoi stessi re.
Il profeta disse: “Poi un terzo regno di bronzo, che dominerà su tutta la terra.” Così poche e brevi sono le parole ispirate che, nel loro adempimento, associano un cambiamento dei governanti del mondo. Nel sempre mutevole scenario politico, ora la Grecia entra nel campo della visione, per essere, per un po di tempo, l’oggetto di tutta l’attenzione, come il terzo di quelli che sono chiamati i grandi imperi universali della terra. Dopo la fatale battaglia che decise la sorte dell’impero, Dario Codomano cercava ancora di radunare i resti frammentati del suo esercito, e combattere per il suo regno e i suoi diritti. Ma dalla moltitudine del suo recente esercito così numeroso e ben armato, lui non poté raccogliere una forza adeguata per osare un altro scontro con i vittoriosi greci. Alessandro Magno lo inseguì sulle ali del vento. Di volta in volta, Dario riusciva a malapena a sfuggire dalla stretta del suo rapido nemico inseguitore. Alla fine, due traditori, Besso e Nabarzanes, sequestrarono lo sfortunato principe, lo rinchiusero in un carro e fuggirono con il loro prigioniero verso Battria. Il loro scopo, se Alessandro li avesse perseguitati, era quello di acquistare la loro incolumità consegnandogli il loro re Dario. Dopodiché Alessandro, venendo a conoscenza della pericolosa posizione di Dario Codomano nelle mani dei traditori, si mise immediatamente alla guida della parte più leggera del suo esercito
per un inseguimento senza sosta. Dopo alcuni giorni di dura marcia, Alessandro raggiunse i traditori. Costoro sollecitarono Dario a montare a cavallo per fuggire più velocemente, ma al suo rifiuto, gli infersero diverse ferite mortali, lasciandolo morire nel suo carro, mentre essi montarono sui loro destrieri e andarono via.
Quando Alessandro si avvicinò, vide solo il corpo senza vita del re persiano; e mentre ne osservava il cadavere, avrebbe potuto imparare un utile lezione sull’instabilità della fortuna umana. Qui c’era un uomo con molte qualità nobili e generose, che solo pochi mesi prima sedeva sul trono di un impero universale. Disastro, sconfitta e tradimento [59] erano giunti improvvisamente su di lui. Il suo regno era stato conquistato, il suo tesoro sequestrato e la sua famiglia ridotta in schiavitù. Ed ora, brutalmente ucciso per mano di traditori, giaceva un cadavere insanguinato in un rozzo carro. La vista di questo malinconico spettacolo strappò lacrime persino agli occhi di Alessandro Magno, sebbene fosse familiare con tutte le orribili vicissitudini e le scene sanguinose della guerra. Lanciando il suo mantello sul corpo, Alessandro comandò che fosse portato alle donne prigioniere di Susa, fornendo egli stesso tutti i mezzi necessari per far celebrare un funerale reale. Diamogli credito per questo atto generoso, perché ha tristemente bisogno di tutto ciò che gli è dovuto.
Quando Dario Codomano morì, Alessandro Magno vide il campo liberato dal suo ultimo formidabile nemico. Da allora in poi, lui avrebbe potuto passare il tempo come voleva: godendo del riposo e del piacere, e perseguendo ancora qualche conquista minore. Lui fece una grande campagna in India perché, secondo la favola greca, Bacco ed Ercole (i due figli di Giove di cui Alessandro diceva di essere figlio) avevano fatto lo stesso. Con una spregevole arroganza, lui rivendicò onori divini. Senza motivo, e senza esser stato provocato, Alessandro Magno abbandonò le città conquistate alla mercé assoluta dei suoi soldati sanguinari, assetati e lussuriosi. Durante le sue deliranti ubriachezze, lo stesso Alessandro, spesso, uccideva i suoi amici e i suoi favoriti. Lui cercava le persone più vili per la gratificazione della sua lussuria. Su iniziativa di una donna dissoluta e ubriaca, lui, assieme ad un gruppo di suoi cortigiani, tutti in uno stato di intossicazione, presero delle torce e bruciarono la città ed il palazzo di Persepoli, uno dei palazzi più belli del mondo. Alessandro Magno incoraggiava un bere così eccessivo tra i suoi seguaci che, in una occasione, ne morirono venti di loro tutti insieme a causa della loro gozzoviglia. Alla fine, dopo aver fatto baldoria e bevuto per molto tempo, lui venne immediatamente invitato ad un altra festa, quando, dopo aver bevuto con ciascuno dei venti ospiti presenti (anche se sembra incredibile lo dice la storia), lui bevve interamente per due volte la coppa erculea, contenente sei dei nostri quarti [5.68 Litri]. Conseguentemente, Alessandro Magno ebbe una febbre violenta e, undici giorni dopo, morì nel maggio o giugno del 323 a.C. , a trentadue anni di età.
[60] [61]
Non dobbiamo smettere di seguire il progresso dell’impero greco, dato che le sue caratteristiche distintive richiederanno un attenzione più particolare in altre profezie. Daniele prosegue ad interpretare la grande immagine in questo modo:
“Verso 40 Il quarto regno sarà forte come il ferro, perché il ferro fa a pezzi e stritola ogni cosa; come il ferro che frantuma, quel regno farà a pezzi e frantumerà tutti questi regni.”
Finora, nelle applicazioni di questa profezia, vi è un accordo generale tra gli espositori biblici. Tutti riconoscono che Babilonia, la Medo-Persia e la Grecia sono rappresentate rispettivamente dalla testa d’oro, dal petto con le braccia d’argento,
e dal ventre con le cosce di bronzo; ma vi è una strana differenza di opinioni su quale sia il regno simboleggiato dalla quarta parte della grande immagine: le gambe di ferro. Su questo punto, non ci resta che indagare: Quale regno succedette la Grecia come impero mondiale? Le gambe di ferro indicano il quarto regno nella serie. Su questo punto, la testimonianza della storia è abbondante e diretta. Soltanto un regno fece questo, solo uno: Roma. Roma conquistò la Grecia; sottomise tutti; come il ferro, fece a pezzi e stritolò ogni cosa. Lo storico Edward Gibbon, seguendo le immagini simboliche di Daniele, descrive così questo impero:
“Gli stemmi della Repubblica, a volte sconfitti nella battaglia, sempre vittoriosi nella guerra, avanzano con rapidi passi verso l’Eufrate, il Danubio, il Reno e l’oceano; e le immagini d’oro, d’argento, di ottone che sarebbero potute servire a rappresentare le nazioni o i loro re, furono successivamente distrutte dalla monarchia di ferro di Roma.”
All’inizio dell’era cristiana, questo impero conquistò l’intera Europa del sud, la Francia, l’Inghilterra, la maggior parte dei Paesi Bassi, la Svizzera, la Germania del sud, l’Ungheria, la Turchia e la Grecia, per non parlare dei suoi possedimenti in Asia e in Africa. Quindi, Gibbon potrebbe ben dire a riguardo:
“L’impero romano riempì il mondo; e quando questo impero cadde nelle mani di una sola persona, il mondo divenne una prigione sicura e squallida per i suoi nemici. Resistere era fatale, dato che era impossibile fuggire.”
[62]
Si noterà che all’inizio il regno [romano] è descritto assolutamente forte come il ferro. E questo era il periodo della sua forza durante il quale è stato paragonato ad un potente colosso che domina le nazioni, che conquista tutto, e che da le leggi al mondo. Ma questo non doveva continuare.
“Verso 41 Come tu hai visto che i piedi e le dita erano in parte d’argilla di vasaio e in parte di ferro, così quel regno sarà diviso; tuttavia in esso ci sarà la durezza del ferro, perché tu hai visto il ferro mescolato con argilla molle. 42 E come le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte d’argilla, così quel regno sarà in parte forte e in parte fragile.”
L’elemento debole simboleggiato dall’argilla, appartiene sia ai piedi che alle dita dei piedi. Prima della sua divisione in dieci regni, Roma perse quella superlativa tenacia di ferro posseduta durante i primi secoli di attività.
Il lusso accompagnato dalla sua effeminatezza e degenerazione, iniziò a corrodere e indebolire i muscoli di ferro del distruttore delle nazioni e delle persone, preparando così la strada per la sua successiva separazione in dieci regni. Per mantenere la consistenza della figura, le gambe di ferro dell’immagine terminano con i piedi e le dita dei piedi. La nostra attenzione è richiamata dal fatto che la profezia parla esplicitamente delle dita dei piedi, che ovviamente sono dieci; e il regno rappresentato da questa parte dell’immagine a cui appartengono le dita dei piedi, era in fine diviso in dieci parti. Naturalmente, ci si chiede: Le dieci dita dei piedi dell’immagine rappresentano le dieci divisioni finali dell’impero romano? Coloro che preferiscono quella che sembra una interpretazione naturale e semplice della parola di Dio, si stupiranno grandemente che ci si ponga questa domanda. Prendere le dieci dita dei piedi per rappresentare i dieci regni in cui Roma venne divisa sembra una procedura così semplice, coerente e spontanea che richiede un grande sforzo per essere interpretata diversamente. Ciononostante,
alcuni fanno questo sforzo – generalmente sono i cattolici romani, seguiti da alcuni protestanti che si aggrappano ancora agli errori della chiesa cattolica romana.
Magari può essere preso un libro di H. Cowles, D.D., come una miglior rappresentazione di questa parte dell’argomento. [63] Lo scrittore dà prova di una vasta educazione e di grande capacità, quindi, è un peccato che queste doti si siano dedicate alla propagazione dell’errore e per l’inganno dell’ansioso investigatore che desidera conoscere la sua posizione nella grande strada maestra del tempo.
Possiamo brevemente notare le sue posizioni: #1 che il terzo regno era la Grecia solamente durante la vita di Alessandro Magno; #2 che il quarto regno era il successore di Alessandro Magno; #3 che l’ultimo punto a cui si può estendere il quarto regno è la manifestazione del Messia: perché #4 lì, il Dio celeste farà sorgere il Suo regno; lì, la pietra colpisce i piedi dell’immagine, ed inizia il processo di frantumazione.
Noi non possiamo rispondere in qualsiasi maniera estesa a questi argomenti.
#1 Potremmo benissimo confinare l’impero Babilonese al solo regno di Nabucodonosor; o quello persiano al regno di Ciro; come anche confinare il terzo regno, la Grecia, al regno di Alessandro Magno.
#2 I successori di Alessandro non costituirono un altro regno, ma una continuazione dello stesso regno greco dell’immagine perché in questa linea profetica, la successione dei regni avviene attraverso la conquista. Quando la Persia conquistò Babilonia, si ebbe il secondo impero; e quando la Grecia conquistò la Persia, si ebbe il terzo impero. Ma i successori di Alessandro Magno (i suoi quattro generali principali) non conquistarono il suo impero e non lo sostituirono con un altro, ma semplicemente si divisero l’impero che Alessandro aveva conquistato.
Il professor H. Cowles, D.D. dice: “Cronologicamente, il quarto impero deve giungere immediatamente dopo Alessandro, e stare tra lui e la nascita di Cristo.” Cronologicamente, noi rispondiamo, non deve fare una cosa del genere, perché la nascita di Cristo non era l’introduzione del quinto regno, come si vedrà più avanti. Al professor H. Cowles sfugge quasi tutta la durata della terza parte dell’immagine, che confonde con la quarta, senza considerare la divisione dell’impero greco, come simboleggiano le quattro teste del leopardo nel capitolo 7, e le quattro corna del capro del capitolo 8.
[64]
Il professor Cowles continua: “Territorialmente, (il quarto regno) deve essere ricercato nell’Asia occidentale, non in Europa; in generale, nello stesso territorio in cui si trovavano il primo, il secondo e il terzo regno.” Noi chiediamo: Perché non l’Europa? Ciascuno dei primi tre regni possedevano un proprio territorio caratteristico. Perché non il quarto? L’analogia richiede che dovrebbe essere così. Il terzo regno non era un regno europeo? ovvero, non sorse in territorio europeo, prendendo il nome dalla sua terra nativa? Allora, perché non andare un po più a ovest, nel luogo in cui il quarto grande regno dovrebbe nascere? In che modo la Grecia occupò il territorio del primo e del secondo regno? – Soltanto attraverso la conquista. Roma fece lo stesso, quindi, per quanto riguarda i requisiti territoriali della teoria del professore H. Cowles D.D. , Roma potrebbe essere il quarto regno proprio come è vero che la Grecia potrebbe essere il terzo.
Il professor Cowles aggiunge: “Politicamente, dovrebbe essere l’immediato successore dell’impero di Alessandro, … cambiando la dinastia, ma non le nazioni.” Qui, l’analogia è contro il professor Cowles perché ciascuno dei primi tre regni era distinto da una propria caratteristica nazionale. Il persiano era diverso dal babilonese, e neppure il greco era uguale ai due regni che lo precedevano. Ora, l’analogia richiede che, anziché essere costituito da un frammento dell’impero greco, il quarto regno, debba possedere una propria nazionalità distinta dalle altre tre. Troviamo questo nel regno romano, e soltanto in esso. Ma…
#3 Il grande errore che sta alla base di questo errato sistema interpretativo è la teoria comunemente insegnata che il regno di Dio venne istituito al primo avvento di Cristo. Si può facilmente vedere quanto sia fatale per questa teoria ammettere che il quarto impero sia Roma, perché era dopo la scomparsa di quel quarto impero che il Dio del cielo doveva far sorgere il Suo regno. Ma la divisione in dieci parti dell’impero romano non avvenne prima del 476 d.C. ; di conseguenza, il regno di Dio non sarebbe potuto sorgere nel primo avvento di Cristo, quasi cinquecento anni prima di quella data. Perciò, dal loro punto di vista [cattolico romano], anche se [Roma] risponde benissimo alla profezia in ogni particolare, a Roma non deve essere consentito di [65] essere il quarto regno in questione. L’opinione che il regno di Dio era sorto nei giorni in cui Cristo era su questa terra, deve (secondo questi interpreti) essere mantenuta a tutti i costi.
Questi sono gli argomenti su cui alcuni espositori ragionano. Ed è proprio allo scopo di mantenere questa teoria che il professor Cowles sminuisce il terzo grande impero del mondo [la Grecia] con l’insignificante durata di circa otto anni! Per questo motivo, lui cerca di dimostrare che il quarto impero universale dominava nel periodo in cui la provvidenza di Dio stava semplicemente adempiendo le caratteristiche del terzo regno! Per questo motivo, lui presume di fissare i punti temporali in mezzo al quale dobbiamo cercare il quarto regno, anche se la profezia non si occupa delle date, e quindi, qualsiasi regno che lui trova all’interno del suo tempo specifico è definito come il quarto regno; inoltre, lui cerca di torcere la profezia per adattarla alla sua interpretazione, ignorando completamente quanto miglior materiale lui potrebbe trovare al di fuori della sua piccola teoria, per rispondere ad un adempimento del documento profetico. Questo comportamento è logico? Il tempo è la prima cosa da stabilire? – No! Le grandi caratteristiche della profezia sono i regni, e noi dobbiamo cercarli; e quando li troviamo, dobbiamo accettarli qualunque sia la cronologia o la posizione geografica. Lasciamoli governare il tempo e lo spazio, non che il tempo e lo spazio li governino.
Ma quel punto di vista [del signor Cowles] che è la causa di tutta questa errata applicazione e confusione, è soltanto una ipotesi. Cristo non colpì l’immagine al Suo primo avvento. Guardatelo! Quando la pietra colpisce i piedi dell’immagine, l’immagine viene sbriciolata. È usata la violenza. L’effetto è immediato. L’immagine diventa come la pula. E poi cosa accade? È assorbita dalla pietra e gradualmente incorporata in essa? Nulla del genere! L’immagine viene spazzata via, rimossa, come per un materiale incompatibile e non più disponibile per cui non si trova più posto. Il territorio è interamente purificato, e poi la pietra diventa una montagna che riempie il mondo intero. Ora, come dovremmo comprendere questa opera che “colpisce” e “sbriciola”? È un opera delicata, pacifica e tranquilla? oppure è una manifestazione di vendetta e di violenza? Come si sono succeduti i regni della profezia? [66] – È stato attraverso la violenza e il frastuono della guerra, gli scontri degli eserciti e il fragore della battaglia. “Nella mischia e ogni mantello rotolato nel sangue” [Isaia 9:5] parla della forza e della violenza
con cui una nazione è stata soggiogata dall’altra. Eppure, tutto questo non viene chiamato “colpire” o “sbriciolare”.
Quando la Persia conquistò Babilonia, e la Grecia conquistò la Persia, non viene detto che gli imperi conquistati sono stati sbriciolati, anche se vennero schiacciati sotto lo strapotere della nazione nemica. Ma quando arriviamo all’introduzione del quinto regno, l’immagine è colpita con violenza; è fatta a pezzi, ed è così dispersa e annientata che per essa non si trova più alcun luogo. Ora, cosa dobbiamo capire da tutto questo? – Dobbiamo capire che si intravede una scena in cui si manifesta molta più violenza, forza e potenza rispetto a quello che accade durante la sconfitta di una nazione a causa dell’altra attraverso la lotta della guerra, che non vale nemmeno la pena di fare un confronto. Una nazione che ne sottomette un altra attraverso la guerra è una scena pacifica e tranquilla se confrontata con quello che accade quando l’immagine è sbriciolata dalla pietra che si stacca senza mani d’uomo dalla montagna.
Ancora, cosa deve significare l’immagine colpita in base alla teoria del signor Cowles? – Oh, l’introduzione pacifica del Vangelo di Cristo! la tranquilla diffusione esterna della luce della verità nelle nazioni straniere! la riunione di poche persone dalle varie nazioni della terra che si preparano alla verità attraverso l’obbedienza per il secondo ritorno di Cristo e per il Suo regno! la tranquilla e umile formazione di una chiesa cristiana – una chiesa che è stata tiranneggiata, perseguitata e oppressa dai poteri arroganti e vincitori della terra da quel giorno sino ad oggi! E questa sarebbe l’immagine colpita! Questa è la sbriciolatura della statua con i suoi frammenti rimossi violentemente dalla faccia della terra! C’è mai stata un assurdità più assurda?
Dopo questa parentesi, torniamo alla nostra investigazione. Le dita dei piedi rappresentano le dieci parti dell’impero romano? La risposta è SI, perché:
#1 L’immagine del capitolo 2 è esattamente parallela con la visione delle quattro bestie nel capitolo 7. La quarta bestia del capitolo 7 rappresenta ugualmente le gambe di ferro dell’immagine [in Daniele 2].
[67]
Ovviamente, le dieci corna della bestia corrispondono naturalmente alle dieci dita dei piedi dell’immagine; ed è detto chiaramente che queste corna sono dieci re che dovranno sorgere; le corna sono altrettanti regni indipendenti, proprio come lo sono le bestie, dato che si parla delle bestie precisamente nello stesso modo, ovvero, come “quattro re, che sorgeranno.” (Daniele 7:17) Queste corna non indicano una linea di re successivi, ma dei re o dei regni che esistono contemporaneamente, perché tre di loro sono stati sradicati dal piccolo corno. Oltre ogni controversia, le dieci corna rappresentano i dieci regni in cui Roma era divisa.
#2 Abbiamo visto che nella sua interpretazione dell’immagine, Daniele usa le parole “re” e “regno” in maniera intercambiabile, dove “re” significa “regno” e viceversa. In Daniele 2:44 dice che “Al tempo di questi re il Dio del cielo farà sorgere un regno.” Questo ci mostra che al tempo in cui sorgerà il regno di Dio, ci saranno molti re che esisteranno contemporaneamente. Non si riferisce ai quattro regni precedenti, perché sarebbe assurdo usare un linguaggio simile verso una linea di re successivi, dato che il regno di Dio sorgerà soltanto nei giorni dell’ultimo re, non nei giorni di uno qualsiasi dei re precedenti.
Qui, dunque, è presentata una divisione; e cosa abbiamo nel simbolo per indicarla? – Nient’altro che le dita dell’immagine. Se non lo fanno, noi restiamo completamente all’oscuro sia sulla natura che sull’estensione della divisione, la cui esistenza è mostrata dalla profezia. Supporre questo, significherebbe condannare seriamente la profezia stessa. Per questo motivo, si deve concludere che le dieci dita dei piedi dell’immagine indicano le dieci parti in cui l’impero romano era diviso.1
Le dieci nazioni più coinvolte nel dividere l’impero romano, e che in qualche momento nella loro storia mantennero rispettivamente delle parti del territorio romano come regni separati e indipendenti, possono essere elencate (senza considerare il momento della loro fondazione) come segue: gli Unni, gli Ostrogoti, i Visigoti, i Vandali, i Franchi, gli Svevi [Suevi], i Burgundi, gli Eruli, gli Anglosassoni e i Longobardi. Il collegamento tra queste nazioni e alcune delle moderne nazioni europee è ancora presente nei nomi, come l’Inghilterra, la Borgogna, la Lombardia, la Francia, eccetera. Autorità come Calmet, Faber, Lloyd, Hales, Scott, Barnes eccetera, sono d’accordo nel precedente censimento. (Vedi le note conclusive di Albert Barnes su Daniele 7.)
[68]
Come obbiezione alla visione in cui le dieci dita dei piedi dell’immagine indicano i dieci regni, a volte ci viene ricordato che Roma, prima della sua divisione in dieci regni, era divisa in due parti, gli imperi d’Occidente e d’Oriente, corrispondenti alle due gambe dell’immagine; e dato che i dieci regni sorsero tutti dall’impero occidentale, se essi sono indicati dalle dita dei piedi, si sostiene che dovremmo avere tutte le dieci dita in un solo piede dell’immagine, e nessun dito nell’altro piede… cosa che sarebbe innaturale e inconsistente.
Questa obiezione si autodistrugge, perché è certo che se le due gambe indicano una divisione, anche le dita dei piedi devono indicare una divisione. Sarebbe inconsistente dire che le gambe simboleggiano divisione ma le dita dei piedi no. Ma se le dita dei piedi indicano divisione, può essere soltanto la divisione di Roma in dieci parti.
Tuttavia, l’errore che forma la base di questa obiezione, è la visione che considera le due gambe dell’immagine come un segno di separazione dell’impero romano nelle sue divisioni occidentali e orientali. Su questa visione ci sono diverse obiezioni.
#1 Le due gambe di ferro simboleggiano Roma, non soltanto durante i suoi anni finali, ma sin dall’inizio della sua esistenza come nazione; e se queste gambe indicano divisione, il regno sarebbe dovuto essere diviso sin dall’inizio della sua storia. Questa affermazione è sostenuta dagli altri simboli. Così, la divisione (ovvero, i due elementi) del regno persiano indicati dalle due corna del montone (Daniele 8:20), anche dall’orso sollevato su di un lato (Daniele 7:5), e magari anche dalle due braccia dell’immagine di questo capitolo, esistevano sin dall’inizio. La divisione del regno greco, indicata dalle quattro corna del capro e dalle quattro teste del leopardo, risale entro gli otto anni del tempo in cui era introdotta nella profezia. Quindi, Roma dovrebbe essere stata divisa sin dall’inizio, se le gambe indicano divisione anziché una unione di quasi seicento anni, separandosi nelle due parti orientali [69] e occidentali solo pochi anni prima della sua spaccatura finale in dieci regni.
#2 Nel libro di Daniele, nessuna divisione in due grandi parti è indicata dagli altri simboli che rappresentano Roma, ovvero, la bestia grande e terribile di Daniele 7,
e il piccolo corno di Daniele 8. Quindi, è ragionevole concludere che le due gambe dell’immagine non sono concepite per rappresentare una tale divisione.
Ma si potrebbe chiedere: Perché non supporre che le due gambe indicano divisione proprio come le dita dei piedi? Non sarebbe altrettanto incoerente dire che le dita dei piedi indicano divisione, ma non le gambe? oppure dire che le gambe indicano divisione, ma non le dita dei piedi? Noi rispondiamo che, in questa materia, deve essere la profezia a governare le nostre conclusioni; e anche se [la profezia] non parla di divisione in connessione con le gambe, il soggetto della divisione viene introdotto quando arriviamo ai piedi e alle dita dei piedi. È detto: “Come tu hai visto che i piedi e le dita erano in parte d’argilla di vasaio e in parte di ferro, così quel regno sarà diviso […]” Nessuna divisione può avvenire, o almeno non è detto nulla a riguardo, sino a quando non viene introdotto l’elemento debilitante dell’argilla; la divisione avviene solo quando si arriva ai piedi e alle dita dei piedi. Noi, però, non dobbiamo comprendere che l’argilla indichi una divisione e il ferro l’altra, perché dopo la lunga unità, il regno fu diviso, e nessuno dei frammenti era forte come il ferro originale, infatti, tutti erano in uno stato di debolezza indicato dalla miscela del ferro con l’argilla. Quindi, si conclude inevitabilmente che qui il profeta ha stabilito la causa [o il motivo] dell’effetto. Quando arriviamo ai piedi, l’introduzione dell’argilla, l’elemento della debolezza, risulta nella divisione del regno in dieci parti, come rappresentato dalle dieci dita dei piedi; e questo risultato, o divisione, è molto più che un suggerimento di un improvviso riconoscimento di tanti re contemporanei. Quindi, mentre non troviamo alcuna evidenza che le gambe indichino divisione (anzi, ci sono serie obiezioni a riguardo), noi pensiamo di aver trovato una buona ragione per supporre che le dita dei piedi indicano divisione.
#3 Ciascuna delle quattro monarchie ebbe il suo territorio distinto (ovvero, il suo regno) in cui [70] dobbiamo cercare gli eventi principali nella storia rappresentata dal simbolo. Per questo motivo, non si cercano le divisioni dell’impero romano nel territorio precedentemente occupato da Babilonia, o dalla Persia, o dalla Grecia, ma proprio nel territorio del regno romano, conosciuto in fine come l’impero d’Occidente. Roma conquistò il mondo, ma l’autentico regno di Roma si trova ad ovest della Grecia. Questo è ciò che le gambe di ferro rappresentavano. Lì, quindi, cerchiamo i dieci regni, e lì li troviamo. Noi non siamo obbligati a mutilare o a deformare il simbolo per renderlo un adeguata e accurata rappresentazione degli eventi storici.
“Verso 43 Come hai visto il ferro mescolato con la molle argilla, essi si mescoleranno per seme umano, ma non si uniranno l’uno all’altro, esattamente come il ferro non si amalgama con l’argilla.”
Con Roma, cadde l’ultimo impero universale appartenente al mondo nel suo stato attuale. Prima d’ora, gli elementi della società erano tali che per una nazione che diventava superiore nell’abilità, nel coraggio e nella scienza della guerra rispetto alle nazioni vicine, era possibile annetterle una dopo l’altra sino a consolidarle tutte in un unico vasto impero in cui la volontà di un uomo seduto sul trono del dominio poteva far eseguire il suo volere come legge per tutte le nazioni della terra. Quando Roma cadde, scomparve per sempre una tale possibilità. Schiacciata sotto il peso delle sue vaste proporzioni, Roma si sbriciolò, per non essere mai più unita. Il ferro era mescolato con l’argilla. I suoi elementi persero il potere dell’unione, e nessun uomo o nessuna combinazione di uomini poteva unirle nuovamente. Un altra persona ha spiegato così bene questo punto, che prendiamo piacere nel citare le sue parole:
“Da questo momento, essendo diviso, svanì l’iniziale forza dell’impero [romano]; ma non come avevano fatto gli altri. A differenza di come fecero i tre regni precedenti, nessun altro regno doveva succedergli. Il regno doveva continuare diviso in dieci parti, finché il regno di pietra ne avesse colpito i piedi, facendoli a pezzi, e disperdendoli come fa la pula sulle aie d’estate! Eppure, per tutto questo tempo, doveva restare una parte della sua forza. Così, il profeta disse: ‘E come le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte d’argilla, così quel regno sarà in parte forte e in parte fragile.’ (Daniele 2:42) [71] [72] In quale altro modo straordinario avreste potuto rappresentare i fatti? Questa divisione in dieci parti è esistita per più di millequattrocento anni. Gli uomini hanno ripetutamente sognato di riunire questi domini in un potente regno. Ci provarono Carlo Magno, Carlo V, Luigi XIV e Napoleone… ma nessuno ci riuscì. Un singolo verso della profezia era più forte di tutti loro. Il loro potere era sprecato, consumato e distrutto; i dieci regni, però, non diventarono uno. La descrizione profetica era: ‘in parte forte e in parte fragile.’ [Daniele 2:42] Riguardo questi domini, anche questo è stato un fatto storico. Con il libro di storia aperto davanti a voi, vi chiedo: Non è questa una rappresentazione esatta dei resti di questo impero una volta potente? Roma dominò con un potere illimitato; era la padrona del mondo. Il suo scettro venne rotto; il suo trono abbattuto; il suo potere portato via. Da essa si formarono dieci regni; da allora furono ‘spezzati’ e continuano ancora in questo modo, ovvero, ‘in parte fragile’ dato che le sue dimensioni sono ancora quelle che aveva il regno di ferro quando dominava. Poi è ‘in parte forte’, ovvero, anche se spezzato, ha abbastanza della forza del ferro per resistere a tutti i tentativi di unione delle sue parti. La parola di Dio dice ‘non sarà così’; e il libro di storia risponde ‘così non è stato.’
Qualcuno può dire: ‘Però, resta un altro piano. Se non ci riesce la forza, può farlo la diplomazia e la ragione: e noi le proveremo!’ Questo è stato previsto dalla profezia quando dice: ‘Essi si mescoleranno per seme umano’, ovvero, si sposeranno nella speranza di consolidare il loro potere, ed in fine, per unificare tutti questi regni divisi.
Questo piano funzionerà? – No. Il profeta risponde: ‘Non si uniranno l’uno all’altro, esattamente come il ferro non si amalgama con l’argilla.’ La storia europea è un commentario vivente dell’esatto adempimento di queste parole. Dai tempi di Canuto fino ad oggi, questa è stata la linea di condotta dei sovrani, il sentiero battuto che essi hanno percorso per poter raggiungere un potere più grande e un influenza maggiore. L’esempio più grande che la storia ha registrato [73] ai nostri giorni è il caso di Napoleone. Lui governò in uno dei regni… e attraverso l’alleanza, cercò di ottenere quello che non poteva ottenere con la forza, ovvero, costruire un impero potente e unito. Napoleone ci riuscì? – No! Proprio la potenza con cui si alleò, provocò la sua distruzione: le truppe di Blucher nel campo di Waterloo! Il ferro non si sarebbe mescolato con l’argilla. I dieci regni continuano ad esistere.
Non ci si deve sorprende se come risultato di queste alleanze, o di altre cause, questo numero [di regni] a volte cambia, perché sembra proprio quello che la profezia richiede. Il ferro era ‘mescolato con l’argilla’, e per un po di tempo non si poterono distinguere nell’immagine; ma le cose non sarebbero rimaste sempre così. ‘[Loro] non si uniranno l’uno all’altro.’ Da una parte, questa unione è impedita dalla natura dei materiali; e dall’altra, lo impedisce la parola profetica. Nonostante questo, ci doveva essere un tentativo di unione, anzi, di più, in entrambi i casi ci fu un tentativo di unione che, però, doveva fallire. Con quanta forza la storia sottolinea questa dichiarazione della parola di Dio!” – William Newton, Lectures on the First Two Visions of the Book of Daniel [Letture delle prime due visioni del libro di Daniele] pagina 34-36.
Eppure, dopo tutti questi fatti davanti a loro che affermano l’irresistibile forza della provvidenza di Dio attraverso i rovesciamenti e i cambiamenti durante i secoli, gli sforzi dei guerrieri, la diplomazia e gli intrighi delle corti e dei re, alcuni espositori moderni interpretano meravigliosamente male questa profezia quando prevedono un futuro regno universale, e indicano un sovrano europeo (persino in questi anni di declino e di decadente prestigio) come il “monarca destinato del mondo.” Essi sprecano inutilmente il fiato pubblicizzando questa teoria che deluderà le speranze o le paure di chi verrà convinto da una simile attesa.2
“Verso 44 Al tempo di questi re il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto; questo regno non sarà lasciato a un altro popolo, ma frantumerà e annienterà tutti quei regni, e sussisterà in eterno, 45 esattamente come hai visto la pietra staccarsi dal monte, [74] non per mano d’uomo, e frantumare il ferro, il bronzo, l’argilla, l’argento e l’oro. Il grande Dio ha fatto conoscere al re ciò che deve avvenire d’ora in poi. Il sogno è veritiero e la sua interpretazione è sicura«.”
Qui si raggiunge il culmine di questa stupenda profezia; e quando il tempo ci porterà alla sublime scena qui predetta, avremo raggiunto la fine della storia umana. Il regno di Dio! Un grande dono per una nuova e gloriosa dispensazione in cui il Suo popolo potrà trovare la felicità dopo questo mondo triste, degenerato e instabile. Portando il cambiamento per tutti i giusti: dalla tristezza alla gloria, dal conflitto alla pace, da un mondo corrotto ad uno santo, dalla morte alla vita, dalla tirannia e dall’oppressione alla felice libertà e ai privilegi benedetti di un regno celeste! Un cambiamento glorioso: dalla debolezza alla forza, dal cambiamento ed invecchiamento all’immutabile ed eterno!
Ma quando verrà stabilito questo regno? Possiamo sperare in una risposta a questa importante domanda riguardo la razza umana? Queste sono proprio le domande su cui la parola di Dio non ci lascia nell’ignoranza; e qui si vede il valore inestimabile di questo dono celeste. Noi non diciamo che il momento esatto è rivelato (noi sottolineiamo che non lo facciamo) sia in questa profezia che nelle altre; ma è data un idea così precisa che la generazione che vedrà lo stabilimento di questo regno lo potrà notare senza fallire, avendo la possibilità di prepararsi per avere il diritto di condividere tutte le sue glorie.
Come già spiegato, i versi dal 41 al 43 [di Daniele 2] ci riportano alla divisione dell’impero romano in dieci regni che, come già notato, avvenne tra il d.C. 351 e il 476. I re, o i regni, nei giorni in cui il Dio celeste deve far sorgere il Suo regno, sono evidentemente quei regni che sorsero dall’impero romano. Quindi, il regno di Dio qui mostrato non avrebbe potuto essere stabilito (come alcuni suppongono) ai tempi del primo avvento di Cristo, quattrocentocinquanta anni prima. Sia che applichiamo questa divisione ai dieci regni o no, è sicuro che un certo tipo di divisione doveva avvenire [75] nell’impero romano prima che il regno di Dio sorgesse, dato che la profezia dichiara espressamente “quel regno sarà diviso.” Questo è altrettanto fatale per la popolare visione, perché dopo l’unificazione dei primi elementi del potere romano sino ai giorni di Cristo, l’impero [romano] non era diviso; una cosa del genere non accadde né durante i giorni di Cristo e neppure molti anni dopo. Le guerre civili non erano divisioni dell’impero, ma soltanto gli sforzi di individui che seguivano la loro ambizione per ottenere il controllo supremo dell’impero. Le piccole rivolte occasionali nelle province lontane, soppresse con potenza e quasi con la velocità di un fulmine, non costituivano una divisione del regno. E questi sono tutti gli esempi che possono indicare l’interferenza con l’unità del regno
per più di trecento anni dopo i giorni di Cristo. Solo quest’unica considerazione è sufficiente a smentire per sempre la visione in cui il regno di Dio, che costituisce il quinto regno di questa serie in Daniele 2, sorse all’inizio dell’era cristiana. Però, si potrebbe aggiungere un ultimo pensiero:
#1 Questo quinto regno non sarebbe potuto sorgere nel primo avvento di Cristo, perché non deve esistere contemporaneamente con i governi terreni ma li deve succedere. Come il secondo regno venne dopo il primo, il terzo dopo il secondo e il quarto dopo il terzo, attraverso la violenza e la conquista; allo stesso modo il quinto regno viene dopo il quarto e non esiste contemporaneamente con esso. Il quarto regno viene prima distrutto, i frammenti vengono rimossi, il territorio viene liberato, poi viene stabilito il quinto regno come un regno che succede in ordine cronologico. Ma la chiesa è esistita contemporaneamente con i governi terreni sin da quando i governi terreni furono formati. C’è stata una chiesa sin dai tempi di Abele, di Enok, di Noè, di Abrahamo e così via sino ad oggi. No, la chiesa non è la pietra che colpisce i piedi della statua. Esisteva troppo presto in ordine di tempo e la sua opera non consiste nel colpire e vincere i governi terreni.
#2 Il quinto regno è introdotto attraverso la pietra che colpisce l’immagine. Quale parte dell’immagine viene colpita dalla pietra? I piedi e le dita dei piedi. Questi, però, non si svilupparono sino [76] a quattro secoli e mezzo dopo la crocifissione di Cristo. Ai tempi della crocifissione, l’immagine era sviluppata solo nelle cosce, per così dire; e se il regno di Dio sorse in quel tempo, se a quel tempo la pietra colpì la statua, la colpì nelle cosce, e non sui piedi, dove dice la profezia.
#3 La pietra che colpisce l’immagine si stacca dal monte, senza mano d’uomo. Nel margine si legge “Che non era in mano”. Questo mostra che il colpo non è fatto da un agente che opera per un altro, neppure attraverso la chiesa (per esempio: nelle mani di Cristo), ma è un opera che il Signore fa attraverso il Suo potere divino, senza alcun intervento umano.
#4 Inoltre, il regno di Dio è mostrato alla chiesa per dargli speranza. Il Signore non insegnò ai suoi discepoli una preghiera che in due o tre anni sarebbe diventata inutile. La richiesta può salire ugualmente dalle labbra del paziente gregge che attende in questi ultimi giorni, come dai suoi primi discepoli: “Venga il Tuo regno.” [Matteo 6:10]
#5 Abbiamo chiare dichiarazioni bibliche per stabilire le seguenti affermazioni: 1. Al momento della Pasqua del nostro Signore, il regno era ancora nel futuro. (Matteo 26:29); 2. Cristo non lo fece sorgere prima della Sua ascensione. (Atti 1:6); 3. Carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio. (1Corinzi 15:50); 4. La promessa riguarda gli apostoli e tutti coloro che amano Dio. (Giacomo 2:5); 5. Il regno di Dio è promesso in futuro al piccolo gregge. (Luca 12:32); 6. I santi vi entreranno attraverso molte tribolazioni. (Atti 14:22); 7. Il regno deve sorgere quando Cristo giudicherà i vivi e i morti. (2Timoteo 4:1); 8. Questo deve accadere quando Cristo verrà nella Sua gloria con tutti i Suoi santi angeli. (Matteo 25:31-34)
Supponendo di essere contro la visione di cui abbiamo appena parlato, ci si potrebbe chiedere se l’espressione “regno dei cieli” si applichi alla chiesa nel Nuovo Testamento. In alcuni casi può essere, ma in altri è evidente che non lo può. Nei versi decisivi sopra citati, in cui si mostra che la promessa era ancora valida
anche dopo che la chiesa era completamente stabilita, che la morte non può ereditarla, e che deve sorgere solo quando arriverà il nostro Signore per il giudizio, [77] non ci si può riferire a nessuno stato o a nessuna organizzazione qui sul pianeta terra.
Il nostro obiettivo è di assicurarci cosa costituisce il regno di Daniele 2:44; e abbiamo visto che la profezia ci vieta completamente di applicarlo alla chiesa, dato che, in base ai termini della stessa profezia, ci è vietato di cercare quel regno sino a più di quattrocento anni dopo la crocifissione di Cristo e lo stabilimento della chiesa del Vangelo. Perciò, se in alcune espressioni del Nuovo Testamento la parola “regno” può essere stata applicata all’opera della grazia di Dio o alla diffusione del Vangelo, in questo caso non può essere il regno citato in Daniele 2. Questo [regno] può essere solamente l’autentico regno futuro della gloria di Cristo, così spesso mostrato sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.
Si potrebbe ancora obbiettare che quando la pietra colpisce l’immagine, vengono frantumati insieme il ferro, il bronzo, l’argento e l’oro, quindi, la pietra deve aver colpito l’immagine quando esistevano tutte queste parti. In risposta, noi chiediamo: Cosa si intende per la frantumazione di questi metalli? Significa che proprio quelle persone che costituirono il regno d’oro saranno vive quando l’immagine viene sbriciolata? – No! altrimenti l’immagine copre soltanto la durata di una singola generazione. Significa che quel [regno d’oro] deve essere un regno dominante? – No! perché vi è una successione di regni sino ad arrivare al quarto. Nella supposizione, allora, che il quinto regno era sorto al primo avvento [di Cristo], in che senso l’ottone, l’argento e l’oro esistevano a quei tempi più che al tempo presente? Si riferisce al tempo della seconda risurrezione, quando tutte queste nazioni malvagie saranno riportate in vita? – No! perché la distruzione dei governi terreni nell’attuale condizione, che qui è simboleggiata dall’immagine colpita, accade certamente alla fine di questa dispensazione; e nella seconda risurrezione spariranno le distinzioni nazionali.
Nel punto che consideriamo non esiste davvero alcuna obiezione perché, in un certo senso, tutti i regni simboleggiati dall’immagine esistono ancora. La Caldea e l’Assiria sono ancora le prime parti dell’immagine; la Medo-Persia è la seconda parte; la Macedonia, la Grecia, la Tracia, l’Asia Minore e l’Egitto sono la terza parte. È vero che [78] la vita politica e il dominio sono passati da l’uno all’altro, finché, per quanto riguarda l’immagine, ora è tutto concentrato nelle parti del quarto regno; ma le altre [nazioni], geograficamente e materialmente, anche se non hanno più il dominio, sono ancora là, e verranno sbriciolate tutte insieme quando è introdotto il quinto regno.
Sempre come obiezione, si può chiedere: Al tempo in cui doveva sorgere il regno di Dio, i dieci regni non sono scomparsi tutti? e se il regno di Dio non è ancora sorto, secondo la visione qui sostenuta, la profezia ha fallito? Rispondiamo: Quei regni non sono ancora spariti perché siamo ancora nei giorni di quei re. La seguente illustrazione del dottor Nelson “Cause and Cure of Infidelity” [La causa e la cura dell’infedeltà] pagina 374 e 375, chiarirà l’argomento:
“Supponiamo che alcune deboli persone debbano soffrire a causa delle quasi costanti invasioni di nemici numerosi e feroci. Supponiamo che qualche principe potente e benevolo voglia proteggerli per un certo numero di anni, diciamo trenta, istituendo dieci presidi lungo la frontiera, ognuno dei quali contiene cento uomini ben armati. Supponiamo che i presidi sono costruiti e stabiliti per alcuni anni, quando due di questi vengono distrutti e ricostruiti senza ritardo; in questo caso,
il sovrano ha violato la sua parola? – No! perché la continuità della protezione non è stata interrotta, ed inoltre, la parte più importante della protezione era ancora lì presente. Ancora, supponiamo che al monarca vengano distrutti due presidi, ma, stando nelle vicinanze, lui li ricostruisca subito più grandi e migliori; la promessa è ancora valida? Rispondiamo affermativamente, e crediamo che nessuno possa non essere d’accordo con noi. Infine, supponiamo che, oltre ai dieci presidi, possa essere mostrato che per molti mesi durante i trenta anni, ne fosse stato mantenuto uno in più; e che per uno o due anni oltre i trenta, lì ci fossero stati undici fortificazioni anziché dieci; dobbiamo definirla una sconfitta o un fallimento del progetto originale? O qualunque apparente interruzione, come è stato detto, distruggerà la correttezza [79] di come noi definiamo questi dieci presidi della frontiera? Senza alcun dubbio, la risposta è NO.
Così è, ed è stato, riguardo ai dieci regni europei una volta sotto il potere romano. Questi esistono da milleduecentosessanta anni. Se molti regni cambiarono il loro nome a causa del capriccio di chi le conquistò, questo cambiamento di nome non ne distrusse l’esistenza. Se altri regni avevano i loro confini cambiati, la nazione era ancora lì. Se altri regni caddero mentre nelle loro stanze si formavano i successori, le dieci corna erano ancora lì. Se, nel corso di pochi anni su mille, ci furono più di dieci regni perché qualche potere si riprese temporaneamente, rivendicando il suo posto per poi sparire di nuovo, questo non fece perdere delle corna alla bestia.”
Scott osserva:
“È sicuro che l’impero romano era diviso in dieci regni; e anche se a volte erano di più e a volte di meno, ciononostante, essi erano ancora conosciuti come i dieci regni dell’impero d’Occidente.”
In questo modo, il soggetto viene liberato da ogni difficoltà. Il tempo ha sviluppato pienamente tutte le parti di questa grande immagine che rappresenta rigorosamente gli importanti eventi politici che doveva simboleggiare. Si erge completamente sui suoi piedi. È stata in piedi per più di 1400 anni; e aspetta di essere colpita nei piedi dalla pietra tagliata senza mano d’uomo, ovvero, dal regno di Cristo. Questo deve essere compiuto quando il Signore sarà rivelato nel fuoco fiammeggiante, vendicandosi su coloro che non conoscono Dio e che non ubbidiscono al Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo. (Salmi 2:8,9) Nei giorni di questi re, il Dio celeste farà sorgere un regno. I tempi di questi re sono durati per oltre quattordici secoli, e noi siamo ancora nei loro giorni. Per quanto riguarda questa profezia, il prossimo evento riguarda la fondazione del regno eterno di Dio. Altre profezie e innumerevoli segni mostrano inequivocabilmente la sua imminente vicinanza.
Il regno imminente! Questo dovrebbe essere l’argomento principale della generazione attuale. Lettore, lettrice, sei pronto/a per quello che deve accadere? Chi entra in questo regno non vi entra [80] per una durata della vita che gli uomini vivono allo stato presente, non lo vedranno degenerare, non lo vedranno sconfitto da un successivo regno più forte; ma vi si entrerà per partecipare a tutti i suoi privilegi e benedizioni, e per condividere le sue glorie per sempre perché questo regno non sarà “lasciato ad un altro popolo.” [Daniele 2:44] Ti chiediamo nuovamente: sei pronto/a? Le regole per l’eredità sono le più liberali: “Ora, se siete di Cristo, siete dunque progenie d’Abrahamo ed eredi secondo la promessa.” [Galati 3:29] State seguendo le regole dell’amicizia con Cristo, il futuro Re? Amate il Suo carattere? State cercando di camminare umilmente nelle Sue orme, ubbidendo ai Suoi insegnamenti? In caso contrario,
leggi il tuo destino nella parabola che dice: “Conducete qui i miei nemici, che non hanno voluto che io regnassi su di loro e uccideteli alla mia presenza.” [Luca 19:27] Se diventi nemico del regno di Dio, non troverai alcun regno rivale in cui poterti rifugiare, perché il regno celeste deve occupare tutto il territorio posseduto da tutti i regni terreni passati o presenti. [Il regno di Dio] deve riempire tutta la terra. Saranno felici coloro a cui il legittimo sovrano, il Re che ha conquistato tutto, potrà finalmente dire: “Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo.” [Matteo 25:34]
“Verso 46 Allora il re Nebukadnetsar cadde sulla sua faccia e si prostrò davanti a Daniele; quindi ordinò che gli presentassero un’offerta e dell’incenso. 47 Il re parlò a Daniele e disse: »In verità il vostro Dio è il Dio degli dei, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti, poiché tu hai potuto rivelare questo segreto«. 48 Allora il re rese Daniele grande, gli diede molti e grandi doni, lo fece governatore di tutta la provincia di Babilonia e capo supremo di tutti i savi di Babilonia. 49 Inoltre, dietro richiesta di Daniele, il re prepose Shadrak, Meshak e Abednego all’amministrazione degli affari della provincia di Babilonia. Daniele invece rimase alla corte del re.”
Ci siamo soffermati abbastanza sull’interpretazione del sogno che Daniele fece conoscere al monarca caldeo. Da qui, ora dobbiamo ritornare al palazzo di Nabucodonosor, in cui Daniele aveva fatto conoscere il sogno e la sua interpretazione al re, mentre i cortigiani, gli indovini e gli astrologi confusi aspettavano in silenziosa riverenza e meraviglia.
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Ci si può attendere che un ambizioso monarca, elevato al più alto trono terreno, e nel pieno del suo ininterrotto successo, avrebbe a malapena tollerato di sentirsi dire che il suo regno (che senza dubbio sperava sarebbe durato per sempre) doveva essere sconfitto da un altro popolo; eppure Daniele dice chiaramente e coraggiosamente queste cose al re che, lungi dall’essere offeso, si inchina davanti al profeta di Dio per adorarlo. Indubbiamente, Daniele aveva subito revocato l’ordine che il re aveva emanato per rendergli onori divini. Nel verso 47 è evidente che Daniele aveva detto al re qualcosa che qui non è documentata: “Il re parlò a Daniele” eccetera. Si può anche dedurre che Daniele aveva fatto in modo di portare i sentimenti di riverenza che il re aveva nei suoi confronti verso il Dio del cielo, perché il re risponde: “In verità il vostro Dio è il Dio degli dei, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti, poiché tu hai potuto rivelare questo segreto.”
Poi il re fece diventare Daniele un uomo importante. Ci sono due cose che in questa vita possono rendere un uomo grande, e Daniele le ricevette entrambe dal re: #1 La ricchezza. Un uomo è considerato grande se è ricco; e si legge che il re gli diede molti e grandi doni. #2 La potenza. Se, oltre alla ricchezza, un uomo ha anche il potere, certamente la stima popolare lo considera un grande uomo; e Daniele ricevette abbondantemente il potere. Lui venne fatto governatore dell’intera provincia di Babilonia, e capo dei governatori su tutti i saggi di Babilonia.
Daniele iniziò ad essere ricompensato molto rapidamente e abbondantemente per non aver tradito la propria coscienza e le esigenze di Dio. Balaam desiderò fortemente i regali di un re pagano, e cercò di ottenerli nonostante la chiara volontà contraria del Signore, così fallì miseramente. Daniele non agiva con l’intenzione di ottenere questi doni; ma dato che mantenne la sua integrità con il Signore,
questi gli vennero dati abbondantemente. Il suo avanzamento, sia per quanto riguarda la ricchezza che il potere, era una cosa di non piccola importanza per lui, perché gli permise di essere utile ai suoi connazionali meno favoriti di lui nella loro lunga schiavitù.
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Daniele non si confuse, né si intossicò a motivo della sua eccezionale vittoria e del suo meraviglioso avanzamento. Prima di tutto, si ricordò dei suoi tre compagni che, come lui, stavano in ansia per la questione del re; e dato che essi avevano aiutato Daniele con le loro preghiere, lui volle condividere i suoi onori con loro. Su richiesta di Daniele, i suoi compagni furono posti sopra gli affari di Babilonia, mentre lui rimase alla corte del re. La corte era il luogo in cui si svolgevano i consigli e dove si decidevano le questioni più importanti. Il documento biblico dice semplicemente che Daniele diventò il capo consigliere del re.
NOTE
1 (pag. 67) – Questa divisione si è adempiuta tra gli anni 351 e 476 d.C. L’era di questo scioglimento copre quasi centocinquanta anni, da circa la metà del IV secolo, a quasi la fine del quinto. Nessuno storico di cui siamo a conoscenza, colloca l’inizio di questa opera di smembramento dell’impero romano prima del 351 d.C. , e nessuno assegna la sua fine a una data che va oltre il d.C. 476. Per quanto riguarda le date intermedie, cioè il tempo preciso da cui ognuno dei dieci regni che sorsero dalle rovine dell’impero romano deve essere datato, vi è una certa differenza di opinioni tra gli storici. Questo non è strano, quando consideriamo che quella era un epoca di grande confusione, e che la mappa dell’impero romano in quel periodo subì molti cambiamenti improvvisi e violenti, e che i percorsi delle nazioni ostili presenti sul suo territorio si incrociarono e si ri-incrociarono l’una con l’altra in un labirinto di confusione. Tutti gli storici, però, concordano nel fatto che dal territorio della Roma occidentale, in definitiva si stabilirono dieci regni separati, e li possiamo tranquillamente datare al tempo che sta nel mezzo delle date estreme sopracitate; ovvero 351 e 476 d.C.
2 (pag. 73) – Poco dopo che questa cosa fu scritta, Napoleone III, il “monarca destinato del mondo” fu deposto e morì in un ignobile esilio, mentre suo figlio, l’erede, morì ucciso dai selvaggi in Africa.
[83]
“Verso 1 Il re Nebukadnetsar fece costruire un’immagine d’oro, alta sessanta cubiti, e larga sei cubiti, e la fece erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia.”
Esiste una congettura che questa immagine abbia qualche riferimento con il sogno del re descritto nel capitolo precedente, e che, secondo la cronologia biblica, sia stata eretta solo 23 anni dopo. In quel sogno, la testa era d’oro, e rappresentava il regno di Nabucodonosor. Questa venne succeduta da metalli di qualità inferiore, indicando una successione di regni. Senza dubbio, Nabucodonosor era molto soddisfatto che il suo regno venisse rappresentato dall’oro, ma sapere di dover essere succeduto da un altro regno non era molto piacevole. Per questo motivo, anziché avere semplicemente la testa d’oro, lui fece costruire una statua tutta d’oro, per indicare che l’oro della testa si sarebbe esteso attraverso tutta l’immagine, o in altre parole, che il suo regno non sarebbe stato succeduto da un altro regno, ma sarebbe rimasto per sempre. È probabile che l’altezza di cui si parla (la stima più bassa dice 30 metri) non fosse la corretta altezza dell’immagine [84] [85] perché includeva anche il piedistallo. Non è neppure probabile che la stessa immagine fosse d’oro massiccio. Si sarebbe potuto coprire la statua con delle lamelle d’oro, ben unite, che avrebbero minimizzato il costo
senza diminuirne il valore dell’aspetto esteriore.
“Verso 2 Poi il re Nebukadnetsar mandò a radunare i satrapi, i prefetti, i governatori, i giudici, i tesorieri, i consiglieri di stato gli esperti nella legge e tutte le autorità delle province, perché venissero alla inaugurazione dell’immagine che il re Nebukadnetsar aveva fatto erigere. 3 Allora i satrapi, i prefetti e i governatori, i giudici, i tesorieri, i consiglieri di stato, gli esperti della legge e tutte le autorità delle province si radunarono insieme per l’inaugurazione dell’immagine, fatta erigere dal re Nebukadnetsar, e si misero in piedi davanti all’immagine che Nebukadnetsar aveva fatto erigere. 4 Quindi l’araldo gridò a gran voce: »A voi, popoli, nazioni e lingue è ordinato che, 5 appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio della zampogna e di ogni genere di strumenti, vi prostriate per adorare l’immagine d’oro che il re Nebukadnetsar ha fatto erigere; 6 chiunque non si prostrerà per adorare, sarà subito H8160 gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente«. 7 Così, non appena tutti i popoli udirono il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio e di ogni genere di strumenti, tutti i popoli, nazioni e lingue si prostrarono e adorarono l’immagine d’oro, che il re Nebukadnetsar aveva fatto erigere.” [H8160 “Shâ’âh” = (Aramaico) “breve periodo”, “momento”, “ora” intesa come unità di misura del tempo]
L’inaugurazione di questa immagine venne resa una grande evento. Furono radunati assieme gli uomini più importanti di tutto il regno; l’uomo si sottoporrà a tanta fatica e spese per sostenere i sistemi di adorazione idolatri e pagani. Così è, ed è sempre stato. Peccato che, riguardo questi aspetti, coloro che hanno la vera religione debbano essere superati da coloro che praticano il falso e il contraffatto! L’adorazione era accompagnata dalla musica; e chiunque non vi avesse partecipato
era minacciato con una fornace ardente. Queste sono sempre le motivazioni più forti che spingono gli uomini in qualsiasi direzione: il piacere da una parte, e il dolore dall’altra. Il verso 6 contiene la prima citazione che si trova nella Bibbia riguardo la divisione del tempo in ore. Probabilmente era l’invenzione dei Caldei.
“Verso 8 Per questa ragione in quel momento, alcuni Caldei si fecero avanti e accusarono i Giudei; 9 prendendo la parola dissero al re Nebukadnetsar: »O re, possa tu vivere per sempre! 10 Tu, o re, hai emanato un decreto, in forza del quale chiunque ha udito il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, [86] della zampogna e di ogni genere di strumenti deve prostrarsi e adorare l’immagine d’oro; 11 e chiunque non si prostra e non adora, deve essere gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente. 12 Or ci sono alcuni Giudei che tu hai preposto all’amministrazione degli affari della provincia di Babilonia, Shadrak, Meshak e Abed-nego, questi uomini, o re, non prestano alcuna considerazione a te; non servono i tuoi dei e non adorano l’immagine d’oro che hai fatto erigere«.”
Probabilmente, questi Caldei che accusarono i giudei erano la setta di filosofi con quello stesso nome, che stavano ancora soffrendo per l’imbarazzo del loro ignobile fallimento riguardo la loro interpretazione del sogno del re del capitolo 2. Essi erano ansiosi di cogliere qualsiasi pretesto per accusare gli Ebrei davanti al re e per disonorarli o distruggerli. Essi fecero leva sul pregiudizio del re attraverso le forti insinuazioni della loro ingratitudine: “Tu li hai preposti all’amministrazione degli affari della provincia di Babilonia, ma nonostante questo, ti hanno ignorato.” Non si sa dove si trovasse Daniele in questa occasione. Probabilmente lui era assente per alcuni affari dell’impero la cui importanza richiedeva la sua presenza. Ma perché Shadrak, Meshak e Abed-nego, sapendo di non poter adorare l’immagine, erano presenti in quell’occasione? Non era perché loro erano disposti a rispettare, per quanto possibile, le richieste del re senza compromettere i loro principi religiosi? Il re richiedeva la loro presenza. Essi poterono rispettare queste richieste, e lo fecero. Il re richiedeva loro di adorare l’immagine. La loro religione proibiva questo, e pertanto essi si rifiutarono di farlo.
“Verso 13 Allora Nebukadnetsar, adirato e furibondo, comandò di far venire Shadrak, Meshak e Abed-nego; così questi uomini furono condotti davanti al re. 14 Nebukadnetsar rivolse loro la parola, e disse loro: »Shadrak, Meshak e Abed-nego, è vero che non servite i miei dei e non adorate l’immagine d’oro che io ho fatto erigere? 15 Ora, non appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della zampogna e di ogni genere di strumenti, se siete pronti a prostrarvi per adorare l’immagine che io ho fatto, bene; ma se non l’adorate, sarete subito gettati in mezzo a una fornace di fuoco ardente; e qual è quel dio che potrà liberarvi dalle mie mani?«. 16 Shadrak, Meshak e Abed-nego risposero al re, dicendo: »O Nebukadnetsar, noi non abbiamo bisogno di darti risposta in merito a questo. 17 Ecco, il nostro Dio, che serviamo, è in grado di liberarci dalla fornace di fuoco ardente e ci libererà dalla tua mano, o re. 18 Ma anche se non lo facesse, sappi [87] o re, che non serviremo i tuoi dei e non adoreremo l’immagine d’oro che tu hai fatto erigere«.”
La tolleranza del re appare quando, dopo la prima disubbidienza, concede a Shadrak, Meshak e Abed-nego un altra possibilità per obbedire alle sue richieste. Senza dubbio, la questione era stata pienamente compresa, e loro non potevano usare la scusa dell’ignoranza. Essi sapevano quello che il re voleva, quindi il loro rifiuto di obbedire era un atto intenzionale e deliberato. Con la maggior parte dei re,
questo gesto sarebbe stato sufficiente a suggellare il loro destino. Ma no, dice Nabucodonosor, io dimenticherò questo reato se, alla seconda prova loro si conformeranno alla legge. Ma Shadrak, Meshak e Abed-nego informarono il re di non disturbarsi nel ripetere la farsa. “Noi non abbiamo bisogno di darti risposta in merito a questo”, ovvero: “Non c’è bisogno di concederci il favore di un altra possibilità perché siamo sicuri; e questo vale sia oggi che in futuro; e la nostra risposta è: Noi non serviremo i tuoi dei e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto perché il nostro Dio, se vuole, ci può liberare; ma se così non fosse, è proprio la stessa cosa perché noi conosciamo la Sua volontà e dovremmo obbedirlo senza alcuna condizione.” La loro risposta era onesta e decisa.
“Verso 19 Allora Nebukadnetsar fu ripieno di furore e l’espressione del suo volto mutò nei riguardi di Shadrak, Meshak e Abed-nego. Riprendendo la parola comandò di riscaldare la fornace sette volte più di quanto si soleva riscaldarla. 20 Comandò quindi ad alcuni uomini forti e valorosi del suo esercito di legare Shadrak, Meshak e Abed-nego e di gettarli nella fornace di fuoco ardente. 21 Allora questi tre uomini furono legati con i loro calzoni, le loro tuniche, i loro copricapo e tutte le loro vesti e furono gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente. 22 Ma poiché l’ordine del re era duro e la fornace era estremamente surriscaldata, la fiamma del fuoco uccise gli uomini che vi avevano gettato Shadrak, Meshak e Abed-nego. 23 E questi tre uomini, Shadrak, Meshak e Abed-nego, caddero legati in mezzo alla fornace di fuoco ardente. 24 Allora il re Nebukadnetsar, sbalordito, si alzò in fretta e prese a dire ai suoi consiglieri: »Non abbiamo gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?«. Essi risposero e dissero al re: »Certo, o re«. 25 Egli riprese a dire: »Ecco, io vedo quattro uomini slegati, che camminano in mezzo al fuoco, e non hanno subito alcun danno; e l’aspetto del quarto è simile a quelloH1821 di un figlioH1247 di DioH426«.” [H1821 Damah = (Aramaico) “rassomigliare” o “essere come” ; H1247 Bar = (Aramaico) “figlio”, equivale alla radice greca G5207 “huiós” = “figlio”, “figlio dell’uomo”, “figlio di Dio” ; H426 ‘elahh = (Aramaico) “Dio di Israele”, “dio pagano”]
Nabucodonosor non era del tutto esente dagli errori e dalle follie in cui un monarca assoluto incorre facilmente. Intossicato [88] [89] da un potere illimitato, non poteva tollerare la disobbedienza o la contraddizione. Lasciate che la sua espressa autorità sia resistita, qualunque sia il buon argomento, ed egli mostrerà la debolezza comune alla nostra umanità decaduta sotto circostanze simili, scivolando nella collera. Pur essendo il dominatore del mondo, egli non riusciva nel compito ancora più difficile di governare il suo stesso spirito. Era cambiata persino l’espressione del suo volto. Anziché essere il sovrano calmo, dignitoso e moderato che avrebbe dovuto apparire, egli si tradì nell’aspetto e nelle azioni come lo schiavo di una collera ingovernabile.
La fornace venne riscaldata sette volte più del normale, in altre parole, sino alla sua massima capacità. Il re esagerò in questo, dato che anche se il fuoco avesse avuto il suo effetto ordinario su coloro che fossero stati gettati dentro la fornace, li avrebbe solamente distrutti prima. Il re non avrebbe guadagnato nulla da questo. Ma vedere che i tre erano stati salvati dalla fornace ardente, fece guadagnare molto alla causa di Dio e della Sua verità, perché più alta era la temperatura, più grande e impressionante sarebbe stato il miracolo della loro salvezza. Ogni circostanza era calcolata per mostrare il potere diretto di Dio. Essi vennero buttati con tutti i loro indumenti, ma ne uscirono senza nemmeno l’odore del fuoco addosso. Per gettarli nel fuoco furono scelti gli uomini più forti dell’esercito, ma costoro morirono prima ancora di venire a contatto con le fiamme, mentre sugli Ebrei non ebbe alcun effetto,
sebbene fossero nel bel mezzo delle sue fiamme. Era evidente che il fuoco fosse controllato da qualche intelligenza sovrannaturale, perché mentre aveva effetto sulle corde che li legavano, distruggendole e permettendo loro di passeggiare liberamente in mezzo al fuoco, questo non bruciò le loro vesti. Non appena liberi, i tre giudei non uscirono fuori dalla fornace ardente perché #1 il re li aveva messi dentro, quindi, era suo dovere chiamarli fuori; e #2 la figura della quarta persona era con loro, e in Sua presenza potevano essere felici e gioiosi sia dentro la fornace ardente che nelle delizie e nel lusso del palazzo. Lasciamo che “la figura del quarto” sia con noi in tutte le nostre prove, afflizioni, persecuzioni e ristrettezze; ed è abbastanza.
[90]
Il re disse: “E l’aspetto del quarto è simile a quello di un figlio di Dio.” Per alcuni, questo linguaggio dovrebbe riferirsi a Cristo, ma è improbabile che il re avesse una qualche idea del Salvatore. Secondo fonti autorevoli, una migliore traduzione sarebbe “come un figlio degli dei” cioè, aveva l’aspetto di un essere soprannaturale o divino. In seguito, Nabucodonosor lo definì un angelo.
La liberazione di questi validi uomini dalla fornace ardente era un duro rimprovero alla follia e pazzia del re! Una potenza superiore a qualsiasi altra sulla terra aveva difeso coloro che resistevano fermamente contro l’idolatria, riversando [il Suo] disprezzo sul culto e le esigenze del re. Nessuno degli dei pagani avevano mai portato una liberazione di quel tipo, e mai sarebbero stati in grado di farlo.
“Verso 26 Poi Nebukadnetsar si avvicinò all’apertura della fornace di fuoco ardente e prese a dire: »Shadrak, Meshak e Abed-nego, servi del Dio Altissimo, uscite e venite qui«. Allora Shadrak, Meshak e Abed-nego uscirono di mezzo al fuoco. 27 Quindi i satrapi, i prefetti, i governatori e i consiglieri del re si radunarono per osservare quegli uomini: il fuoco non aveva avuto alcun potere sul loro corpo, i capelli del loro capo non erano stati bruciati, i loro mantelli non erano stati alterati e neppure l’odore di fuoco si era posato su di loro. 28 Allora Nebukadnetsar prese a dire: »Benedetto sia il Dio di Shadrak, Meshak e Abed-nego, che ha mandato il suo angelo e ha liberato i suoi servi, che hanno confidato in lui; hanno trasgredito l’ordine del re e hanno esposto i loro corpi alla morte, piuttosto che servire e adorare altro dio all’infuori del loro Dio. 29 Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, dirà male del Dio di Shadrak, Meshak e Abed-nego, sia tagliato a pezzi e la sua casa sia ridotta in un letamaio, perché non c’è nessun altro Dio che possa salvare in questo modo«. 30 Allora il re promosse Shadrak, Meshak e Abed-nego nella provincia di Babilonia.”
All’ordine del re, questi tre uomini uscirono dalla fornace. Poi, i principi, i governatori e i consiglieri del re, che consigliarono o fecero in modo di farli gettare nella fornace (perché il re disse loro, al verso 24: “Non abbiamo gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?”), si radunarono per guardare questi tre uomini, avendo così la prova visiva e tangibile della loro meravigliosa preservazione. Il culto della grande immagine fu dimenticato. Tutto [91] l’interesse di questa grande riunione di gente ora si concentrava su questi tre straordinari uomini. Tutti i pensieri e le menti degli uomini furono catturati da questo meraviglioso evento; e quando costoro avrebbero fatto ritorno alle loro rispettive province, la sua conoscenza sarebbe stata diffusa attraverso tutto l’impero! Che esempio notevole in cui Dio venne lodato attraverso l’ira dell’uomo! Il re, quindi, benedisse il Dio di Shadrak, Meshak e Abed-nego, e fece un decreto che vietava a chiunque di parlar male di Lui. Senza dubbio, i Caldei lo avevano fatto. In quei giorni, ogni nazione aveva il suo dio
o i suoi dei, perché c’erano “molti dei e molti signori” [1Corinzi 8:5], e si pensava che la vittoria di una nazione sopra l’altra dipendesse dal fatto che gli dei della nazione conquistata non fossero stati in grado di liberarli dai loro conquistatori. Gli Ebrei furono completamente soggiogati dai Babilonesi che, senza dubbio, disprezzarono o offesero il Dio degli Ebrei. Ora, però, il re lo proibisce, perché è chiaro che il suo successo contro gli Ebrei era stato causato dai loro peccati, non dalla mancanza di potere da parte del loro Dio. Ora si capisce chiaramente quanto il Dio degli Ebrei sia superiore rispetto agli dei delle nazioni! Era stato riconosciuto che Dio ritiene l’uomo responsabile verso qualche importante principio di regola morale, e non resta indifferente alle loro azioni a riguardo, dato che Lui avrebbe punito coloro che l’avrebbero trasgredito, e conseguentemente avrebbe riversato la sua benedizione su coloro che l’avrebbero seguito. Se questi Ebrei fossero stati degli opportunisti, il nome del vero Dio non sarebbe stato esaltato in Babilonia. Quale onore il Signore pone su coloro che gli sono fedeli !
Il re li promosse, ovvero, riaffidò loro la posizione che occupavano prima di ricevere le accuse di disobbedienza e di tradimento. Alla fine del verso 30, la Septuaginta aggiunge: “E lui li fece avanzare come governatori su tutti gli Ebrei che erano nel suo regno.” Non è probabile che il re insistette ancora sull’adorazione della sua immagine.
[92]
“Verso 1 »Il re Nebukadnetsar a tutti i popoli, a tutte le nazioni e lingue, che abitano su tutta la terra: la vostra pace sia grande. 2 Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i prodigi che il Dio Altissimo ha fatto per me. 3 Quanto grandi sono i suoi segni e quanto potenti i suoi prodigi! Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio dura di generazione in generazione.”
Il dottor Adam Clarke dice che questo capitolo inizia con “un decreto ordinario, uno dei più antichi documenti” che proveniva direttamente dalla penna di Nabucodonosor e che fu promulgato nel modo consueto. Egli desiderava far conoscere, non a poche persone, ma a tutti i popoli, nazioni e lingue, le meravigliose relazioni che Dio ebbe con lui. La gente è sempre pronta a parlare dei benefici e delle benedizioni che Dio ha fatto per loro. Ma con la stessa prontezza, dobbiamo anche raccontare quello che Dio ha fatto per umiliarci e castigarci; e in questo, Nabucodonosor ci ha dato un buon esempio, [93] come vedremo dalle parti successive di questo capitolo. Lui confessa francamente la vanità e l’orgoglio del suo cuore, e anche il modo in cui Dio lo umiliò. Essendo sinceramente pentito e umiliato, il re pensa spontaneamente che sia buono mostrare queste cose, affinché la sovranità di Dio possa essere esaltata, e il Suo nome adorato. Il re non pretende più l’immutabilità per il suo regno, ma si abbandona completamente a Dio, riconoscendo che solo il Suo regno e il Suo dominio sono eterni di generazione in generazione.
“Verso 4 Io, Nebukadnetsar, ero tranquillo in casa mia e fiorente nel mio palazzo. 5 Feci un sogno che mi spaventò; i pensieri che ebbi sul mio letto e le visioni della mia mente mi terrorizzarono. 6 Così diedi ordine di condurre davanti a me tutti i savi di Babilonia, perché mi facessero conoscere l’interpretazione del sogno. 7 Allora vennero i maghi, gli astrologi, i Caldei e gli indovini, ai quali raccontai il sogno, ma essi non poterono farmi conoscere la sua interpretazione. 8 Infine si presentò davanti a me Daniele, chiamato Beltshatsar dal nome del mio dio, e in cui è lo spirito degli dei santi, e io gli raccontai il sogno: 9 Beltshatsar, capo dei maghi, poiché io so che lo spirito degli dei santi è in te e che nessun segreto ti preoccupa, raccontami le visioni del mio sogno che ho fatto e la sua interpretazione. 10 Le visioni della mia mente mentre ero sul mio letto sono queste: io guardavo, ed ecco un albero in mezzo alla terra, la cui altezza era grande. 11 L’albero crebbe e divenne forte; la sua cima giungeva al cielo e si poteva vedere dalle estremità di tutta la terra. 12 Il suo fogliame era bello, il suo frutto abbondante e in esso c’era cibo per tutti; sotto di esso trovavano ombra le bestie dei campi, gli uccelli del cielo dimoravano fra i suoi rami e da lui prendeva cibo ogni essere vivente. 13 Mentre sul mio letto osservavo le visioni della mia mente, ecco un guardiano, un santo, scese dal cielo, 14 gridò con forza e disse così: »Tagliate l’albero e troncate i suoi rami,
scuotete le sue foglie e disperdetene i frutti; fuggano gli animali di sotto a lui e gli uccelli di tra i suoi rami. 15 Lasciate però nella terra il ceppo delle sue radici, legato con catene di ferro e di bronzo fra l’erba dei campi. Sia bagnato dalla rugiada del cielo e abbia con gli animali la sua parte nell’erba della terra. 16 Il suo cuore sia cambiato, e invece di un cuore d’uomo gli sia dato un cuore di bestia e passino su di lui sette tempi. 17 Questa cosa è decisa da un decreto dei guardiani e la sentenza viene dalla parola dei santi perché i viventi sappiano che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole, e vi innalza l’infimo degli uomini« 18 Questo è il sogno che io, re Nebukadnetsar, ho fatto. Ora tu, Beltshatsar, [94] danne l’interpretazione, perché nessuno dei savi del mio regno è in grado di farmi conoscere l’interpretazione; ma tu lo puoi, perché lo spirito degli dei santi è in te«.”
Negli eventi qui narrati, si possono notare diversi punti importanti.
#1 Nabucodonosor si riposava a casa sua. Egli aveva compiuto con successo tutte le sue imprese: sottomise la Siria, la Fenicia, la Giudea, l’Egitto e l’Arabia. Probabilmente furono queste grandi conquiste che lo fecero esaltare, portandolo ad essere vanitoso e sicuro in se stesso. E proprio in questo momento, quando lui si sentiva in pace e sicuro, nel momento meno probabile in cui avrebbe avuto un pensiero che disturbasse la sua tranquillità auto-compiacente… proprio in questo momento, Dio lo agita con paure e presagi.
#2 I mezzi attraverso cui Dio fece questo. Cosa avrebbe potuto impaurire il cuore di un monarca come Nabucodonosor? Lui era un guerriero sin dalla sua giovinezza. Spesse volte, lui era stato faccia a faccia con i pericoli della battaglia, il terrore del massacro e della carneficina, ma senza spaventarsi e senza perdere il controllo. Ora, però, cosa avrebbe dovuto temere? Nessun nemico lo minacciava? non si vedeva alcuna nube ostile? Come fu scelto il momento più improbabile per impaurire il re, così fu anche scelto il modo più improbabile per realizzarlo: un sogno. I suoi pensieri e le sue visioni furono usati per insegnargli una sana lezione di dipendenza e di umiltà. Colui che aveva terrorizzato gli altri, ma che nessuno poteva terrorizzare, fu terrorizzato.
#3 I maghi vennero umiliati ancora di più rispetto a quanto detto nel secondo capitolo. In Daniele 2, loro si vantavano di poter dare l’interpretazione una volta conosciuto il sogno. Qui, però, Nabucodonosor ricorda molto bene il sogno, ma viene mortificato dai suoi maghi che, di nuovo, falliscono vergognosamente. Dato che i maghi non possono far conoscere l’interpretazione, si ricorre nuovamente al profeta di Dio.
#4 L’eccezionale illustrazione del regno di Nabucodonosor. Questo è simboleggiato da un albero nel mezzo della terra. [95] Babilonia, il regno di Nabucodonosor, stava pressapoco al centro del mondo allora conosciuto. L’albero raggiungeva il cielo e il suo fogliame era bello. La sua gloria e splendore esterna era grande, ma, a differenza di tantissimi regni, la cosa non finiva qui perché aveva delle eccellenze intrinseche: il suo frutto era abbondante e aveva cibo per tutti. L’albero dava ombra alle bestie dei campi, gli uccelli del cielo dimoravano fra i suoi rami, ed ogni creatura aveva il suo nutrimento. Cos’altro poteva rappresentare in maniera più chiara e forte il fatto che Nabucodonosor governasse il suo regno in modo tale da garantire pienamente la protezione, il sostegno e la prosperità a tutti i suoi sudditi?
#5 La misericordia che Dio combina con i Suoi giudizi. Quando fu dato l’ordine di abbattere quest’albero, fu comandato che il ceppo delle radici fosse lasciato nella terra e protetto con catene di ferro e di bronzo affinché non decadesse completamente, lasciando la fonte per una crescita e una grandezza futura. Arriverà il giorno in cui i malvagi spariranno, senza che gli sia lasciato alcun residuo di speranza. La pietà non verrà più mescolata con la loro punizione. Saranno distrutti sia la radice che il ramo.
#6 Un importante chiave per l’interpretazione profetica. Nel verso 16, il decreto dice: “E passino su di lui sette tempi.” Questa è la narrazione chiara e letterale; quindi, qui il “tempo” va inteso letteralmente. Quanto è lungo il periodo di “un tempo”? Lo si può determinare dal tempo che Nabucodonosor, in adempimento a questa predizione, trascorse con le bestie della campagna quando fu cacciato via; e Tito Flavio Giuseppe ci informa che furono sette anni [“The antiquities of the Jews”, libro 10, capitolo 10, punto 6]. Un “tempo”, quindi, indica un anno; e quando viene usato nella profezia simbolica, ovviamente indica il tempo simbolico o profetico. Dunque, un “tempo” indicherebbe un anno profetico, oppure, ogni giorno che vale come un anno: trecentosessanta anni letterali. Nella cronologia biblica, il mese è composto da trenta giorni, mentre l’anno è composto da 360 giorni. Vedi Genesi 7:11; Genesi 8:3,4; “Sacred Chronology” [Cronologia sacra] di Sylvester Bliss, sezione “Il Giorno, la Settimana, eccetera.”
#7 L’interesse che i santi, o gli angeli, prendono nelle vicende umane. Essi sono rappresentati mentre chiedono questa mediazione con Nabucodonosor. Essi vedono, come i mortali non potranno mai vedere, [96] [97] quanto sia sconveniente l’orgoglio nel cuore dell’uomo. Essi approvano e sostengono i decreti e le provvidenze di Dio, attraverso cui Lui opera per correggere questi mali. L’uomo deve sapere che non è l’artefice della propria fortuna, ma che c’è Uno che domina nel regno degli uomini, su cui si dovrebbe umilmente dipendere. Un uomo può essere un sovrano di successo, ma non dovrebbe vantarsi di questo, perché se il Signore non lo avesse istituito, lui non avrebbe mai raggiunto questa onorevole posizione.
#8 Nabucodonosor riconosce la supremazia del vero Dio sugli oracoli pagani. Lui si affida a Daniele per risolvere il mistero, e dice: “Tu lo puoi, perché lo spirito degli dei santi è in te.” Nella Septuaginta è scritta una cosa particolare: “lo Spirito del Dio santo.”
“Verso 19 Allora Daniele, il cui nome è Beltshatsar, rimase per unH2298 momentoH8160 spaventato e i suoi pensieri lo turbavano. Il re prese a dire: »Beltshatsar, non ti turbino né il sogno né la sua interpretazione«. Beltshatsar rispose e disse: »Signor mio, il sogno si avveri per i tuoi nemici e la sua interpretazione per i tuoi avversari. 20 L’albero che tu hai visto, che era divenuto grande e forte, la cui cima giungeva al cielo e si vedeva da tutte le parti della terra, 21 il cui fogliame era bello, il frutto abbondante, in cui c’era cibo per tutti, sotto il quale dimoravano le bestie dei campi e sui cui rami facevano il nido gli uccelli del cielo, 22 sei tu, o re, che sei diventato grande e forte; la tua grandezza è cresciuta ed è giunta fino al cielo e il tuo dominio fino alle estremità della terra. 23 Quanto poi al guardiano, un santo, che il re ha visto scendere dal cielo e dire: »Tagliate l’albero e distruggetelo, ma lasciate nella terra il ceppo delle radici, legato con catene di ferro e di bronzo fra l’erba dei campi. Sia bagnato dalla rugiada del cielo e abbia la sua parte con le bestie dei campi finché siano passati su di lui sette tempi«. 24 Questa è l’interpretazione, o re, e questo è il decreto dell’Altissimo, che è stato emanato riguardo al re mio signore; 25 tu sarai scacciato di mezzo agli uomini e la tua dimora sarà con le bestie dei campi; ti sarà data da mangiare erba come ai buoi
e sarai bagnato dalla rugiada dal cielo; passeranno su di te sette tempi, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole. 26 Quanto poi all’ordine di lasciare il ceppo delle radici dell’albero, ciò significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, dopo che avrai riconosciuto che è il cielo che domina. 27 Perciò, o re, gradisci il mio consiglio: poni fine ai tuoi peccati, praticando la giustizia, e alle tue iniquità usando misericordia verso i poveri; forse la tua prosperità sarà prolungata«. [H2298 chad = (Aramaico) “uno” inteso come numero, “un” inteso come articolo indefinito ; H8160 sha`ah = (Aramaico) “breve tempo”, “momento”, “immediatamente”]
[98]
L’esitazione di Daniele, che per unH2298 momentoH8160 rimase seduto spaventato, non era causata dalla difficoltà dell’interpretazione del sogno, ma dal fatto che la questione da rendere nota al re era molto delicata. Per quanto ne sappiamo, Daniele ricevette soltanto il favore del re, quindi, per lui era difficile portare un giudizio così terribile e minaccioso contro il re coinvolto in questo sogno. Egli era turbato perché cercava il modo migliore per portare il fatto alla conoscenza del re. Sembra che il re avesse già capito in anticipo qualcosa del genere, quindi, assicurò il profeta dicendogli di non lasciare che il sogno o l’interpretazione lo turbassero; come se il re avesse detto: “Non esitare a farmelo conoscere, indipendentemente dalla conseguenza che può avere su di me.” Essendo stato rassicurato in questo modo, Daniele parla; e dove troviamo un parallelo alla forza e delicatezza del suo linguaggio: “Signor mio, il sogno si avveri per i tuoi nemici e la sua interpretazione per i tuoi avversari.” In questo sogno viene mostrata una calamità che dovrebbe abbattersi sui tuoi nemici, piuttosto che su di te.
Nabucodonosor diede un rapporto preciso del suo sogno; e non appena Daniele lo informò che il sogno lo riguardava, era evidente che il re aveva pronunciato il proprio verdetto. L’interpretazione che segue è così chiara che non c’è bisogno di trattenersi. Le minacce del giudizio erano condizionali e dovevano insegnare al re che il cielo domina; e con la parola “cielo” si intende Dio, il sovrano dei cieli. Quindi, Daniele coglie l’occasione per consigliare il re in vista del minaccioso giudizio, senza denunciarlo con durezza e disapprovazione. La gentilezza e la persuasione sono le armi che lui sceglie di usare: “Perciò, o re, gradisci il mio consiglio.” In questo modo, l’apostolo [Paolo] pregava gli uomini a ritenere questa parola di esortazione. (Ebrei 13:22) Se il re avesse interrotto i suoi peccati attraverso la giustizia, e le sue iniquità mostrando misericordia verso i poveri, ne sarebbe potuto risultare un allungamento della sua tranquillità, o, come si legge nel margine biblico: “Una guarigione del tuo errore.” Ovvero, il re avrebbe anche potuto evitare il giudizio che il Signore intendeva riversare su di lui.
“Verso 28 Tutto questo avvenne al re Nebukadnetsar. 29 Dodici mesi dopo, mentre passeggiava sul palazzo reale di [99] Babilonia, 30 il re prese a dire: »Non è questa la grande Babilonia, che io ho costruito come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?«. 31 Queste parole erano ancora in bocca al re, quando una voce discese dal cielo: »A te, o re Nebukadnetsar, si dichiara: il regno ti è tolto; 32 tu sarai scacciato di mezzo agli uomini e la tua dimora sarà con le bestie dei campi; ti sarà data da mangiare erba come ai buoi e passeranno su di te sette tempi, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole«. 33 In quello stesso momento la parola riguardante Nebukadnetsar si adempì. Egli fu scacciato di mezzo agli uomini, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, finché i suoi capelli crebbero come le penne delle aquile e le sue unghie come gli artigli degli uccelli.”
Nabucodonosor non riuscì a trarre profitto dall’avvertimento che aveva ricevuto; eppure, Dio lo sopportò per dodici mesi prima di punirlo. Per tutto il tempo, il re accarezzò l’orgoglio nel suo cuore che, alla lunga, raggiunse il culmine oltre il quale Dio non poteva più permettere di lasciar perdere. Il re entrò nel palazzo, e mentre guardava le meraviglie di quella meraviglia del mondo, Babilonia la grande, la bellezza dei regni, dimenticò la fonte di tutta la sua forza e grandezza, esclamando: “Non è questa la grande Babilonia, che io ho costruito?” Era giunto il tempo per la sua umiliazione. Una voce dal cielo annuncia nuovamente il giudizio minacciato, e la Provvidenza divina procede immediatamente ad eseguirlo. La ragione si allontanò dal re. I fasti e la gloria della sua grande città non lo affascinavano più, quando Dio, con un tocco del Suo dito, portò via la sua capacità di apprezzarla e di goderla. Il re abbandonò le abitazioni degli uomini, e cercò una casa e la compagnia tra le bestie della foresta.
“Verso 34 »Ma alla fine di quel tempo, io, Nebukadnetsar, alzai gli occhi al cielo e la mia ragione ritornò in me, benedissi l’Altissimo e lodai e glorificai colui che vive in eterno, il cui dominio è un dominio eterno e il cui regno dura di generazione in generazione. 35 Tutti gli abitanti della terra davanti a lui sono considerati come un nulla; egli agisce come vuole con l’esercito del cielo e con gli abitanti della terra. Nessuno può fermare la sua mano o dirgli: »Che cosa fai?«. 36 In quello stesso tempo mi ritornò la ragione, e per la gloria del mio regno mi furono restituiti la mia maestà e il mio splendore. I miei consiglieri e i miei grandi mi cercarono, e io fui ristabilito nel mio regno e la mia grandezza fu enormemente accresciuta. 37 Ora, io Nebukadnetsar lodo, esalto e glorifico il Re del cielo, perché tutte le sue opere sono verità e le sue vie giustizia; egli ha il potere di umiliare quelli che camminano superbamente«.”
[100]
Al termine dei sette anni, Dio rimosse la sua afflizione, così, la ragione e la comprensione ritornarono al re. Il suo primo atto fu di benedire l’Altissimo. Su questo punto, Matthew Henry fece la seguente, appropriata, osservazione: “Coloro che non benedicono e lodano Dio possono giustamente essere considerati privi di senno; gli uomini non usano mai la loro ragione in modo corretto sino a quando non iniziano ad essere religiosi; e non vivono nemmeno come uomini sino a quando non vivono alla gloria di Dio. Come la ragione è il substrato o il soggetto della religione (quindi, le creature che non hanno la ragione non sono capaci di comprendere o di ricevere la religione), così, la religione è la corona e la gloria della ragione; e se non glorifichiamo Dio con la ragione, l’abbiamo avuta invano, e un giorno desidereremo di non averla mai avuta.”
Il re riebbe indietro il suo onore e la sua comprensione, i suoi consiglieri lo cercarono e, ancora una volta, lui fu stabilito nel regno. Nel verso 26 era stato promesso che il re sarebbe stato ristabilito nel suo regno. Si dice che durante la follia del re, il figlio Evil-Merodak abbia regnato come reggente in sua vece. Senza dubbio, l’interpretazione di Daniele del sogno era ben compresa in tutto il palazzo, e era il probabile oggetto delle conversazioni, quindi, il ritorno di Nabucodonosor al suo regno deve essere stato predetto e ricercato con interesse. Non sappiamo per quale ragione gli fu permesso di abitare all’aperto, nei campi, in una condizione miserabile, anziché stare comodamente sotto le attenzioni degli assistenti del palazzo. Si suppone che il re scappò con destrezza dal palazzo, sfuggendo a tutte le ricerche.
L’afflizione ebbe il suo effetto desiderato. Il re imparò la lezione di umiltà e, una volta tornato nella prosperità, non la dimenticò. Lui riconobbe prontamente che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole; e inviò in tutto il suo regno
un proclama reale contenente il riconoscimento del suo orgoglio, e una manifestazione di lode e di adorazione per il Re del cielo.
Questo è l’ultimo documento biblico che abbiamo di Nabucodonosor. Il dottor Clarke dice che questo decreto è datato nella versione autorizzata al 563 a.C. , un anno prima della morte di Nabucodonosor; anche se, per alcuni la data di questo decreto risale a diciassette anni prima della sua morte. Sia come sia, è probabile che il re [101] non ricadde più nell’idolatria, ma morì nella fede del Dio di Israele.
Così, terminò la vita di questo straordinario uomo. Con tutte le tentazioni conseguenti alla sua importante posizione regale, possiamo non supporre che Dio vide in lui l’onestà di cuore, l’integrità e la purezza degli intenti che Lui poteva usare per glorificare il Suo nome? Quindi, sembra che tutto il meraviglioso approccio che Dio ebbe con Nabucodonosor, fosse stato progettato per distaccarlo dalla sua falsa religione e portarlo al servizio del vero Dio. Prima di tutto, noi abbiamo il suo sogno della grande immagine che contiene una preziosissima lezione per le persone di tutte le future generazioni. In secondo luogo, la sua esperienza con Shadrak, Meshak e Abed-nego riguardante la sua immagine d’oro, in cui dovette nuovamente riconoscere la supremazia del vero Dio. Ed infine, abbiamo il meraviglioso incidente documentato in questo capitolo, che mostra i continui ed incessanti sforzi del Signore per portare il re ad un pieno riconoscimento di Sé. Come, quindi, non possiamo sperare che il re più illustre del primo regno profetico, la testa d’oro, possa finalmente avere parte in quel regno di fronte al quale tutti i regni terreni saranno sbriciolati, e la cui gloria non sarà mai offuscata?
[102]
“Verso 1 Il re Belshatsar fece un gran banchetto a mille dei suoi grandi e in presenza dei mille bevve vino.”
La caratteristica principale che interessa questo capitolo è il fatto che descrive le scene finali dell’impero babilonese, il passaggio dall’oro all’argento della grande immagine del capitolo 2, e il passaggio dal leone all’orso della visione di Daniele nel capitolo 7. Alcuni suppongono che questa celebrazione fosse una festa annuale in onore di una delle loro divinità. Per questo motivo, Ciro il Grande, che assediava Babilonia, apprese di questa festa e seppe quando eseguire i suoi piani per conquistare la città. Nella nostra traduzione leggiamo che Belshatsar, dopo aver invitato un migliaio dei suoi nobili, bevve in loro presenza. Alcuni lo traducono: “beveva davanti ai mille” mostrando che, nonostante qualsiasi altra sua inclinazione, per lo meno lui era un grande bevitore.
“Verso 2 Mentre degustava il vino, Belshatsar ordinò di far portare i vasi d’oro e d’argento che suo padre Nebukadnetsar aveva portato via dal tempio che era in Gerusalemme, perché in essi bevessero il re [103] e i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine. 3 Così si portarono i vasi d’oro che erano stati portati via dal tempio della casa di Dio, che era in Gerusalemme, e in essi bevvero il re e i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine. 4 Bevvero vino e lodarono gli dei d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra.”
Si può dedurre che questo festival si riferiva in qualche modo alle precedenti vittorie contro gli Ebrei, perché il re, sotto l’effetto alcolico del vino, richiese i vasi sacri che erano stati presi da Gerusalemme. Sarebbe più probabile che, avendo perso il senso di tutte le cose sacre, Belshatsar li avrebbe usati per celebrare la vittoria su Gerusalemme. Probabilmente, nessun altro re ebbe mai una tale irriverenza. E mentre essi bevevano il vino dai vasi dedicati al vero Dio, lodavano i loro idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra. Forse, come notato in Daniele 3:29, essi celebravano il potere superiore delle loro deità sul Dio degli Ebrei perché, proprio da questi vasi, bevevano per le loro deità pagane.
“Verso 5 In quello stesso momento apparvero le dita di una mano d’uomo, che si misero a scrivere di fronte al candelabro sull’intonaco della parete del palazzo reale; e il re vide la parte di quella mano che scriveva. 6 Allora l’aspetto del re cambiò e i suoi pensieri lo turbarono, tanto che le giunture dei suoi lombi si allentarono e i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro. 7 Il re gridò con forza che si facessero entrare gli astrologi, i Caldei e gli indovini, quindi il re prese a dire ai savi di Babilonia: »Chiunque leggerà questa scritta e mi darà la sua interpretazione sarà rivestito di porpora, porterà una collana d’oro al collo e sarà terzo nel governo del regno«. 8 Allora entrarono tutti i savi del re, ma non poterono leggere la scritta né far conoscere al re la sua interpretazione; 9 Allora il re Belshatsar fu grandemente turbato, il suo aspetto cambiò e i suoi grandi furono smarriti.”
Quando Dio interviene nelle gozzoviglie degli empi, non usa lampi di luce soprannaturale, e neppure gli scoppi assordanti del tuono, ma silenziosamente appare una mano che traccia dei caratteri mistici sul muro; scrive di fronte al candelabro. Loro lo vedono alla luce della propria lampada. Il re si terrorizzò perché la sua coscienza lo accusava. Anche se non poteva leggere la scritta, Belshatsar sapeva che nessun messaggio di pace e [104] benedizione era stato tracciato in quei caratteri scintillanti sul muro del suo palazzo. La descrizione data dal profeta riguardo all’effetto della paura del re non può essere superata. Il volto del re cambiò, il suo cuore venne meno, era preso dalla paura e tremava così violentemente che le sue ginocchia si toccavano l’una contro l’altra. Lui dimenticò il suo vanto e la sua baldoria; lui dimenticò la sua dignità; e gridando ad alta voce, chiamò i suoi astrologi e i suoi indovini per risolvere il significato della misteriosa iscrizione.
“Verso 10 La regina, a motivo delle parole del re e dei suoi grandi, entrò nella sala del banchetto. La regina prese a dire: »O re possa tu vivere per sempre! I tuoi pensieri non ti turbino e il tuo aspetto non cambi. 11 C’è un uomo nel tuo regno, in cui è lo spirito degli dei santi; e al tempo di tuo padre si trovò in lui luce, intendimento e sapienza simile alla sapienza degli dei; il re Nebukadnetsar, tuo padre, tuo padre il re, lo stabilì capo dei maghi degli astrologi, dei Caldei e degli indovini. 12 perché in questo Daniele, a cui il re aveva posto il nome Beltshatsar, fu trovato uno spirito straordinario, conoscenza, intendimento, abilità nell’interpretare i sogni, spiegare enigmi e risolvere questioni complicate. Si chiami dunque Daniele ed egli darà l’interpretazione«. 13 Allora Daniele fu introdotto alla presenza del re; il re parlò a Daniele e gli disse: »Sei tu quel Daniele, tra degli esuli di Giuda, che il re mio padre condusse dalla Giudea? 14 Ho inteso dire di te che lo spirito degli dei è in te e che in te si trova luce, intendimento e una sapienza straordinaria. 15 Ora hanno fatto venire alla mia presenza i savi e gli astrologi, perché leggessero questa scritta e me ne facessero conoscere l’interpretazione; ma non sono stati capaci di darmi l’interpretazione della cosa. 16 Ho invece sentito dire di te che tu puoi dare l’interpretazione e risolvere questioni complicate. Ora se sei capace di leggere questa scritta e farmene conoscere l’interpretazione, tu sarai rivestito di porpora, porterai una collana d’oro al collo e sarai terzo nel governo del regno«.”
Dalle circostanze qui narrate, sembra che il fatto che Daniele fosse un profeta di Dio era stato in qualche modo dimenticato nella corte e nel palazzo. Senza dubbio, lo si doveva al fatto che Daniele era stato assente, stando a Susa, nella provincia dell’Elam (come narrato in Daniele 8:1,2,27), dove era stato mandato per partecipare agli affari del regno. Lui sarebbe stato costretto a ritornare a Babilonia perché, in questo momento, il paese era invaso dall’esercito persiano. La regina, che entrò ed [105] [106] informò il re della presenza di una persona che si sarebbe potuta chiamare perché capace di conoscere le cose soprannaturali, si suppone fosse la regina madre, la figlia di Nabucodonosor, che ricordava ancora in modo fresco e vivido il meraviglioso ruolo che Daniele aveva nel regno di suo padre. Qui, Nabucodonosor viene chiamato “il padre di Beltshatsar”, in base alla comune usanza di allora di chiamare qualsiasi antenato paterno “padre”, ed ogni discendente maschio “figlio”. In realtà, Nabucodonosor era il nonno di Belshatsar. Quando Daniele entrò, il re gli chiese se appartenesse ai figli di Giuda in cattività. Quindi, sembra sia stato ordinato che, mentre loro festeggiavano empiamente in onore dei loro falsi dèi, un servo del vero Dio che loro tenevano in schiavitù, era chiamato per pronunciare il meritato giudizio sulla loro malvagia condotta.
“Verso 17 Allora Daniele rispose e disse davanti al re: »Tieniti pure i tuoi doni e dà a un altro le tue ricompense; tuttavia io leggerò la scritta al re e gliene farò conoscere l’interpretazione. 18 O re, il Dio Altissimo aveva dato a Nebukadnetsar tuo padre regno, grandezza, gloria e maestà. 19 Per la grandezza che gli aveva dato, tutti i popoli, nazioni e lingue, tremavano e temevano davanti a lui: egli faceva morire chi voleva e lasciava in vita chi voleva, innalzava chi voleva e abbassava chi voleva. 20 Quando però il suo cuore si innalzò e il suo spirito si indurì fino all’arroganza, fu deposto dal suo trono reale e gli fu tolta la sua gloria. 21 Fu quindi scacciato di mezzo ai figli degli uomini, il suo cuore fu reso simile a quello delle bestie e la sua dimora fu con gli asini selvatici; gli fu data da mangiare erba come ai buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo finché non riconobbe che il Dio altissimo domina sul regno degli uomini e su di esso stabilisce chi vuole. 22 Ma tu, Belshatsar suo figlio, benché sapessi tutto questo non hai umiliato il tuo cuore; 23 anzi ti sei innalzato contro il Signore del cielo; ti sei fatto portare davanti i vasi del suo tempio, e in essi avete bevuto vino tu e i tuoi grandi, le tue mogli e le tue concubine. Inoltre hai lodato gli dei d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra, che non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato il Dio, nella cui mano è il tuo soffio vitale e a cui appartengono tutte le tue vie. 24 Perciò dalla sua presenza è stato mandato il palmo della mano che ha tracciato questa scritta.”
Prima di tutto, Daniele rifiuta l’idea di essere influenzato dalle stesse motivazioni degli indovini e degli astrologi. Lui dice: “Dà a un altro le tue ricompense.” Daniele desidera far capire chiaramente che non interpreta [107] questa cosa per ricevere doni e ricompense. Egli poi ricapitola l’esperienza del nonno re, Nabucodonosor, come mostrato nel capitolo precedente. Daniele dice al re che, nonostante fosse a conoscenza di tutto questo, non aveva umiliato il suo cuore, ma si era innalzato contro il Dio del cielo, spingendo la sua empietà così lontano da profanare i Suoi vasi sacri per lodare gli dei privi di senso fatti dall’uomo, senza glorificare il Dio nella cui mano era il suo soffio vitale. Per questo motivo, Daniele dice a Belshatsar che la mano è stata inviata da quel Dio che lui ha sfidato con audacia e insolenza, per tracciare quei caratteri paurosi, anche se di significato nascosto. Poi Daniele procede nello spiegare la scritta.
“Verso 25 Questa è la scritta che è stata tracciata: MENE, MENE, TEKEL UFARSIN. 26 Questa è l’interpretazione di ogni parola: MENE: Dio ha fatto il conto del tuo regno e gli ha posto fine. 27 TEKEL: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. 28 PERES: il tuo regno è stato diviso ed è stato dato ai Medi e ai Persiani«. 29 Allora, per ordine di Belshatsar, Daniele fu rivestito di porpora, gli posero al collo una collana d’oro e proclamarono che egli sarebbe stato terzo nel governo del regno.”
Non si sa in quale lingua fu scritta questa iscrizione. Se fosse stato in caldeo, i saggi del re sarebbero stati in grado di leggerla. Il dottor Adam Clarke ipotizza che sia stato scritto in Samaritano, il vero ebraico, una lingua familiare a Daniele perché erano i caratteri usati dagli Ebrei prima della schiavitù babilonese. Sembra molto più probabile che si trattasse di un carattere sconosciuto a tutti quanti, e che venne fatto conoscere in modo speciale a Daniele attraverso lo Spirito del Signore.
In questa iscrizione, ogni parola significa una breve frase. MENE, ‘numerato’; TEKEL, ‘pesato’; UFARSIN, dalla radice di PERES, ‘diviso’. “Il Dio che tu hai insultato, ha il tuo regno nelle Sue mani e ha numerato i suoi giorni, facendo finire il suo corso proprio nel momento in cui tu pensavi di essere al culmine della sua prosperità. Tu, che hai innalzato orgogliosamente il tuo cuore come il più grande della terra,
sei stato pesato e trovato più leggero della vanità. Il tuo regno, che sognasti dovesse durare per sempre, è diviso tra i nemici che attendono [108] davanti alle tue porte.” Nonostante questa terribile denuncia, Belshatsar non dimentica la sua promessa, ma veste subito Daniele con il manto scarlatto e la collana d’oro, proclamandolo terzo sovrano nel regno. Daniele accettò questi doni, probabilmente allo scopo di essere meglio preparato per curare gli interessi del suo popolo durante la transizione con il regno successo.
“Verso 30 In quella stessa notte Belshatsar re dei Caldei, fu ucciso; 31 e Dario, il Medo, ricevette il regno all’età di sessantadue anni.”
La scena qui brevemente accennata è descritta nelle osservazioni del capitolo 2, verso 39. Mentre Belshatsar indulgeva nella sua presuntuosa baldoria, mentre la mano dell’angelo tracciava la condanna dell’impero sulle pareti del palazzo, mentre Daniele faceva conoscere il terribile significato della scrittura celeste, i soldati persiani, attraverso il canale svuotato del fiume Eufrate, si erano fatti strada nel cuore della città, e con le spade sguainate si dirigevano velocemente verso il palazzo del re. È poco probabile che i persiani sorpresero il re, dato che Dio lo aveva appena avvertito della sua condanna. I persiani trovarono il re e lo uccisero, e con lui terminò l’impero babilonese.
[È doveroso informare il lettore italiano che l’edizione originale americana chiude questo capitolo con una poesia di Edwin Arnold che parla della festa di Belshatsar. Non essendo una cosa di fondamentale importanza per la comprensione profetica del libro di Daniele, e anche perché la metrica e lo stile poetico inglese vengono totalmente persi nella traduzione italiana, non ho incluso questa poesia. Potete leggerla in lingua inglese alla fine del libro.]
[115]
“Verso 1 Piacque a Dario di stabilire sul regno centoventi satrapi, i quali fossero preposti su tutto il regno, 2 e sopra di loro tre prefetti, di cui H4481 uno eraH2298 DanieleH1841 [oppure, “di cuiH4481 DanieleH1841 era il primoH2298”] , ai quali quei satrapi dovevano render conto, perché il re non ne soffrisse alcun danno. 3 Ora questo Daniele eccelleva sugli altri prefetti e satrapi, perché in lui c’era uno spirito superiore, e il re pensava di stabilirlo sopra tutto il regno. 4 Allora i prefetti e i satrapi cercarono di trovare un pretesto contro Daniele riguardo l’amministrazione del regno, ma non poterono trovare alcun pretesto o corruzione, perché egli era fedele e non si poté trovare in lui alcun errore o corruzione. 5 Allora quegli uomini dissero: »Non troveremo mai nessun pretesto contro questo Daniele, eccetto che lo troviamo contro di lui nella legge stessa del suo Dio«.” [per il significato di H2298 vedi alla fine di pag. 97]
Babilonia fu presa dai persiani, e Dario il Medo salì al trono nel a.C. 538. Due anni dopo, nel 536 a.C., Dario morì e Ciro salì al trono. Quindi, l’evento qui narrato si verifica da qualche parte entro queste due date.
Daniele era una delle persone più importanti nel regno babilonese al culmine della sua gloria; e da quel momento sino a quando i Medi e i Persiani presero il trono dell’impero universale, lui era come minimo un residente di quella città, avendo familiarità con tutti [116] gli affari del regno; eppure, lui non ci da nessun racconto consecutivo di eventi accaduti durante la sua lunga relazione con questi regni. Daniele tocca soltanto qualche evento qui e lì come se fosse calcolato per ispirare la fede, la speranza ed il coraggio nei cuori del popolo di Dio in ogni epoca, portandoli a restare saldi nella giustizia.
L’evento narrato in questo capitolo è menzionato dall’apostolo Paolo in Ebrei 11, dove lui parla di alcuni che, attraverso la fede, “turarono le gole dei leoni.” [Ebrei 11:33] Dario stabilisce centoventi principi sul regno perché si suppone che in quel tempo ci fossero centoventi province nell’impero, ognuna delle quali aveva un principe o un governatore. Attraverso le vittorie di Cambise e Dario Istaspe, il regno si era in seguito esteso a centoventisette province. (Ester 1:1) Sopra queste centoventi province furono posti tre prefetti di cui Daniele era il più importante. Daniele fu scelto a causa del suo eccellente spirito. Essendo stato un grande uomo nell’impero babilonese, Daniele avrebbe potuto essere considerato un nemico da Dario, che lo avrebbe potuto scacciare o uccidere; oppure, essendo un prigioniero di una nazione in rovina, sarebbe potuto essere stato disprezzato e annullato, ma non venne trattato in nessuno di questi modi; dando credito a Dario, Daniele fu preferito su tutti gli altri perché l’acuto re vide in lui uno spirito eccellente. Il re pensò di stabilire Daniele sopra tutto il regno; poi, l’invidia degli altri preposti al governo si sollevò contro Daniele, ed essi decisero di distruggerlo. Per quanto riguarda il regno, però, la condotta di Daniele era perfetta perché lui era fedele e verace; e su questo punto, i prefetti non poterono trovare alcun motivo di lamentela contro di lui. Quindi, i prefetti e i satrapi dissero di non poter trovare in Daniele nessuna occasione per accusarlo, tranne su ciò che riguarda la legge del suo Dio. Lasciamo che sia così anche con noi. Nessuno può avere una raccomandazione migliore.
“Verso 6 Allora quei prefetti e satrapi si radunarono tumultuosamente presso il re e gli dissero: »O re Dario, possa tu vivere per sempre! 7 Tutti i prefetti del regno, i governatori e i satrapi, i consiglieri e i comandanti si sono consultati insieme per promulgare un editto reale e fare un fermo decreto, in base ai quali chiunque durante trenta giorni rivolgerà una richiesta a qualsiasi dio o uomo all’infuori di te, o re, [117] sia gettato nella fossa dei leoni. 8 Ora, o re, promulga il decreto e firma il documento, in modo che non possa essere cambiato in conformità alla legge dei Medi e dei Persiani, che è irrevocabile«. 9 Il re Dario quindi firmò il documento e il decreto. 10 Quando Daniele seppe che il documento era stato firmato, entrò in casa sua. Quindi nella sua camera superiore, con le sue finestre aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si inginocchiava, pregava e rendeva grazie al suo Dio, come era solito fare prima”.
Notate quello che fecero queste persone per raggiungere il loro malvagio obbiettivo. Essi andarono tutti dal re tumultuosamente; andarono come se, improvvisamente, fosse sorta una questione urgente, e giunsero essendo tutti d’accordo per presentare la questione davanti al re. Essi dichiararono di essere tutti d’accordo. Questo era falso perché Daniele, il capo di tutti loro, ovviamente non era stato consultato a riguardo. Il decreto da loro promulgato doveva lusingare la vanità del re, e in questo modo, ottenere facilmente il suo consenso. Essere l’unica persona che distribuiva i favori e garantiva le richieste per trenta giorni era una posizione mai sentita prima. Quindi, il re, non capendo i loro piani malvagi, firmò il decreto che fu posto nel libro degli statuti come una delle leggi inalterabili dei Medi e dei Persiani.
Notate la sottigliezza di questi uomini – quanto lontano si spinge la gente per compiere la rovina del bene. Se nel decreto avessero scritto che non si sarebbe dovuta fare alcuna richiesta al Dio degli Ebrei (il vero obbiettivo della questione), il re avrebbe capito immediatamente il loro obbiettivo, e il decreto non sarebbe stato firmato. Quindi, loro diedero al decreto un applicazione generica, essendo disposti ad ignorare e ad insultare tutto il loro sistema religioso e tutta la moltitudine dei loro dei, pur di riuscire a rovinare l’oggetto del loro odio.
Daniele previde la cospirazione contro di lui, ma non fece nulla per contrastarla. Lui si affidò semplicemente a Dio, lasciando la questione alla Sua provvidenza. Daniele non abbandonò l’impero facendo finta di avere degli affari da svolgere, né fece le sue adorazioni più segretamente del solito; ma quando seppe che il documento era stato firmato, proprio come in passato, si inginocchiò nella sua camera per tre volte al giorno con il viso rivolto verso la sua amata Gerusalemme, riversando le sue preghiere e le sue suppliche verso Dio.
[118] [119]
“Verso 11 Allora quegli uomini accorsero tumultuosamente e trovarono Daniele che stava pregando e supplicando il suo Dio. 12 Così si avvicinarono al re e parlarono davanti a lui del decreto reale: »Non hai tu firmato un decreto in base al quale chiunque durante trenta giorni farà una richiesta a qualsiasi dio o uomo all’infuori di te, o re, sarebbe gettato nella fossa dei leoni?«. Il re rispose e disse: »La cosa è stabilita in conformità alla legge dei Medi e dei Persiani, che non può essere alterata«. 13 Allora quelli ripresero a dire davanti al re: »Daniele, che è uno degli esuli di Giuda, non mostra alcun riguardo per te,
o re, o per il decreto che hai firmato, ma rivolge suppliche al suo Dio tre volte al giorno«. 14 All’udire ciò, il re ne fu grandemente dispiaciuto e si mise in cuore di liberare Daniele, e fino al tramonto del sole si affaticò per strapparlo dalle loro mani. 15 Ma quegli uomini vennero tumultuosamente dal re e gli dissero: »Sappi, o re, che è legge dei Medi e dei Persiani che nessun decreto o editto promulgato dal re può essere cambiato«. 16 Allora il re diede l’ordine e Daniele fu portato via e gettato nella fossa dei leoni. Ma il re parlò a Daniele e gli disse: »Il tuo Dio, che tu servi del continuo, sarà egli stesso a liberarti«. 17 Poi fu portata una pietra che fu messa sulla bocca della fossa, il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi grandi, perché la decisione riguardo a Daniele non fosse cambiata”.
Dopo aver preparato la trappola, i prefetti e i satrapi dovevano solo attendere di vedere la loro vittima per poterla intrappolare. Così, essi si radunarono tumultuosamente ancora una volta presso la residenza di Daniele, come se alcuni affari importanti avessero improvvisamente richiesto loro la consultazione del loro capo; ed ecco! lo trovarono proprio come si aspettavano e come speravano: pregando il suo Dio. Finora, tutto aveva funzionato bene. Non c’era più bisogno di presentare la questione al re, e per rendere il decreto ancora più sicuro, ottennero un riconoscimento da parte del re che tale decreto fosse in vigore. Ora, i prefetti e i satrapi erano pronti ad usarlo contro Daniele; e usando il loro trucco meschino per eccitare i pregiudizi del re, dissero: “Daniele, che è uno dei giudei in cattività”. “Sì! quel povero schiavo, che dipende totalmente da te per tutto quello di cui gode, ma che non riconosce e apprezza i tuoi favori, non ti riguarda e non presta attenzione al tuo decreto.” Soltanto allora il re si rese conto della trappola preparata sia per lui che per Daniele, e lavorò sino al tramonto per liberarlo, probabilmente attraverso sforzi personali con i cospiratori in cui lui cercava di farli cedere, oppure attraverso argomentazioni e sforzi atti a far abolire la legge. Ma i prefetti e i satrapi furono inesorabili. La legge era [120] valida; e Daniele, il servo venerabile, sincero, onesto e impeccabile del regno fu gettato nella fossa dei leoni per essere divorato, come se fosse stato uno dei più vili malfattori.
“Verso 18 Allora il re si ritirò nel suo palazzo e passò la notte digiunando, non fu portato davanti a lui alcun musicista e anche il sonno lo abbandonò. 19 La mattina dopo il re si alzò molto presto e si recò in fretta alla fossa dei leoni. 20 Giunto vicino alla fossa, chiamò Daniele con voce accorata; il re prese a dire a Daniele: »Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio, che tu servi del continuo ha potuto liberarti dai leoni?«. 21 Allora Daniele disse al re: »O re, possa tu vivere per sempre! 22 Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le bocche dei leoni, ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma anche davanti a te, o re, non ho fatto alcun male«. 23 Allora il re fu ripieno di gioia e ordinò di tirar fuori Daniele dalla fossa. Così Daniele fu tirato fuori dalla fossa e non si trovò su di lui alcuna lesione, perché aveva confidato nel suo Dio. 24 Il re ordinò quindi che fossero fatti venire quegli uomini che avevano accusato Daniele e che fossero gettati nella fossa dei leoni, essi, i loro figli e le loro mogli. E, prima ancora che giungessero in fondo alla fossa, i leoni furono loro addosso e stritolarono tutte le loro ossa.”
Il comportamento del re dopo che Daniele era stato gettato nella fossa dei leoni, attesta il suo genuino interesse in suo favore, e la severa condanna verso se stesso per come si era comportato a riguardo. Ai primi albori, il re si recò nella fossa dove il suo primo ministro aveva passato la notte in compagnia di bestie affamate e feroci. La risposta di Daniele alla prima chiamata del re non era un rimproverò per il comportamento arrendevole del re nei confronti dei suoi persecutori, ma conteneva rispetto e onore: “O re, possa tu vivere per sempre.” Poi Daniele fece sapere al re (in un modo delicato che, però, non ne escludeva la sua responsabilità) di non avergli fatto alcun male. E riguardo alla sua innocenza, il Dio che lui serviva di continuo (non ogni tanto e nemmeno inconsistentemente) aveva mandato il Suo angelo e chiuso le bocche dei leoni.
Qui, dunque, c’è Daniele, preservato da un potere superiore a qualsiasi potere terreno. La sua causa era stata difesa, la sua innocenza era stata dichiarata. Daniele non ricevette alcun danno perché credeva nel suo Dio. Lo fece la fede. Era stato fatto un miracolo. [121] Come mai, dunque, gli accusatori di Daniele furono gettati nella fossa dei leoni? Si pensa che essi non attribuirono la preservazione di Daniele ad un miracolo in suo favore, ma al fatto che, in quel momento, i leoni non avevano fame. Quindi, il re disse: i leoni non vi attaccheranno più di come hanno fatto a Daniele, così, proveremo la cosa mettendovi dentro la gabbia. Quando i leoni assalirono i colpevoli erano abbastanza affamati; e questi uomini furono fatti a pezzi prima di raggiungere il fondo della fossa. In questo modo, Daniele fu doppiamente vendicato; e in questo modo sorprendente si adempirono le parole di Salomone: “Il giusto è liberato dall’avversità, ma l’empio ne prende il posto.” (Proverbi 11:8)
“Verso 25 Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue che abitavano su tutta la terra: »La vostra pace sia grande! 26 Io decreto che in tutto il dominio del mio regno si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno. Il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio non avrà mai fine. 27 Egli libera, salva, e opera segni e prodigi in cielo e sulla terra; è lui che ha liberato Daniele dal potere dei leoni«. 28 Così questo Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, il Persiano.”
La liberazione di Daniele produsse un altra proclamazione attraverso tutto l’impero a favore del vero Dio, il Dio di Israele. Tutti gli uomini devono temere e tremare davanti a Lui. Tutto quello che i nemici di Daniele progettarono per la sua rovina, lo fece soltanto avanzare. Sia in questo caso, che in quello dei tre Ebrei nella fornace ardente, il sigillo di Dio è imposto a favore di due grandi linee di ubbidienza: #1 come nel caso dei tre Ebrei nella fornace ardente, non cedendo a qualunque peccato conosciuto; e #2 come nel caso presente, la fossa dei leoni, non escludendo alcun dovere conosciuto. Attraverso questi esempi, il popolo di Dio di tutte le età deve trovare incoraggiamento.
Il decreto del re stabilisce con precisione il carattere del vero Dio. #1 Egli è il Dio vivente; tutti gli altri sono morti. #2 Lui non cambia mai; tutti gli altri cambiano. #3 Lui ha un regno; dato che Lui fa e governa tutto. #4 il Suo regno non sarà mai distrutto; tutti gli altri finiranno. #5 il Suo dominio è senza fine; nessuna forza umana può prevalere contro di esso. #6 Lui libera coloro che sono in schiavitù. [122] #7 Lui salva i Suoi servi dai loro nemici quando invocano il Suo aiuto. #8 Lui opera prodigi nei cieli e segni sulla terra. #9 e per completare tutto, Lui ha liberato Daniele, dandoci la prova più completa della Sua potenza e bontà nel salvare il Suo servo dalle grinfie dei leoni. Questo è un eccellente elogio sul grande Dio ed il Suo fedele servitore!
Così, finisce la parte storica del libro di Daniele. Ora arriviamo alla parte profetica, che, come la luce di un faro luminoso, ha illuminato tutto il corso del tempo da quel punto sino ad oggi, e sta ancora illuminando il percorso della chiesa verso il regno eterno.
CURIOSITÀ ARCHEOLOGICA – Il cilindro di Ciro fu scoperto tra le rovine dell’antica città di Babilonia in Mesopotamia (Iraq) nel 1879 da una spedizione finanziata dal British Museum. Documenta la vittoria di Ciro su Babilonia e la successiva liberazione dei Giudei dalla loro schiavitù. Anche questo cilindro in argilla conferma l’attendibilità della Bibbia.
[123]
“Verso 1 Nel primo anno di Belshatsar, re di Babilonia, Daniele, mentre era a letto, fece un sogno ed ebbe visioni nella sua mente. Poi scrisse il sogno e narrò la sostanza delle cose.”
Questo è lo stesso Belshatsar di cui si parla nel capitolo 5. Quindi, cronologicamente, questo capitolo precede il capitolo 5; ma l’ordine cronologico è stato trascurato allo scopo di separare la parte storica da quella profetica, in cui adesso entriamo, per non essere interrotti da scritti di quella natura [scritti storici].
“Verso 2 Daniele dunque prese a dire: »Io guardavo nella mia visione, di notte, ed ecco, i quattro venti del cielo squassavano il Mar Grande, 3 e quattro grandi bestie salivano dal mare, una diversa dall’altra.”
Tutto il linguaggio della Scrittura deve essere preso letteralmente, a meno che ci sia qualche buona ragione per supporre che sia figurata; e tutto quello che è figurato deve essere interpretato da ciò che è letterale. Il verso 17, evidenzia il fatto che il linguaggio qui utilizzato sia simbolico: “Queste grandi bestie, che sono quattro, rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra.” Per mostrare che si intendono anche i “regni”, non soltanto i “re” individuali, [124] [125] l’angelo continua: “poi i santi dell’Altissimo riceveranno il regno.” E ancora, nella spiegazione del verso 23, l’angelo dice: “La quarta bestia sarà un quarto regno sulla terra” Dunque, queste bestie simboleggiano quattro grandi regni; e le circostanze in cui esse sorgono, e i modi con cui la loro elevazione era compiuta, come rappresentato nella profezia, sono anch’esse simboliche. I simboli introdotti sono: #1 i quattro venti, #2 il mare, #3 le quattro grandi bestie, #4 le dieci corna, ed infine #5 un altro corno che aveva gli occhi e una bocca, e che fece guerra a Dio e il Suo popolo. Ora dobbiamo investigare sul loro significato.
Nel linguaggio simbolico, i “venti” indicano lotte, agitazione politica e guerra. Geremia 25:31-33 : “Così dice l’Eterno degli eserciti: »Ecco, una calamità passerà di nazione in nazione e un gran turbine si leverà dalle estremità della terra. In quel giorno gli uccisi dall’Eterno saranno ovunque, da una estremità all’altra della terra.” Qui il profeta parla di una controversia che il Signore avrà con tutte le nazioni,
quando i malvagi verranno dati alla spada, e gli uccisi del Signore saranno da un capo all’altro della terra; e il conflitto e la confusione che produce tutta questa distruzione è chiamato un grande turbine05591. [H5591 Ca’ar = (ebraico) “turbine”, “tempesta”, “uragano”, “bufera di vento” http://www.treccani.it/vocabolario/turbine/ tùrbine s. m. (dal lat. turbo -binis «vortice, movimento vorticoso; trottola»). 1. Vortice di vento; vento impetuoso che gira vorticosamente…]
Considerando la visione stessa, è evidente che i “venti” indicano il conflitto e la guerra, dato che attraverso l’azione dei venti, i regni sorgono e cadono; e questi eventi si realizzano attraverso le lotte politiche.
La definizione biblica di “mare” o di “acque”, quando usate simbolicamente, è: “popoli, nazioni, moltitudini e lingue.” La prova si trova in Apocalisse 17:15, in cui è detto così espressamente.
La definizione del simbolo delle quattro bestie è data a Daniele alla fine della visione. Verso 17: “Queste grandi bestie, che sono quattro, rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra.” In questo modo, il campo della visione è definitivamente aperto davanti a noi.
“Verso 4 La prima era simile a un leone ed aveva ali di aquila. Io guardavo, finché le furono strappate le ali; poi fu sollevata da terra, fu fatta stare ritta sui due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo.”
[126] [127]
Dato che queste bestie indicano quattro re, o regni, noi ci chiediamo: Quali quattro regni? Da dove dovremo iniziare ad elencare? Queste bestie non sorgono tutte assieme, ma una dopo l’altra, perché si parla della “prima bestia”, della “seconda bestia”, eccetera; e l’ultima bestia sta esistendo quando tutte le scene terrene terminano attraverso il giudizio finale. Ora, dal tempo di Daniele sino alla fine della storia di questo mondo, devono esserci soltanto quattro regni universali, come abbiamo appreso dal sogno della grande immagine fatto da Nabucodonosor nel capitolo 2. Daniele stava ancora vivendo nello stesso regno che, nella sua interpretazione del sogno del re (circa 65 anni prima), dichiarò essere la testa d’oro. Quindi, la prima bestia di questa visione deve indicare la stessa cosa della testa d’oro appartenente alla grande immagine, ovvero, il regno di Babilonia, e le altre bestie devono indicare i regni successivi mostrati da quella immagine. Ma se questa visione affronta essenzialmente lo stesso argomento del secondo capitolo, possiamo domandarci come mai venga data; per quale motivo la visione del capitolo 2 non era sufficiente? Noi rispondiamo: l’argomento è riesaminato di continuo per poter produrre caratteristiche aggiuntive, e per poter presentare fatti e caratteristiche aggiuntive. In questo modo abbiamo “una linea sopra l’altra.” Qui, si vedono i governi terreni rappresentati nella luce del cielo. Il loro vero carattere è mostrato attraverso il simbolo delle bestie feroci e voraci.
In un primo momento, il leone aveva ali d’aquila, stando ad indicare la rapidità con cui Babilonia estese le sue conquiste alla guida di Nabucodonosor. A questo punto della visione avvenne un cambiamento: le ali furono tolte. Il leone non volava più come un’aquila sulla sua preda. L’audacia e lo spirito del leone erano scomparsi. Un cuore d’uomo, debole, pauroso e pallido aveva preso il suo posto. Questo era proprio il caso di Babilonia durante gli ultimi anni della sua storia, in cui divenne debole ed effeminata a causa della ricchezza e del lusso.
“Verso 5 Ed ecco un’altra bestia, la seconda, simile ad un orso; si alzava su di un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: »Levati, mangia molta carne«.
Come nella grande immagine di Daniele 2, così come in questa serie di simboli, si noterà un marcato deterioramento come scendiamo da [128] un regno all’altro. L’argento del petto e delle braccia era inferiore all’oro della testa. L’orso era inferiore al leone. La ricchezza, la magnificenza e lo splendore della Medo-Persia erano inferiori rispetto a quelle di Babilonia. E ora parliamo dei dettagli aggiuntivi di questo potere. L’orso si alzava su di un lato. Questo regno era composto da due nazionalità: i Medi e i Persiani. Lo stesso fatto è rappresentato dalle due corna del montone di Daniele 8. Di queste due corna è detto che l’ultima diventa la maggiore; l’orso si solleva su di un lato; e questo fu adempiuto con la parte persiana del regno, che venne per ultima, ma che divenne la più importante, raggiungendo il controllo della nazione. (Daniele 8:3) Magari, le tre costole significano le tre province di Babilonia, Lidia ed Egitto, che in modo speciale furono vinte e oppresse da questo potere. La frase “Levati, mangia molta carne” si riferisce allo stimolo dato ai Medi e ai Persiani che, attraverso la sconfitta di queste province, pianificano e intraprendono conquiste più vaste. Il carattere della potenza è ben rappresentato dall’orso. I Medi e i Persiani erano crudeli, aggressivi, ladri e predatori con il popolo. Come già notato nell’esposizione del secondo capitolo, questo regno è datato dalla sconfitta di Babilonia da parte di Ciro, nel 538 a.C. , e continua sino alla battaglia di Arbela, nel 331 a.C. , durando per un periodo di 207 anni.
“Verso 6 Dopo questo, io guardavo, ed eccone un’altra simile a un leopardo, che aveva quattro ali di uccello sul suo dorso; la bestia aveva quattro teste e le fu dato il dominio.
Il terzo regno, la Grecia, è rappresentata da questo simbolo. Se le ali sul leone significavano la rapidità di conquista, qui avrebbero significato la stessa cosa. Di per sé, il leopardo è una bestia molto veloce, ma questo simbolo non rappresentava sufficientemente bene la rapidità della nazione che simboleggiava a questo riguardo, quindi, gli si dovevano aggiungere delle ali. Le due ali del leone non erano sufficienti… doveva averne quattro; questo avrebbe indicato una velocità di movimento senza precedenti, cosa che troviamo essere storicamente vera riguardo al regno greco. L’impeto e la rapidità delle conquiste della Grecia sotto la guida di [129] [130] [131] Alessandro Magno non hanno uguali negli annali della storia.
Charles Rollin, nel suo libro Ancient History of the egyptians, Carthaginians, Assyrians, Babylonians, Medes and Persians, Macedonians and Grecians, libro 15, sezione 2, ci da un breve riassunto dei movimenti di Alessandro:
“Dalla Macedonia, Alessandro Magno arrivò quasi al fiume Gange, si calcolano almeno 5.310 Km. A questo aggiungete varie deviazioni nei movimenti di Alessandro; la prima va dall’estremità della Cilicia (dove fu combattuta la battaglia di Isso) al tempio di Giove Amon [o Ammone] in Libia; e il suo ritorno da quel posto a Tiro, un viaggio di almeno 1.350 Km, e altrettanta distanza almeno per gli spostamenti del suo percorso in luoghi diversi; scopriremo che in meno di otto anni, Alessandro fece percorrere al suo esercito più di 17.000 leghe (o più di 8.200 Km), senza includere il suo ritorno a Babilonia.”
“La bestia aveva quattro teste.” L’impero greco restò unito un po più a lungo della vita di Alessandro Magno. Nel giro di pochi anni dopo che la sua brillante carriera finì a causa di una febbre causata da una ubriachezza depravata, l’impero fu diviso
tra i suoi quattro generali principali. Ad ovest, Cassandro ebbe la Macedonia e la Grecia; al nord, Lisimaco ebbe la Tracia e le parti dell’Asia sul Ellesponto [lo stretto dei Dardanelli] e sul Bosforo; al sud, Tolomeo ricevette l’Egitto, la Lidia, l’Arabia, la Palestina e la Celesiria; e nell’est, Seleuco ebbe la Siria e tutto il resto dei domini orientali di Alessandro Magno. Queste parti erano indicate dalle quattro teste del leopardo; 308 a.C.
Le parole del profeta si adempirono con precisione. Dato che Alessandro Magno non lasciò alcun erede, come mai l’enorme impero non si divise in tanti frammenti insignificanti? Come mai solo in quattro parti e non di più? Perché la profezia aveva detto che ce ne sarebbero state quattro. Il leopardo aveva quattro teste, il capro aveva quattro corna, il regno doveva avere quattro parti; e così fu. (Vedi il capitolo 8 per maggiori chiarimenti)
“Verso 7 Dopo questo, io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventevole, terribile e straordinariamente forte, essa aveva grandi denti di ferro; divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi, era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna.”
[132]
L’ispirazione non trova alcuna bestia naturale che può essere usata come base di un simbolo per rappresentare il potere qui illustrato. Nessuna aggiunta di zoccoli, teste, corna, ali, denti, o unghia di qualsiasi bestia che si trova in natura sarebbe servita. Questo potere era diverso da tutti gli altri e il simbolo interamente non identificato.
Nel già citato verso 7 ci sono le basi per un libro intero; ma qui noi siamo costretti a trattarlo brevemente, perché una storia completa è al di là dello spazio consentito in questa breve esposizione. Naturalmente, questa bestia corrisponde alla quarta parte della grande immagine: le gambe di ferro. Nel capitolo 2 al verso 40 sono date alcune ragioni per supporre che questo potere sia Roma. Le stesse ragioni si applicano a questa profezia. Quanto accuratamente Roma corrisponde alla parte di ferro dell’immagine! Quanto accuratamente corrisponde alla bestia che stiamo trattando! Nella paura e nel terrore che ispirava, e nella sua forza esagerata, il mondo non vide mai una cosa come questa. Roma divorava come se avesse denti di ferro, stritolava e atterrava le nazioni sotto i suoi piedi. Aveva dieci corna, che il verso 24 spiega essere dieci re, o regni, che dovranno sorgere da questo impero. Come già notato nel capitolo 2, Roma fu divisa in dieci regni elencati come segue: gli Unni, gli Ostrogoti, i Visigoti, i Franchi, i Vandali, gli Svevi [Suebi], i Burgundi, gli Eruli, gli Anglosassoni e i Longobardi. Da allora, queste parti sono state chiamate i dieci regni dell’impero romano. Vedi Daniele 2:41,42 e anche “Le dieci parti di Roma” alla fine del libro.
“Verso 8 Stavo osservando le corna, quand’ecco in mezzo ad esse spuntò un altro piccolo corno, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte; ed ecco in quel corno c’erano degli occhi simili a occhi di uomo e una bocca che proferiva grandi cose.”
Daniele osservava le corna; e tra di esse si vide uno strano movimento. Un piccolo corno, (all’inizio piccolo, ma in seguito più robusto delle altre corna) si impone tra di esse. Il piccolo corno non era soddisfatto di trovarsi un posto e di restarci in maniera tranquilla, ma doveva spingerne via alcune, e usurpare i loro posti. Vennero sradicati tre regni. Come avremo occasione di notare [133] [134] più adeguatamente in seguito, questo piccolo corno era il papato. Le tre corna sradicate dal papato furono gli Eruli, gli Ostrogoti e i Vandali. La ragione per cui sono stati sradicati era perché
si opponevano agli insegnamenti e alle pretese della gerarchia papale, e quindi, alla supremazia nella chiesa del vescovo di Roma.
“Ed ecco, in quel corno c’erano degli occhi simili a occhi di uomo e una bocca che proferiva grandi cose”, gli occhi, un simbolo appropriato della furbizia, della penetrazione, dell’astuzia e lungimiranza della gerarchia papale; e la bocca che proferiva grandi cose, un simbolo appropriato delle arroganti pretese dei vescovi di Roma.
“Verso 9 Io continuai a guardare finché furono collocati H7412 dei troni e l’Antico di giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente. 10 Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. Il giudizio si tenne e i libri furono aperti.”
[H7412 remah = (Aramaic) gettare, collocare, stabilire]
Questa è una sublime descrizione di una scena sublime che non si trova nella lingua italiana. La nostra attenzione non si dovrebbe fermare soltanto a questa grande e nobile immagine; la natura di questa scena è tale da richiedere una più seria considerazione. Viene mostrato il Giudizio; ed ogni volta che si parla del Giudizio, dovrebbe fare una irresistibile presa su ogni mente, dato che a tutti interessano le sue conseguenze eterne.
[*** ATTENZIONE: questa parte riguarda solo la versione in lingua inglese di Daniele 7:9 (KJV), non riguarda la versione italiana (LND).]
A causa di una sfortunata traduzione nel verso 9, quasi sicuramente viene data un idea sbagliata. La parola “cast downH7412” [che apparentemente significa “abbattere”] deriva da una parola che nell’originale significa proprio l’opposto: collocare, stabilire [in inglese “set up”]. Gesenius definisce la parola r’mah [remâh] così: “Caldeo, #1 ‘lanciare’, ‘gettare’, Dan 3:20,21,24; 6:16. #2 ‘stabilire’, ‘collocare’, esempio: troni, Dan 7:9. Confronta con Apocalisse 4:2… e… n° 2.” Anche il The Analytical Hebrew and Chaldee Lexicon di Davidson dà lo stesso significato a questa parola ‘stabilire’, ‘collocare’ e si riferisce a Daniele 7:9 come esempio del suo uso in questo senso. La ragione per cui questa parola venne usata per esprimere questa idea potrebbe trovarsi nella seguente nota della Cottage Bible: “Verso 9. The [135] thrones were cast down. Wintle ‘furono collocati.’ E così anche Boothroyd. Ma entrambi giungono allo stesso significato. Vedi Matteo 19:28 e Apocalisse 20:4.” Il dottor Clarke dice che la parola “potrebbe essere tradotta ‘erigere’, così anche la Vulgata, positi sunt (furono posti), e così anche tutte le altre versioni.” La Septuaginta contiene … (etethesan) che significa “stabilire, porre, collocare, erigere.” I troni non appartengono ai regni terreni che devono essere deposti nell’ultimo giorno, ma sono i troni del giudizio che devono essere “collocati”, o “posti”, nella corte del Dio altissimo proprio prima della fine.
[fine precisazione della versione in lingua inglese inglese***]
L’Antico di giorni, Dio Padre, si siede nel trono del giudizio. Notate la descrizione della Sua persona. Coloro che credono nell’impersonalità di Dio sono obbligati ad ammettere che qui Lui è descritto come una persona; ma loro si confortano dicendo che sia l’unica descrizione del genere nella Bibbia. Noi non accettiamo quest’ultima dichiarazione; ma, ammettendo che questo sia vero, una sola descrizione di questo tipo non è ugualmente fatale per la loro teoria come se fosse ripetuta venti volte? Le Migliaia di migliaia che Lo servono e le miriadi di miriadi che stanno davanti a Lui non sono peccatori accusati davanti al trono del giudizio, ma esseri celesti che stanno dinnanzi a Lui, servendolo secondo la Sua volontà. Una comprensione di questi versi comporta una comprensione del soggetto del santuario; e noi rimandiamo il lettore proprio alle opere di questo argomento. La chiusura del ministero di Cristo, nostro Sommo Sacerdote, nel santuario celeste, è l’opera del giudizio qui introdotta. È un giudizio investigativo. I libri sono aperti, e i casi di tutti vengono esaminati davanti al grande tribunale per determinare in anticipo chi deve ricevere la vita eterna quando il Signore dovrà venire per darla al Suo popolo. Come documentato in Apocalisse 5, Giovanni vide questo stesso luogo e lo stesso numero di addetti celesti impegnati con Cristo nell’opera del giudizio investigativo. Guardando dentro il santuario (e in Apocalisse 4 apprendiamo quello che Lui stava facendo), in Apocalisse 5:11 [136] Giovanni dice: “Quindi vidi e udii la voce di molti angeli intorno al trono, agli esseri viventi e agli anziani; il loro numero era di miriadi di miriadi e di migliaia di migliaia”
Dalla testimonianza di Daniele 8:14 apparirà che questa opera solenne sta accadendo ora nel santuario celeste.
“Verso 11 Allora io guardai a motivo delle grandi parole che il corno proferiva; guardai finché la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso. 12 Quanto alle altre bestie, il dominio fu loro tolto, ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un periodo stabilito di tempo.”
Ci sono persone che credono in un trionfo di mille anni del Vangelo e del regno della giustizia su tutto il mondo, prima del ritorno del Signore; e ce ne sono anche altre che credono in un periodo di prova dopo il ritorno del Signore, e un “millennio misto” in cui i giusti immortali proclamano ancora il Vangelo ai peccatori mortali, portandoli nella via della salvezza. Entrambe queste false teorie, però, sono completamente distrutte dai versi che abbiamo davanti.
#1 La quarta bestia terribile continua [ad operare] senza alcun cambiamento di carattere, e il piccolo corno continua a pronunciare le sue bestemmie, tenendo i suoi milioni di seguaci legati in una cieca superstizione, finché la bestia è data alle fiamme; e questa non è la sua conversione, ma la sua distruzione. (Vedi 2Tessalonicesi 2:8)
#2 A differenza delle vite delle bestie precedenti, la vita della quarta bestia non è prolungata dopo la perdita del suo dominio. Il dominio delle tre bestie precedenti fu portato loro via, ma le loro vite furono prolungate per un periodo stabilito di tempo. Il territorio e i sudditi del regno babilonese esistevano ancora, anche se dominati dai Persiani. La stessa cosa vale per il regno persiano dominato dalla Grecia, e per la Grecia dominata da Roma. Ma cosa rimpiazza il quarto regno? Nessun governo o stato in cui i mortali hanno alcuna parte. La quarta bestia cessa di esistere quando viene buttata nel lago di fuoco. Il leone si fuse nell’orso; l’orso nel leopardo; il leopardo nella quarta bestia; e la quarta bestia in cosa? Non si fonde in un altra bestia, ma viene gettata nel lago di fuoco in cui la distruzione rimane sino a che gli uomini dovranno [137] soffrire la seconda morte. Quindi nessuno parli di un “periodo di prova” o di un “millennio misto” dopo il ritorno del Signore.
L’avverbio nella frase: “Io guardai a motivo delle grandi parole che il corno proferiva” eccetera, sembra riferirsi a qualche tempo particolare. L’opera del giudizio investigativo è introdotta nei versi precedenti; e questo verso significa che mentre il giudizio investigativo procede, appena prima che questo potere sia distrutto e dato alle fiamme,
il piccolo corno pronuncia le sue grandi parole contro l’Altissimo. Noi le abbiamo sentite in questi ultimi anni? Guardate i decreti del Concilio Vaticano del 1870. Cosa c’è di più blasfemo dell’attribuzione dell’infallibilità ad un uomo mortale? Eppure, in quello stesso anno, il mondo assistette ad un concilio ecumenico riunito allo scopo di decretare intenzionalmente che chiunque avesse occupato il trono pontificio, l’uomo del peccato, sarebbe stato come Dio e non poteva sbagliare. Ci può essere qualcosa di più presuntuoso e blasfemo? Non è questa la voce delle grandi parole dette dal corno? e il suo potere non è pronto per la fiamma, vicino alla sua fine?
“Verso 13 Io guardavo nelle visioni notturne ed ecco sulle nubi del cielo venire uno simile al Figlio dell’uomo; egli giunse fino all’Antico di giorni e fu fatto avvicinare a lui. 14 A lui fu dato dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto«”.
La scena qui descritta non è il secondo ritorno di Cristo su questa terra, a meno che l’Antico di giorni sia su questa terra, dato che Lui va dall’Antico di giorni. Lì, alla presenza dell’Antico di giorni, Cristo riceve il dominio, la gloria e il regno. Il Figlio dell’uomo riceve il Suo regno prima del Suo ritorno su questa terra. (Vedi Luca 19:10-12 e avanti) Quindi, questa scena avviene nel tempio celeste, ed è strettamente connessa con la scena in Daniele 7:9,10. Cristo riceve il regno al termine della Sua opera sacerdotale nel santuario celeste. I popoli, le nazioni e le lingue che dovranno servirlo sono le nazioni dei salvati (Apocalisse 21:24), [138] e non le nazioni malvagie della terra; dato che queste vengono frantumate nel secondo ritorno. Alcuni provenienti da tutte le nazioni, tribù e famiglie della terra si troveranno in fine nel regno di Dio, per servirlo lì con gioia e piacere, nei secoli dei secoli.
“Verso 15 »Quanto a me, Daniele, il mio spirito rimase addolorato nell’involucro del corpo e le visioni della mia mente mi turbarono. 16 Mi avvicinai a uno di quelli che stavano lì vicino e gli domandai la verità di tutto questo; ed egli mi parlò e mi fece conoscere l’interpretazione di quelle cose: 17 Queste grandi bestie, che sono quattro, rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra; 18 poi i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, per l’eternità”
Noi non dobbiamo essere meno ansiosi di Daniele nel capire la verità di tutto questo. Ora come ai giorni del profeta, ogni volta che noi investighiamo con altrettanta sincerità di cuore, troveremo il Signore pronto a guidarci verso una corretta conoscenza di queste importanti verità. Le bestie e i regni che queste rappresentano, sono già state spiegate. Abbiamo seguito il profeta attraverso il corso degli eventi, sino alla completa distruzione della quarta ed ultima bestia, la sconfitta finale di tutti i governi terreni. Dopo cosa accade? Il verso 18 ci dice: “I santi dell’Altissimo riceveranno il regno.” I santi! tutti coloro che in questo mondo sono sottovalutati, disprezzati, insultati, perseguitati e scacciati via; coloro che, tra tutti gli uomini, erano considerati le persone meno probabili di realizzare le loro speranze; costoro prenderanno il regno e lo possederanno per sempre. L’usurpazione e il cattivo governo degli empi finirà. L’eredità confiscata sarà riscattata. La pace sarà ristabilita, e la giustizia regnerà su tutta la terra rinnovata.
“Verso 19 Allora desiderai sapere la verità intorno alla quarta bestia, che era diversa da tutte le altre e straordinariamente terribile, con denti di ferro e artigli di bronzo, che divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi, 20 e intorno alle dieci corna che aveva sulla testa, e intorno all’altro corno che spuntava e davanti al quale erano cadute tre corna, cioè quel corno che aveva occhi e una bocca che proferiva grandi cose e che appariva maggiore delle altre corna.”
Daniele ebbe una comprensione molto chiara delle prime tre bestie di questa serie, che non ebbe problemi nel relazionarsi con esse. [139] Ma lui si stupì a questa quarta bestia così innaturale e terribile. Dato che, più si avanza nel corso del tempo, e più ci si deve allontanare dalla rappresentazione naturale dei simboli che devono rappresentare accuratamente i governi terreni degenerati. Il leone appartiene alla natura, ma, per poter rappresentare il regno babilonese, deve avere l’innaturale aggiunta di due ali. In natura troviamo anche l’orso, ma come simbolo della Medo-Persia, una innaturale ferocia deve essere indicata con l’aggiunta di tre costole nella bocca. Così, anche il leopardo è una bestia naturale, ma per poter rappresentare bene la Grecia, ci si allontana dalla natura attraverso le ali e il numero delle teste. La natura, però, non fornisce alcun simbolo in grado di illustrare adeguatamente il quarto regno. Si usa una bestia mai vista prima; una bestia spaventosa e terribile, con artigli di bronzo e denti di ferro, così crudele, aggressiva e feroce che, per il semplice amore dell’oppressione, divorava, faceva a pezzi, e calpestava le sue vittime.
Per il profeta, tutto questo era meraviglioso; ma apparve qualcosa di ancor più meraviglioso. Sorse un piccolo corno che, avendo la stessa natura della bestia da cui ha origine, sradica tre dei suoi compagni; ed ecco! il corno aveva degli occhi, non quelli di un rude, ma quelli arguti, scaltri e intelligenti di un uomo; e ancora più stranamente, aveva una bocca con la quale pronunciava parole orgogliose, dichiarando cose oltraggiose ed arroganti. Ecco perché il profeta fece domande su questo mostro con un istinto innaturale e che operava in modo così diabolico. Nei versi che seguono, vengono date alcune caratteristiche sul piccolo corno che consentono allo studente della profezia di applicare questo simbolo senza pericolo di sbagliare.
“Verso 21 Io guardavo e quello stesso corno faceva guerra ai santi e li vinceva 22 finché giunse l’Antico di giorni e fu resa giustizia ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo in cui i santi possedettero il regno.”
L’incredibile ira di questo piccolo corno contro i santi, attirò in modo particolare l’attenzione di Daniele. La salita delle dieci corna, o la divisione di Roma in dieci regni, avviene tra gli anni 351 e 476 d.C., com’è già stato notato. [140] [141] (Vedi Daniele 2:41) Dato che queste corna indicano “regni”, anche il piccolo corno deve indicare un “regno” di diversa natura, perché era diverso dalle altre corna. Questi erano regni politici. Ora dobbiamo solo indagare se, dal 476 d.C., sia sorto qualche regno tra i dieci regni dell’impero romano, che ciononostante è diverso da tutti loro; e se fosse così, quale sarebbe questo regno? La risposta è: Si! Il regno spirituale del papato. Questo risponde al simbolo in ogni particolare, com’è facilmente dimostrato; e nessun altro lo farà. Guardate le caratteristiche citate più precisamente nel verso 23.
Daniele vide che questo corno combatteva i santi. Il papato ha mai combattuto una guerra simile? Cinquanta milioni di martiri, con una voce simile al suono di molte acque rispondono: SI. Lo testimoniano le crudeli persecuzioni del papato verso i Valdesi,
gli Albigesi, ed in generale verso i protestanti. Fonti autorevoli affermano che le persecuzioni, i massacri e le guerre religiose stimolate dalla chiesa e dai vescovi di Roma, abbiano sparso più sangue dei santi dell’Altissimo rispetto a tutta l’inimicizia, l’ostilità e le persecuzioni dei presunti “popoli pagani” dalla fondazione del mondo.
Nel verso 22 , sembrano essere mostrati tre eventi consecutivi. Daniele, guardando in avanti dal tempo in cui il piccolo corno era nel pieno del suo potere e sino alla fine della lunga contesa tra i santi e Satana con tutti i suoi agenti, nota tre eventi importanti che servono come indicatori stradali: #1 La venuta dell’Antico di giorni, ovvero, la posizione presa da Geova nell’apertura della scena del giudizio descritta nei versi 9 e 10. #2 Il giudizio che è dato ai santi, ovvero, il tempo in cui i santi siedono con Cristo durante i mille anni del giudizio, dopo la prima risurrezione (Apocalisse 20:14), dando ai peccatori la punizione causata dai loro peccati. Poi, i martiri siederanno per giudicare il grande potere persecutore anticristiano che, nei giorni della loro prova, li cacciò come le bestie del deserto, e versò il loro sangue come l’acqua. #3 Il tempo in cui i santi possiedono il regno, ovvero, il momento in cui entrano in possesso della nuova terra. Poi, l’ultima traccia della maledizione del peccato e dei peccatori (la radice e i rami) [142] saranno spazzati via, e il territorio così a lungo mal governato dai poteri malvagi della terra (i nemici del popolo di Dio) sarà preso per sempre dai giusti, per essere posseduto da loro per sempre. (1Corinzi 6:2,3; Matteo 25:34)
“Verso 23 Ed egli mi parlò così: »La quarta bestia sarà un quarto regno sulla terra che sarà diverso da tutti gli altri regni e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la stritolerà. 24 Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; dopo di loro ne sorgerà un altro, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. 25 Egli proferirà parole contro l’Altissimo, perseguiterà i santi dell’Altissimo con l’intento di sterminarli e penserà di mutare i tempi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo. 26 Si terrà quindi il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà annientato e distrutto per sempre.”
Qui abbiamo ulteriori particolari riguardo alla quarta bestia e al piccolo corno.
Magari, è stato già detto abbastanza sulla quarta bestia, Roma, e le dieci corna, i dieci regni, che sono sorte da essa. Ora il piccolo corno richiede un attenzione più particolare. Come indicato nel verso 8, troviamo il compimento della profezia riguardo questo corno nella crescita e nell’opera del papato. Sia per una questione d’interesse che di importanza, si deve indagare nelle cause che hanno portato allo sviluppo di questo potere anticristiano.
I primi pastori o vescovi di Roma godettero di un rispetto proporzionato alla dignità della città in cui risiedevano; e durante i primi secoli dell’era cristiana, Roma era la più grande, la più ricca e la più potente città del mondo. Roma era la sede dell’impero, la capitale delle nazioni. L’imperatore Giuliano disse “Tutti gli abitanti della terra appartengono a lei”; e Claudiano la dichiarò essere “La fontana delle leggi.” Il ragionamento usato da questi pastori romani era: “Se Roma è la regina delle città, perché il suo pastore non dovrebbe essere il re dei vescovi?” “Perché la chiesa romana non dovrebbe essere la madre della cristianità? Perché tutte le nazioni non dovrebbero essere i suoi figli, e la sua autorità la loro legge sovrana? D’Aubigne, da cui citiamo queste parole da History of the Reformation, vol.1, Cap. 1, spiega: “Per il cuore ambizioso dell’uomo era facile ragionare in questo modo. La Roma ambiziosa lo fece.”
[143] [144]
I vescovi nelle diverse parti dell’impero romano cedettero con piacere al vescovo di Roma una parte di questo onore che Roma, come città regina, aveva ricevuto dalle nazioni della terra. Originariamente non c’era alcuna dipendenza implicita in questa onorificenza. D’Aubigne continua “Ma il potere usurpatore aumentò come una valanga. Gli ammonimenti che inizialmente erano fraterni, ben presto divennero comandi assoluti nella bocca del pontefice. I vescovi occidentali favorirono questa intrusione dei pastori romani sia per la gelosia dei vescovi orientali, o perché preferivano sottomettersi alla supremazia di un papa piuttosto che al dominio di un potere temporale.”
Queste furono le influenze che si raccoglievano attorno al vescovo di Roma, quindi tutto tendeva verso la sua rapida elevazione al supremo trono spirituale della cristianità. Il quarto secolo, però, era destinato a testimoniare un ostacolo buttato in mezzo al percorso del suo sogno ambizioso. Ario, un parroco locale dell’antica ed influente chiesa di Alessandria, sparse la sua dottrina nel mondo [l’arianesimo], causando una controversia così feroce nella chiesa cristiana che nel 325 d.C. l’imperatore Costantino dovette indire un concilio generale a Nicea per considerarlo e regolarlo. Ario sostenne “che il Figlio era totalmente ed essenzialmente distinto dal Padre; che [il Figlio] era il primo e il più nobile di quegli esseri che il Padre aveva creato dal nulla, lo strumento attraverso cui il Padre onnipotente aveva formato l’universo, e che quindi era inferiore al Padre sia in natura che in dignità.” Questo parere venne condannato dal concilio, che decretò che Cristo era dell’unica e stessa sostanza con il Padre. Di conseguenza, Ario fu bandito dalla Illiria, e i suoi seguaci furono costretti ad acconsentire il credo composto in quell’occasione. (Ecclesisstical history, secolo 4, parte 2, cap. 4, pag. 315 di Johann Lorenz von Mosheim; History of the Eastern Church, pag. 239 di Arthur Penrhyn Stanley)
La controversia, tuttavia, non finì in questo modo così breve, ma continuò per i secoli successivi ad agitare il mondo cristiano; dappertutto gli ariani diventarono gli acerrimi nemici del papa e della chiesa cattolica romana. Da questi fatti, è evidente che la diffusione dell’arianesimo [145] avrebbe frenato l’influenza dei cattolici; e il possedimento di Roma e dell’Italia da parte di un popolo di influenza ariana sarebbe stato fatale per la supremazia di un vescovo cattolico. Ma la profezia aveva dichiarato che questo corno [papale] sarebbe salito al potere supremo e che, nel raggiungimento di questa posizione, avrebbe sconfitto tre re.
È esistita qualche differenza di opinione riguardo i particolari poteri che furono sconfitti nell’interesse del papato, in riferimento al quale la seguente nota di Albert Barnes sembra molto appropriata: “Nella confusione esistita durante la divisione dell’impero romano, e i racconti imprecisi degli avvenimenti accaduti durante la crescita del potere papale, non sarebbe fantastico se dovesse essere difficile trovare eventi documentati così chiaramente da poter essere un adempimento accurato e assoluto della visione. Ciononostante, è possibile riconoscere questo adempimento con un buon grado di certezza nella storia del papato.” – Notes on Daniele 7.
Il signor Joseph Mede suppone che i tre regni sradicati siano stati i greci, i Longobardi e i Franchi; e sir Isaac Newton suppone fossero l’Esarcato di Ravenna, i Longobardi ed il senato e ducato di Roma. Il vescovo Newton, in Dissertation on the Prophecies [Ragionamento sulle profezie], pag. 217 e 218, stabilisce alcune gravi obiezioni ad entrambi questi schemi. I Franchi non avrebbe potuto essere uno di questi regni perché non sono mai stati sradicati dal papato. I Longobardi non avrebbe potuto essere uno di questi, perché non furono mai stati sottoposti ai papi. Albert Barnes dice: “Infatti io non trovo che il regno dei Longobardi era, come è comunemente affermato, nel numero delle sovranità temporali che furono dominate dall’autorità dei papi.” Neppure il senato e il ducato di Roma avrebbero potuto esserne parte, dato che essi, in quanto tali, non fecero mai parte dei dieci regni, tre dei quali dovevano essere sradicati dal piccolo corno.
Ma noi capiamo che la principale difficoltà nell’applicazione presentata da questi illustri commentatori, consiste nel fatto che essi pensavano che la profezia riguardo l’esaltazione del papato non era stata ancora adempiuta, e non avrebbe potuto esserlo, finché il papa diventasse un principe temporale; quindi, loro cercarono [146] di trovare un adempimento della profezia negli eventi che portarono alla sovranità temporale del papa. Laddove, evidentemente, la profezia dei versi 24 e 25 non si riferisce al potere civile ma al suo potere di dominare le menti e le coscienze degli uomini; e il papa raggiunse questa posizione, come si vedrà in seguito, nel 538 d.C. ; e lo sradicamento delle tre corna avvenne alla presenza del papato, per far spazio proprio a questa esaltazione verso il dominio spirituale. L’insuperabile difficoltà di tutti i tentativi di applicare la profezia ai Longobardi e agli altri poteri sopra citati, è che costoro arrivano tutti troppo in ritardo nel punto temporale, dato che la profezia affronta gli arroganti sforzi del pontefice romano per guadagnare il potere, non i suoi sforzi per opprimere e umiliare le nazioni dopo essersi assicurato la supremazia.
Siamo sicuri che i tre poteri, o corna, sradicati dal papato furono gli Eruli, i Vandali e gli Ostrogoti; e questa posizione poggia sulle seguenti affermazioni degli storici.
Odoacre, il capo degli Eruli, era il primo dei barbari che regnò sui romani. Secondo lo storico Edward Gibbon (Decline and Fall of the Roman Empire [Declino e caduta dell’impero romano] vol. 3, pag. 510,515) Odoacre prese il trono dell’Italia nel d.C. 476. A pagina 516, Gibbon parla della sua credenza religiosa: “Come il resto dei barbari, lui venne istruito nell’eresia ariana; ma lui venerava i personaggi monastici ed episcopali, ed il silenzio dei cattolici conferma la tolleranza di cui godettero.”
A pagina 547, Gibbon dice ancora: “Gli Ostrogoti, i Burgundi, gli Svevi e i Vandali che ascoltarono l’eloquenza del clero latino, preferirono le lezioni più comprensibili dei loro insegnanti nazionali; e l’arianesimo divenne la fede nazionale dei guerrieri convertiti che sedevano sulle rovine dell’impero occidentale. Questa inconciliabile differenza religiosa era una fonte continua di gelosia e di odio; e il rimprovero di “barbaro” peggiorò nel più odioso titolo di “eretico.” Gli eroi del nord che avevano sottomesso, con una certa esitazione, nel credere che tutti i loro antenati erano nell’inferno, erano stupiti ed esasperati nel sapere [147] che anche loro stessi avevano soltanto cambiato la modalità della loro condanna eterna.”
Il lettore è invitato a considerare attentamente ancora poche dichiarazioni storiche che illuminano la situazione di questo momento. Arthur Penrhyn Stanley in History of the Eastern Church [La storia della chiesa d’oriente] a pag. 151 dice: “Tutta la vasta popolazione gotica che discese sull’impero romano, per quanto fosse cristiana, mantenne la fede eretica alessandrina. La nostra prima versione tedesca delle Scritture venne fatta da un missionario ariano, Ulfila. Il primo conquistatore di Roma, Alarico, ed il primo conquistatore dell’Africa, Genserico, erano ariani. Teodorico, il grande re d’Italia ed eroe della ‘Nibelungen Lied’ [La canzone dei Nibelunghi] era un ariano. Il posto vacante nella sua enorme tomba a Ravenna è una testimonianza della vendetta degli ortodossi
contro la sua memoria, quando, trionfanti, abbatterono il vaso in porfido [il porfido è una roccia vulcanica] in cui i sudditi ariani avevano custodito le sue ceneri.”
Leopold von Ranke, nel suo libro History of the Popes [Storia dei papi] (Londra, edizione del 1871), vol. 1, pag. 9, dice: “Ma lei (la chiesa) cadde, come era inevitabile, nei molti imbarazzi, ritrovandosi in una condizione completamente diversa. Un popolo pagano prese possesso della Gran Bretagna; i re ariani si impadronirono della maggior parte del rimanente ad ovest; mentre i Longobardi, lungamente devoti all’arianesimo, essendo i vicini più pericolosi ed ostili, istituirono una potente sovranità proprio davanti alle porte di Roma. I vescovi romani, che nel frattempo erano assediati da ogni parte, si sforzarono con tutta la prudenza e la perseveranza che era rimasta alla loro figura caratteristica, di riconquistare il dominio almeno nella diocesi patriarcale.”
Machiavelli, nella sua History of Florence [Storia di Firenze] a pag. 14, dice: “Può essere notato, che quasi tutte le guerre che i barbari del nord fecero in Italia furono causate dai pontefici; e la fiumana di gente con cui la nazione era inondata, era generalmente richiamata da loro.”
Questi estratti ci danno una visione generale dello stato delle cose in questo momento, e ci mostrano che anche se le mani dei papi romani possono non essere visibilmente manifeste nei movimenti del consiglio politico, costituirono il potere che operava assiduamente dietro le scene per proteggere i propri interessi. [148] La relazione che questi re ariani mantenevano verso il papa, da cui vediamo la necessità del loro sradicamento per far posto alla supremazia papale, è mostrata nella seguente testimonianza di J. L. Mosheim, nel suo libro History of the Church [Storia della chiesa], secolo 6, parte 2, capitolo 2, sezione 2:
“D’altra parte, è sicuro, da una varietà dei documenti più autentici, che sia gli imperatori che le nazioni in generale non erano disposti a sopportare pazientemente la servitù che i papi imponevano sulla chiesa cristiana. I principi gotici limitarono il potere di questi arroganti prelati in Italia, impedendogli di elevarsi al pontificato senza la loro approvazione, e riservandosi il diritto di giudicare la legittimità di ogni nuova elezione.”
Un esempio che attesta questa affermazione, si trova nella storia di Odoacre, il primo re ariano sopra citato, come riferito da Archibald Bower nel suo libro History of the Popes [La storia dei papi], vol. 1, pag. 271. Quando, alla morte di papa Simplicio, nel 483 d.C. , il clero e il popolo si riunirono per eleggere un nuovo papa, improvvisamente Basilius, luogotenente del re Odoacre, entrò nell’assemblea esprimendo la sua sorpresa che una qualsiasi opera simile come nominare un successore del defunto papa si stesse svolgendo senza di lui; nel nome del re dichiarò nullo tutto quello che era stato fatto, e ordinò una nuova elezione. Certamente, il corno che esercitava un potere così restrittivo sul pontefice papale deve essere tolto prima che il papa possa raggiungere la supremazia predetta.
Nel frattempo, Zenone, l’imperatore romano d’oriente e amico del papa, era ansioso di allontanare Odoacre fuori dall’Italia (Machiavelli, pag. 6), un movimento che ben presto ebbe la soddisfazione di veder realizzato senza alcun problema per se stesso, nel modo seguente: Teodorico salì al trono del regno ostrogoto in Mesia e Pannonia, ed essendo in rapporti amichevoli con Zeno, gli scrisse dicendogli che per lui era impossibile trattenere i Goti all’interno dell’impoverita provincia della Pannonia, e chiese il suo permesso
di guidarli in qualche regione più favorevole che avrebbero potuto conquistare e possedere. Zeno gli diede il permesso di marciare contro Odoacre e prendere [149] il possesso dell’Italia. Di conseguenza, dopo una guerra di tre anni, il regno degli Eruli in Italia venne sconfitto, Odoacre fu ucciso senza scrupoli, e Teodorico stabilì i suoi Ostrogoti nella penisola italiana. Come già detto, Teodorico era un ariano, e la legge di Odoacre che sottometteva l’elezione del papa all’approvazione del re, era ancora valida.
Il seguente episodio mostrerà quanto il papato fosse completamente controllato dal potere di Teodorico. Nel 523 d.C. , i cattolici in oriente iniziarono a perseguitare gli ariani, e Teodorico convocò papa Giovanni in sua presenza dicendogli: “Se l’imperatore (Giustino, il predecessore di Giustiniano) non pensa sia giusto revocare l’editto che lui ha recentemente emesso contro quelli del mio stesso credo (gli ariani), è mia ferma decisione di emettere un simile editto contro quelli del suo credo (i cattolici romani) e di eseguirlo dappertutto con lo stesso rigore. Coloro i quali non professano la fede di Nicea sono eretici per lui, e quelli che lo fanno sono eretici per me. Qualunque cosa può scusare o giustificare la sua severità verso i primi, scuserà e giustificherà la mia verso gli ultimi.” Il re [Teodorico] continuò dicendo: “L’imperatore, però, non ha nulla riguardo colui che osa liberamente e parla apertamente di quello che loro pensano, o verso coloro che ascolterebbe se lo facessero. La grande venerazione che lui [Giustino] professa per la vostra sede [papale] non lascia spazio a dubbi, infatti, lui ti ascolterebbe. Perciò, io voglio che tu poni immediatamente rimedio andando a Costantinopoli, e che lì protesti, sia a nome mio che tuo, contro le violente misure attuate così velocemente da quella corte.
È in tuo potere di distogliere l’imperatore da loro; e finché tu, anzi, finché i cattolici (Teodorico usa questo nome per gli ariani) non sono ripristinati nel libero esercizio della loro religione, e in tutte le chiese da cui sono stati scacciati, non devi pensare di ritornare in Italia.” Archibald Bower, History of the Popes, vol. 1, pag. 325
Il papa, a cui venne tassativamente ordinato di non rimettere piede in Italia finché avesse adempiuto la volontà del re [Teodorico], di certo non poteva sperare in un grande avanzamento verso qualsiasi tipo di supremazia fino a quando quel potere [ariano] non fosse stato tolto di mezzo. Secondo A. Bower, Baronio dice che, in questa occasione il papa si sacrificò, e consigliò [150] l’imperatore [Giustino] di non rispettare assolutamente la richiesta mandatagli dal re. Il signor Bower, però, pensa che questa cosa non sia vera, dato che lui [papa Giovanni] non avrebbe potuto “sacrificarsi senza sacrificare allo stesso tempo la parte più grande degli innocenti cattolici in occidente, che erano soggetti al re Teodorico o agli altri principi ariani alleati con lui.” [The history of the popes, vol. 1, pag. 326] È sicuro che, al loro ritorno, il papa e gli altri ambasciatori furono trattati con severità; cosa che Bower spiega in questo modo: “Gli altri li accusarono tutti di alto tradimento; e in questo momento, gli uomini più importanti di Roma furono veramente sospettati di portare avanti una perfida corrispondenza con la corte di Costantinopoli, complottando la rovina dell’impero gotico in Italia.” Ibid, pagina 317.
In base alla citazione appena data, i sentimenti della fazione papale verso Teodorico possono essere accuratamente valutati attraverso la loro vendetta sulla sua memoria, quando, dalla sua enorme tomba a Ravenna, fecero a pezzi il vaso di porfido in cui i suoi sudditi ariani avevano posto le sue ceneri [vedi a pag. 147]. Questi sentimenti, però, sono scritti da Baronio, che inveisce “contro Teodorico, come un barbaro crudele, come un tiranno barbaro, come un ariano empio.” Ma “avendo esagerato con tutta la sua eloquenza, e lamentando la pessima condizione della chiesa romana ridotta in uno stato di schiavitù da quell’eretico, alla fine si consola e asciuga le sue lacrime con il santo pensiero che l’autore di una tale calamità era morto poco dopo, ed era eternamente dannato!” – A. Bower, The history of the popes, vol.1, pag. 328 [vol. 2, pag. 320]; confronta gli annali di Baronio, 526 d.C. , pag. 116.
Mentre i cattolici in Italia erano frenati dal potere di un re ariano, loro stavano soffrendo una violenta persecuzione dei Vandali ariani in Africa. (E. Gibbon History of the decline and fall of the roman empire, vol. 3, cap. 37, sez. 2). Edward Elliott, nel suo Horae Apocalypticae, vol. 3, pag. 152, nota 3, dice: “I re vandali non erano solo ariani, ma i persecutori dei cattolici: in Sardegna e Corsica, sotto l’episcopato romano, possiamo presumere, anche come in Africa.”
Le cose andavano in questo modo, quando, nel 533 d.C. , Giustiniano iniziò la sua guerra vandalica e gotica. Volendo garantire l’influenza del papa e della fazione cattolica, Giustiniano emanò quel memorabile decreto che doveva costituire il papa a [151] capo di tutte le chiese, e da cui, nel 538 d.C. , deve essere datato il periodo della supremazia papale. Chiunque leggerà la storia della campagna africana (533 – 534 d.C.), e la campagna italiana (534 – 538 d.C.), noterà che i cattolici in ogni luogo salutarono come liberatori l’esercito di Belisario, il generale di Giustiniano.
Anche la testimonianza di J. H. D’Aubigné (Reformation, libro 1, cap. 1) chiarisce le correnti sotterranee che formarono i movimenti esteriori in questi tempi movimentati. D’Aubigné dice [a pag. 10]: “I principi che in questi tempi burrascosi venivano spesso scossi sui loro troni, offersero la loro protezione se Roma, a sua volta, li avrebbe sostenuti. Loro [i principi] le concessero l’autorità spirituale a patto che lei [Roma] avrebbe contraccambiato nel potere secolare. I principi erano generosi verso le anime degli uomini, nella speranza che Roma li avrebbe aiutati contro i loro nemici. Il potere della gerarchia [ecclesiastica], che si rafforzava, e il potere imperiale, che si indeboliva, si appoggiarono l’uno sull’altro, e questa alleanza accelerò il destino di entrambi. Attraverso questa situazione, Roma non poteva perdere. Un editto di Teodosio II e di Valeriano III proclamò il vescovo romano ‘rettore dell’intera chiesa.’ Giustiniano pubblicò un decreto simile.”
Ma nessun decreto di questa natura sarebbe potuto entrare in vigore sino a quando le corna ariane non fossero state sradicate dalla sua strada. Nel 534 d.C. , i Vandali furono sconfitti dal vittorioso esercito di Belisario; e i Goti ricevettero un colpo mortale a causa del loro fallimentare assedio di Roma, nel d.C. 538. (E. Gibbon, History of the decline and fall of the roman empire, vol. 3, cap. 41)
Procopio riferisce che Giustiniano intraprese la guerra d’Africa per liberare i cristiani (cattolici romani) in quei posti; e che, quando lui espresse la sua intenzione a riguardo, il prefetto del palazzo riuscì quasi a dissuaderlo dal suo proposito; ma in sogno gli fu ordinato di “non sottrarsi dal fare i suoi propositi, perché assistendo i cristiani lui avrebbe sconfitto il potere dei Vandali.” Evagrio Scolastico, Ecclesiastical history [Storia ecclesiastica], libro 4, cap. 16, [pag. 207].
Riascoltate Mosheim: “È vero che i greci che ricevettero i decreti del concilio di Nicea (i cattolici romani) perseguitarono e oppressero gli ariani ovunque arrivasse la loro [152] [153] influenza e la loro autorità; ma il popolo di Nicea, a loro volta, non erano trattati meno rigorosamente dai loro avversari (gli ariani), particolarmente in Africa e in Italia, dove sentirono gravemente il peso del potere ariano, e l’amarezza del risentimento ostile. Tuttavia, i trionfi dell’arianesimo furono momentanei, e i loro giorni prosperi finirono interamente quando i Vandali vennero scacciati dall’Africa e i Goti dall’Italia, attraverso gli eserciti di Giustiniano.” J. L. Mosheim, Church History, secolo 6, parte 2, cap. 5, sez. 3, [pag. 284].
Edward Elliot, nel suo libro Horae Apocalypticae, fa due elenchi dei dieci regni che sorsero dall’impero romano, variando la seconda lista dalla prima in base ai cambiamenti che accaddero nel periodo successivo a cui si applica la seconda lista. La sua prima lista è diversa da quella citata nelle note sul capitolo 2:42, soltanto perché lui ha messo gli Alemanni al posto degli Unni, e i Bavaresi al posto dei Longobardi, una variazione che può essere facilmente spiegata. Fuori da questa lista, però, lui nomina i tre regni che furono sradicati dal papato, dicendo: “Dalla lista precedente, potrei citare i tre [regni] che furono sradicati dal papa, ovvero, gli Eruli sotto Odoacre, i Vandali e gli Ostrogoti.” Horae Apocalypticae, vol. 3, pag 152 [quinta edizione del 1862, pag. 168], nota 1.
Anche se lui preferisce la seconda lista, in cui pone i Longobardi al posto degli Eruli, l’affermazione appena citata testimonia in modo eccellente che se noi elenchiamo i dieci regni nel momento in cui gli Eruli erano un potere dominante, essi [gli Eruli] erano una delle corna che furono sradicate.
Dalla testimonianza storica sopra citata, noi riteniamo che si stabilisca chiaramente che le tre corna sradicate erano i seguenti poteri: gli Eruli, nel 493 d.C. ; i Vandali, nel 534 d.C. ; e gli Ostrogoti, nel d.C. 553. Tuttavia, si deve notare che la reale opposizione degli Ostrogoti al decreto di Giustiniano, terminò quando vennero scacciati via da Roma da Belisario, nel 538 d.C.
#1 “Egli proferirà parole contro l’Altissimo.” Il papato lo ha fatto? Guardate ai titoli che il papa si attribuisce, come: “Vicario del Figlio di Dio” e “Signore Dio, il Papa.” (Vedi Gloss on the Extravagantes of Pope John XXII [Commento sulle esagerazioni di papa Giovanni XXII] [154] titolo 14, cap. 4, “Declaramus.” Papa Niccolò disse all’imperatore Michele: “Il Papa non può essere mai legato o sciolto dal potere secolare, dato che è chiaro che lui era chiamato Dio dal devoto principe Costantino; … ed è chiaro che Dio non può essere giudicato dall’uomo.” – Decreti Prima Pars. Distinctio XCVI, Caput 8. C’è bisogno di una bestemmia più audace di questa? Notate anche l’adulazione che i papi hanno ricevuto dai loro seguaci senza alcun rimprovero. Il signor Anthony Pucci, nel quinto Laterano, disse al papa: “La vista della vostra divina maestà mi terrorizza non poco; dato che non sono ignorante che tutto il potere sia in cielo che in terra è dato a te; che in te si compie la profezia ‘Tutti i re della terra lo adoreranno, e le nazioni lo serviranno.’”(Vedi il libro del reverendo J. Oswald, Kingdom Which Shall Not Be Destroyed [Il regno che non sarà mai distrutto], pag. 97-99). Ancora, il dottor A. Clarke, [The holy bible containing the old and new testaments, pag. 3231 e 3232] dice su Daniele 7:25 “’Lui parlerà come se era Dio.’ Quindi, San Girolamo cita Simmaco. Questo si può applicare così bene o così completamente soltanto ai papi di Roma e a nessun altro. Essi avevano pensato di essere infallibili, cosa che appartiene soltanto a Dio. Loro dichiarano di perdonare i peccati, cosa che appartiene soltanto a Dio. Loro dichiarano di aprire e chiudere il cielo, cosa che appartiene soltanto a Dio. Loro dichiarano di essere superiori rispetto a tutti i re della terra, cosa che appartiene soltanto a Dio. Essi [i papi] vanno oltre Dio nel pretendere di sciogliere l’intera nazione dal giuramento di fedeltà verso il proprio re,
quando questi re non li compiacciono. Ed essi vanno contro Dio quando danno le indulgenze per il peccato. Questa è la peggiore di tutte le bestemmie.”
#2 “perseguiterà i santi dell’Altissimo.” Il papato lo ha fatto? Per la semplice informazione di qualsiasi studente della storia della chiesa, qui non c’è bisogno di rispondere. Tutti sanno che, per tanti anni, la chiesa papale ha continuato la sua incessante opera contro i veri seguaci di Dio. Se avessimo avuto spazio, ne avremo parlato dettagliatamente. Guerre, crociate, massacri, inquisizioni e persecuzioni di tutti i tipi – queste erano le loro armi di distruzione.
Nel libro Church history, John Scott dice: “Nessun calcolo può raggiungere i numeri delle persone che sono state uccise, in modi diversi, perché mantenevano la fede nel Vangelo e si opponevano alle corruzioni della chiesa di Roma. In Francia [155] morirono un milione di poveri Valdesi; novecentomila cristiani ortodossi furono uccisi in meno di trenta anni dopo l’istituzione dell’ordine dei gesuiti. Nei Paesi Bassi, il duca di Alva si vantava di aver messo a morte trentaseimila persone attraverso dei semplici carnefici nel giro di pochi anni. L’inquisizione distrusse, attraverso varie torture, centocinquantamila persone in trenta anni. Questi sono soltanto pochi esempi delle cose che la storia ha documentato. Il numero complessivo dei morti, però, non si conoscerà sino a quando la terra non rivelerà il suo sangue, senza più coprire i suoi uccisi.”
Commentando la profezia in cui il piccolo corno “perseguiterà i santi dell’Altissimo”, Barnes, nel suo Notes on Daniele 7:25 , dice: “Qualcuno può dubitare che questo sia vero per il papato? L’inquisizione, le persecuzioni dei Valdesi, le devastazioni del duca di Alva, i fuochi di Smithfield, le torture di Goa – infatti, l’intera storia del papato può essere usata come prova che questo è applicabile a quel potere [il papato]. Se qualcosa avrebbe potuto perseguitare i santi dell’Altissimo – potendoli cancellare dalla faccia della terra in modo da far estinguere la religione del Vangelo – sarebbero state le persecuzioni del potere papale. Nel 1208 d.C. , papa Innocenzo III proclamò una crociata contro i Valdesi e gli Albigesi, in cui morirono un milione di persone. Sin dall’inizio dell’ordine dei gesuiti, dall’anno 1540 al 1580 d.C. , novecentomila persone furono distrutte. In trenta anni, centocinquantamila persone morirono per mano dell’inquisizione. Nella Francia del sud morirono cinquantamila persone impiccate, decapitate, bruciate o sepolte vive per il reato di eresia, nell’arco di trentotto anni dall’editto di Carlo V contro i protestanti alla pace di Chateau Cambrésis, nel 1559. Diciottomila persone soffrirono per mano dei boia nello spazio di cinque anni e mezzo, durante l’amministrazione del duca di Alva. In verità, la minima familiarità con la storia del papato convincerà chiunque che le frasi ‘faceva guerra ai santi’ (Daniele 7:21) e ‘perseguiterà i santi dell’Altissimo’ (Daniele 7:25), sono strettamente applicabili a quel potere [il papato] e ne descrive [156] [157] accuratamente la sua storia.” (Vedi il Buck’s Theological Dictionary, alla voce “Persecutions: il regno di Oswald” eccetera, pag. 107-133; The history of romanism di John Dowling; Book of Martyrs di John Fox : Charlotte Elizabeth’s Martyrology; The Wars of the Huguenots; The Great Red Dragon di Anthony Gavin, precedentemente uno dei preti cattolici romani di Saragozza, in Spagna; Histories of the Reformation di J. H. Merle d’Aubigné, eccetera)
Per respingere la forza di questa dannosa testimonianza da tutta la storia, i simpatizzanti del papato negano che la chiesa [cattolica romana] abbia mai perseguitato qualcuno; è stato il potere secolare; la chiesa [cattolica romana] ha soltanto approvato la decisione riguardante l’eresia, dando quindi i colpevoli al potere civile, che li avrebbe trattati secondo il piacere del tribunale secolare. La ridicola ipocrisia di questa affermazione è sufficientemente chiara da renderla un insulto assoluto al buon senso. Cos’era il potere secolare al tempo delle persecuzioni? – Semplicemente uno strumento nelle mani della chiesa [cattolica] che, sotto il suo controllo, deve eseguire il suo comando sanguinario. E quando la chiesa [cattolica] consegnava i suoi prigionieri ai boia per essere uccisi, con scherno diabolico faceva uso della seguente formula: “E noi ti lasciamo al braccio secolare, e al potere della corte secolare; ma allo stesso tempo imploreremo più ardentemente quella corte in modo da moderare la sua sentenza per non toccare il tuo sangue, e neanche di mettere la tua vita in qualsiasi tipo di pericolo.” E poi, come previsto, le sfortunate vittime dell’odio papista erano immediatamente giustiziate. (Michael Geddes nel suo Miscellaneous tracts, vol. 1, cap. 5 “View of the Court of Inquisition in Portugal”, pag. 446 [da pag. 389 a 448, e con i nomi delle persone giustiziate da pag. 417 a 448]; Philippus van Limborch, The history of the inquisition, vol. 2, pag. 289)
Ma le false affermazioni dei papisti riguardo a queste cose sono state assolutamente negate e smentite da uno dei loro scrittori più comuni, il cardinale Roberto Bellarmino, che nacque in Toscana nel 1542 e che, dopo la sua morte nel 1621, stava quasi per essere posto nel calendario dei santi a causa dei suoi grandi servizi a favore del papato. In una occasione, quest’uomo, sotto la spinta del dibattito, si tradì ammettendo i fatti reali nel caso. Quando Lutero disse che la chiesa (intendendo la vera chiesa) non aveva mai bruciato gli eretici, Bellarmino, intendendo la chiesa cattolica romana, rispose: “Questo argomento non dimostra l’opinione, ma l’ignoranza o la sfacciataggine [158] di Lutero, dato che quasi un numero infinito di persone furono sia bruciate che messe a morte diversamente; o Lutero non lo sapeva, essendo quindi ignorante, o se lo sapeva, lui era colpevole di sfrontatezza e falsità, dato che può essere provato fornendo alcuni dei molti esempi in cui gli eretici erano spesso bruciati dalla chiesa [cattolica romana].”
Per mostrare la relazione del potere secolare con la chiesa [cattolica], come sostengono i cattolici romani, noi citiamo la risposta dello stesso scrittore all’argomento in cui si dice che l’unica arma affidata alla chiesa è “la spada dello Spirito, che è la parola di Dio.” [Efesini 6:17] A questo, Bellarmino rispose: “Come la chiesa [cattolica] ha principi ecclesiastici e secolari, che sono le sue due braccia, così lei [la chiesa cattolica] ha pure due spade: quella spirituale e quella materiale; pertanto, quando la mano destra non è in grado di convertire un eretico con la spada dello Spirito, lei invoca l’aiuto della mano sinistra, costringendo gli eretici con la spada materiale.” In risposta all’argomento in cui gli apostoli non invocarono mai il braccio secolare contro gli eretici, Bellarmino dice: “Gli apostoli non lo fecero perché non c’era alcun principe cristiano a cui poter chiedere aiuto. Ma in seguito, al tempo di Costantino, … la chiesa si fece aiutare dal braccio secolare.” (John Dowling, History of Romanism, pag. 547, 548; E. M. Marvin, Popular lectures on the errors of the roman catholic church, pag. 68, parte 3)
A conferma di questi fatti, cinquanta milioni di martiri – questo è il calcolo più basso fatto da qualsiasi storico – si alzeranno nel giudizio come una testimonianza contro l’opera sanguinosa di quella chiesa [cattolica romana].
Roma pagana perseguitò senza sosta la chiesa cristiana, e si stima che tre milioni di cristiani morirono nei primi tre secoli, ma viene anche detto che i cristiani primitivi pregarono per la continuazione dell’impero romano, perché sapevano che quando questa forma di governo sarebbe finita, sarebbe sorto un altro potere persecutore ancora peggiore, che avrebbe letteralmente “perseguitato i santi dell’Altissimo”, come dichiarato dalla profezia. Roma pagana avrebbe potuto uccidere i neonati, ma risparmiare le madri; invece la Roma papale uccise sia le madri che i neonati. Né l’età, né il sesso e neppure la condizione sociale era risparmiata dalla sua ira implacabile. Uno scrittore energico dice: “Quando Erode morì, scese nella tomba con infamia; e la terra ebbe un assassino, un persecutore in meno, mentre l’inferno una vittima [159] in più. Oh Roma! cosa non sarà il tuo inferno, e quello dei tuoi devoti, quando il tuo giudizio avrà luogo!”
#3 E “penserà di mutare i tempi e la legge.” Quale legge e di chi? Non si tratta delle leggi di altri governi terreni, dato che non era per niente meraviglioso o strano che un potere cambiasse le leggi di un altro potere ogni qualvolta avesse potuto dominarlo. Non si tratta di alcun tipo di leggi umane, dato che il piccolo corno aveva il potere di cambiarle a mano a mano che la sua giurisdizione si estendeva; i tempi e le leggi di cui si parla, però, erano tali che questo potere avrebbe soltanto pensato di cambiarli, ma non sarebbe stato in grado di farlo. Queste sono le leggi dello stesso Essere a cui appartengono i santi che sono perseguitati da questo potere [papale], ovvero, le leggi dell’Altissimo. Il papato ha provato a cambiare i tempi e la legge? – Sì, ha fatto anche questo. Nel suo catechismo, costui ha cancellato il secondo comandamento del decalogo per far posto alla sua adorazione delle immagini; ha diviso il decimo comandamento per mantenere il numero dei comandamenti a dieci; e, più audacemente di tutti, ha preso possesso del quarto comandamento, togliendo il giorno di riposo del sabato di Geova, l’unico memoriale del grande Dio mai dato all’uomo, e al suo posto ha eretto una istituzione rivale per servire un altro scopo.3
#4 “I santi saranno dati nelle sue mani per un tempo H5732, dei tempi H5732 e la metàH6387 di un tempo H5732.” Per quanto tempo i santi devono essere dati nelle mani di questo potere? Come abbiamo visto in Daniele 4:23, “un tempo” è un anno; “dei tempi”, il minimo che si può indicare con il plurale, due anni, mentre “la metàH6387 di un tempo” (Septuaginta) metà anno. Gesenius aggiunge “…, Caldeo, una metà. Daniele 7:25” [H6387 pelag = (Aramaico) “metà”] Così, abbiamo tre anni e mezzo per la continuazione di questo potere. La parola ebraica, o meglio, quella caldea, per “tempo” nel testo che abbiamo davanti è ‘Iddân [H5732 `iddân = (Aramaico) “tempo” (durata) o “anno”], che Gesenius definisce così: “’Tempo’ nel linguaggio profetico equivale a un anno. Dan 4:13,20,22,29 / 7:25; un anno, due anni, e metà anno; esempio, ‘per tre anni e mezzo’; confronta con Josephus, Bellum Jud. i. 1.” Ora dobbiamo considerare che siamo nel [160] bel mezzo della profezia simbolica, e pertanto, in questa misurazione, il tempo non è letterale ma simbolico. Quindi sorge la domanda: Quanto dura un periodo di tempo indicato come “tre anni e mezzo” di tempo profetico? La regola dataci nella Bibbia è che quando “un giorno” è usato come un simbolo, significa “un anno.” (Ezechiele 4:6; Numeri 14:34) La parola ebraica “giorno” (yom) [H3117 Yowm = “giorno”, “tempo”, “anno”] Gesenius fa questa osservazione: “3. A volte (Yamim) indica uno spazio definito di tempo; un anno; come anche il siriaco e il caldeo (Iddan) indica sia ‘tempo’ che ‘anno’; e come in italiano molte parole indicano il tempo, il peso e la misura, allo stesso modo sono usate per indicare certi specifici tempi, pesi e misure.” L’anno giudaico ordinario, che deve essere usato come base del conteggio, contiene trecentosessanta giorni. Tre anni e mezzo contengono milleduecentosessanta giorni. Dato che ogni “giorno” significa “un anno”, abbiamo milleduecentosessanta anni per la durata della supremazia di questo corno. Il papato possedette il dominio per questa durata di tempo? La risposta è ancora SI. L’editto dell’imperatore Giustiniano, datato nel 533 d.C. , fece del vescovo di Roma il capo di tutte le chiese. Questo editto, però, non poteva entrare in vigore sino a quando gli Ostrogoti ariani (gli ultimi delle tre corna che furono sradicate per far spazio al papato) non erano scacciati via da Roma; e come già mostrato, questo non accadde sino al d.C. 538. L’editto non avrebbe avuto effetto se non si fosse adempiuto quest’ultimo evento; quindi, dobbiamo conteggiare da quest’ultimo anno [il 538 d.C.], dato che era il primo momento in cui i santi furono realmente dati nelle mani di questo potere. Da questo momento, il papato ha mantenuto la supremazia per milleduecentosessanta anni? – Esattamente. Dato che 538 + 1260 = 1798; e nell’anno 1798, il generale maggiore Louis Alexandre Berthier, con un esercito francese, entrò a Roma, proclamò una Repubblica, imprigionò il papa [Pio VI], e per un po di tempo abolì il papato. Da allora, il papato non ha più goduto dei privilegi e delle immunità che possedeva precedentemente. Così, ancora una volta, questo potere [il papato] adempie con precisione le caratteristiche della profezia, il ché dimostra senza dubbio che l’applicazione è corretta.
Dopo aver descritto il terribile avanzamento del piccolo corno, e affermato che i santi sarebbero dati nelle sue mani per 1260 [161] anni, portandoci sino al 1798, il verso 26 dichiara: “Si terrà quindi il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà annientato e distrutto per sempre.” Nel verso 10 dello stesso capitolo, abbiamo sostanzialmente la stessa espressione relativa al giudizio: “Il giudizio si tenne.” Si può supporre con molta sicurezza che in entrambi i casi, ci si riferisce allo stesso giudizio. Ma la sublime scena descritta nel verso 10 è l’apertura del giudizio investigativo nel santuario celeste, come si vedrà nelle osservazioni su Daniele 8:14 e 9:25-27. La profezia posiziona l’apertura di questa scena del giudizio alla fine del grande periodo profetico dei 2300 anni, che terminano nel 1844 d.C. (Vedi Daniele 9:25-27). Quattro anni dopo questo, ovvero nel 1848, la grande rivoluzione che scosse tanti troni europei, scacciò anche il papa dai suoi domini. Poco dopo, il suo ristabilimento avvenne attraverso la forza di eserciti stranieri, le uniche cose che lo sostenevano, sino alla sua definitiva perdita del potere temporale, nel 1870. La sconfitta del papato nel 1798 segnò la conclusione del periodo profetico dei 1260 anni, e costituì la “ferita mortale” profetizzata in Apocalisse 13:3 verso questo potere; ma questa ferita mortale doveva essere “guarita.” Nel 1800 venne eletto un altro papa; il suo palazzo e il suo dominio temporale furono restaurati, e ogni privilegio tranne (come dice il signor Croly) la metodica persecuzione, erano nuovamente sotto il suo controllo; in questo modo, la ferita era stata guarita. Ma dal 1870, lui [il papato] non ha goduto di alcun prestigio come un principe temporale tra le nazioni della terra.
“Verso 27 Poi il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno 28 Qui finirono le parole rivoltemi. Quanto a me, Daniele, i miei pensieri mi turbarono grandemente e il mio aspetto cambiò, ma conservai le parole nel mio cuore«.”
Dopo aver visto l’immagine cupa e desolata dell’oppressione papale sulla chiesa, al profeta è permesso ancora una volta di guardare al tempo glorioso del riposo dei santi, quando essi avranno il regno, libero da tutti i poteri oppressivi, possedendolo per sempre. Come potrebbero i figli di Dio resistere in questo mondo malvagio, [162] in mezzo al malgoverno e all’oppressione dei governi terreni, e alle abominazioni compiute nel paese, se non potessero guardare in avanti verso il regno di Dio e al ritorno del loro Signore, con la piena certezza che le promesse che li riguardano si adempiranno in modo sicuro e rapido?
*NOTA – Negli ultimi anni del tempo presente hanno avuto luogo alcuni strabilianti eventi relativi al papato, adempiendo le profezie pronunciate in questo capitolo riguardo quel potere. Iniziando nel 1798, anno in cui il papato ricevette il primo grande colpo, quali sono state le caratteristiche principali della sua storia? Risposta: Il rapido abbandono dei suoi sostenitori abituali, e maggiori ipotesi nei suoi confronti. Nel 1844 iniziò il giudizio del verso 10, ovvero, il giudizio investigativo nel santuario celeste, in preparazione al ritorno di Cristo. L’8 Dicembre 1854, il papa decretò il dogma dell’immacolata concezione. Il 21 luglio 1870, nel grande concilio ecumenico tenutosi a Roma, è stato decretato deliberatamente, con un voto di 538 contro 2, che il papa era infallibile. Nello stesso anno, la Francia, le cui baionette mantennero il papa sul suo trono, fu sconfitta dalla Prussia, e l’ultimo sostegno venne tolto da sotto il papato. Poi, Vittorio Emmanuele, vedendo la sua opportunità di realizzare il sogno lungamente accarezzato di una Italia unita, si impadronì di Roma per farne la capitale del suo regno. Il 20 Settembre 1870, Roma si arrese alle truppe del generale Cadorna. Vittorio Emmanuele disse che, in questo modo, il potere temporale del papa era tolto completamente, per non essere più ristabilito; e da quel momento, i papi, rinchiudendosi in Vaticano, si definirono come “prigionieri.” A causa delle grandi parole pronunciate dal corno, Daniele vide la bestia distrutta e data alle fiamme. Questa distruzione deve accadere al secondo ritorno di Cristo e per mezzo di quell’evento; dato che l’uomo del peccato deve essere consumato dal soffio della bocca di Cristo e distrutto dallo splendore del Suo ritorno. (2Tessalonicesi 2:8) Quali parole possono essere più arroganti, presuntuose e blasfeme o offensive verso il cielo, rispetto alla deliberata approvazione del dogma dell’infallibilità, dando così a un uomo mortale una prerogativa della Deità? Il 21 luglio 1870, questo venne realizzato attraverso l’intrigo e l’influenza papale. Seguendo in rapida successione, l’ultima traccia del potere temporale venne strappata dalle sue mani. È stato a causa di queste parole, come se fosse stato nella quasi immediata connessione con esse, che il profeta vide questo potere dato alle fiamme. Il suo dominio doveva essere completamente consumato, significando che quando il suo potere come sovrano civile sarebbe stato interamente distrutto, la fine non sarebbe stata lontana. Il profeta aggiunge: “Poi il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo.” Tutto in questa linea profetica ora è stato completamente adempiuto, tranne la scena finale. La prossima scena è l’ultimo atto supremo del dramma, quando la bestia sarà data alle fiamme, e i santi dell’Altissimo prenderanno il regno. Ora, noi dobbiamo essere proprio alla soglia di questo glorioso evento.**
NOTE
3 (pag. 159) – Vedi il catechismo cattolico e l’opera intitolata Who Changed the Sabbath? [Chi ha cambiato il sabato?] e le opere sul riposo del giorno del sabato e sulla legge, pubblicate dalla Review and Herald Publishing Company.
[163]
“Ancora una volta, arriviamo” dice il dottor Clarke “alla parte del libro in ebraico, dato che quella in lingua caldea è terminata. I Caldei partecipavano in modo particolare sia nella storia che nelle profezie dal capitolo 2:4 sino alla fine del capitolo 7, perché è interamente scritto in caldeo; ma dato che le restanti profezie interessano tempi successivi alla monarchia caldea, e riguardano principalmente la chiesa e il popolo di Dio in generale, sono scritte nella lingua ebraica, perché questa è la lingua in cui Dio scelse di rivelare tutti i Suoi consigli dati nell’Antico Testamento relativi al Nuovo.”
“Verso 1 Nel terzo anno di regno del re Belshatsar, una visione apparve a me, Daniele, dopo quella che mi era apparsa prima.”
Un importante caratteristica degli scritti sacri che dovrebbe proteggerli per sempre dall’accusa di finzione, è la franchezza e la libertà con cui gli scrittori dichiarano tutte le vicende legate con quello che documentano. Questo verso indica il tempo in cui la visione documentata in questo capitolo fu data a Daniele. Il primo anno di Belshatsar era il a.C. 540. Di conseguenza, il suo terzo anno in cui fu data questa visione, sarebbe il d.C. 538. Se, come si suppone, Daniele aveva circa venti anni quando venne portato [164] [165] a Babilonia nel primo anno di Nabucodonosor, il 606 a.C. , in questo momento lui doveva avere circa ottantotto anni di età. La visione che dice di aver avuto all’inizio del regno, è senza dubbio la visione che si trova nel settimo capitolo, che lui ebbe nel primo anno di Belshatsar.
“Verso 2 Or vidi in visione e, mentre guardavo, mi avvenne di trovarmi nella cittadella di Susa, che è nella provincia di Elam, e nella visione vidi di essere presso il fiume Ulai.”
Come il verso 1 presenta il tempo in cui la visione fu data, questo verso parla del posto in cui la visione fu data. Da Prideaux, apprendiamo che Susa era la metropoli della provincia di Elam. A quei tempi, questo posto apparteneva ai babilonesi, infatti, il re di Babilonia aveva lì un palazzo reale. Essendo Daniele un ministro di stato impiegato negli affari del re, di conseguenza si trovava in quel luogo. Abradate, viceré o principe di Susa, passò dalla parte di Ciro, e la provincia venne unita ai Medi e ai Persiani, in modo che, secondo la profezia di Isaia 21:2 , Elam andasse con i Medi per assediare Babilonia. Sotto i Medi e i Persiani, Elam riconquistò le sue libertà del quale era stata privata a causa dei babilonesi, in base alla profezia di Geremia 49:39.
“Verso 3 Quindi alzai gli occhi e guardai, ed ecco, in piedi davanti al fiume un montone che aveva due corna; le due corna erano alte, ma un corno era più alto dell’altro, anche se il più alto era spuntato per ultimo. 4 Vidi il montone che cozzava a ovest, a nord, e a sud; nessuna bestia gli poteva resistere, né alcuno poteva liberare dal suo potere; così fece quel che volle e diventò grande.”
Nel verso 20 ci viene data un interpretazione di questo simbolo in modo molto chiaro: “Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia.” Quindi, dobbiamo soltanto considerare quanto bene risponda il simbolo a questo potere. Le due corna rappresentano le due nazionalità di cui l’impero era costituito. Il corno più alto venne per ultimo. Questo rappresentava l’elemento persiano, che, dall’essere un semplice alleato dei Medi, divenne la parte principale dell’impero. Le diverse direzioni in cui si vedeva cozzare il montone, indicano le direzioni in cui [166] i Medi e i Persiani portarono le loro conquiste. Nessun potere terreno poteva resistere davanti a loro mentre marciavano verso l’importante posizione che la provvidenza di Dio aveva deciso per loro. Le loro conquiste ebbero un successo cosi grande che nei giorni di Assuero (Ester 1:1), il regno Medo-Persiano si estendeva dall’India all’Etiopia, le estremità del mondo allora conosciuto, con più di centoventisette province. La profezia sembra quasi fallire sui fatti dichiarati dalla storia, quando dice semplicemente che questo potere “fece quel che volle e diventò grande.”
“Verso 5 Mentre consideravo questo ecco venire dall’occidente un capro, che percorreva tutta la superficie della terra senza toccare il suolo, il capro aveva un corno cospicuo fra i suoi occhi. 6 Giunse fino al montone dalle due corna, che avevo visto in piedi davanti al fiume, e gli si avventò contro nel furore della sua forza. 7 Lo vidi avvicinarsi al montone e montare in collera contro di lui, cozzò quindi contro il montone e frantumò le sue due corna, senza che il montone avesse forza per resistergli; così lo gettò a terra e lo calpestò, e nessuno poté liberare il montone dal suo potere.”
Il profeta dice “Mentre consideravo”; e in questo lui stabilisce un esempio per ogni amante della verità, e per tutti coloro che hanno un qualche riguardo per cose più importanti degli obiettivi del tempo e della percezione. Quando Mosè vide il roveto ardente, disse: “Ora mi sposterò per vedere questo grandioso spettacolo.” [Esodo 3:3] Ma quanto pochi, al tempo presente, sono disposti ad allontanarsi dalla ricerca degli affari o del piacere, per considerare i temi importanti a cui la misericordia e la provvidenza di Dio si sforzano di richiamare la loro attenzione.
L’angelo spiega a Daniele il simbolo qui introdotto. Verso 21 “Il capro peloso è il re (o regno) di JavanH3120.” [H3120 Yavan = #1 ‘Ionia’ o ‘Grecia’; ‘Javan’ un figlio di Jafet e nipote di Noè; vedi Genesi 10:2; Daniele 8:21; Isaia 66:19; Ezechiele 27:13; Zaccaria 9:13 ; #2 ‘Grecia’, la località dei discendenti di Javan.] Per quanto riguarda la correttezza di questo simbolo verso il popolo greco o macedone, il vescovo Newton osserva che i macedoni “circa duecento anni prima del tempo di Daniele, erano chiamati Aegeadae, la gente delle capre”, lui spiega l’origine di questo nome, in conformità con gli autori pagani, come segue: “Caranus [o Carano], il loro primo re che, andando con una grande moltitudine di greci per cercare nuove abitazioni in Macedonia,
fu consigliato da un oracolo di usare le capre come sue guide verso l’impero: [167] [168] in seguito, vedendo una mandria di capre che scappavano a causa di una violenta tempesta, lui le seguì sino a Edessa, in cui stabilì la sede del suo impero, e fece delle capre il suo emblema, o la sua insegna, e chiamò la città Aegae, ovvero, la città delle capre, e il popolo Aegeadae, ovvero, la gente delle capre.” – “La città di Aegeae o Aegae era il luogo di sepoltura abituale dei re macedoni. È anche degno di nota che il figlio di Alessandro Magno avuto da Roxana [o Rossane] fu chiamato Alessandro Aegus, o ‘il figlio della capra’; e alcuni dei successori di Alessandro sono rappresentati nelle loro monete con le corna delle capre.” – Thomas Newton, Dissertations on the prophecies which have remarkably been fulfilled and at this time are fulfilling in the world, pag. 238.
Il capro veniva dall’ovest. La Grecia è situata ad ovest della Persia.
“Tutta la superficie della terra.” Come passava, egli ricopriva tutta la superficie della terra, ovvero, rimuoveva tutto davanti a lui senza lasciare nulla dietro.
Il capro “non toccava il suolo.” L’incredibile velocità dei suoi movimenti era tale che sembrava non toccasse il terreno, ma che volasse da un punto all’altro con la rapidità del vento; la stessa caratteristica è mostrata attraverso le quattro ali del leopardo nella visione del capitolo 7.
“Un corno cospicuo fra i suoi occhi.” Nel verso 21 [questo corno] è spiegato essere il primo re dell’impero macedone. Questo re era Alessandro Magno.
I versi 6 e 7 danno un breve resoconto della sconfitta dell’impero persiano da parte di Alessandro Magno. Si dice che le contese tra i greci e i persiani siano state estremamente furiose; e alcune delle scene documentate nella storia sono vividamente ricordate attraverso la figura usata nella profezia – un montone in piedi davanti al fiume, e il capro che corre verso di lui nel furore della sua forza. Innanzi tutto, Alessandro Magno sconfisse i generali di Dario al fiume Granico, nella Frigia; poi lui attaccò e sconfisse totalmente Dario ai passi di Isso, in Cilicia, e successivamente sulle pianure di Arbela, in Siria. Quest’ultima battaglia avvenne nel 331 a.C. , e segnò la fine dell’impero persiano perché, attraverso questo evento, Alessandro divenne il dominatore assoluto dell’intero paese. Il vescovo Newton cita il verso 6: “(il capro) Giunse fino al montone dalle due corna, che avevo visto in piedi davanti al fiume, e gli si avventò contro nel furore della sua forza”, e aggiunge: “È difficile leggere queste parole senza avere [169] [170] qualche immagine dell’esercito di Dario che si stabilisce e che protegge il fiume Granico, e di Alessandro dall’altra parte con le sue forze che si immergono, nuotano attraverso la corrente, e corrono verso il nemico con tutto il fuoco e la furia immaginabili.” – Ibid pag. 239.
Tolomeo fa iniziare il regno di Alessandro nel 332 a.C. , ma non fu prima della battaglia di Arbela, l’anno successivo, che lui divenne, secondo Prideaux (The old and new testament connected in the history of the Jews… , vol. 1, pag. 378) [vedi anche libro 8, Alexander, b.C. 331, pag. 555] “signore assoluto di quell’impero nella sua dimensione massima mai posseduto prima dai re persiani.” Alla vigilia di questo scontro, Dario mandò dieci delle sue guide principali per chiedere la pace; e dopo aver presentato le loro condizioni ad Alessandro, lui rispose: “Dite al vostro sovrano … che il mondo non permetterà di avere due soli e neppure due sovrani!”
Il linguaggio del verso 7 indica la completezza della sottomissione della Medo-Persia verso Alessandro Magno. Le due corna erano rotte, e il montone era gettato a terra e calpestato. La Persia era sottomessa, il paese devastato, i suoi eserciti sbriciolati e dispersi, le sue città saccheggiate, e la città reale di Persepoli (la capitale dell’impero persiano che persino nelle sue rovine resta una delle meraviglie del mondo al tempo presente) venne saccheggiata e bruciata. Così, il montone non ebbe il potere di resistere davanti al capro, e nessuno poté liberarlo dalla sua mano.
“Verso 8 Il capro diventò molto grande; ma, quando fu potente, il suo gran corno si spezzò, al suo posto spuntarono quattro corna cospicue, verso i quattro venti del cielo.”
Il conquistatore è più grande di chi viene conquistato. Il montone, la Medo-Persia, diventò grande; il capro, la Grecia, diventò veramente grande. E quando la Grecia era forte, il grande corno si ruppe. La previsione e la speculazione umana avrebbe detto: “Quando lui [Alessandro] si indebolisce, il suo regno si ribella, o si paralizza attraverso il lusso, quindi il corno si romperà ed il regno verrà frantumato.” Daniele, però, lo vide rotto proprio all’inizio della sua forza e nell’altezza del suo potere, quando qualsiasi osservatore avrebbe detto: “Sicuramente, il regno è stabilito e nulla può sconfiggerlo.” Spesso è così con i malvagi. [171] Il corno della loro forza si rompe proprio quando pensano di stabilirsi più fermamente.
Alessandro cadde nel fiore della vita. (Vedi le note sul verso 39 del capitolo 2) Dopo la sua morte, tra i suoi seguaci crebbe molta confusione per quanto riguarda la successione. Dopo una disputa di sette giorni, finalmente ci si accordò che suo fratello naturale, Filippo Arrideo, sarebbe stato dichiarato re. Attraverso lui e i figli di Alessandro Magno, Alessandro Aegus ed Eracle [o Ercole, “Hercules”, vedi William Hales, A new analysys of chronology… vol.3, 1812, pag. 253], il nome e l’ostentazione dell’impero macedone erano sostenuti per un po di tempo; ma tutte queste persone furono presto assassinate; e con l’estinzione della famiglia di Alessandro Magno, i comandanti supremi dell’esercito, che andarono nelle diverse parti dell’impero come governatori delle province, assunsero il titolo di re. Di conseguenza, essi si associarono e si combatterono l’uno con l’altro in misura tale che nel giro di ventidue anni dalla morte di Alessandro quanti regni rimasero? Cinque? – No. Tre? – No. Due? – No. Soltanto quattro – proprio il numero specificato nella profezia; dato che quattro corna cospicue dovevano sorgere verso i quattro venti del cielo al posto del grande corno che era stato rotto. Questi erano: #1 Cassandro, che ebbe la Grecia e i paesi limitrofi; #2 Lisimaco, che ebbe l’Asia Minore; #3 Seleuco, che ebbe la Siria e Babilonia, e da cui provenne la linea dei re conosciuta come “Seleucide”, molto famosa nella storia; e #4 Tolomeo, figlio di Lago, che ebbe l’Egitto, e da cui sorse il “Lagidae.” Questi mantennero il dominio verso i quattro venti del cielo. Cassandro ebbe le parti occidentali; Lisimaco ebbe le regioni settentrionali; Seleuco possedette i paesi orientali; e Tolomeo ebbe la parte meridionale dell’impero. Pertanto, queste quattro corna possono essere chiamate: #1 Macedonia, #2 Tracia (che a quei tempi includeva l’Asia minore e quelle parti che si trovano nell’Ellesponto [o lo Stretto dei Dardanelli] e il Bosforo), #3 Siria, e #4 Egitto.
“Verso 9 Da uno di questi uscì un piccolo corno, che diventò moltoH3499 grande verso sud, verso est e verso il paese glorioso. 10 Si ingrandì fino a giungere all’esercito del cielo, e fece cadere a terra parte dell’esercito e delle stelle e le calpestò. 11 Si innalzò addirittura fino al capo dell’esercito, gli tolse il sacrificio continuoH8548 e il luogo del suo santuario fu abbattuto. 12 Un esercito [172] gli fu dato, assieme al sacrificio continuoH8548, a motivo della trasgressione; egli gettò a terra la verità; fece tutto questo e prosperò. [H3499 yether = eccessivo, abbondante, superiore, eccellente, rimanente; H8548 tamiyd = continuo, perpetuo, giornaliero – – la parola ‘sacrificio’ è stata aggiunta]
Nella profezia viene introdotto un terzo potere [il piccolo corno]. Nella spiegazione di questi simboli che l’angelo diede a Daniele, questo [terzo potere] non viene descritto con la stessa chiarezza usata per la Medo-Persia e la Grecia, pertanto, vi è ampio spazio per una marea di ipotesi selvagge. Se l’angelo non avesse detto in modo chiaro che la Medo-Persia e la Grecia erano indicate dal montone e dal capro, è impossibile dire quali applicazioni la gente ci avrebbe dato di questi simboli. Probabilmente li avrebbero applicati in qualsiasi modo, tranne che nel modo giusto. Lasciate che per un momento l’uomo interpreti la profezia con il suo giudizio, e immediatamente avremo la più sublime esibizione della fantasia umana.
Ci sono due principali applicazioni del simbolo ora sotto considerazione, che sono tutto ciò che deve essere notato in questi brevi pensieri. La prima applicazione è che il “piccolo corno” qui introdotto indica il re siriano Antioco Epifane; la seconda, invece, indica il potere romano. Verificare le pretese di queste due posizioni è molto facile.
A – Significa Antioco Epifane? Se è così, questo re deve soddisfare le caratteristiche della profezia? Se lui non le soddisfa, l’applicazione non può riferirsi a lui. Il piccolo corno uscì da una di queste quattro corna del capro. Quindi era un potere separato, che esisteva indipendentemente, e che si distingueva da qualsiasi corna del capro. Antioco Epifane era un tale potere?
A1. Chi era Antioco? Dal tempo in cui Seleuco si autoproclamò re sulla parte siriana dell’impero di Alessandro Magno (costituendo così il corno siriano del capro, finché quel paese fu conquistato dai romani), ventisei re governarono in successione su quel territorio. L’ottavo di questi, in ordine di apparizione, era Antioco Epifane. Antioco, quindi, era semplicemente uno dei ventisei re che costituivano il corno siriano del capro. Da quel momento in poi, lui era quel corno, quindi, non poteva essere contemporaneamente anche un potere separato e indipendente, oppure un corno diverso e straordinario, proprio come era il piccolo corno.
[173] [174]
A2. Se fosse corretto applicare il [simbolo del] “piccolo corno” ad uno qualsiasi di questi ventisei re siriani, dovrebbe certamente essere applicato a quello più potente ed illustre di tutti; ma Antioco Epifane non ebbe mai questa caratteristica. Anche se lui prese il nome di “Epifane”, ovvero “l’importante”, lo era solo nel nome; sull’autorità di Polibio, Tito Livio e Diodoro Siculo, Prideaux dice che niente sarebbe stato più diverso dal suo vero carattere, dato che, a causa della sua follia infima e stravagante, alcuni pensavano fosse uno stupido, e altri un pazzo, cambiando il suo nome da Epifane, “l’importante”, a Epimanes, “il pazzo.”
A3. Antioco il Grande, il padre di Epifane, terribilmente sconfitto in una guerra contro i romani, riuscì a procurarsi la pace soltanto pagando una grande somma di denaro e cedendo una parte del suo territorio; e, per mantenere fede alle condizioni del trattato, fu obbligato a dare degli ostaggi, tra i quali vi era proprio suo figlio Antioco Epifane, che fu portato a Roma. Da quel momento in poi, i romani mantennero sempre questa supremazia.
A4. Il piccolo corno divenne moltoH3499 grande; ma questo Antioco [Epifane] non divenne molto grande; al contrario, non ingrandì il suo dominio tranne che per alcune temporanee conquiste in Egitto che abbandonò immediatamente quando i romani presero la parte di Tolomeo e gli ordinarono di abbandonare i suoi progetti in quei posti. Lui sfogò la rabbia di questa sua ambizione delusa verso gli inoffensivi Ebrei.
A5. In confronto con i poteri che l’hanno preceduto, il piccolo corno era moltoH3499 grande. Anche se la Persia regnò su più di centoventisette province, è chiamata semplicemente “grande.” (Ester 1:1) La Grecia, essendo ancora più estesa, è chiamata “veramente grande.” Ora, il piccolo corno, che diventò “moltoH3499 grande” le deve superare entrambe. Quanto è assurdo, quindi, applicare il “piccolo corno” ad Antioco Epifane, che fu obbligato ad abbandonare l’Egitto per ordine dei romani, a cui pagava enormi somme di denaro come tributo. L’enciclopedia religiosa ci dà questo elemento della sua storia: “Avendo esaurito le sue risorse, lui decise di andare in Persia per imporre un tributo e raccogliere le grandi somme di denaro che aveva accettato di pagare ai romani.” Non ci vuole molto [175] per decidere su chi fosse il potere più grande: chi si ritirò dall’Egitto, o chi comandò il ritiro; chi richiese il tributo, o chi era costretto a pagarlo.
A6. Il piccolo corno doveva innalzarsi contro il Principe dei principi. Oltre ogni controversia, il Principe dei principi significa Gesù Cristo. (Daniele 9:25; Atti 3:15; Apocalisse 1:5) Ma Antioco morì centosessantaquattro anni prima che il nostro Signore nascesse. Perciò, la profezia non può applicarsi a lui, dato che non soddisfa le caratteristiche in nessun particolare. Quindi si può chiedere come mai qualcuno abbia potuto applicare il piccolo corno ad Antioco Epifane. Noi rispondiamo: i cattolici romani usano questa opinione per evitare l’applicazione della profezia verso loro stessi; e molti protestanti li seguono, per contrastare la dottrina sull’imminente secondo ritorno di Cristo.
B – È stato facile mostrare che il piccolo corno non indica Antioco Epifane. Sarà altrettanto facile mostrare che indica Roma.
B1. Qui, il campo della visione è sostanzialmente identico a quello descritto dall’immagine di Nabucodonosor del capitolo 2, e dalla visione di Daniele nel capitolo 7. E in entrambe le due delineazioni profetiche, abbiamo scoperto che il potere che succedette la Grecia, proprio come il quarto grande potere, era Roma. L’unica naturale conclusione sarebbe che il piccolo corno, il potere che in questa visione succede alla Grecia come un potere “straordinario”, è sempre Roma.
B2. Il piccolo corno proviene da una delle corna del capro. Ci si può chiedere, come questo può essere vero per Roma? Non è necessario ricordare al lettore che i governi terreni sono introdotti nella profezia soltanto quando si relazionano in qualche modo con il popolo di Dio. Roma si connesse con gli Ebrei, il popolo di Dio a quel tempo, attraverso la famosa “lega ebraica”, nel 161 a.C. (1Maccabei 8; Flavius Josephus, The antiquities of the Jews, libro 12, cap.10, sez. 6; Prideaux, The old and new testament connected in the history of the Jews… 1845, vol. 2, pag. 166) Ma sette anni prima di questo fatto, ovvero, nel 168 a.C., Roma aveva conquistato la Macedonia, facendola diventare una parte del suo impero. Perciò Roma è introdotta nella profezia proprio come, dalla conquista del corno macedone del capro, sta avanzando verso nuove conquiste in altre direzioni. Quindi, al profeta [176] è apparso come se uscisse da una delle corna del capro.
B3. Il piccolo corno diventò molto grande verso sud. Questo era vero per Roma. Nel 30 a.C. , l’Egitto divenne una provincia dell’impero romano, e vi rimase per alcuni secoli.
B4. Il piccolo corno diventò molto grande verso est. Anche questo era vero per Roma. Nel 65 a.C. , Roma conquistò la Siria, e ne fece una provincia.
B5. Il piccolo corno diventò molto grande verso il paese glorioso. Così fece anche Roma. In molti passi, la Giudea è chiamata “il paese glorioso.” Nel 63 a.C. i romani la fecero provincia del loro impero, e alla fine distrussero la città e il tempio, e dispersero gli Ebrei su tutta la faccia della terra.
B6. Il piccolo corno diventò molto grande sino a raggiungere l’esercito celeste. Roma fece anche questo. L’esercito celeste, quando usato in un senso simbolico riferito agli eventi che accadono nella terra, deve indicare persone di carattere illustre o di posizione importante. È detto che il dragone rosso (Apocalisse 12:4) fece cadere sulla terra la terza parte delle stelle del cielo. Lì il dragone simboleggia la Roma pagana, e le stelle che fece cadere a terra erano i sovrani ebraici. Evidentemente, è lo stesso potere e la stessa opera che viene mostrata qui, che, di nuovo, rende necessario applicare questo corno crescente a Roma.
B7. Il piccolo corno si ingrandì fino al Principe dell’esercito. Soltanto Roma fece questo. Nell’interpretazione del verso 25, si dice che insorgerà contro il Principe dei principi. È molto chiaro un riferimento alla crocifissione del nostro Signore sotto la giurisdizione dei romani.
B8. Il piccolo corno tolse il sacrificio continuoH8548. Si deve intendere che questo piccolo corno simboleggia Roma in tutta la sua storia, comprese le sue due fasi: la pagana e la papale. Altrove, queste due fasi vengono chiamate: #1 la “continuazione” (“sacrificio” è una parola aggiunta) e #2 “la trasgressione della desolazione”; quindi, #1 la “continuazione” (della desolazione) significa la forma pagana, mentre #2 “la trasgressione della desolazione”, quella papale. (Vedi il verso 13) Nelle azioni attribuite a questo potere, talvolta si parla di una forma, e talvolta dell’altra. A causa sua [177] (ovvero, a causa della forma papale) la continuazione (ovvero, la forma pagana) fu tolta. [Daniele 8:11] La Roma pagana fu rimodellata nella Roma papale. Il luogo del suo santuario, o della sua adorazione, la città di Roma, fu abbattuto. Nel 330 d.C. , Costantino aveva rimosso la sede del governo [da Roma] a Costantinopoli. Questo stesso spostamento è mostrato in Apocalisse 13:2 in cui è detto che il dragone, la Roma pagana, diede alla bestia, la Roma papale, il suo trono, la città di Roma.
B9. Un esercito gli fu dato (al piccolo corno) assieme alla “continuazione.” I barbari che sovvertirono l’impero romano attraverso i cambiamenti, i logoramenti e le trasformazioni di quei tempi, si convertirono alla fede cattolica romana e divennero gli strumenti per la rimozione della loro precedente religione. Anche se conquistarono Roma politicamente, gli stessi barbari furono sconfitti religiosamente dalla teologia di Roma, diventando gli assassini dello stesso impero in un altra fase. E questo è stato causato a motivo della “trasgressione”, ovvero, attraverso l’opera del mistero dell’iniquità. Il papato è il più astuto ideatore, il più falso sistema ecclesiastico mai inventato prima; può essere chiamato un sistema di iniquità perché ha commesso le sue abominazioni e praticato le sue innumerevoli superstizioni sotto l’apparenza, e sotto la pretesa, di una religione pura e indifesa.
B10. Il piccolo corno gettò la verità a terra e prosperò. In poche parole, questo descrive l’opera e la vocazione del papato. La verità viene da lui orribilmente modificata: è caricata di tradizioni; è trasformata in formalità e superstizione; è gettata a terra e oscurata.
Questo potere anticristiano “fece tutto questo”: ha ingannato il popolo, ha agito con astuzia per raggiungere i propri scopi ed ingrandire il proprio potere.
E “prosperò.” Ha fatto guerra ai santi, e li ha vinti. Ha fatto tutto quello che ha voluto, e presto deve essere distrutto senza mani d’uomo, per essere dato alle fiamme, e per morire nelle glorie consumanti della seconda apparizione del nostro Signore.
Roma soddisfa tutte le caratteristiche della profezia. Nessun altro potere lo fa. Quindi, Roma, e nessun altro, è il potere in questione. E mentre le descrizioni date nella parola di Dio del carattere di questo mostruoso sistema sono [178] pienamente soddisfatte, le profezie della sua malvagia storia sono state adempiute nel modo più sorprendente ed accurato.
“Verso 13 Poi udii un santo che parlava, e un altro santo disse a quello che parlava: »Fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo e la trasgressioneH6588 della desolazione, che abbandona il luogo santoH6944 e l’esercito ad essere calpestati?«. 14 Egli mi disse: »Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuarioH6944 sarà purificato«.” [H6588 pesha` = “trasgressione”, “ribellione”; H6944 qodesh = un posto o una cosa sacra, santità: cose (consacrate / dedicate / ammesse), santo, santissimo (giorno / parte / cosa), santuario]
Il tempo. Questi due versi chiudono la visione del capitolo 8 e introducono l’unico punto rimasto che, più di tutti gli altri, dovrebbe interessare grandemente sia il profeta che tutta la chiesa, ovvero, il tempo in cui i poteri desolanti mostrati precedentemente dovevano continuare. Per quanto tempo continueranno ad opprimere il popolo di Dio e a bestemmiare contro il cielo di sopra? Se gli fosse stato dato il tempo, forse Daniele avrebbe potuto fare questa domanda, ma Dio è sempre pronto a soddisfare in anticipo i nostri bisogni e, a volte, a rispondere ancor prima che noi domandiamo. Perciò, sulla scena appaiono due esseri celesti che discutono (il profeta li ascolta) su questo argomento che è così importante che la chiesa dovrebbe capirlo. Daniele sentì un santo parlare. Noi non sappiamo quello che disse questo santo, ma deve esserci stato qualcosa nell’argomento o nella maniera della conversazione che impressionò profondamente Daniele, in quanto ne parla proprio nella frase successiva con un titolo distintivo, chiamando l’angelo “un santo che parlava.” L’angelo può aver parlato di qualcosa della stessa natura di quella pronunciata dai sette tuoni dell’Apocalisse (Apocalisse 10:3) che, per qualche buona ragione, a Giovanni era stato vietato di scriverne. Un altro santo, però, chiese una domanda importante a colui che parlava: Fino a quando durerà la visione? Sia la domanda che la risposta sono documentate, il ché prova chiaramente che questo è un argomento inteso per la comprensione della chiesa. Questa opinione è ulteriormente confermata dal fatto che l’angelo non fece questa domanda per se stesso, perché la risposta è stata data a Daniele, come l’unica persona principalmente interessata per cui è stata data l’informazione. [179] Documentando la risposta alla domanda dell’angelo, Daniele dice: “Egli mi disse: »Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato«.”
Il sacrificio continuo. Nel verso 13 abbiamo la prova che la parola “sacrificio” è la parola sbagliata usata insieme alla parola “continuo”. Se qui si intende il “sacrificio continuo” del servizio ebraico, o in altre parole, l’abolizione di quello stesso sacrificio che, come alcuni suppongono, ad un certo momento è stato tolto… non ci sarebbe alcuna correttezza nella domanda: Fino a quando durerà la visione? Questa domanda evidentemente implica che quegli agenti o eventi a cui la visione si riferisce, occupano una lunga serie di anni. La continuità del tempo è l’idea centrale. E l’intero tempo della visione è saturo da quello che qui è chiamato “il continuo e la trasgressione della desolazione.” Quindi, il “continuo” non può essere il sacrificio continuo degli Ebrei, la cui mancanza, quando giunse il tempo, occupò comparativamente soltanto un brevissimo istante. Il “continuo” deve indicare qualcosa che occupa una serie di anni.
In base alla concordanza ebraica, la parola tradotta come “continuo” si trova centodue volte nell’Antico Testamento, e nella grande maggioranza dei casi, è tradotta “continuo” o “continuamente.” L’idea del “sacrificio” non si presta assolutamente alla parola “continuo”. Nel testo non c’è alcuna parola che significa “sacrificio”, ovvero, questa è una parola completamente aggiunta dai traduttori che, in base alla loro comprensione del testo, sembrava essere necessaria. Evidentemente, questi traduttori avevano un opinione sbagliata, perché qui non ci si riferisce assolutamente ai sacrifici degli Ebrei. Pertanto, sembra più in linea con la costruzione della frase e con il contesto, supporre che la parola “continuo” si riferisca ad un “potere desolante”, come la “trasgressione della desolazione”, con cui è connessa. Poi abbiamo due “poteri desolanti” che, per un lungo periodo di tempo, opprimono o rendono desolata la chiesa. Letteralmente, il testo può essere tradotto in questo modo: “Fino a quando durerà la visione (che riguarda) la continuazioneH8548 e la trasgressioneH6588 della desolazioneH8074 ? ” – la parola ‘desolazione’ si riferisce sia alla ‘continuazione’ che alla ‘trasgressione’, come se fosse espressa pienamente così: “La continuazione della desolazione e la trasgressione della desolazione.” Con la ‘continuazione della desolazione’, o la ‘desolazione perpetua’, [180] dobbiamo capire che si intende il paganesimo in tutta la sua lunga storia; e quando consideriamo le lunghe età attraverso cui il paganesimo è stato il principale agente dell’opposizione di Satana contro l’opera di Dio nella terra, diventa evidente la correttezza del termine ‘continuazione’, o ‘perpetuità’, quando applicato alla desolazione. Mentre con la ‘trasgressione della desolazione’ si intende il papato. La frase che descrive quest’ultimo potere è più forte di quella usata per descrivere il paganesimo. È la “trasgressione (o ‘ribellione’, come significa anche la parola) della desolazione”; come se in questo periodo della storia della chiesa, il potere desolante si era ribellato contro ogni restrizione impostagli precedentemente.
Dal punto di vista religioso, il mondo ha presentato soltanto queste due fasi di opposizione contro l’opera del Signore sulla terra. Quindi, anche se nella profezia sono stati introdotti tre governi terreni che opprimono la chiesa, questi sono disposti in due gruppi: #1 la “continuazione” e #2 la “trasgressione della desolazione.” La Medo-Persia era pagana; la Grecia era pagana; e Roma, nella sua prima fase, era pagana; tutti questi regni erano compresi nella “continuazione.” Poi viene la forma papale, la “trasgressione della desolazione”, un prodigio di abilità e di astuzia, una incarnazione di sete di sangue demoniaca e di crudeltà. Non c’è da meravigliarsi che l’urlo dei martiri sofferenti sia salito di età in età: “Fino a quando, Signore, fino a quando?” E non c’è da meravigliarsi che il Signore, affinché la speranza non sparisse completamente dai cuori della Sua gente oppressa e in attesa, abbia sollevato il velo del futuro davanti a loro, mostrando l’ordine cronologico degli eventi futuri della storia del mondo,
sino alla totale ed eterna distruzione di tutti questi poteri persecutori, e dandogli un rapido sguardo oltre le future glorie infinite della loro eterna eredità.
Lo sguardo del Signore è sul Suo popolo. Il forno non verrà riscaldato più di quanto sia necessario per consumare le impurità. È attraverso le molte tribolazioni che noi entreremo nel regno; e la parola “tribolazione” deriva da “tribulum”: un rullo per trebbiare. Dobbiamo ricevere un colpo dopo l’altro, affinché tutto il grano si separi dalla pula, per essere resi idonei per il granaio celeste. Non si perderà neppure un chicco di frumento. Il Signore dice al Suo popolo: “Voi siete la luce del mondo”, “il sale della terra.” [181] Nei Suoi occhi non c’è nulla di più influente o importante sulla terra. Da qui, è fatta la particolare domanda: “Fino a quando durerà la visione riguardo la continuazione e la trasgressione della desolazione?” Riguardo a cosa? la gloria dei regni terreni? L’abilità dei celebri guerrieri? la fama dei potenti conquistatori? la grandezza dell’impero umano? – No! solamente riguardo il santuario e l’esercito, il popolo e l’adorazione dell’Altissimo. Sino a quando saranno calpestati? Qui è dove si trova tutto l’interesse e la simpatia del cielo. Chi tocca il popolo di Dio non tocca soltanto dei mortali deboli ed impotenti, ma l’Onnipotenza; infatti, Lui apre una contesa che deve essere risolta al banco celeste, e presto tutti questi conti saranno regolati; il calcagno di ferro dell’oppressione verrà esso stesso sbriciolato, e un popolo verrà tolto dalla fornace, pronto per brillare per sempre come le stelle. Per essere uno che è un oggetto dell’interesse degli esseri celesti, uno che la provvidenza di Dio preserva mentre è qui [su questo pianeta], e che viene incoronato con l’immortalità in seguito – che posizione esaltata! Quanto più importanza rispetto a qualsiasi re, presidente o potente della terra! Lettore, lettrice, tu fai parte di questo numero?
Per quanto riguarda i 2300 giorni introdotti per la prima volta nel verso 14 , in questo capitolo non vi sono presenti informazioni utili a determinare il loro inizio e la loro conclusione, o per dire quale parte della storia mondiale coprono. Per ora, quindi, è necessario andare oltre. Ma il lettore può rassicurarsi dal fatto che, tuttavia, non abbiamo alcun dubbio riguardo quei giorni. La loro dichiarazione è una parte di una rivelazione data per l’istruzione del popolo di Dio, e quindi, deve essere compresa. Si parla di questi giorni nel mezzo di una profezia che l’angelo Gabriele aveva l’ordine di far capire a Daniele; e si può sicuramente presumere che, da qualche parte, Gabriele abbia eseguito quest’ordine. Di conseguenza, si scoprirà che il mistero riguardante questi giorni in questo capitolo, è chiarito nel capitolo successivo.
Il santuario. Connesso con i 2300 giorni c’è un altro soggetto della stessa importanza che ora si presenta per essere considerato, ovvero, il santuario; con esso è collegata anche la sua purificazione. Un esame di [182] questi argomenti rivelerà l’importanza della comprensione dell’inizio e della fine dei 2300 giorni, affinché sappiamo quando deve avvenire il grande evento chiamato “la purificazione del santuario”; dato che tutti gli abitanti della terra, come si vedrà al momento opportuno, hanno un interesse personale in quell’opera solenne.
Diverse persone hanno sostenuto che il santuario fosse: #1 il mondo; #2 il territorio di Canaan; #3 la chiesa; #4 il santuario, il “vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” che sta “nel cielo stesso” e di cui il tabernacolo ebreo era un modello, un esempio o una figura. (Ebrei 8:1,2 ; 9:23,24) Queste quattro dichiarazioni contrastanti devono essere decise attraverso le Scritture; e fortunatamente, la testimonianza non è scarsa, né ambigua.
#1 Il santuario è il mondo? La parola “santuario” si trova centoquarantaquattro volte nell’Antico e nel Nuovo Testamento, e dalle definizioni della parola e dal suo uso nella Bibbia, capiamo che significa un luogo santo o sacro, una dimora per l’Altissimo. Se, dunque, il mondo è il santuario, deve rispondere a questa definizione; ma quale singola caratteristica riguardante questo mondo soddisfa la definizione? Il mondo non è un posto santo o sacro, e non è neppure la dimora dell’Altissimo. Non ha alcun segno distintivo, tranne di essere un pianeta ribelle, rovinato dal peccato, sfregiato e impoverito dalla maledizione. Inoltre, da nessuna parte in tutte le Scritture è chiamato “santuario.” Soltanto un testo può essere ottenuto a favore di questa opinione, ma solo con un applicazione priva di senso critico. Isaia 60:13 dice: “La gloria del Libano verrà a te, assieme al cipresso, al larice e all’abete, per abbellire il luogo del mio santuario, e io renderò glorioso il luogo dove posano i miei piedi.” Indubbiamente questo passo si riferisce alla nuova terra, che non è chiamata il “santuario”, ma solo il “luogo” del santuario, proprio come è chiamato “il luogo” dei piedi del Signore, una espressione che probabilmente indica la continua presenza di Dio con il Suo popolo, come era stato rivelato a Giovanni quando gli era stato detto: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro; ed essi saranno suo popolo, e Dio [183] stesso sarà con loro e sarà il loro Dio.” (Apocalisse 21:3) Perciò, tutto quello che si può dire del mondo, è che quando sarà rinnovato, sarà il luogo in cui sarà posto il santuario di Dio. Al tempo presente, non vi è nulla a sostegno che il mondo sia il santuario, o il santuario della profezia.
#2 Il territorio di Canaan è il santuario? Stando al significato della parola, non si può presentare alcuna affermazione migliore rispetto alla precedente affermazione riguardante il mondo. Se nella Bibbia, indaghiamo dove [la terra di Canaan] è chiamata il santuario, troviamo pochi testi che (per alcune persone) sembrano dare la testimonianza richiesta. Il primo di questi è Esodo 15:17. Mosè, nel suo canto di trionfo e di lode per Dio dopo il passaggio del mar rosso, esclama: “Tu li introdurrai e li pianterai sul monte della tua eredità, il luogo che hai preparato, o Eterno, per tua dimora, il santuario che le tue mani, o Signore, hanno stabilito.” Su questo testo, uno scrittore dice: “Prima di andare oltre, chiedo al lettore di fermarsi per esaminare e risolvere più chiaramente la questione. Qual’è il santuario di cui si parla? Sarebbe molto più sicuro per il lettore di non cercare di risolvere definitivamente la questione usando solo questo testo isolato prima di confrontarlo con altre scritture. Qui Mosè parla di cose che devono ancora avvenire. Il suo linguaggio è una predizione di quello che Dio farebbe per il Suo popolo. Vediamo come è stato adempiuto. Se troviamo, nell’adempimento, che il territorio in cui si sono stabiliti è chiamato ‘santuario’, si rafforzerà notevolmente l’affermazione basata su questo testo. Se, d’altra parte, troviamo una chiara distinzione tra il ‘territorio’ e il ‘santuario’, allora Esodo 15:17 deve essere interpretato di conseguenza. Ci rivolgiamo a Davide, che documenta come un fatto storico quello che Mosè proferì come profezia. (Salmi 78:53,54) Qui, l’oggetto del salmista è la liberazione di Israele dalla servitù egiziana, e il loro stabilimento nella terra promessa; e lui disse: “(Dio) Li aveva guidati sicuri ed essi non ebbero paura, ma il mare aveva inghiottito i loro nemici. Ed egli li portò cosìH1366 nella sua terra santaH6944, al monte che la sua destra aveva conquistato”
[Salmi 78:54 può anche essere tradotto così: “Ed egli li portò così nel confineH1366 del suo santuarioH6944, al monte che la sua destra aveva conquistato.” ; H1366 gebuwl = confine, territorio ; H6944 qodesh = sacralità, santità, separatezza]
Il [184] “monte” citato da Davide è lo stesso “monte della tua eredità” di cui parla Mosè, in cui il popolo doveva essere stabilito [Esodo 15:17]; e Davide lo chiama solamente il confineH1366 del santuarioH6944, non il santuario. Allora, cos’era il santuario? Ce lo dice il Salmo 78:69 “Edificò il suo santuarioH4720, come i luoghi altissimi, come la terraH776 che ha fondato per sempre.” [H4720 miqdash = posto sacro, santuario, posto santo ; H776 ‘erets = mondo, territorio, superficie terrena] La stessa distinzione tra “santuario” e “territorio” è indicata nella preghiera del buon re Giosafat. (2 Cronache 20:7,8) “Non sei stato tu, il nostro DIO, che ha scacciato gli abitanti di questo paese davanti al tuo popolo Israele e l’ha dato per sempre alla discendenza del tuo amico Abrahamo? Essi vi hanno dimorato e vi hanno costruito un santuarioH4720 per il tuo nome …” Preso da solo, alcuni provano a dedurre da Esodo 15:17 che la “montagna” era il “santuario”; ma quando lo colleghiamo con il linguaggio di Davide, che è un documento dell’adempimento della predizione di Mosè, e un commentario ispirato sul suo linguaggio, un idea del genere non può essere creduta, dato che Davide afferma chiaramente che la montagna era semplicemente il confine del santuario; e che in quel confine, o territorio, il santuario fu “costruito” come i luoghi altissimi, facendo riferimento al bellissimo tempio degli Ebrei, il centro e il simbolo di tutta la loro adorazione. Ma Chiunque legge attentamente Esodo 15:17 vedrà che, attraverso la parola “santuario”, Mosè intende la “montagna dell’eredità” e molto meno il territorio della Palestina. Nella libertà poetica, egli impiega espressioni difficili da capire, e passa rapidamente da un idea, o un oggetto, all’altra. Innanzitutto, la sua attenzione si concentra sull’eredità, e lui ne parla; poi si considera il fatto che lì doveva abitarci il Signore; poi, il luogo che Mosè doveva provvedere per la dimora di Dio lì, ovvero, il santuario che avrebbe fatto costruire. Così, nel Salmo 78:68 Davide associa il monte Sion con Giuda, perché Sion era situato in Giuda.
I tre versi, Esodo 15:17 e Salmi 78:54,69 sono quelli principalmente usati per dimostrare che il territorio di Canaan è il santuario; ma, abbastanza stranamente, dato che gli ultimi due sono scritti chiaramente, portano via l’ambiguità del primo, e pertanto negano questa affermazione che è basata su di essi.
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Avendo risolto la prova principale su questo punto, sembrerebbe difficile che valga la pena di passare del tempo con quei testi biblici da cui si possono trarre soltanto supposizioni. Dato che ce n’è solo uno di questa categoria, noi ne parleremo, affinché l’argomento non sia lasciato inosservato. Isaia 63:18 “Per poco tempo il tuo santo popolo ha posseduto il paese; i nostri nemici hanno calpestato il tuo santuario.” Questo linguaggio si applica sia al tempio che al territorio! dato che quando il territorio era invaso dai nemici d’Israele, il loro tempio venne distrutto. Questo è affermato chiaramente in Isaia 64 :11 “Il nostro santo e magnifico tempio, dove i nostri padri ti celebrarono, è divenuto preda del fuoco e tutte le nostre cose più care sono state devastate.” Pertanto, il testo non prova nulla per questa opinione.
Riguardo al mondo o al territorio di Canaan in riferimento al santuario, vi offriamo un ultimo pensiero. Se entrambi costituiscono il santuario, la descrizione non dovrebbe essere così approssimativa, ma la stessa idea dovrebbe essere presente sino alla fine, e la purificazione del “mondo” o della “Palestina” dovrebbe essere chiamata la purificazione del santuario. È vero che la terra è contaminata e deve essere purificata con il fuoco, ma, come vedremo, [il fuoco] non è l’agente usato per la purificazione del santuario; e da nessuna parte nella Bibbia, questa purificazione del mondo o di qualsiasi sua parte, è chiamata la “purificazione del santuario.”
#3 La chiesa è il santuario? L’evidente diffidenza con il quale è suggerita questa idea, è un arresa virtuale dell’argomento ancora prima di essere presentato. L’unico testo solitario usato per sostenere questa tesi è Salmi 114:1,2 “Quando Israele uscì dall’Egitto e la casa di Giacobbe da un popolo di lingua straniera, Giuda divenne il suo santuario e Israele il suo dominio.” Se dovessimo prendere questo testo nel suo senso più letterale, cosa dovrebbe provare rispetto al santuario? Proverebbe che il santuario era limitato ad una delle dodici tribù [Giuda], e quindi, soltanto una parte della chiesa, non la sua interezza, costituiva il santuario. Questo, però, dimostra pochissimo a favore di questa teoria, quindi, non prova nulla. Non ci si deve preoccupare se nel testo citato Giuda viene chiamato il santuario, perché ricordiamo che, come luogo del Suo santuario, Dio scelse Gerusalemme, che era in Giuda. Davide dice: [186] “ma scelse la tribù di Giuda, il monte di Sion, che egli ama. Edificò il suo santuario, come i luoghi altissimi, come la terra che ha fondato per sempre.” Questo mostra chiaramente la connessione che esisteva tra Giuda e il santuario. Quella tribù [Giuda] non era il santuario, ma se ne parla una sola volta in quel modo quando Israele uscì dall’Egitto, perché Dio decise che il Suo santuario si sarebbe trovato nel mezzo del territorio della tribù di Giuda. Ma anche se si potesse mostrare che da qualche parte la chiesa è chiamata “santuario”, non avrebbe alcuna conseguenza al nostro attuale intento di determinare cosa costituisce il santuario di Daniele 8:13,14, dato che lì si parla della chiesa con un altro obiettivo: “Che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati.” Nessuno si opporrà al fatto che per ‘esercito’ si intende la chiesa; quindi, il santuario è un oggetto ulteriore e differente.
#4 Il tempio in cielo è il santuario? Ora non ci resta che esaminare solo questa affermazione, ovvero, che il “santuario” citato nel testo è quello che in Ebrei 8:2 Paolo chiama il “vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo”, che lui chiama espressamente “santuario” e che colloca “nei cieli”, di cui esisteva un modello, esempio o figura sotto la prima dispensazione, prima nel tabernacolo costruito da Mosè, e in seguito nel tempio a Gerusalemme. Si noti particolarmente che nell’opinione qui suggerita risiede la nostra unica speranza di poter capire questo argomento, dato che abbiamo visto che tutte le altre posizioni sono indifendibili. Nessun altro oggetto che chiunque pensa sia il santuario – il mondo, il territorio di Canaan o la chiesa – può sostenere questa pretesa. Se, dunque, non lo troviamo nell’oggetto che abbiamo davanti [il santuario, appunto], possiamo abbandonare la ricerca in totale disperazione; possiamo abbandonare molta di quella rivelazione che resta ancora da svelare, e possiamo eliminare dalla pagina sacra, come se fosse una lettura inutile, i numerosi passaggi che parlano di questo argomento. Quindi, tutti coloro che, anziché dare per scontata una questione così importante, sono disposti a mettere da parte tutti i pregiudizi e le proprie, care opinioni, si avvicineranno alla presente posizione con grande preoccupazione e un interesse assoluto. Essi manterranno ogni evidenza [187] [188] che qui può essere data, come un uomo confuso in un labirinto buio manterrebbe il filo che è la sua unica guida per condurlo nuovamente verso la luce.
Sarà bene per noi di immaginarci al posto di Daniele, e osservare l’argomento dal suo punto di vista. Cosa avrebbe capito dal termine “santuario” che gli è stato rivolto? Se possiamo chiarirlo, non sarà difficile giungere a conclusioni corrette su questo argomento. Sentendo quella parola, la sua mente dovrebbe inevitabilmente rivolgersi al santuario di quella dispensazione; e certamente, sapeva molto bene dove si trovava. Daniele pensò a Gerusalemme, la città dei suoi padri che a quei tempi era in rovina, e al loro “magnificoH8597 tempioH1004 ” che, come lamenta Isaia [in Isaia 64:11] era bruciato. [H8597 tiph’arah = meraviglia, splendore, gloria; H1004 bayith = casa, casa reale, posto, casa di Dio, tempio]
Così, come suo solito, con la faccia rivolta verso il luogo in cui, una volta, c’era il loro venerato tempio, Daniele pregò Dio di far risplendere il Suo volto sopra il Suo desolato santuario. Con la parola “santuario”, evidentemente Daniele aveva compreso il loro tempio a Gerusalemme.
Paolo, però, da una testimonianza più esplicita su questo punto. Ebrei 9:1 “Certamente anche il primo patto ebbe degli ordinamenti per il servizio divino e per il santuario terreno.” Questo è proprio il punto che ora ci interessa determinare: Cosa era il santuario del primo patto? Ascoltiamo cosa ci dice Paolo nei versi dal 2 al 5 : “Infatti fu costruito un primo tabernacolo in cui vi erano il candelabro, la tavola e i pani della presentazione; esso è chiamato: »Il luogo santo«. 3 Dietro il secondo velo c’era il tabernacolo, detto: »Il luogo santissimo«, 4 che conteneva un turibolo d’oro e l’arca del patto tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovava un vaso d’oro contenente la manna, la verga di Aaronne che era germogliata e le tavole del patto. 5 E sopra l’arca vi erano i cherubini della gloria che adombravano il propiziatorio; di queste cose non possiamo parlarne ora dettagliatamente.”
Non ci si può sbagliare sull’oggetto a cui Paolo si riferisce: è il tabernacolo eretto da Mosè secondo la direzione del Signore (che in seguito venne incluso nel tempio a Gerusalemme), con un luogo “santo”, un luogo “santissimo” e i vari utensili per il servizio, che vengono elencati. Una completa descrizione di questo edificio, con tutti i suoi vari utensili e il loro [189] uso, si troveranno in Esodo capitolo 25 e oltre. Se il lettore non ha familiarità con questo argomento, dovrebbe esaminare attentamente la descrizione di questo edificio. Paolo dice chiaramente che questo era il santuario del primo patto. E noi desideriamo che il lettore valuti attentamente questa dichiarazione. Parlandoci positivamente di quello che, per un periodo, era il santuario, Paolo mette la nostra indagine sulla buona strada, dandoci una base su cui lavorare. Per un po di tempo, il campo è libero da tutti i dubbi e gli ostacoli. Durante il tempo coperto dal primo patto, che si estende dal monte Sinai a Gesù Cristo, davanti a noi abbiamo un oggetto distinto, chiaro e definito, descritto minuziosamente da Mosè, e che Paolo dichiara essere il santuario, durante quel tempo.
Il linguaggio di Paolo, però, ha un significato molto più grande anche di questo, perché annulla per sempre le pretese a favore del mondo, del territorio di Canaan, o della chiesa come “santuario”; dato che i ragionamenti che li dimostrerebbero essere il santuario a qualsiasi tempo, dimostrerebbero di essere così anche nella vecchia dispensazione. Se, in qualsiasi periodo di tempo, il territorio di Canaan era il santuario, lo era anche quando Israele vi si era stabilito. Se la chiesa era sempre stata il santuario, lo era anche quando Israele è stato liberato dall’Egitto. Gli argomenti sollecitati a loro favore si applicano pienamente a questo periodo di tempo come a qualsiasi altro; e se questi non erano il santuario durante questo tempo, allora tutti gli argomenti sono distrutti, il ché mostrerebbe che non sono mai stati, o mai potranno essere il santuario. Ma durante quel tempo, questi erano il santuario? Questa è la domanda finale per queste teorie; e Paolo da una risposta negativa, descrivendoci il tabernacolo di Mosè e dicendoci che quello era il santuario di quella dispensazione… non la terra, né Canaan e nemmeno la chiesa.
Questo edificio risponde pienamente al significato del termine e all’uso per cui il santuario era progettato.
#1 È stata la dimora terrestre di Dio. Dio disse a Mosè: “Mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro.” (Esodo 25:8) Dio ha manifestato la Sua presenza in questo tabernacolo, eretto secondo le Sue istruzioni.
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#2 È stato un luogo santo, o sacro, “il santuario santo.” (Levitico 16:33)
#3 Nella parola di Dio è chiamato sempre “il santuario.” Delle centoquaranta volte in cui si usa la parola “santuario” nell’Antico Testamento, in quasi ogni caso, ci si riferisce a questo edificio. In un primo momento, il tabernacolo era costruito in modo da poter essere adattato alla condizione dei figli di Israele a quel tempo. Loro stavano proprio iniziando il quarantesimo anno di viaggio nel deserto, quando questo edificio venne stabilito nel loro mezzo come la casa di Dio, e il centro del loro culto religioso. Viaggiare era una necessità, e i traslochi erano frequenti. Era necessario che il tabernacolo dovesse essere frequentemente spostato da un luogo all’altro. Per questo motivo, era costituito da tante parti rimovibili, i lati erano composti da assi verticali, e il rivestimento era composto da tende di lino e pelli tinte che potevano essere tolte facilmente, trasportate comodamente, ed erette facilmente a ogni fase successiva del loro viaggio. Dopo essere entrati nella terra promessa, questa temporanea struttura fu succeduta dal magnifico tempio di Salomone. Il santuario esistette in questa forma permanente, escludendo solo il tempo in cui si trovava in rovina ai giorni di Daniele, fino alla sua distruzione finale ad opera dei romani, nel 70 d.C.
Questo è l’unico santuario connesso con il mondo di cui la Bibbia ci da qualsiasi istruzione o riporta qualsiasi documento. Ma da qualche parte, non c’è n’è un altro? Questo era il santuario del primo patto, e con quel patto terminò. Non c’è un santuario che riguarda il secondo, o nuovo patto? Deve esserci, altrimenti mancherebbe l’analogia tra questi patti; e in questo caso, il primo patto aveva un sistema di adorazione che, benché descritto in maniera precisa, è incomprensibile; mentre il secondo patto, aveva un sistema di adorazione indefinito e oscuro. In pratica, Paolo afferma che il nuovo patto, in vigore dalla morte di Gesù Cristo (il testatore) aveva un santuario; perché quando confronta i due patti, come fa nel libro degli Ebrei, nel capitolo 9:1 Paolo dice che il primo patto “ebbe degli ordinamenti per il servizio divino e per il santuario terreno”, vale a dire che, allo stesso modo, il nuovo patto ha i suoi servizi e il suo santuario. [191] Inoltre, in Ebrei 9:8, Paolo parla del santuario terreno come “il primo tabernacolo.” Se questo era il primo, deve essercene un secondo; e come il primo tabernacolo esisteva fino a quando valeva il primo patto, quando quel patto giunse al termine, il secondo tabernacolo deve aver preso il posto del primo, quindi deve essere il santuario del nuovo patto. Questa conclusione non può essere evitata.
Dove, allora, dobbiamo cercare il santuario del nuovo patto? Paolo, usando la parola “anche” in Ebrei 9:1 , suggerisce di aver precedentemente parlato di questo santuario. Ritorniamo all’inizio dell’ottavo capitolo, dove lui sta riassumendo i suoi argomenti precedenti come segue: “Ora il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande, che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo.” Può essere che, senza alcun dubbio, in questo testo abbiamo il santuario del nuovo patto? Qui è fatta una chiara allusione al santuario del primo patto, che era piantato dall’uomo, ed eretto da Mosè; mentre questo santuario era piantato dal Signore, non dall’uomo. Il primo santuario era il posto in cui ministravano i sacerdoti terreni, mentre il secondo santuario è il posto in cui Cristo, il Sommo Sacerdote del nuovo patto, svolge il Suo ministero. Quello era nel mondo, mentre questo è in cielo. Dunque, quello era correttamente definito da Paolo come “santuario terreno”, mente questo è il “santuario celeste.”
Questa ipotesi è ulteriormente sostenuta dal fatto che il santuario costruito da Mosè non era una struttura originale, ma seguiva un modello. Infatti, il grande modello originale esisteva altrove; perciò, quello che Mosè costruì era soltanto una copia, o un modello. Sentite le indicazioni che l’Eterno gli diede su questo punto: “Voi lo farete secondo tutto quello che io ti mostrerò, sia per il modello del tabernacolo che per il modello di tutti i suoi arredi.” (Esodo 25:9) “E vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte«.” (Esodo 25:40) (Vedi anche Esodo 26:30; 27:8; Atti 7:44)
Ora, a quale esempio o figura puntava il santuario terreno? Risposta: Al santuario del nuovo patto, il “vero [192] tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo.” [Ebrei 8:2] La relazione che il primo patto mantiene continuamente con il secondo, è del “tipo” e “antitipo.” *
* dal dizionario Noah Webster’s, 1828.
tipo = un segno; un simbolo; una figura di qualcosa che deve venire; come il sacrificio di Abramo e l’agnello pasquale erano tipi di Gesù Cristo. L’opposto di questa parola è “antitipo.”
antitipo = una figura che corrisponde ad un altra figura di cui il “tipo” è il modello o la rappresentazione. Quindi, nella Bibbia, l’agnello pasquale è il tipo, mentre Cristo è l’antitipo. Un antitipo, quindi, è un qualcosa che si forma secondo un modello o una copia, e che ne porta le forti caratteristiche di somiglianza. Nella liturgia greca, il pane e il vino sacramentali sono chiamati antitipi, ovvero, figure, similitudini; e i padri greci usarono la parola in questo senso.
I suoi sacrifici [fatti nel santuario terreno] erano tipi del più grande sacrificio di questa dispensazione; i suoi sacerdoti simboleggiavano il nostro Signore nel Suo sacerdozio ancora più perfetto; il loro ministero era eseguito seguendo l’ombra e l’esempio del ministero del nostro Sommo Sacerdote celeste; e il santuario in cui ministravano era un tipo, o figura, del vero santuario nel cielo, dove il nostro Signore svolge il Suo ministero.
Tutti questi fatti sono chiaramente affermati da Paolo in pochi versi agli Ebrei. Ebrei 8:4,5 : “Ora, se egli (Cristo) fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, perché vi sono già i sacerdoti che offrono i doni secondo la legge, i quali ministrano in quel che è figura e ombra delle cose celesti, come fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire il tabernacolo: »Guarda«, egli disse, »di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte«.” Questa testimonianza mostra che il ministero dei sacerdoti terreni era l’ombra del sacerdozio di Cristo; e la prova che Paolo usa per dimostrarlo è l’istruzione che Dio diede a Mosè per costruire il tabernacolo
secondo il modello mostratogli sul monte. Questo identifica chiaramente il modello mostrato a Mosè nel monte con il santuario, il vero tabernacolo nel cielo in cui ministra il nostro Signore, menzionato tre versi prima.
In Ebrei 9:8,9 Paolo aggiunge: “Lo Spirito Santo voleva così dimostrare che la via del santuario non era ancora resa manifesta, mentre sussisteva ancora il primo tabernacolo, il quale è una figura per il tempo presente,” eccetera. Ai tempi in cui vigeva il primo tabernacolo, e il primo patto era in forza, naturalmente, il servizio del tabernacolo più perfetto non sussisteva. Ma quando venne Cristo, un Sommo Sacerdote delle buone cose future, quando il primo tabernacolo raggiunse il suo scopo, e il primo patto era cessato, allora Cristo, sollevato al trono della Maestà nei cieli, come ministro del vero santuario, vi entrò attraverso il Suo sangue (Ebrei 9:12) “nel santuarioG39 (dove anche il greco usa il plurale, “luoghi santi”) … avendo acquistato una redenzione eterna.” [G39 hagion = “cose, persone o posti, sacri a Dio e che non devono essere profanati”, “santuario”, “luogo santo”, “luogo santissimo”, “moralmente senza peccato”] Di questi posti sacri celesti, [193] quindi, il primo tabernacolo era una figura per quel tempo. Se è necessaria un ulteriore testimonianza, in Ebrei 9:23, Paolo dice che il tabernacolo terreno, con tutte le sue stanze e i suoi utensili, si riferisce alle cose celesti; e nel verso 24, lui collega il santuario fatto da mani d’uomo con il tabernacolo in cielo.
Questa visione è ulteriormente confermata dalla testimonianza di Giovanni. Tra le cose che gli era permesso di contemplare in cielo, lui vide sette lampade ardenti davanti al trono di Dio (Apocalisse 4:5); un altare dell’incenso e un turibolo d’oro (Apocalisse 8:3); e l’arca del patto di Dio (Apocalisse 11:19); e tutto questo, in connessione con un “tempio” in cielo. (Apocalisse 11:19; 15:8) Ogni lettore biblico deve immediatamente riconoscere che questi utensili fanno parte del santuario, devono la loro esistenza al santuario, ed erano confinati in esso per essere impiegati nel suo servizio. Senza il santuario, questi utensili non sarebbero esistiti, quindi, ovunque li troviamo, possiamo sapere che lì c’è il santuario; perciò, il fatto che Giovanni vide queste cose in cielo in questa dispensazione, dimostra che lì vi è un santuario, e che a lui era stato permesso di contemplarlo.
Nonostante alcune persone si rifiutino di riconoscere che ci sia un santuario in cielo, la testimonianza che è stata presentata è certamente sufficiente a provare questo fatto. Paolo dice che il tabernacolo di Mosè era il santuario del primo patto. Mosè dice che Dio sul monte gli mostrò un modello in base al quale doveva fare questo tabernacolo. Ancora, Paolo testimonia che Mosè lo fece secondo il modello, e che quel modello era il vero tabernacolo in cielo, eretto dal Signore e non dall’uomo; e che il tabernacolo fatto da mani d’uomo era una vera figura, o rappresentazione, di questo santuario celeste. Infine, per confermare la dichiarazione di Paolo in cui il santuario è in cielo, Giovanni testimonia, come un testimone oculare, di averlo visto in cielo. Quale altra testimonianza potrebbe essere richiesta? Anzi, di più, che cosa si può concepire ulteriormente?
Per quanto riguarda la domanda su cosa costituisca il santuario, [194] ora abbiamo il soggetto davanti a noi in un insieme armonioso. Innanzitutto, il santuario della Bibbia – notatelo tutti, e chi può lo contesti – consiste innanzitutto del tipico tabernacolo stabilito con gli Ebrei durante l’esodo dall’Egitto, che era il santuario del primo patto; e secondariamente, del vero tabernacolo in cielo, di cui il primo era un simbolo o figura, che è il santuario del nuovo patto. Questi sono inseparabilmente connessi come “tipo” e “antitipo.” Dall’antitipo, ritorniamo al tipo, e dal “tipo” siamo portati naturalmente ed inevitabilmente verso “l’antitipo”.
Abbiamo detto che, con la parola santuario, Daniele avrebbe subito capito il santuario del suo popolo a Gerusalemme; lo stesso vale per chiunque altro sotto quella dispensazione. Ma la dichiarazione di Daniele 8:14 si riferisce a quel santuario? Questo dipende dal tempo a cui si applica. Tutte le dichiarazioni sul santuario che si applicano sotto la vecchia dispensazione, naturalmente riguardano il santuario di quella dispensazione; e tutte quelle dichiarazioni che si applicano in questa dispensazione, devono riferirsi al santuario di questa dispensazione. Se i 2300 giorni, alla cui fine il santuario deve essere purificato, terminarono nella prima dispensazione, allora il santuario da purificare era il santuario di quel tempo. Ma se i 2300 giorni arrivano sino a questa dispensazione, il santuario a cui si fa riferimento è il santuario di questa dispensazione: il santuario celeste del nuovo patto. Questo è un punto che può essere determinato solo da un ulteriore ragionamento sui 2300 giorni che troveremo nelle osservazioni su Daniele 9:24, dove il soggetto del tempo è ripreso e spiegato.
Quello che abbiamo detto fino ad ora riguardo al santuario è stato solo una conseguenza alla domanda principale nella profezia. Quella domanda riguarda la purificazione del santuario. “Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato.” Ma innanzitutto era necessario comprendere cosa costituiva il santuario, prima che potessimo esaminare pienamente l’argomento della sua purificazione. Ora siamo pronti per questo argomento.
Avendo appreso di quello che costituisce il santuario, è subito chiarita la questione della sua purificazione e il modo in cui si realizza. È stato notato che qualunque cosa costituisce il santuario della [195] Bibbia, deve avere qualche servizio con quello che è chiamato la sua purificazione. Nella Bibbia non si parla di nessuna opera del genere nei confronti del mondo, del territorio di Canaan, o della chiesa; il ché è un ottima dimostrazione che nessuna di queste cose costituiscono il santuario; esiste un tale servizio connesso con l’oggetto che abbiamo mostrato essere il santuario, e che, in riferimento sia all’edificio terreno che al tempio celeste, è chiamato la sua purificazione.
Il lettore è contrario all’idea che in cielo ci sia qualcosa che deve essere purificata? Questa prospettiva impedisce il ricevimento dell’analisi qui presentata? Allora la sua controversia non è verso quest’opera, ma verso la Parola di Dio che afferma positivamente questo fatto. Ma prima di decidere contro questa analisi, chiediamo all’obbiettore di esaminare attentamente la natura di questa purificazione, poiché, senza dubbio, si sta interpretando male la cosa. Le seguenti, sono le chiare parole con cui Paolo afferma la purificazione sia del santuario terreno che di quello celeste: “E, secondo la legge, quasi tutte le cose sono purificate col sangue; e senza spargimento di sangue non c’è perdono dei peccati. Era dunque necessario che i modelli delle cose celesti fossero purificati con queste cose; ma le cose celesti stesse lo dovevano essere con sacrifici più eccellenti di questi.” (Ebrei 9:22,23) Alla luce degli argomenti precedenti, questa frase può essere parafrasata in questo modo: “Era dunque necessario che il tabernacolo eretto da Mosè, con i suoi utensili sacri, che imitavano il vero santuario celeste, fossero purificate con il sangue dei vitelli e dei capri; ma le cose celesti stesse, il santuario di questa dispensazione, il vero tabernacolo fatto dal Signore e non dall’uomo, deve essere purificato con un sacrificio migliore, addirittura con il sangue di Cristo.”
Ora indaghiamo: Qual’è la natura di questa purificazione? e in che modo deve compiersi? In base al linguaggio di Paolo appena citato, [la purificazione del santuario] è ottenuta attraverso il sangue. Questa purificazione non riguarda la corruzione o l’impurità materiale, dato che il sangue non è l’agente utilizzato per una tale opera.
Questa considerazione dovrebbe soddisfare l’obbiettore nei confronti della purificazione delle cose celesti. Il fatto che Paolo stia parlando di cose celesti che devono essere purificate, [196] non prova che in cielo ci sia una qualche impurità materiale, perché non è il tipo di purificazione a cui si riferisce. Paolo attribuisce il motivo di questa purificazione compiuta con il sangue, al fatto che senza lo spargimento di sangue non c’è alcun perdono.
Quindi, la remissione, ovvero l’eliminazione del peccato, è l’opera da fare. La purificazione, dunque, non è una purificazione materiale, ma una purificazione dal peccato. In che modo il peccato si connesse con il santuario, sia terreno che celeste, da dover rendere necessaria la loro purificazione? La risposta si trova nel servizio connesso con il “tipo” [il santuario terreno] a cui ora ci rivolgiamo.
I capitoli finali di Esodo ci danno una descrizione della costruzione del santuario terreno e delle disposizioni del suo servizio. Il libro del Levitico inizia con una descrizione del servizio che lì doveva essere svolto. Tutto ciò che vogliamo farvi notare, è una parte particolare del servizio che era svolta come segue: la persona che aveva commesso il peccato, portava la sua vittima [un animale] alla porta del tabernacolo. Per un momento, la persona metteva la sua mano sulla testa di questa vittima e, come possiamo logicamente concludere, confessava il suo peccato su di essa. Con questo atto molto espressivo, la persona manifestava di aver peccato e di essere degna di morte, ma al suo posto, aveva consacrato la sua vittima, e trasferito la sua colpa su di essa. Con la propria mano (e quali dovevano essere state le sue emozioni!) lui toglieva la vita alla sua vittima a motivo di quella colpa. La legge richiedeva la vita del trasgressore a causa della sua disobbedienza; la vita è nel sangue (Levitico 17:11,14), quindi, senza lo spargimento di sangue, non c’è perdono; con lo spargimento di sangue, invece, il perdono è possibile perché, in questo modo, la richiesta della [perdita] della vita da parte della legge è soddisfatta. In seguito, il sangue della vittima, che rappresenta una vita perduta e il veicolo della sua colpa, veniva preso dal sacerdote e ministrato davanti al Signore.
Attraverso la confessione, l’uccisione della vittima, e il servizio del sacerdote, il peccato dell’individuo era trasferito nel santuario. Così, la gente offriva una vittima dopo l’altra. Giorno dopo giorno, l’opera andava avanti, e perciò, il santuario diventava continuamente il recipiente [197] dei peccati della congregazione. Questa, però, non era la disposizione finale di questi peccati. La colpa accumulata era rimossa attraverso uno speciale servizio chiamato la “purificazione del santuario.” Nel tipo, questo servizio occupava un giorno all’anno; e il decimo giorno del settimo mese era chiamato il “giorno dell’espiazione.” In questo giorno, mentre tutto Israele si asteneva dal lavoro e affliggeva le proprie anime, il sacerdote portava due capri e li presentava davanti al Signore alla porta del tabernacolo della congregazione, quindi, lui tirava la sorte sui due capri: una sorte per il Signore e l’altra per il capro espiatorio [Levitico 16:8]. Poi, il capro destinato al Signore veniva ucciso, e il suo sangue veniva portato dal sacerdote dentro il luogo santissimo del santuario per essere spruzzato sul propiziatorio [Levitico 16:9,15]. Questo era l’unico giorno in cui al sacerdote era permesso di entrare nel luogo santissimo. Poi, il sacerdote doveva imporre entrambe le sue mani sulla testa del capro espiatorio, confessare su di esso tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni in tutti i loro peccati, e quindi metterli sulla testa del capro espiatorio (Levitico 16:21), poi, tramite un uomo appositamente scelto, questo capro espiatorio era mandato in una terra disabitata, una terra di separazione o di dimenticanza, per non presentarsi mai più nel campo d’Israele, e per non ricordare più i peccati contro la gente.
Questo servizio aveva lo scopo di purificare il popolo dai propri peccati, e purificare il santuario con i suoi utensili sacri. (Levitico 16:30,33). Attraverso questo procedimento, il peccato era rimosso soltanto simbolicamente, perché tutta quell’opera era un tipo [ovvero, una figura di quello che doveva venire].
Il lettore che scopre queste cose per la prima volta sarà pronto a chiedere, magari con un po di stupore: cosa potrebbe essere intenzionata a simboleggiare questa strana opera? cosa c’è in questa dispensazione che si intendeva prefigurare? Noi rispondiamo: Un opera simile nel servizio di Cristo, come Paolo chiaramente insegna. Dopo aver detto, in Ebrei 8, che Cristo è il ministro del vero tabernacolo, il santuario nel cielo, lui afferma che i sacerdoti sulla terra servivano come esempio e ombra delle cose celesti. In altre parole, l’opera dei sacerdoti terreni era un ombra, un esempio, una rappresentazione corretta, per quanto possa essere compiuta da mortali, del servizio celeste di Cristo. Questi sacerdoti ministravano in entrambe [198] le stanze del tabernacolo terreno, quindi, Cristo ministra in entrambe le stanze del tempio celeste, perché quel tempio aveva due stanze, altrimenti non era rappresentato correttamente dal tabernacolo terreno; e il nostro Signore officia in entrambe le stanze, altrimenti il servizio del sacerdote terreno non era un ombra corretta della Sua opera. Ma Paolo afferma chiaramente che Gesù Cristo ministra in entrambe le stanze, poiché lui dice che Cristo è entrato nel santuarioG39 [vedi a pag. 192] (in greco, “i luoghi santi”) attraverso il Suo sangue. (Ebrei 9:12) Quindi, c’è un opera svolta dal servizio di Cristo nel tempio celeste che corrisponde a quello svolto dai sacerdoti in entrambe le stanze dell’edificio terreno. Ma il servizio nella seconda stanza, ovvero, il luogo santissimo, era una speciale opera che concludeva il ciclo annuale del servizio e purificazione del santuario. Quindi, il servizio di Cristo nel luogo santissimo del santuario celeste deve essere un opera della stessa natura, e costituisce la conclusione della Sua opera come nostro grande Sommo Sacerdote, e la purificazione di quel santuario.
Come attraverso i sacrifici della dispensazione precedente, in cui i peccati del popolo erano trasferiti simbolicamente dai sacerdoti al santuario terreno in cui quei sacerdoti ministravano, allo stesso modo, sin da quando Cristo salì in cielo per essere il nostro intercessore nella presenza del Padre Suo, i peccati di tutti coloro che cercano sinceramente il perdono attraverso di Lui, sono trasferiti nel santuario celeste in cui Lui ministra. Sia che Cristo ministra per noi nei luoghi santi celesti con il Suo sangue letterale, o soltanto in virtù dei Suoi meriti, noi non dobbiamo smettere di indagare. Basti dire che il Suo sangue è stato versato e che, attraverso quel sangue, è realmente assicurato il perdono dei peccati, cosa che, nella dispensazione precedente, era ottenuta solo simbolicamente attraverso il sangue dei vitelli e delle capre. Ma quei sacrifici avevano un merito autentico, ovvero, significavano la fede in un vero sacrificio futuro, quindi, coloro che li impiegavano avevano un interesse identico nell’opera di Cristo con coloro che, in questa dispensazione, vanno a Lui con fede, attraverso gli ordinamenti del Vangelo.
Il continuo trasferimento dei peccati al santuario celeste (e se questi non sono trasferiti, qualcuno può, alla luce dei tipi e del linguaggio usato da Paolo, spiegare la natura dell’opera di Cristo in nostro favore?) – questo continuo [199] trasferimento dei peccati al santuario celeste, ne rende necessaria la sua purificazione proprio come un opera analoga era richiesta nel santuario terreno.
Qui deve essere notata un importante distinzione tra i due servizi. Nel tabernacolo terreno, ogni anno si completava un ciclo del servizio. Per trecentocinquantanove giorni, il servizio si svolgeva nella prima stanza [il luogo santo], mentre l’opera di un giorno [il trecentosessantesimo] nel luogo santissimo completava il ciclo annuale. Poi, l’opera rincominciava nel luogo santo, e proseguiva sino a quando un altro “giorno dell’espiazione” completava l’opera annuale; e così via, un anno dopo l’altro. Questa continua ripetizione dell’opera era necessaria a causa delle brevi vite dei sacerdoti mortali. Ma questa necessità non esiste nel caso del nostro divino Signore, che vive sempre per intercedere per noi. (Ebrei 7:23-25) Perciò, invece di essere un opera annuale, l’opera del santuario celeste è svolta una volta per tutte. Invece di essere ripetuta un anno dopo l’altro, gli è assegnato un grande ciclo in cui [l’opera] è portata avanti e conclusa, per non essere più ripetuta.
Un intero anno di servizio nel santuario terreno rappresentava l’intera opera del santuario celeste. Nel tipo, la purificazione del santuario [terreno] era la breve opera di chiusura del servizio annuale. Nell’antitipo, la purificazione del santuario [celeste] deve concludere l’opera di Cristo, il nostro grande Sommo Sacerdote, nel tabernacolo celeste. Nel tipo, per purificare il santuario [terreno], il sommo sacerdote entrava nel luogo santissimo per servire alla presenza di Dio davanti all’arca del Suo testamento. Nell’antitipo, quando arriva il momento per la purificazione del santuario [celeste], il nostro Sommo Sacerdote, allo stesso modo, entra nel luogo santissimo per concludere in maniera definitiva la Sua opera a favore dell’umanità. Noi siamo sicuri che, su questo argomento, non si può arrivare ad un altra conclusione senza contrastare l’inequivocabile testimonianza della parola di Dio.
Lettore, lettrice, ora vedi l’importanza di questo argomento? Inizi a notare quanto sia interessante per tutto il mondo l’oggetto del santuario di Dio? Vedi che tutta l’opera della salvezza si concentra lì, e che quando l’opera è conclusa, il periodo di prova è finito, e i casi dei salvati e dei persi sono decisi [200] per l’eternità? Vedi che la purificazione del santuario è un opera breve e speciale, attraverso il quale si conclude per sempre il grandissimo piano della salvezza? Vedi che, se si può conoscere quando inizia questa opera di purificazione, è un annuncio solenne al mondo che si è giunti all’ultima ora della salvezza, e che sta velocemente giungendo al termine? La profezia è intesa proprio per far conoscere l’inizio di questa importante opera. “Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato”.
Prima di qualsiasi argomento sulla natura e l’applicazione di questi giorni, si può stabilire con certezza che i 2300 giorni arrivano alla purificazione del santuario celeste, dato che il santuario terreno doveva essere purificato ogni anno. Rendiamo insensato il messaggio del profeta se capiamo che lui dice che alla fine dei 2300 giorni (un periodo di tempo lungo quasi sei anni e mezzo, considerando i giorni letterali) dovrebbe avere luogo un evento che accadeva regolarmente ogni anno. Il santuario celeste è l’unico posto in cui deve essere presa la decisione di tutti i casi. L’umanità dovrebbe conoscere in modo speciale il progresso dell’opera nel santuario celeste. Se la gente capisse l’importanza che questi argomenti hanno sul proprio interesse eterno, con quanta sincerità e ansietà studierebbero nel modo più attento e devoto. In Daniele 9:20 e oltre, si parla dei 2300 giorni, mostrando a che punto terminano, e quando inizia la solenne opera della purificazione del santuario celeste.
“Verso 15 Ora, mentre io, Daniele, consideravo la visione e cercavo d’intenderla, ecco stare davanti a me uno dall’aspetto di uomo. 16 Udii quindi in mezzo al fiume Ulai la voce di un uomo, che gridava e diceva: »Gabriele, spiega a costui la visione«.”
Siamo ora giunti ad un interpretazione della visione. Innanzitutto, ci viene ricordata la sollecitudine di Daniele, e i suoi sforzi per comprendere queste cose. Lui cercava di capire il significato. Coloro che hanno studiato la profezia con attenzione e sincerità, non ignorano un argomento come questo. Loro possono soltanto camminare con indifferenza su una miniera d’oro, non sapendo di avere un giacimento di metallo prezioso sotto i piedi. Immediatamente, si presentò al profeta [201] uno con l’aspetto di uomo. Daniele udì la voce di un uomo, ovvero, la voce di un angelo che parla come un uomo. Era stato comandato di far comprendere la visione a Daniele. Questo comando era rivolto a GabrieleH1403, un nome che significa “la forza di Dio” o “il potente.” [H1403 Gabriy’el = “guerriero di Dio”, “uomo di Dio”, “un arcangelo ; l’angelo usato da Dio per mandare messaggi di grande importanza all’uomo”] Nel capitolo 9, Gabriele continua ad informare Daniele. Nella nuova dispensazione, Gabriele era incaricato di annunciare la nascita di Giovanni Battista al padre Zaccaria (Luca 1:11,12,19); e la nascita del Messia alla vergine Maria. (Luca 1:26). Lui si presentò a Zaccaria dicendo: “Io sono Gabriele che sto alla presenza di Dio” [Luca 1:19] Da questo si vede che lui era un angelo di alto ordine e di dignità superiore; ma Colui che lo dirigeva era evidentemente di rango ancora più alto, e aveva il potere di comandare e controllare le sue azioni. Probabilmente, costui non è altro che l’arcangelo, Michele, o Gesù Cristo, che oltre a Gabriele soltanto, era a conoscenza degli argomenti comunicati a Daniele. (Vedi Daniele 10:21)
“Verso 17 Egli si avvicinò al luogo dove mi trovavo e, quando giunse, io ebbi paura e caddi sulla mia faccia. Ma egli mi disse: »Intendi bene, o figlio d’uomo, perché questa visione riguarda il tempo della fine«. 18 Mentre egli parlava con me, caddi in un profondo sonno con la faccia a terra, ma egli mi toccò e mi fece alzare in piedi nel luogo dove mi trovavo. 19 E disse: »Ecco, io ti faccio conoscere ciò che avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione, perché riguarda il tempo fissato della fine.”
In circostanze simili a queste qui narrate, Giovanni cadde davanti ai piedi di un angelo, ma era con l’intento di adorarlo. (Apocalisse 19:10; 22:8) Daniele sembra essere stato completamente sopraffatto dalla maestà del messaggero celeste. Lui si prostrò con la faccia a terra, probabilmente come in un sonno profondo, ma non proprio così. È vero che la tristezza fece dormire i discepoli [Luca 22:45], ma in questo caso, la paura avrebbe difficilmente avuto questo effetto. L’angelo toccò gentilmente Daniele per dargli certezza (quante volte gli esseri celesti hanno detto ai mortali di “non temere”!), e da questa condizione impotente e umile lo fece stare in piedi. Gabriele interpreta la visione dicendo genericamente che al tempo fissato ci sarà la fine, e che lui gli farà sapere cosa avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione. Si deve comprende che “l’indignazione” copre un periodo [202] di tempo. Quale tempo?
Dio disse al Suo popolo Israele che gli avrebbe riversato la Sua indignazione a causa della loro malvagità; allo stesso modo, Lui diede indicazioni riguardo al “corrotto e malvagio principe di Israele” [Ezechiele 21:30; nella KJV al verso 25] “Deponi il turbante, togliti la corona… Devastazione, devastazione, [devastazione] io la compirò. Ed essa non sarà più restaurata, finché non verrà colui a cui appartiene il giudizio e al quale io la darò.” (Ezechiele 21:31,32,36; nella KJV i versi sono 26,27,31)
Questo è il tempo dell’indignazione di Dio contro il popolo del Suo patto; il tempo in cui il santuario e l’esercito devono essere calpestati. Il turbante era deposto, e la corona tolta quando Israele era sottomesso al regno babilonese. Poi venne sconfitto nuovamente #1 dalla Medo-Persia, poi #2 dalla Grecia e poi #3 da Roma, corrispondendo alle tre volte in cui la parola è ripetuta dal profeta. Dopo che i Giudei rifiutarono Cristo, vennero presto dispersi sulla faccia della terra, e l’Israele spirituale prese il posto di quello reale; essi, però, sono sottomessi alle potenze terrene, e lo saranno fin quando il trono di Davide non verrà rialzato – fin quando non verrà Colui che è l’Erede legittimo, il Messia, il Principe della pace, e quando verrà, gli sarà dato il trono. Poi l’indignazione cesserà. Ora l’angelo sta facendo sapere a Daniele cosa dovrà accadere alla fine di questo tempo.
“Verso 20 Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia. 21 Il capro peloso è il re di Javan [Grecia]; e il gran corno che era in mezzo ai suoi occhi è il primo re. 22 Il corno spezzato e le quattro corna che sono sorte al suo posto sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione, ma non con la stessa sua potenza.”
Come i discepoli dissero al Signore, qui possiamo ugualmente dire dell’angelo che parlò a Daniele: “Ecco, adesso tu parli apertamente e non usi alcuna similitudine.” [Giovanni 16:29] Questa è una spiegazione della visione tanto semplice quanto è necessario che sia data. (Vedi Daniele 8:3-8) Le caratteristiche distintive dell’impero persiano, l’unione delle due nazionalità da cui è composta [medi e persiani], è rappresentata dalle due corna del montone. La Grecia raggiunse la sua più grande gloria essendo unita sotto la guida di Alessandro Magno, un generale famosissimo mai visto prima dal mondo. Questa parte della storia greca è rappresentata dalla prima fase del capro, durante il quale [203] l’unico grande corno simboleggia Alessandro Magno. Con la sua morte, il regno si divise, ma presto si consolidò in quattro grandi parti rappresentate dalla seconda fase del capro, quando aveva quattro corna che sorsero al posto del primo corno rotto. Queste parti erano deboli. Nessuna di loro possedeva la forza del regno originale. Qui l’autore ispirato ci racconta chiaramente, ma molto brevemente, di questi grandi punti di riferimento nella storia, su cui lo storico ha scritto molti libri, con pochi colpi di matita e alcuni trattini della penna.
“Verso 23 Alla fine del loro regno, quando i ribelli avranno colmato la misura, sorgerà un re dall’aspetto feroce ed esperto in stratagemmi. 24 La sua potenza crescerà, ma non per sua propria forza; egli compirà sorprendenti rovine, prospererà e compirà imprese, e distruggerà i potenti e il popolo dei santi. 25 Per la sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani; si innalzerà nel suo cuore e distruggerà molti che stanno al sicuro; insorgerà contro il principe dei principi, ma sarà infranto senza mano d’uomo.”
Questo potere succede alle quattro parti del capro / regno [la Grecia], nel periodo finale del loro regno, ovvero, verso la fine della loro corso. Naturalmente, è proprio come il piccolo corno del verso 9 e oltre. Applicatelo a Roma, come indicato nelle osservazioni nel verso 9, e tutto è armonico e chiaro.
“Un re dall’aspetto feroce.” Mosè, predicendo la futura punizione verso gli Ebrei attraverso questo stesso potere, lo chiama: “una nazione dall’aspetto feroce.” (Deuteronomio 28:49,50) Nessun popolo ebbe una disposizione di guerra più formidabile dei romani. “Esperto in stratagemmi.” Mosè, nella scrittura appena citata, dice: “Una nazione di cui non comprenderai la lingua.”
Questo non può essere detto dei babilonesi, dei persiani o dei greci, rispetto agli Ebrei, dato che le lingue caldee e greche erano usate in misura più o meno grande in Palestina. Tuttavia, non era il caso con la lingua latina.
“Quando i ribelli avranno colmato la misura.” Per tutto il tempo, è tenuta in vista la connessione tra il popolo di Dio e i suoi oppressori. A causa delle trasgressioni del Suo popolo, Daniele e gli altri erano stati presi in schiavitù. E il loro continuo peccare, portò punizioni più severe. [204] In nessun altro tempo gli Ebrei erano più corrotti moralmente, come nazione, che al tempo in cui passarono sotto la giurisdizione dei romani.
“La sua potenza crescerà, ma non per sua propria forza.” Il successo dei romani era dovuto in gran parte all’aiuto dei loro alleati, e alle divisioni tra i loro nemici, cosa che essi [i romani] erano sempre pronti a usare a proprio vantaggio. Anche la Roma papale era potente grazie ai poteri secolari sui quali esercitava il suo controllo spirituale.
“Egli compirà sorprendenti rovine.” Attraverso il profeta Ezechiele, il Signore disse agli Ebrei che li avrebbe consegnati a persone che erano “artefici di distruzione” [oppure abili H2796 nel distruggereH4889] [H2796 charash = abilità, carpentiere, artigiano, guerrieri ; H4889 mashchiyth = rovina, distruzione]; e la strage di unmilionecentomila [1.100.000] Ebrei durante la distruzione di Gerusalemme da parte dell’esercito romano, era una terribile conferma delle parole del profeta. E Roma, nella sua seconda fase, la fase papale, era responsabile della morte di cinquanta milioni di martiri.
“Per la sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani.” Roma si distinse da tutti gli altri poteri perché abile nell’inganno, attraverso cui portò le nazioni sotto il suo controllo. Questo è vero sia per la Roma pagana che per la Roma papale. Così, “distruggeràH7843 moltiH7227 che stanno al sicuroH7962” [Bibbia Nuova Diodati] {oppure “e in paceH7962 ne distruggeràH7843 moltiH7227” (Bibbia Diodati) }
[H7962 shalvah = tranquillità, benessere, prosperità, pace, sicurezza ; H7843 shachath = distruggere, corrompere, andare in rovina, decadere ; H7227 rab = molto, tanti, grande]
Infine, Roma, nella persona di uno dei suoi governatori, insorse contro il Principe dei principi, attraverso la sentenza di morte contro Gesù Cristo. “Ma sarà infranto senza mano d’uomo”, un espressione che identifica la distruzione di questo potere con la pietra che colpisce la statua del secondo capitolo.
“Verso 26 La visione delle sere e delle mattine di cui è stato parlato, è vera. Or tu tieni segreta la visione, perché riguarda cose che avverranno fra molto tempo«. 27 E io, Daniele, mi sentii sfinito e fui malato per vari giorni; poi mi alzai e sbrigai gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide.”
“La visione delle sere e delle mattine” è quella dei 2300 giorni. Considerando il lungo periodo di oppressione, e le calamità che dovevano abbattersi sul suo popolo, Daniele si sentì sfinito, e fu malato per alcuni giorni. Lui era stupito dalla visione, ma non la comprese. Come mai, in quel momento, Gabriele non diede tutte le informazioni necessarie a far comprendere la visione a Daniele? Perché Daniele aveva ricevuto tutto ciò che in quel momento poteva sopportare. Per questo motivo, ulteriori informazioni sono lasciate per un tempo futuro.
[205]
“Verso 1 Nell’anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu costituito re sul regno dei Caldei, 2 nel primo anno del suo regno, io, Daniele, compresi dai libri il numero degli anni in cui, secondo la parola dell’Eterno indirizzata al profeta Geremia, si dovevano compiere le desolazioni di Gerusalemme, è cioè settant’anni.”
La visione documentata nel capitolo precedente era data nel terzo anno di Belshatsar, il a.C. 538. Gli eventi narrati in questo capitolo avvennero nello stesso anno, che era anche il primo anno di Dario. Conseguentemente, tra questi due capitoli è passato meno di un anno. Nonostante Daniele, come primo ministro del regno più importante sulla faccia della terra, fosse sovraccaricato di responsabilità e di obblighi, non permise che questo gli togliesse il privilegio di studiare le cose più importanti, come anche le intenzioni di Dio, come rivelato dai Suoi profeti. Lui comprese attraverso i libri, ovvero, gli scritti di Geremia, che Dio avrebbe fatto compiere i settanta anni di prigionia del Suo popolo. Questa predizione si trova in Geremia 25:12; 29:10. La sua conoscenza, e l’uso che se ne fece, dimostrano che Geremia era stato considerato molto presto come un profeta ispirato da Dio, altrimenti i suoi scritti non sarebbero stati raccolti così presto e copiati così ampiamente. Anche se, per un po di tempo, Daniele era stato suo contemporaneo, aveva una copia dei suoi scritti che prese con sé nella sua prigionia; e anche se lui stesso era un grande profeta, non evitava di studiare [206] attentamente quello che Dio avrebbe potuto rivelare agli altri Suoi servitori. Sapendo che i settanta anni erano iniziati nel 606 a.C., Daniele comprese che stavano giungendo al termine, e Dio ne aveva persino iniziato l’adempimento attraverso la sconfitta del regno babilonese.
“Verso 3 Volsi quindi la mia faccia verso il Signore DIO, per cercarlo con preghiera e suppliche, col digiuno, col sacco e con la cenere.”
Il fatto che Dio abbia promesso, non ci libera dalla responsabilità di implorarlo per l’adempimento della Sua parola. Daniele avrebbe potuto ragionare in questo modo: Dio ha promesso di liberare il Suo popolo alla fine dei settanta anni, quindi Lui compirà questa promessa; per questo motivo, non mi devo assolutamente preoccupare della faccenda. Daniele non ragionò in questo modo, ma quando si avvicinò il tempo dell’adempimento della parola del Signore, lui si propose di cercarlo con tutto il suo cuore. Daniele si impegnò molto seriamente in questa opera, persino con il digiuno, con il sacco, e con la cenere! Probabilmente, questo era l’anno in cui lui venne gettato nella fossa dei leoni, e la preghiera di cui noi abbiamo un resoconto
potrebbe essere stata la preoccupazione di quella richiesta che offrì al Signore per tre volte al giorno [Daniele 6:7-10], indipendentemente dall’ingiusta legge umana che era stata resa sicura per il contrario.
“Verso 4 Così feci la mia preghiera e confessione all’Eterno, il mio DIO, e dissi: »O Signore, Dio grande e tremendo, che conservi il tuo patto e la tua misericordia con quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti,”
Qui abbiamo l’inizio della meravigliosa preghiera di Daniele – una preghiera che esprime una tale umiliazione e pentimento che bisogna essere senza sentimenti per leggerla senza esserne toccati. Daniele inizia riconoscendo la fedeltà di Dio. Dio non viola mai alcun impegno con i Suoi seguaci. Gli Ebrei si trovavano nella fornace della prigionia a causa dei loro peccati, e non perché Dio non fosse in grado di difenderli e sostenerli.
“Verso 5 noi abbiamo peccato e abbiamo agito perversamente, siamo stati malvagi e ci siamo ribellati, allontanandoci dai tuoi comandamenti e dai tuoi decreti. 6 Non abbiamo ascoltato [207] i profeti, tuoi servi, che hanno parlato nel tuo nome ai nostri re, ai nostri principi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. 7 O Signore, a te appartiene la giustizia, ma a noi la confusione della faccia, come avviene oggi stesso agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme e a tutto Israele, a quelli vicini e a quelli lontani, in tutti i paesi in cui li hai scacciati, a motivo delle infedeltà che hanno commesso contro di te. 8 O Signore, a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri principi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te. 9 Al Signore nostro DIO appartengono la misericordia e il perdono, perché ci siamo ribellati contro di lui, 10 e non abbiamo ascoltato la voce dell’Eterno, il nostro DIO, per camminare nelle sue leggi, che ci aveva posto davanti per mezzo dei suoi servi, i profeti. 11 Si, tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è sviato per non ubbidire alla tua voce; perciò si è riversata su di noi la maledizione e il giuramento che è scritto nella legge di Mosè, servo di DIO, perché abbiamo peccato contro di lui. 12 Così egli ha mandato a compimento le sue parole che aveva pronunciato contro di noi e contro i nostri giudici che ci hanno governato, facendo venire su di noi una grande calamità, perché sotto tutto il cielo non è mai stato fatto nulla di simile a ciò che è stato fatto a Gerusalemme. 13 Come è scritto nella legge di Mosè, tutta questa calamità ci è venuta addosso, tuttavia non abbiamo implorato l’Eterno, il nostro DIO, per convertirci dalle nostre iniquità e prestare attenzione alla tua verità. 14 Perciò l’Eterno ha vegliato su questa calamità e l’ha fatta venire su di noi, perché l’Eterno, il nostro DIO, è giusto in tutte le opere che fa, mentre noi non abbiamo ubbidito alla sua voce.”
A questo punto, la preghiera di Daniele è usata per fare una confessione del peccato completa e straziante. Lui giustifica pienamente la maledizione del Signore, riconoscendo che i loro peccati sono la causa di tutte le calamità, proprio come Dio li aveva minacciati attraverso il profeta Mosè. Daniele non si esclude dagli altri per favorire se stesso; nella sua richiesta non si auto-proclama giusto; e sebbene lui avesse sofferto molto a causa dei peccati degli altri, sopportando settanta anni di prigionia per i torti del suo popolo, vivendo nel frattempo una vita devota, e ricevendo onori straordinari e benedizioni dal Signore, lui non accusa qualcuno per scusarne altri, non chiede simpatia per se stesso come vittima degli errori degli altri, ma si schiera con il resto del popolo e dice: “Noi abbiamo peccato, e ci spetta la confusione della faccia.” Daniele riconosce che loro non avevano ascoltato le lezioni che Dio si propose di insegnargli attraverso le afflizioni, quando si ribellarono a Lui.
Nel verso 14 c’è una espressione degna di nota: “Perciò l’Eterno ha vegliato su questa calamità [208] e l’ha fatta venire su di noi.” Dato che la condanna contro un opera malvagia non viene eseguita rapidamente, i cuori dei figli degli uomini sono pienamente decisi a fare il male. Ma nessuno pensi che che il Signore non veda o che abbia dimenticato, infatti, le Sue ricompense raggiungeranno sicuramente il trasgressore, dalle quali egli è minacciato, senza deviare e senza sbagliare. Dio veglierà sul male, ed interverrà al tempo che Lui ritiene opportuno.
“Verso 15 E ora, o Signore, DIO nostro, che facesti uscire il tuo popolo dal paese d’Egitto con mano potente e ti facesti un nome qual è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito malvagiamente. 16 O Signore, secondo tutta la tua giustizia, fa ti prego, che la tua ira e il tuo furore si allontanino da Gerusalemme, la tua città, il tuo monte santo, perché, per i nostri peccati e per le iniquità dei nostri padri, Gerusalemme e il tuo popolo sono divenuti oggetto di vituperio per tutti quelli che ci circondano. 17 Perciò ora ascolta, o DIO nostro, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e fa risplendere, per amore del Signore, il tuo volto sul tuo santuario che è desolato. 18 O mio DIO, porgi il tuo orecchio e ascolta; apri i tuoi occhi e guarda le nostre desolazioni e la città sulla quale è invocato il tuo nome, perché noi non presentiamo le nostre suppliche davanti a te per le nostre opere giuste, ma per le tue grandi compassioni. 19 O Signore, ascolta; Signore, perdona; Signore, presta attenzione e opera. Non indugiare, per amor di te stesso, o mio DIO, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo«.”
Il profeta ora supplica per l’onore del nome del Signore, perché desidera che la sua richiesta sia concessa. Daniele si riferisce ai fatti della loro liberazione dall’Egitto, e alla grande fama che il nome del Signore aveva ricevuto a causa di tutte le Sue meravigliose opere manifestate nel loro mezzo. Se ora Dio dovesse abbandonarli alla morte, tutto questo sarebbe perso. Mosè usò lo stesso ragionamento nella supplica a favore di Israele. (Numeri 14) Non che Dio sia mosso dall’ambizione e dalla vanità… ma quando il Suo popolo è geloso per l’onore del Suo nome, quando essi dimostrano il loro amore per Lui attraverso la richiesta di un Suo intervento, non per un loro beneficio personale, ma per la Sua stessa gloria, affinché il Suo nome non sia diffamato e bestemmiato tra i pagani, per Lui questo è accettabile. Poi Daniele intercede per la città di Gerusalemme, la città di Dio, il Suo monte santo che Lui ha tanto amato, supplicandolo, per amore della Sua misericordia, di lasciare che la Sua rabbia si allontani. Infine, Daniele si concentra sul santuario santo, la dimora di Dio [209] su questo mondo, implorando che le sue desolazioni possano essere riparate.
Daniele aveva capito che i settanta anni di prigionia stavano quasi per terminare. Dalle sue allusioni sul santuario, è evidente che Daniele abbia frainteso l’importante visione datale nel capitolo 8 , come anche la supposizione che i 2300 giorni (alla cui fine il santuario doveva essere purificato) scadevano allo stesso tempo [ovvero, alla fine dei 70 anni di prigionia]. Questo equivoco venne immediatamente corretto quando, in risposta alla sua preghiera, l’angelo venne a dargli ulteriori istruzioni, la cui narrazione è la seguente:
“Verso 20 Or, mentre io stavo ancora parlando, pregando e confessando il mio peccato e il peccato del mio popolo d’Israele, e presentavo la mia supplica davanti all’Eterno, il mio DIO, per il monte santo del mio DIO, 21 si, mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo Gabriele, che avevo visto in visione all’inizio, mandato con rapido volo, giunse da me verso l’ora dell’oblazione della sera.”
Qui abbiamo il risultato della supplica di Daniele. Lui è interrotto improvvisamente da un messaggero celeste. L’angelo Gabriele (apparendo nuovamente come aveva fatto prima, nella forma di un uomo, che Daniele aveva visto nella visione all’inizio) lo toccò. A questo punto dobbiamo determinare una questione molto importante. Si deve decidere se la visione del capitolo 8 sia mai stata spiegata, e possa essere mai capita. Il punto della questione è: A quale visione si riferisce Daniele quando dice “in visione all’inizio”? Saremo tutti d’accordo che si tratta di una visione di cui abbiamo una precedentemente documentazione, e nel quale troveremo qualche cenno su Gabriele. Dobbiamo andare oltre questo nono capitolo, dal momento che, tutto quello che abbiamo in questo capitolo prima di questa comparsa di Gabriele, è semplicemente una documentazione della preghiera di Daniele. Guardando attraverso i capitoli precedenti, scopriamo che si parla soltanto di tre visioni date a Daniele.
#1 L’interpretazione del sogno di Nabucodonosor fu data in una visione notturna (Daniele 2:19), ma non c’è alcuna documentazione di alcun intervento angelico.
#2 La visione del capitolo 7 era stata spiegata a Daniele da “uno di quelli che stavano lì vicino” [Daniele 7:16], probabilmente un angelo; ma non abbiamo informazioni su quale angelo sia, inoltre, in quella visione non c’è nulla che necessiti di ulteriori spiegazioni.
#3 Nella visione del capitolo 8 troviamo alcuni dettagli che mostrano che questa [210] [211] sia la visione a cui si riferisce, perché: 1. lì, Gabriele è mostrato per la prima volta nel libro attraverso il suo nome [Daniele 8:16]; 2. a Gabriele venne ordinato di far comprendere la visione a Daniele. 3. alla fine, Daniele dice di non averla compresa, mostrando che Gabriele (alla fine del capitolo 8) non aveva completato la sua missione. In tutta la Bibbia non si trova il completamento di questo comando, tranne che nel capitolo 9 [del libro di Daniele]. Perciò, se la visione del capitolo 8 non è quella a cui [Daniele 9] si riferisce, allora non abbiamo alcun documento in cui Gabriele abbia mai portato a termine gli ordini datigli, o che quella visione sia mai stata spiegata. 4. Come vedremo dai versi seguenti, l’istruzione che l’angelo ora dà a Daniele completa esattamente quello che manca nel capitolo 8. Queste considerazioni provano, oltre ogni dubbio, la connessione tra Daniele 8 e Daniele 9, e questa conclusione si rafforzerà ulteriormente attraverso una considerazione delle istruzioni dell’angelo.
“Verso 22 Egli mi ammaestrò, mi parlò e disse: »Daniele, io sono venuto ora per metterti in grado di intendere. 23 All’inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per fartela conoscere, perché tu sei grandemente amato. Fa dunque attenzione alla parolaH1697 e intendi la visione:” [H1697 dabar = discorso, parola, argomento]
Il modo in cui Gabriele si presenta in questa occasione, mostra di essere venuto per completare qualche missione incompiuta. Questo non può essere niente di meno che lui deve portare le istruzioni per “spiegare la visione” a Daniele, come riportato nel capitolo 8. “Io sono venuto ora per metterti in grado di intendere.” Dato che Gabriele aveva ancora l’incarico di far comprendere [la visione] a Daniele (e dato che lui spiegava a Daniele nel capitolo 8 tutto quello che a quel tempo poteva sopportare, ma ciononostante lui non capiva la visione), ora ritorna per riprendere la sua opera e completare la sua missione. Non appena Daniele inizia la sua fervente supplica, il comando viene dato, ovvero, Gabriele riceve l’ordine di visitare Daniele e dargli le informazioni necessarie. Dal tempo che si impiega a leggere la preghiera di Daniele, sino a quando Gabriele appare sulla scena, il lettore può giudicare la velocità con cui questo messaggero
venne mandato dalla corte celeste a questo servo di Dio. Ecco perché Daniele dice che Gabriele è stato indotto [212] a volare rapidamente, o perché Ezechiele paragona i movimenti di questi esseri celesti ad un lampo di fulmine. (Ezechiele 1:14) Gabriele dice a Daniele: “Fa dunque attenzione alla parolaH1697 [o all’argomento].” Quale parola [o argomento]??? Quella che evidentemente non aveva capito prima, come dichiarato nell’ultimo verso del capitolo 8. “Intendi la visione.” Quale visione? Non ci si riferisce all’interpretazione dell’immagine di Nabucodonosor [Daniele 2], e neppure alla visione del capitolo 7 , dal momento che in entrambi i casi non vi era alcuna difficoltà, quindi ci si riferisce alla visione del capitolo 8 , su cui la mente di Daniele era piena di dubbi e di stupore. L’angelo disse anche: “Sono venuto per fartela conoscere.” Farti conoscere che cosa? – Certamente riguardava qualcosa che Daniele aveva frainteso e che, allo stesso tempo, aveva a che fare con la sua preghiera, dato che era proprio questa che aveva indotto Gabriele a continuare la sua missione in questo momento.
Daniele, però, non ebbe difficoltà nel capire quello che l’angelo gli disse riguardo al montone, il capro, il piccolo corno, i regni di Medo-Persia, della Grecia e di Roma. Lui non si sbagliava neppure riguardo alla fine dei settanta anni di prigionia. Ma la preoccupazione della sua richiesta riguardava la riparazione delle desolazioni del santuario [a Gerusalemme] che giaceva in rovina; e senza dubbio, lui era giunto alla conclusione che quando sarebbe giunta la fine dei settanta anni di schiavitù, sarebbe giunto il tempo per l’adempimento di quello che l’angelo aveva detto riguardo alla purificazione del santuario, alla fine dei 2300 giorni. Ora però Daniele deve essere corretto. E questo spiega perché, in questo particolare momento, appena dopo la visione precedente, l’istruzione gli venne mandata. Ora, i settanta anni di prigionia giungevano alla fine, e Daniele stava applicando l’istruzione che aveva precedentemente ricevuto dall’angelo verso un soggetto sbagliato. Lui stava fraintendendo la cosa, comportandosi di conseguenza, quindi, non doveva restare all’oscuro della vera importanza della visione precedente. “Sono venuto per fartela conoscere” ; “Fa dunque attenzione alla parola” ; “Intendi la visione.” Queste sono le parole pronunciate proprio dalla stessa persona che Daniele aveva visto nella visione precedente, e a cui venne dato il comando di “spiegargli la visione”, e che, lui sapeva, non aveva mai compiuto quella istruzione. Ma ora Gabriele appare e dice: “Io sono venuto ora per metterti in grado di intendere. [213] In che modo Daniele può ricordare più chiaramente la visione del capitolo 8, e come può essere mostrata più distintamente la connessione tra quella visita dell’angelo e questa, se non con queste parole, in questo momento, e da una persona del genere? Le considerazioni appena presentate sono sufficienti per mostrare una volta per tutte la connessione tra i capitoli 8 e 9; ma questo si vedrà meglio nei prossimi versi.
Prima di lasciare il verso 23, dobbiamo notare la dichiarazione dell’angelo a Daniele: “Perché tu sei grandemente amato.” L’angelo ha portato questa dichiarazione direttamente dalle corti celesti, esprimendo la condizione del sentimento che esisteva lì verso Daniele. Pensate agli esseri celesti più importanti dell’universo – il Padre, il Figlio e i santi angeli – che hanno un tale rispetto e stima per un uomo mortale qui sulla terra, tanto da autorizzare un angelo a portare il messaggio a colui che è grandemente amato! Questo è uno dei punti più alti della gloria a cui i mortali possono arrivare. Abrahamo ne raggiunse un altro, quando di lui si poteva dire che era “l’amico di Dio” [Giacomo 2:23]; un altro è Enok, quando di lui si poteva dire che “camminò con Dio.” [Genesi 5:22] Noi possiamo arrivare a qualunque di questi risultati? Dio non rispetta le persone, ma rispetta il carattere. Se avessimo la stessa virtù e devozione di questi uomini importanti, potremmo muovere l’amore divino con la stessa intensità.
Anche noi potremmo essere grandemente amati – potremmo essere amici di Dio, e potremmo camminare con Lui. Noi dobbiamo essere nella nostra generazione come loro furono nella loro. Riguardo all’ultima chiesa [di Laodicea] c’è una figura usata che indica l’unione più vicina a Dio: “Ecco, io sto alla porta e busso, se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me.” (Apocalisse 3:20) Cenare con il Signore indica una intimità uguale all’essere grandemente amati da Lui, al camminare con Lui, o all’essere Suoi amici. Che posizione desiderabile! Ahimè, a causa delle malvagità della nostra natura siamo tagliati fuori da questa comunione! Oh… che la grazia ci faccia superare questi ostacoli! affinché possiamo godere di questa unione spirituale in questo mondo, ed entrare finalmente nelle glorie della Sua presenza, alla cena nuziale dell’Agnello.
“Verso 24 Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine [214] [215] ai peccati, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo.”
Queste sono le prime parole che l’angelo dice a Daniele per impartirgli quella istruzione che era venuto a dare. Perché Gabriele introduce così improvvisamente un periodo di tempo? Dobbiamo ancora riferirci alla visione del capitolo 8. Abbiamo visto che Daniele, alla fine di quel capitolo, dice di non aver compreso la visione. A quel tempo, alcune parti di quella visione erano state spiegate molto chiaramente, quindi, non sarebbero potute essere queste le parti che Daniele non aveva capito. Per questa ragione, noi indaghiamo sulla parte che Daniele non aveva capito, o in altre parole, la parte della visione rimasta senza spiegazione. In quella visione sono mostrate quattro cose importanti: #1 il montone; #2 il capro; #3 il piccolo corno; #4 il periodo dei 2300 giorni. I simboli del montone, del capro e del piccolo corno, vennero spiegati. Tuttavia, non fu detto nulla riguardo il tempo [i 2300 giorni]. Quindi questo deve essere stato il punto che Daniele non aveva capito; e senza questo punto, le altre parti della visione non sarebbero state utili, e dato che l’applicazione di questo tempo profetico non gli era stata spiegata, lui avrebbe potuto dire di non aver capito la visione.
Se questa visione dell’argomento è corretta, dobbiamo naturalmente aspettarci che l’angelo, quando completa la sua spiegazione della visione, debba iniziare proprio da quella parte che era stata tralasciata precedentemente, ovvero, il tempo [i 2300 giorni]. Infatti, vediamo che accade proprio in questo modo. Dopo aver richiamato nel modo più diretto ed esplicito l’attenzione di Daniele sulla visione precedente [Daniele 8], e assicurandolo di essere tornato per fargli comprendere l’argomento, l’angelo inizia proprio dal quel punto che era stato tralasciato, dicendo: “Settanta settimane sono stabiliteH2852 per il tuo popolo e per la tua santa città.”
[H2852 chathak = separare una parte dall’altra, “dividere”, e figurativamente significa “decretare” o “determinare”]
In che modo, però, questo linguaggio mostra una qualsiasi connessione con i 2300 giorni, o ne chiarisce il significato? Noi rispondiamo: Il linguaggio non si può riferire a nessun altra cosa, dato che la parola qui tradotta significa “separare”; e l’unico periodo di tempo dato in questa visione [Daniele 9] e da cui le settanta settimane potrebbero essere stabilite, sono soltanto i 2300 giorni [216] della visione precedente. [Daniele 8:14] Quanto diretta e naturale è la connessione! L’attenzione di Daniele è fissata
sui 2300 giorni, che però non capisce, e l’angelo lo dirige alla visione precedente, dicendo: “Settanta settimane sono sono stabiliteH2852 [separate, divise].” Da cosa sono separate? – Molto sicuramente dai 2300 giorni.
Si può provare abbondantemente che la parola tradotta “stabilite” [H2852] significa “separate.” La parola ebraica così tradotta è nehhtak. Gesenius, nel suo “Hebrew Lexicon” [Lessico dell’ebraico] definisce così questa parola: “Il giusto significato è ‘separare una parte dall’altra’, figurativamente ‘dividere’; e quindi ‘determinare’, ‘decretare.’ ” Nel dizionario Chaldoe-Rabbinic di Stockius, la parola nehhtak è definita così: “Scidit, abscidit, conscidit, inscidit, exscidit – tagliare, tagliare via, tagliare in pezzi, incidere, separare una parte dall’altra.” Mercerus, nel suo Thesaurus fornisce un esempio di uso rabbinico nella frase, hhatikah shel basar, “un pezzo di carne” o “un taglio di carne.” Lui traduce la parola proprio come in Daniele 9:24 con “praecisa est”, ovvero “è separata.” Nella versione letterale di Arias Montanus, viene tradotta “decisa est”, ovvero “è separata”, nella lettura a margine che è grammaticalmente corretta, è tradotta al plurale “decisae sunt”, ovvero “sono separate.” Nella versione latina di Junius e Tremellius, nehhtak (il passivo di hhathak) è tradotto “decisae sunt”, ovvero “sono separate.” Ancora, nella versione greca di Daniele scritta da Theodotion (che è la versione usata nella copia vaticana della Septuaginta, che loro considerano la più fedele), è tradotta come “sunetmethesan”, ovvero “furono separate”; e nella copia veneziana come “tetmentai”, ovvero “sono state separate.” L’idea della separazione è preservata nella Vulgata, dove la frase è “abbreviatae sunt”, ovvero “sono abbreviati.”
“In questo modo, l’autorità caldea, rabbinica, e quella delle prime versioni come la Septuaginta e la Vulgata, danno l’unico significato di ‘separare’ a questo verbo.”
“Hegstenberg, che esamina in maniera critica il testo originale, dice: ‘Ma l’uso reale della parola, che non avviene da nessun altra parte (considerando che Daniele poteva utilizzare altre parole di uso più frequente che aveva usato sia altrove che in questa parte, se desiderava esprimere l’idea della determinazione) sembra sostenere che la parola si distingue dal suo significato originale, e rappresenta le settanta [217] settimane in contrasto con una determinazione del tempo (en platei), come un periodo di tempo separato da una ulteriore durata, e accuratamente limitato.’ ” Christology of the Old Testament, vol. 2, pag. 301, Washington, 1839.
Si può chiedere: Come mai, allora, i nostri traduttori hanno usato la parola “stabilite”, quando ovviamente significa “separate”? La risposta è che, senza dubbio, i traduttori trascurarono la connessione tra Daniele 8 e Daniele 9, considerando impropriamente la traduzione “separate” perché non avevano nulla da cui le settanta settimane potevano essere separate, quindi, loro diedero alla parola tradotta il significato figurato, e non quello reale [“stabilire”, “determinare” anziché “separare”, “dividere”]. Ma come abbiamo visto… la costruzione, il contesto e la connessione dell’argomento richiedono il significato letterale [reale], ed eliminano ogni altra opzione.
Quindi, settanta settimane, oppure i 490 giorni dei 2300 giorni, furono separati, o assegnati a Gerusalemme e gli Ebrei; e gli eventi che dovevano avvenire entro quel periodo di tempo sono dati brevemente. La trasgressione doveva terminare, ovvero, il popolo ebraico doveva riempire la coppa della propria iniquità: cosa che fecero nel rifiuto e nella crocifissione di Cristo. Si doveva giungere alla conclusione dei peccati, o delle offerte per i peccati. Questo avviene quando la grande offerta [Gesù Cristo] venne data al calvario. Doveva essere presentata la riconciliazione per il peccato, che venne fatta attraverso la morte del Figlio di Dio. Doveva essere introdotta la giustificazione eterna; la giustificazione manifestata dal nostro Signore nella Sua vita senza peccato. La visione e la profezia dovevano essere sigillate, o assicurate. La profezia è provata dagli eventi che devono accadere nelle settanta settimane. L’applicazione dell’intera visione è determinata da questo. Se gli eventi di questo periodo di tempo sono stati adempiuti in maniera precisa, la profezia è di Dio, e tutto sarà adempiuto; e se queste settanta settimane si adempiono come settimane di anni, allora i 2300 giorni (di cui le 70 settimane fanno parte) sono altrettanti anni. In questo modo, gli eventi delle settanta settimane forniscono una chiave per l’intera visione; e il “luogo santissimo” del santuario celeste doveva essere unto. Esaminando il santuario, in Daniele 8:14 [pag. 178], abbiamo visto che venne un tempo in cui il santuario terrestre veniva sostituito dal santuario celeste, e il ministero sacerdotale era trasferito a quest’ultimo. Prima che iniziasse il servizio nel santuario, il santuario [218] e tutti i suoi sacri utensili dovevano essere unti. (Esodo 40:9,10) L’ultimo evento delle settanta settimane mostrato qui, è l’unzione del tabernacolo celeste, o l’inizio del servizio nel tabernacolo celeste. Così, questa prima parte dei 2300 giorni ci porta all’inizio del servizio nella prima stanza del santuario celeste [il luogo santo], mentre l’intero periodo ci porta all’inizio del servizio nella seconda stanza, o il luogo santissimo, del santuario celeste.
Ora deve essere considerato definitivo l’argomento in cui Daniele 9 spiega Daniele 8 , e che le settanta settimane sono una parte dei 2300 giorni; e con poche citazioni dagli scritti di altre persone, abbandoneremo questo argomento.
Nel 1844, The Advent Shield [Lo scudo avventista] disse:
“Chiediamo la vostra attenzione su un fatto che mostra una necessaria ‘connessione’ tra le settanta settimane del capitolo nove e qualcos’altro che lo precede o lo segue, chiamato ‘la visione.’ Si trova nel verso 24: ‘Settanta settimane sono stabilite (sono separate) per il tuo popolo … per sigillareH2856 visione’ eccetera. Ora, ci sono soltanto due significati della parola ‘sigillare.’ #1 ‘rendere segreto’; e #2 ‘rendere sicuro.’ Ora non ci interessa spiegare quale dei due significati debba essere usato per questa parola. Questo non è il punto che ora ci interessa. Lasciate che il significato sia quel che sia… Daniele 9:24 mostra che la predizione delle settanta settimane si riferisce necessariamente a qualcos’altro oltre se stessa, ovvero, si riferisce al sigillamento della ‘visione.’ Parlare del suo stesso sigillamento è tanto assurdo quanto supporre che Flavio Giuseppe avesse così tanta paura dei romani dall’evitare di dire al mondo che lui pensava che il quarto regno [della profezia] di Daniele era ‘il regno della Grecia.’ Non è altrettanto corretto dire che il nono capitolo di Daniele ‘è completo in se stesso’, come dire che una mappa concepita per mostrare la relazione della Sardegna con l’Italia si riferisce soltanto alla Sardegna. Non è più completo in sé stesso quanto un obbligazione data in sicurezza per una banconota (o qualche altro documento a cui si riferisce) è completa in sé stessa; e anche uno scolaretto di quattordici anni [219] di media intelligenza, dopo aver letto il nono capitolo di Daniele con una comprensione del contesto, sarebbe in grado di determinare che si riferisce a qualcosa diversa dallo stesso capitolo 9, e questa qualcosa è detta ‘la visione.’ Non è difficile determinare quale sia la visione. Naturalmente e ovviamente [Daniele 9:24] si riferisce alla visione che non era stata completamente spiegata a Daniele, e a cui Gabriele richiamò la sua attenzione nel verso precedente – la visione del capitolo 8. Daniele ci dice che a Gabriele venne comandato di far capire la visione (Daniele 8:16). Ma quest’ordine non venne eseguito completamente in quel colloquio connesso con la visione, quindi, Gabriele è nuovamente inviato a Daniele per metterlo in grado di intendere [Daniele 9:22] – per spiegare il suo ‘significato’ comunicandogli la predizione delle settanta settimane.”
“Noi affermiamo che il nono capitolo di Daniele è connesso all’ottavo, e che le settanta settimane e i 2300 giorni, o anni, sono iniziati insieme. I nostri avversari negano questo.” Signs of the Times, [Segni dei tempi] 1843.
“Il grande principio incluso nell’interpretazione dei 2300 giorni di Daniele 8:14 è che le settanta settimane di Daniele 9:24 sono i primi 490 giorni dei 2300 giorni del capitolo otto.” Advent Shield, pag. 49.
“Se la connessione tra le settanta settimane di Daniele 9 e i 2300 giorni di Daniele 8 non esiste, l’intero sistema è scosso nelle sue fondamenta; se, come supponiamo, questa connessione esiste, il sistema deve stare in piedi.” Harmony of the Prophetic Chronology [Armonia della cronologia profetica], pag. 33.
Il dottor William Hales, commentando le settanta settimane, dice: “Evidentemente, questa profezia cronologica era progettata per spiegare la visione precedente, soprattutto nella sua parte cronologica dei 2300 giorni.” A new analysis of chronology and geography, history and prophecy … vol. 2, pag. 517.
“Verso 25 Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme, fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane; piazza e fossato saranno nuovamente ricostruiti, ma in tempi angosciosi. 26 Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte, ma non per lui stesso. E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni. 27 Egli stabilirà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio [220] e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore«.”
Ora, l’angelo da a Daniele l’evento che segna l’inizio delle settanta settimane che devono essere datate dall’emanazione dell’ordine di restaurare e costruire Gerusalemme. Quest’ordine non determina soltanto l’inizio di questo periodo di tempo profetico, ma determina anche gli eventi che dovevano verificarsi alla sua chiusura. In questo modo, l’applicazione di questa profezia viene provata due volte; ma più di questo, il periodo delle settanta settimane è suddiviso in tre grandi parti; e una di queste è a sua volta divisa; vengono pure presentati gli eventi intermedi che dovevano segnare la fine di ciascuna di queste parti. Se ora possiamo trovare una data che si armonizzerà con tutti questi eventi, avremo, oltre ogni dubbio, la vera applicazione; dato che soltanto la data corretta può soddisfare e adempire così tante condizioni. Si lascino vedere tutti i punti armonici al lettore, per poter essere la persona più preparata per proteggersi contro una falsa applicazione. #1 all’inizio del periodo di tempo [profetico], dobbiamo trovare la promulgazione di un ordine per ripristinare e costruire Gerusalemme. Per questa opera di restauro, sono assegnate sette settimane. Come arriviamo alla fine di questa prima parte, sette settimane dall’inizio, dobbiamo trovare #2 Gerusalemme restaurata nel suo aspetto materiale, con il pieno completamento della costruzione delle strade e dei muri. Da questo punto, si contano sessantadue settimane; e come raggiungiamo la fine di questa parte, ovvero sessantanove settimane dall’inizio, dobbiamo vedere #3 la manifestazione davanti al mondo del Messia, il Principe. Ci resta una sola settimana per completare le settanta settimane. #4 Nel mezzo di questa settimana, il Messia deve essere ucciso, causando la cessazione del sacrificio e dell’offerta; #5 e quando scade l’ultima settimana di quel periodo di tempo assegnato agli Ebrei durante il quale erano il popolo speciale di Dio, noi cerchiamo l’avanzamento della benedizione e dell’opera di Dio verso altre persone.
Ora indaghiamo sulla data iniziale che si armonizzerà con tutti questi dettagli. L’ordine riguardo a Gerusalemme [221] [222] doveva includere più che i semplici edifici. Doveva esserci il ripristino; e con questo dobbiamo comprendere tutte le forme e i regolamenti della società civile, politica e giudiziaria. Quando venne emanato un tale ordine? All’epoca in cui queste parole vennero dette a Daniele, Gerusalemme giaceva in completa e assoluta desolazione, e così era rimasta per settanta anni. La restaurazione, che puntava verso il futuro, deve essere la restaurazione di Gerusalemme da questa desolazione. Poi ci chiediamo: Quando e in che modo Gerusalemme fu restaurata dopo i settanta anni di prigionia [del suo popolo]?
Ci sono solo quattro eventi che rispondono all’ordine di restaurare e costruire Gerusalemme. Questi sono: #1 nel 536 a.C., il decreto di Ciro per la ricostruzione della casa di Dio (Esdra 1:1-4) ; #2 nel 519 a.C. , il decreto di Dario per la prosecuzione di quell’opera che era stata ostacolata (Esdra 6:1-12); #3 nel 457 a.C. , il decreto di Artaserse Longimano per Esdra (Esdra 7); e #4 nel 444 a.C. , l’autorizzazione a Nehemia da parte dello stesso re, nel suo ventesimo anno di regno. (Nehemia 2).
Calcolando le date partendo dai primi due decreti, le settanta settimane, essendo settimane di anni 3 , 490 anni in tutto, si concluderebbero molti anni prima di raggiungere persino l’era cristiana [536 a.C. + 490 = 46 a.C. ; 519 a.C. + 490 = 29 a.C.]; inoltre, questi decreti si riferivano principalmente al restauro del tempio e all’adorazione dei giudei nel tempio, e non al restauro del loro stato civile e politico che deve essere interamente incluso nella frase “restaurare e ricostruire Gerusalemme.”
Questi decreti fecero iniziare l’opera, infatti, erano i decreti preliminari per quello che in seguito sarebbe stato realizzato. Ma per se, questi erano del tutto insufficienti, sia nelle date che nella loro natura, a soddisfare le esigenze della profezia; [223] fallendo, così, sotto ogni aspetto, questi non possono essere usati per contestare il punto da cui sono datate le settanta settimane. Ora, l’unica questione riguarda gli altri due decreti che vennero concessi rispettivamente ad Esdra e a Nehemia.
In breve, i fatti tra cui dobbiamo decidere sono questi: nel 457 a.C., l’imperatore persiano Artaserse Longimano concesse un decreto a Esdra per salire a Gerusalemme con tutte le persone che volevano andare con lui. La commissione concesse ad Esdra una quantità illimitata di ricchezze per abbellire la casa di Dio, per procurare le offerte per il suo servizio, e per fare qualsiasi altra cosa potesse sembrargli buona. Esdra era autorizzato a decretare leggi, stabilire i magistrati, i giudici e ad esercitare la punizione anche fino alla morte; in altre parole, a ripristinare lo stato ebraico, civile ed ecclesiastico, secondo la legge di Dio e le antiche consuetudini di quella gente. L’ispirazione ha ritenuto opportuno di preservare questo decreto; infatti, il settimo capitolo del libro di Esdra ne riporta una copia completa e accurata. Nell’originale, questo decreto non è scritto in ebraico, come il resto del libro di Esdra, ma in caldeo (o aramaico orientale),
ovvero, il linguaggio a quei tempi utilizzato a Babilonia; così, abbiamo il documento originale che autorizzò Esdra a ripristinare e costruire Gerusalemme. Tredici anni dopo, nel ventesimo anno dello stesso re, il 444 a.C. , Nehemia chiese e ottenne il permesso di tornare a Gerusalemme. (Nehemia 2) Il permesso gli fu concesso, ma non abbiamo alcuna prova per dimostrare che fosse qualcosa di più che un permesso verbale. Riguardava soltanto lui, dato che nulla era stato detto riguardo alle altre persone che salirono con lui. Il re gli chiese quanto era lungo il viaggio che desiderava fare, e quando sarebbe tornato. Nehemia ricevette delle lettere per i governatori oltre il fiume affinché lo aiutassero ad arrivare in Giudea, e un ordine per il custode della foresta reale riguardo al legname per le travi, eccetera. Quando arrivò a Gerusalemme, Nehemia trovò i sovrani, i sacerdoti, i nobili e il popolo già impegnati nell’opera di ricostruzione di Gerusalemme. (Nehemia 2:16) Naturalmente, costoro agivano sotto il decreto dato ad Esdra tredici anni prima [457 a.C.]. Infine, essendo [224] arrivato a Gerusalemme, Nehemia terminò l’opera che era venuto a compiere in cinquantadue giorni. (Nehemia 6:15)
Ora, quale di questi due decreti, quello di Esdra o di Nehemia, costituisce il decreto per il restauro di Gerusalemme da cui devono essere datate le settanta settimane? È difficile avere dubbi su questo argomento.
#1 La concessione data a Nehemia non può essere considerata un decreto perché un decreto persiano doveva necessariamente essere scritto e firmato dal re. (Daniele 6:8) Il documento dato ad Esdra soddisfava queste caratteristiche; invece, Nehemia non aveva nulla di simile, dato che la sua concessione era solo verbale. Se si dice che le lettere date a Nehemia [per i governatori oltre il fiume] costituiscono il decreto reale, allora il decreto non venne emanato per Nehemia, ma per i governatori oltre il fiume; inoltre, questi avrebbero costituito una serie di decreti, e non un solo decreto, come dichiarato dalla profezia. [Daniele 9:25]
#2 Nehemia chiese al re il permesso per salire a Gerusalemme quando, dal racconto di alcuni che ritornavano da lì, seppe che coloro nella provincia della Giudea erano in grande afflizione e disonore, che le mura di Gerusalemme erano in rovina, e che le sue porte erano state bruciate. (Nehemia 1) Chi aveva ricostruito queste mura e queste porte che erano rovinate e bruciate? Evidentemente era Esdra con i suoi associati, dato che è impensabile supporre che la totale distruzione della città ad opera di Nabucodonosor, avvenuta centoquarantaquattro anni prima, nel 588 a.C. , sarebbe stata considerata da Nehemia come una nuova notizia, infatti, lui si addolorò proprio come accade per una recente disgrazia. Perciò, prima del permesso dato a Nehemia era stato emanato un decreto che autorizzava queste ricostruzioni.
#3 Se qualcuno vuole contendere il fatto che l’ordine di Nehemia deve essere un decreto, perché lui aveva richiesto di poter costruire la città, è sufficiente rispondere, come mostrato qui sopra, che le porte e le mura erano state costruite prima del suo arrivo; inoltre, l’opera di costruzione che Nehemia andò a svolgere venne compiuta in cinquantadue giorni, laddove la profezia assegna sette settimane (o quarantanove anni) per la costruzione della città.
#4 A Nehemia era stato concesso tutto quello [225] che era stato concesso nel decreto di Esdra; benché quest’ultimo avesse tutte le forme e le condizioni di un decreto, e disponesse di beni molto più ampi.
#5 Dalla preghiera di Esdra, come documentato in Esdra 9:9, è evidente che lui si considerava pienamente autorizzato a procedere con la costruzione della città e delle sue mura; inoltre, è evidente come lui comprese che le condizioni delle profezie riguardanti il suo popolo si erano adempiute, dalle parole conclusive di quella preghiera in cui dice: “Torneremo noi di nuovo a violare i tuoi comandamenti e a unirci in matrimonio con i popoli che commettono queste abominazioni? Non ti adireresti contro di noi fino a distruggerci senza lasciare più alcun residuo o superstite?” [Esdra 9:14]
#6 Calcolando dal permesso di Nehemia, nel 444 a.C., non vi è armonia nelle date; perché a partire da quel momento, i tempi difficili in cui dovevano essere ricostruite le strade e le mura non durarono sette settimane [profetiche], o quarantanove anni [profetici]. Calcolando da quella data, le sessantanove settimane, i 483 anni, che dovevano estendersi sino al Messia il Principe, ci portano al 40 d.C.; Gesù, però, venne battezzato da Giovanni [Battista] nel Giordano, e la voce del Padre venne sentita dal cielo dichiarandolo Suo Figlio, nel 27 d.C. 5, tredici anni prima. Secondo questo calcolo, la metà dell’ultima [settimana] delle settanta settimane, che è contrassegnata dalla crocifissione, è posta nel 44 d.C. , ma la crocifissione ha avuto luogo nel 31 d.C. , tredici anni prima. Ed infine, calcolando l’inizio delle settanta settimane, i 490 anni, dal ventesimo anno del regno di Artaserse Longimano [444 a.C.], si raggiunge il 47 d.C., un tempo in cui non accade nulla in grado di segnarne la conclusione. Quindi, se il 444 a.C. è l’anno, ed il permesso a Nehemia è l’evento da cui dobbiamo calcolare, la profezia si è rivelata un fallimento. Così com’è, si prova soltanto che la teoria in cui si calcola l’inizio delle settanta settimane dall’ordine dato a Nehemia, nel ventesimo anno di Artaserse Longimano, è un fallimento.
#7 Se calcoliamo dal decreto dato a Esdra, queste date si armonizzeranno? Vediamolo. In questo caso, il 457 a.C. è il nostro punto di partenza. Quarantanove anni erano stati assegnati per la ricostruzione della città e delle mura. Su questo punto, Humphrey Prideaux (The old and new testament… vol. 1, pag. 322) [226] dice: “Nel quindicesimo anno di Dario Nothus terminarono le prime sette settimane della profezia di Daniele. Per quel tempo, il ristabilimento della chiesa e dello stato ebraici a Gerusalemme ed in Giudea era pienamente terminato in quell’ultimo atto di riforma documentato nel capitolo 13 di Nehemia, dal verso 23 sino alla fine del capitolo, proprio quarantanove anni dopo che era stato iniziato da Esdra nel settimo anno di Artaserse Longimano.” Questo era il 408 a.C.
Finora troviamo armonia. Applichiamo ulteriormente il metro di misura profetico. Sessantanove settimane, o 483 anni, dovevano estendersi al Messia il Principe. Partendo dal 457 a.C., si arriva al 27 d.C. ; e a quel tempo, quale evento accadde? 5 Luca ci informa: “Ora, come tutto il popolo era battezzato, anche Gesù fu battezzato, e mentre stava pregando, il cielo si aprì e lo Spirito Santo scese sopra di lui in forma corporea come una colomba; e dal cielo venne una voce, che diceva: »Tu sei il mio amato Figlio, in te mi sono compiaciuto!«.” Luca 3:21,22. Dopo questo, Gesù “… venne in Galilea predicando l’evangelo del regno di Dio e dicendo: »Il tempo è compiuto…” (Marco 1:14,15) Il tempo citato deve essere stato un tempo specifico, definito e predetto; ma in quel momento, l’unico periodo profetico che terminava erano le sessantanove settimane della profezia di Daniele, che dovevano estendersi fino al Messia, il Principe. Ora il Messia era giunto, e con le sue stesse labbra annunciava la conclusione di quel tempo che doveva essere contrassegnato dalla Sua manifestazione.
[227]
Qui, ancora, c’è un’armonia incontestabile. Ma, inoltre, il Messia doveva stabilire il patto con molti per una settimana. [Daniele 9:27] Questa sarebbe l’ultima settimana delle settanta settimane, oppure, gli ultimi sette anni dei 490 anni. La profezia ci informa che nel mezzo della settimana Lui avrebbe fatto cessare il sacrificio e l’offerta. Queste ordinanze ebraiche, che indicano la morte di Cristo, possono finire soltanto alla croce; e lì virtualmente terminarono, anche se i riti esteriori furono mantenuti sino alla distruzione di Gerusalemme, nel d.C. 70. Secondo il documento, il Messia doveva essere ucciso dopo le sessantadue settimane. E come se leggessimo: “E dopo le sessantadue settimane, nel mezzo della settantesima settimana, il Messia deve essere ucciso, causando la cessazione del sacrificio e dell’offerta.” Ora, in base alle abbondanti prove che, se necessario, possiamo produrre, la parola mezzoH2677 significa “nel mezzo”, quindi, la crocifissione si trova definitivamente nel mezzo della settantesima settimana.
[H2677 chetsiy = metà, nel mezzo]
Ora diventa importante determinare in quale anno ebbe luogo la crocifissione. La seguente prova è sufficiente per essere considerata assolutamente decisiva su questo argomento.
Non deve essere messo in dubbio che, il nostro Salvatore abbia partecipato ad ogni Pasqua durante il Suo ministero pubblico; e nelle scritture si parla soltanto di quattro occasioni precedenti alla Sua crocifissione. Queste si trovano nei seguenti passaggi: Giovanni 2:13; 5:1; 6:4; 13:1. Gesù venne crocifisso nell’ultima Pasqua citata. Attraverso i fatti già stabiliti, vediamo [228] [229] dove si colloca la crocifissione. #1 Gesù inizia il Suo ministero nell’autunno del 27 d.C., la Sua prima Pasqua avrebbe avuto luogo la primavera successiva, nel 28 d.C. ; #2 la Sua seconda nel 29 d.C. ; #3 la Sua terza nel 30 d.C. ; #4 e la Sua quarta ed ultima pasqua nel d.C. 31. Questo ci da tre anni e mezzo per il Suo ministero pubblico che corrisponde esattamente alla profezia in cui Lui deve essere ucciso nel mezzo della settantesima settimana. Dato che quella settimana di anni iniziava nell’autunno del 27 d.C., la metà della settimana avrebbe avuto luogo tre anni e mezzo dopo, nella primavera del 31 d.C , dove ebbe luogo la crocifissione. Il dottor Hales cita Eusebio, 300 d.C., dicendo così: “È documentato nella storia che il tempo complessivo in cui il nostro Salvatore insegnò e compì miracoli era di tre anni e mezzo, che è la metà di una settimana (di anni). Giovanni l’evangelista lo rappresenterà in questo modo per coloro che criticano il suo Vangelo.”
William Hales, in New analysis of chronology and geography… vol. 1, pag. 69 e 70 , parla dell’innaturale tenebra avvenuta alla crocifissione: “Quindi, si vede come l’oscurità che ‘si diffuse su tutto il territorio della Giudea’ al momento della crocifissione del nostro Signore, fosse innaturale, ‘dall’ora sesta fino all’ora nona’ [Matteo 27:45], o da mezzogiorno sino alle tre del pomeriggio, nella sua durata e anche nel suo tempo, verso la luna piena, quando la luna non poteva assolutamente eclissare il sole. Sia il tempo in cui accadde che il fatto stesso sono documentati in un curioso e prezioso passaggio di un rispettabile console romano, senatore Aurelius Cassiodorius, verso il 514 d.C. : ‘Nel consolato di Tiberio Cesare Aug. V e AElio Sejanus (U.C. 784, 31 d.C.), il nostro Signore Gesù Cristo soffrì, nell’ottava della calende di aprile (il 25 di marzo), quando si verificò una tale eclissi solare come non era mai stata vista prima e neanche da allora”.
[W. Hales continua] “Su questo anno e questo giorno concordano anche il concilio di Cesarea (196 o 198 d.C.), la cronaca Alessandrina, Maximus Monachus, Nicephorus Constantinus, Cedrenus; invece, su questo anno, ma su giorni diversi, concordano Eusebio ed Epifanio, seguiti da Keplero, Bucher, Patinus e Petavius, alcuni calcolano il decimo delle calende di aprile, altri il tredicesimo.” (Vedi in Daniele 11:22.)
Qui, dunque, ci sono tredici autorevoli autorità che individuano la crocifissione di Cristo nella primavera del d.C. 31. Per questa ragione, possiamo [230] considerarla come una data sicura, dal momento che i più cauti, o i più scettici, non potrebbero volere nulla di più convincente. Essendo [la primavera del 31 d.C.] nel mezzo dell’ultima settimana, dobbiamo soltanto calcolare tre anni e mezzo a ritroso per trovare la fine delle sessantanove settimane, ci troviamo nell’autunno del 27 d.C. dove, come abbiamo visto, le sessantanove settimane sono terminate, e Cristo ha iniziato il Suo ministero pubblico. Avanzando di tre anni e mezzo dalla crocifissione, arriviamo all’autunno del 34 d.C., il grande punto finale dell’intero periodo delle settanta settimane. Questa data è contrassegnata #1 dal martirio di Stefano, #2 dal rifiuto del Vangelo di Cristo da parte del sinedrio ebraico nella persecuzione dei Suoi discepoli, e #3 dalla predicazione degli apostoli verso i gentili. E questi sono proprio gli eventi che ci si aspetta di vedere allo scadere di quel preciso periodo di tempo separato per gli Ebrei e assegnato per loro come popolo particolare di Dio.
Abbiamo completato l’insieme delle evidenze riguardanti la data del settimo anno del regno di Artaserse Longimano, quando il decreto per il restauro di Gerusalemme venne dato ad Esdra. Il settimo anno del regno di Artaserse era il 457 a.C.? La seguente testimonianza sarà sufficiente per tutti coloro che apprezzano la forza dei fatti:
“La Bibbia da informazioni per un completo sistema cronologico che si estende dalla creazione, sino alla nascita di Ciro – una data chiaramente accertata. Procedendo a ritroso da questo tempo, abbiamo l’incontrastato canone di Tolomeo e la sicura epoca di Nabonassar, che si estende al di sotto della nostra epoca volgare. Quando termina la cronologia ispirata, inizia questo canone di indubbia precisione. In questo modo, si attraversa l’intero orizzonte temporale. È grazie al canone di Tolomeo che il grande periodo profetico delle settanta settimane è determinato. Questo canone è dimostrato dall’accordo contemporaneo di più di venti eclissi. Non possiamo cambiare la data del 457 a.C. senza prima dimostrare l’inaccuratezza del canone di Tolomeo. [231] Per fare questo, sarebbe necessario mostrare che il gran numero di eclissi con cui è stata ripetutamente dimostrata la sua precisione non sono stati calcolati correttamente, e un tale risultato sconvolgerebbe ogni data cronologica, lasciando la determinazione delle epoche e l’aggiustamento delle ere completamente in balia di ogni sognatore, affinché la cronologia non sia di più valore rispetto ad una semplice ipotesi. Dato che le settanta settimane devono terminare nel 34 d.C. a meno ché il settimo anno del regno di Artaserse Longimano sia fissato incorrettamente, e dato che questo non può essere cambiato senza alcuna prova a favore, noi chiediamo: Quale prova ha segnato la fine delle settanta settimane??? Il tempo in cui gli apostoli si rivolsero ai gentili, si armonizza con quella data meglio di qualsiasi altra cosa che è stata già citata; e la crocifissione nel 31 d.C., nel mezzo dell’ultima settimana, è sostenuta da una massa di testimonianze che non possono essere rifiutate facilmente.” Advent Herald.
Dai fatti sopra citati, vediamo che, calcolando le settanta settimane dal decreto concesso ad Esdra nel settimo anno del regno di Artaserse Longimano, 457 a.C.,
c’è l’armonia più perfetta dall’inizio alla fine. Gli eventi importanti e sicuri della manifestazione del Messia al battesimo, l’inizio del Suo ministero pubblico, la crocifissione e l’abbandono degli Ebrei per i gentili con la proclamazione del nuovo patto… tutto avviene nel suo esatto posto, proprio come una luminosa galassia di orbite sfolgoranti che si radunano per stabilire il loro sigillo alla profezia, rendendola sicura.
È evidente, dunque, che la promulgazione del decreto di Esdra nel settimo anno del regno di Artaserse Longimano (457 a.C.), è il punto da cui si datano le settanta settimane. Quella era l’emanazione del decreto che riguarda la profezia. I due decreti precedenti erano preparatori e preliminari a questo, infatti, Esdra li considera come facenti parte di questo; i tre [decreti] sono considerati come un unico grande insieme, dato che in Esdra 6:14 leggiamo: “… Così essi costruirono e terminarono l’edificio secondo il comandoH2941 del Dio d’Israele e secondo l’ordineH2942 di Ciro, di Dario e di Artaserse, re di Persia.” [H2941 ta`am = (Aramaico) “comando”, “sentenza”, “decreto”, “mandato”; H2942 te`em = (Aramaico) “un gusto piacevole”, figurativamente “comando”, “comandamento”, “decreto”] Si noterà che i decreti di questi tre re vengono considerati come uno – “l’ordine (“decreto”, numero singolo) di Ciro, di Dario e di Artaserse”; [232] mostrando che sono tutti considerati come una unità, in cui i diversi decreti erano solo i passi successivi attraverso cui l’opera veniva compiuta. Questo decreto non fu emanato, come inteso dalla profezia, sino a quando l’ultimo permesso richiesto dalla profezia non fosse stato incorporato nel decreto e rivestito dell’autorità imperiale. Questo punto venne raggiunto con la concessione data ad Esdra, e non prima. In questo modo, il decreto riceveva tutta l’autorità richiesta dalla profezia, e da questo punto si deve datare la sua emanazione.
Abbiamo concluso il discorso sulla profezia delle settanta settimane; ma restano ancora da considerare un più lungo periodo di tempo ed altri importanti eventi. Le settanta settimane sono soltanto i primi 490 anni dei 2300 anni. Sottraendo 490 anni dai 2300 anni, restano 1810 anni. Come abbiamo visto, i 490 anni terminarono nell’autunno del d.C. 34. Se a questa data aggiungiamo i restanti 1810 anni, avremmo la fine dell’intero periodo di tempo. Così, all’autunno del 34 d.C. aggiungiamo 1810 anni, e abbiamo l’autunno del d.C. 1844. Una volta che abbiamo individuato le settanta settimane, troviamo la fine dei 2300 giorni in modo rapido e sicuro.
Ora si dovrebbe notare un altro punto. Abbiamo visto #1 che le settanta settimane sono i primi 490 giorni dei 2300; #2 che questi giorni sono profetici, significando anni reali in cui, secondo la regola biblica, un giorno vale un anno (Numeri 14:34; Ezechiele 4:6), com’è dimostrato dall’adempimento delle settanta settimane e dall’accordo di tutti gli affidabili espositori biblici; inoltre abbiamo visto #3 che iniziarono nel 457 a.C. e si conclusero nel 1844 d.C. , a condizione che questo numero sia corretto e i 2300 giorni siano interpretati correttamente. Avendo stabilito questo punto, sembrerebbe non ci sia spazio per ulteriori controversie. Su questo argomento, il dottor William Hales osserva:
“I 2300 giorni sono il numero più genuino e meglio accertato in tutta la Bibbia. Si trova in tutte le edizioni ebraiche, in tutti i manoscritti di Benjamin Kenicott, nelle “collations” di Giovanni Bernardo De Rossi ed in tutte le versioni antiche, tranne la copia vaticana della Septuaginta in cui si trovano 2400 [giorni], seguita da Simmaco; e alcune copie notate da Girolamo, con 2200 [giorni], evidentemente entrambi errori letterali in eccesso e in difetto, che si compensano reciprocamente e confermano la media di 2300 [giorni].” New analysis of chronology and geography… vol. 2, pag. 512.
[233]
Ci si può domandare in che modo i giorni si posso estendere all’autunno del 1844 d.C. se, iniziando nel 457 a.C., occorrono soltanto 1843 anni, in aggiunta ai 457, per ottenere i 2300 [anni]. L’attenzione ad un fatto particolare chiarirà ogni difficoltà su questo punto. Per ottenere i 2300 [anni], ci vogliono 457 anni interi prima di Cristo, e 1843 anni interi dopo Cristo; quindi, se il periodo [profetico] iniziava i primi giorni del 457, non terminerà prima dell’ultimo giorno del 1843. Ora, sarà chiaro per tutti che se qualsiasi parte dell’anno 457 è trascorsa prima che iniziassero i 2300 giorni, allora, deve trascorrere altrettanto tempo nell’anno 1844, prima che [i 2300 anni] finiscano. Quindi noi chiediamo: Da quale punto dell’anno 457 dobbiamo iniziare a calcolare? Partendo dal fatto che i primi quarantanove anni erano assegnati alla costruzione della piazza e del fossato [Daniele 9:25], apprendiamo che il periodo di tempo non deve essere datato dalla partenza di Esdra da Babilonia, ma da quando lui inizia effettivamente il lavoro [di ricostruzione] a Gerusalemme, il quale è improbabile che possa essere iniziato prima del settimo mese (autunno) del 457 a.C., dato che Esdra non arrivò a Gerusalemme prima del quinto mese di quell’anno. (Esdra 7:9) Pertanto, l’intero periodo si estenderebbe al settimo mese, autunno, tempo ebraico, del 1844.
Coloro che, negli anni passati, si sono opposti a questa veduta dei periodi profetici, ci hanno abitualmente affrontato con questa obiezione: “I 2300 giorni non sono terminati, perché il tempo è passato e il Signore non è venuto. Riconosciamo essere un mistero il fatto che nel 1844 il tempo passò senza il compimento delle nostre speranze; ma il passare del tempo è la prova che i 2300 giorni non sono finiti.”
Il tempo, tuttavia, non è rispettoso di persone né di teorie; ed essendo rappresentato con una terribile falce in mano, a volte demolisce in modo molto sommario e veloce le teorie grottesche e sottili degli uomini, per quanto care possano essere ai loro autori e difensori. Qui è così. Incurante delle distorsioni selvagge di coloro che vorrebbero costringerlo a fermarsi per adempiere le loro care previsioni, esso ha mantenuto la rapidità ma anche il corso del suo cammino sino – a cosa? Sino a quando ogni limite su cui si possono estendere i 2300 giorni è passato; e in questo modo ha dimostrato che quei giorni sono passati. Non [234] trascurate questo punto. Mettendo da parte per un momento gli argomenti che mostrano come i 2300 giorni siano finiti nel 1844, e permettendo di datarli da qualsiasi punto temporale che la ragione o il sognatore più selvaggio possano immaginare, resta sempre vero che il limite massimo a cui possono estendersi è passato. I 2300 giorni non possono essere datati in nessun punto che termina così tardi come il tempo presente. Perciò noi ripetiamo, senza dubbi sulla verità che è stata dichiarata, e senza temere la contraddizione, che la profezia dei 2300 giorni è terminata!
L’importante dichiarazione fatta dall’angelo a Daniele: “Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato«.” [Daniele 8:14] è ora spiegata. Nella nostra ricerca del significato del santuario, della sua purificazione, e nell’applicazione del tempo, non abbiamo trovato soltanto che questo argomento può essere capito facilmente, ma che l’evento si sta compiendo persino ora, ed è quasi finito. E qui ci fermiamo brevemente per riflettere sulla solenne posizione a cui siamo giunti.
Abbiamo visto che il santuario di questa dispensazione è il tabernacolo di Dio in cielo, la casa fatta senza mani d’uomo dove il nostro Signore ministra a favore dei peccatori penitenti; il luogo in cui tra il grande Dio e Suo Figlio prevale il “consiglio di pace” nell’opera della salvezza per gli uomini che periscono. (Zaccaria 6:13; Salmi 85:10) Abbiamo visto che la purificazione del santuario consiste nella rimozione dei peccati da questo, ed è l’atto finale del servizio che in questo viene svolto; e che l’opera della salvezza ora si concentra nel santuario celeste: e quando il santuario è purificato, l’opera è conclusa, ed il piano [della salvezza] è terminato. Poi, il grande sistema ideato alla caduta [di Adamo] per la salvezza di tutti coloro della razza perduta che avessero usufruito di questi doni, portato avanti per sei mila anni, arriva alla sua fine definitiva. La misericordia non può più essere implorata, e dal trono nel tempio celeste si sente una grande voce che dice: “È fatto.” (Apocalisse 16:17) E dopo cosa accade? A tutti i giusti è assicurata la vita eterna, mentre tutti i malvagi sono condannati alla morte eterna. Oltre questo punto, nessuna decisione può essere cambiata, nessun premio può essere perduto, [235] e nessun destino disperato può essere evitato.
Abbiamo visto (e questo è colui che porta le solennità del giudizio verso di noi) che quel lungo periodo di tempo profetico che segnava l’inizio di questa opera finale nel santuario celeste è terminata nella nostra generazione. Nel 1844 finirono i giorni [i 2300 giorni]. E da quel momento, è proseguita l’opera per la salvezza dell’uomo. Quest’opera implica una esaminazione del carattere di ciascuno di noi, dato che consiste nel perdono dei peccati di coloro che verranno trovati degni di essere perdonati, determina chi tra i morti sarà risuscitato, e chi tra i viventi sarà cambiato, alla venuta del Signore, e chi, sia dei morti che dei viventi, sarà abbandonato per avere la sua parte nelle terribili scene della seconda morte. Tutti possono capire che una decisione come questa deve essere presa prima del ritorno del Signore. Il destino di ognuno deve essere determinato dalle azioni fatte nel corpo, ed ognuno deve essere ricompensato secondo le sue opere. (2Corinzi 5:10; Apocalisse 22:12) Le azioni di ognuno di noi saranno documentate nei libri dei ricordi custoditi dagli scribi celesti. (Apocalisse 20:12); nell’opera conclusiva del santuario celeste, questi documenti vengono esaminati e si decide in base alle opere trovate. (Daniele 7:9,10) Sarebbe più naturale supporre che l’opera sarebbe iniziata con i primi membri della razza umana; che i loro casi sarebbero i primi ad essere esaminati e decisi, e così via con tutti i morti, una generazione dopo l’altra, in ordine cronologico lungo il corso del tempo, fino al raggiungimento dell’ultima generazione – la generazione dei viventi, con cui l’opera si conclude. Quanto tempo ci vorrà per esaminare i casi di tutti i morti? Nessuno può sapere quanto presto l’opera raggiungerà i casi dei viventi. E come si è detto precedentemente, questa solenne opera è proseguita sin dal 1844. La conoscenza del “tipo”, e la natura stessa del caso, escludono che debba essere un opera di lunga durata. Giovanni, nelle sue sublimi visioni delle scene celesti, vide milioni di assistenti impegnati con il nostro Signore nella Sua opera sacerdotale. (Apocalisse 5) Così, il servizio prosegue. Non smette, non ritarda, e presto deve finire per sempre.
[236]
Noi siamo qui – nell’ultima, nella più grande, nella più solenne ed immediata crisi nella storia della nostra razza umana; il grande piano della salvezza è quasi finito; gli ultimi, preziosi anni di prova sono quasi finiti; il Signore sta per venire per salvare quelli che sono pronti e aspettano, ma anche per separare gli indifferenti e gli increduli; e la gente del mondo – ahimè! cosa dovremmo dire di loro? – Ingannati con l’errore, indaffarati con le preoccupazioni e con gli affari, deliranti dal piacere, paralizzati dal vizio… essi non hanno un momento da dedicare all’ascolto della solenne verità, e neppure un pensiero da dedicare per il loro interesse eterno. Che il popolo di Dio, vedendo l’eternità, possa stare attento a sfuggire la corruzione che è nel mondo attraverso la lussuria, preparandosi a superare il vaglio, quando i loro casi saranno esaminati nel grande tribunale celeste. Raccomandiamo l’argomento del santuario ad ogni studente della profezia. Nel santuario si vede l’arca del testamento di Dio contenente la Sua santa legge, e questo suggerisce una riforma nella nostra obbedienza a quel grande punto di riferimento morale. L’apertura di questo tempio celeste, o l’inizio del servizio nella sua seconda stanza, segna l’inizio del suono [di tromba] del settimo angelo. (Apocalisse 11:15,19) L’opera svolta in esso è il fondamento del terzo messaggio di Apocalisse 14 – l’ultimo messaggio misericordioso per un mondo che muore. Questo argomento spiega la grande delusione degli avventisti nel 1844, dimostrando come essi fraintesero l’evento che doveva accadere al termine dei 2300 giorni. Questo argomento armonizza e chiarisce i passati adempimenti profetici, che altrimenti sarebbero rimasti avvolti da una oscurità impenetrabile; e dà un idea precisa della posizione e dell’opera del nostro grande Sommo Sacerdote, evidenziando le caratteristiche più belle e distinte del piano della salvezza. Questo è l’unico argomento che ci guida verso le realtà del giudizio, e mostra la preparazione di cui abbiamo bisogno per poter resistere nell’imminente giorno [del giudizio]. Questo argomento ci mostra che siamo nel tempo di attesa e che dobbiamo vegliare, perché non sappiamo quanto presto finirà l’opera e quando apparirà il nostro Signore. Vegliate, per non essere trovati addormentati quando Gesù Cristo tornerà improvvisamente. Dopo aver parlato dei grandi eventi legati alla missione del nostro Signore qui sulla terra, nell’ultima parte del [237] verso 27, il profeta parla dell’imminente, successiva distruzione di Gerusalemme ad opera del potere romano; ed in fine, della distruzione di quello stesso potere chiamato, nel margine, “il devastatoreH8074.” [H8074 shamem = “desolare”, “inorridire”, “stupire”, “causare la desolazione”, “devastare”]
*NOTA – In base alle osservazioni su Daniele 9:24, sembra essere suscettibile alle prove più chiare che l’espressione “per ungere il luogo santissimo” si riferisca all’unzione del santuario celeste prima che Cristo vi inizi il suo servizio, e non all’unzione dello stesso Messia. La parola tradotta “santissimoH6944 H6944” è (kodeshH6944 kodashimH6944), “il luogo santissimoG39 G39” [Ebrei 9:3]; un espressione che secondo Gesenius si applica al luogo santissimo nel santuario, e che in nessun caso è applicato ad una persona, a meno che questo passaggio sia un eccezione.
The Advent Shield, n. 1, pag. 75, dice: “L’ultimo evento delle settanta settimane come descritto nel verso 24 [di Daniele 9], era l’unzione del ‘santissimo’, o ‘luogo santissimo’, oppure ‘sanctum sanctorum’; non quello nel mondo, fatto da mani d’uomo, ma il vero tabernacolo in cui Cristo, il nostro Sommo Sacerdote, è entrato per noi. Nel vero tabernacolo celeste, Cristo doveva fare quello che fecero Mosè e Aaronne nel suo modello (Vedi Ebrei capitoli 6, 7, 8, 9; Esodo 30:22-30; Levitico 8:10-15)”.
Il dottor Barnes, nelle sue note su questo passaggio, e particolarmente sulla parola ‘santissimo’, dice: “La frase significa correttamente ‘il luogo santissimo’ oppure ‘il santissimo’; nelle Scritture spesso è applicata al santuario interno, o la parte del tabernacolo e del tempio contenente l’arca del patto, le due tavole di pietra, eccetera.” “Non si limita necessariamente al santuario interno del tempio, ma si può applicare all’intera abitazione.” Altri hanno ipotizzato che questa parola si riferisce allo stesso Messia, stando a significare che colui che era santissimo, in seguito sarebbe stato consacrato, o unto, come Messia. È probabile, come ha mostrato Hengstenberg (Christology of the Old Testament … vol. 2, pag. 321, 322), che i traduttori greci lo compresero in questo modo, ma a questo basta obbiettare che sebbene questa frase si trova molte volte nelle Scritture, non è mai applicata alle persone, a meno che questo non sia un esempio. “Per questo motivo, mi sembra che l’interpretazione più ovvia e giusta deve riferirsi al tempio.” Una comprensione dell’argomento del santuario celeste avrebbe eliminato le perplessità su questa parola dalle menti di alcuni espositori.
NOTE
4 (pag. 222) – La spiegazione di questi periodi profetici si basa su quello che si chiama “il principio giorno-anno”; ovvero, rendendo ogni giorno come un anno, secondo la regola della scrittura per l’applicazione del tempo simbolico. (Ezechiele 4:6; Numeri 14:34) Che il tempo nelle visioni di Daniele 8 e Daniele 9 sia simbolico è evidente a causa della natura e della portata della profezia. La domanda che richiama le risposte su questo punto era: “Fino a quando durerà la visione?” La visione, che parte dal 538 a.C. e arriva al nostro tempo, interessa un periodo lungo oltre 2400 anni. Ma se i 2300 giorni della visione sono giorni letterali, abbiamo solo un periodo di poco superiore ai sei anni e mezzo per la durata dei regni e per l’avvenimento dei grandi eventi mostrati… una cosa assurda! Il principio giorno-anno include tra i suoi principali sostenitori: Augustine, Tichonius, Primasius, Andreas, il venerabile Bede, Ambrosius, Ansbertus, Berengaud, e Bruno Astensis, tra gli altri espositori moderni. (Vedi Horae Apocalypticae, vol. 3, pag. 241 di Edward Elliott ; The Sanctuary and Its Cleansing [Il Santuario e la sua purificazione], pag. 45-52). Quello che è più convincente di tutto il resto, è il fatto che le profezie si sono adempiute su questo principio – una dimostrazione della sua correttezza da cui non vi è scampo. Questo si troverà attraverso tutta la profezia delle settanta settimane, e in tutti i periodi profetici di Daniele capitolo 7 e 12 , e Apocalisse 9, 12 e 13.
5 (pag. 225) – Per provare la correttezza delle date del battesimo di Cristo e della Sua crocifissione, vedi Analysis of sacred chronology [Analisi della cronologia sacra], di Sylvester Bliss ; e anche A chronological synopsis of the Four Gospels [Un breve sommario dei quattro Vangeli], del dottor Karl Wieseler, a pag. 183.
[238]
Il Tempo delle varie visioni di Daniele – Il modo in cui Ciro divenne monarca assoluto – Lo scopo di Daniele nella ricerca di Dio – Il digiuno nella scrittura – L’angelo Gabriele appare di nuovo – L’effetto su Daniele – L’età di Daniele in questo momento – A volte la risposta alla preghiera non si manifesta immediatamente – Chi è Mikael – La sollecitudine di Daniele per il suo popolo – La relazione di Cristo e Gabriele verso il re persiano e il profeta Daniele
“Verso 1 Nel terzo anno di Ciro, re di Persia, una parola fu rivelata a Daniele, che si chiamava Beltshatsar. La parola è verace e il conflitto lungo. Egli comprese la parola ed ebbe intendimento della visione.”
Questo verso ci presenta le ultime visioni documentate del profeta Daniele; le istruzioni che gli vengono date in questo momento continuano attraverso i capitoli 11 e 12 e sino alla fine del libro. Il terzo anno di Ciro il Grande era l’a.C. 534. Di conseguenza, erano trascorsi sei anni dalla visione di Daniele sulle quattro bestie avuta nel primo anno di Belshatsar, nel 540 a.C. ; quattro anni dalla visione del montone, del capro, del piccolo corno e dei 2300 giorni del capitolo 8, nel terzo anno di Belshatsar, il 538 a.C. ; e quattro anni dalle istruzioni date a Daniele riguardo le settanta settimane, nel primo anno di Dario, nel 538 a.C. , come documentato nel capitolo 9. Quando il regno babilonese venne sconfitto dai Medo Persiani, nel 538 a.C. , Dario ebbe il permesso di occupare il trono, attraverso la cortesia del nipote Ciro. Dario regnò sino al momento della sua morte, avvenuta circa due anni dopo. In questo periodo morì anche il padre di Ciro, Cambise re di [239] Persia. Nel 536 a.C. , Ciro divenne il monarca assoluto del secondo impero universale della profezia. Considerando il 536 a.C. come il primo anno [del regno di Ciro il Grande], di conseguenza, il suo terzo anno di regno in cui Daniele ricevette questa visione sarebbe datato nel a.C. 534. Si pensa che la morte di Daniele sia avvenuta subito dopo queste cose, dato che (secondo Prideaux) in questo momento lui aveva non meno di novantuno anni di età.
“Verso 2 In quel tempo, io Daniele feci cordoglio per tre settimane intere. 3 Non mangiai cibo prelibato, non entrarono nella mia bocca né carne né vino e non mi unsi affatto, finché non furono passate tre intereH3117 settimaneH7620.”
[H3117 yowm = giorno, caldo come il giorno, tempo, periodo di tempo, anno; H7620 shabuwa` = sette, periodo di sette, settimana, sette anni]
La lettura a margine di “tre intere settimane” è “settimane di giorni”, termine che il dottor Stonard pensa sia qui usato per distinguere il tempo di cui si è parlato dalle settimane di anni, mostrate nel capitolo precedente [Daniele 9].
Per quale motivo questo vecchio servo di Dio si è umiliato in questo modo ed ha afflitto la sua anima? – Evidentemente con lo scopo di comprendere più pienamente l’intenzione divina riguardo gli eventi che la chiesa di Dio avrebbe dovuto affrontare in futuro; dato che il messaggero inviato per istruirlo dice: “Perché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di intendere” eccetera. (Daniele 10:12) A quel tempo, c’era ancora qualcosa che Daniele non aveva capito, ma che voleva sinceramente capire. Che cosa era? Senza dubbio, era qualche parte della sua visione precedente, ovvero, la visione del capitolo 9, e attraverso quella, la visione del capitolo 8, di cui il capitolo 9 era soltanto una ulteriore spiegazione. Come risultato della sua supplica, Daniele ora riceve informazioni più precise riguardo gli eventi inclusi nelle grandi linee generali delle sue visioni precedenti.
Si pensa che questo cordoglio del profeta fosse accompagnato dal digiuno; non un astinenza assoluta di cibo, ma soltanto l’uso degli alimenti più semplici. Daniele non mangiò del buon pane, né cibi squisiti o saporiti; non mangiò carne, né bevve vino;
e non si unse il capo, cosa che per gli Ebrei era un segno esteriore del digiuno. Non sappiamo per quanto tempo avrebbe continuato questo digiuno se non avesse ricevuto la risposta alla sua preghiera; ma la sua volontà di proseguire per tre intere settimane mostra che, avendo la certezza che la sua richiesta [240] era legittima, lui non avrebbe interrotto le sue suppliche, ma avrebbe continuato sino a quando la sua richiesta non fosse stata concessa.
“Verso 4 Il ventiquattresimo giorno del primo mese, mentre ero sulla sponda del gran fiume, che è l’Hiddekel, 5 alzai gli occhi e guardai, ed ecco un uomo vestito di lino, con ai lombi, una cintura d’oro di Ufaz. 6 Il suo corpo era simile al crisolito, la sua faccia aveva l’aspetto della folgore, i suoi occhi erano come torce fiammeggianti, le sue braccia e i suoi piedi parevano bronzo lucidato e il suono delle sue parole era come il rumore di una moltitudine. 7 Soltanto io, Daniele, vidi la visione, mentre gli uomini che erano con me non videro la visione, ma un gran terrore piombò su di loro e fuggirono a nascondersi. 8 Così rimasi solo a osservare questa grande visione. In me non rimase più forza; il bel colorito cambiò in un pallore e le forze mi abbandonarono. 9 Tuttavia udii il suono delle sue parole; all’udire però il suono delle sue parole, caddi in un profondo sonno sulla mia faccia, e con la faccia rivolta a terra.”
Per il fiume Hiddekel, il Siriaco intende l’Eufrate; per la Vulgata, il greco e l’arabo, il Tigri; quindi, Wintle ne conclude che il profeta ebbe questa visione nel luogo in cui questi due fiumi si uniscono, dato che non sono lontani dal Golfo Persico.
In questa occasione, Daniele fu visitato da un personaggio più maestoso la cui descrizione è quasi uguale a quella di Cristo in Apocalisse 1:14-16; e l’effetto della sua presenza era simile a quella vissuta da Paolo e i suoi compagni quando il Signore li incontrò mentre si dirigevano verso Damasco. (Atti 9:1-7) Questo, però, non era il Signore, dato che il Signore è introdotto come Mikael nel verso 13. Pertanto non deve essere stato un angelo di natura ordinaria. La curiosità aumenta: A quale angelo può riferirsi una descrizione del genere? Ci sono alcuni punti identici tra questo ed altri passaggi, il ché mostra chiaramente che si tratta dell’angelo Gabriele. In Daniele 8:16 , Gabriele viene presentato con il suo nome. A quei tempi, il suo dialogo con Daniele produsse esattamente lo stesso effetto sul profeta come quello descritto nei versi sopra citati. A quei tempi, Gabriele ricevette l’ordine di far capire la visione a Daniele, e lui stesso promise di fargli conoscere cosa sarebbe accaduto nell’ultimo tempo dell’indignazione. Avendo dato a Daniele tutte le istruzioni che era in grado [241] di sopportare in quell’occasione, Gabriele riprese successivamente la sua opera, spiegando un altro grande punto nella visione, come documentato nel capitolo 9:20-27. Ciononostante, apprendiamo che dal capitolo 10 c’erano ancora alcuni punti che non erano stati spiegati al profeta; così, Daniele si mise in cuore di capire la questione con il digiuno e la supplica.
Ora entra in campo un personaggio la cui presenza ha lo stesso effetto su Daniele come quella prodotta dalla presenza di Gabriele la prima volta [Daniele 8:16-18]; e Gabriele dice a Daniele (verso 14) “Ora sono venuto per farti intendere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni”, proprio le stesse informazioni che Gabriele aveva promesso di dare, come documentato nel capitolo 8:19. Da questi fatti si può giungere soltanto ad una conclusione: Daniele stava cercando ulteriore luce proprio sulla visione che Gabriele aveva avuto l’ordine di fargli capire. Ancora una volta, Gabriele aveva fatto una visita speciale a Daniele per dargli ulteriori informazioni
che ricercava con la preghiera e il digiuno. Ora, quando Daniele è pronto per ulteriori istruzioni, e ricerca nuovamente lo stesso argomento nello stesso modo, si può pensare anche solo per un momento che Gabriele ignora la sua istruzione, perde di vista la sua missione, e incarica un altro angelo per completare la sua opera incompiuta? Il linguaggio di Daniele 10:14 identifica chiaramente colui che parla con colui che (nella visione del capitolo 8) promise di fare quell’opera.
“Verso 10 Ma ecco, una mano mi toccò e mi fece stare tutto tremante sulle ginocchia e sulle palme delle mani. 11 Poi mi disse: »Daniele, uomo grandemente amato, intendi le parole che ti dico e alzati in piedi, perché ora sono stato mandato da te«. Quando mi ebbe detto questa parola, io mi alzai in piedi tutto tremante. 12 Egli allora mi disse: »Non temere, Daniele, perché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di intendere e di umiliarti davanti al tuo DIO, le tue parole sono state ascoltate e io sono venuto a motivo delle tue parole.”
Daniele sviene davanti al maestoso aspetto di Gabriele (perché l’espressione “profondo sonno” del verso 9 è generalmente intesa in questo modo), l’angelo si avvicina e lo tocca per dargli la certezza e la fiducia di stare in sua presenza. Lui dice a Daniele che è un uomo grandemente amato. Che meravigliosa dichiarazione! Un membro della famiglia umana, uno della nostra stessa razza, che non è amato nel [242] senso generale in cui Dio amò il mondo intero quando permise che Suo Figlio morisse per loro, ma è amato personalmente e grandemente! Ebbene, possa il profeta essere rassicurato da una dichiarazione del genere, per stare in piedi anche alla presenza di Gabriele. Inoltre, Gabriele dice a Daniele di essere venuto per parlargli, e desidera fargli capire meglio le sue parole. Così, il profeta devoto e grandemente amato, rassicurato ma ancora tremante, si trovava alla presenza dell’angelo celeste.
Gabriele continua: “Non temere, Daniele.” Daniele non aveva motivo di temere nessuno, neppure un essere divino che gli era stato mandato perché era grandemente amato, ed in risposta alla sua sincera preghiera. Il popolo di Dio di ogni età non deve temere nessuno degli agenti che sono mandati per ministrare alla loro salvezza. Tuttavia molte, troppe persone sono dell’opinione che Gesù e i Suoi angeli siano soltanto dei ministri di giustizia inflessibili che infliggono vendetta e castigo, anziché vederli come esseri che operano seriamente per la nostra salvezza, e ci considerano con pietà e amore. Se un angelo dovesse apparire fisicamente davanti a loro, questo li terrorizzerebbe; ed il pensiero del vicino ritorno di Cristo, e di loro che devono stare in Sua presenza, li disturba e li spaventa. Noi consigliamo queste visioni più simpatiche della relazione che il cristiano ha verso Cristo, il capo della chiesa, e un po di più di quell’amore perfetto che fa svanire tutta la nostra paura.
Sul verso 12 , Bagster scrive la seguente nota: “Daniele, come il vescovo Newton osserva, ora era molto vecchio, dato che il terzo anno di Ciro il Grande era il settantatreesimo della sua prigionia; ed essendo stato preso come schiavo sin dalla sua giovinezza, si suppone che non abbia avuto meno di novanta anni. Nonostante fosse vecchio, Daniele ‘si mise in cuore di intendere’ le precedenti rivelazioni che le furono rivolte, e in particolar modo la visione del montone e del capro, come si capisce dal seguito; e a questo scopo, lui pregò e digiunò per tre settimane. Il suo digiuno e le sue preghiere ebbero l’effetto desiderato, dato che un angelo venne mandato per spiegargli quei misteri, e chiunque vuole eccellere [243] nella conoscenza divina deve imitare Daniele, abituandosi allo studio, alla temperanza e alla devozione.”
“Verso 13 Ma il principe del regno di Persia mi ha resistito ventun giorni; però, ecco, Mikael, uno dei primi principi, mi è venuto in aiuto, e io sono rimasto là con il re di Persia.”
Quanto spesso le preghiere del popolo di Dio vengono ascoltate, anche se non si vede ancora nessuna apparente risposta. Era così anche con Daniele. L’angelo gli disse che le sue parole erano state ascoltate sin dal primo giorno in cui si mise in cuore di capire. Tuttavia, Daniele continuò ad affliggere la sua anima con il digiuno, e a lottare con Dio per tre settimane intere, completamente all’oscuro che la sua richiesta era già stata soddisfatta. Come mai ci fu questo ritardo? – Perché il re di Persia resistette all’angelo. La risposta alla preghiera di Daniele comportava qualche azione da parte di quel re. Il re deve essere stato influenzato a fare questa cosa. Senza dubbio riguardava l’opera che lui doveva fare, e che aveva già iniziato a fare, a favore del tempio di Gerusalemme e degli Ebrei, perché il suo decreto per la ricostruzione di quel tempio era il primo della serie che infine costituiva quell’ordine importante per restaurare e ricostruire Gerusalemme, alla cui emanazione doveva iniziare il grande periodo profetico dei 2300 giorni. E l’angelo è mandato ad influenzare il re che deve progredire in accordo con la volontà divina.
Ah, quanto poco ci rendiamo conto di quello che accade nel mondo invisibile riguardo gli affari umani! Qui, per così dire, viene sollevato per un momento il velo, e noi possiamo vederne i movimenti. Daniele prega; il Creatore dell’universo ascolta; e viene ordinato a Gabriele di andare da Daniele per dargli sollievo. Il re persiano, però, deve agire prima che la preghiera di Daniele sia risposta; e l’angelo sollecita il re persiano. Senza dubbio, Satana raccoglie le sue forze per fare opposizione. Le due fazioni si incontrano nel palazzo reale persiano. Senza dubbio, Satana usa tutte le motivazioni egoistiche e gli interessi mondani di cui dispone, sfruttandoli al meglio per influenzare il re contro il rispetto della volontà di Dio, mentre Gabriele porta la sua influenza nell’altra direzione. Il re è combattuto a causa di emozioni contrastanti. Lui esita e ritarda. I giorni passano, [244] ma ciononostante Daniele continua a pregare. Il re continua a rifiutarsi di cedere all’influenza dell’angelo; passano tre settimane, ed ecco! uno più potente di Gabriele prende il suo posto nel palazzo reale, e Gabriele appare a Daniele per metterlo al corrente sul progresso degli eventi. Gabriele dice [a Daniele] che la sua preghiera era stata ascoltata già dal primo giorno; ma durante queste tre settimane che tu hai dedicato alla preghiera e al digiuno, il re di Persia aveva resistito alla mia influenza, impedendomi di venire da te.
Questo era l’effetto della preghiera. E sin dal tempo di Daniele, Dio non ha eretto alcuna barriera tra Se stesso ed il Suo popolo. Abbiamo ancora il privilegio di offrire preghiere ferventi ed efficaci come quelle di Daniele e Giacobbe, per avere forza con Dio, e per vincere.
Chi era MikaelG3413, che venne ad aiutare Gabriele? Mikael significa: “Colui che è come Dio”; e le Scritture mostrano chiaramente che questo nome appartiene soltanto a Cristo. Giuda (al verso 9) dichiara che Mikael è l’arcangeloG743. Arcangelo significa “capo o capo degli angeli”; e, nel nostro testo, Gabriele lo chiama uno, o come è scritto nel margine, il primo, il capo dei principi. Ci può essere soltanto un arcangelo, quindi, è sbagliato usare la parola al plurale, come fanno alcuni. Le Scritture non usano mai “arcangelo” al plurale. In 1Tessalonicesi 4:16, Paolo afferma che quando il Signore appare la seconda volta per far risorgere i morti, si sente la voce dell’arcangelo. Di chi è la voce che si sente quando i morti sono risorti? – È la voce del Figlio di Dio (Giovanni 5:24-28).
Questi versetti messi assieme provano: #1 che i morti resuscitano attraverso la voce del Figlio di Dio; #2 che la voce che si sente in quel momento appartiene all’arcangelo, dimostrando che l’arcangelo è chiamato Mikael, da cui si capisce che Mikael è il Figlio di Dio. Nell’ultimo verso di Daniele 10, Mikael è chiamato “il vostro principe”, e nel primo verso del capitolo 12, “il gran principe, il difensore dei figli del tuo popolo”; queste espressioni possono essere applicate adeguatamente soltanto a Cristo, e a nessun altro essere.
“Verso 14 E ora sono venuto per farti intendere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché la visione riguarda un tempo futuro«.”
[245]
L’espressione “perché la visione riguarda un tempo futuro”, si rivolge nel lontano futuro, includendo anche ciò che il popolo di Dio deve affrontare negli ultimi giorni, mostrando una volta per tutte che i 2300 giorni dati in quella visione non possono significare giorni letterali, ma devono essere giorni di anni. (Vedi il capitolo 9, versetti dal 25 al 27)
“Verso 15 Mentre mi parlava in questa maniera, abbassai la faccia a terra e ammutolii. 16 Ed ecco uno con le sembianze di un figlio d’uomo mi toccò le labbra. Allora io apersi la bocca, parlai e dissi a colui che mi stava davanti: »Signor mio, per questa visione mi hanno colto gli spasimi e non mi è più rimasta alcuna forza. 17 E come potrebbe il servo di questo mio signore parlare con questo mio signore, perché ora le forze mi hanno abbandonato e mi manca persino il respiro?«.”
Una delle caratteristiche più marcate di Daniele era il tenero interesse verso il suo popolo. Avendo ora capito chiaramente che la visione riguardava lunghi anni di oppressione e sofferenza per la chiesa, Daniele era colpito così tanto dalla visione che gli mancarono le forze, smise di respirare, e non poteva più parlare. Senza dubbio, la visione del verso 16 si riferisce alla precedente visione del capitolo 8.
“Verso 18 Allora colui che aveva le sembianze d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò, 19 e disse: »O uomo grandemente amato, non temere, pace a te, sii forte, sì, sii forte«. Quando mi ebbe parlato, io ripresi forza e dissi: »Parli pure il mio signore, perché mi hai dato forza«. 20 Quindi egli disse: »Sai tu perché io sono venuto da te? Ora tornerò a combattere con il principe di Persia; e quando sarò uscito, ecco, verrà il principe di JavanH3120. 21 Ma io ti farò conoscere ciò che è scritto nella Scrittura della verità; e non c’è nessuno che si comporti valorosamente con me contro costoro tranne Mikael, il vostro principe«.” [H3120 Yavan = #1 “Ionia” o “Grecia”; “Javan” un figlio di Jafet e nipote di Noè; vedi Genesi 10:2; Daniele 8:21; Isaia 66:19; Ezechiele 27:13; Zaccaria 9:13 ; #2 “Grecia”, la località dei discendenti di Javan.]
In fine, il profeta viene rafforzato per ascoltare l’intera comunicazione che l’angelo deve fare. Gabriele dice: “Sai tu perché io sono venuto da te?” Ovvero: “Ora sai per quale scopo sono venuto? Hai compreso qual’era la mia intenzione affinché tu non abbia più paura?” Poi Gabriele disse di voler tornare a combattere con il re di Persia non appena avesse completato la sua comunicazione. Nella Septuaginta, la parola “con” [della frase “a combattere con il principe di Persia”] è “meta”, e non significa “contro”, ma “in comune con”, “accanto a”, ovvero, l’angelo di Dio [246] sarebbe stato a fianco del regno persiano sino a quando la provvidenza di Dio avesse voluto far continuare quel regno. Gabriele continua: “E quando sarò uscito, ecco, verrà il principe di JavanH3120.” Cioè, quando Gabriele smette di sostenere quel regno, e la provvidenza di Dio opera
a favore di un altro regno, verrà il principe della Grecia che sconfiggerà la monarchia persiana. Poi Gabriele annuncia che nessuno – naturalmente escludendo Dio – assieme a lui comprendeva gli argomenti che stava per comunicare [a Daniele], ad eccezione di Mikael, il Principe. Dopo aver fatto capire questi argomenti a Daniele, nell’universo c’erano quattro esseri che conoscevano queste importanti verità – Daniele, Gabriele, Cristo e Dio. Quattro collegamenti in questa catena di testimoni – il primo è Daniele, un membro della famiglia umana, mentre l’ultimo è Geova, il Dio di tutto!
[247]
“Verso 1 Nel primo anno di Dario, il Medo, io ero presso di lui per sostenerlo e fortificarlo. 2 »E ora ti farò conoscere la verità. Ecco, in Persia, sorgeranno ancora tre re, ma il quarto diventerà molto più ricco di tutti gli altri; quando sarà diventato forte per le sue ricchezze, solleverà tutti contro il regno di JavanH3120. [Per il significato di H3120 vedi a pagina 166]
Ora noi entriamo in una profezia che riguarda eventi futuri, che non è rivestita di simboli e figure come le visioni dei capitoli 2, 7 e 8, ma che viene data in un linguaggio chiaro. Qui sono mostrati molti eventi importanti della storia mondiale, dai giorni di Daniele sino alla fine del mondo. Il vescovo Newton dice che questa profezia potrebbe essere sia un commento che una spiegazione della visione del capitolo 8; un affermazione che dimostra chiaramente quanto lui percepisse la connessione tra quella visione ed il resto del libro. Dopo aver detto di essere stato presso Dario, nel primo anno del suo regno, per sostenerlo e fortificarlo, l’angelo rivolge la sua attenzione verso il futuro. Sorgeranno ancora tre re in Persia. “Sorgere” significa regnare; tre re devono regnare in Persia, riferendosi senza dubbio agli immediati successori di Ciro. [248] Questi erano, #1 Cambise, figlio di Ciro; #2 Smerdi, un impostore; #3 Dario Istaspe [figlio di Istaspe, chiamato anche Dario il Grande].
“Ma il quarto diventerà molto più ricco di tutti gli altri”. Da Ciro, il quarto re era Serse: molto più famoso per le sue ricchezze che per la sua capacità di comando, lui è conosciuto per aver organizzato la magnifica campagna contro la Grecia, e per il suo assoluto fallimento in quella impresa. Egli doveva attaccare il regno greco con tutto ciò che aveva. Prima di allora, lì non c’era mai stata una tale quantità di uomini per scopi bellici, e da allora lì non ce ne furono mai più. Secondo Erodoto, che viveva in quell’epoca, il suo esercito era composto da cinque milioni duecento ottanta tre mila duecento venti uomini (5.283.220). E non contento di sollevare soltanto l’oriente, Serse arruolò anche i Cartaginesi dell’occidente, che aggiunsero un esercito di trecentomila uomini, portando tutta la sua forza all’incredibile numero di oltre cinque milioni e mezzo di soldati. Si dice che, quando Serse vide quella vasta moltitudine di uomini, avesse pianto al pensiero che entro cento anni da quel momento, nessuno di loro sarebbe rimasto vivo.
“Verso 3 Allora sorgerà un re potente che eserciterà un gran dominio e farà ciò che vorrà. 4 Ma quando sarà sorto, il suo regno sarà fatto a pezzi e sarà diviso verso i quattro venti del cielo, ma non fra i suoi discendenti né con la stessa forza con cui egli regnava, perché il suo regno sarà sradicato e passerà ad altri, oltre che a costoro.”
I fatti dichiarati in questi versi, indicano chiaramente Alessandro Magno e la divisione del suo impero. (Vedi al capitolo 8:8) Serse era l’ultimo re persiano che invase la Grecia; e la profezia salta i nove successori di Serse nell’impero Persiano, per introdurre Alessandro Magno. Avendo sconfitto l’impero persiano, Alessandro Magno “divenne signore assoluto di quell’impero, nella massima estensione che nessun re persiano ebbe mai posseduto.” The old and new testament connected in the history of the Jews… vol.1, pag. 477, di H. Prideaux. Il suo dominio era grande, e includeva “la maggior parte del mondo abitabile allora conosciuto”; e lui fece secondo il suo volere. Nel 323 a.C. , la sua volontà lo condusse ad una ubriachezza depravata a causa del quale morì come muoiono gli stolti; così, i suoi progetti orgogliosi ed ambiziosi [249] finirono per sempre in maniera improvvisa e completa. Il regno venne diviso, ma non tra la sua posterità; venne sradicato per passare ad altri oltre a costoro. Nel giro di pochi anni dalla morte di Alessandro, tutta la sua posterità cadde vittima della gelosia e dell’ambizione dei suoi generali più importanti. Nessuno della razza di Alessandro venne lasciato vivere. Ci vuole poco a passare dal punto più alto della gloria terrena alle profondità più basse dell’oblio e della morte. Il regno [greco] fu diviso in quattro parti, che vennero possedute dai quattro generali più abili, o magari più ambiziosi e senza scrupoli, di Alessandro Magno: Cassandro, Lisimaco, Seleuco e Tolomeo.
“Verso 5 Quindi il re del sud diventerà forte, ma uno dei suoi principi diventerà più forte di lui e dominerà; il suo dominio sarà un grande dominio.”
Nella parte restante di questo capitolo si parla molto del re del nord e del re del sud. Quindi, per comprendere chiaramente la profezia è essenziale identificare questi poteri. Quando l’impero di Alessandro Magno fu diviso, le sue diverse parti si trovavano verso i quattro venti del cielo (ovest, nord, est e sud); ovviamente, queste quattro parti devono essere considerate dal punto di vista della Palestina, la terra nativa del profeta. Quella parte dell’impero che si trova ad ovest della Palestina, costituirebbe così il regno dell’ovest; quello che si trova a nord, il regno del nord; quello che si trova ad est, il regno dell’est; e quello che si trova a sud, il regno del sud. Le divisioni del regno di Alessandro Magno rispetto alla Palestina erano le seguenti: Cassandro ebbe la Grecia e i paesi adiacenti situati ad ovest; Lisimaco ebbe la Tracia, che a quei tempi includeva l’Asia Minore e i paesi che si trovano sull’Ellesponto e sul Bosforo, situati verso il nord della Palestina; Seleuco ebbe la Siria e Babilonia, situati principalmente ad est; Tolomeo ebbe l’Egitto e i paesi confinanti, situati a sud.
Durante le guerre e le rivoluzioni che si succedettero per molto tempo, questi confini geografici vennero frequentemente cambiati o annullati; quelli vecchi erano cancellati, e i nuovi erano istituiti. Ma a prescindere da qualunque cambiamento possa verificarsi, queste prime divisioni [250] dell’impero devono determinare i nomi che queste parti di territorio devono sempre portare anche in seguito, altrimenti non avremo alcuna regola con cui provare l’applicazione della profezia, ovvero, qualunque potere che in un qualsiasi momento dovesse occupare il territorio che al principio costituiva il regno del nord… quel potere, fino a quando occupa quel territorio, è considerato il re del nord; e qualsiasi potere occupa quello che al principio era il regno del sud… quel potere sarebbe considerato il re del sud. Noi parliamo solo di questi due [poteri], perché sono gli unici di cui si parla successivamente nella profezia, e anche perché, in realtà, quasi tutto l’impero di Alessandro Magno infine si stabilizzò in queste due parti.
Molto presto, Cassandro fu conquistato da Lisimaco, quindi il suo regno (la Grecia e la Macedonia) venne annesso alla Tracia. Lisimaco, a sua volta, fu conquistato da Seleuco, e la Macedonia e la Tracia vennero annesse alla Siria.
Questi fatti preparano la via per un applicazione del testo sopracitato. Il re del sud, l’Egitto, sarà forte. Tolomeo annesse Cipro, la Fenicia, la Caria, la Cirenaica, e molte isole e città all’Egitto. Il suo regno venne rafforzato in questo modo. Ma un altro dei principi di Alessandro Magno è introdotto nella frase “uno dei suoi principi”. La Septuaginta traduce il verso così: “E il re del sud sarà forte, ed uno dei suoi principi (di Alessandro Magno) sarà forte su di lui.” Questo deve riferirsi a Seleuco che, come già dichiarato, avendo annesso la Macedonia e la Tracia alla Siria, in questo modo possedette tre parti su quattro del dominio di Alessandro Magno, stabilendo così un regno più potente di quello dell’Egitto.
“Verso 6 Dopo alcuni anni si alleeranno; quindi la figlia del re del sud verrà dal re del nord per fare un accordo, ma essa non conserverà la forza del suo braccio, e lui pure non potrà durare, e neppure il suo braccio; in quei tempi essa sarà consegnata alla morte assieme a quelli che l’hanno condotta, colui che l’ha generata e colui che l’ha sostenuta.”
C’erano frequenti guerre tra i re d’Egitto e la Siria; specialmente nel caso di Tolomeo Filadelfo, il secondo re d’Egitto, e Antioco Teo, terzo re della Siria. Alla fine, essi accettarono di far pace [251] a condizione che Antioco Teo abbandonasse la sua prima moglie Laodice e i suoi due figli, per sposarsi con Berenice, la figlia di Tolomeo Filadelfo. Di conseguenza, Tolomeo Filadelfo portò la figlia ad Antioco, donando con lei un immensa dote.
“Ma essa [Berenice] non conserverà la forza del suo braccio”, ovvero, il suo interesse e il suo potere con Antioco Teo. Le cose accaddero proprio in questo modo perché, poco tempo dopo, in un impeto d’amore, Antioco Teo riprese a corte la sua prima moglie Laodice e i suoi figli. Poi la profezia dice: “E lui (Antioco Teo) pure non potrà durare, e neppure il suo braccio”, o seme. Quando il favore e il potere di Laodice furono ripristinati, lei temette che Antioco Teo, nell’incostanza del suo temperamento, potesse farla ricadere in disgrazia e richiamare Berenice; e immaginando che niente meno della sua morte avrebbe evitato efficacemente un altra simile circostanza, lei lo avvelenò poco dopo. Neppure il suo seme attraverso Berenice gli succedette nel regno, perché Laodice gestì gli affari in modo tale da assicurare il trono al figlio maggiore, Seleuco Callinico.
“In quei tempi essa (Berenice) sarà consegnata alla morte.” Non contenta di aver avvelenato suo marito Antioco Teo, Laodice fece assassinare Berenice. “Assieme a quelli che l’hanno condotta.” Cercando di difendere Berenice, molte delle sue donne e dei suoi inservienti egiziani furono uccisi con lei.
“Colui che l’ha generata”, nel margine, “colui che lei aveva partorito” ovvero, suo figlio, che venne ucciso allo stesso tempo per ordine di Laodice. [The old and new testament connected … , vol. 1, pag. 83, 84 di H. Prideaux] “E colui che l’ha sostenuta”, suo marito Antioco Teo, come suppone Girolamo, oppure, coloro che hanno preso le sue parti difendendola.
Una tale malvagità, però, non poteva restare impunita per molto tempo, proprio come in seguito prevede la profezia, e come dimostra anche la storia.
“Verso 7 Ma uno dei rampolli H5342 delle sue radici sorgerà a prendere il suo posto; costui verrà con un esercito ed entrerà nelle fortezze del re del nord, agirà contro di loro e riuscirà vincitore. 8 Porterà pure in cattività in Egitto, i loro dei con le loro immagini fuse con i loro preziosi utensili d’argento e d’oro, e per vari anni starà lontano dal re del nord. 9 Così il re del sud verrà nel suo regno e ritornerà nel proprio paese.”
[H5342 netser = germoglio, discendenza, ramo]
Questo rampollo [ramo o discendenza] della stessa radice di Berenice era suo fratello, Tolomeo Evergete. Appena succeduto [252] a suo padre Tolomeo Filadelfo nel regno d’Egitto, e bruciando dal desiderio di vendetta per la morte di sua sorella Berenice, Tolomeo Evergete raccolse un immenso esercito ed invase il territorio del re del nord, ovvero, Seleuco Callinico, che regnava in Siria assieme alla madre Laodice. Tolomeo Evergete prevalse contro di loro, arrivando persino a conquistare la Siria, la Cilicia, le parti superiori al di là dell’Eufrate e quasi tutta l’Asia. Ma avendo saputo che era scoppiata una rivolta in Egitto che richiedeva il suo ritorno a casa, egli saccheggiò il regno di Seleuco Callinico, prese quarantamila talenti d’argento, preziosi utensili, e duemila e cinquecento immagini degli dei. Tra queste vi erano le immagini che Cambise aveva precedentemente preso dall’Egitto e portato in Persia.
Gli Egiziani, essendo dedicati interamente all’idolatria, diedero a Tolomeo il titolo di Evergete, o “il benefattore”, come un complimento per avergli riportato, dopo molti anni, i loro dei prigionieri.
Secondo il vescovo Newton, questo è il racconto di Girolamo, ricavato dagli storici antichi, ma ci sono autori ancora in vita, lui dice, che confermano molti di questi stessi dettagli. Appiano ci informa che dopo che Laodice uccise Antioco Teo, e dopo la morte di Berenice e di suo figlio, Tolomeo Evergete, il figlio di Filadelfo, invase la Siria per vendicare quegli omicidi, uccise Laodice e procedette fino a Babilonia. Da Polibio sappiamo che Tolomeo, soprannominato Evergete, essendo grandemente inferocito per il crudele trattamento di sua sorella Berenice, marciò con un esercito dentro la Siria, e prese la città di Seleucia, che per alcuni anni in avanti era tenuta sotto il possesso delle guarnigioni dei re egiziani. In questo modo, Tolomeo Evergete entrò nella fortezza del re del nord. Polieno afferma che Tolomeo Evergete si autoproclamò padrone di tutto il paese, dal monte Tauro sino all’India, senza guerra o battaglia; ma Polieno lo attribuisce per errore al padre anziché al figlio. Giustino afferma che se Tolomeo Evergete non fosse stato richiamato in Egitto a causa di una rivolta domestica, avrebbe posseduto tutto il regno di Seleuco Callinico. Così, il re del sud arrivò dentro il dominio del re del nord, e ritornò alla sua terra, proprio come aveva predetto il profeta Daniele. Tolomeo Evergete visse anche per molti più anni rispetto al re del nord; dato che Seleuco Callinico morì in esilio, a causa di una caduta [253] dal suo cavallo; e Tolomeo visse quattro o cinque anni più di lui.
“Verso 10 I suoi figli si prepareranno quindi alla guerra e raduneranno una moltitudine di grandi forze, e uno di essi si farà certamente avanti, strariperà come un’inondazione e passerà oltre, per portare poi le ostilità fino alla sua fortezza.”
La prima parte di questo verso parla dei figli, al plurale; invece l’ultima parte parla di un figlio, al singolare. I figli di Seleuco Callinico erano Seleuco Cerauno ed Antioco il Grande. Entrambi continuarono con zelo l’opera di vendetta e punizione portata avanti dal loro padre e dal loro paese. Il maggiore di questi due, Seleuco Cerauno, prese il trono per primo. Lui riunì una grande moltitudine per recuperare i domini di suo padre; ma essendo un principe debole e timoroso sia nel corpo che nel suo patrimonio, senza soldi ed incapace di mantenere l’obbedienza del suo esercito, fu avvelenato da due dei suoi generali, dopo un vergognoso regno di due o tre anni. Così, il suo fratello più capace, Antioco il Grande, fu proclamato re, guidò l’esercito, riprese la Seleucia e recuperò la Siria, autoproclamandosi padrone di alcuni luoghi attraverso il trattato, e di altri attraverso la forza delle armi. Seguì una tregua in cui entrambe le parti trattarono per la pace, ma erano pronte per la guerra, dopo la quale Antioco il Grande ritornò e sconfisse in battaglia Nicolao, il generale egiziano, e pensò di invadere anche lo stesso Egitto. Ecco l’“uno di essi” che dovrebbe certamente straripare e passare oltre.
“Verso 11 Allora il re del sud, infuriato, uscirà a combattere con lui, con il re del nord, il quale arruolerà una grande moltitudine, ma la moltitudine sarà data in mano del suo nemico.”
Nel regno d’Egitto, Tolomeo Filopatore succedette a suo padre Tolomeo Evergete, essendo incoronato non molto tempo dopo che Antioco il Grande era succeduto al fratello nel governo della Siria. Lui era un principe molto lussurioso e feroce, ma alla fine venne risvegliato dalla prospettiva di un invasione dell’Egitto da parte di Antioco il Grande. Infatti, Tolomeo Filopatore era “mosso dalla collera” per le perdite ricevute
e per il pericolo che lo minacciava; quindi, uscì fuori dall’Egitto con un esercito numeroso per controllare [254] il progresso del re siriano. Anche il re del nord doveva arruolare una grande moltitudine di gente. Secondo Polibio, in questa occasione l’esercito di Antioco il Grande ammontava a sessantaduemila fanti, seimila cavalieri e centodue elefanti. Antioco il Grande venne sconfitto in battaglia e, secondo la profezia, il suo esercito cadde nelle mani del re del sud. Furono uccisi diecimila fanti e tremila cavalieri, mentre più di quattromila uomini furono fatti prigionieri; mentre dell’esercito di Tolomeo Filopatore vennero uccisi soltanto settecento cavalieri, e circa il doppio di quel numero di fanti.
“Verso 12 Or, dopo aver portato via la moltitudine, il suo cuore si innalzerà H7311 H7311, ed egli ne abbatterà miriadi, ma non sarà più forte.” [H7311 ruwm = esaltazione, orgoglio, potenza]
A Tolomeo Filopatore mancava la prudenza di fare un buon uso della sua vittoria. Se avesse seguito il suo successo, probabilmente sarebbe diventato il padrone di tutto il regno di Antioco il Grande; ma, accontentandosi di fare solo alcune minacce e pochi trattati, Tolomeo Filopatore fece pace per potersi dedicare all’ininterrotto ed incontrollato appagamento delle sue brutte passioni. Così, dopo aver conquistato i suoi nemici, lui fu vinto dai suoi vizi e, trascurando il grande nome che lui avrebbe potuto stabilire, trascorse il suo tempo nella festa e nella follia.
Il suo cuore si era inorgoglito a causa del suo successo, ma era ben lontano dall’esserne rafforzato, poiché il vergognoso uso che lui fece di questa vittoria causò la ribellione dei suoi sudditi contro di lui. Ma l’orgoglio del suo cuore era manifestato in modo più particolare nelle trattative avute con gli Ebrei. Arrivato a Gerusalemme, lì Tolomeo Filopatore offerse sacrifici e, contrariamente alla legge e alla religione di quel posto, desiderava molto entrare nel luogo santissimo del tempio; ma essendo stato trattenuto, seppur con grande difficoltà, Tolomeo Filopatore lasciò quel posto bruciando di rabbia contro l’intera nazione ebraica, e iniziò immediatamente una terribile ed implacabile persecuzione contro di essi. In Alessandria, dove gli Ebrei vivevano sin dai tempi di Alessandro Magno e godevano dei privilegi dei cittadini più favoriti, furono uccise quarantamila persone (secondo Eusebio) o sessanta mila persone (secondo Girolamo) durante questa persecuzione. La ribellione degli [255] egiziani e il massacro degli Ebrei, certamente non furono calcolati per rafforzare il regno di Tolomeo Filopatore, ma furono sufficienti per una rovina quasi totale.
“Verso 13 Il re del nord infatti arruolerà di nuovo una moltitudine più numerosa della precedente, e dopo un po di tempo si farà certamente avanti con un grosso esercito e con un grande equipaggiamento.”
Gli eventi previsti in questo verso dovevano verificarsi “dopo un po di tempo.” La pace conclusa tra Tolomeo Filopatore e Antioco il Grande durò quattordici anni. Nel frattempo, Tolomeo Filopatore morì a causa della sua intemperanza e dissolutezza, e fu succeduto da suo figlio Tolomeo Epifane, un bambino che a quei tempi aveva quattro o cinque anni. Durante lo stesso tempo, avendo soppresso la ribellione nel suo regno, e avendo ricondotto all’obbedienza le parti orientali, Antioco il Grande passava il suo tempo in qualche attività, quando il giovane Tolomeo Epifane saliva al trono d’Egitto; e pensando che questa fosse un occasione troppo buona da lasciarsi sfuggire per allargare il suo dominio, Antioco il Grande radunò un immenso esercito “più numeroso del precedente” (dato che lui aveva raccolto molte forze e procurato grandi ricchezze grazie alla sua spedizione orientale) e decise di andare contro l’Egitto, aspettandosi di ottenere una facile vittoria sul re bambino. Ora vedremo cosa accadde; dato che qui entrano nuove complicazioni negli affari di questi regni, e vengono introdotti nuovi attori sul palcoscenico della storia.
“Verso 14 In quel tempo molti insorgerannoH5975 contro il re del sud, anche alcuni uomini violentiH6530 H1121 del tuo popolo si leveranno per dar compimento alla visione, ma cadranno.” [H5975 `amad = sollevarsi in battaglia, insorgere contro qualcun altro; H6530 periyts = violenti, ladri, assassini; H1121 ben = figlio, nipote, bambino, popolo di una nazione]
Antioco il Grande non fu l’unico a insorgere contro il piccolo Tolomeo Epifane. Agatocle, il primo ministro di Tolomeo, avendo la tutela del re e conducendo gli affari del regno al suo posto, esercitava il suo potere in un modo così dissoluto e orgoglioso da far ribellare le province che prima erano soggette all’Egitto; lo stesso Egitto era disturbato da ribellioni; e gli alessandrini, insorgendo contro Agatocle, uccisero lui, sua sorella, sua madre e i loro compagni. Allo stesso tempo, Filippo, re di Macedonia, si alleò con Antioco il Grande per ripartirsi i domini di Tolomeo Epifane, ognuno dei quali propose di prendere le parti che erano [256] più vicine e più convenienti. Qui si era sollevata una guerra contro il re del sud sufficiente per adempiere la profezia, e proprio quegli eventi che, oltre ogni dubbio, la profezia intendeva.
Ora viene introdotto un nuovo potere: “alcuni uomini violenti del tuo popolo”; il vescovo Newton dice letteralmente “i nemici del tuo popolo.” Molto lontano, sulle rive del Tevere, un regno era stato nutrito con progetti ambiziosi e disegni oscuri. Inizialmente piccolo e debole, [questo regno] crebbe con incredibile rapidità in forza e vigore, spostandosi qui e lì con cautela per provare la sua abilità e il vigore della sua capacità militare, fino a quando, conscio della sua potenza, sollevava coraggiosamente la sua testa tra le nazioni della terra, e si impadroniva con mano invincibile della guida dei loro affari. D’ora in poi, il nome di Roma appare nelle pagine della storia, destinata per molto tempo a controllare gli affari del mondo e ad esercitare una potente influenza tra le nazioni addirittura sino alla fine del tempo.
Roma parlò, e presto la Siria e la Macedonia scoprirono un cambiamento del loro sogno. I romani interferirono a favore del giovane re egiziano [Tolomeo Epifane], determinati a proteggerlo dalla rovina prospettata da Antioco il Grande e Filippo di Macedonia. Questo era il 200 a.C. , ed era una delle prime importanti interferenze dei romani negli affari della Siria e dell’Egitto. Charles Rollin fornisce un breve racconto su questo argomento:
“Durante il regno di Tolomeo Filopatore, Antioco [il Grande] re della Siria, e Filippo re di Macedonia, avevano scoperto di avere il più forte zelo per gli interessi di quel monarca, e furono pronti ad aiutarlo in tutte le occasioni. Ma non appena Tolomeo Filopatore morì, lasciando come erede un neonato che le leggi dell’umanità e della giustizia non permisero di disturbare nel possesso del regno di suo padre, Antioco e Filippo si unirono immediatamente in un alleanza criminale, istigandosi a vicenda per togliere di mezzo il legittimo erede e per spartirsi i suoi domini. Filippo avrebbe avuto la Caria, la Libia, la Cirenaica e l’Egitto; mentre Antioco il Grande avrebbe avuto tutto il resto. Con questa idea, Antioco il Grande entrò in Celesiria e Palestina, e in meno di due campagne conquistò interamente le due province con tutte le loro città e i loro possedimenti.
Polibio dice che la loro colpa non poteva essere più chiara e, [257] come i tiranni, loro tentavano di giustificare i loro crimini con argomentazioni apparentemente buone; ma, lungi dal farlo, la loro ingiustizia e crudeltà era così chiara, che per loro si applicava quello che in genere si dice dei pesci: che quelli più grandi, seppure della stessa specie, attaccano i più piccoli.” Lo stesso autore continua: “Vedendo le leggi più sacre della società violate così apertamente, qualcuno sarebbe tentato di accusare la Provvidenza di essere indifferente e insensibile ai crimini più orrendi; ma la Sua condotta è pienamente giustificata con la punizione di questi due re secondo le loro colpe; rendendoli un esempio per tutte le età successive, in modo da dissuadere gli altri dal seguire il loro esempio. E mentre loro meditavano di privare gradualmente un debole e impotente neonato dal suo regno, la Provvidenza fece insorgere i romani contro di essi, i quali sottomisero interamente i regni di Antioco il Grande e di Filippo, riducendo i loro successori proprio come loro avevano intenzione di fare al re bambino.” The ancient history of egyptians, carthaginians, assyrians, babylonians… libro 18, cap. 50.
“Per dar compimento alla visione.” Dato che i romani erano il popolo più distinto rispetto a qualsiasi altro nella profezia di Daniele, la loro prima interferenza negli affari di questi regni è qui riferita come lo stabilimento, o la dimostrazione, della veridicità della visione che aveva predetto l’esistenza di un tale potere.
“Ma cadranno.” Alcuni riferiscono questo testo a coloro di cui si parla nella prima parte del verso 14, ovvero, coloro che insorgeranno contro il re del sud; altri ai ladri del popolo di Daniele: i romani. È vero in entrambi i casi. Se ci si riferisce a coloro che si unirono contro Tolomeo Epifane, tutto quello che può essere detto è che caddero rapidamente; e se si applica ai romani, la profezia anticipava semplicemente al periodo della loro sconfitta.
“Verso 15 Allora il re del nord verrà, innalzerà un terrapieno e si impadronirà di una città fortificata [“le città delle fortezze” Bibbia Diodati]. Le forze del sud non potranno resistergli; neppure le truppe scelte avranno la forza di resistere.”
Il Senato romano affidò l’insegnamento del giovane re egiziano a Marco Emilio Lepido, che nominò come suo tutore Aristomene, [258] un vecchio ed esperto ministro che conosceva bene quella corte. Il suo primo atto era di contrastare la minaccia dell’invasione dei due re uniti, Filippo e Antioco il Grande.
A tal fine, Aristomene mandò Scopa, un famoso generale dell’Etolia a quel tempo al servizio degli egiziani, nel suo paese nativo per raccogliere rinforzi per l’esercito. Dopo aver equipaggiato un esercito, lui marciò nella Palestina e nella Celesiria (Antioco il Grande con il re Attalo Sotere erano impegnati in guerra nell’Asia Minore) sottomettendo tutta la Giudea all’autorità dell’Egitto.
Così, queste faccende si svilupparono in modo da far adempiere il verso in esame; dato che Antioco il Grande, rinunciando alla sua guerra assieme ad Attalo per ordine dei romani, fece in modo di recuperare rapidamente la Palestina e la Celesiria dalle mani degli Egiziani. Scopa venne inviato per opporsi a lui. I due eserciti si incontrarono vicino le fonti del Giordano. Scopa venne sconfitto, inseguito a Sidone, e là strettamente assediato. Tre dei generali egiziani più capaci, con le loro forze migliori, furono inviati per rimuovere l’assedio, ma senza successo. Alla fine, dinnanzi al desolato e tangibile spettro della fame, Scopa incontra il nemico che non era in grado di fronteggiare, e viene forzato ad arrendersi sulla disonorevole condizione della salvezza della vita soltanto;
dopo di che, lui e i suoi diecimila uomini furono puniti viaggiando nudi. Qui, il re del nord prese la maggior parte delle città fortificate; dato che, sia nella sua posizione che nelle sue difese, Sidone era una delle città più forti di quei tempi. Qui, le forze del sud non riuscirono a resistere, e non resistettero neppure le persone che il re del sud aveva scelto; ovvero, Scopa e le sue forze dell’Etolia.
“Verso 16 Ma colui che gli è venuto contro farà ciò che vorrà, e nessuno gli potrà resistere; egli si fermerà nel paese glorioso con la distruzioneH3617 in suo potere H3027.” [H3617 kalah = distruzione, consumazione ; H3027 = yad = mano, forza, potere]
Anche se l’Egitto non poteva resistere ad Antioco il Grande (il re del nord), a sua volta, Antioco non poteva resistere ai romani, i quali ora vennero contro di lui. Nessun regno poteva resistere per molto tempo a questo potere crescente. La Siria venne conquistata e aggiunta all’impero romano quando Pompeo, nel 65 a.C., privò Antioco Asiatico [259] dei suoi possedimenti, e ridusse la Siria ad una provincia romana.
Lo stesso potere doveva anche fermarsi nel paese glorioso, con la distruzione in suo potere. Roma iniziò ad avere rapporti con il popolo di Dio, gli Ebrei, attraverso un alleanza, nel 162 a.C., dalla cui data mantiene un posto importante nel calendario profetico. Tuttavia, [Roma] non ricevette la giurisdizione sulla Giudea attraverso una reale conquista, prima del 63 a.C., nella seguente maniera.
Al ritorno di Pompeo dalla sua spedizione contro Mitridate, re del Ponto, due competitori, Ircano e Aristobulo, combattevano per la corona della Giudea. La loro causa giunse a Pompeo, che subito percepì l’ingiustizia delle affermazioni di Aristobulo, ma desiderava rinviare la decisione sulla questione fino a dopo la sua tanto desiderata spedizione in Arabia, promettendo che al suo ritorno avrebbe sistemato i loro affari come sarebbe sembrato giusto e corretto. Comprendendo i veri sentimenti di Pompeo, Aristobulo si affrettò a tornare in Giudea, armò i suoi uomini e si preparò per una vigorosa difesa, determinato, a tutti i costi, a mantenere il comando, che lui aveva previsto sarebbe stato dato ad un altro. Pompeo seguì il fuggitivo con cura, e come si avvicinò a Gerusalemme, Aristobulo iniziò a pentirsi del suo comportamento, uscì per incontrare Pompeo, e si sforzò di sistemare le faccende promettendo una sottomissione completa ed una grande somma di denaro. Accettando questa offerta, Pompeo mandò Gabinio, alla testa di un distaccamento di soldati, per ricevere il denaro. Ma quando quel luogotenente-generale arrivò a Gerusalemme, trovò i cancelli chiusi contro di lui, e dalla sommità delle mura gli venne detto che la città non avrebbe accettato l’accordo.
Volendo punire questo inganno, Pompeo mise Aristobulo (che aveva trattenuto con se) ai ferri, e marciò immediatamente contro Gerusalemme con tutto il suo esercito. I sostenitori di Aristobulo volevano difendere il posto, mentre quelli di Ircano volevano aprire le porte, e dato che questi ultimi erano la maggioranza e prevalevano, a Pompeo venne dato libero accesso nella città. Dopodiché, i seguaci di Aristobulo si ritirarono nella montagna del tempio, assolutamente determinati a difendere quel luogo che Pompeo voleva sottomettere. Dopo tre mesi, nel muro venne fatta una breccia sufficiente per permettere un assalto, [260] e il posto venne conquistato con la spada. Nella terribile carneficina che ne seguì, furono uccise dodicimila persone. Lo storico osserva che era affascinante vedere i sacerdoti, a quel tempo occupati nel servizio divino,
eseguire la loro opera abituale con calma e decisione, apparentemente inconsapevoli del tumulto selvaggio, anche se attorno a loro venivano ammazzati i loro amici, e anche se spesso il loro sangue si mischiava con quello dei loro sacrifici.
Avendo concluso la guerra, Pompeo demolì le mura di Gerusalemme, trasferì diverse città dalla giurisdizione della Giudea a quella della Siria, e impose dei tributi agli Ebrei. Così, per la prima volta, Gerusalemme venne posta, attraverso la conquista, nelle mani di quel potere [romano] che doveva tenere il “paese glorioso” nella sua presa di ferro sino a quando non l’avesse interamente distrutta.
“Verso 17 Poi si proporrà di venire con le forze di tutto il suo regno, offrendo condizioni di paceH3477 [avendo dei giusti con lui H3477] e così farà. Gli darà una figliaH1323 in moglieH802 per la sua distruzione, ma ella non starà dalla sua parte e non parteggerà per lui.”
[H3477 yashar = onestà, onesti, giustizia, giusti, convenienza, equità, il popolo dei giudei; H1323 bath = fanciulla, giovane donna, donna ; H802 ‘ishshah = donna, donna sposata, femmina]
Il vescovo Newton fornisce un altra lettura per questo verso che sembra esprimere più chiaramente il senso, come segue: “Lui si proporrà anche di entrare in tutto il suo regno attraverso la forza.” Il verso 16 ci ha portati sino alla conquista della Siria e della Giudea da parte dei romani. Roma aveva precedentemente conquistato la Macedonia e la Tracia. Ora, l’Egitto era tutto ciò che restava “dell’intero regno” di Alessandro Magno non sottomesso al potere romano, che ora si propone di entrare in quel paese con la forza.
Tolomeo Aulete morì nel 51 a.C., lasciando il comando e il regno egiziano al figlio e alla figlia maggiore, Tolomeo Teo Filopatore e Cleopatra. Nel suo testamento, Tolomeo Aulete volle che i suoi due figli si sposassero e regnassero congiuntamente; e dato che erano giovani, furono posti sotto la tutela dei romani. Il popolo romano accettò il compito e nominò Pompeo come tutore dei giovani eredi dell’Egitto.
Poco dopo, una disputa scoppiata tra Pompeo e Cesare, la famosa battaglia di Farsalo, fu combattuta tra i due generali. Essendo stato sconfitto, Pompeo fuggì in [261] Egitto. Cesare lo seguì immediatamente laggiù; ma prima del suo arrivo, Pompeo venne indegnamente assassinato dai guardiani nominati da Tolomeo Teo Filopatore. Perciò, Cesare assunse la carica che era stata data a Pompeo, come tutore di Tolomeo Teo Filopatore e Cleopatra. Cesare vide che l’Egitto era turbato da disordini interni, e vide che tra Tolomeo Teo Filopatore e Cleopatra vi erano ostilità tali da privarla della sua parte nel governo. Nonostante ciò, Cesare non esitò a sbarcare in Alessandria con la sua piccola forza di 800 cavalieri e 3200 fanti, prese conoscenza di questa disputa e si preparò all’insediamento. Dato che i problemi crescevano quotidianamente, Cesare capì che la sua piccola forza non sarebbe bastata per mantenere la sua posizione, e non potendo lasciare l’Egitto a causa del vento del nord che soffiava in quella stagione, mandò in Asia un ordine in cui tutte le truppe che stavano lì venissero ad assisterlo il più presto possibile.
Nel modo più arrogante, Cesare decretò che Tolomeo Teo Filopatore e Cleopatra sciogliessero i loro eserciti, comparissero davanti a lui per risolvere i loro problemi, e rispettassero la sua decisione. Dato che l’Egitto era un regno indipendente, questo arrogante decreto venne considerato come un affronto alla propria dignità regale, portando gli egiziani (che erano molto arrabbiati) ad impugnare le armi.
Cesare rispose di agire in virtù della volontà del loro padre Tolomeo Aulete, che aveva posto i suoi figli sotto la tutela del senato e del popolo di Roma, la cui completa autorità era ora rivestita nella sua persona in qualità di console; e che, in qualità di tutore, lui aveva il diritto di arbitrare tra di loro.
La questione venne finalmente presentata a Cesare, e vennero designati degli avvocati per difendere la causa delle rispettive parti. Conoscendo il lato debole del grande conquistatore romano, Cleopatra decise che la bellezza della sua presenza avrebbe assicurato più efficacemente il giudizio a suo favore rispetto a qualsiasi altro avvocato a sua disposizione. Per raggiungerlo senza essere notata, lei ricorse al seguente stratagemma: si avvolse completamente in un mucchio di indumenti, e Apollodoro (il suo servo siciliano) la avvolse in un tappeto che strinse con una cinghia e, caricandosi il lungo involto sulle sue possenti spalle, cercò gli appartamenti di Cesare. Pretendendo di avere un regalo per il generale romano, Apollodoro passo attraverso le porte della cittadella, entrò alla presenza di [262] Cesare, e depositò il carico ai suoi piedi. Quando Cesare slegò questo mucchio animato… ecco! la bellissima Cleopatra gli stava davanti. Cesare non era assolutamente dispiaciuto dallo stratagemma, e avendo il carattere descritto in 2Pietro 2:14 , la vista di una persona così bella (dice Charles Rollin) produsse in Cesare tutto l’effetto che lei desiderava.
Alla fine, Cesare decretò che il fratello e la sorella dovessero occupare il trono congiuntamente, secondo l’intenzione della volontà. Dato che Potino, primo ministro di stato, era stata la persona principalmente coinvolta nell’espulsione di Cleopatra dal trono, temette le conseguenze del suo restauro, e perciò iniziò a stimolare gelosia e ostilità contro Cesare, insinuando tra la popolazione che lui [Cesare] aveva progettato di dare tutto il potere a Cleopatra. Presto ne seguì un aperta rivolta. Achilla, alla guida di 20.000 uomini, avanzò per allontanare Cesare da Alessandria. Disponendo abilmente il suo piccolo corpo di uomini nelle strade e nei vicoli della città, Cesare non trovò alcuna difficoltà a respingere l’attacco. Gli Egiziani si impegnarono a distruggere la sua flotta, e Cesare rispose bruciando la loro. Alcuni dei vascelli in fiamme si avvicinarono alla banchina, parecchi edifici della città andarono in fiamme, e la famosa biblioteca alessandrina, che conteneva quasi 400.000 libri, venne distrutta.
La guerra diventò più minacciosa, e Cesare chiese aiuto in tutti i paesi confinanti. Dall’Asia Minore venne una grande flotta per assisterlo. Mitridate partì per l’Egitto con un esercito raccolto in Siria e Cilicia. Antipatro dell’Idumea si unì a lui con 3.000 Ebrei. Gli Ebrei, che controllavano i passaggi per l’Egitto, permisero all’esercito di passare senza interruzione. Senza questa cooperazione da parte loro, l’intero piano sarebbe fallito. L’arrivo di questo esercito decise la contesa. Una battaglia decisiva venne combattuta nei pressi del Nilo, risultando in una completa vittoria per Cesare. Tentando di fuggire, Tolomeo Teo Filopatore annegò nel fiume. Alessandria e tutto l’Egitto si sottomisero al vincitore. Ora, Roma entrò ed assorbì l’intero regno originale di Alessandro Magno.
Senza dubbio, le “condizioni di paceH3477” [oppure “i giustiH3477”] del testo riguardano gli Ebrei, i quali diedero a Cesare l’assistenza già menzionata. Senza [263] [264] di loro, Cesare avrebbe fallito; con loro, lui sottomise completamente l’Egitto al suo potere, nel 47 a.C.
“Gli darà una figliaH1323 in moglieH802 per la sua distruzione.” Secondo gli storici, la passione che Cesare aveva per Cleopatra, da cui ebbe un figlio,
era l’unica ragione per cui intraprese una campagna pericolosa come la guerra egiziana. Questo lo mantenne in Egitto molto più del previsto, trascorrendo intere notti festeggiando e facendo baldoria con l’immorale regina. “Ma”, dice il profeta, “ella non starà dalla sua parte e non parteggerà per lui.” In seguito, Cleopatra si unì ad Antonio, il nemico di Cesare Augusto, ed esercitò tutta la sua forza contro Roma.
“Verso 18 Poi si volgerà verso le isole e ne prenderà molte, ma un comandante farà cessare il vituperio da lui inflittogli, facendolo ricadere su di lui.”
Alla fine, la guerra con Farnace, re del Bosforo Cimmerio, allontanò Cesare dall’Egitto. Prideaux dice: “Arrivato nel posto in cui si trovava il nemico, senza dare alcuna tregua a se stesso o a loro, Cesare gli si avventò contro, ottenendo una vittoria assoluta su di essi; lui ne scrisse un resoconto al suo amico [Mazio] in tre sole parole: ‘veni, vidi, vici’, ovvero, ‘venni, vidi, vinsi’.” L’ultima parte di questo verso è un po oscura, e c’è differenza di opinione per quanto riguarda la sua applicazione. Alcuni la applicano ancora più in dietro alla vita di Cesare, pensando di trovare un compimento nella sua lite con Pompeo. Ma gli eventi precedenti e successivi che sono definiti chiaramente nella profezia, ci costringono a cercare l’adempimento di questa parte della predizione tra la vittoria su Farnace, e la morte di Cesare a Roma, come viene mostrato nel verso seguente. Una più completa conoscenza della storia di questo periodo potrebbe chiarire gli eventi che tradurrebbero l’applicazione di questo semplice passaggio.
“Verso 19 Quindi si volgerà verso le fortezze del proprio paese, ma inciamperà, cadrà e non si troverà piú.”
Dopo questa conquista, Cesare sconfisse gli ultimi frammenti che rimanevano della compagnia di Pompeo: Catone e Scipione in Africa, e Labieno [265] e Varo in Spagna. Tornato a Roma, la “fortezza del proprio paese”, Cesare venne fatto dittatore a vita; gli furono concessi anche altri poteri ed onori, come anche quello di vero sovrano assoluto di tutto l’impero. Il profeta, però, aveva detto che lui doveva inciampare e cadere. Il linguaggio implica che la sconfitta di Cesare sarebbe stata improvvisa ed inaspettata, come quando una persona inciampa improvvisamente nel suo cammino. Così, quest’uomo che aveva combattuto e vinto cinquecento battaglie, preso mille città e ucciso unmilionecentonovantadue mila uomini [1.192.000] cadde… non in mezzo alla battaglia e nell’ora della sconfitta, ma quando pensava che la sua via fosse sicura e cosparsa di fiori, e quando si pensava che il pericolo fosse molto lontano; dato che quando prese posto sul suo trono dorato in quella stessa camera del senato che gli diede il titolo di re, improvvisamente il pugnale del tradimento lo colpì al cuore. Cassio, Bruto e altri cospiratori lo assalirono, e lui cadde, trafitto da ventitré ferite. Così, nel 44 a.C , Cesare improvvisamente inciampò, cadde, e non fu più trovato.
“Verso 20 Al suo posto sorgerà uno che manderà un esattore di tributi per il paese che è la gloria del
regno; in pochi giorni però sarà distrutto, ma non nell’ira o in battaglia.”
Cesare Augusto succedette allo zio Giulio Cesare, da cui era stato adottato come suo successore. Cesare Augusto annunciò pubblicamente l’adozione da parte dello zio, prese il suo nome, e vi ci aggiunse quello di “Ottaviano.” Cesare Augusto Ottaviano si unì con Marco Antonio e Marco Emilio Lepido per vendicare la morte di Cesare, dando inizio alla forma di governo chiamata “triumvirato.” Dopo essersi stabilito con fermezza nell’impero, il senato gli conferì il titolo di “Augusto”, e dato che ora gli altri due membri del triunvirato erano morti, Cesare Augusto Ottaviano diventò il sovrano supremo.
Cesare Augusto era inequivocabilmente un esattore di tributi. Parlando degli avvenimenti accaduti nel tempo in cui nacque Cristo, Luca dice: “Ora, in quei giorni fu emanato un decreto da parte di Cesare Augusto, che si compisse il censimento di tutto l’impero (per le tasse).” (Luca 2:1) Quella tassazione che riguardava tutto il mondo era un evento degno di nota, e la [266] persona che la imponeva aveva tutto il diritto di essere chiamata “un esattore di tributi” più di ogni altro competitore.
Il quotidiano St. Louis Globe Democrat, citato nel Current Literature del luglio 1895, dice: “Cesare Augusto non era quel benefattore pubblico che viene rappresentato. Lui era l’esattore delle tasse più esigente che l’impero romano aveva mai visto fino a quel tempo.”
Lui sorse “per il paese che è la gloria del regno.” Ai tempi di Cesare Augusto, Roma raggiunse l’apice della sua grandezza e potenza. L’ “età Augustea” è una espressione utilizzata ovunque per indicare l’epoca d’oro della storia romana. Roma non vide mai un tempo migliore. La pace era favorita, la giustizia era mantenuta, la lussuria era frenata, la disciplina era stabilita, e l’apprendimento veniva incoraggiato. Nel regno di Cesare Augusto, il tempio di Janus venne chiuso per la terza volta dalla fondazione di Roma, significando che tutto il mondo era in pace; e proprio in questo felice momento, il nostro Signore nacque a Betlemme di Giudea. In poco meno di diciotto anni dopo la suddetta tassazione, sembrando soltanto “pochi giorni” per lo sguardo distante del profeta, Cesare Augusto morì, non in collera e neppure in battaglia, ma tranquillamente nel suo letto, a Nola, il posto in cui era andato a cercare riposo e salute, nel 14 d.C. , a settantasei anni.
“Verso 21 Al suo posto sorgerà un uomo spregevole, a cui non sarà conferita la dignità reale; ma egli verrà pacificamente, e s’impadronirà del regno con intrighi.”
Dopo Cesare Augusto, il trono romano venne occupato da Tiberio Cesare, che era stato annesso al consolato all’età di ventotto anni. È documentato che, come Cesare Augusto stava per nominare il suo successore, sua moglie Livia lo invitò a nominare Tiberio (il figlio che lei aveva avuto dal suo precedente marito), ma l’imperatore disse: “Tuo figlio è troppo vile per indossare la porpora di Roma”; così, la nomina venne data ad Agrippa, un cittadino romano molto virtuoso e molto rispettato. Ma la profezia aveva predetto che una persona vile avrebbe succeduto Cesare Augusto. Agrippa morì, e Cesare Augusto dovette nuovamente scegliere un successore. Livia rinnovò la sua intercessione per Tiberio, ed infine, Cesare Augusto, indebolito a causa dell’età e della malattia, divenne più [267] accomodante, ed infine acconsentì a nominare quel “vile” ragazzo come suo collega e successore. Ma i cittadini non gli diedero mai l’amore, il rispetto e “l’onore del regno” degni di un sovrano integro e fedele.
Quanto chiaro è questo adempimento della predizione in cui “non [gli] sarà conferita la dignità reale.” Tiberio, però, doveva venire pacificamente, e impadronirsi del regno con intrighi. Un paragrafo dell’Encyclopedia Americana mostra come questo venne adempiuto:
“Durante il resto della vita di Cesare Augusto, Tiberio si comportava con gran prudenza e abilità, concludendo trionfalmente una guerra con i Germani. Dopo la sconfitta di Varo
e delle sue legioni, Tiberio fu mandato a controllare l’avanzamento dei vittoriosi Germani, comportandosi ugualmente con forza e prudenza in quella guerra. Alla morte di Cesare Augusto, senza opposizione, Tiberio succedette alla sovranità dell’impero che, a causa del suo caratteristico finto comportamento, lui aveva influenzato verso il declino, sino ai ripetuti inviti del servile senato.”
La dissimulazione da parte di Tiberio, gli intrighi da parte del servile senato, ed un possesso del regno senza opposizione: queste furono le circostanze della salita al trono di Tiberio, e queste erano proprio le circostanze che la profezia richiedeva.
La persona mostrata nel testo è chiamata “un uomo spregevole.” Tiberio aveva un carattere del genere? Lasciate rispondere ad un altro paragrafo dell’Enciclopedia:
“Tacito documenta gli eventi di questo regno, tra cui la morte sospetta di Germanico, la detestabile amministrazione di Seiano, l’avvelenamento di Druso, con tutta la straordinaria miscela di tirannia, con una occasionale dose di saggezza e di buon senso che distinsero la condotta di Tiberio Cesare, sino al suo ritiro infame e immorale, nel 26 d.C., nell’isola di Capri, nel golfo di Napoli, per non ritornare mai più a Roma. Alla morte di Livia, nel 29 d.C., venne rimosso l’unico contenimento tra le azioni di Tiberio Cesare e quelle del detestabile Seiano, risultando nella distruzione della vedova di Germanico e della sua famiglia. Alla fine, l’infame favorito [Seiano] estese le sue visioni allo stesso impero e [268] Tiberio Cesare, informato delle sue macchinazioni, si preparò ad incontrarlo con la sua arma preferita, la finzione. Sebbene Tiberio Cesare fosse deciso a distruggere Seiano, gli accumulò onori, lo dichiarò suo socio nel consolato e, dopo essersi lungamente preso gioco di lui e del senato (che considerava Seiano come il maggior favorito di sempre), Tiberio Cesare preparò astutamente il suo arresto. Seiano cadde meritatamente e senza pietà; ma molte persone innocenti condivisero la sua distruzione a causa del sospetto e della crudeltà sfrenata di Tiberio Cesare. Il resto del regno di questo tiranno è poco più di un disgustoso racconto sul servilismo da una parte, e di ferocia dispotica dall’altra. Dalla seguente introduzione di una delle sue lettere al senato, è chiaro come lo stesso Tiberio Cesare soffrì tanto quanto fece soffrire: ‘Quello che dovrei scrivervi, senatori di Roma, o cosa non dovrei scrive, o perché mai dovrei scrivere, che gli dei e le dee mi tormentino più di quello che sento che essi stanno facendo ogni giorno, se posso dirlo.’ Riferendosi a questo passaggio, Tacito osserva ‘Quale tortura mentale potrebbe estorcere una tale confessione!’ ”
“Seneca osserva che Tiberio Cesare si era intossicato soltanto una volta nella sua vita, dato che continuava in uno stato di intossicazione perpetua dal primo momento in cui iniziò a bere, sino all’ultimo momento della sua vita.”
Tirannia, ipocrisia, dissolutezza ed una continua intossicazione: se questi tratti e queste pratiche mostrano la viltà di un uomo, Tiberio Cesare mostrò quel carattere con una perfezione disgustosa.
“Verso 22 Davanti a lui le straripantiH7858 forzeH2220 saranno spazzate viaH7857 [dalla sua presenzaH6440] e distrutteH7665, come pure il capoH5057 di un’alleanzaH1285.”
[H7858 sheteph = diluvio, oltraggio, inondazione; H2220 zerowa` = braccio, spalla, forza; H7857 shataph = spazzare via, essere sconfitti; H6440 paniym = faccia, in presenza di; H7665 shabar = spezzare, sbriciolare, distruggere; H5057 nagiyd = capo, sovrano, capitano, principe; H1285 beriyth = patto, alleanza]
Il vescovo Newton dice che la seguente lettura si accorda meglio con l’originale: “E le forze dell’inondatore [del conquistatore] saranno spazzate via [sconfitte] dalla sua presenza, e saranno distrutte.” Le frasi significano rivoluzione e violenza; e per l’adempimento dovremo rivolgerci alle forze di Tiberio Cesare, l’inondatore, che deve essere spazzato via, o in altre parole, che deve morire di una morte violenta. Per mostrare in che modo questo venne compiuto, ricorreremo ancora all’Enciclopedia Americana, alla voce ‘Tiberio’:
[269]
“Essendo ipocrita sino alla fine, egli mascherava per quanto possibile la sua crescente debolezza, persino partecipando agli sport e agli esercizi dei soldati della sua guardia. Alla fine, dopo aver lasciato la sua isola preferita [Capri] in cui faceva le cose più disgustose e perverse, Tiberio Cesare si fermò in una casa di campagna vicino al promontorio di Miseno, dove, il 16 marzo del 37 d.C. , cadde in un apatia che lo faceva sembrare morto; e mentre Caligola (con una numerosa scorta) si preparava a prendere possesso dell’impero, l’improvvisa ripresa di Tiberio Cesare li fece spaventare. In questo momento critico, Macrone, il prefetto pretoriano, uccise Tiberio Cesare soffocandolo con i cuscini. Così, terminò l’imperatore Tiberio Cesare, nel suo settantottesimo anno di vita, e nel ventitreesimo anno del suo regno universalmente detestato”
“Il capo di un’alleanza” si riferisce indubbiamente a Gesù Cristo, “il Messia, il principe”, che doveva “stabilire un patto” per una settimana con il Suo popolo. (Daniele 9:25-27) Avendoci portato sino alla morte di Tiberio Cesare, ora il profeta parla occasionalmente di un evento che deve accadere nel suo regno, un evento così importante da non passare inosservato, ovvero, l’uccisione del capo di un alleanza, o in altre parole, la morte del nostro Signore Gesù Cristo. Secondo la profezia, ciò avvenne nel regno di Tiberio Cesare. Luca ci informa (Luca 3:1-3) che nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, Giovanni Battista iniziò il suo ministero. Secondo Prideaux, il dottor Hales, Lardner e altri, il regno di Tiberio Cesare deve essere considerato dalla sua elevazione al trono in cui regna congiuntamente con Cesare Augusto, suo padre adottivo, nell’agosto del d.C. 12. Dunque, il suo quindicesimo anno sarebbe dall’agosto del 26 d.C. all’agosto del d.C. 27. Cristo era sei mesi più giovane di Giovanni Battista, e si pensa che abbia iniziato il suo ministero sei mesi dopo, entrambi, in base alla legge del sacerdozio, iniziarono la loro opera al trentesimo anno di età.
Se Giovanni iniziò in primavera, nell’ultima parte del quindicesimo anno di Tiberio Cesare [primavera del 27 d.C.], questo avrebbe portato l’inizio del ministero di Cristo nell’autunno del 27 d.C.; e le migliori autorità posizionano il battesimo di Cristo proprio qui, nell’esatto punto in cui terminarono i 483 anni, iniziati nel 457 a.C., che dovevano estendersi fino al Messia, il Principe, e qui terminare; [270] e Cristo iniziò a proclamare che il tempo era compiuto. [Marco 1:15] Da questo punto, dobbiamo proseguire tre anni e mezzo per trovare la data della crocifissione, dato che Cristo partecipò soltanto a quattro Pasque, e venne crocifisso all’ultima. Tre anni e mezzo dall’autunno del 27 d.C. ci portano alla primavera del d.C. 31. La morte di Tiberio è posta soltanto sei anni dopo, nel d.C. 37. (Vedi il capitolo 9:25-27)
“Verso 23 In seguito a un’alleanza fatta con lui, egli agirà con frode, e salirà, e diventerà forte con poca gente.”
Il “lui” con qui viene fatta l’alleanza di cui si parla, deve essere lo stesso potere che è stato il soggetto della profezia dal verso 14; inoltre, che questo sia il potere romano, è mostrato oltre ogni controversia nell’adempimento della profezia attraverso tre individui che, come già notato, hanno governato in successione sull’impero romano, ovvero, Giulio Cesare, Cesare Augusto e Tiberio Cesare. Giulio Cesare, ritornando trionfalmente nella propria terra, inciampò, cadde e non fu più trovato. (Verso 19) Cesare Augusto era un esattore di tributi, regnò nella gloria del regno e morì senza ira e senza battaglia, in pace nel suo letto. (Verso 20) Tiberio Cesare era un ipocrita, uno dei personaggi più vili. Tiberio si insediò nel regno in modo pacifico, ma sia il suo regno che la sua vita terminarono violentemente. E nel suo regno, il capo di un alleanza, Gesù di Nazareth, venne messo a morte sulla croce. (Versi 21 e 22) Cristo non può più essere distrutto o ucciso un altra volta; quindi, noi non possiamo trovare un adempimento di questi eventi in nessun altro governo e in nessun altro tempo. Alcuni tentano di applicare questi versi ad Antioco Epifane, e rendono uno dei sommi sacerdoti Ebrei come il “capo di un’alleanza”, anche se i sommi sacerdoti non sono mai chiamati in questo modo. Questo è lo stesso tipo di ragionamento che cerca di fare del regno di Antioco Epifane un adempimento del piccolo corno di Daniele 8; e serve per lo stesso scopo, ovvero, rompere la grande catena di prove attraverso cui è mostrato che la dottrina avventista è la dottrina della Bibbia, e che ora Cristo è alle porte. L’evidenza, però, non può essere danneggiata; la catena non può essere spezzata.
[271]
Dopo averci portato attraverso gli eventi secolari dell’impero, sino alla fine delle settanta settimane, il profeta, nel verso 23, ci riporta al tempo in cui i romani iniziarono ad avere dei rapporti diretti con il popolo di Dio, attraverso la lega ebraica del 161 a.C.; da cui poi siamo portati in una linea diretta di eventi, sino al trionfo finale della chiesa, e l’istituzione del regno eterno di Dio. Essendo gravemente oppressi dai re siriani, gli Ebrei mandarono un ambasciata a Roma per sollecitare l’aiuto dei romani, e per unirsi in “una lega di amicizia e confederazione con loro.” 1Maccabei 8 ; The old and new testament connected in the history of the Jews… vol.2, pag 234 [o anche 268] di Prideaux; Antiquities, libro 12, cap. 10, sez. 6, di Flavio Giuseppe. I Romani ascoltarono la richiesta degli Ebrei e gli garantirono un decreto espresso con queste parole: “Il decreto del senato riguardante una lega di assistenza e di amicizia con la nazione ebraica. Non sarà consentito a nessuno che è sottomesso ai romani, di far guerra con la nazione degli Ebrei, né di assistere coloro che lo fanno, sia inviandogli mais, navi, o denaro; e se qualcuno attacca gli Ebrei, i romani li assisteranno per quanto è loro possibile; e ancora, se qualche attacco è fatto ai romani, gli Ebrei dovranno assisterli.
E se gli Ebrei pensano di aggiungere a, o di prendere da, questa lega di assistenza, ciò avverrà con il comune consenso dei romani. E qualunque aggiunta deve essere fatta in questo modo, deve essere fatta con forza.” Flavio Giuseppe dice: “Questo decreto fu scritto da Eupolemus, il figlio di Giovanni, e da Giasone, il figlio di Eleazar, quando Giuda era sommo sacerdote della nazione, e Simone, suo fratello, era generale dell’esercito. Questa era la prima lega che i romani fecero con gli Ebrei, e venne gestita in questa maniera.”
In questo momento, i romani erano un piccolo popolo, e iniziarono ad operare con la frode, o con l’astuzia, come significa la parola. E da questo punto, essi iniziarono una costante e rapida ascesa verso il grande potere che raggiunsero successivamente.
“Verso 24 Egli entrerà pacificamente anche nelle parti più ricche della provincia e farà ciò che non avevano mai fatto né i suoi padri, né i padri dei suoi padri; distribuirà tra di loro bottino, spoglie e beni e concepirà piani contro le fortezze, ma solo per un tempo.”
[272] [273]
Prima dei giorni di Roma, la maniera abituale in cui le nazioni entravano in possesso di preziose province e ricchi territori, era attraverso la guerra e la conquista. Ora Roma doveva fare quello che non era stato fatto dai padri o dai padri dei padri, ovvero, ricevere queste acquisizioni attraverso mezzi pacifici. Ora veniva inaugurata l’abitudine, mai sentita prima, dei re che, attraverso la lega, lasciavano i loro regni ai romani. In questo modo, Roma entrò in possesso di grandi province.
Chi andava sotto il dominio di Roma ne riceveva un non piccolo vantaggio: essi venivano trattati con gentilezza e clemenza. Era come avere la preda e il bottino distribuiti tra di loro. Essi erano protetti dai loro nemici e riposavano in pace e sicurezza sotto la protezione del potere romano.
Il vescovo Newton da alla parte finale di questo verso l’idea della concezione di piani dalle fortezze, anziché contro le fortezze. I romani fecero questo proprio dalla fortezza della loro città dai sette colli. “Ma solo per un tempo”; senza dubbio, un tempo profetico: 360 anni. Da quale punto devono essere datati questi anni? Probabilmente dall’evento mostrato nel verso seguente.
“Verso 25 Con un grande esercito spronerà le sue forze e il suo cuore contro il re del sud. Il re del sud si impegnerà in guerra con un grande e potentissimo esercito, ma non potrà resistere, perché si ordiranno complotti contro di lui.”
Con i versi 23 e 24 siamo portati da questa parte della lega tra gli Ebrei ed i romani, nel 161 a.C. , sino al tempo in cui Roma aveva acquisito il dominio universale. Il verso che ora abbiamo davanti, ci mostra una vigorosa campagna contro il re del sud, l’Egitto, e l’avvenimento di una notevole battaglia tra grandi e potenti eserciti. Verso questo periodo, nella storia di Roma sono accaduti degli eventi di questo tipo? Si, accaddero! Era la guerra tra l’Egitto e Roma; e la battaglia era la battaglia di Azio. Guardiamo brevemente le circostanze che portarono a questo conflitto.
Marco Antonio, Cesare Augusto e Marco Emilio Lepido costituivano il triunvirato che aveva giurato di vendicare la morte di Giulio Cesare. Marco Antonio divenne il cognato di Cesare Augusto [274] quando sposò la sorella Ottavia. Marco Antonio venne inviato in Egitto per affari governativi, ma cadde vittima dell’abilità e del fascino di Cleopatra,
la dissoluta regina egiziana. La passione di Marco Antonio verso Cleopatra era così forte che, infine, lui difese gli interessi egiziani, rifiutò sua moglie Ottavia e, per compiacere Cleopatra, gli concesse una provincia dopo l’altra per gratificare la sua avarizia, celebrò un trionfo ad Alessandria invece che a Roma, ed affrontò anche il popolo romano; così, Cesare Augusto non ebbe alcuna difficoltà nel guidare il popolo romano ad impegnarsi vigorosamente in una guerra contro questo nemico del loro paese. Apparentemente, questa guerra era contro l’Egitto e Cleopatra, ma in realtà era contro Marco Antonio, che ora guidava gli affari egiziani. Prideaux dice che la vera causa della loro controversia era che nessuno di loro poteva accontentarsi con solo la metà dell’impero romano; dato che Emilio Lepido era stato deposto dal triumvirato, ora la questione riguardava loro due [Marco Antonio e Cesare Augusto], ognuno dei quali era determinato a possedere l’intero regno, così, lanciarono le sorti della guerra per il suo possesso.
Marco Antonio riunì la sua flotta a Samos [o Samo]. Cinquecento navi da guerra di straordinaria grandezza e struttura, aventi diversi ponti uno sopra l’altro, con torri sulla poppa e sulla prua, erano un insieme imponente e formidabile. Queste navi trasportavano duecentomila fanti e dodicimila cavalieri. I re di Libia, Cilicia, Cappadocia, Paflagonia, Comagena e Tracia erano lì presenti; mentre quelli di Ponto, Giudea, Licaonia, Galazia e Media, avevano inviato le loro truppe. Raramente il mondo ha mai visto uno spettacolo militare più splendido e meraviglioso di questa flotta navale da combattimento che stendeva le sue vele e si spostava sulle onde del mare. Oltre ogni magnificenza, venne la galera di Cleopatra, che galleggiava come un palazzo d’oro sotto una nuvola di vele viola. Le sue bandiere e le sue bande fluttuavano nel vento; e le trombe ed altri strumenti di guerra facevano risuonare il cielo con note di gioia e di trionfo. Marco Antonio seguiva lì vicino in una galera di simile magnificenza. E la vergognosa regina, intossicata dalla vista dello schieramento bellico, miope e vanagloriosa, alla guida della sua infame truppa di eunuchi, minacciò scioccamente la capitale romana di una imminente rovina.
[275]
Dall’altra parte, Cesare Augusto mostrava meno sfarzo ma più efficienza. Lui aveva soltanto la metà delle navi di Marco Antonio, e solo ottantamila fanti; ma tutte le sue truppe erano composte da uomini scelti, e la sua flotta navale era composta esclusivamente da marinai esperti; mentre Marco Antonio, non avendo un numero sufficiente di marinai, era stato obbligato ad arruolare artigiani di ogni classe per i suoi vascelli, uomini inesperti che in tempo di guerra avrebbero causato più problemi che dato un buon contributo. Dato che la stagione era passata con queste preparazioni, Cesare Augusto scelse Brindisi come suo luogo di incontro, mentre Marco Antonio scelse Corcira, sino all’anno successivo.
Non appena la stagione lo permise, entrambi gli eserciti si mossero sia su terra che per mare. Alla fine, le flotte entrarono nel golfo d’Ambracia, in Epiro, e le forze terrestri arrivarono su entrambe le rive, in piena mostra. I generali più esperti di Marco Antonio lo consigliarono di non rischiare una battaglia marittima con dei marinai inesperti, ma di far tornare Cleopatra in Egitto, e di entrare tutti quanti in fretta nella Tracia o in Macedonia, affidando la questione alle sue forze terrestri che erano composte da truppe veterane. Marco Antonio, però, secondo il vecchio adagio “Quem Deus vult perdere, prius dementat” (chiunque Dio desidera distruggere, Lui lo fa impazzire per primo), innamorato di Cleopatra, sembrava soltanto desideroso di accontentarla; e lei, fidandosi soltanto delle apparenze, ritenendo la sua flotta invincibile, consigliò l’azione immediata.
La battaglia fu combattuta il 2 settembre del 31 a.C. , alla foce del golfo d’Ambracia, vicino alla città di Azio. Il mondo era il traguardo per cui questi seri guerrieri (Marco Antonio e Cesare Augusto) si misero in gioco. La contesa che per molto tempo era incerta, alla fine venne decisa dalle azioni di Cleopatra che, spaventata dal rumore della battaglia, si allontanò quando non c’era alcun pericolo, richiamando tutta la flotta egiziana con se. Vedendo questo movimento, Marco Antonio abbandonò tutto tranne che la sua cieca passione per Cleopatra, si mise precipitosamente al suo inseguimento, e concesse una vittoria a quello stesso Cesare Augusto che avrebbe potuto vincere se le forze egiziane gli si fossero dimostrate fedeli, e se lui stesso si fosse comportato da uomo.
Senza dubbio, questa battaglia segna l’inizio del “tempo” menzionato nel verso 24. E dato che durante questo “tempo” i piani dovevano essere concepiti dalla fortezza, Roma, noi [276] dovremmo concludere che alla fine di quel periodo di tempo deve cessare la supremazia occidentale, o che deve avvenire un cambiamento del genere nell’impero, e che la città non deve essere più considerata come la sede del governo. Dal 31 a.C. , un tempo profetico, o 360 anni, arriviamo al d.C. 330. Dunque, è importante notare il fatto che proprio in quello stesso anno, Costantino il Grande rimosse la sede dell’impero da Roma a Costantinopoli. (Vedi Encyclopedia Americana, alla voce “Costantinopoli”).
“Verso 26 Quegli stessi che mangeranno dei suoi cibi squisiti lo distruggeranno; il suo esercito sarà spazzato via, ma molti cadranno uccisi.”
Marco Antonio venne sconfitto a causa della diserzione dei suoi alleati e dei suoi amici: coloro che mangiavano i suoi cibi squisiti. #1 Cleopatra, come già detto, si ritira improvvisamente dalla battaglia, portandosi via sessanta navi dalla linea di guerra. #2 L’esercito di terra, disgustato dall’infatuazione di Marco Antonio, passò a Cesare Augusto, che li ricevette a braccia aperte. #3 Quando Marco Antonio giunse in Libia, scoprì che le forze che lui aveva affidato a Scarpo per custodire la frontiera, erano passate a Cesare Augusto. #4 Essendo seguito da Cesare Augusto dentro l’Egitto, Marco Antonio venne tradito da Cleopatra, e le sue forze si arresero a Cesare. Di conseguenza, nella rabbia e nella disperazione, lui si tolse la vita.
“Verso 27 Il cuore di questi due re sarà rivolto a fare del male; essi proferiranno menzogne seduti alla stessa mensa, ma la cosa non riuscirà, perché la fine non verrà che al tempo fissato.”
Precedentemente, Marco Antonio e Cesare Augusto erano alleati. Tuttavia, sotto l’apparente amicizia, entrambi aspiravano e tramavano per il dominio universale. Le loro reciproche proteste rispettose e la loro reciproca amicizia erano espressione di ipocrisia. “Essi proferiranno menzogne seduti alla stessa mensa.” Al tempo in cui Marco Antonio divorziò da sua moglie Ottavia, sorella di Cesare Augusto, lei dichiarò al popolo romano che aveva accettato di sposarlo soltanto con la speranza di unire Cesare Augusto e Marco Antonio. “Ma la cosa non riuscirà.” La rottura avvenne; e nel conflitto che ne seguì, Cesare Augusto ne uscì completamente vittorioso.
[277] [278]
“Verso 28 Nel ritornare al suo paese con grandi ricchezze, il suo cuore si metterà contro il santo patto; così eseguirà i suoi disegni e poi ritornerà nel suo paese.”
Qui vengono mostrati due ritorni [del potere romano] dalle conquiste straniere; il primo ritorno avviene dopo gli eventi narrati nei versi 26 e 27; e il secondo ritorno
avviene dopo che questo potere si indignò contro il santo patto ed eseguì i suoi disegni. Il primo [ritorno] fu adempiuto al ritorno di Cesare Augusto, dopo la sua spedizione contro l’Egitto e Marco Antonio. Lui ritornò a Roma abbondando di onore e di ricchezze; dato che in The old and new testament … vol. 2, pag 556 [o 642] Prideaux dice: “In questo periodo giunsero a Roma delle ricchezze cosi vaste dallo sconfitto Egitto, e il ritorno di [Cesare Augusto] Ottaviano e del suo esercito da lì, fece scendere il valore del denaro della metà, e i prezzi delle forniture e di tutte le merci vendibili raddoppiò.” Cesare celebrò le sue vittorie con tre giorni di trionfo – un trionfo che la stessa Cleopatra avrebbe consacrato come una dei prigionieri reali, se non si fosse uccisa a causa del fatale morso di un aspide.
Dopo la sconfitta dell’Egitto, la prossima grande impresa dei romani era la spedizione contro la Giudea, e la cattura e la distruzione di Gerusalemme. Senza dubbio, il santo patto è l’alleanza che Dio ha mantenuto con il Suo popolo, sotto diverse forme, nelle diverse epoche del mondo, ovvero, con tutti i Suoi credenti. Gli Ebrei rifiutarono Cristo; e secondo la profezia in cui tutti coloro che non avrebbero ascoltato quel profeta sarebbero stati uccisi [cancellati, recisi, sterminati], essi furono distrutti e dispersi in ogni nazione. E mentre gli Ebrei con i cristiani soffrivano sotto l’oppressione romana, senza dubbio, i “disegni” citati nel testo riguardavano in modo speciale la conquista della Giudea.
Sotto Vespasiano, i romani invasero la Giudea e presero le città della Galilea, Corazin, Betsaida e Capernaum, in cui Cristo venne respinto. Essi distrussero gli abitanti e lasciarono nient’altro che rovina e desolazione. Tito assediò Gerusalemme e fece costruire una trincea tutto intorno ad essa, in base alla predizione del Salvatore. Proprio in quel tempo, il mondo assistette ad una terribile carestia mai vista prima. [279] Mosè aveva predetto che, nelle terribili calamità che sarebbero giunte agli Ebrei se si fossero allontanati da Dio, anche la donna più tenera e delicata avrebbe mangiato i suoi propri figli nella strettezza dell’assedio con cui i loro nemici li avrebbero afflitti. Sotto l’assedio di Gerusalemme da parte di Tito, accadde un compimento letterale di questa predizione; e lui, sentendo di questo atto inumano, ma dimenticandosi di essere lui stesso la causa di questi terribili atti estremi, giurò l’eterna estirpazione della città e del suo popolo maledetto.
Gerusalemme cadde nel d.C. 70. Per onorare se stesso, il comandante romano decise di salvare il tempio; ma il Signore aveva detto che non sarebbe rimasta pietra su pietra che non sarebbe stata diroccata [Matteo 24:2]. Un soldato romano prese un tizzone e, salendo sulle spalle dei suoi compagni, lo spinse dentro una delle finestre della bella struttura. Presto scoppiò un grande incendio. Tutti gli sforzi frenetici degli Ebrei per estinguere le fiamme furono assecondate dallo Tito stesso, ma invano. Vedendo che il tempio sarebbe stato distrutto, Tito si precipitò e portò via il candelabro d’oro, la tavola dei pani della presentazione, e il volume della legge, avvolto in un tessuto dorato. Il candelabro venne poi deposto nel tempio della pace di Vespasiano, e copiato sull’arco trionfale di Tito, dove si può ancora vedere la sua immagine mutilata.
L’assedio di Gerusalemme durò cinque mesi. In quell’assedio morirono unmilionecentomila Ebrei [1.100.000] e novantasettemila [97.000] furono catturati. La città era così incredibilmente forte che Tito, guardando le rovine, esclamò: “Abbiamo combattuto con l’aiuto di Dio”; la distruzione era totale, e le fondamenta del tempio furono appianate da Terenzio Rufo. Tutta la guerra durò sette anni, e si dice che unmilione quattrocento sessantadue mila (1.462.000) persone caddero vittime in quei terribili orrori. Così, questo potere esegui i suoi grandi disegni, e ritornò nuovamente nel suo paese.
“Verso 29 Al tempo stabilito egli andrà di nuovo contro il sud, ma quest’ultima volta la cosa non riuscirà come la prima”
[280]
Il tempo stabilito è probabilmente il tempo profetico del verso 24, già citato in precedenza, che, come abbiamo già mostrato, terminò nel 330 d.C. [vedi pag. 276], tempo in cui questo potere [romano] doveva nuovamente ritornare verso il sud, ma non come la prima volta, quando andò in Egitto, e nemmeno come l’ultima volta, quando andò in Giudea. Quelle erano spedizioni che portarono conquista e gloria. Questa, invece, condusse alla demoralizzazione e alla rovina. La rimozione della sede dell’impero [da Roma] a Costantinopoli era il segnale della caduta dell’impero. A quei tempi, Roma perse il suo prestigio. La parte occidentale era esposta alle incursioni di nemici stranieri. Alla morte di Costantino, l’impero romano era diviso in tre parti, tra i suoi tre figli: Costanzo, Costantino II e Costante. Costantino II e Costante litigarono, e Costante, essendo vittorioso, guadagnò la supremazia di tutto l’occidente, ma poco dopo venne ucciso da uno dei suoi comandanti che, a sua volta, venne sconfitto subito dopo dall’imperatore sopravvissuto, finendo i suoi giorni in disperazione, nel d.C. 353. In questo momento, i barbari del nord iniziarono le loro incursioni, ed estesero le loro conquiste sino alla scomparsa del potere imperiale d’occidente, nel 476 d.C.
Questo [movimento] era davvero diverso dagli altri due movimenti precedentemente mostrati nella profezia; e da ciò si arrivò direttamente al passo fatale della rimozione della sede dell’impero da Roma a Costantinopoli.
“Verso 30 Perché delle navi di Kittim, verranno contro di lui; perciò egli si rattristerà. Quindi ritornerà e si adirerà contro il santo patto, ed eseguirà i suoi disegni. Così ritornerà e mostrerà riguardo per quelli che hanno abbandonato il santo patto.”
La narrazione profetica si riferisce ancora al potere che è stato l’oggetto della profezia dal verso 16, ovvero, Roma. Cosa erano le navi di Kittim che vennero contro questo potere? e quando venne fatto questo movimento? Quale paese o potere si intende per Kittim? Il dottor A. Clarke, su Isaia 23:1, ha questa nota: “Dalla terra di Kittim è loro rivelato. Si dice che la notizia della distruzione di Tiro da parte di Nabucodonosor sia stata portata loro da Kittim, le isole e le coste del mar Mediterraneo; al verso 6, Girolamo dice che quando il popolo di Tiro vide di non avere altri [281] mezzi di fuga, scappò nelle proprie navi, rifugiandosi a Cartagine e nelle isole del mar Ionio e del mar Egeo. Così anche Jochri è nello stesso posto.” Kitto è la stessa località di Kittim, ovvero, la costa e le isole del mar Mediterraneo; e attraverso la testimonianza di Girolamo, si pensa ad una città specifica e celebrata, situata in quella terra, ovvero, Cartagine.
Ci fu mai una guerra navale intrapresa contro l’impero romano avente Cartagine come base delle operazioni? Per rispondere prontamente nell’affermativo, dobbiamo soltanto pensare al terribile assalto dei Vandali contro i romani, guidati dal feroce Genserico contro Roma. Ogni primavera, a capo delle sue numerose e ben disciplinate forze navali, Genserico faceva delle sortite dal porto di Cartagine, diffondendo la paura attraverso tutte le province marittime dell’impero. Che questa sia l’opera mostrata, è ulteriormente evidente quando consideriamo che la profezia ci porta proprio a questo tempo.
Nel verso 29, abbiamo capito che si parla del trasferimento dell’impero a Costantinopoli. Seguendo il corso del tempo, la successiva rivoluzione degna di nota sono le scorrerie dei barbari del nord, tra cui vi era l’importante guerra vandalica già menzionata. Gli anni 428-468 d.C. sono segnati dalle azioni di Genserico.
“Perciò egli si rattristerà. Quindi ritornerà” Questo si può riferire agli sforzi disperati che furono fatti per privare Genserico della sovranità dei mari. Il primo sforzo venne fatto da Maggioriano, il secondo da Leo, ed entrambi si rivelarono un fallimento; così, Roma fu costretta a sottomettersi all’umiliazione di vedere le sue province devastate, e la sua “città eterna” saccheggiata dal nemico. (Apocalisse 8:8)
“E si adirerà contro il santo patto”, ovvero, le Sacre Scritture, il libro del patto. A Roma venne realizzato un cambiamento di questa natura. Gli Eruli, i Goti e i Vandali che conquistarono Roma, abbracciarono la fede ariana e diventarono nemici della chiesa cattolica. Era proprio allo scopo di sterminare questa eresia che Giustiniano decretò il papa come il capo della chiesa e il correttore degli eretici. Presto, la Bibbia venne considerata un libro pericoloso che non doveva essere letto dalla gente comune, ma tutte le questioni nelle dispute dovevano essere presentate al papa. Così, [282] l’indignazione venne riversata sulla parola di Dio. E gli imperatori dell’ancora presente impero romano orientale mostrarono riguardo, o si misero segretamente d’accordo, con la chiesa di Roma, che aveva abbandonato il patto e costituiva la grande apostasia, allo scopo di porre fine alla “eresia.” L’uomo del peccato venne elevato al suo arrogante trono attraverso la sconfitta dei Goti ariani, che a quel tempo possedevano Roma, nel 538 d.C.
“Verso 31 Forze da lui mandate si leveranno per profanare il santuario, la fortezza, sopprimeranno il sacrificio continuoH8548 e vi collocheranno l’abominazione che causa la desolazione.” [Vedi H8548 a pag. 172, 176, 179]
Il potere dell’impero era impegnato a portare avanti l’opera già menzionata. “[Essi] si leveranno per profanare il santuario, la fortezza”, ovvero, Roma. Se questo testo si applica ai barbari, era stato adempiuto alla lettera, dato che Roma venne saccheggiata dai Goti e dai Vandali, e il potere imperiale d’occidente cessò quando Odoacre conquistò Roma. Oppure, se si riferisce a quei governanti dell’impero che operavano a favore del papato, contro i pagani e tutte le altre religioni nemiche, significherebbe la rimozione della sede dell’impero da Roma a Costantinopoli, cosa che contribuì la sua influenza per la caduta di Roma. In tal caso, il passaggio sarebbe parallelo a Daniele 8:11 e Apocalisse capitolo 13:2.
“Sopprimeranno il sacrificio continuoH8548.” In Daniele 8:13 è stato mostrato che “sacrificio” è una parola aggiunta erroneamente [Vedi Daniele 8:11 a pag 172, punto B8 a pag. 176, e Daniele 8:13,14 a pag. 179]; e che dovrebbe essere la desolazione; e l’espressione indica un potere desolante di cui “l’abominazione della desolazione” è solo la controparte che gli succede in un determinato periodo di tempo. La “continuazione” della desolazione era il paganesimo, mentre la “trasgressione della desolazione” è il papato. Ma si può domandare: In che modo questo può essere il papato? dato che Cristo ne parlò in connessione con la distruzione di Gerusalemme [Matteo 24:15; Luca 21:20]. La risposta è che Cristo evidentemente si riferiva al nono capitolo di Daniele, che è una predizione della distruzione di Gerusalemme, e non a questo verso del capitolo 11, che non si riferisce a quell’evento. Nel nono capitolo, Daniele parla di desolazioni e abominazioni, al plurale [Daniele 9:26,27]. Perciò, la chiesa sprofonderà
a causa di più di una abominazione; ovvero, per quanto riguarda la chiesa, sia il paganesimo che [283] il papato sono abominazioni. Ma dato che [queste abominazioni] si distinguono l’una dall’altra, di conseguenza restringono il linguaggio, quindi, una è la ‘continuazione della desolazione’, mentre l’altra è la ‘trasgressione (o abominazione) della desolazione.’
Come è stato soppresso il continuoH8548 [la continuazione della desolazione] o il paganesimo? Dato che se ne parla in connessione con lo stabilimento della ‘abominazione della desolazione’, ovvero il papato, non deve indicare soltanto il formale cambiamento della religione imperiale dal paganesimo al cristianesimo (come la presunta conversione di Costantino) ma anche uno sradicamento del paganesimo da tutto ciò che riguarda l’impero, affinché la strada sia completamente aperta per la salita al potere e per le arroganti pretese dell’abominazione papale. Un tale cambiamento, definito così chiaramente, accadde davvero, ma non prima di quasi duecento anni dopo la morte di Costantino.
Come ci avviciniamo all’anno 508 d.C. , osserviamo una grande crisi tra il cattolicesimo e le influenze pagane ancora esistenti nell’impero. Fino al tempo della conversione di Clodoveo, re di Francia, avvenuta nel 496 d.C. , la Francia e le altre nazioni dell’impero romano occidentale erano pagane; ma dopo quell’evento, gli sforzi per convertire gli idolatri al cattolicesimo romano vennero coronati da un grande successo. Si dice che la conversione di Clodoveo sia stata l’occasione per conferire al monarca francese i titoli di “cristiano più maestoso”, e di “figlio maggiore della chiesa.” Tra quel tempo e il 508 d.C. , attraverso le alleanze, le sconfitte, e le conquiste, furono sottomessi gli Arborici, le guarnigioni romane in occidente, la Bretagna, i Burgundi e i Visigoti.
Dal momento in cui furono pienamente raggiunti questi successi, ovvero dal 508 d.C. , il papato stava trionfando nei confronti del paganesimo; e anche se il paganesimo aveva senza dubbio ritardato il progresso della fede cattolica, tuttavia non ebbe il potere (anche se era disposto a farlo) di sopprimere la fede e di ostacolare le invasioni del pontefice romano. Quando i principali poteri europei rinunciarono al loro attaccamento al paganesimo, era soltanto per continuare le sue abominazioni in un altra forma; dato che il cristianesimo, come mostrato nella chiesa cattolica, era, ed è, soltanto un paganesimo purificato.
[284]
In Inghilterra, Arthur, il primo re cristiano, fondò l’adorazione cristiana sulle rovine del paganesimo. Rapin (libro 2, pag. 124), che afferma di essere esatto nella cronologia degli eventi, dice che Arthur venne eletto monarca della Bretagna nel 508 d.C.
In questo momento, era particolare anche la condizione della sede di Roma. Nel 498 d.C. , Simmaco salì sul trono pontificio, dopo essersi recentemente convertito dal paganesimo. Lui regnò sino al d.C. 514. Du Pin dice che Simmaco riuscì a salire al trono papale lottando con il suo concorrente, anche fino al sangue. Lui ricevette l’adulazione come il successore di san Pietro, ed esercitò l’arroganza dell’adozione papale intendendo scomunicare l’imperatore Anastasio Dicoro. Gli adulatori più servili del papa ora iniziarono a sostenere che egli fosse stato costituito giudice al posto di Dio, e che fosse il vice reggente dell’Altissimo.
Questa era la direzione verso cui stavano tendendo gli eventi in occidente. Contemporaneamente, qual’era la piega presa dagli affari in oriente?
Ora esisteva una forte fazione papale in tutte le parti dell’impero. Gli aderenti di questa causa a Costantinopoli, incoraggiati dal successo dei loro fratelli nell’occidente, ritennero con sicurezza di poter iniziare le aperte ostilità verso il loro maestro a Roma. Nel 508 d.C., il loro zelo partigiano culminò in un vortice di fanatismo e di guerra civile che devastò con il fuoco e col sangue le strade della capitale orientale. Parlando dei tumulti a Costantinopoli negli anni 508-518, Edward Gibbon dice:
“Le statue dell’imperatore furono rotte, e l’imperatore si nascose in un sobborgo, finché, dopo tre giorni, osò implorare la misericordia dei suoi sudditi. Senza il suo diadema, e nella posizione di un supplicante, Anastasio Dicoro apparve sul trono del circo. Davanti al suo volto, i cattolici provarono il loro genuino Trisagion [un inno liturgico delle chiese orientali cattoliche e ortodosse]; essi esultarono quando, attraverso la voce di un annunciatore, Anastasio Dicoro aveva proclamato di abdicare al trono; essi ascoltarono l’ammonizione che, dato che tutti non potevano regnare, dovevano prima mettersi d’accordo nella scelta di un sovrano; ed essi accettarono di far morire due ministri impopolari, che il loro maestro, senza esitazione, condannò ai leoni. Queste ribellioni furiose ma brevi furono incoraggiate dal successo di Vitaliano che, con un esercito di Unni e di Bulgari, [285] per la maggior parte idolatri, dichiarò se stesso come il campione della fede cattolica. In questa pia ribellione, Vitaliano sterminò la Tracia, assediò Costantinopoli, sterminò sessantacinquemila dei suoi compagni cristiani, finché non ottenne il richiamo dei vescovi, la soddisfazione del papa e l’istituzione del Concilio di Calcedonia, un trattato ortodosso che venne firmato malvolentieri dal morente Anastasio Dicoro, e più fedelmente eseguito dallo zio di Giustiniano. Questa era la prima di una serie di guerre religiose condotte nel nome, e attraverso i [presunti] discepoli del Dio della pace.” E. Gibbon, The history of the decline and fall of the roman empire, vol. 4, pag. 526.
Si deve notare che in questo anno, il 508 d.C. , il paganesimo era in declino, mentre il cattolicesimo si stava rafforzando, e che per la prima volta, la chiesa cattolica condusse con successo una guerra sia contro l’autorità civile dell’impero che la chiesa orientale, la quale aveva abbracciato, per la maggior parte, la dottrina monofisita. Il risultato fu lo sterminio di 65.000 eretici. Ulteriori prove riguardo al tempo sono fornite dalla profezia di Daniele 12:11, in cui è dichiarato che “dal tempo in cui sarà abolito il sacrifico continuo … vi saranno milleduecentonovanta giorni.” Dato che i versi 4,6,7,8,9 di questo capitolo parlano del “tempo della fine”, possiamo ragionevolmente concludere che lo stesso tempo è inteso nel verso 11. Tornando in dietro di 1290 “giorni”, o anni, dal “tempo della fine” iniziato nel 1798 d.C. (vedi pag. 290), arriviamo all’anno 508 d.C.
Da queste prove sembra chiaro che “la continuazione [della desolazione]”, o il paganesimo, venne abolita nel d.C. 508. Questo portò all’istituzione, o allo stabilimento del papato, che era un evento separato e successivo. Ora, la narrazione profetica ci porta a parlare di questo.
“E vi collocheranno l’abominazione che causa la desolazione.” Avendo mostrato abbastanza pienamente cosa costituiva la soppressione della “continuazione”, o del paganesimo, ora ci chiediamo: Quando venne collocata, o stabilita, l’abominazione che causa la desolazione, ovvero, il papato? Il piccolo corno che aveva gli occhi come gli occhi di un uomo non era lento a capire quando si apriva la strada per il suo avanzamento [286] e la sua elevazione. Dal 508 d.C. , il suo progresso verso la supremazia universale era senza precedenti.
Quando Giustiniano stava per iniziare la guerra vandalica, nel 533 d.C. (un impresa di non minor grandezza e difficoltà), voleva assicurarsi l’influenza del vescovo di Roma che, a quei tempi, aveva raggiunto una posizione che dava grande peso alla sua opinione attraverso una larga parte del cristianesimo. Pertanto, Giustiniano si prese il compito di decidere la contesa che esisteva da molto tempo, tra le sedi di Roma e Costantinopoli riguardo a chi avrebbe avuto la precedenza; lui scelse Roma, dichiarando in modo completo e inequivocabile che il vescovo di quella città sarebbe stato il capo dell’intero corpo ecclesiastico imperiale. Un opera sul libro dell’Apocalisse del reverendo George Croly, dell’Inghilterra, pubblicato nel 1827, presenta un dettagliato esame degli eventi attraverso cui venne assicurata la supremazia del papa di Roma. Croly riporta le parole con cui venne espressa la lettera di Giustiniano:
“Giustiniano, pio, fortunato, rinomato, trionfante, imperatore, console, ecc. , a Giovanni, il più santo arcivescovo della nostra città di Roma, e patriarca.
Rendendo onore alla sede apostolica e alla vostra santità, come è sempre stato, ed è, il nostro augurio, e onorando la vostra beatitudine come padre, abbiamo portato con sollecitudine alla conoscenza di sua santità, tutte le questioni relative allo stato delle chiese; è sempre stato il nostro grande desiderio, quello di preservare l’unità della vostra sede apostolica e la costituzione delle sante chiese di Dio, che fino ad oggi ha ottenuto e che ancora ottiene.
Di conseguenza, noi non abbiamo ritardato a sottomettere ed unire alla vostra santità tutti i preti dell’intero est. … Noi non possiamo sopportare che nulla riguardante lo stato della chiesa, per quanto manifesto e indiscutibile, debba essere mosso senza la conoscenza di sua santità, che è IL CAPO DI TUTTE LE SANTE CHIESE; dato che in tutte le cose, come abbiamo già dichiarato, siamo ansiosi di aumentare l’onore e l’autorità della vostra sede apostolica.” George Croly, pag. 114,115.
Il signor Croly continua: “La lettera dell’imperatore, deve essere già [287] stata inviata prima del 25 marzo 533 d.C. ; poiché nella lettera di quella data [da parte di Giustiniano] a Epifanio, lui dice di averla già spedita, e ripete la sua decisione che tutti gli affari riguardanti la chiesa devono essere riferiti al papa ‘il capo di tutti i vescovi, e il vero ed effettivo correttore degli eretici.’”
Il papa, nella sua risposta, ritornato lo stesso mese dell’anno successivo (il 534 d.C.), osserva che, tra le virtù di Giustiniano c’è anche: “uno che brilla come una stella – la sua riverenza per la sede apostolica, a cui lui ha sottomesso e unito tutte le chiese, è veramente davanti a tutti.”
Le “Novellae” del codice giustiniano danno una prova sicura dell’autenticità del titolo. Il preambolo del 9° codice afferma che: “come la maggiore, Roma era la fondatrice delle leggi, perciò non doveva essere messo in dubbio che in lei vi era la supremazia del pontificato.” Il 131° codice, sui titoli e i privilegi ecclesiastici, capitolo 2, dichiara: “Dunque, noi decidiamo che il più santo papa dell’antica Roma è il primo di tutti i sacerdoti, e che il più benedetto arcivescovo di Costantinopoli (la nuova Roma) dovrà avere il secondo posto dopo la santa sede apostolica dell’antica Roma.”
Verso la fine del sesto secolo, Giovanni Nesteutes di Costantinopoli negò la supremazia romana, auto-proclamandosi il titolo di “patriarca ecumenico”; dopo di che,
Gregorio il grande, indignato dall’usurpazione, denunciò Giovanni Nesteutes e (non sapendo di dire la verità) dichiarò che chiunque avesse assunto il titolo di patriarca ecumenico sarebbe stato l’anticristo. Nel 606 d.C. , l’imperatore Foca soppresse l’affermazione del vescovo di Costantinopoli, giustificando quella del vescovo di Roma. Foca, però, non era il fondatore della supremazia papale. George Croly dice che “Senza dubbio, Foca represse l’affermazione del vescovo di Costantinopoli. Anche se le più importanti autorità tra i civili e gli annalisti di Roma respingono l’idea che Foca fosse stato il fondatore della supremazia di Roma; essi indicano Giustiniano come l’unica fonte legittima, e datano correttamente il titolo dal memorabile anno 533 d.C.” Croly dice ancora: “Con riferimento a Cesare Baronio, l’autorità consolidata tra gli annalisti cattolici romani, ho trovato tutti i dettagli delle concessioni della supremazia formalmente conferite da Giustiniano al papa. [288] L’intera transazione era del tipo più autentico e regolare, e idoneo all’importanza del trasferimento.” George Croly, The Apocalypse of st John [L’apocalisse di san Giovanni] pagina 8.
Queste erano le circostanze che accompagnavano il decreto di Giustiniano. Le disposizioni di questo decreto, però, non potevano essere attuate tutte in una volta, perché Roma e l’Italia erano controllate dagli Ostrogoti, che erano di fede ariana, e che si opponevano fortemente alla religione di Giustiniano e del papa. Perciò era evidente che gli Ostrogoti dovevano essere sradicati da Roma prima che il papa potesse esercitare il potere con cui era stato rivestito. Per raggiungere questo obbiettivo, nel 534 d.C. iniziò la guerra italiana. La gestione della campagna venne affidata a Flavio Belisario. Nel suo avvicinamento verso Roma, parecchie città abbandonarono Vitige, il loro sovrano gotico ed eretico, e si unirono agli eserciti dell’imperatore cattolico. Decidendo di ritardare le operazioni offensive fino alla primavera, i Goti permisero a Flavio Belisario di entrare a Roma senza opposizione. I deputati del papa e del clero, del senato e del popolo, invitarono il luogotenente di Giustiniano ad accettare la loro volontaria alleanza.”
Belisario entrò a Roma il 10 dicembre del 536. Ma questa non era la fine della lotta, perché i Goti, riunendo le loro forze, contestarono il possesso della città attraverso un normale assedio iniziato nel marzo del 537. Belisario temette la disperazione e il tradimento da parte del popolo. Molti senatori, tra cui lo stesso papa Silverio, sulla prova o sul sospetto di tradimento, furono mandati in esilio. L’imperatore ordinò al clero di eleggere un nuovo vescovo. Gibbon dice che dopo aver solennemente invocato lo Spirito Santo, essi elessero il diacono Vigilio che, attraverso una tangente di duecento libbre d’oro, aveva acquistato l’onore.
L’intera nazione degli Ostrogoti si era radunata per l’assedio di Roma, ma i loro sforzi non ebbero successo perché la loro moltitudine svanì a causa dei frequenti e sanguinosi combattimenti sotto le mura cittadine; e durante l’anno e nove giorni di durata dell’assedio, si assistette alla quasi completa distruzione dell’intera nazione [degli Ostrogoti]. Nel mese di marzo del 538 d.C. gli Ostrogoti erano minacciati da pericoli provenienti da altre parti, quindi sospesero l’assedio, bruciarono le loro tende e si ritirarono tumultuosamente e disordinatamente dalla città, con un numero di persone scarsamente sufficiente a preservare la loro esistenza come nazione, o la loro identità come popolo.
[289]
Così, il corno gotico, l’ultimo dei tre, fu sradicato alla presenza del piccolo corno di Daniele 7. Ora nulla impediva al papa di esercitare il potere conferitogli da Giustiniano, cinque anni prima. Ora i santi, i tempi e le leggi erano nelle sue mani, non solo nelle intenzioni, ma anche nei fatti. Questo [538 d.C.] deve essere considerato come l’anno in cui venne posta, o stabilita, questa abominazione, e come punto di inizio dei predetti 1260 anni della sua supremazia.
“Verso 32 Con lusinghe corromperà coloro che agiscono empiamente contro il patto; ma il popolo di quelli che conoscono il loro DIO mostrerà fermezza e agirà.”
Coloro che abbandonano il patto, le Sacre Scritture, e pensano più ai decreti dei papi e alle decisioni dei concili rispetto alla parola di Dio – verranno corrotti dal papa attraverso le lusinghe, ovvero, li guiderà nel loro devoto zelo per se stesso attraverso il conferimento di ricchezza, posizione sociale e onori. Al tempo stesso, però, esisterà un popolo che conosce il proprio Dio, che mostra fermezza e che agisce. Costoro mantennero viva la pura religione nel mondo durante le oscure tenebre della tirannia papale [il medioevo], ed eseguirono dei meravigliosi atti di abnegazione e di eroismo religioso a favore della loro fede. Tra questi spiccano i Valdesi, gli Albigesi, gli Ugonotti, ecc.
“Verso 33 E quelli che hanno sapienza fra il popolo ne istruiranno molti, ma per un certo tempo cadranno per la spada, il fuoco, l’esilio e il saccheggio.”
Qui viene mostrato il lungo periodo della persecuzione papale contro coloro che stavano lottando per mantenere la verità ed istruire i loro compagni nelle vie della giustizia. In Daniele 7:25; 12:7; Apocalisse 12:6,14; 13:5 è dato il numero dei giorni durante il quale essi dovevano cadere. Il periodo è chiamato “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”, “milleduecentosessanta giorni”, e “quarantadue mesi”: si tratta dei 1260 anni della supremazia papale.
“Verso 34 Quando cadranno, sarà loro dato un po’ di aiuto, ma molti si uniranno a loro con false apparenze.”
[290]
In Apocalisse 12, dove è mostrata questa stessa persecuzione papale, leggiamo che la terra aiutò la donna aprendo la sua bocca per ingoiare l’inondazione che il dragone gli aveva gettato dietro. La grande Riforma di Lutero e i suoi collaboratori diede l’aiuto qui preannunciato. Gli stati tedeschi difesero la causa protestante, protessero i riformatori, e trattennero la furiosa opera di persecuzione della chiesa papale. Ma quando i protestanti furono aiutati, e la causa iniziò a diventare popolare, molti si unirono a loro con false apparenze, ovvero, abbracciarono la causa per motivi indegni, falsi, insensibili, e a causa del loro egoismo parlarono in modo pacifico e amichevole.
“Verso 35 Alcuni di quelli che hanno sapienza cadranno, per essere affinati, purificati e imbiancati fino al tempo della fine, perché questo avverrà al tempo stabilito.”
Anche se contenuto, lo spirito della persecuzione non venne distrutto, ma scoppiava ogni volta che se ne presentava l’occasione. In modo speciale, questo era il caso dell’Inghilterra. Lo stato religioso di quella nazione fluttuava tra la giurisdizione protestante e quella papale, in base alla religione della casa dominante. La sanguinaria regina Maria [soprannominata “bloody Mary”, “Maria la sanguinaria”] era un nemico mortale per la causa protestante, e moltitudini caddero vittime delle sue implacabili persecuzioni. La condizione di questi eventi doveva durare più o meno sino al tempo della fine. La naturale conclusione sarebbe che, quando arriverà il tempo della fine,
il potere di punire gli eretici posseduto dalla chiesa di Roma (che era la causa di tutte queste persecuzioni, e che per un certo tempo era stato trattenuto), ora dovrebbe essere interamente soppresso; ed è altrettanto evidente che questa soppressione della supremazia papale segnerebbe l’inizio del periodo qui chiamato come “tempo della fine.” Se questa applicazione è corretta, il tempo della fine iniziò nel 1798 d.C. ; dato che a quel tempo, come già notato, il papato venne sconfitto dalla Francia e da allora non era stato più in grado di esercitare il potere posseduto precedentemente. È evidente che qui ci si riferisce all’oppressione della [vera] chiesa [di Dio] da parte del papato, [291] [292] perché (con la possibile eccezione di Apocalisse 2:10) quello è l’unico potere connesso con un “tempo stabilito”, o un periodo di tempo profetico.
“Verso 36 Quindi il reH4428 agirà come vuole, si innalzerà, si magnificherà al di sopra di ogni dio e proferirà cose sorprendenti contro il Dio degli dei; prospererà finché l’indignazione sia completata, perché ciò che è decretato si compirà.”
[H4428 melek = un re, reale]
Il re qui introdotto non può indicare lo stesso potere che abbiamo visto precedentemente, ovvero, il potere papale, dato che queste caratteristiche non si possono applicare a questo potere. Prendete una dichiarazione nel verso seguente: “Non avrà riguardo ad alcun Dio”. Questo non è mai stato vero del papato. Anche se Dio e Cristo sono stati spesso collocati in una falsa posizione, non sono mai stati messi da parte e rifiutati da quel sistema religioso [cattolico romano]. L’unica difficoltà nell’applicarlo ad un nuovo potere si trova nell’articolo definito “IL”; dato che l’espressione “IL re” lo identificherebbe come l’ultimo di cui si è parlato. Se lo si potesse tradurre correttamente in “UN re”, non ci sarebbe alcuna difficoltà; è detto che alcuni dei migliori critici della Bibbia (Mede, Wintle, Boothroyd e altri) traducono questo verso così, “UN CERTO RE agirà come vorrà”, in questo modo, viene chiaramente introdotto un nuovo potere.
Nel potere che adempie questa profezia devono essere notate tre particolari caratteristiche: #1 si deve tenere conto del carattere qui descritto vicino all’inizio del tempo della fine, verso cui siamo stati portati nel versetto precedente; #2 deve essere un potere che farà ciò che vuole; #3 deve essere un potere ateo; o magari le ultime due caratteristiche potrebbero essere unite nel senso che la sua ostinazione si manifesterà a favore dell’ateismo. Una rivoluzione che risponde esattamente a questa descrizione, accadde in Francia al tempo indicato dalla profezia. Voltaire piantò i semi che portarono il loro legittimo frutto velenoso. Nel suo pomposo ma impotente orgoglio, quell’arrogante infedele disse: “Sono stanco di sentire le persone ripetere che dodici uomini stabilirono la religione cristiana. Io dimostrerò che un solo uomo può bastare a sconfiggerla.” In associazione con Rousseau, D’Alembert, Diderot e altri, Voltaire intraprese l’opera. Essi seminarono [293] vento, e raccolsero la tempesta. [Osea 8:7] I loro sforzi culminarono nel “regno del terrore” del 1793, quando la Bibbia venne scartata, e venne negata anche l’esistenza della divinità come voce della nazione.
Lo storico descrive questo grande cambiamento religioso in questo modo:
“Loro dissero che per una nazione rigenerata non era sufficiente aver detronizzato i re terreni, infatti dovevano sfidare quei poteri che la superstizione aveva rappresentato come regnanti sullo spazio illimitato.” – The life of Napoleon… di Walter Scott, vol. 1, pag 172.
Ancora una volta, Scott dice:
“Il vescovo costituzionale di Parigi svolse la parte principale della farsa più impudente e scandalosa mai presentata davanti ad una assemblea rappresentativa nazionale … Egli venne portato alla testa della processione, per dichiarare alla convenzione che la religione che lui aveva insegnato per così tanti anni era, in ogni suo aspetto, UNA INVENZIONE DEI PRETI che non aveva fondamento sia nella storia che nella verità sacra. Egli negò, in termini solenni ed espliciti, L’ESISTENZA DELLA DEITÀ, al cui culto era stato consacrato, impegnandosi in futuro a dare omaggio alla libertà, all’uguaglianza, alla virtù e alla moralità. Poi posò sul tavolo la sua decorazione episcopale e ricevette un abbraccio fraterno dal presidente della convenzione. Diversi preti apostati seguirono l’esempio di questo prelato. … Per la PRIMA volta, il mondo ascoltò un gruppo di uomini (nati ed educati nella civiltà, e che pretendevano il diritto di governare una delle migliori nazioni europee) alzare la loro voce unita per NEGARE la verità più solenne che l’anima umana abbia mai ricevuto, e RINUNCIARE ALL’UNANIMITÀ LA FEDE E L’ADORAZIONE DELLA DEITÀ.” Ibid Vol.1, pag. 173.
Nel novembre 1870, uno scrittore del Blackwood’s Magazine [una rivista inglese], disse:
“La Francia è l’unica nazione del mondo di cui sopravvive l’autentica documentazione in cui, come nazione, aveva alzato la sua mano in aperta ribellione contro l’autore dell’universo. In Inghilterra, Germania, Spagna e altrove ci sono stati, e continuano ad esserci, molti blasfemi e molti infedeli, ma la Francia si distingue nella storia del mondo come [294] l’unico stato che, attraverso il decreto della sua assemblea legislativa, ha dichiarato che non c’era Dio, e di cui l’intera popolazione della capitale (e una vasta maggioranza altrove) di uomini e donne, ballavano e cantavano con gioia accettando l’annuncio.”
Ma ci sono altre caratteristiche ancora più impressionanti che vennero adempiute in questo potere.
“Verso 37 Egli non avrà riguardo al DIO dei suoi padri, né al desiderio delle donneH802; non avrà riguardo ad alcun dio, perché si magnificherà al di sopra di tutti.”
[H802 ‘ishshah = donna, sposa]
La parola ebraica per “donna” si traduce anche come “sposa”; ed il vescovo Newton osserva che questo passaggio sarebbe meglio tradotto così: “il desiderio delle mogli. Ciò sembrerebbe indicare che, al tempo stesso, questo governo dichiara che Dio non esiste, e calpesta la legge che Dio aveva dato per regolare l’istituzione del matrimonio. Scopriamo che lo storico, magari inconsciamente … e se fosse così sarebbe ancora più importante, ha unito l’ateismo e la licenziosità di questo governo nello stesso modo in cui sono presentati nella profezia.” Lui dice:
“Intimamente legata a queste leggi che interessano la religione, era quella che riduceva l’unione matrimoniale – l’impegno più sacro che gli esseri umani possono formare, e dalla cui stabilita dipende il consolidamento della società – ad un semplice contratto civile di carattere transitorio in cui qualsiasi due persone possono unirsi o lasciarsi a piacimento, quando i loro gusti cambiavano o il loro appetito era gratificato. Se i demoni avessero operato per scoprire un modo più efficace per distruggere tutto ciò che è venerabile, grazioso o permanente nella vita domestica, assicurandosi che il danno si sarebbe succeduto da una generazione all’altra, non avrebbero potuto inventare un piano più efficace del degrado del matrimonio in uno stato di semplice convivenza occasionale o come un permesso di concubinato. Sophie Arnoult, un attrice famosa per il suo modo di parlare in modo brillante, descrive il matrimonio repubblicano come il sacramento dell’adulterio. [295] Queste norme contro la religione e contro la società non soddisfano gli scopi dei furiosi e sconsiderati zeloti che li hanno emanati con urgenza.” – The life of Napoleon… vol. 1, pag. 173 di W. Scott.
“Non avrà riguardo ad alcun dio.” In aggiunta alla testimonianza già presentata per mostrare il totale ateismo della nazione [francese] in questo momento, si documenterà il seguente linguaggio folle e presuntuoso:
“Il timore di Dio è lontanissimo dall’essere l’inizio della saggezza, infatti è l’inizio della follia. La modestia è soltanto l’invenzione di una raffinata provocazione. Il Re Supremo, il Dio degli Ebrei e dei cristiani, è solo un fantasma. Gesù Cristo è un impostore.”
Un altro scrittore dice:
“Il 26 agosto 1792, la Convenzione Nazionale fece un aperta confessione di ateismo, e nella nazione francese si trovavano dappertutto, senza paura, le società e i club atei. I massacri e il regno del terrore divennero i più orribili.” Key to the Revelation [La chiave per l’Apocalisse] di Ethan Smith, pag. 323.
“Hebert, Chaumette e i suoi compagni si presentarono nel consiglio, e dichiararono che Dio non esisteva.” Alison, vol. 1, pag 150.
A questo punto, erano proibiti tutti i culti religiosi, tranne quello della libertà e della nazione. I piatti d’oro e d’argento delle chiese vennero sequestrati e dissacrati. Le chiese vennero chiuse. Le campane furono rotte e trasformate in cannoni. La Bibbia venne bruciata pubblicamente. Gli utensili sacramentali furono fatti sfilare per le strade su di un mulo, in segno di disprezzo. Venne stabilita una settimana di dieci giorni anziché sette, e attraverso le grandi lettere poste sui luoghi di sepoltura, la morte fu dichiarata essere un sonno eterno. Ma la bestemmia più grande, se queste orgie infernali possono essere messe in ordine, doveva essere eseguita dall’attore Monvel, che, come un prete dell’Illuminismo, disse:
“Dio, se esisti, vendica il tuo nome ingiuriato. Io ti sfido! Tu rimani in silenzio. Non osi lanciare i tuoi tuoni! Chi, dopo questo, crederà nella tua esistenza? L’intero sistema ecclesiastico venne distrutto.” – The life of Napoleon… vol. 1, pag. 173, di Walter Scott.
[296] [297]
Ecco cos’è l’uomo quando è lasciato a se stesso, ed ecco cos’è l’infedeltà quando viene tolto il freno della legge e lui detiene il potere nelle sue mani! Si può dubitare che queste scene siano state previste dall’Onnipotente, e annotate nelle pagine sacre, quando Lui indicò che sarebbe sorto un regno che si sarebbe esaltato sopra ogni dio e li avrebbe ignorati tutti?
“Verso 38 Ma al loro posto egli onorerà il dioH433 delle fortezze e onorerà con oro, argento, pietre preziose e cose piacevoli, un dio che i suoi padri non conobbero.”
[H433 ‘elowahh = Dio, falso dio ; per Gesenius la parola si riferisce al vero Dio.]
In questo verso troviamo un apparente contraddizione. Come può una nazione ignorare ogni dio, e tuttavia onorare il Dio delle fortezze? Non si possono mantenere contemporaneamente entrambe le posizioni; ma per un certo tempo potrebbe ignorare tutti gli dei, e poi introdurre successivamente un altro culto e onorare il Dio delle fortezze. Nel periodo che stiamo trattando, c’è stato un tale cambiamento in Francia? Si, c’è stato! Il tentativo di rendere la Francia una nazione senza Dio produsse un anarchia tale che i governanti temettero di perdere interamente il potere, e quindi percepirono che, come necessità politica, dovesse essere introdotto un qualche tipo di culto; essi, però, non intendevano introdurre un movimento che avrebbe aumentato la devozione o sviluppato qualsiasi vero carattere spirituale tra la gente, ma solo qualcosa che li avrebbe lasciati al potere, dandogli il controllo delle forze nazionali. Alcune citazioni dalla storia lo mostreranno. All’inizio, la libertà e la nazione erano gli oggetti dell’adorazione. “Libertà, uguaglianza, virtù e moralità”, proprio l’opposto di tutto ciò che in realtà possedevano o che esibivano nella pratica, erano le parole che essi usavano per descrivere la deità della nazione. Nel 1793 venne introdotta l’adorazione della “dea della ragione” e lo storico la descrive in questo modo:
“Una delle cerimonie di questo folle tempo resta ineguagliabile per l’assurdità combinata con l’irriverenza. Le porte della convenzione vennero aperte ad una banda di musicisti, i quali erano preceduti dai membri del corpo comunale che entrarono in una solenne processione, cantando un inno in lode alla libertà, e scortando, come oggetto della loro futura adorazione, una donna con addosso un velo che essi chiamarono la ‘dea della ragione.’ Essendo stata introdotta nella corte, [298] le venne solennemente tolto il velo, e prese posto alla destra del presidente; tutti la riconobbero essere una ballerina dell’opera, il cui fascino era familiare alla maggior parte della gente a causa delle sue apparizioni nel palco… mentre la conoscenza di alcuni altri andava ben oltre. La Convenzione Nazionale Francese rese un pubblico omaggio a questa persona considerata il migliore emblema della ragione che essi adoravano. Questo rito sacrilego e ridicolo aveva un certo seguito, e l’insediamento della ‘dea della ragione’ venne rinnovato e imitato in tutta la nazione, nei posti in cui gli abitanti desideravano mostrarsi d’accordo con tutte le cose più importanti della rivoluzione.” The life of Napoleon… vol. 1, cap. 17, di Walter Scott,
Nel 1794, introducendo il culto della ragione, Chaumette disse:
“Il fanatismo legislativo aveva perso il controllo; aveva dato posto alla ragione. Noi abbiamo lasciato i suoi templi; essi sono stati rigenerati. Oggi, un immensa moltitudine è riunita sotto i suoi tetti gotici che, per la prima volta, faranno riecheggiare la voce della verità. Lì, la Francia celebrerà il suo vero culto – quello della ‘libertà’ e della ‘ragione’. Lì, formeremo nuovi giuramenti per la prosperità degli eserciti della Repubblica; lì, abbandoneremo il culto degli idoli inanimati per quello della ragione – questa immagine animata, il capolavoro della creazione.”
“Una femmina coperta da un velo, adorna di un drappeggio blu, venne portata nella convenzione; e Chaumette, prendendola per mano disse:
“Mortali, cessate di tremare davanti ai tuoni impotenti di un Dio che le vostre paure hanno creato. Di conseguenza, NON RICONOSCETE ALCUNA DIVINITÀ MA SOLO LA RAGIONE. Io vi offro la sua immagine più nobile e pura; se dovete avere degli idoli, sacrificate soltanto ad uno come questo. … Cadi davanti al maestoso ‘senato della libertà’, o ‘velo della ragione.’ ”
“Nello stesso tempo, apparve la dea, personificata da una famosa bellezza, Madame Millard, dell’opera, conosciuta in più di un personaggio dalla maggior parte della convenzione. Dopo essere stata abbracciata dal presidente, la dea montò sopra un magnifico carro, e condotta, in mezzo ad un immensa folla, alla cattedrale di Notre Dame, per sostituire la Divinità. Lì, lei venne elevata sull’altare maggiore e ricevette l’adorazione di tutti i presenti.
[299] [300]
L’11 novembre, la popolare società del museo entrò nella sala del comune esclamando: ‘Vive la raison!’ [Viva la ragione!] e sbandierando in cima ad un asta i resti ancora fumanti di vari libri, tra cui alcuni breviari e l’Antico ed il Nuovo Testamento che, come disse il presidente, ‘scontavano la pena in un grande fuoco per tutte le follie che hanno fatto commettere al genere umano.’
Nello stesso periodo, le relazioni più sacre della vita erano collocate su un nuovo piano adattato alle idee stravaganti di quei tempi. Il matrimonio era dichiarato un contratto civile, vincolante solo durante il piacere delle parti contraenti. Mademoiselle Arnoult, una famosa attrice, espresse la sensazione pubblica quando disse ‘matrimonio, il sacramento dell’adulterio.’” Ibid
In verità, questo era uno strano dio che i padri di quella generazione non conoscevano. Prima di allora, nessuna simile divinità era mai stata posta come oggetto di adorazione. E potrebbe essere giustamente chiamato il “dio delle fortezze”, dato che l’obbiettivo del movimento era quello di indurre la gente a rinnovare la loro alleanza e a ripetere i loro giuramenti per la prosperità degli eserciti della Francia. Leggiamo ancora alcune righe dallo stesso estratto:
“Noi abbiamo lasciato i suoi templi; essi sono stati rigenerati. Oggi, un immensa moltitudine è riunita sotto i suoi tetti gotici che, per la prima volta, faranno riecheggiare la voce della verità. Lì, la Francia celebrerà il suo vero culto – quello della ‘libertà’ e della ‘ragione’. Lì, formeremo nuovi giuramenti per la prosperità degli eserciti della Repubblica”7
“Verso 39 Egli agirà contro le fortezze più fortificate con l’aiuto di un dio straniero; ricolmerà di gloria quelli che egli riconoscerà, li farà dominare su molti e darà loro terre in ricompensa.”
Il sistema pagano che era stato introdotto in Francia, come illustrato nell’adorazione dell’idolo stabilito nella persona della “dea della ragione”, e regolato da un rituale pagano [301] che era stato emanato dall’Assemblea Nazionale a beneficio del popolo francese, restò in vigore sino alla nomina di Napoleone al consolato provvisorio francese, nel 1799. Gli aderenti di questa strana religione occuparono i luoghi fortificati, le fortezze della nazione, proprio come espresso in questo verso.
Ma quello che permette di identificare l’applicazione di questa profezia con la Francia, magari tanto chiaro quanto qualsiasi altro particolare, è l’affermazione fatta alla fine del verso, ovvero, che “darà loro terre in ricompensa.” Prima della rivoluzione, la proprietà terriera della Francia era nelle mani di pochi proprietari che possedevano immense terre. Per legge, queste terre non potevano essere divise, in modo da non poter essere ripartite tra gli eredi o i creditori. La rivoluzione, però, non conosce alcuna legge; e nell’anarchia che in questo momento regnava, come noto anche in Apocalisse 11, vennero aboliti i titoli nobiliari, e le loro terre divise in piccoli lotti per il beneficio della pubblica amministrazione. Il governo aveva bisogno di soldi, e queste grandi proprietà terriere vennero confiscate, e vendute all’asta in lotti per richiamare degli acquirenti. Lo storico documenta questa particolare transazione:
“La confisca di due terzi della proprietà terriera del regno, attuata dai decreti della convenzione contro gli immigrati, il clero e le persone condannate nei tribunali rivoluzionari … fecero guadagnare più di 700.000.000 di sterline a disposizione del governo.” Alison, vol. 4, pag. 151.
Quale evento e quale nazione adempiono più completamente la profezia della Francia? Come la nazione iniziò a prendere coscienza, venne chiesta una religione più razionale, e il rituale pagano venne abolito. Lo storico descrive questo evento:
Una terza e più audace misura fu il rigetto del rituale pagano e la riapertura delle chiese per il culto cristiano; e il merito di questa opera era interamente di Napoleone, che doveva contendere con i pregiudizi filosofici di quasi tutti i suoi colleghi. Parlando con loro, lui non cercava di rappresentarsi come un credente cristiano, ma riteneva [302] giusta la necessità di dare al popolo i normali mezzi di adorazione, laddove ci fosse uno stato di tranquillità. I preti che scelsero di giurare fedeltà al governo poterono riprendere le loro funzioni; e questa saggia misura venne seguita da non meno di 20.000 ministri religiosi che, fino a quel momento, avevano sofferto nelle prigioni della Francia.” – The history of Napoleon Bonaparte di John Gibson Lockhart, vol.1, pag 154.
Così, terminò il regno del terrore e la rivoluzione infedele. Dalle rovine sorse Napoleone Bonaparte, che sfruttò il tumulto a suo favore, posizionandosi alla guida del governo francese, e terrorizzando il cuore delle nazioni.
“Verso 40 Al tempo della fine il re del sud si scontrerà con lui, il re del nord verrà contro di lui come un turbine con carri e cavalieri e con molte navi; penetrerà nei paesi, li inonderà e passerà oltre.”
Dopo un lungo intervallo, appaiono nuovamente il re del sud e il re del nord. Non abbiamo trovato nulla che ci potesse indicare che noi dobbiamo cercare questi [due] poteri in qualsiasi altre località diverse da quelle che, poco dopo la morte di Alessandro Magno, costituivano rispettivamente le parti meridionali e settentrionali del suo impero. Ai tempi della morte di Alessandro, il re del sud era l’Egitto, e il re del nord era la Siria, inclusa la Tracia e l’Asia minore. Tutti sono d’accordo che l’Egitto è ancora il re del sud, mentre per gli ultimi 400 anni, il territorio che in origine costituiva il re del nord è stato interamente incluso nei domini del sultano della Turchia. Quindi, dobbiamo cercare un adempimento di questo versetto nell’Egitto e nella Turchia in connessione con l’ultimo potere sotto esame [la Francia].
Questa applicazione della profezia riguarda un conflitto che deve sorgere tra l’Egitto e la Francia, e tra la Turchia e la Francia, nel 1798, anno che, come abbiamo visto, segnò l’inizio del tempo della fine; se la storia testimonia che nel 1798 scoppiò una guerra “triangolare” del genere, sarà una prova definitiva della correttezza dell’applicazione.
Quindi, ci chiediamo: È un dato di fatto che all’epoca del tempo della fine [1798 d.C.], l’Egitto si scontrò, o fece una debole resistenza, [303] mentre la Turchia venne “come un turbine” contro “di lui”, ovvero contro il governo francese? Abbiamo già prodotto alcune prove che dicono come il tempo della fine iniziò nel 1798; e chiunque legge la storia è a conoscenza che in quell’anno iniziarono aperte ostilità tra la Francia e l’Egitto.
Lo storico avrà una sua opinione di quanto questo conflitto deve la sua origine ai deliranti sogni di gloria dell’ambizioso Napoleone Bonaparte; ma la Francia, o almeno Napoleone, escogitarono un piano per far sembrare che l’Egitto fosse l’aggressore. Così, quando invase l’Egitto assicurandosi il suo primo punto di appoggio in Alessandria, napoleone dichiarò di “non essere venuto per distruggere il paese, né per strapparlo via dal sultano turco, ma solo per liberarlo dal dominio dei Mamelucchi, e per vendicare gli oltraggi che loro avevano commesso contro la Francia.” – The history of the French revolution, [La storia della rivoluzione francese] vol. 4, pag. 268 di Adolphe Thiers.
Nuovamente, lo storico dice: “Inoltre, (Bonaparte) aveva forti ragioni per spingersi contro di loro (i Mamelucchi), dato che essi non avevano mai smesso di maltrattare la Francia.” Ibid, pag. 273.
All’inizio del 1798, la Francia era dedicata in immensi progetti contro gli inglesi. Il direttorio desiderava che Bonaparte invadesse immediatamente l’Inghilterra; ma lui vide che prima dell’autunno una tale operazione non poteva essere saggiamente intrapresa, e non voleva mettere in pericolo la sua crescente reputazione trascorrendo l’estate nell’ozio. Lo storico dice “Ma lui vide una terra lontana, dove poteva essere ottenuta una gloria che gli avrebbe procurato un nuovo fascino agli occhi dei suoi connazionali attraverso le avventure ed il mistero che avvolgevano quel posto. L’Egitto, la terra dei faraoni e dei Tolomei, sarebbe stata un nobile campo per nuovi trionfi.” History of France, from the earlest times to MDCCCXLVIII [1848], pag. 469 del reverendo James White.
Ma nel frattempo, ancora più ampie visioni di gloria si aprirono davanti a Bonaparte in quelle storiche terre orientali che non riguardavano solo l’Egitto, ma anche la Siria, la Persia, l’Indostan, e sino allo stesso Gange, lui non ebbe alcuna difficoltà a persuadere il direttorio che l’Egitto fosse il punto vulnerabile attraverso cui colpire l’Inghilterra, intercettando le sue rotte commerciali orientali. Perciò, [304] la campagna egiziana venne intrapresa con la scusa suddetta.
La caduta del papato, che segnò la fine dei 1260 anni, e che in base al verso 35 mostrò l’inizio del tempo della fine, avvenne il 10 febbraio 1798, quando Roma cadde nelle mani di Berthier, il generale francese. Il 5 marzo seguente, Bonaparte ricevette il decreto del direttorio relativo alla spedizione contro l’Egitto. Il 3 maggio, lui lasciò Parigi, e il 29 dello stesso mese salpò da Tolone con un grande armamento navale composto da 500 navi a vela che trasportavano 40.000 soldati e 10.000 marinai. Il 5 luglio, Alessandria venne presa e immediatamente fortificata. Il 23 luglio venne combattuta la decisiva battaglia delle piramidi, in cui i Mamelucchi combatterono con valore e disperazione, ma senza poter battere le disciplinate legioni francesi.
Murad Bey perse tutti i suoi cannoni, 400 cammelli e 3000 uomini, mentre la perdita dei francesi era comparativamente più bassa. Il 24 luglio, Bonaparte entrò nel Cairo, la capitale egiziana, e attese che le acque del Nilo si abbassassero per poter inseguire Murad Bey, il quale si era ritirato nell’Alto Egitto con i resti della sua cavalleria, per poter così conquistare l’intero paese. In questo modo, il re del sud era in grado di fare una debole resistenza.
A questo punto, la situazione di Napoleone cominciò a diventare precaria. La flotta francese, l’unica via di comunicazione di Napoleone con la Francia, venne distrutta ad Aboukir dagli inglesi alla guida di Nelson; il 2 settembre 1798, il sultano della Turchia, che nutriva sentimenti di gelosia contro la Francia (sentimenti astutamente incoraggiati dagli ambasciatori inglesi a Costantinopoli), e che era anche esasperato dal timore che l’Egitto, per così tanto tempo semi-dipendente dall’impero ottomano, dovesse essere trasformato in provincia francese, dichiarò guerra contro la Francia. Così, il re del nord (la Turchia) venne contro di lui (la Francia) nello stesso anno in cui il re del sud (l’Egitto) si “scontrò con lui” [la Francia] ed entrambi “al tempo della fine”: questa è un’altra prova finale che il 1798 è l’anno in cui inizia quel periodo; e tutto questo è una dimostrazione che questa applicazione della profezia è corretta, altrimenti tutti questi eventi che si incontrano così precisamente secondo le caratteristiche della profezia non sarebbero potuti accadere [305] tutti insieme, e non avrebbero costituito un adempimento della profezia.
La venuta del re del nord (la Turchia) era come un turbine rispetto allo scontro con [il re del sud] l’Egitto? Napoleone aveva frantumato gli eserciti egiziani, e cercava di fare la stessa cosa con gli eserciti del sultano, che minacciavano un attacco dalla parte dell’Asia. Il 27 febbraio 1799, alla testa di 18.000 soldati, Napoleone iniziò la sua marcia dal Cairo alla Siria. Innanzi tutto, lui prese il forte di El-Arish, nel deserto, poi Giaffa (chiamata anche Jafo o Ioppe nella Bibbia), conquistò gli abitanti di Nablus a Zeita Jamma’in, e vinse nuovamente a Giaffa. Nel frattempo, un forte gruppo di turchi si era trincerato ad Acri, mentre una moltitudine di musulmani si radunò nelle montagne di Samaria, pronti a colpire i francesi quando questi avessero assediato Acri. Nello stesso tempo, sir Sidney Smith arrivò ad Acri con due navi inglesi, rafforzò la guarnigione turca di quel luogo, e catturò le macchine per l’assedio che Napoleone aveva inviato via mare da Alessandria. Presto, una flotta turca apparve in mare aperto e, con i vascelli russi e inglesi che a quei tempi collaboravano con loro, costituirono le “molte navi” del re del nord.
L’assedio iniziò il 18 marzo. Napoleone fu chiamato due volte per salvare alcune divisioni francesi che stavano cadendo nelle mani delle orde dei mussulmani che riempivano il paese. Per due volte, venne anche fatta una breccia nel muro della città, ma gli aggressori [i francesi] incontrarono una tale furia da parte della guarnigione [turca] che, nonostante i loro migliori sforzi, furono costretti ad abbandonare la lotta. Dopo sessanta giorni continui, Napoleone interruppe l’assedio suonando, per la prima volta nella sua carriera, la ritirata, ed il 21 maggio 1799, iniziava a ritornare verso l’Egitto.
“Li inonderà e passerà oltre.” Abbiamo scoperto degli eventi che forniscono uno straordinario adempimento dello scontro del re del sud [Egitto], ed il turbine dell’attacco del re del nord [Turchia] contro il potere francese. Finora c’è proprio un accordo generale nell’applicazione della profezia. Ora arriviamo al punto in cui le opinioni degli espositori iniziano a separarsi. A chi si riferiscono le parole “li inonderà e passerà oltre”? – Alla Francia o al re del nord? [306] L’applicazione del resto di questo capitolo dipende dalla risposta a questa domanda. D’ora in poi, sono mantenute due diverse linee interpretative. Alcuni applicano le parole alla Francia, cercando di trovare un adempimento nell’opera di Napoleone. Altri le applicano al re del nord, e perciò indicano un adempimento negli eventi della storia della Turchia. Noi parleremo soltanto di queste due posizioni, dato che il tentativo fatto da alcuni per applicare questo passo al papato è così evidentemente forzato che la sua considerazione non ci deve trattenere oltre. Se nessuna di queste [due] posizioni è senza difficoltà (e noi crediamo che nessuno lo pensi, assolutamente), ci resta soltanto da prendere quella favorita dal peso delle evidenze. Dovremo trovarne una con così tante evidenze da escludere tutte le altre e non lasciare spazio a dubbi sulla visione di cui stiamo parlando.
Riguardo l’applicazione di questa parte della profezia nei confronti di Napoleone o della Francia sotto la sua guida, e per quello che conosciamo della sua storia, non troviamo eventi che possiamo raccomandare con alcun grado di sicurezza come l’adempimento della parte restante di questo capitolo, e perciò non si vede in che modo possa essere applicata. Quindi, [l’applicazione di questa parte della profezia] deve essere adempiuta dalla Turchia, a meno che si possa dimostrare: #1 che l’espressione “re del nord” non si applica alla Turchia, oppure #2 che esista un altro potere oltre alla Francia o al re del nord, che adempie questa parte della predizione. Ma se la Turchia, che ora occupa il territorio che costituiva la parte settentrionale dell’impero di Alessandro Magno, non è il re del nord di questa profezia, allora restiamo senza alcun principio che ci guidi nell’interpretazione; e pensiamo che tutti siano d’accordo che qui non vi sia spazio per l’introduzione di nessun altro potere. Il re francese, e il re del nord sono gli unici ai quali può essere applicata la predizione. L’adempimento deve riguardare uno di loro.
Alcune considerazioni favoriscono certamente l’idea che nell’ultima parte del verso 40 ci sia un trasferimento della responsabilità profetica dal potere francese al re del nord. Il re del nord è introdotto poco prima, venendo come un turbine, con carri, cavalieri e molte [307] navi. Abbiamo già notato lo scontro tra questo potere ed i francesi. Con l’aiuto dei suoi alleati, il re del nord ha vinto questa contesa; mentre i francesi, frustrati nonostante i loro sforzi, sono stati rimandati in Egitto. Ora, sembra più naturale riferire la frase “li inonderà e passerà oltre” a quel potere che trionfò da quella lotta, ovvero, al potere della Turchia. Resta soltanto da aggiungere che colui che conosce l’ebraico ci assicura che la costruzione di questo passaggio è tale da rendere necessario riferire “l’inondazione” ed “il passare oltre” al re del nord, queste parole esprimono la conseguenza di quel movimento che è appena stato paragonato alla furia del turbine.
“Verso 41 Entrerà pure nel paese glorioso e molti paesi saranno abbattuti, ma queste scamperanno dalle sue mani: Edom, Moab e gran parte dei figli di Ammon.”
I fatti appena citati sulla campagna francese contro la Turchia, e la scacciata dei francesi ad Acri, sono stati descritti molto bene dall’Enciclopedia Americana. Dalla stessa fonte, raccogliamo ulteriori particolari riguardo il ritiro dei francesi in Egitto, e le vicende aggiuntive che li costrinsero ad evacuare da quel paese.
Abbandonando una campagna in cui un terzo dell’esercito era caduto per la guerra e la peste, i francesi si ritirarono da Acri, e dopo una faticosa marcia di ventisei giorni, rientrarono nel Cairo, in Egitto. In questo modo, loro abbandonarono tutte le conquiste che avevano fatto in Giudea; e la “terra gloriosa” (la Palestina con tutte le sue province, qui chiamate “paesi”) ritornò nuovamente sotto il dominio oppressivo dei turchi. Edom, Moab e Ammon, che si trovavano fuori dei confini della Palestina,
a sud e ad est del Mar Morto e del Giordano, erano fuori dalla linea di marcia dei turchi dalla Siria all’Egitto, e così scamparono alle devastazioni di quella campagna militare. Su questo passaggio, Adam Clarke scrive le seguenti note: “Loro (i turchi) non sono mai stati in grado di sottomettere questi e altri Arabi. Essi occupano ancora i deserti, e ricevono una pensione annuale di quarantamila corone d’oro dagli imperatori ottomani per permettere un libero passaggio alle carovane con i pellegrini verso la Mecca.”
[308]
“Verso 42 Egli stenderà la mano anche su diversi paesi e il paese d’Egitto non scamperà.”
Alla ritirata dei francesi in Egitto, una flotta turca fece sbarcare 18.000 uomini ad Abukir. Napoleone attaccò immediatamente il posto, scacciando completamente i turchi e ristabilendo la sua autorità in Egitto. A questo punto, però, gravi problemi all’esercito francese in Europa richiamarono Napoleone a casa per occuparsi degli interessi del suo stesso paese. Il comando delle truppe in Egitto fu lasciato al generale Kleber che, dopo un periodo di intensa attività per il beneficio dell’esercito, fu assassinato da un turco in Cairo, e il comando fu lasciato ad Abdallah Manou. Non potendo reclutare gente per l’esercito, ogni perdita era seria.
Nel frattempo, il governo inglese, alleato dei turchi, aveva deciso di strappare l’Egitto ai francesi. Il 13 marzo 1801, una flotta inglese sbarcò delle truppe ad Abukir. I francesi diedero battaglia il giorno seguente, ma furono costretti a ritirarsi. Il 18 marzo, Abukir si arrese. Il 28 marzo, arrivarono rinforzi attraverso una flotta turca, e il gran visir si avvicinò dalla Siria con un grande esercito. Il 19 di aprile, Rosetta si arrese alle forze combinate degli inglesi e dei turchi. A Ramanieh un corpo francese di 4.000 uomini fu sconfitto da 8.000 inglesi e 6.000 turchi. Ad Elmenayer, il 16 maggio, 5.000 francesi furono obbligati a ritirarsi a causa dell’avanzamento del gran visir con i suoi 20.000 uomini verso il Cairo. Ora l’intero esercito francese era rinchiuso in Cairo e in Alessandria. Cairo capitolò il 27 giugno, mentre Alessandria il 2 settembre. Quattro settimane dopo, il primo ottobre 1801, a Londra vennero firmate le azioni preliminari per la pace.
Le parole della profezia erano “il paese d’Egitto non scamperà.” Questo linguaggio sembra sottintendere che l’Egitto sarebbe stato sottomesso a qualche potere da cui avrebbe voluto essere liberato. Come per la Francia e la Turchia, in che modo si determina questa faccenda con gli egiziani? – Essi preferivano il dominio francese. In Travels in turkey, Egypt, Nubia and Palestine in the years 1824-1827, di Richard Robert Madden, pubblicato a Londra nel 1829, si afferma che gli egiziani rimpiansero molto i francesi, tanto da lodarli come benefattori; che [309] “per il breve periodo di tempo che rimasero [in Egitto], [i francesi] lasciarono tracce di miglioramento”; e che, se [i francesi] avessero potuto stabilire il loro potere, ora l’Egitto sarebbe relativamente civilizzato. Alla luce di questa testimonianza, il linguaggio non sarebbe appropriato se fosse applicato alla Francia, dato che gli egiziani non volevano sfuggire dal loro dominio. L’Egitto voleva sfuggire dalle mani del potere turco, ma non poteva.
“Verso 43 S’impadronirà dei tesori d’oro e d’argento e di tutte le cose preziose dell’Egitto; i Libici e gli Etiopi saranno al suo seguito.”
Per illustrare questo verso, ora citeremo il seguente passo da Historic echoes of the voice of God, an exposition of the eleventh chapter of Daniel, [Riflessi storici della voce di Dio, un esposizione dell’undicesimo capitolo di Daniele] pag. 49, di J. Couch:
“La storia dà i seguenti fatti: quando i francesi vennero scacciati dall’Egitto, e i turchi presero il possesso, il sultano permise agli egiziani di riorganizzare il loro governo come era prima dell’invasione francese. Il sultano non chiese soldati, né armi, né fortificazioni agli egiziani, ma li permise di gestire autonomamente i propri affari, con l’importante eccezione di dovergli pagare un tributo. Negli articoli dell’accordo tra il sultano e il pascià egiziano, era stabilito che gli egiziani avrebbero pagato annualmente al governo turco una certa quantità d’oro e d’argento, e ‘seicentomila misure di mais, e quattrocentomila d’orzo’ ”
Il dottor Clarke dice: “I libici e gli etiopi, i Cushim, gli arabi non conquistati”, che hanno cercato l’amicizia dei turchi, e molti dei quali gli pagano il tributo al tempo presente.
“Verso 44 Ma notizie dall’est e dal nord lo turberanno; perciò partirà con gran furore, per distruggere e votare allo sterminio molti”
Su questo verso, il dottor Clarke ha una nota degna di essere citata. Egli dice: “A questa parte della profezia è permesso di non essere ancora adempiuta.” La sua nota fu stampata nel 1825. In un altra parte del suo commento, lui dice: “Se si intendesse il potere turco anche nei versi precedenti, potrebbe significare che, ad un certo momento, i persiani ad est e i russi al nord [310] imbarazzeranno grandemente il governo ottomano.”
Tra questa congettura del dottor Clarke scritta nel 1825 e la guerra di Crimea del 1853-56 c’è certamente una coincidenza sorprendente, perché proprio le potenze che lui cita, i persiani ad est e i russi al nord, erano proprio coloro che istigarono quel conflitto. Ma le notizie di questi poteri lo turberanno (la Turchia). Il loro atteggiamento e i loro movimenti incitarono il sultano all’ira e alla vendetta. Dato che la Russia era la parte più aggressiva, divenne l’obiettivo dell’attacco. Nel 1853, la Turchia dichiarò guerra al suo potente vicino del nord. Il mondo guardò con meraviglia ad un governo che da tanto tempo veniva chiamato “l’ammalato dell’oriente”, un governo il cui esercito era depresso e demoralizzato, le cui finanze erano vuote, i cui governanti erano vili ed incapaci, e i cui sudditi erano ribelli e minacciavano la secessione, partire con gran furore nel conflitto. La profezia disse che sarebbero partiti “con gran furore”; e quando [i turchi] partirono nella suddetta guerra, uno scrittore americano profano li descrisse che “combattevano come diavoli.” È vero che l’Inghilterra e la Francia presto arrivarono per aiutare la Turchia; ma essa avanzò nel modo descritto, ed è riportato che si guadagnò importanti vittorie prima di ricevere l’assistenza di questi poteri.
“Verso 45 E pianterà le tendeH168 del suo palazzo fra i mari e il glorioso monte santo; poi giungerà alla sua fine e nessuno gli verrà in aiuto.
[H168 ‘ohel = tabernacolo/i, tenda/e, abitazione, santuario di Geova]
Ora abbiamo tracciato la profezia dell’undicesimo capitolo di Daniele, un passo alla volta, e in questo modo abbiamo trovato gli eventi che soddisfano tutte le sue predizioni. Nella storia è accaduto tutto, tranne quest’ultimo verso. Dal momento che le predizioni del verso precedente sono state adempiute nella memoria della generazione che sta vivendo ora, e dato che nessun potere ha ancora eseguito le cose qui descritte, da qui siamo portati nel futuro. Queste cose, però, devono adempiersi attraverso quel potere che, dal verso 40 sino al verso 45, è stato continuamente l’oggetto della profezia. Se l’applicazione che abbiamo scelto [311] lungo tutti questi versi è corretta,
allora dobbiamo vedere la Turchia fare la mossa qui indicata.
Si noti quanto questo possa essere fatto facilmente. La Palestina, in cui si trova il “glorioso monte santo”, la montagna in cui si trova Gerusalemme, “fra i mari”, il mar Morto e il mar Mediterraneo, è una provincia turca; e se la Turchia dovesse essere obbligata a ritirarsi frettolosamente dall’Europa, potrebbe facilmente andare in qualsiasi punto del suo dominio per stabilire le sue sedi temporanee, qui appropriatamente descritte come “tende” [o tabernacoli], ovvero abitazioni mobili, del suo palazzo; ma lui [il re del nord / la Turchia] non potrà andare oltre. Il punto più importante entro il limite della Turchia in Asia è Gerusalemme.
Notate anche quanto è applicabile il linguaggio a quel potere: “Poi giungerà alla sua fine e nessuno gli verrà in aiuto.” Questa frase implica chiaramente che questo potere aveva precedentemente ricevuto aiuto. Quali sono i fatti? – Durante la guerra contro la Francia, nel 1798-1801, l’Inghilterra e la Russia diedero assistenza al sultano. Nella guerra tra la Turchia e l’Egitto, nel 1838-1840, l’Inghilterra, la Russia, l’Austria e la Prussia intervennero a favore della Turchia. Nella guerra di Crimea del 1853-1856, l’Inghilterra, la Francia e la Sardegna sostennero i Turchi. Nell’ultima guerra russo-turca, le grandi potenze europee interferirono per arrestare il progresso della Russia. Senza l’aiuto ricevuto in tutti questi avvenimenti, probabilmente la Turchia non avrebbe potuto mantenere la sua posizione; ed è un fatto risaputo che fin dalla caduta della supremazia ottomana, avvenuta nel 1840, l’impero è esistito soltanto attraverso la tolleranza delle grandi potenze europee. Senza il loro sostegno, lei [la Turchia] non avrebbe mantenuto a lungo neppure l’esistenza del suo nome; e quando quel [sostegno] è ritirato, lei deve cadere a terra. Quindi, la profezia dice che il re arriva alla sua fine e nessuno lo aiuta; e come possiamo naturalmente dedurre, lui [il re del nord] arriva alla sua fine perché nessuno lo aiuta, ovvero, perché il sostegno precedentemente avuto è ritirato.
Sin dai tempi di Pietro il Grande, la Russia ha accarezzato l’idea di scacciare via la mezzaluna [Turchia] dal suolo europeo. Quel famoso principe, divenuto unico imperatore della Russia nel 1688, all’età di sedici anni, godette trentasette anni di regno prosperoso, sino al 1725, lasciando ai suoi successori una celebrata [312] [313] “ultima volontà e testamento”, comunicando alcune importanti istruzioni per la loro costante osservanza. Il 9° articolo di quella “volontà” prevedeva il seguente regolamento:
“Fare tutto il possibile per controllare Costantinopoli e le Indie (perché chi governa in questi posti sarà il vero sovrano del mondo); suscitare continuamente la guerra in Turchia e in Persia; stabilire fortezze nel Mar Nero, ottenere il progressivo controllo del mare, e anche del Baltico, che è un doppio punto necessario per la realizzazione del nostro progetto; accelerare quanto più possibile il decadimento della Persia; penetrare nel Golfo Persico; ristabilire, se possibile, attraverso la via della Siria, l’antico commercio del Levante; avanzare verso le Indie, che sono il grande magazzino del mondo. Una volta lì, possiamo operare senza l’oro dell’Inghilterra.”
L’undicesimo articolo dice: “Interessare la casa austriaca nell’espulsione dei turchi dall’Europa, e tranquillizzare il loro dissenso al momento della conquista di Costantinopoli (avendo istigato la guerra tra i vecchi stati europei), dando all’Austria una parte della conquista, che in seguito sarà, o potrà essere, reclamata.”
I seguenti fatti nella storia russa mostreranno quanto persistentemente è stata seguita questa linea di condotta:
“Nel 1696, Pietro il Grande strappò il mar d’Azov ai turchi, e lo mantenne. Poi, Caterina la Grande conquistò la Crimea. Nel 1812, attraverso la pace di Bucarest, Alessandro I ottenne la Moldavia e la provincia di Bessarabia con le sue mele, pesche e ciliegie. Poi, venne il grande Nicola [Romanov], che vinse il diritto alla libera navigazione del Mar Nero, dei Dardanelli e del Danubio, ma la cui avarizia sfrenata lo portò nella guerra di Crimea, a causa del quale lui perse la Moldavia, il diritto di navigare sul Danubio e la navigazione illimitata del Mar Nero. Senza dubbio, questa era una grave repulsione per la Russia, che, però, non abbandonò i suoi piani nei confronti del potere ottomano, e neppure contribuì in alcun modo alla stabilità dell’impero ottomano. Aspettando pazientemente il suo tempo, la Russia osservava e aspettava, e nel 1870, quando tutte le nazioni occidentali guardavano alla guerra franco-prussiana, lei annunciò ai poteri che non sarebbe più stata [314] legata al trattato del 1856, che limitava il suo uso del Mar Nero; e da quel momento quel mare è stato (com’era stato mille anni prima, con tutti gli intenti e le finalità) un mare russo.” San Francisco Chronicle
Napoleone Bonaparte comprese bene i progetti della Russia, e l’importanza dei suoi movimenti premeditati. Mentre Bonaparte era prigioniero sull’isola di Sant’Elena, in una conversazione con il suo governatore sir Hudson Lowe, lui espresse il seguente parere:
“Nel corso di alcuni anni, la Russia avrà Costantinopoli, una parte della Turchia, e tutta la Grecia. Ritengo che questo sia sicuro come se fosse già accaduto. Tutti i raggiri e le lusinghe di Alessandro [Romanov] nei miei confronti avevano lo scopo di ottenere il mio consenso per realizzare quell’obiettivo. Io non glielo darei, perché prevedo che l’equilibrio dell’Europa verrebbe distrutto. Una volta diventata padrona di Costantinopoli, la Russia prende tutto il commercio del Mediterraneo e diventa un potere navale, e solo Dio sa cosa potrebbe accadere. L’obiettivo della mia invasione in Russia voleva impedire proprio questo, attraverso l’interposizione di un nuovo stato tra lei e la Turchia, che intendevo creare come una barriera alle sue invasioni orientali.
Anche Kossuth ebbe la stessa opinione del consiglio politico quando disse che “in Turchia verrà deciso il destino del mondo.”
Le parole di Bonaparte sopracitate riguardo alla distruzione “dell’equilibrio dell’Europa”, rivelano le intenzioni che hanno indotto le grandi potenze a tollerare così a lungo l’esistenza nel continente di una nazione religiosamente estranea, e la cui storia è stata segnata da molte atrocità inumane. Costantinopoli è generalmente considerata come il grande punto strategico dell’Europa; e ogni potenza è abbastanza avveduta, o gelosa, da vedere o pensar di vedere che se qualcuno dei poteri europei ottiene il possesso permanente di quel punto (proprio come desidera fare la Russia), quel potere sarà in grado di dettar legge al resto dell’Europa. Nessuna di queste potenze è disposta a lasciare questa posizione a qualsiasi altro potere; e l’unico modo evidente per prevenirlo è che tutti loro si uniscano, attraverso un accordo tacito o espresso, per tenersi l’un l’altro fuori, e permettere (loro malgrado) che [315] i turchi continuino ad esistere nel suolo europeo. Questo significa preservare quel “equilibrio di potere” verso il quale sono tutti molto sensibili. Questo, però, non può durare per sempre. “Poi giungerà alla sua fine e nessuno gli verrà in aiuto.”
Il seguente paragrafo tratto dal quotidiano Philadelphia Public Ledger, agosto 1878, espone una presentazione istruttiva e veramente suggestiva del recente restringimento del territorio turco:
“Chiunque voglia prendersi la briga di guardare la mappa della Turchia in Europa risalente a circa sessantanni fa, e confrontarla con la nuova mappa disegnata dal trattato di San Stefano e modificata dal Congresso di Berlino, potrà farsi un giudizio della marcia del progresso che sta spingendo il potere ottomano fuori dall’Europa. A quei tempi, il confine settentrionale della Turchia si estendeva alle montagne dei Carpazi, e ad est del fiume Siret abbracciava la Moldavia sino all’estremo nord, quasi vicino al quarantasettesimo grado di latitudine nord. La mappa comprendeva anche quello che oggi è il regno della Grecia. Comprendeva tutta la Serbia e la Bosnia. Ma nel 1830 la frontiera settentrionale della Turchia si era ritirata dai Carpazi alla riva meridionale del Danubio, i principati di Moldavia e Valacchia, liberi dal dominio turco, pagavano solo un tributo annuale in denaro al governo turco. A sud del Danubio, i serbi vinsero una emancipazione simile per il loro paese. Anche la Grecia era stata in grado di stabilire la sua indipendenza. A quei tempi come oggi, il turco era aggressivo e ostinato. Russia e Gran Bretagna proposero di rendere la Grecia come uno stato tributario, mantenendo la sovranità della Turchia. Questa proposta venne rifiutata, e il risultato fu la totale distruzione della potente flotta turca a Navarino, e l’erezione del regno indipendente greco. In questo modo, la Turchia in Europa venne respinta in tutte le direzioni. Ora [1897], il confine settentrionale che recentemente era nel Danubio, è stato portato a sud verso i Balcani. La Romania e la Serbia hanno persino smesso di essere tributarie, prendendo il loro posto tra gli stati indipendenti. La Bosnia è passata sotto la protezione dell’Austria, come fece la Romania sotto quella della Russia, nel 1829. I confini “corretti” danno il territorio turco alla Serbia, al Montenegro e alla Grecia. La Bulgaria [316] prende il posto della Romania come principato auto-governato, non dipendendo sul governo turco, e pagando solo un tributo annuale. La potenza turca è paralizzata persino al sud dei Balcani, dato che la Rumelia deve avere la ‘regola domestica’ sotto un governatore cristiano. Quindi, la frontiera turca in Europa retrocede ancora in tutte le direzioni, finché il restante territorio è soltanto l’ombra di ciò che era sessant’anni prima. Produrre questo risultato è stata la tattica e la battaglia della Russia per più di mezzo secolo; per quasi quello spazio di tempo altri ‘poteri’ si sono sforzati di mantenere ‘l’integrità’ dell’impero turco. Un confronto tra le mappe ad intervalli di 25 anni, mostrerà quale strategia è riuscita e quale ha fallito. Nell’ultimo mezzo secolo, la presenza della Turchia in Europa è stata ridotta, e sta retrocedendo continuamente verso l’Asia, e anche se tutti i ‘poteri’ tranne la Russia dovessero unire le loro forze per mantenere il sistema ottomano in Europa, c’è un chiaro destino visibile nella storia degli ultimi cinquant’anni che li deve sconfiggere.”
Sin dal 1878, la tendenza di tutti i movimenti orientali è stata nella stessa direzione, presagendo una maggiore pressione sul governo turco riguardo la sua espulsione dal territorio europeo. L’ultimo passo venne preso nell’ottobre del 1908, quando la Bulgaria, inclusa la Rumelia orientale, divenne uno stato indipendente, e la Bosnia e l’Erzegovina furono annesse all’Austria.
Nel frattempo, il governo turco ha sperimentato una trasformazione improvvisa e sorprendente, prendendo posto tra i governi costituzionali europei. Nel luglio del 1908, il sultano Abdul Hamid II, sotto la pressione del partito rivoluzionario (i “giovani turchi”) che conquistò il sostegno di gran parte dell’esercito, annunciò che la costituzione
del 1876 era stata ripristinata; e attraverso questa costituzione, venne convocata una riunione della Camera dei Deputati.
A questo fatto seguì un movimento reazionario istigato dal sultano, e segnato dai terribili massacri degli armeni che stavano nelle vicine province asiatiche, che però vennero rapidamente soppressi dalle fedeli truppe; il sultano venne deposto e confinato; e suo fratello, che prese il titolo di Mohammed V, venne posto [317] [318] sul trono. Sotto il governo costituzionale provveduto in questo modo, ai cittadini turchi di tutte le classi e di tutte le religioni sono garantite la libertà individuale e l’uguaglianza davanti alla legge, ed inoltre c’è la libertà di stampa e di educazione. Nella pratica, tuttavia, queste garanzie costituzionali non sono state mantenute rigorosamente.
Questo desiderabile cambiamento nelle condizioni del governo turco, tuttavia, non possono impedire l’inevitabile. I turchi devono abbandonare l’Europa. Quindi, ci chiediamo: dove [il re del nord / Turchia] pianterà le tende del suo palazzo? A Gerusalemme? Quello è certamente il posto più probabile. In Dissertations on the prophecies… pag. 318, Newton dice: “ ‘Fra i mari e il glorioso monte santo’ deve indicare, come abbiamo mostrato, qualche parte della Terra Santa. I turchi devono accamparsi là con tutti i loro poteri; ciononostante lui ‘giungerà alla sua fine e nessuno gli verrà in aiuto’ – ovvero, un aiuto efficace, oppure la sua liberazione.”
Presto, il tempo chiarirà questo argomento. E quando questo accadrà, cosa ne seguirà? – eventi della più grande importanza per tutti gli abitanti di questo mondo, come mostra immediatamente il prossimo capitolo.
[319]
“Verso 1 »In quel tempo sorgerà H5975 Mikael H4317, il gran principe, il difensore H5975 dei figli del tuo popolo; e ci sarà un tempo di tribolazione come non c’era mai stato da quando esistono le nazioni fino a quel tempo. In quel tempo il tuo popolo sarà salvato, tutti quelli che saranno trovati scritti nel libro” [H5975 `amad = erigere, sorgere, innalzare, servire, ministrare, difendere; H4317 Miyka’el = colui che è come Dio, il capo degli angeli che si interpone per difendere il popolo di Dio]
In questo verso viene introdotto un tempo definito, non un tempo rivelato attraverso nomi o figure che specificano qualunque anno o mese o giorno particolare, ma un tempo reso definito dall’accadimento di un certo evento con il quale è connesso. “In quel tempo.” Quale tempo? – Il tempo verso cui siamo portati dall’ultimo versetto del capitolo precedente [Daniele 11:45] – il tempo in cui il re del nord pianterà le tende del suo palazzo nel glorioso monte santo, o in altre parole, quando la Turchia allontanata dall’Europa renderà frettolosamente Gerusalemme la sua sede di governo temporanea. Nelle osservazioni sull’ultima parte del capitolo precedente, abbiamo notato alcune delle agenzie che stanno già operando per raggiungere questo obbiettivo, e anche alcune delle indicazioni che i turchi saranno presto obbligati a fare questa mossa. E quando questo evento accadrà, lui [il re del nord / Turchia] giungerà alla sua fine, e poi, in base a questo verso, dobbiamo cercare l’innalzamento di Mikael, [320] il gran principe. Questo movimento da parte della Turchia è il segno per l’innalzamento di Mikael, ovvero, questo evento è il prossimo in ordine di successione. E per evitare qualsiasi incomprensione, il lettore deve notare che in questo libro non si dice che la prossima mossa contro i turchi li manderà fuori dall’Europa, o che quando stabiliranno la loro capitale a Gerusalemme, Cristo inizia immediatamente il Suo regno. Noi crediamo invece che gli eventi devono seguire il seguente ordine: #1 ulteriori pressioni applicate in qualche modo sulla Turchia; #2 il ritiro della Turchia dall’Europa; #3 il posizionamento finale della Turchia a Gerusalemme; #4 Mikael deve sorge, ovvero, inizia il regno di Cristo, e Lui viene nelle nuvole del cielo. E non è ragionevole supporre che tra questi eventi passerà molto tempo.
Dunque, chi è Mikael? e cosa significa che deve sorgere? – In Giuda 9, Mikael è chiamato “l’arcangelo”, che significa il capo degli angeli, o il primo di tutti gli angeli. Ce n’è soltanto uno. Chi è costui? – È Colui la cui voce è sentita dal cielo quando i morti sono risuscitati. (1Tessalonicesi 4:16) E di chi è la voce sentita in quell’evento? – È la voce del nostro Signore Gesù Cristo. (Giovanni 5:28) Rintracciando l’evidenza con questo fatto come base, raggiungiamo le seguenti conclusioni: la voce del Figlio di Dio è la voce dell’arcangelo, quindi l’arcangelo è il Figlio di Dio; ma l’arcangelo è Mikael, quindi, Mikael è il Figlio di Dio. La sola espressione di Daniele “Il gran principe, il difensore dei figli del tuo popolo”, è sufficiente ad identificare colui che qui è definito come il Salvatore degli uomini. Lui è il Principe della vita (Atti 3:15); e Dio lo ha esaltato
facendolo “Principe e Salvatore.” (Atti 5:31) Lui è il grande Principe. Non c’è nessun altro più grande, tranne il Padre sovrano.
Egli è “il difensore dei figli del tuo popolo.” Egli acconsente a prendere i servi di Dio in questo povero stato mortale, e li redime per le cose del Suo futuro regno. Lui ci difende. Il Suo popolo è essenziale per i Suoi obiettivi futuri, una parte inseparabile dell’eredità acquistata; ed essi devono essere la causa principale di quella gioia che permise a [321] Cristo di sopportare tutto il sacrificio e la sofferenza che hanno segnato il Suo intervento a favore della razza umana caduta. Un onore incredibile! Che la gratitudine eterna lo ripaghi per la Sua concessione e la sua misericordia verso di noi! Il regno, la potenza e la gloria sono Suoi in eterno!
Ora arriviamo alla seconda domanda: Cos’è l’innalzamento di Mikael? La chiave per l’interpretazione di questa frase ci è data in Daniele 11:2 e 3: “In Persia, sorgeranno ancora tre re”; “Allora sorgerà un re potente che eserciterà un gran dominio”. In questi esempi, non c’è alcun dubbio che il significato di queste frasi sia ‘possedere il regno’, ‘regnare’. La stessa espressione nel verso che stiamo considerando [Daniele 12:1] deve significare la stessa cosa. In quel tempo sorgerà Mikael, possederà il regno, inizierà a regnare.
Ma ora Cristo non sta regnando? – Sì, lo fa assieme a Suo Padre, sul trono del dominio universale. (Efesini 1:20-22; Apocalisse 3:21) Ma alla fine di questa dispensazione Lui rinuncerà a questo trono, o regno (1Corinzi 15:24), per iniziare il Suo regno mostrato nel testo [Daniele 12:1], quando Lui sorge, o possiede il Suo regno (il trono di Suo padre Davide promessogli da molto tempo), e stabilisce un dominio che non avrà mai fine. (Luca 1:32,33)
Un esame di tutti gli eventi che costituiscono, o sono inseparabilmente connessi con questo cambiamento nella posizione del nostro Signore, non rientra nell’ambito di questa opera. Basterà dire che i regni di questo mondo diventano il regno “del Signor nostro e del Suo Cristo.” [Apocalisse 11:15] Le Sue vesti sacerdotali sono messe da parte per la veste regale. L’opera della misericordia è conclusa, e il giudizio investigativo della nostra razza umana è finito. Chi è immondo non ha più speranza di recupero; mentre chi è santo non ha più il pericolo di peccare. Tutti i casi sono decisi. E da quel momento in poi, sino a quando le nazioni terrorizzate vedranno la maestosa forma del loro Re insultato che viene nelle nuvole del cielo, le nazioni sono spezzate come con una verga di ferro, e frantumate come un vaso d’argilla [Salmi 2:9] attraverso un momento di tribolazione mai stato prima, una serie di giudizi senza precedenti nella storia del mondo che culminano nella rivelazione del Signore Gesù Cristo dal cielo in un fuoco fiammeggiante, [322] che si vendica di coloro che non conoscono Dio e non ubbidiscono all’evangelo (2Tessalonicesi 1:7,8; Apocalisse 11:15; 22:11,12).
Questi sono gli eventi importanti introdotti dall’innalzamento di Mikael. Lui sorge in questo modo, o possiede il regno, segnando l’introduzione di questo tempo decisivo per la storia umana, che durerà per qualche tempo prima che Lui ritorni personalmente in questa terra. Per noi, quindi, è importante avere una conoscenza della Sua posizione, affinché possiamo tracciare il progresso della Sua opera, e capire quando si avvicina quell’emozionante momento in cui finisce la Sua intercessione a favore dell’umanità, stabilendo per sempre il destino di tutti.
Ma come possiamo conoscere queste cose? Come possiamo determinare quello che accade nel lontano cielo dei cieli, nel santuario celeste? – Dio è stato così buono da darci i mezzi per conoscere queste cose. Quando nel mondo avvengono determinati avvenimenti importanti, Lui ci ha detto quali eventi accadono contemporaneamente in cielo. Attraverso le cose visibili, possiamo conoscere le cose invisibili. Come “guardiamo attraverso la natura sino al Dio della natura”, così, attraverso i fenomeni e gli eventi terrestri, noi tracciamo i grandi movimenti nel mondo celeste: quando il re del nord pianta le tende del suo palazzo tra i mari e il glorioso monte santo (un movimento del quale stiamo già osservando i passi iniziali), quando Mikael, il nostro Signore, sorge o riceve il regno da Suo Padre, in vista del Suo ritorno su questa terra. O magari, si sarebbe potuto dire in questo modo: “Poi, il nostro Signore termina la Sua opera come nostro grande Sommo Sacerdote, e il periodo investigativo del mondo è concluso.” La grande profezia dei 2300 giorni ci da chiaramente l’inizio della parte conclusiva dell’opera nel santuario celeste. Il verso in questione ci fornisce dati che ci permettono di scoprire approssimativamente il tempo della sua chiusura.
In connessione con l’innalzamento di Mikael, si verifica un tempo di tribolazione mai stato. In Matteo 24:21 leggiamo di un periodo di tempo di grande tribolazione mai stato prima, e che mai più ci sarà. Questa tribolazione, adempiuta nell’oppressione e nel massacro della chiesa a causa del potere papale, è già passata; mentre, in base alla visione che stiamo considerando, il tempo di tribolazione di Daniele 12:1 è ancora nel futuro. Come possono esserci due tempi di [323] tribolazione separati da molti anni l’uno dall’altro, ognuno dei quali più grande di qualsiasi altro che ci sia mai stato prima o che debba esserci in futuro? Per evitare difficoltà, si deve notare attentamente questa distinzione: la tribolazione di cui si parla in Matteo 24 riguarda la chiesa. Lì, Cristo sta parlando con i Suoi discepoli, e dei Suoi futuri discepoli. Loro sono quelli coinvolti, e per amor loro, i giorni della tribolazione dovevano essere abbreviati. (Matteo 24:22) Il tempo della tribolazione citato in Daniele, invece, non è un tempo di persecuzione religiosa, ma di calamità nazionale. Non c’è mai stato niente di simile da quando esistono le nazioni, e non da quando esiste la chiesa. Questa arriva sul mondo. Questa è l’ultima tribolazione che deve arrivare sul mondo nel suo stato attuale. In Matteo c’è un riferimento fatto al tempo che va oltre quella tribolazione, dato che, dopo che quella tribolazione fosse passata, non ci sarebbe più stato nulla di simile sul popolo di Dio. Ma in Daniele 12:1 non c’è alcun riferimento ad un tempo futuro dopo la tribolazione, dato che questa chiude la storia di questo mondo. Questa tribolazione include le sette ultime piaghe di Apocalisse 16, e culmina nella rivelazione del Signore Gesù Cristo che viene sulle Sue nuvole come un fuoco fiammeggiante, per distruggere i Suoi nemici che non vogliono farlo regnare su di essi. Ma dopo questa tribolazione, verranno liberati tutti coloro che si trovano scritti nel libro della vita; “perché sul monte Sion… vi sarà salvezza, come ha detto l’Eterno, e fra i superstiti che l’Eterno chiamerà.” (Gioele 2:32)
“Verso 2 Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, alcuni per vita eterna, altri per vergogna e infamia eterna.”
Anche questo verso mostra quanto è importante il periodo di tempo introdotto dall’innalzamento di Mikael, ovvero, l’inizio del regno di Cristo (come già detto nel primo verso di questo capitolo), perché l’evento qui descritto in termini espliciti è una risurrezione dei morti. È questa la risurrezione generale che avviene al secondo ritorno di Cristo? oppure, tra il ricevimento del regno da parte di Cristo e la Sua rivelazione alla terra in tutta la gloria del Suo avvento (Luca 21:27) deve avvenire
una resurrezione speciale che risponde alla descrizione qui riportata? Solo una di queste due opzioni può essere quella corretta, dato che ogni dichiarazione della Scrittura si adempirà. [324]
Per quale motivo [questo verso] non può riferirsi alla prima opzione, o la risurrezione che avviene all’ultima tromba? Risposta: Perché soltanto i giusti, escludendo tutti i malvagi, hanno parte nella risurrezione. Coloro che dormono in Cristo risorgeranno, ma soltanto loro, perché il resto dei morti resusciterà solamente dopo mille anni. (Apocalisse 20:5) Quindi, la risurrezione generale dell’intera razza umana è compresa in due grandi parti; la prima appartiene esclusivamente ai giusti, al ritorno di Cristo, mentre la seconda appartiene esclusivamente ai malvagi, mille anni dopo questo. La risurrezione generale non è una risurrezione mista. I giusti e gli empi non si presentano contemporaneamente, ma queste due classi sono separate e indipendenti, ed il tempo che passa tra le loro rispettive risurrezioni è stabilito chiaramente essere mille anni.
Ma nella risurrezione mostrata in questo verso, ci sono contemporaneamente sia molti giusti che molti malvagi. Per questo motivo, non può essere la prima risurrezione, che include soltanto i giusti, e nemmeno la seconda risurrezione, che è distintamente confinata ai malvagi. Se il significato del testo è che “Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno per la vita eterna”, allora si potrebbe interpretare che i “molti” includono tutti i giusti, e la risurrezione è quella dei giusti al secondo ritorno di Cristo. Ma una tale applicazione è negata dal fatto che alcuni di questi “molti” sono malvagi, e risorgono per vergogna ed infamia eterna.
Secondo la traduzione di Bush e Whiting, si può obiettare che questo testo afferma soltanto il risveglio dei giusti, ovvero: “Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, questi per vita eterna, e quelli per vergogna e infamia eterna.” Innanzitutto, si noterà che questa traduzione (che non è per nulla inattaccabile) non prova nulla sino a quando non viene aggiunta l’evidente parte mancante. Per questo motivo, alcuni hanno provato a dare questa parte mancante: “Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, questi (i risvegliati, o risorti) per vita eterna, e quelli (gli addormentati, oppure i non risorti) per vergogna e infamia eterna.” Si noterà, ancora, che questo non fornisce la parte mancante, ma aggiunge soltanto un commento, che è una cosa molto diversa. [325] Dare la parte mancante significa semplicemente inserire le parole necessarie al completamento della frase. “Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno”, è una frase completa perché il soggetto ed il predicato verbale sono entrambi espressi. La parte seguente: “Alcuni (o questi) per la vita eterna”, non è completa. Cosa ci vuole per completare questa frase? Non ci vuole un commento, che da un opinione personale su chi siano “questi”, ma ci vuole un verbo che si riferisce ad essi. Quale verbo sarà? Questo deve essere determinato dalla parte precedente della frase, che è completa, in cui si usa il verbo “si risveglieranno.” Questo, dunque, è il predicato verbale da usare: “Alcuni (o questi) si risveglieranno per la vita eterna.” Applicando la stessa regola alla prossima frase: “Altri (o quelli) per vergogna e infamia eterna”, di per sé non è una frase completa, dunque ci troviamo obbligati a fornire le stesse parole: “Altri (o quelli) si risveglieranno per vergogna e infamia eterna.” Qualsiasi cosa inferiore a questa espressione non completerà il senso della frase, e qualunque altra cosa diversa pervertirà il testo, dato che il predicato verbale da usare non può essere diverso da quello già espresso. L’affermazione fatta nel testo riguarda soltanto i molti che si risvegliano. Niente è detto del resto che non si risveglia; e dire che l’espressione “per vergogna e infamia eterna” si applica a loro [chi dorme ancora], quando nulla è detto di loro, non solo oltraggia il senso della frase,
ma anche le leggi del linguaggio. E dei molti che si risvegliano, alcuni vanno alla vita eterna, mentre altri alla vergogna ed infamia eterna, il ché prova ulteriormente una risurrezione cosciente anche per questi ultimi, dato che l’infamia può essere sentita e manifestata da altri verso le persone che sono colpevoli, mentre la vergogna può essere sentita e manifestata soltanto dai colpevoli. Questa risurrezione, come già mostrato, comprende alcuni dei giusti e dei malvagi, e perciò non può essere la risurrezione generale all’ultimo giorno.
Prima che il Signore ritorni, c’è posto per una risurrezione speciale o limitata, o qualsiasi altra cosa che suggerisca un tale avvenimento? La risurrezione qui predetta avviene quando il popolo di Dio è liberato dal grande tempo di tribolazione con cui termina la storia di questo mondo; [326] e da Apocalisse 22:11 sembra che questa liberazione avvenga prima che il Signore ritorni. Giunge il terribile momento in cui chi è ingiusto e immondo è dichiarato ingiusto, mentre chi è giusto e santo è dichiarato santo. Poi i casi di tutti sono decisi per sempre. E quando questa sentenza è pronunciata sui giusti, costoro saranno liberati, perché saranno protetti da ogni pericolo o paura del male. In quel momento, però, il Signore non è ancora ritornato, dato che Lui dice: “Ecco, io vengo presto.” [Apocalisse 22:12] L’affermazione di questo solenne comando che sigilla i giusti per la vita eterna, e i malvagi alla morte eterna, si suppone essere contemporaneo con la grande voce che si sente uscire dal trono nel tempio celeste, dicendo: “È fatto!” (Apocalisse 16:17) Evidentemente questa è la voce di Dio, di cui spesso si parla nelle descrizioni delle scene connesse con l’ultimo giorno. Gioele ne parla e dice (Gioele 3:16): “L’Eterno ruggirà da Sion e farà sentire la sua voce da Gerusalemme, e i cieli e la terra tremeranno. Ma l’Eterno sarà un rifugio per il suo popolo e una fortezza per i figli d’Israele.” – Invece che “speranza”, nel margine della Bibbia inglese si trova “riparo” o “rifugio.” – Poi in questo momento, quando la voce di Dio è sentita dal cielo proprio prima del ritorno del Figlio dell’uomo, Dio è un rifugio per il Suo popolo, ovvero, Dio li libera. Qui, dunque, alla voce di Dio (quando le decisioni sull’eternità sono pronunciate sulla razza umana, e l’ultima stupenda scena sta per aprirsi su di un mondo condannato) Dio dà alle nazioni sorprese un altra prova e garanzia del Suo potere, facendo risorgere dai morti una moltitudine che ha dormito per molto tempo nella polvere della terra.
Così, vediamo che esiste un tempo e un posto per la risurrezione di Daniele 12:2. Inoltre, un passaggio dal libro dell’Apocalisse fa necessariamente supporre che avvenga una risurrezione di questo tipo. Apocalisse 1:7 dice: “Ecco egli viene con le nuvole (questo è indubbiamente il secondo avvento) e ogni occhio lo vedrà (delle nazioni che a quei tempi vivono nel mondo), anche quelli che l’hanno trafitto (coloro che ebbero una parte attiva nella terribile opera della Sua crocifissione); e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui.” Coloro che crocifissero [327] il Signore, a meno che non ci sia un eccezione nei loro confronti, restano nelle loro tombe sino alla fine dei mille anni, e risorgono nell’assemblea generale dei malvagi. Qui però è detto che essi vedono il Signore al Suo secondo avvento. Perciò, costoro devono ricevere una speciale risurrezione per questo scopo.
È certamente giusto che alcuni che si distinsero per la santità, che lavorarono e soffrirono per la speranza del ritorno di un Salvatore, ma che morirono senza vedere nulla, debbano essere risuscitati un po prima, per poter assistere alle scene della Sua gloriosa manifestazione; alla stessa maniera, una grande compagnia era uscita dalle proprie tombe, alla risurrezione di Gesù, per vedere la Sua gloria (Matteo 27:52,53) e per accompagnarlo trionfalmente alla destra del trono della maestà in alto (Efesini 4:8, margine); e anche alcuni, veramente malvagi, che hanno fatto il massimo per disonorare il nome di Cristo e danneggiare la Sua causa (specialmente coloro che permisero la Sua crudele morte alla croce, schernendolo e deridendolo nella Sua morte agonizzante) devono essere risuscitati, come parte della loro punizione giudiziaria, per vedere il Suo ritorno nelle nuvole del cielo: un vincitore celeste che per loro avrà una maestà e splendore insopportabili.
Prima di andare oltre, notiamo un ultima cosa su questo testo. Alcuni pensano che le cose di cui ora parliamo sono una buona prova dell’eterna e consapevole sofferenza dei malvagi, perché coloro che hanno il carattere malvagio di cui si parla risorgono per vergogna e infamia eterna. In che modo essi possono soffrire eternamente, se non per il fatto che sono eternamente consapevoli? È già stato detto che per provare vergogna occorre la coscienza; ma si noterà che qui non si dice che sia infinita. Questa parola qualificativa non è inserita finché non arriviamo all’infamia, che è un emozione sentita da altri verso i colpevoli, e che non necessita della consapevolezza dei diretti interessati. Per questo, alcuni leggono il passaggio così: “Alcuni per la vergogna e l’eterno disprezzo dei loro compagni.” E così sarà. La vergogna per la loro malvagità e corruzione brucerà proprio nelle loro anime, fino a quando ne saranno consapevoli. E quando moriranno consumati per i loro peccati, i loro caratteri ripugnanti e le loro azioni malvagie provocheranno soltanto il disprezzo da [328] parte di tutti i giusti, che resta stabile e costante fino a quando loro ne terranno il ricordo. Pertanto, il testo non da alcuna prova dell’eterna sofferenza dei malvagi.
“Verso 3 Quelli che hanno sapienzaH7919 risplenderanno come lo splendore del firmamento, e quelli che avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre.” [H7919 sakal = intelligenza, insegnare, sapienza, prudenza]
Il margine scrive “insegnanti” al posto di “sapienti”. Quelli che insegnano risplenderanno come lo splendore del firmamento, ovvero, coloro che insegnano la verità, e portano altri a questa conoscenza, appena prima del tempo in cui devono adempiersi gli eventi documentati nei versi precedenti. E proprio come il mondo valuta la perdita e il profitto, insegnare queste cose costerà qualcosa in questi giorni. Costerà la reputazione, la tranquillità, la comodità e spesso anche la proprietà; richiederà fatica, sacrifici, la perdita dell’amicizia, l’essere ridicolizzati e spesso anche la persecuzione. Spesso viene chiesto: “Come te lo puoi permettere? Come puoi permetterti di riposarti il sabato, e magari perdere un occasione, ridurre il tuo reddito, o addirittura rischiare di perdere il tuo mezzo di sostentamento?” Oh cieca, illusa, sciocca domanda! Oh che miopia, considerare le ripercussioni economiche dell’obbedienza a ciò che Dio richiede! Quanta differenza rispetto al comportamento dei nobili martiri, che non amarono la loro vita fino alla morte! No, il costo è tutto dall’altra parte. Quando Dio comanda, noi non possiamo permetterci di disobbedire; e se ci viene chiesto: “Come puoi permetterti di seguire il riposo del giorno di sabato e fare gli altri doveri legati all’obbedienza della verità?” In risposta, dobbiamo soltanto chiedere: “Come puoi permetterti di non farli?” E nel giorno che viene, quando coloro che hanno cercato di salvare la loro vita la perderanno, mentre coloro che sono stati disposti a rischiare tutto per amore della verità e per il Suo divino Signore, riceveranno la gloriosa ricompensa promessa nel testo, risusciteranno per brillare come il firmamento e come le stelle per sempre; a quel tempo si vedrà chi è stato sapiente e chi, al contrario, ha scelto la cecità e la follia. Ora, i malvagi e i mondani considerano i cristiani come stolti e pazzi, congratulandosi con se stessi per la loro superiore astuzia nello schivare ciò che chiamano follia cristiana, [329] ed evitando
le perdite subite dai cristiani. Non abbiamo bisogno di rispondere, dato che coloro che ora prendono questa decisione, presto la invertiranno con una terribile, seppur sconcertante, sincerità.
Nel frattempo, è privilegio del cristiano di gioire nelle consolazioni di questa meravigliosa promessa. Si può avere un idea di questa grandezza soltanto guardando l’universo. Quali sono queste stelle, nella cui somiglianza gli insegnanti della giustizia devono risplendere per sempre? Quanta luminosità, maestà e lunghezza di giorni sono compresi in questo confronto?
Il sole del nostro sistema solare è una di queste stelle. Se lo confrontiamo con il mondo in cui viviamo (il nostro punto di riferimento più pratico della misurazione), troviamo un altro corpo celeste di non piccola grandezza e magnificenza. Il diametro della nostra terra è di 12.874 Km, ma il diametro del sole è di 1.425.363 Km. Le sue dimensioni sono un milione e mezzo di volte più grandi del nostro pianeta; e per quanto riguarda la sua composizione, può sostenere trecento cinquantadue mila [352.000] mondi come il nostro: che immensità!
Ciononostante, [il sole] non è il più grande o il più brillante delle miriadi di splendenti corpi celesti che viaggiano attraverso i cieli. A causa della sua distanza (essendo soltanto a circa 152.887.680 Km da noi), la presenza ed influenza del sole domina su di noi. Ma lontano nelle profondità dello spazio, cosi lontani da sembrare semplici punti di luce, lampeggiano altri corpi celesti di maggiori dimensioni e gloria. Attraverso la precisione e l’efficienza degli strumenti moderni, la distanza della più vicina stella fissa nell’emisfero meridionale, Alfa Centauri, è di 30.577.536.000 Km; ma il sistema della stella polare è quindici volte più lontana, ovvero, a 458.663.040.000 di Km, e brilla quanto ottantasei dei nostri soli; altri sono ancora più grandi, come ad esempio, Vega, che emette la luce di trecentoquarantaquattro dei nostri soli; Capella, quattrocentotrenta; Arturo, cinquecentosedicimila, e così via, sino a raggiungere la grande stella Alcyone, nella costellazione delle Pleiadi, che inonda gli spazi celesti con una brillantezza dodicimila volte maggiore rispetto ai corpi celesti che illuminano [330] e dominano il nostro sistema solare! Come mai, allora, non ci appare più luminosa? – Ah! La sua distanza è di venticinque milioni di volte il diametro dell’orbita terrestre; e l’orbita terrestre misura 144.840.960 Km! Le cifre non possono esprimere queste distanze. Basterà dire che la sua calda luce deve attraversare lo spazio alla velocità della luce – 308.994 Km al secondo – per più di settecento anni, prima che raggiunga questo nostro lontano mondo!
Alcune di queste stelle dominano solitarie, come il nostro sole; altre sono doppie, ovvero, ciò che a noi sembra una stella, in realtà sono due stelle – due soli con il loro seguito di pianeti che si girano intorno a vicenda; altre sono triple, altre quadruple; e almeno una è sestupla.
Oltre a questo, essi mostrano tutti i colori dell’arcobaleno. Alcuni sistemi sono bianchi, alcuni blu, alcuni rossi, alcuni gialli, alcuni verdi; e ciò significa giorni di diverso colore per i pianeti di quei sistemi. La stella Castore dà giorni verdi ai suoi pianeti. La doppia stella polare dà il suo giallo. In altri, i diversi soli che appartengono allo stesso sistema solare hanno colori diversi. Nel suo Ecce Coelum, a pag. 136, il dottor Enoch Burr dice: “E come se la ‘Croce del sud’ fosse l’oggetto più bello in tutto l’universo, in essa troviamo un gruppo con più di un centinaio di soli colorati in modo vario, rosso, verde e azzurro,
e soli bluastri e verdi, così ammassati da apparire in un potente telescopio come un magnifico mazzo di fiori, o dei stravaganti gioielli.”
Qual’è l’età di questi gloriosi corpi celesti? Dopo pochi anni, tutte le cose terrene invecchiano e si deteriorano. Quante cose sono interamente scomparse in questo mondo! Ma le stelle brillano con la stessa freschezza dell’inizio. Sono passati i secoli e i cicli, i regni sono sorti e lentamente spariti; ora torniamo oltre l’oscuro e indistinto orizzonte della storia… torniamo in dietro sino al primo istante introdotto dalla rivelazione, quando venne suscitato l’ordine dal caos, le stelle del mattino cantavano insieme, e i figli di Dio gridavano di gioia – le stelle erano in movimento sin da allora, anche se non sappiamo quanto tempo sia passato precedentemente, dato che gli astronomi parlano di nebulose che si trovano agli estremi della visione telescopica, la cui luce (nel suo continuo viaggio) impiegherebbe cinque milioni [331] di anni per raggiungere questo pianeta. Anche se questi corpi celesti sono così antichi, la loro luminosità non è calata, e la loro forza non è diminuita. Sembra che abbiano ancora la freschezza della loro giovinezza. Non vi è segno di decadimento e alcun falso movimento che ne riveli la vecchiaia. Di tutte le cose visibili, questi corpi celesti stanno accanto all’Antico di giorni, e la loro immutata gloria è una profezia dell’eternità.
Coloro che avranno condotti molti alla giustizia risplenderanno di una gloria che porterà gioia persino al cuore del Redentore; e così, i loro anni proseguiranno all’infinito.
“Verso 4 Ma tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al tempo della fine; molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà«.”
Senza dubbio, le “parole” e il “libro” di cui si parla si riferiscono alle cose che sono state rivelate a Daniele in questa profezia. Queste cose dovevano essere nascoste e sigillate fino al tempo della fine, ovvero, non dovevano essere studiate in modo particolare, o comprese bene, fino a quel tempo. Com’è già stato mostrato, il tempo della fine iniziò nel d.C. 1798. Dato che il libro era nascosto e sigillato sino a quel tempo [1798 d.C.], la semplice conclusione è che a quel tempo, o da quel tempo, il sigillo sarebbe stato tolto a quel libro; ovvero, la gente lo avrebbe capito meglio, e avrebbe concentrato la propria attenzione specialmente a questa parte della parola ispirata. Non è necessario ricordare al lettore di tutto quello che, da allora, è stato fatto riguardo la profezia. Le profezie, specialmente quella di Daniele, sono state esaminate da tutti gli studenti del mondo laddove la civilizzazione aveva diffuso la sua luce sulla terra. E dato che la nota del verso è una predizione di quello che dovrebbe accadere all’inizio del tempo della fine, dice: “Molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà.” Sia che questo “andare avanti e indietro” si riferisce allo spostamento della gente da un posto all’altro, grazie ai grandi miglioramenti nell’infrastruttura del trasporto e del viaggio fatte in questo secolo [fine 1800], sia che significhi, come alcuni l’hanno capita, un avanti e indietro nelle profezie, ovvero, una diligente e sincera ricerca nella verità profetica, l’adempimento è certamente e [332] sicuramente davanti ai nostri occhi. Questo verso deve applicarsi in uno di questi due modi; e l’età presente è fortemente indicata in entrambe le direzioni.
La stessa cosa vale per l’aumento della conoscenza, che deve riferirsi sia al generale aumento di conoscenza, lo sviluppo delle arti e delle scienze, o un aumento di conoscenza riguardo le cose rivelate a Daniele, che erano nascoste e sigillate fino al tempo della fine. Anche qui, applichiamolo come vogliamo, l’adempimento è molto marcato e completo. Guardate alle meravigliose realizzazioni della mente umana,
e alle abili opere delle mani degli uomini, che competono con i sogni più selvaggi di qualsiasi mago, che sono state compiute negli ultimi cento anni. Il magazine Scientific American ha dichiarato che in questo momento è stato fatto più avanzamento in tutti i campi scientifici, e più progresso in tutto quello che riguarda la trasmissione domestica delle informazioni dall’uno all’altro, ai mezzi per un rapido spostamento da un luogo all’altro e persino da un continente all’altro, rispetto a tutto quello che è stato fatto nei tremila anni precedenti messi assieme.
Attraverso una serie di vignette, l’artista ci ha mostrato alcune delle più meravigliose scoperte e dei stupendi risultati scientifici e meccanici dell’età presente:
#1 Il ponte sospeso. Il primo ponte sospeso degno di nota in questo paese è stato costruito nel 1855 attraverso il fiume Niagara. Il ponte di Brooklyn è stato completato nel 1883.
#2 L’lluminazione elettrica. Il sistema d’illuminazione venne perfezionato e utilizzato negli ultimi venti anni del 1800. All’Esposizione Centenaria di Philadelphia, nel 1876, vi erano soltanto due esposizioni di illuminazione elettrica. Ventiquattro anni dopo, all’Esposizione di Parigi c’erano duecento esposizioni dello stesso genere.
#3 Artiglieria moderna. Nel Sandy Hook, dove si controlla l’ingresso al porto di New York, c’è un cannone mostruoso lungo 15 metri, del peso di 130 tonnellate, capace di lanciare un proiettile più lungo di un metro e mezzo e pesante 1.088 Kg, per una distanza di 32 Km. [333]
#4 L’Automobile. Sino a pochi anni fa, questa macchina era completamente sconosciuta. Ora, le automobili si trovano in tutte le parti del paese [U.S.A. fine 1800], e hanno sostituito quasi interamente il carro trainato dai cavalli come mezzo di locomozione. Riguardo le descrizioni dell’automobile e del treno ferroviario, leggete la profezia di Nahum 2:3,4.
#5 La stampa moderna. In un ora, gli uffici dei grandi quotidiani stampano 450 Km di carta, e contemporaneamente producono 96.000 quotidiani di 16 pagine, piegati, incollati e contati. Confrontatelo con la stampa fatta a mano di Benjamin Franklin.
#6 Il telegrafo. Questo strumento venne usato per la prima volta nel 1844.
#7 Il tram. La prima linea ferroviaria elettrica è stata costruita e gestita all’Esposizione Internazionale di Berlino, nel 1879. Ora, il viaggio interurbano verso molti luoghi con il tram ha quasi la stessa velocità e supera la comodità del miglior servizio ferroviario a vapore. Infatti, generalmente si crede che l’elettricità sta per sostituire il vapore su tutte le linee ferroviarie.
#8 Il telefono. Il primo brevetto telefonico venne concesso ad Alexander Graham Bell, nel 1876.
#9 La ferrovia a vapore. La prima locomotiva costruita in America venne fatta a Philadelphia nel 1832. L’utilizzo del motore a vapore per la locomozione ha reso possibile viaggiare intorno il mondo in circa quaranta giorni.
#10 Navi a vapore per l’oceano. All’inizio del secolo scorso [il 1700]
l’applicazione del potere del vapore alle navi rivoluzionò i viaggi sull’oceano. Ora si costruiscono navi che attraversano l’oceano in quattro giorni, hanno ogni lusso che si trova negli alberghi più belli, e sono molto più grandi del famoso piroscafo Great Eastern.
#11 Navi da guerra moderne. Una sola nave da guerra di oggi potrebbe facilmente sconfiggere tutte le flotte navali del mondo della metà del secolo scorso [1700].
#12 La macchina da scrivere. Il primo modello della moderna macchina da scrivere fu lanciato sul mercato nel 1874.
#13 La mietitrice combinata con la trebbiatrice. Confrontare i metodi di raccolta di oggi con una sola macchina, in cui il grano [334] [335] [336] non viene soltanto tagliato e ammassato, ma allo stesso tempo viene anche trebbiato e raccolto in sacchi pronti per il mercato; il vecchio metodo di raccolta a mano veniva praticato nei giorni dei nostri nonni.
#14 La macchina per la composizione tipografica. Questa macchina ha permesso una rivoluzione nell’arte della stampa. La prima macchina Mergenthaler è stata fatta nel 1884.
#15 Pozzi petroliferi. La scoperta del petrolio del secolo scorso rivoluzionò l’illuminazione domestica, fornendo anche prodotti indispensabili come la benzina e il gasolio.
#16 Il fonografo. Il primo fonografo di Edison fu costruito nel 1877.
#17 La camera fotografica. La prima foto di un volto umano è stata fatta
dal professor Draper, New York, nel 1840.
#18 Il telegrafo senza fili. Il primo apparecchio capace di trasmettere senza filo messaggi su lunghe distanze venne fatto da Marconi nel 1896. Ora, quasi ogni grande imbarcazione a vapore è dotata di questo apparecchio, permettendo alla gente di comunicare sull’oceano a centinaia di chilometri di distanza. Un giornale quotidiano viene pubblicato su un transatlantico, dando ogni giorno le notizie sugli eventi del mondo, inviate attraverso il telegrafo senza fili dalle rive americane o europee verso la nave.
#19 Navigazione aerea. La conquista dell’aria raggiunta attraverso l’aeroplano è uno dei trionfi più notevoli di ogni età. Ora è possibile viaggiare per via aerea da una città all’altra, a centinaia di chilometri di distanza, senza fermarsi, e ad una velocità di oltre 96 Km all’ora. Sono anche state costruite le navi dirigibili aeree che possono trasportare venti passeggeri alla volta, su lunghe distanze, alla velocità di un treno ferroviario medio.
Si potrebbe parlare di tante altre cose, come il sommergibile corazzato subacqueo, navi sommergibili per esplorare le profondità del mare e nelle guerre navali, macchine per la produzione di potenza, anestetici per prevenire il dolore durante l’intervento chirurgico eccetera, eccetera.
Che galassia di meraviglie originate tutte in un unica età! Quanto sono meravigliosi i risultati scientifici odierni su cui tutte queste scoperte e ottenimenti [337] concentrano la loro luce! Veramente, visto da questo punto di vista, noi abbiamo raggiunto l’era dell’aumento della conoscenza.
E per l’onore della cristianità, si noti in quali terre, e da chi, tutte queste scoperte sono state fatte, e molto è fatto per la semplificazione e la comodità della vita. Tutto ciò avviene nelle terre cristiane, tra i cristiani, dai tempi della grande Riforma. Non avvenne nel medio evo, che diede soltanto un cristianesimo falsificato; e neppure tramite i pagani, che nella loro ignoranza non conoscono Dio, e nemmeno tramite coloro che nelle terre cristiane lo negano. Infatti, è proprio lo spirito di uguaglianza e di libertà individuale che si trova nel Vangelo di Cristo quando è predicato nella sua purezza, che libera le facoltà umane, apre le menti umane, li invita al più alto uso dei loro poteri, e rende possibile una simile età di libero pensiero e azione, in cui possono essere raggiunte queste meraviglie.
Victor Hugo parla del meraviglioso carattere dell’epoca attuale:
“Nella scienza operano tutti i miracoli; dal cotone si fa il salnitro; un cavallo dal vapore, un operaio dalla pila elettrica, un messaggero dall’elettricità, e un pittore dal sole; si bagna nelle acque sotterranee, mentre è riscaldata con le caldaie; si apre su quelle due infinite finestre – il telescopio sull’infinitamente grande, e il microscopio sull’infinitamente piccolo, e nella prima immensità trova le stelle del cielo, mentre nella seconda trova gli insetti, che dimostrano l’esistenza di un Dio. Annienta il tempo, la distanza, la sofferenza; scrive una lettera da Parigi a Londra, e rimanda la risposta in dieci minuti; taglia la gamba di un uomo – l’uomo canta e sorride.” Le Petit Napoleon, di Victor Hugo.
Ma se prendiamo l’altro punto di vista, e riferiamo l’aumento della conoscenza ad un aumento della conoscenza biblica, dobbiamo soltanto guardare alla meravigliosa luce che negli ultimi sessanta anni ha illuminato le Scritture. L’adempimento della profezia è stata rivelata alla luce della storia. L’uso di un miglior principio interpretativo ha portato a conclusioni che mostrano, oltre ogni controversia, che la fine di tutte le cose è vicina. Il sigillo è stato veramente tolto dal libro, e la conoscenza di quello che Dio ha rivelato nella Sua parola è aumentata meravigliosamente.
[338]
Noi pensiamo che, a tal proposito, la profezia si sarebbe potuta adempiere in modo speciale soltanto in un epoca come questa.
Che siamo nel tempo della fine, quando il libro di questa profezia non deve restare più sigillato, ma deve essere aperto e capito, è mostrato in Apocalisse 10:1 e 2 , dove si vede scendere dal cielo un angelo possente con in mano un libretto aperto. Per dimostrare che il libretto aperto in Apocalisse 10:1,2 è lo stesso che qui è chiuso e sigillato, e che quell’angelo porta il suo messaggio in questa generazione, si veda Apocalisse 10:2.
“Verso 5 Poi io, Daniele, guardai, ed ecco altri due in piedi, uno su questa sponda del fiume, e l’altro sull’altra sponda del fiume. 6 Uno di essi disse all’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume: »Quando sarà la fine di queste meraviglie?«. 7 Io udii allora l’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume, il quale, alzata la mano destra e la mano sinistra al cielo, giurò per colui che vive in eterno che ciò sarà per un tempo, per dei tempi e per la metà di un tempo; quando la forza del popolo santo sarà interamente infranta, tutte queste cose si compiranno.”
La domanda: “Quando sarà la fine di queste meraviglie?” indubbiamente si riferisce a tutto quello che è stato detto precedentemente, incluso il tempo in cui sorgerà Mikael, il tempo della tribolazione, la liberazione del popolo di Dio, e la risurrezione speciale e precedente del verso 2. Sembra che la risposta sia stata data in due parti: #1 è segnato un preciso tempo profetico; e #2 prima di raggiungere la conclusione di tutte queste cose vi è un tempo indefinito; proprio come è scritto in Daniele 8:13 e 14. Quando fu domandato: “Fino a quando durerà la visione … che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati?” la risposta citava un determinato periodo di 2300 giorni, e poi un indefinito periodo di tempo per la purificazione del santuario. Così, nel testo che abbiamo davanti, viene dato il periodo di “un tempo, dei tempi e la meta di un tempo”, o 1260 anni, e poi un indefinito periodo di tempo in cui la forza del popolo santo viene interamente infranta.
I 1260 anni segnano il periodo di tempo della supremazia papale. Per quale motivo viene introdotto questo periodo di tempo? Probabilmente perché questo è il potere che più di ogni altro nella storia del mondo [339] infrange interamente la forza del popolo dei santi, ovvero, opprime la chiesa di Dio. Ma cosa dobbiamo capire con l’espressione: “Quando la forza del popolo santo sarà interamente infranta”? Una traduzione letterale della Septuaginta sembra presentarlo in una luce più chiara: “Quando lui avrà finito di infrangere la forza del popolo santo.” A chi si riferisce il pronome “lui”? Secondo le parole della scrittura, a prima vista, il precedente sembra essere “Colui che vive in eterno”, o Geova; ma come fa notare giudiziosamente un importante espositore delle profezie, nel considerare i pronomi della Bibbia dobbiamo interpretarli secondo il contesto; e quindi spesso li riferisce ad una comprensione precedente, piuttosto che a qualche parola espressa. Così, qui, il piccolo corno, o l’uomo del peccato, essendo stato introdotto dalla particolare citazione del periodo di tempo della sua supremazia, ovvero i 1260 anni, può essere il potere a cui ci si riferisce con il pronome “lui”. Per 1260 anni, il piccolo corno aveva oppresso tremendamente la chiesa, o aveva infranto il suo potere. Dopo che la sua supremazia è portata via, rimangono ancora i suoi propositi verso la verità e i suoi difensori, il suo potere si sente ancora in una certa misura, ed egli continua la sua opera di oppressione fin dove può arrivare – sino a quando? – Sino all’ultimo degli eventi mostrato nel verso 1, la liberazione del popolo di Dio, chi è trovato scritto nel libro. Essendo liberati in questo modo, i poteri persecutori non possono più opprimerli; la forza del popolo di Dio non è più infranta; la fine delle meraviglie descritte in questa grande profezia è raggiunta, e tutte le sue predizioni sono adempiute.
Oppure, senza modificare particolarmente il senso [della frase], possiamo riferire il pronome “lui” a colui di cui si parla nel giuramento del verso 7, come a “Colui che vive in eterno”, ovvero, a Dio, dato che Lui usa le potenze terrene per castigare e disciplinare il Suo popolo, e in tal senso si può dire che sia proprio Lui ad infrangere la loro forza. Attraverso il Suo profeta, Lui dice del regno d’Israele: “Devastazione, devastazione, [devastazione], … finché non verrà colui a cui appartiene il giudizio.” (Ezechiele 21:34 Nuova Diodati [corrispondente al verso 27 nella KJV]) E ancora: “Gerusalemme sarà calpestata dai gentili, finché i tempi dei gentili siano compiuti.” (Luca 21:24) [340] La profezia di Daniele 8:13 è della stessa importanza: “Fino a quando durerà la visione … che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati?” Chi permette il compimento di queste cose? – Dio. Perché? Per disciplinare; per “purificare e imbiancare” il Suo popolo. Fino a quando? – Fino alla purificazione del santuario.
“Verso 8 Io udii, ma non compresi, perciò chiesi: »Mio signore, quale sarà la fine di queste cose?«. 9 Egli rispose: »Va Daniele, perché queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. 10 Molti saranno purificati H1305, imbiancati e affinati H6884 [o provati]; ma gli empi agiranno empiamente e nessuno degli empi intenderà, ma intenderanno i savi.” [H1305 barar = purificare, purificarsi, selezionare, rendere brillante, provare ; H6884 tsaraph = provare, essere provati veri, raffinare, purificare]
Con quanta forza ci viene ricordato (attraverso la sollecitudine di Daniele che voleva capire pienamente tutto quello che gli era stato mostrato) delle parole di Pietro in cui i profeti ricercarono e investigarono diligentemente per comprendere le predizioni riguardanti le sofferenze di Cristo e la gloria che sarebbe seguita; e anche del fatto che costoro non amministravano per loro stessi ma per noi. [1Pietro 1:10-12] Quanto poco venne permesso ad alcuni dei profeti di capire di quello che scrissero! Ma essi non si rifiutarono di scrivere. Se Dio lo richiedeva, essi sapevano che al tempo giusto, Lui vedeva che il Suo popolo avrebbe tratto dai loro scritti tutti i benefici che Lui intendeva. Così, il linguaggio qui utilizzato nei confronti di Daniele significa che quando sarebbe arrivato il momento giusto, i sapienti avrebbero compreso il significato di ciò che lui aveva scritto, traendone un beneficio. Il tempo della fine era il tempo in cui lo Spirito di Dio doveva togliere il sigillo da questo libro; e, di conseguenza, questo era il tempo durante il quale i sapienti avrebbero capito, mentre i malvagi, avendo perso tutto il senso del valore della verità eterna, con i cuori insensibili e induriti nel peccato, avrebbero continuato ad essere sempre più malvagi e ciechi. “Nessuno degli empi intenderà.” Gli sforzi dei sapienti che vogliono capire vengono definiti follia e presunzione dagli empi che, in modo beffardo, chiedono: “Dov’è la promessa della sua venuta?” [2Pietro 3:4] Si dovrebbe domandare: “A quale tempo e generazione si riferisce il profeta?” e la solenne risposta sarebbe: “Al tempo presente, e alla nostra generazione.” Ora, questo linguaggio del profeta si sta adempiendo in modo impressionante.
[341]
A prima vista, l’espressione del verso 10 sembra piuttosto particolare: “Molti saranno purificati, imbiancati e affinati [o provati].” Si può chiedere: In che modo costoro possono essere imbiancati e poi provati (come il linguaggio sembrerebbe intendere), quando è attraverso la prova che loro sono purificati ed imbiancati? Risposta: Senza dubbio, il linguaggio descrive un processo che viene ripetuto molte volte nella vita di coloro che, durante questo tempo, vengono preparati per il ritorno e il regno del Signore. Essi sono purificati e imbiancati in una certa misura, rispetto alla loro precedente condizione; poi, vengono provati ancora. Essi ricevono prove ancora più grandi, e se le sopportano, l’opera di purificazione sale ad un livello maggiore – il processo di imbiancatura è fatto per raggiungere un livello ancora più alto. Dopo aver raggiunto questo stato, essi vengono nuovamente provati, risultando in una ulteriore purificazione e imbiancatura. Il processo prosegue in questo modo sino a quando i caratteri sono sviluppati per sopportare la prova del grande giorno, raggiungendo una condizione spirituale che non necessita di ulteriori prove.
“Verso 11 Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrifico continuoH8548 [la continuazione della desolazione] e sarà eretta l’abominazione che causa la desolazione, vi saranno milleduecentonovanta giorni.”
Qui abbiamo l’introduzione di un nuovo periodo profetico: i 1290 giorni profetici, che indicherebbero lo stesso numero di anni reali. Dalla lettura del testo, alcuni hanno dedotto (anche se la deduzione non è necessaria) che questo periodo inizia con l’erezione dell’abominazione che causa la desolazione, o il potere papale, nel 538 d.C. , e di conseguenza si estende sino al 1828 d.C. [538 + 1290 = 1828 d.C.] Sebbene nell’ultimo anno [1828] non troviamo alcun segno della sua conclusione, troviamo la prova nel margine biblico che [i 1290 giorni] iniziano prima dell’erezione dell’abominazione papale. Nel margine si legge: “Per erigere l’abominazione”, eccetera. Con questa lettura, il testo avrebbe questo significato: “E dal tempo in cui il sacrificio continuoH8548 [la continuazione della desolazione] sarà abolito per erigere (o per far sorgere) l’abominazione che causa la desolazione, vi saranno milleduecentonovanta giorni.” È già stato dimostrato che la “continuazione (della desolazione)” non è il sacrificio quotidiano degli Ebrei, ma una abominazione giornaliera, o continua, ovvero, il paganesimo. (Vedi Daniele 8:13 a pag. 178, e vedi anche il punto n. 8 a pag. 177) [342] La continuazione della desolazione doveva essere abolita per preparare la strada al papato. Per gli eventi storici che mostrano come questo venne adempiuto nel 508 d.C. , vedi Daniele 11:31. Purtroppo, non ci viene detto chiaramente quale evento accade alla fine di questi 1290 giorni; ma allo stesso modo in cui il loro inizio è segnato da un opera che avviene per preparare la strada all’erezione del papato, sarebbe più naturale concludere che la loro fine sia marcata dalla cessazione della supremazia papale. Partendo dal 1798 d.C. e tornando in dietro di 1290 anni, abbiamo l’anno 508 d.C. , in cui è stato mostrato che venne abolito il paganesimo, trenta anni prima dell’erezione del papato. [Vedi da pag. 283 in poi] Senza dubbio, questo periodo di tempo è stato fornito per mostrare la data dell’abolizione della continuazione, ed è l’unico [periodo profetico] che lo fa. Di conseguenza, i due periodi profetici dei 1260 e dei 1290 giorni, terminano insieme nel 1798 d.C. , uno inizia nel 538 d.C. , e l’altro nel 508 d.C. , trent’anni prima.
“Verso 12 Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni. 13 Ma tu va’ pure alla tua fine; ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità H1486 alla fine dei giorni«.”
[H1486 gowral = piccola pietra o sassolino per tirare a sorte, parte assegnata attraverso la sorte, ricompensa, retribuzione, una porzione, destino attraverso la sorte ; Gesenius dice: paese toccato in sorte, specialmente la parte di un eredità, la terra che appartiene a qualcuno attraverso l’eredità; Giudici 1:3; Isaia 57:6; Salmi 125:3; Daniele 12:3; confronta con Apocalisse 20:6]
Qui è introdotto ancora un altro periodo profetico di 1335 anni. La testimonianza che riguarda questo periodo di tempo, come per i 1290 anni, è molto scarsa. Possiamo conoscere l’inizio e la fine di questo periodo? L’unico indizio che abbiamo per la soluzione a questa domanda è il fatto che se ne parla nell’immediata connessione con i 1290 anni che, come mostrato sopra, iniziano nel d.C. 508. Il profeta dice che da quel punto ci saranno 1290 giorni; e proprio nella frase successiva si dice: “Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni.” Da quale punto? – Senza dubbio, dallo stesso punto da cui si datano i 1290 giorni, ovvero, dal d.C. 508. Se i 1335 giorni non sono calcolati da questo punto, allora è impossibile localizzarli, e quindi devono essere esclusi dalla profezia di Daniele quando gli applichiamo le parole di Cristo: “Chi legge, intenda.” (Matteo 24:15) Da questo punto [508 d.C.] si arriva al 1843 d.C. ; dato che sommando 1335 con 508 da 1843. Iniziando nella primavera dell’anno prima [1842], i 1335 giorni terminano nella primavera del 1843.
[343]
Si può chiedere: Come mai questi 1335 giorni sono finiti, dato che alla fine di questi giorni Daniele si rialza per ricevere la sua parte di eredità, che alcuni suppongono si riferisca alla sua risurrezione dai morti? Questa domanda si fonda su due malintesi: primo, i 1335 giorni sono quelli in cui Daniele si rialza per ricevere la sua parte di eredità; e secondo, Daniele che si rialza per ricevere la sua parte di eredità è la sua risurrezione… anche questa è una cosa che non può essere sostenuta. L’unica cosa promessa alla fine dei 1335 giorni è una benedizione verso coloro che aspettano e arrivano a quel tempo, ovvero, coloro che vivono in quel tempo. Cos’è questa benedizione? Guardando all’anno 1843, quando questi [1335] anni si concludono, cosa osserviamo? Vediamo un notevole adempimento della profezia nella grande proclamazione del secondo ritorno di Cristo. Quarantacinque anni prima [ovvero il 1798 d.C.], iniziò il tempo della fine, il sigillo fu tolto dal libro, e la luce iniziò ad aumentare. Verso il 1843, c’è stato un punto massimo di tutta la luce che era stata sparsa sui temi profetici sino a quel tempo. La proclamazione avanzava con forza. La nuova e stimolante dottrina dello stabilimento del regno di Dio scosse il mondo. Venne data nuova vita ai veri discepoli di Cristo. Gli increduli vennero condannati, le chiese vennero provate, e si risvegliò uno spirito di rinascita senza precedenti.
Questa era la benedizione? Ascoltate le parole del Salvatore ai Suoi discepoli: “Ma, beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché odono.” (Matteo 13:16) Cristo disse ancora ai suoi discepoli che i profeti e i re desiderarono vedere le cose che loro vedevano, e non le videro. Ma Cristo disse loro: “Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete.” (Luca 10:23,24) Se, nei giorni di Cristo, una nuova e gloriosa verità era una benedizione per coloro che la ricevevano, perché non doveva essere ugualmente così nel 1843 d.C.?
Si può obiettare che le aspettative delle persone coinvolte in questo movimento [del 1843] vennero deluse; allo stesso modo lo erano stati anche i discepoli di Cristo durante il Suo primo avvento. Essi gridarono davanti a Lui mentre entrava in Gerusalemme, aspettandosi che in seguito avrebbe conquistato il regno; a quei tempi, però, l’unico trono verso cui Lui andò era la croce; e anziché essere salutato come re in un palazzo reale, il Suo corpo senza vita venne posto [344] nel nuovo sepolcro di Giuseppe [di Arimatea]. Ciononostante, i discepoli erano stati “benedetti” nel ricevere le verità che avevano ascoltato.
Si può ulteriormente obiettare che questa non era una benedizione sufficiente per essere segnata da un periodo di tempo profetico. Perché no? dato che il periodo di tempo in cui doveva accadere, ovvero il tempo della fine, è introdotto da un periodo profetico; dato che il nostro Signore annuncia in modo speciale questo movimento nella sua grande profezia di Matteo 24:14; e dato che viene esposto ulteriormente in Apocalisse 14:6,7 attraverso il simbolo di un angelo che vola in mezzo al cielo con un annuncio speciale dell’evangelo eterno agli abitanti della terra? Sicuramente, la Bibbia dà grande importanza a questo movimento.
Restano ancora due brevi domande: #1 A quali giorni ci si riferisce nel verso 13? #2 Qual’è il significato di Daniele che si rialza per ricevere la sua eredita? Coloro che sostengono che si sta parlando dei 1335 giorni, giungono a questa conclusione
perché considerano solo il verso precedente in cui si parla dei 1335 giorni; laddove, nell’applicare questi giorni introdotti in modo così vago, tutta l’estensione della profezia deve essere certamente considerata dal capitolo 8. I capitoli 9, 10, 11 e 12 sono chiaramente una continuazione e spiegazione della visione del capitolo 8, perciò possiamo dire che nella visione del capitolo 8, così com’è avvenuta e come è stata spiegata, ci sono quattro periodi profetici: i 2300, i 1260, i 1290 e i 1335 giorni. Il primo è il periodo di tempo principale più lungo, mentre gli altri sono solo le sue parti intermedie e le sue suddivisioni. Ora quando, al termine delle sue istruzioni, l’angelo dice a Daniele che riceverà la sua parte di eredità alla fine dei giorni, senza specificare quale periodo di tempo era inteso, per Daniele non sarebbe stato più naturale pensare al periodo di tempo principale e più lungo, i 2300 giorni, anziché ad una di queste suddivisioni? Se è così, si intendono proprio i 2300 giorni. La lettura della Septuaginta sembra guardare molto chiaramente in questa direzione: “Ma tu vai pure alla tua fine; perché ci sono ancora giorni e anni per il pieno adempimento (di queste cose); e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredita alla fine dei giorni.” Sicuramente, questo ci fa ripensare al lungo periodo di tempo contenuto nella prima visione, riguardo al quale erano date le successive istruzioni.
[345]
Come è già stato mostrato, i 2300 giorni sono terminati nel 1844, tempo in cui il santuario è stato purificato. Come fece Daniele a quel tempo a ricevere la sua parte di eredità? Risposta: Nella persona del suo Avvocato, il nostro Grande Sommo Sacerdote che presenta i casi dei giusti al Padre, per la Sua accettazione. La parola tradotta come eredità [in inglese “lot”, ovvero lotto o appezzamento di terra] non significa un bene immobile o un lotto di terra, ma le “decisioni delle opportunità” o le “determinazioni della Provvidenza.” Alla fine dei giorni, la decisione, per così dire, doveva essere presa. In altre parole, doveva essere deciso chi sarebbe stato degno di un possedimento nell’eredità celeste. E quando si giunge ad esaminare il caso di Daniele, egli è trovato giusto, riceve la sua parte di eredità, e gli viene assegnato un posto nella Canaan celeste.
Quando Israele stava per entrare nella terra promessa, venne gettata la sorte, e venne assegnato il possedimento di ogni tribù. In questo modo, le tribù ebbero le loro rispettive “parti” molto prima che entrassero davvero in possesso della terra. Il tempo della purificazione del santuario corrisponde a questo periodo della storia di Israele. Ora, noi ci troviamo ai confini della Canaan celeste, e le decisioni si stanno prendendo, assegnando a qualcuno un posto nel regno eterno, e proibendone per sempre l’ingresso ad altri. Per quanto riguarda la decisione del caso di Daniele, la sua parte nell’eredità celeste gli sarà assicurata; e assieme a lui ci saranno anche tutti i fedeli. E quando questo devoto servo di Dio che ha lungamente vissuto servendo il suo Creatore con le opere più nobili, anche se affaticato dalle più pesanti preoccupazioni di questa vita, verrà ricompensato per aver operato bene; speriamo di poterci riposare con lui.
Siamo giunti alla fine dello studio di questa profezia, con l’osservazione che è stato molto soddisfacente passare il tempo e studiare questa meravigliosa profezia, contemplando il carattere della persona più amata degli uomini, nonché il più illustre dei profeti. Dio non rispetta le persone; e una riproduzione del carattere di Daniele garantirà il favore divino persino oggi. Imitiamo le sue virtù, affinché noi, come lui, possiamo avere l’approvazione di Dio mentre stiamo qui, e abitare tra le creazioni della sua gloria infinita nel lungo futuro.
[346]
APPROFONDIMENTI
1888 Problemi, risultati, lezioni
“La sessione del 1888 ha portato del buono o del cattivo per la chiesa?”
“Il lato negativo”
di Robert W. Olson, Ph. D
Segretario del Ellen G. White Estate in Washington, D. C.
[…] Diversi anni prima che iniziasse la sessione, si stavano sviluppando differenze personali e animosità tra due gruppi delle guide della chiesa. #1 I fratelli di Battle Creek erano guidati da George I Butler, presidente della Conferenza Generale, e Uriah Smith, redattore della Review and Herald. Diversi presidenti delle conferenza locali associavano la loro simpatia a questi uomini, in particolare gli anziani R. M. Kilgore dell’Illinois, J. H. Morrison dell’Iowa, R. A. Underwood dell’Ohio e I. D. Van Horn del Michigan, così come altri personaggi minori. #2 L’altro gruppo era guidato da E. J. Waggoner e A. T. Jones, che servivano come coeditori di Signs of the Times e anche come insegnanti biblici all’Healdsburg College. Tra i loro amici vi erano W. C. White, S. N. Haskell, e C. H. Jones. Inizialmente, le differenze tra questi due gruppi riguardava la loro interpretazione di due passaggi della Scrittura. Il primo gruppo di fratelli credeva che gli Unni erano uno dei 10 regni di Daniele 7, e che la legge “aggiunta” di Galati 3:19-25 era il sistema cerimoniale ebraico. Il secondo gruppo di fratelli, d’altro canto, favoriva gli Alemanni anziché gli Unni, e riteneva che la legge “aggiunta” fosse la legge morale. Il fatto che Waggoner e Jones fossero uomini relativamente giovani – nei loro trenta – mentre Butler e Smith fossero nei loro cinquanta, tendeva ad aggravare la situazione. Butler non riusciva a credere che due novizi dell’editoria avrebbero potuto capire la Bibbia meglio di lui. [G. I. Butler a E. G. White, 1 ottobre 1888, pag 23]
Minneapolis 1888
Il problema dimenticato
“Introduzione”
by Roger W. Coon
[…] I problemi teologici discussi formalmente in pubblico, sia nell’istituto che negli studi e nel dibattito che continuava nella sessione, erano principalmente tre: [#1] l’identità delle 10 corna di Daniele 7 – specialmente il decimo regno (Uriah Smith favoriva gli Unni, mentre A. T. Jones sosteneva gli Alemanni); [#2] l’identità della “legge” in Galati – il “precettore” di Galati 3:24 (Butler e Smith favorivano la legge cerimoniale, mentre il dottor E. J. Waggoner favoriva la legge morale dei 10 comandamenti);[4] e [#3] la giustificazione per fede (i principali presentatori erano Jones e Waggoner).
Ellen G. White: volume 3
Gli anni del ritiro: 1876-1891
Arthur L. White (1984)
Capitolo 30 – (1888)
Il potenziale della sessione della Conferenza Generale del 1888
Purtroppo, la discussione sui dieci regni, se gli Unni o gli Alemanni costituissero uno di questi 10 regni, assunse la forma di un dibattito e si trascinò per diversi giorni. Jones era a favore degli Alemanni, e Smith degli Unni, come nella sua lista originale pubblicata in Pensieri su Daniele e l’Apocalisse. Gli animi si scaldarono. Vennero fatti dei discorsi taglienti su una questione piuttosto insignificante. Questo polarizzò il gruppo e pose le basi per un amaro dibattito sui prossimi soggetti – in particolare sulla legge in Galati e sulla giustificazione per fede. {3BIO 394.1}
Manoscritti e memorie di Minneapolis
The Review and Herald
Battle Creek Mich., 23 ottobre 1888
LA CONFERENZA
La questione principale fin qui discussa è quella dei dieci regni che sorsero dall’impero romano, rappresentati dalle dieci corna della quarta bestia di Daniele 7. Come i nostri lettori sanno, si afferma che l’elenco solitamente dato di quei regni dovrebbe essere cambiato, e gli Alemanni devono sostituire gli Unni come uno dei dieci [regni]. Questa posizione era difesa in maniera molto scrupolosa, e anche l’altra parte ne aveva parlato tanto quanto era stato permesso dalla loro limitata preparazione. Tenuto conto di tutto ciò che venne detto da entrambe le parti, il sentimento dei delegati apparve, da indizi inconfondibili, essere enormemente dalla parte dei principi interpretativi stabiliti e dalla parte della vecchia visione. Resta ancora da vedere se la questione faccia alcuna differenza o meno con coloro che sollecitano la nuova posizione. {1988 EGWE, MMM 400.3}
LE DIECI PARTI DI ROMA
I dieci regni che sorsero dal vecchio impero romano sono simboleggiati dalle dieci corna della quarta bestia di Daniele capitolo 7. Tutti sono d’accordo su questo punto, ma tra gli espositori, però, non c’è stata unanimità riguardo i regni che costituivano queste [dieci] parti. Alcuni nominano gli Unni come una di queste parti, altri mettono gli Alemanni al posto degli Unni. Affinché il lettore possa vedere la tendenza generale di ciò che è stato scritto su questo argomento, si presentano i seguenti fatti:
Machiavelli, lo storico fiorentino, scrivendo come un semplice storico, nomina gli Unni come una delle nazioni principalmente interessate nella frantumazione dell’impero romano. Tra coloro che, riferendosi alla profezia, hanno scritto su questo punto, si può citare Berengaud, nel nono secolo; Mede, 1586 – 1638; Bossuet, 1627 – 1704; Lloyd, 1627 – 1717; Sir Isaac Newton, 1642 – 1727; il vescovo Newton, 1704 – 1782; Hales, — 1821; Faber, 1773 – 1854.
Di queste nove autorità, otto sostengono che gli Unni erano uno dei dieci regni; di questi otto, due (Bossuet e il vescovo Newton, seguiti dal dottor Clarke), hanno sia gli Unni che gli Alemanni; solo uno (Mede), tralascia gli Unni e prende gli Alemanni. Così, otto [autorità] favoriscono l’idea che gli Unni erano rappresentati da una delle corna; due [autorità], pur non respingendo gli Unni, considerano gli Alemanni come una delle corna; mentre uno respinge gli Unni e prende gli Alemanni. Scott e Barnes nei loro commentari, e Oswald nel suo Kingdom That Shall Not Be Moved [Regno che non sarà smosso], nominano gli Unni.
COMMENTARI DI ‘DANIELE 3:25’
Commentario di Ellicott per i lettori inglesi
(25) Il Figlio di Dio. – Ricordiamo che queste parole sono state pronunciate da un re pagano che, in Daniele 3:28, chiama questa stessa Persona “un angelo” del Dio che i tre ebrei adoravano. Probabilmente, Nabucodonosor pensava di poter stare dinnanzi a Dio proprio come faceva con Merodak [un idolo babilonese – Geremia 50:2 – che probabilmente rappresentava il pianeta Marte]. Le sue idee del potere di Geova erano evidentemente sorte attraverso la sua testimonianza, anche se lui non lo riconosce essere più di un capo tra gli dei. Nabucodonosor non aveva ancora percepito l’unità di Dio, una cosa essenziale per il Suo dominio assoluto. Ma si deve sempre rispondere la domanda: “Cosa vide il re?” La prima interpretazione dei padri era che fosse esclusivamente Cristo. Non abbiamo modo di accertare ulteriormente la cosa, e dobbiamo accontentarci di sapere che la stessa “presenza dell’Angelo di Dio” che era con Israele nel deserto, ora vegliava sulle persone in Babilonia.
Breve commentario di Matthew Henry
3:19-27 Lasciate che Nabucodonosor riscaldi il più possibile la sua fornace, e in pochi minuti finirà il tormento di chi vi viene gettato dentro; ma le torture con il fuoco infernale non uccidono. Coloro che adoravano la bestia e la sua immagine non hanno riposo, nessuna pausa, nessun momento libero dal dolore, 1Re 14:10,11. Ora era stata adempiuta letteralmente quella grande promessa, Isaia 43:2. “Quando camminerai in mezzo al fuoco, non sarai bruciato.” Rimasti con quel Dio che li preservò dal fuoco, essi camminarono su e giù nel suo mezzo, sostenuti ed incoraggiati dalla presenza del Figlio di Dio. Coloro che soffrono per Cristo hanno la Sua presenza nelle loro sofferenze, persino nella fornace ardente e nella valle dell’ombra della morte. Nabucodonosor ammette che sono servi del Dio altissimo; un Dio capace di liberarli dalla sua mano. Solo il nostro Dio è il fuoco consumante, Ebrei 12:29. Se potessimo vedere il mondo eterno, osserveremo che i credenti perseguitati sono al sicuro dalla malvagità dei loro nemici, mentre questi ultimi sono esposti all’ira di Dio e tormentati nel fuoco inestinguibile.
Commentario biblico di Jamieson-Fausset-Brown
(Daniele 3:25). Quattro – anche se soltanto tre erano stati facilmente gettati perché “legati.” La domanda di Nabucodonosor in Daniele 3:24 mostra quanto si fidasse scarsamente della propria memoria riguardo un fatto appena accaduto, ora che, attraverso un apertura nel forno, lui vede una cosa che non corrisponde. Camminare… in mezzo al… fuoco – un immagine dei devoti incolumi, e in generale (Giovanni 8:36), “in mezzo all’avversità” (Salmi 138:7 confronta con Salmi 23:3,4). Essi camminavano su e giù nel fuoco, senza uscire, ma aspettavano che Dio gli dicesse quando uscire, proprio come Gesù aspettava nella tomba come prigioniero di Dio, finché Dio lo lasciasse andare (Atti 2:26, 27). Così Paolo (2Corinzi 12:8,9). Così Noè aspettava nell’arca, dopo il diluvio, finché Dio lo fece avanzare (Genesi 8:12-18). Come il Figlio di Dio – inconsciamente, come Saul, Caiafa (Giovanni 11:49-52) e Pilato, lui è adatto per pronunciare verità divine. Quando [Nabucodonosor] dice “Figlio di Dio”, significa solo un “angelo” dal cielo, come dimostra Daniele 3:28. Confronta Giobbe 1:6 e 38:7 ; Salmi 34:7,8 ; e l’esclamazione del probabile centurione pagano (Matteo 27:54). I Caldei credevano nelle famiglie delle divinità: Bel, il dio supremo, accompagnato dalla dea Mylitta, essendo il padre degli dei; così, quello che lui voleva dire era: uno sorto e inviato dagli dei. In realtà era il “messaggero del patto”, che qui diede un preludio alla Sua incarnazione.
Commentario di Matthew Poole
Io vedo; la luce del fuoco li illuminava, anche se non aveva alcun potere per riscaldare o bruciare. Come il Figlio di Dio; un aspetto Divino, il più bello e glorioso; o un angelo, o piuttosto di Gesù Cristo, l’Angelo del patto, che a volte apparve nell’Antico Testamento prima della sua incarnazione, Genesi 12:7 e 18:10,13,17,20 ; Esodo 23:23 e 33:2 ; Giosuè 5:13-15 ; Proverbi 8:31 ; in tutti questi posti è Geova; Genesi 19:24 ; Esodo 3:2 ; Atti 7:30,32,33,38.
URIAH SMITH CHIESE SCUSA AD ELLEN WHITE
The Ellen G. White 1888 materials (1987)
Cap. 108 – a J. S. Washburn e moglie
W – 32 – 1891
Battle Creek, Michigan
[Giovedi] 8 gennaio 1891
[…] Lunedì (5 gennaio) l’anziano Smith è venuto da me e abbiamo avuto un colloquio sincero e leale, ho potuto vedere che aveva uno spirito molto diverso rispetto a qualche mese fa. Lui non era ostinato e insensibile, sentiva le parole che gli dicevo, mostrandogli [852] fedelmente la direzione che aveva preso, e il danno che aveva fatto attraverso questa posizione. Lui disse di voler entrare in armonia con le testimonianze dello Spirito di Dio. Gli avevo scritto tredici pagine (il 31 dicembre 1890), inviandogli parole molto chiare. Martedì (6 gennaio) lui chiamò di nuovo per vedermi e chiese se avessi voluto incontrarmi con alcune persone selezionate perché aveva qualcosa da dire. Io gli dissi che avrei voluto. Ieri, mercoledì (7 gennaio), l’incontro si tenne nella mia stanza nell’ufficio, e l’anziano Smith lesse la lettera che io gli avevo mandato, la lesse davanti a tutti e disse di accettarla come proveniente dal Signore. Lui ritornò all’incontro di Minneapolis e fece una confessione dello spirito che aveva mantenuto, gettandomi pesi molto gravosi. Anche il fratello Rupert confessò, ed avemmo una riunione molto redditizia ed eccellente.
Il fratello Smith è caduto sulla Roccia, si è spezzato, e ora il Signore Gesù opererà con lui. Lui prese la mia mano mentre usciva dalla stanza, e disse: “Se il Signore mi perdonerà per il dolore ed il peso che ho portato su di te, ti dico che questa sarà l’ultima volta. Io mi conterrò. Le testimonianze di Dio influenzeranno la mia vita.” È raro che l’anziano Smith abbia versato una lacrima, ma lui pianse davvero, e la sua voce era soffocata dalle lacrime.
INVITO ALLO STUDIO DI QUESTO LIBRO
Ellen White, Testimonies For The Church vol. 6, pag.131
Sappiamo che ci sono molte scuole che offrono opportunità di istruzione nelle scienze, ma noi desideriamo qualcosa di più di questo. La scienza della vera educazione è la verità, che deve essere incisa così profondamente nell’anima da non poter essere cancellata dall’errore che abbonda dappertutto. Il messaggio del terzo angelo è verità, luce e potere, e le nostre scuole, così come le nostre chiese, l’insegnante, così come il ministro, dovrebbero operare per presentarlo in modo da imprimere le giuste impressioni sui cuori. Coloro che accettano il ruolo di educatore dovrebbero stimare sempre più il volere rivelato di Dio, presentato in modo così chiaro e sorprendente in Daniele e l’Apocalisse. {6T 131.1}
Ellen White, Pacific Union Recorder, 6 novembre, 1902
[…] Daniele e l’Apocalisse, Il gran conflitto, Patriarchi e profeti e La speranza dell’uomo, ora dovrebbero andare nel mondo. Il grande insegnamento contenuto in Daniele e l’Apocalisse è stato letto avidamente in molte nazioni da coloro che erano affamati di verità. Questo libro è stato il mezzo che ha portato molte preziose anime dalle tenebre alla luce. Ovunque, dovrebbero avere un ampia diffusione. Il messaggio di avvertimento deve essere portato in tutte le parti del mondo. […] {PUR 6 Novembre, 1902, par. 13 }
Ellen White “The publishing ministry” (1983),
Sezione 6, Capitolo 34
Quattro libri speciali – Daniele e l’Apocalisse, Il gran conflitto, Patriarchi e profeti e La speranza dell’uomo ora dovrebbero andare nel mondo. Le grandi istruzioni contenute in Daniele e l’Apocalisse sono state lette avidamente da molti in Australia. Questo libro è stato il mezzo che ha portato molte preziose anime alla conoscenza della verità. Si deve fare tutto il possibile per far circolare Pensieri su Daniele e l’Apocalisse. Non conosco nessun altro libro che può prendere il suo posto. È l’aiuto della mano di Dio. Manoscritto 76, 1901 {PM 356.2}
Dichiarazioni riguardanti “Pensieri su Daniele e l’Apocalisse”,
manoscritto 26 del 3 marzo 1901
L’opera di colportaggio, è un mezzo designato dal Signore per estendere la conoscenza della verità per questo tempo. I colportori devono fare un opera importante. Il Signore può operare e opererà attraverso di loro, se questi si prepareranno seriamente per fare quello che possono. Lo sforzo fatto per far circolare Christ’s Object Lessons sta dimostrando quello che può essere fatto nel campo del colportaggio. A coloro che stanno lavorando con questo libro, io direi, dopo aver soddisfatto l’immediata necessità, di non perdere il vostro zelo sentendo che non c’è più bisogno di uno sforzo speciale. Vendete il libro ovunque potete, e fate conoscere alla gente i nostri libri più grandi. {1MR 60.4}
In modo speciale, il libro Daniele e l’Apocalisse dovrebbe essere fatto conoscere alle persone come il libro più adatto per questo tempo. Questo libro contiene il messaggio che [61] tutti devono leggere e capire. Tradotto in molte lingue, sarà un potere che illuminerà il mondo. Questo libro ha avuto una grande vendita in Australia e in Nuova Zelanda. Leggendolo, molte anime hanno conosciuto la verità. Ho ricevuto molte lettere in cui si apprezza questo libro. {1MR 60.5}
Lasciate che i nostri colportori sollecitino questo libro all’attenzione di tutti. Il Signore mi ha mostrato che questo libro farà un buon lavoro nell’illuminare coloro che si interesseranno alla verità per questo tempo. Coloro che ora abbracciano la verità e che non hanno condiviso le esperienze di coloro che entrarono nell’opera all’inizio della storia del messaggio, dovrebbero studiare l’istruzione contenuta in Daniele e l’Apocalisse, familiarizzando con la verità che presenta. {1MR 61.1}
Coloro che si preparano ad entrare nel ministero, e che desiderano diventare studenti di successo delle profezie, troveranno in Daniele e l’Apocalisse un aiuto prezioso. Costoro hanno bisogno di capire questo libro che parla del passato, del presente e del futuro, mostrando il percorso in maniera così chiara che nessuno potrà sbagliare. Chi studierà diligentemente questo libro, non avrà alcun piacere per il volgare sentimento presentato da coloro che hanno un desiderio ardente di introdurre qualcosa di nuovo e strano da presentare al gregge di Dio. Il rimprovero di Dio è verso tutti questi insegnanti. Costoro hanno bisogno che qualcuno gli insegni il significato di devozione [o religiosità] e verità. Le grandi, essenziali domande che Dio avrebbe presentato alla gente, si trovano in Daniele e l’Apocalisse, in cui si trova la verità solida ed eterna per questo tempo. Ognuno ha bisogno della luce e delle informazioni in esso contenute. {1MR 61.2}
Coloro che distruggono la terra hanno avuto un lungo periodo di prova. Per sei mila anni, Dio ha sopportato l’ignoranza e la malvagità degli uomini, provandoli e indagandoli in ogni modo, cercando di ricondurli alla loro fedeltà, per essere salvati. Essi, però, rifiutano di ascoltare le sue suppliche. La guerra e lo spargimento di sangue ci sono stati, ci sono, e continueranno ancora ad esserci. [62] La guerra è popolare. Per il mondo, uccidere e distruggere equivale ad essere coraggiosi e degni di una ricompensa. {1MR 61.3}
Si avvicina il tempo in cui Gesù prenderà e possederà il regno sotto tutti i cieli. Lui giudicherà tra le nazioni e rimprovererà molte persone. Le guerre dovranno cessare in tutta la terra. {1MR 62.1}
Possiamo non vedere la condizione corrotta del nostro mondo? La terribile malvagità che continua a crescere non è sufficiente a farci usare ogni attività cristiana per presentare al mondo quei libri che contengono le istruzioni più vantaggiose. Dio, il grande Governatore morale dell’universo, desidera che il Suo popolo si alzi per usare la sua influenza e portare gli altri a capire cosa sta arrivando sul nostro mondo. Il Signore ha bisogno di lavoratori che entrino nel campo del colportaggio. Lui desidera che circolino i libri sulla riforma sanitaria. Molto dipende sulla questione della riforma sanitaria. Se le nostre chiese non danno un importanza più alta a questo argomento, non potranno apprezzare la verità per questo tempo. {1MR 62.2}
Dio desidera che la luce che si trova nei libri di Daniele e l’Apocalisse sia presentata chiaramente. È doloroso pensare alle molte false teorie che insegnanti ignoranti e impreparati hanno raccolto e presentato alla gente. Coloro che presentano le loro prove umane, e le loro assurde idee che hanno inventato nelle proprie menti, mostrano la natura dei beni nella loro casa dei tesori. Essi hanno messo del materiale scadente nel magazzino. Il loro grande desiderio è di fare sensazionalismo. {1MR 62.3}
La verità per questo tempo è stata riportata in molti libri. Lasciate che coloro che si sono occupati di falsi sentimenti e di prove sciocche, smettano di farlo e studino Daniele e l’Apocalisse; allora avranno qualcosa di cui parlare che aiuterà la mente.
Ricevendo le conoscenze contenute in questo libro, essi avranno nella casa del tesoro della mente un magazzino da cui possono continuamente attingere mentre comunicano le grandi, essenziali [63] verità della Parola di Dio agli altri. {1MR 62.4}
L’interesse in Daniele e l’Apocalisse è di continuare finché il tempo di prova durerà. Dio ha usato l’autore di questo libro [Uriah Smith] come un canale attraverso cui comunicare la luce per dirigere le menti alla verità. Disprezzeremo noi questa luce che ci indica la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, nostro Re? {1MR 63.1}
Parlando di questo grande avvenimento, Paolo dice: “Ti supplico alla presenza di Dio, che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che davanti a Ponzio Pilato testimoniò la buona confessione, di osservare questo comandamento senza macchia ed irreprensibile, fino all’apparizione del Signor nostro Gesù Cristo, che a suo tempo manifesterà il beato e unico sovrano, il Re dei re e il Signore dei signori, il solo che ha l’immortalità e abita una luce inaccessibile che nessun uomo ha mai visto né può vedere, al quale sia l’onore e il dominio eterno. Amen.” (1Timoteo 6:13-16) {1MR 63.2}
Giovani uomini, lavorate per il colportaggio di Daniele e l’Apocalisse. Fate tutto quello che potete per vendere questo libro. Entrate nell’opera con la stessa serietà riservata ad un libro nuovo. E ricordatevi che, come lo distribuite, dovete familiarizzare con le verità che contiene. Mentre riflettete su queste verità, voi riceverete idee che non solo vi consentiranno di ricevere la luce, ma che faranno brillare chiari raggi luminosi verso gli altri. {1MR 63.3}
Ora è giunto il momento della rivelazione della grazia di Dio. Ora è tempo di proclamare il vangelo di Gesù Cristo. Satana cercherà di deviare le menti di coloro che dovrebbero essere stabiliti, rafforzati e saldi nelle verità dei messaggi del primo, del secondo e del terzo angelo. Gli studenti delle nostre scuole dovrebbero studiare attentamente Daniele e l’Apocalisse, affinché non siano lasciati nell’oscurità, e il giorno di Cristo li sorprenda come un ladro di notte. Io parlo di questo libro perché è un mezzo per educare chi ha bisogno [64] di capire la verità della Parola. Questo libro dovrebbe essere molto apprezzato. Esso copre gran parte delle cose che abbiamo conosciuto nella nostra esperienza. Se i giovani studieranno questo libro, apprenderanno da soli cos’è la verità, e verranno salvati da molti pericoli. {1MR 63.4}
In Pietro leggiamo: “Or vi furono anche dei falsi profeti fra il popolo, come pure vi saranno fra voi dei falsi dottori che introdurranno di nascosto eresie di perdizione e, rinnegando il Signore che li ha comprati, si attireranno addosso una subitanea distruzione. E molti seguiranno le loro deleterie dottrine, e per causa loro la via della verità sarà diffamata.” (2Pietro 2:1, 2) {1MR 64.1}
Molti di questi insegnanti che portano dentro eresie, indebolendo la fede di alcuni, sono considerati uomini di Dio che camminano nella luce e che cercano di liberare la chiesa dalle pratiche sbagliate; ma invece servono il peccato. {1MR 64.2}
Abbiamo bisogno di colportori intelligenti, che siano anche evangelisti; colportori che, quando visitano una casa dopo l’altra, faranno tutto il bene che possono. I colportori possono fare un buon lavoro per Dio. Il Signore ha dato grande luce al mondo nei libri “Il gran conflitto”, “Patriarchi e profeti” e “La speranza dell’uomo.” Questi libri dovrebbero essere stampati dappertutto. Coloro che possiedono questi libri dovrebbero educarsi
per l’opera. Mentre i colportori si occupano delle preziose verità contenute in questi libri, cercando di portare la luce a quante più persone possibili, permettono che la luce brilli in molte menti, e si può dire: “Ora, essendo suoi collaboratori, vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio.” {1MR 64.3}
“Perché egli dice: »Io ti ho esaudito nel tempo accettevole e ti ho soccorso nel giorno della salvezza«. Ecco ora il tempo accettevole, ecco ora il giorno della salvezza. Noi non diamo alcun motivo di scandalo in nessuna cosa, affinché non sia vituperato il ministero; ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come ministri di Dio con molta pazienza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle distrette, nelle battiture, [65] nelle prigionie, nelle sedizioni, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni, con purità, con conoscenza, con pazienza, con benignità, con lo Spirito Santo, con amore non finto, con la parola di verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia a destra ed a sinistra, nella gloria e nel disonore, nella buona e nella cattiva fama; come seduttori, eppure veraci, come sconosciuti, eppure riconosciuti, come morenti, eppure ecco viviamo; come castigati, ma pure non messi a morte; come contristati, eppure sempre allegri; come poveri eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo tutto.” (2Corinzi 6:2-10). {1MR 64.4}
Molti che servono come ministri del Vangelo devono studiare la Parola. Apocalisse significa qualcosa di rivelato che tutti dobbiamo capire. Scaviamo a fondo in cerca della verità. Supplichiamo il Signore per una comprensione della Sua Parola. Coloro che sentono la necessità dell’aiuto speciale di Dio, lo chiedano a colui che è la fonte di ogni saggezza e che può soddisfarli. Chiedetegli di illuminare la vostra comprensione, affinché possiate conoscere il modo in cui dare luce agli altri. Mettete a dura prova la vostra mente. Non restate mai soddisfatti di una conoscenza parziale della verità, composta da alcune deboli supposizioni. “Ascoltatemi, voi che perseguite la giustizia e cercate l’Eterno! Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati e alla buca della cava da cui siete stati cavati. […] L’Eterno infatti consolerà Sion, si, consolerà tutte le sue rovine e renderà il suo deserto come l’Eden e la sua solitudine come il giardino dell’Eterno. Gioia ed allegrezza si troveranno in lei, ringraziamento e voce di canto.” (Isaia 51:1,3) – Manoscritto 174, 1899, 1 – 8. (“Pensieri su Daniele e l’Apocalisse”, 3 marzo 1901.)
{1MR 65.1}
White Estate
Washington, D.C.,
21 settembre 1944.
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