Progresso di Lettura:
LA STORIA DEL PROFETA DANIELE
Stephen Nelson Haskell
Il mondo è invaso da letture fittizie di ogni genere. L’irreale è presentato nello stile più affascinante, mentre troppo spesso la verità e la Parola di Dio sono presentate in uno stile pesante e cupo. La Bibbia è il libro più interessante di tutti. È adatta ad ogni mente. Nella storia di Daniele, il profeta, sono stati presentati alcuni fatti interessanti riguardanti i rapporti di Dio con il suo popolo e sono stati raccolti in una semplice narrazione.
Il libro è il risultato di un lungo studio di preghiera. È stato pubblicato con la viva preghiera che, nelle mani dei genitori, possa essere il mezzo per rendere lo studio della Bibbia , in famiglia, una benedizione per i giovani e anziani; e che l’insegnante nell’aula scolastica possa vedere preziosi raggi di luce balenare da tutte le epoche, indicando sia all’insegnante che all’allievo il Grande Insegnante Divino.
Dio conceda che, mentre la Bibbia, cade nelle mani degli incauti e degli increduli, essi possano essere influenzati a leggere e, leggendo, possano vedere la bellezza del nostro Dio ed essere portati ad adorare il Suo Santo tempio.
Confidiamo che la sua semplicità attragga molti che non sarebbero inclini a leggere un trattato con argomenti così profondi,, i più studiosi troveranno spunti di riflessione e conosceranno meglio il carattere del nostro Padre celeste. Coloro che desiderano approfondire lo studio più completo, troveranno che, i riferimenti nella parola di Dio aprono molte vene di riflessione, e quindi conosceranno meglio il carattere del nostro Padre celeste.
Preghiamo vivamente che anche gli scettici non la mettano da parte, ma che la leggano con attenzione e che, mentre rintraccia la profezia adempiuta nella storia del mondo, impari ad apprezzare la Parola di Dio.
In tutto il libro la speciale provvidenza di Dio su coloro che gli sono fedeli, viene messa in evidenza, in chiaro contrasto con il destino di coloro che ignorano la sua mano guida. La verità è la stessa, sia nella storia delle nazioni che degli individui. Mentre la STORIA DI DANIELE IL PROFETA va avanti nella sua missione di amore per il Grande Maestro, possa la storia di DANIELE, rivelarsi una benedizione per tutte le classi, giovani e anziani, ricchi e poveri, dotti e non dotti.
Le profezie della Bibbia sono come diamanti rari nascosti nella solitudine della miniera. L’occhio esperto del ricercatore scopre le gemme e ne legge intuitivamente il valore; e l’abile mano del maestro artigiano ne fa emergere le molteplici bellezze dai mille volti , in tutta la loro scintillante gloria. Ogni sfaccettatura brilla come il sole. Non si può esaurire in un solo dettaglio, né si possono esaurire le profezie. Rimangono nuove sfaccettature da lucidare, per aggiungere il loro riflesso brillante. Nelle profezie appaiono tante sfaccettature quante sono i diversi temperamenti che gli uomini portano con sé nello studio.
La profezia di Daniele non fa eccezione. Questo libro ha lezioni per tutte le classi. Poiché l’ampiezza del campo della sua visione è illimitata, può essere studiata da vari punti di vista. Lo storico si nutre dei suoi documenti. Il cronologo si diletta a calcolare i periodi. L’amante del Messia gioisce nella contemplazione dei tempi e degli avvenimenti che hanno portato al suo primo avvento e che hanno dimostrato la sua Messianicità. E l’amico di Dio ripercorre con piacere i movimenti provvidenziali con cui il corso degli eventi è stato controllato, e gli uomini sono stati innalzati e abbattuti, proprio in base al fatto che erano strumenti nella mano di Dio per realizzare i suoi disegni e i suoi scopi benefici.
Ci sono insegnamenti in questo senso per coloro che si interessano a questi temi; ma al di sopra di tutti, e più grandi di tutti, ci sono gli insegnamenti, lezioni che si possono trarre dal carattere di Daniele, dalla sua integrità; la sua devozione al dovere e la sua fermezza nell’aderire ai veri principi, di fronte al più grande pericolo apparente e in opposizione ai dettami della politica mondiale.
Questi principi brillano con immutato splendore per tutta la sua carriera e hanno incoraggiato, confortato e rafforzato i servitori di Dio in tutte le epoche.
Molto è stato scritto sul libro di Daniele e molto altro potrebbe essere scritto, finché i principi della verità divina e i nobili esempi di aderenza ad essi, costituiscono temi di studio interessanti e proficui.
Nel presente lavoro, gli insegnamenti tratti da quest’ultima fonte sono stati particolarmente evidenziati. Troverete argomenti meravigliosi per lo studio, e nelle
pagine che seguono, sono presentate molte riflessioni su questi punti.
Si tratta di insegnamenti che possono essere a cuore con il più soddisfacente e duraturo profitto. Chi desidera padroneggiare la filosofia di una vita cristiana accettabile i mezzi e i metodi per mantenere uno stretto legame con Dio, non può trovare un libro di testo più competente, di quello fornito dal resoconto delle esperienze del profeta Daniele.
Volete acquisire un senso vivido della cura di Dio per il Suo popolo, del Suo costante ricordo e dei facili mezzi di cui si serve per raggiungere i suoi scopi, troverete l’argomento pienamente valido.
Chi desidera padroneggiare la filosofia di una vita cristiana accettabile e
i mezzi e i metodi per mantenere uno stretto legame con Dio.
“Siate seguaci di me”, dice Paolo, “come anch’io lo sono di Cristo” (1 Corinzi 11:1). ed esorta Timoteo ad essere un “esempio dei credenti” (1 Timoteo 4:12).
Quale standard più alto si può raggiungere, di quello mostrato nel rapporto di Daniele con Dio? Perché di lui si dice che era un “uomo molto amato”.
Tale fu la testimonianza enfatica portata da Dio dall’angelo Gabriele a Daniele, giunto direttamente dalla corte dei cieli e dalla presenza di Dio. L’occasione in cui queste parole furono pronunciate per la prima volta, mostra che rapporto aveva l’uomo così diretto con Dio, e Dio con lui. Fu quando il profeta, oppresso dall’angoscia per una visione precedente, che non aveva capito, si appellò a Dio, per ottenere aiuto.
Egli aveva cercato il Signore, con una preghiera accorata, per il significato di essa. Un angelo aveva ricevuto l’ordine tassativo di far capire a Daniele tutta la faccenda. E ora, quando l’angelo Gabriele venne per portare a termine la sua missione e far comprendere al profeta la visione, cosa che gli era stata impedita dal malessere di Daniele nella sua completezza durante il precedente colloquio, (Dan. 8: 27) egli dice: “Egli mi ammaestrò, mi parlò e disse: «Daniele, io sono venuto ora per metterti in grado di intendere. All’inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per fartela conoscere, perché tu sei grandemente amato. Fa’ dunque attenzione alla parola e intendi la visione” (Dan. 9: 22-23).
L’angelo afferma che il motivo principale per cui era venuto a dargli comprensione era per il fatto che era un uomo “molto amato”.
Pensate alle circostanze di questo caso. Dio stava impartendo verità per far conoscere al mondo ciò che sarebbe avvenuto in seguito.
Per questo scopo si stava servendo di uno dei suoi servi. Il processo fu temporaneamente interrotto. Ma Daniele aveva fissato nel suo cuore di comprendere tutto ciò che Dio aveva da rivelare, ed egli si è rivolto alla sua unica fonte da cui poteva venire l’aiuto. Ora notate la risposta portata dal trono dell’universo, per mano di un angelo potente: “All’inizio della tua supplica, un comandamento è uscito”. . I mandati a cui si fa riferimento sono quelli impartiti a Gabriele di scendere sulla terra, da questo servo del Signore, e di chiarire tutti i dubbi e le incertezze nella sua mente riguardo alla verità su cui era perplesso.
Qualcuno ora si chiederà: “Il Signore ascolta le preghiere? È attento ai bisogni del suo popolo? Alla luce di questo racconto come possiamo nutrire il minimo dubbio? La preghiera di Daniele inizia a salire al trono, poi arriva l’istruzione da parte di Dio a Gabriele, di scendere sulla terra e di completare l’opera della sua missione al profeta. Con alacrità egli obbedisce. E il profeta dice di lui: “È stato fatto volare rapidamente”.
Dall’inizio della preghiera di Daniele, come riportato in Daniele 9, fino al momento in cui Gabriele è apparso sulla scena della preghiera, (vers. 20) non potevano essere passati più di tre minuti e mezzo, al ritmo ordinario di parlare. In questo breve lasso di tempo la preghiera del profeta salì al cielo, fu ascoltata e la decisione fu presa e la risposta è arrivata. Il cielo non si fa aspettare!
Il primo flebile sussurro di desiderio da parte del figlio di Dio, viene immediatamente depositato sul trono. Viene dato l’ordine di rispondere, e il messaggero di ritorno è subito al fianco del profeta con una risposta di conforto e di gioia. Nessun “percorso rapido” terreno, può eguagliare con una risposta di conforto e di gioia. Nessun ” percorso rapido ” terreno può eguagliare questo. Quale spiraglio ci offre questo nei tribunali interni del mondo celeste! Che visione della telegrafia divina che è lì impiegata e che attende ai comandi della corte. Quale sicurezza, incoraggiamento e conforto devono dare questi grandi fatti a ogni vero e fiducioso servitore della vigna
del Signore! In questa storia di Daniele, non è riportato solo un episodio di questo tipo, ma un’intera serie di episodi è tessuta insieme in questo quadro di verità.
Si comincia con Daniele come primo ministro alla corte del regno di Babilonia, la città famosa, vestita di una tale magnificenza che l’ispirazione ha ritenuto opportuno descriverla come il capo del regno di Babilonia, cioè la testa d’oro della grande immagine rappresentativa del mondo (Daniele 2). Il Signore, per mezzo del profeta, ha rappresentato Babilonia: “Così Babilonia, lo splendore dei regni, la gloria dell’orgoglio dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra quando DIO le sovvertì” Isa. 13:19. In quella città bellezza, gloria e eccellenza, erano combinate in forme più eclatanti e prolifiche.
Immaginate uno spazio (dobbiamo immaginarlo, perché non è mai esistito un posto del genere prima, e non è mai esistito da allora); immaginate questo spazio che contiene duecentoventicinque miglia quadrate, situato in una fertile pianura, coltivata con abilità per produrre alberi e arbusti ornamentali, fiori profumati e frutti sostanziosi, fino a diventare un vero e proprio paradiso, come il giardino del Signore. Immaginate questo spazio disposto in un quadrato perfetto, irrigato dal magnifico Eufrate e circondato da un muro spesso ottantasette piedi e alto trecento cinquanta, lungo quindici miglia per ogni lato, e il grande quadrato dell’intera area della città, suddiviso in quadrati minori da venticinque strade che correvano da ogni lato della città, parallele alle mura opposte e ad angolo retto tra loro, e ornate di palme, di palazzi, portici, colonne, torri, monumenti e giardini pensili, con tutto ciò che l’arte ed il denaro poteva abbellire, per rendere il luogo piacevole alla vista, al tatto e ad ogni senso corporeo. Tale era Babilonia, splendente alla luce del sole siriano, e allietata dai più raffinati zaffiri che mai abbiano sognato, quando Daniele vi entrò per scontare il lungo periodo di settant’anni di cattività. Era prigioniero solo del potere politico. Servì il Signore e fu spiritualmente libero. Da questo punto in poi, nel corso di tutta l’esperienza personale del profeta e attraverso le scene aperte alla sua mente dallo spirito di profezia, si snoda la narrazione divina. In questo libro le scene e le testimonianze si intrecciano in un unico insieme e le lezioni spirituali e pratiche da trarre, sono appese come stendardi di luce lungo tutto il percorso.
Nessuno può uscire dallo studio delle profezie senza che la convinzione sia profondamente il fine del percorso cristiano, ripaga di tutte le fatiche e gli sforzi del cammino celeste. Le parole dell’inno esprimono bene questo sentimento:
“Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia. Ben va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia portando i suoi covoni” (Salmo 126: 5-6).
Dopo il suo lungo servizio e tutte le sue preoccupazioni, la parola a Daniele fu: “Ma tu va’ pure alla tua fine; ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni” (Daniele 12:13).
L’esito del servizio cristiano dei discepoli negli “ultimi giorni” è espresso in modo analogo dall’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: “Poi udii dal cielo una voce che mi diceva: «Scrivi: Beati i morti che d’ora in avanti muoiono nel Signore; sì, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»” (Apoc. 14:13).
Qual’ è la sorte che spetta a Daniele e a tutti coloro che hanno un carattere simile? Chi può descriverla? Chi può concepirla?
Essa deve abbracciare la condizione e tutte le circostanze del popolo di Dio, quando è gloriosamente redento. e in riferimento a questo, Paolo pronuncia le seguenti parole: “Le cose che occhio non ha visto e che orecchio non ha udito e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per quelli che lo amano” (1Cor. 2: 9). Cioè, il più ardito volo dell’immaginazione, la concezione più intensa delle glorie invisibili del mondo celeste, non hanno mai formato, né possono formare nella mente umana un’idea tangibile di ciò che Dio ha preparato e ha in serbo per il suo popolo. “Ma Dio”, continua l’apostolo, “ce li ha rivelati per mezzo del Suo Spirito”. Sì, lo Spirito ha rivelato queste cose a coloro che sono Suoi.
Siamo felici di dare, a titolo di introduzione, questa parola di raccomandazione a questo libro, che presenta nuove fasi per ogni lettore serio e spirituale, e che non invecchia mai.
È stato con molta preghiera e con un profondo senso dell’importanza dell’argomento, che queste pagine sono state preparate. Stiamo vivendo nelle “scene finali della storia di questo mondo”. La testimonianza del Signore stesso, nelle parole conclusive del libro di Daniele: “Vai per la tua strada fino alla fine, perché ti riposerai e resterai nella tua sorte alla fine dei giorni”, dovrebbero attirare l’attenzione di tutti coloro che sono interessati a prepararsi per la venuta di Cristo. Il modo in cui il Salvatore stesso fa riferimento alle profezie di Daniele non dovrebbe essere ignorato.
Egli dice: “Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui ha parlato il profeta Daniele, ergersi nel luogo santo (chi legge capisca)”. Il profeta Daniele è l’unico della Bibbia a cui il Signore rivolse, tramite l’angelo Gabriele, le parole: “Tu sei molto amato”. Tali parole a qualsiasi mortale vivente in carne e ossa sono degne di considerazione da parte dei credenti.
Invitiamo ad un’attenta lettura del contenuto di quest’opera, con la preghiera che il Signore impressioni le menti con il suo Spirito Santo. Il libro non è stato concepito per suscitare polemiche o discussioni su teorie, ma per dire la verità così com’è in Gesù Cristo. Dall’inizio alla fine abbiamo cercato di raccontare la storia del profeta e i suoi scritti in uno stile breve e semplice, per creare un interesse religioso nelle cose di Dio.
Per lo studente della Bibbia abbiamo suggerito pensieri, sia nella storia che nei riferimenti laterali, che incoraggeranno lo studio a casa e a scuola.
Vostro nella speranza benedetta, S. N. H
Anche se Daniele è vissuto venticinque secoli fa, è un profeta degli ultimi giorni, il suo carattere: dovrebbe essere studiato, perché il suo percorso rivela il segreto della preparazione da parte di Dio di coloro che accoglieranno Cristo alla Sua apparizione. Le sue profezie devono essere comprese, perché in esse si trova la chiave che apre la storia fino alla fine dei tempi.
Il Salvatore stesso ne ha dato testimonianza.
Quando i discepoli chiesero: “Quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?” Egli disse: “Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione di cui parla il profeta Daniele… chi legge, comprenda” (Matteo 24: 15).
“Considera le cose che dico, poiché il Signore ti darà intendimento in ogni cosa” (2 Timoteo 2:7).
1) “Allora egli disse: Sai tu perché vengo da te?” (Dan. 10: 20).
2) “E ora sono venuto per farti intendere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché la visione riguarda un tempo futuro” (Dan. 10:14).
3) “Udii quindi in mezzo al fiume Ulai la voce di un uomo, che gridava e diceva: «Gabriele, spiega a costui la visione». Egli si avvicinò al luogo dove mi trovavo e, quando giunse, io ebbi paura e caddi sulla mia faccia. Ma egli mi disse: «Intendi bene, o figlio d’uomo, perché questa visione riguarda il tempo della fine” (Dan. 8:16, 17).
4) “Poi, mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si accostarono in disparte, dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose? E quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?” (Matteo 24:3).
5) “Ora, quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate che allora la sua desolazione è vicina (Luca 21:20).
NOTE:
Alla fine della pagina sono riportati molti passi di scritture che indirizzeranno la mente del lettore a quelle parti della Bibbia che illuminano la storia del profeta Daniele.
Queste profezie hanno lo scopo di avvertire il popolo della venuta di Cristo.
È vero che una volta era un libro sigillato, perché al profeta fu detto di chiudere le parole e di sigillare il libro “fino al tempo della fine”, “La visione delle sere e delle mattine, di cui è stato parlato, è vera. Tu tieni segreta la visione, perché riguarda cose che avverranno fra molto tempo” (Dan. 8:26). E ancora: “Le parole sono chiuse e sigillate fino al tempo della fine”. Ma il tempo della fine è arrivato.
È iniziato nel 1798, e anche se “nessuno dei malvagi capirà”, “i saggi capiranno”. Con il libro di Daniele in mano e un cuore aperto ad ascoltare la voce di Dio, l’uomo può entrare in contatto con il Padre della luce. “Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice”. Daniele inizia il libro con la semplice affermazione che nell’anno terzo del regno di Jehoiakim, re di Giuda, 607 a.C., Nabucodonosor, re di Babilonia, giunse a Gerusalemme e l’assediò; durante l’assedio, Jehoiakim fu consegnato dal Signore nelle mani di Nabucodonosor, ma gli fu permesso di rimanere sul trono di Gerusalemme, ma Nabucodonosor portò con sé a Babilonia, come tributo, una parte degli arredi della casa di Dio e, come ostaggi, alcuni dei membri della casa reale (Daniele 1: 1-2).
Questo atto, insieme ad altri simili che seguirono in rapida successione, non era altro che il culmine di eventi iniziati anni prima. Per poter apprezzare questo culmine, è essenziale studiare le cause che lo hanno portato. Poiché la cattività di Giuda è una lezione oggettiva per gli uomini dell’ultima generazione, è doppiamente necessario che tracciamo la relazione tra determinate cause e risultati. Dio aveva un obiettivo nel chiamare la nazione ebraica a separarsi dalle altre nazioni del mondo. “Quando l’Altissimo diede alle nazioni la loro eredità, quando separò i figli di Adamo, egli fissò i confini dei popoli, in base al numero dei figli d’Israele” (Deut. 32:8).
Era “perché il suo popolo potesse davanti in tutto il mondo come portatore di luce”, come un faro posto su una collina, Israele doveva inviare fasci di luce al mondo. Il piano educativo conosciuto da Israele attraverso i suoi profeti era il mezzo per mantenere accesa quella luce (Atti 13: 47-48; Isaia 42: 6-7; Isaia 49:6).
Quando, questo piano dato da Dio è stato trascurato, la luce, come una candela privata dell’ossigeno vitale, si è spenta. Allora la nazione fu pressata da tutti i lati dal nemico. C’è una massima ebraica che dice “Gerusalemme fu distrutta perché l’educazione dei suoi figli era trascurata”. Le profezie di Daniele e la storia ad esse collegate dimostrano la verità di questa massima. Si può aggiungere che i Giudei furono a Gerusalemme come risultato della corretta educazione di alcuni ragazzi ebrei (1 Cronache 17: 7-19).
Circa cento anni prima dei giorni di Daniele, Ezechia era re di Giuda. Dopo
tredici anni di regno, era sul letto di morte, ma pregò Dio di allungargli la vita. Questo avvenne e gli furono aggiunti quindici anni in più. Quando il re si riprese, ricevette la visita da ambasciatori di Babilonia, ai quali mostrò tutti i suoi tesori. Vennero a sentire parlare di un Dio potente, capace di guarire i malati: ma egli mostrò loro solo i tesori terreni.
“In quel tempo Ezechia si ammalò mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amots, si recò da lui e gli disse: «Così parla l’Eterno: Metti in ordine la tua casa, perché morirai e non guarirai».Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò l’Eterno:«Ti supplico, o Eterno, ricordati come ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro e ho fatto ciò che è bene ai tuoi occhi». Poi Ezechia diede in un gran pianto. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Isaia, dicendo:«Va’ e di’ a Ezechia: Così dice l’Eterno, il DIO di Davide, tuo padre: Ho udito la tua preghiera, ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni” (Isaia 38: 1-5).
Egli ha perso l’opportunità di donare loro il tesoro del cielo. Poi arrivò un messaggio di Dio per mano del profeta Isaia. “Ecco, verranno i giorni in cui tutto ciò che è in casa tua… sarà portato a Babilonia; non rimarrà nulla”. Allo stesso tempo gli fu detto che i suoi discendenti sarebbero stati eunuchi nel palazzo del re di Babilonia (Isaia 39: 1-7).
Qui era raffigurata la futura prigionia della razza ebraica. La profezia fu adempiuta e ripetuta più volte dalle madri ebree quando insegnavano ai loro figli. “Dovrà mio figlio essere prigioniero alla corte di un re pagano? Allora permettetemi di istruirlo in modo che sia fedele al Dio dei suoi padri”. C’erano altre madri che si lasciarono sfuggire il pensiero, e la storia della vita dei loro figli è registrata per la nostra istruzione. Tre anni dopo che la sua vita era stata salvata, nacque un figlio a Ezechia. Nonostante la precedente profezia, Ezechia e sua moglie, Efziba, non riuscirono a insegnare al giovane Manasse la via della verità. Aveva solo dodici anni quando salì al trono, ma se fosse stato istruito nel timore di Dio, non avrebbe scelto il culto dei pagani. Il Cristo giovane, alla stessa età, ha stabilito non solo il proprio futuro, ma anche il futuro dell’universo. A dodici anni, in piedi presso il tempio di Gerusalemme, gli si aprì davanti l’opera futura e accettò la missione che gli era stata assegnata. Perché? Perché Maria, sua madre, gli aveva insegnato che il servizio del cuore a Dio era il suo più alto piacere. Manasse decise a favore delle divinità pagane; fece del male agli occhi di Dio; e “per i peccati di Manasse” arrivò la cattività di Giuda. All’età di dodici anni, Cristo prese la decisione di salvare il mondo. Alla stessa età Manasse scelse il sentiero che portò alla rovina la nazione. Nella formazione di tuo figlio sei Efziba o Maria? Il lungo regno di Manasse passò, e la profezia inviata a Ezechia non si era ancora avverata. Gli uomini cominciarono a chiedersi se si sarebbe mai avverata. “Da quando i padri si sono addormentati”, dicevano, “tutte le cose sono rimaste come erano”. Fu ai giorni di Giosia, nipote di Manasse, che Geremia profetizzò. Tramite questo profeta, Dio supplicò Gerusalemme di tornare a Lui. “Ecco, io farò venire contro di voi una nazione da lontano, o casa d’Israele», dice l’Eterno. «È una nazione valorosa, è una nazione antica, una nazione di cui non conosci la lingua e non intendi le parole” (Geremia 5:15). Così fu descritta Babilonia e fu raffigurato l’imminente destino di Gerusalemme. A Giosia fu risparmiata la vista della completa distruzione di Gerusalemme grazie alle riforme che egli tentò. Fu da Giuda e anche da Israele, che nacque la più grande festa di Pasqua nella storia delle nazioni.
“Il re diede a tutto il popolo quest’ordine: «Fate la Pasqua in onore dell’Eterno, il vostro DIO, come sta scritto in questo libro del patto». Per certo una simile Pasqua non era più stata celebrata dal tempo dei giudici che avevano governato Israele, e neppure in tutto il tempo dei re d’Israele e dei re di Giuda. Ma nel diciottesimo anno del re Giosia questa Pasqua fu celebrata in onore dell’Eterno a Gerusalemme. Giosia eliminò anche i medium e i maghi, le divinità familiari e gli idoli, e tutte le abominazioni che si vedevano nel paese di Giuda e a Gerusalemme, per mettere in pratica le parole della legge, scritte nel libro che il sacerdote Hilkiah aveva trovato nella casa dell’Eterno. Prima di lui non ci fu alcun re che, come lui, sia ritornato all’Eterno con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima e con tutta la sua forza, secondo tutta la legge di Mosè; neppure dopo di lui è sorto alcuno come lui” (2 Re 23: 21-25).
In modo particolare Dio diede a Giosia un’opportunità per scongiurare l’imminente calamità. Non era ancora troppo tardi per cambiare il corso degli eventi. Questa opportunità fu attraverso i doni dei suoi figli. Giosia aveva tre figli e un nipote, che a loro volta si sedettero sul trono di Gerusalemme. Ognuno di loro, a causa di un’ educazione sbagliata in gioventù, si rifiutarono di prendere Dio in parola così, fallendo, accelerarono il crollo finale (2 Cron. 36:1-10).
I tre figli furono Jehoahaz, Jehoiakim e Zedekia. Il nipote era Jehoiachin, che precedette lo zio, Zedekia. Il destino di ciascuno è un avvertimento solenne per chi vive alla fine dei tempi.
Colui che avrebbe potuto essere la luce delle nazioni pagane fu inghiottito dalle tenebre egiziane. Jehoiakim, il secondo, che, adeguatamente addestrato, sarebbe stato così carico della potenza di Dio che il re pagano avrebbe unito le sue forze a quelle del re di Giuda, oppure, opponendosi, sarebbe stato come colpito da un fulmine, e non riuscendoci, avrebbe pagato il tributo a Babilonia.
“Jehoiakim diede al Faraone l’argento e l’oro; ma per pagare il denaro secondo l’ordine del Faraone tassò il paese. Per pagare il Faraone Neko, egli riscosse l’argento e l’oro dal popolo del paese, ciascuno in base alla valutazione dei suoi beni. Jehoiakim aveva venticinque anni quando iniziò a regnare, e regnò undici anni a Gerusalemme. Il nome di sua madre era Zebidah, figlia di Pedaiah di Rumah. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, in tutto come avevano fatto i suoi padri” (2 Re 23:36-37).
La sua capitale era entrata. I tesori della casa di Dio sono stati strappati senza pietà dal loro posto e dedicati al culto pagano. Giovani brillanti e promettenti, della famiglia reale sono stati al servizio del re di Babilonia. Jehoiakim vide tutto questo, ma non poté intervenire. La sua vita era finita; non era collegata al trono di Dio.
Sua madre e suo padre commisero un errore fatale, poiché non gli diedero l’educazione che Dio aveva ordinato loro di trasmettere. Né egli approfittò di questi errori, ma educò suo figlio ai modi cortesi e alla filosofia del mondo, e il risultato fu che suo figlio Jehoiachin languì per quasi trentasette anni in una prigione a Babilonia. Un’altra lampada senza olio; un’altra anima senza il cibo celeste; un altro figlio educato in modo improprio che si aggiunge al disonore di Giuda. “Gerusalemme fu distrutta perché l’educazione dei suoi figli è stata trascurata”. Sedekia, il terzo figlio di Giosia, aveva ancora l’opportunità di salvare Gerusalemme. Parte dei tesori di questa città erano già a Babilonia. Daniele e i suoi compagni si trovavano a corte da
diciassette o diciotto anni quando Geremia si rivolse a Sedekia con le parole:
“se andrai sicuramente dai principi del re di Babilonia, allora la tua anima vivrà e questa città non sarà bruciata dal fuoco… Obbedisci, ti prego, alla voce del Signore che ti parla, così sarà bene per te e la tua anima vivrà”.
In questo momento di pericolo, come si comportò Sedekia? Si consegnò ai Babilonesi? Dio lo aveva ordinato; la città sarebbe stato salvato da essa; la sua stessa anima, sarebbe stata salvata. Sedekia si giustificò con una scusa molto umana, dicendo: “Ho paura” (Geremia 38: 17-28).
In questi tre figli si rivela la debolezza, codardia, malvagità e la rovina finale di coloro che sono stati educati al servizio del mondo e non al servizio di Dio. Vivendo nello stesso tempo e nella stessa città con i principi già nominati, ce n’erano altri che la Scrittura menziona per nome. Questi Daniele, Hanania, Mishael e Azaria, figli di Giuda, appartenenti alla famiglia reale, parenti di Jehoahaz, Jehoiakim e Sedekia. Al primo assedio di Gerusalemme, nel 607 a.C., Daniele non aveva più di diciotto anni; circa l’età del principe Sedekia, che in seguito regnò a Gerusalemme. Daniele aveva una madre che conosceva la profezia sulla distruzione della loro città. Ella ripeté al figlio le parole di Dio, secondo le quali un giorno i figli degli ebrei avrebbero dovuto stare nel tribunale pagano di Babilonia. Questa madre insegnò con cura al figlio a leggere i rotoli di pergamena dei profeti. Si studiava la storia di Israele; la storia di Nadab e Abihu veniva raccontata e ripetuta. L’effetto della bevanda forte era impresso nella mente. Le leggi del suo stesso essere. Sapeva che un eccesso nel mangiare e nel bere avrebbe ottenebrato la mente al punto che la voce di Dio non poteva essere ascoltata. I canti che questi bambini ebrei intonavano raccontavano la storia del rapporto tra Dio ed il suo popolo.
È stato in questo modo che l’immagine di Dio è stata incisa nei loro cuori. Questa educazione non è stata acquisita nelle scuole del tempo, perché si erano allontanate dal piano di Dio, ma sante madri, vivendo vicino all’eterno Padre, hanno guidato i loro figli con l’esempio, la parola e il canto, per formare dei caratteri che avrebbero resistito alla prova.
Era l’età in cui la maggior parte dei giovani nella capitale di Giuda erano scapestrati e irresponsabili. Si giustificavano a causa della loro giovinezza. Ma Dio scelse in mezzo a loro alcuni di questi per poter riporre la Sua fiducia in terra straniera. Esempio: (2 Re 5:2-4).
Daniele e i suoi tre compagni furono strappati dal riparo di casa e, insieme ad altri, furono sotto la responsabilità di Ashpenaz, maestro degli eunuchi di Babilonia.
Ora si possono vedere i risultati dell’ educazione della famiglia. Il cibo puro, i pensieri puliti e l’esercizio fisico li hanno inseriti nella lista dei “giovani in cui non c’era alcun difetto, ma che erano benvoluti”.
Ma che dire delle loro capacità intellettuali? Non erano stati educati nelle scuole di Gerusalemme, tanto meno in quelle di Babilonia. Non c’era forse pericolo che mancassero di scienze o di discipline essenziali?
All’esame, questi quattro passarono come “abili in tutta la saggezza, istruiti e intelligenti (Daniele 1:3-6) e in grado di imparare una lingua straniera difficile. Dio aveva adempiuto la sua promessa in questi giovani con una buona educazione familiare. Il momento cruciale arrivò quando “il re diede loro una porzione giornaliera di carne e di vino che egli beveva”. Daniele aveva una fiducia illimitata nei principi della temperanza, non solo perché li conosceva scientificamente veri, ma perché erano di Dio e, nel suo caso, erano stati messi in pratica. La sua educazione aveva un fondamento biblico, e sapeva che era in armonia con la vera scienza. Si trattava di una questione di vita o di morte; ma i principi erano divini, obbedire, camminare per fede e lasciare l’esito nelle mani di Dio. Daniele aveva deciso in cuor suo di non contaminarsi con i cibi del re, né con il vino che anche il re beveva”.
Il linguaggio del principe degli eunuchi mostra che c’erano altri giovani ebrei che erano stati scelti e che non avevano fatto la stessa richiesta: “perché”, disse il principe degli eunuchi, “perché mai [il re] avrebbe dovuto vedere i vostri volti più belli di quelli dei vostri compagni?”. Daniele e i suoi compagni, dopo aver considerato la loro posizione pericolosa e difficile, si rivolsero al Signore in preghiera e decisero di seguire questo principio e prendere questa decisione. Se si fossero seduti alla tavola del re, avrebbero mangiato il cibo che era stato consacrato agli idoli; i figli degli ebrei avrebbero disonorato Dio e rovinato il proprio carattere eliminando la protezione della temperanza, lasciandosi influenzare da abitudini corrotte. Anche a costo di apparire unici, decisero di non sedersi alla tavola del re.
Avrebbero potuto farsi influenzare dal fatto che, per il re erano obbligati a mangiare alla tavola reale, ma quel cibo poteva essere stato offerto ad un idolo. Decisero di non contaminarsi con il paganesimo e di non disonorare i principi della loro religione nazionale e del loro Dio. Circondati da pericoli, dopo aver fatto uno sforzo molto determinato per resistere alle tentazioni, devono affidare i risultati a Dio.
Con vero coraggio e cortesia cristiana, Daniele disse agli ufficiali che li sorvegliavano: “Ti prego, metti alla prova i tuoi servi per dieci giorni, e ci siano dati legumi per mangiare e acqua per bere. Poi saremo esaminati alla tua presenza il nostro aspetto e l’aspetto dei giovani che mangiano i cibi squisiti del re; farai quindi con i tuoi servi in base a ciò che vedrai” (Daniele1:12-13).
Per loro non fu un esperimento, perché ne prevedevano il risultato.
L’ufficiale esitò. Temeva che la rigida astinenza che proponevano avrebbe avuto un effetto sfavorevole sul loro aspetto personale e che, di conseguenza, avrebbe perso il favore del re. I giovani ebrei spiegarono all’ufficiale l’effetto del cibo sul corpo; che la sovralimentazione e l’uso di cibi ricchi indeboliscono la sensibilità, rendendo la mente e il corpo inadatti al lavoro duro e severo. Hanno chiesto con insistenza che venisse loro concessa una dieta semplice e che venisse loro concessa la possibilità e imploravano che venisse loro concesso un periodo di dieci giorni di prova, per poter valutare, in base al loro aspetto fisico, i vantaggi di un’alimentazione semplice e nutriente. La richiesta fu accolta, perché avevano ottenuto il favore di Dio e degli uomini. Si trattava di un atto di fede; non c’era alcun sentimento di invidia nei confronti di coloro che mangiano il cibo del re. Le menti dei quattro, erano piene di pensieri di amore e di pace, e crebbero effettivamente durante quei dieci giorni. Dio approvò il loro comportamento, perché “alla fine dei dieci giorni, i loro volti apparivano più belli e migliori degli altri giovani che mangiavano il cibo del re”. Il chiaro scintillio dell’occhio, il colorito sano e luminoso del volto, indicavano la solidità fisica e la purezza morale. permisero ai prigionieri ebrei di consumare la loro scelta di cibo.
Il vitto e l’acqua che allora desideravano non fu sempre la dieta esclusiva di Daniele, perché in un’altra occasione, in età avanzata, disse:
“Non mangiai cibo prelibato, non entrarono nella mia bocca né carne né vino e non mi unsi affatto, finché non furono passate tre intere settimane”.
Ma quando entrò nel corso di studi del re, entrato in contatto, con la corte reale, lui e i suoi amici scelsero volontariamente questo cibo semplice e nutriente. Allo stesso modo, quando si trovarono di fronte a qualsiasi problema difficile, o quando desideravano di conoscere in modo particolare la mente di Dio, la cronaca parla dell’astinenza di Daniele dai cibi carnei, vino e dai alimenti prelibati.
Il personaggio di Daniele è citato da Ezechiele, che era un profeta contemporaneo, come rappresentante di coloro che vivranno poco prima della seconda venuta di Cristo. Le persone saranno chiamate a passare attraverso esperienze che richiedono la vista spirituale più acuta; perciò Dio chiede loro di rinunciare a tutto ciò che possa in qualche modo ostacolare il flusso dello Spirito Santo attraverso la mente. Ecco il motivo della stretta osservanza dei principi della riforma sanitaria.
Daniele e i suoi compagni ottennero la vittoria sul piano dell’appetito.
Questa era la strada, e l’unica, attraverso la quale Satana poteva tentare Adamo; e se Adamo si fosse dimostrato sincero nel giardino dell’Eden e non avesse mangiato del frutto proibito, il peccato e le sofferenze non sarebbero mai state conosciute. L’appetito era la porta aperta attraverso la quale sono passati tutti i problemi del peccato, che, da seimila anni, si sono così manifestati nella famiglia umana
Quando Cristo entrò nell’opera del suo ministero, iniziò da dove Adamo era caduto. La prima tentazione nel deserto fu appunto su l’appetito. Qui il Salvatore ha colmato il divario che il peccato aveva creato. Riscattò l’intera famiglia di Adamo e ha riportato una vittoria a beneficio di tutti coloro che sono tentati.
Negli ultimi giorni Dio metterà alla prova il suo popolo come ha fatto con Daniele. L’autocontrollo volontario dell’appetito è alla base di ogni riforma.
Essere fedeli a Dio significa molto. Questo abbraccia la riforma della salute. Significa che la dieta deve essere semplice; richiede l’esercizio della temperanza in tutte le cose. Un’eccessiva varietà di alimenti nello stesso pasto è altamente dannosa; eppure, quanto spesso lo si dimentica. La mente e il corpo devono essere conservati nelle migliori condizioni di salute. Solo coloro che sono stati educati al timore e alla conoscenza di Dio e che sono fedeli ai principi, sono adatti a sopportare la responsabilità nell’opera conclusiva del Vangelo.
Daniele e i suoi compagni passarono attraverso una strana scuola in cui diventare adatti ad una vita di sobrietà, impegno e fedeltà. Circondati dalla grandezza della corte, dall’ipocrisia e dal paganesimo, esercitarono l’abnegazione e cercarono di assolvere se stessi in modo così soddisfacente che Israele, il loro popolo oppresso, potesse essere onorato e che il nome di Dio fosse glorificato.
Questi giovani avevano avuto il Signore come educatore. Erano collegati con la Fonte della saggezza, attraverso il canale d’oro, lo Spirito Santo.
Mantenevano continuamente un legame vivo con Dio, camminando con Lui come fece Enoc. Erano decisi ad acquisire una vera istruzione; e, in conseguenza della loro collaborazione con la natura divina, divennero in ogni senso uomini completi in Cristo Gesù. Mentre si applicavano diligentemente per acquisire la conoscenza delle lingue e delle scienze, ricevettero anche la luce direttamente dal trono del cielo e leggevano i misteri di Dio per le epoche future.
Quando, al termine di tre anni, il re Nabucodonosor mise alla prova le capacità e le competenze dei principi reali che aveva educato di altre nazioni, nessuno fu ritenuto all’altezza dei giovani ebrei, Daniele, Hananiah, Mishael e Azaria (Dan. 1:19).
Essi superavano di dieci volte i loro compagni per l’acutezza della loro comprensione, per la scelta e la correttezza del linguaggio, per l’ampiezza del loro corretto contenuto e la loro vasta e varia conoscenza.
Il vigore e la forza dei loro poteri mentali erano inalterati. Per questo motivo erano al cospetto del re. “E in tutte le questioni di saggezza e di comprensione, che il re chiese loro, li trovò dieci volte migliori di tutti i maghi e gli astrologi che erano in tutto il suo regno”.
Questi giovani rispettavano la propria personalità, e i loro talenti non erano stati indeboliti o pervertiti dall’indulgenza dell’appetito.
Il bene che desideravano realizzare era sempre nella loro mente. Erano fedeli nelle piccole cose. Dio li onorava, perché loro lo onoravano. Dio onora sempre la fedeltà ai principi. Tra tutti i giovani più promettenti raccolti dalle terre sottomesse da Nabucodonosor, i prigionieri ebrei si distinsero senza rivali. Il loro rispetto per le leggi della natura e per Dio si rivelò nella forma eretta, nel passo elastico, nel bel viso, nel respiro incontaminato, nei sensi integri. Non è stato per caso che hanno raggiunto alla loro meravigliosa saggezza.
“Il timore del Signore è l’inizio della saggezza”.
Il fondamento della più alta educazione è il principio religioso. La fede è stata sviluppata nell’infanzia; e quando questi giovani dovettero agire da soli, si affidarono a Dio per la forza e l’efficienza del loro lavoro, e ne furono riccamente ricompensati. Dove sono i genitori che oggi insegnano ai loro figli a controllare l’appetito e a guardare verso Dio come fonte di ogni saggezza?
I nostri giovani cercano quotidianamente attrazione per gratificare l’appetito.
Ogni forma di indulgenza è resa facile e invitante, soprattutto nelle nostre grandi città. Coloro che rifiutano con fermezza di contaminarsi saranno ricompensati come Daniele. I giovani di oggi possono portare una testimonianza importante a favore della vera temperanza. Questi principi, se rispettati, farebbero sì che i giovani radicati e fondati nelle Scritture, entrino nelle università mondane, seguendo il loro percorso di studi, diffondendo le verità del Vangelo e, alla fine del loro corso, ne escano indenni. Tra i valdesi c’erano giovani consacrati che entrando nelle università mondane, mentre acquisivano la loro istruzione, spargervano i semi della Riforma. Le autorità papali non riuscirono, con le indagini più accurate, a scoprire chi avesse introdotto la cosiddetta apostasia, eppure l’opera era stata compiuta, dando i suoi frutti con la conversione di molti che divennero leader nella causa del protestantesimo. Se questi principi fossero praticati, un maggior numero di giovani potrebbero essere affidati a missionari, in posizioni di responsabilità o in istituti di formazione. Molti saranno ancora chiamati davanti ai giudici e ai re.
In che modo ora vengono formati i nostri giovani?
Le ultime parole del primo capitolo di Daniele sono davvero significative: “Daniele continuò fino al primo anno del re Ciro”. In altre parole, Daniele visse tutti i giorni della cattività babilonese, più di settant’anni, ed ebbe il piacere di incontrare il re il cui nome era “Ciro” (Daniele 1:21).
Il profeta Isaia aveva menzionato quasi duecento anni prima che
emanasse il suo meraviglioso decreto per la liberazione del popolo di Dio.
“Dico di Ciro: “Egli è il mio pastore!” e compirà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: “Sarai ricostruita!”, e al tempio: “Sarai stabilito! “(Isaia 44:28).
” Nel secondo anno del regno di Nebukadnetsar, Nebukadnetsar, ebbe dei sogni; il suo spirito rimase turbato e il sonno lo lasciò”.
Nel primo capitolo, Nabucodonosor viene definito come colui che assediò Gerusalemme; nel capitolo 2 si parla di lui come del più grande sovrano di tutte le nazioni della terra. Nabucodonosor portò il suo regno all’apice della gloria, tanto che può essere rintracciato nella storia della Bibbia fino dalla sua fondazione.
La storia di Babilonia è la storia della grande controversia tra Cristo e Satana, iniziata in cielo, proseguita sulla terra, e che terminerà solo quando la pietra staccata dal monte senza mano d’uomo riempirà tutta la terra (Daniele 2:45). L’accusa di Satana nei confronti di Dio è che il Padre è ingiusto.
“…. Tu dicevi in cuor tuo: “Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del nord; salirò sulle parti più alte delle nubi, sarò simile all’Altissimo”.
Gli fu concesso il privilegio di fare una prova. Furono scelte le pianure di Shinar; il popolo a cui Dio aveva detto di riempire tutta la terra fu riunito in una città (Genesi 11:1-9).
Babilonia cresceva, e le sue possenti mura, alte trecentocinquanta piedi di altezza e ottantasette piedi di spessore, con le sue massicce porte di ottone, erano state progettate per imitare la grandezza della città di Dio.
All’epoca della fondazione di Babilonia, Satana si riuniva ancora con il consiglio dei rappresentanti dei mondi, che si teneva alle porte del cielo. Il suo disegno era quello di contraffare i piani di Dio. La città terrena era modellata su quella celeste. L’Eufrate scorreva attraverso la città come il fiume di Dio attraversa il Paradiso.
Il governo era una monarchia assoluta; un uomo occupava il trono e, man mano che cresceva, ogni ginocchio della terra si inchinava al suo re. Nessun potere era tollerato al di sopra di quello del monarca. La tirannia prese il posto dell’amore. Questo è sempre vero quando l’uomo viene esaltato al di sopra di Dio. Nabucodonosor fu l’erede di un tale regno, la cui bellezza e potenza furono accresciute da lui in ogni modo possibile, finché il Signore ne parlò come di “Babilonia, gloria dei regni, bellezza dell’eccellenza dei Caldei”.
Non solo la potenza, ma anche la saggezza di Nabucodonosor era estremamente grande. Il re favoriva l’istruzione e durante il suo regno, Babilonia era il centro educativo del mondo. Nelle scuole di Babilonia si insegnava ogni arte e scienza.
di Babilonia. La saggezza degli antichi veniva fatta conoscere agli studenti che sedevano ai piedi dei loro maghi e saggi.
Si dilettavano nello studio dell’astronomia e della matematica superiore. C’erano linguisti che potevano insegnare la lingua di ogni nazione.
Il re stesso era molto istruito, perché era lui che esaminava gli studenti al termine del loro corso. Babilonia era orgogliosa del suo sistema educativo; confidava in esso per la salvezza, ma fu la causa della sua rovina. “La sua sapienza e la sua conoscenza l’hanno fatta deviare”. Dio stesso parla, dicendo: “Non ha forse Dio reso stolta la sapienza di questo mondo? (1Corinzi 1:19-25).
“Nella corte babilonese questo è stato dimostrato. Nabucodonosor e i suoi consiglieri, i saggi, gli astrologi e gli indovini, da un lato, rappresentavano l’istruzione del mondo, Daniele, un giovane, non più di ventuno anni, ebreo e schiavo, fu scelto da Dio per confondere la saggezza dei potenti. Le Scritture raccontano la storia in un linguaggio che può essere facilmente compreso. Ma perché Dio manda un sogno a Nabucodonosor?
Come ha potuto il Dio del cielo rivelare la verità a questo re pagano?
Senza dubbio non poteva farlo durante i suoi momenti di veglia; ma Nabucodonosor aveva contemplato la gloria del suo regno e si era addormentato con quell’idea di gloria, con il desiderio di conoscere il suo futuro. Sapeva che la vita era breve. Presto sarebbe morto; quale sarebbe stato il futuro? Era l’opportunità di Dio, e mentre gli occhi erano chiusi alle cose terrene; mentre l’io era perduto – come se fosse morto –
la storia futura del mondo si è presentata davanti a Nabucodonosor.
Al suo risveglio, non trovò linguaggio per esprimere i suoi pensieri. Colui che era sapienza del mondo non conosceva il linguaggio del cielo. Non gli era mai stato insegnato. Cercò di pensare a ciò che aveva ma, quando i suoi occhi si posarono di nuovo sulla gloria intorno a lui, la visione svanì. Le cose terrene fanno da velo alle cose di Dio, e pur sapendo di aver visto qualcosa, non sapeva cosa fosse.
Il re chiese un’interpretazione, ma gli uomini più saggi del regno risposero:
“… Non c’è alcun uomo sulla terra che possa far sapere ciò che il re domanda. Infatti nessun re, signore o sovrano ha mai chiesto una cosa simile ad alcun mago, astrologo o Caldeo” (Daniele 2:10).
Il Signore aveva dato a Nabucodonosor, questo sogno, e poi gli aveva permesso di dimenticare i dettagli, pur facendogli conservare una vivida percezione della visione, affinché la falsa conoscenza dei saggi di Babilonia potesse essere smascherata,
Il re si arrabbiò perché i saggi gli chiesero di raccontare il sogno, dicendo “mi rendo chiaramente conto che voi intendete guadagnare tempo, perché vedete che la mia decisione è presa”. perché, sarebbero stati in grado di concordare un’interpretazione se il re avesse raccontato il sogno. Il re allora minacciò che se non avessero raccontato il sogno, sarebbero stati tutti distrutti. I saggi insistettero sul fatto che la richiesta fosse irragionevole; ma più discutevano più. il re si infuriava e, nella sua ira, “ordinò” di distruggere tutti i saggi di Babilonia”. Questo decreto fu emanato nel secondo anno di Nabucodonosor. Aveva governato per due anni insieme a suo padre, Nabopolassar, e due anni da solo; così Daniele e i suoi compagni stavano svolgendo il loro primo anno di servizio come saggi alla corte di Babilonia, dopo aver terminato il corso di tre anni nelle scuole.
Furono quindi ricercati da Arioch, il capitano del re, per essere uccisi. Daniele chiese: “Perché il decreto, così affrettato da parte del re?… Allora Arioch fece conoscere la cosa a Daniele. Solo Daniele ebbe il coraggio di avventurarsi alla presenza del re, a rischio della sua vita, per implorare che gli venisse concesso di avere il tempo di mostrare il sogno e l’interpretazione. La richiesta fu accolta. Nella provvidenza di Dio ci sono periodi particolari in cui dobbiamo alzarci per rispondere alla chiamata di Dio”. Il momento decisivo era arrivato per Daniele. Per questa occasione Dio gli aveva dato una preparazione.
Fin dalla sua nascita, ogni dettaglio della sua vita era stato orientato verso questo momento, anche se lui non lo sapeva. La sua prima educazione era tale che, in quel momento, in cui vedeva la morte in faccia, poteva guardare a Dio e reclamare la Sua promessa. Anche se Daniele, quando è stato esaminato da Nabucodonosor era stato considerato dieci volte più saggio dei suoi compagni, non era ancora stato classificato tra gli astrologi e saggi della Caldea. Probabilmente la giovinezza e l’inesperienza hanno ritardato tale riconoscimento, ma Dio sceglie le cose deboli della terra per confondere i potenti, perché… “Or l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché sono follia per lui, e non le può conoscere, poiché si giudicano spiritualmente. Ma colui che è spirituale giudica ogni cosa ed egli non è giudicato da alcuno” (1 Cor. 2: 14-15).
Quattro giovani ebrei si inchinarono in preghiera, e quella notte “il segreto fu rivelato a Daniele”. Come ha potuto Dio parlare con Daniele? Perché lo Spirito del Signore è con coloro che lo temono! L’educazione di Daniele lo aveva reso attento alla voce di Dio. Aveva acquisito nel tempo la capacità di vedere le cose eterne, con l’occhio della fede. Dio mostrò a Daniele le stesse cose che aveva rivelato a Nabucodonosor, ma che gli erano state nascoste dal fascino della gloria.
Il canto di lode che si levò dalle labbra di Daniele al momento della visione, mostra quanto egli fosse consapevole di sé e quanto il suo cuore fosse legato al cuore di Dio. Le scuole di Babilonia svilupparono l’orgoglio, l’amore del piacere, la superbia e l’autostima. Favorirono aristocrazia e coltivarono lo spirito di oppressione e schiavitù; in contrasto con questo la semplicità nativa, la cortesia, la dolcezza e la dimenticanza di sé, del figlio di Dio mentre, entra nella corte e viene introdotto da Arioch. Anni prima, quando l’Egitto era il centro educativo del mondo, Dio insegnò ai senatori egiziani per bocca di Giuseppe, un ragazzo non più grande di Daniele. Quando Babilonia aveva ignorato i consigli del Cielo, un altro ebreo affronta i saggi di Babilonia “non può essere spiegato al re né da saggi, né da astrologi, né da maghi, né da indovini” (Daniele 2:27).
Davanti a Daniele c’era il re nella sua gloria; Intorno a lui c’erano i maestri con cui aveva studiato tre anni. In quel momento erano un esempio le parole del salmista: “Ho più intelligenza di tutti i miei maestri perché le tue testimonianze sono la mia meditazione. Capisco più degli antichi, perché osservo i Tuoi precetti”. Nabucodonosor era stanco per la perdita del sonno e in grande ansia perché il sogno lo turbava; ma Daniele era calmo, cosciente del suo legame con Dio, il Re dei re. Daniele aveva ora l’opportunità di esaltare la propria saggezza ma preferì dare tutta la gloria a Dio.
Egli disse chiaramente al re che era al di là del potere dell’uomo rivelare il sogno o darne l’interpretazione; “Ma c’è un Dio nel cielo che rivela i segreti, ed egli ha fatto conoscere al re Nebukadnetsar ciò che avverrà negli ultimi giorni. Questo è stato il tuo sogno e le visioni” (Daniele 2:28).
La mente del re era rivolta solo a Dio. In una notte Dio rivelò la storia di oltre venticinque, centinaia di anni ciò che uno storico umano, avrebbe richiesto volumi, ma le Scritture si spiegano da sole e nei documenti divini ogni parola è ben scelta e
collocata nel giusto contesto e nella giusta collocazione.
Nell’immagine rivelata a Nabucodonosor, la gloria del regno di Babilonia è riconosciuta dal Signore e rappresentata dalla testa d’oro. Ma pur dando il giusto merito allo stato attuale delle cose. Lo spirito di profezia, con altrettanta franchezza fa notare al re auto esaltato la debolezza delle istituzioni, le quali hanno l’incapacità di capire l’imminente distruzione di Babilonia “«Scendi e siediti nella polvere, o vergine figlia di Babilonia. Siediti in terra, senza trono, o figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata tenera e delicata. Metti mano alla macina e macina la farina; rimuovi il tuo velo” (Isaia 47:1-3).
” Dall’essere il signore di tutti, Babilonia deve diventare il servo più umile. Perché questo popolo non aveva tenuto conto del Dio del cielo e aveva detto, “Nessuno mi vede”, il male sarebbe venuto da fonti sconosciute e Babilonia avrebbe dovuto essere tagliata fuori. Essa avrebbe fatto uno sforzo disperato per salvarsi, rivolgendosi ai suoi educatori e ai suoi saggi.
“Che gli astrologi, gli osservatori delle stelle, i pronosticatori mensili, si alzino e ti salvino da queste… Ecco, essi saranno come stoppia”. Quando arrivò la prova, non c’era nulla in tutto il regno di Babilonia che potesse salvarla.
“La forza delle nazioni e degli individui non si trova nelle opportunità e nelle agevolazioni che sembrano renderli invincibili; non si trova nella loro vantata grandezza. Ciò che solo può renderli grandi o forti è la potenza e il proposito di Dio. Sono loro stessi, con il loro atteggiamento nei confronti del Suo proposito, che decidono il loro futuro”.
Il regno di Nabucodonosor durò solo fino al regno di suo nipote, quando la seconda nazione (di minore valore), rappresentata dal petto e dalle braccia d’argento si affacciò sul palcoscenico dell’azione. La Medo-Persia prese il posto di Babilonia; la Grecia seguì il regno medo-persiano, mentre Roma, il quarto regno, sarebbe stato diviso in dieci parti, che sarebbero rimaste fino alla fine dei tempi. Nei giorni di questi re il Dio del cielo avrebbe istituito un regno che non sarebbe mai stato distrutto né conquistato da nessun altro popolo; avrebbe fatto a pezzi e consumato tutti i regni precedenti e sarebbe rimasto in piedi per sempre. L’immagine era un quadro completo della storia del mondo. La “gloria del regno” formava la testa d’oro, tutti i regni successivi si sono deteriorati a partire da Babilonia, come dimostra il grado dei metalli che formano l’immagine. Prima oro, poi argento, ottone e ferro. Nell’ultima parte della storia del mondo, un cambiamento marcato è stato rivelato dal fatto che il ferro è stato mescolato con argilla. Non ci dovevano essere più regni universali governati da uomini; quando il potere del quarto regno fu spezzato, esso rimase in piedi, esso doveva rimanere diviso fino alla fine. Al posto di un regno ce ne sarebbero stati diversi. L’argilla mescolata con il ferro denota anche l’unione di Chiesa e Stato. Questa combinazione è peculiare dell’ultima parte della storia del mondo, ai piedi e alle dita dell’immagine. La religione era la base del governo nelle nazioni pagane; non poteva esserci separazione tra Chiesa e Stato. Quando il cristianesimo apostata si unì allo Stato, ciascuno rimase in un certo senso distinto, come l’argilla è separata dal ferro. L’unione continua finché la pietra non colpisce l’immagine sui piedi. Il fatto stesso che la pietra è stata staccata dalla montagna senza mani d’uomo”, dimostra che gli ultimi regni sulla terra non saranno abbattuti da alcun potere terreno, ma che il Dio del cielo porterà su di loro la distruzione finale, consegnandoli alle fiamme ardenti. Il re ascoltò ogni frase pronunciata da Daniele, mentre gli raccontava il sogno, e riconobbe la visione che lo aveva turbato. Quando Daniele diede l’interpretazione, era certo di poterla accettare come una vera profezia da parte del Dio del cielo. La visione aveva colpito profondamente il re e, quando gli fu spiegato il significato, cadde sulla faccia davanti a Daniele in stupore e umiltà, e disse: “In verità il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti, poiché tu hai potuto rivelare questo segreto”. Il giovane di ventuno anni fu nominato governatore di tutta la provincia di Babilonia, e capo supremo di tutti i savi di Babilonia I compagni di Daniele ricevettero anch’essi alte cariche nel governo. Va ricordato che questo sogno, riportato nel secondo capitolo di Daniele fu dato a Nabucodonosor nel secondo anno del suo unico regno. Era proprio durante il regno di Jehoiakim, re di Giuda. Era nella provvidenza di Dio che il suo popolo portasse la luce della verità a tutte le nazioni pagane.
Ciò che non hanno fatto in tempo di pace, dovranno farlo in tempo di difficoltà. Babilonia era la potenza dominante del mondo; era il centro educativo. Gli Ebrei erano un popolo relativamente piccolo; persero il potere di Dio trascurando l’educazione dei loro figli; non hanno fatto brillare la loro luce. Dal loro popolo
Dio prese alcuni che erano stati istruiti nel timore del Signore e li mise in mezzo ai pagani, li portò in favore del dominatore del mondo, facendoli conoscere dal re pagano. Fece anche di più: si rivelò al re e si servì di questi giovani. per dimostrare che la saggezza di Dio eccelleva la sapienza dei Caldei. Avendo esaltato la vera educazione, mise Daniele e i suoi compagni a capo di quel vasto impero affinché la conoscenza del Dio del cielo giungesse agli estremi confini della terra. Avendo riconosciuto il Dio di Daniele, Nabucodonosor fu in grado di salvare Gerusalemme invece di distruggerla. Fu a causa di queste esperienze che Dio poté, qualche anno dopo, per mezzo del Suo profeta, mandare a dire che, se Sedekia, re di Giuda, si fosse consegnato al re di Babilonia, Gerusalemme non sarebbe stata bruciata e il mondo avrebbe ricevuto la luce del Vangelo. La storia della città di Babilonia viene messa agli atti perché è una lezione di Dio per il mondo di oggi. Il libro dell’Apocalisse, che è il complemento del libro di Daniele, usa spesso il nome di Babilonia, applicandolo alle chiese moderne. Il rapporto tra gli ebrei e la Babilonia di Nabucodonosor è lo stesso, come quello sostenuto dalla chiesa rimanente (il vero Israele), nei confronti delle chiese che, avendo conosciuto la verità, l’hanno rifiutata.
I peccati dell’antica Babilonia saranno ripetuti oggi. Il suo sistema educativo è quello di ora. I peccati dell’antica Babilonia saranno ripetuti oggi. Il suo sistema educativo è quello che oggi viene generalmente accettato; il suo governo, con le sue tasse eccessive, la sua esaltazione dei ricchi e l’oppressione dei poveri, il suo orgoglio, l’arroganza, l’amore per la vita mondana e la cultura, l’oppressione dei poveri, l’orgoglio, l’amore per l’ostentazione, la scelta dell’artificiale al posto del naturale e l’esaltazione del dio della scienza al posto del Dio del cielo, è quello verso cui il mondo di oggi si sta dirigendo. Come Dio chiamò Abramo dall’idolatria della Caldea e lo fece diventare padre della nazione ebraica; così come ha consegnato a quel popolo una forma di governo che esaltasse Dio; come diede loro il comandamento di
insegnare ai loro figli, affinché la nazione ebraica diventasse maestra delle nazioni e fosse un regno eterno, così oggi Egli richiama il popolo dalla moderna Babilonia. Egli ha affidato loro i principi di una vita salutare che li renderanno mentalmente e fisicamente una meraviglia per il mondo. Egli ha dato loro dei principi educativi che, se seguiti, li renderanno gli insegnanti del mondo e infine li porterà nel regno di Dio. E a loro ha consegnato i principi del vero governo, che riconoscano i diritti di tutti gli uomini, e che nell’organizzazione della Chiesa lega tutti insieme in un unico corpo in Cristo Gesù. Solo pochi, quattro su migliaia, erano fedeli ai giorni di Daniele a questi principi. Come sarà oggi?
“Nabucodonosor il re, fece un’immagine d’oro”. Secondo la cronologia di Usher, erano trascorsi ventitré anni da quando il sogno registrato nel secondo capitolo di Daniele era stato dato a questo stesso Nabucodonosor. Come risultato dell’esperienza vissuta a quel tempo, Daniele fu nominato consigliere, seduto alla porta del re, e Shadrach, Meshach e Abed-nego furono nominati governanti nella “provincia di Babilonia”.
Molte opportunità si erano presentate a questi uomini di Dio, e avevano mantenuto la consapevolezza del loro Dio davanti al popolo di Babilonia. Nel frattempo Gerusalemme era stata distrutta. I Giudei, come nazione, erano dispersi nel regno di Nabucodonosor; il loro re, Jehoiachin, languiva in una delle prigioni di Babilonia. Era un periodo di dolore e di lutto per il popolo eletto di Dio. È possibile che siano stati dimenticati da Colui che ha sconfitto l’Egitto e che condusse le schiere attraverso il Mar Rosso?
Per quanto gli occhi umani potessero vedere, era vero. Nabucodonosor era stato umiliato quando Daniele interpretò il suo sogno; ma con il passare degli anni, perse lo spirito che caratterizzava la vera adorazione e, pur riconoscendo nella mente il Dio degli Ebrei, il suo cuore era pagano. Egli fece un’immagine d’oro, modellandola il più possibile all’immagine che gli era stata rivelata in sogno, gratificando al tempo stesso il proprio orgoglio, perché l’intera figura era d’oro. Non c’era traccia degli altri regni che nel sogno erano rappresentati dall’argento, dal rame, dal ferro e dall’argilla.
Fu posta sulla pianura di Dura, che si ergeva per almeno cento metri sopra il paese, la campagna circostante era visibile per chilometri in ogni direzione.
Il decreto fu emanato da Nabucodonosor, convocando nella capitale i governatori e i capi delle province di tutto il mondo. Lui, il sovrano dei regni, mostrò così la sua autorità.
Era una grande occasione e i re e i governatori sudditi non osavano disobbedire ai mandati di questo re universale. Il cielo osservava con intenso interesse, perché questa era l’occasione in cui la massima autorità mondana doveva incontrare il governo di Dio. Babilonia non era solo il più grande e potente governo ai tempi di Nabucodonosor, ma era un simbolo dei governi terreni di tutti i tempi, per questo motivo abbiamo il resoconto riportato nel terzo capitolo di Daniele.
Come re, aveva il diritto di convocare i suoi sudditi. In quanto sudditi, era dovere di coloro che erano stati chiamati, obbedire.
Quando la grande folla si fu radunata intorno all’immagine sull’ampia pianura, si udì la voce dell’araldo che diceva:
“appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della zampogna e di ogni genere di strumenti, vi prostrerete per adorare l’immagine d’oro che il re Nebukadnetsar ha fatto erigere; chiunque non si prostrerà per adorare, sarà subito gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente” (Daniele 3: 5-6).
“Dio è uno spirito e coloro che lo adorano devono adorarlo come spirito” (Giov. 4:24).
Ma del culto spirituale, il paganesimo è del tutto ignaro. Se non c’è qualche immagine davanti alla quale possono adorare per loro non c’è culto. Era del tutto conforme alla religione, all’educazione e al governo di Babilonia, al che il re erigesse un’immagine come quella che fece. Era del tutto in armonia con le consuetudini – educative, religiose e civili – che il popolo in generale rispettasse il comando di adorare una simile immagine. Sebbene fosse in armonia con il governo mondano, non era tuttavia conforme ai principi del governo celeste. È per questo che ancora una volta, nella persona del re babilonese, Satana sfida il governo di Dio.
Quando Lucifero e i suoi angeli si rifiutarono di inchinarsi davanti al trono di Dio, il Padre, poi li avrebbe distrutti. A loro era concesso di vivere fino a quando la morte non fosse sopraggiunta in seguito al loro comportamento. Il re babilonese, invece, minacciava la distruzione totale a tutti coloro che si rifiutavano di adorare la sua immagine d’oro. Il potere principale nel governo celeste è l’amore; il potere umano, se esercitato, diventa tirannia. Ogni tirannia è una ripetizione dei principi babilonesi.
A volte la chiamiamo papale, ma è ugualmente babilonese. Quando il potere civile impone un culto di qualsiasi tipo, sia esso vero o falso in sé, obbedire è idolatria.
Il mandato deve essere sostenuto da qualche forma di punizione, una fornace ardente, e la coscienza dell’uomo non è più libera. Da un punto di vista civile, una simile legislazione è una tirannia; vista da un punto di vista religioso, è una persecuzione. L’immensa folla cadde prostrata davanti all’immagine, ma Shadrach, Meshach e Abed-nego rimasero in piedi. Allora alcuni Caldei, maestri del regno, gelosi della posizione e del potere di questi. ebrei, avendo aspettato un’occasione per accusarli, dissero al re: “Ci sono alcuni ebrei che tu hai posto a capo degli affari della provincia di Babilonia… questi uomini non ti hanno rispettato”.
È possibile, pensò il re, che quando l’immagine è stata fatta sul modello di quella mostratami dal Dio degli Ebrei, quegli uomini, Shadrach, Meshach e Abed-nego, abbiano rifiutato di adorare, al mio comando?
È possibile che quando ho elevato quegli uomini, che erano solo schiavi, ad alte cariche del governo, essi ignorino le mie leggi? Il pensiero si agitava nel cuore del re. L’autoesaltazione non ammette opposizioni e gli uomini furono subito chiamati alla presenza di Nabucodonosor. Può essere vero, o Shadrach, Meshach e Abed-nego, che dopo tutto quello che è stato fatto per voi, non servite i miei dèi e non adorate l’immagine che ho eretto? Senza dubbio fu spiegato il motivo della creazione dell’immagine e fu offerta loro un’altra opportunità per riscattare l’offesa passata.
Ma se si trattava di una deliberata inosservanza di un’autorità, la legge del paese doveva essere applicata. La fornace era stata indicata dal re come luogo di attesa per i traditori e i ribelli. Quale prova della fedeltà di questi tre compagni di Daniele. Si rendevano conto di essere in presenza non solo del più ricco mondo della terra, ma anche che la disobbedienza significava morte, e di fronte alle moltitudini riunite. Nella piana di Dura, (dov’era stata messa l’immagine) era uno spettacolo per Dio, per gli angeli e per gli abitanti di altri mondi. L’intero universo guardava con interesse inesprimibile ; a ciò che questi uomini avrebbero fatto. La controversia non era tra l’uomo e Satana, ma tra Cristo e Satana, ed erano in gioco, principi eterni. Gli uomini erano attori della contesa. Potevano schierarsi come testimoni o per Cristo o per Satana in questo momento di decisione. Permetterebbero a un’emozione non
santificata di impossessarsi della loro vita e di compromettere la loro fede? Che valore può avere una religione che ammette il compromesso? Che valore può avere una religione che non insegna la fedeltà al Dio del cielo? Cosa c’è di veramente prezioso nel mondo, soprattutto quando si è ai confini dell’eternità, se non il riconoscimento di Dio come suoi figli? Questi giovani ebrei avevano imparato dalla storia dei rapporti di Dio con gli Israeliti nei tempi passati che la disobbedienza portava solo disonore, disastro e rovina; e che il timore del Signore non era solo l’inizio della saggezza, ma la base di ogni vera prosperità. Con calma e rispetto dissero quindi al re che non avrebbero adorato la sua immagine d’oro e che avevano fede nel fatto che il loro Dio era in grado di proteggerli. “Ecco, il nostro Dio, che serviamo, è in grado di liberarci dalla fornace di fuoco ardente e ci libererà dalla tua mano, o re. Ma anche se non lo facesse, sappi o re, che non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo l’immagine d’oro che tu hai fatto erigere” (Daniele 3:17-18).
Il re si arrabbiò. Il suo spirito orgoglioso non poteva tollerare questo rifiuto di obbedire al suo decreto. Ordinò che la fornace fosse riscaldata sette volte più del solito e che gli uomini più forti del suo esercito legassero i tre ebrei e li gettassero nel fuoco. Questo fu fatto, ma Dio in questo atto iniziò a vendicare i suoi figli fedeli. La fornace era così calda che gli uomini forti che gettarono gli ebrei nel fuoco furono a loro volta distrutti da quel calore intenso. Dio non ha permesso che l’invidia e l’odio prevalessero contro i suoi figli. Quante volte i nemici di Dio hanno unito la loro forza e la loro saggezza per distruggere il carattere e l’influenza di alcune persone umili e fiduciose! Ma nulla può prevalere contro coloro che sono forti nel Signore. La promessa è: “L’ira dell’uomo ti loderà”. Dio ha preservato i suoi servitori in mezzo alle fiamme e il tentativo di costringerli all’idolatria ha portato la conoscenza del vero Dio davanti all’assemblea dei principi e dei governanti del vasto regno di Babilonia. Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede.
“Tutto è possibile a chi crede” (Marco 9: 23).
“Quando pregate, credete che riceverete ciò che desiderate e lo otterrete” (1 Giov. 5:4).
Dio può non operare sempre la liberazione nel modo che riteniamo migliore, ma Lui, che vede tutto fin dall’inizio, sa cosa porterà onore e lode al suo nome. Improvvisamente il re impallidì per il terrore. Guardò intensamente in mezzo alla fornace ardente e si rivolse a coloro che gli erano vicini dicendo: “Non abbiamo forse gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?”. Essi risposero: “È vero, o re”. Il re allora disse: “Ecco, vedo quattro uomini sciolti che camminano in mezzo al fuoco e non hanno alcun male; e la forma del quarto è simile al Figlio di Dio”. Come fece il re a riconoscere la forma del Figlio di Dio? Evidentemente dagli insegnamenti degli ebrei alla corte di Babilonia e in ricordo della sua visione. Daniele e i suoi compagni avevano sempre cercato di portare davanti al re, ai principi e ai saggi di Babilonia la conoscenza del vero Dio. Questi ebrei, che occupavano posizioni elevate nel governo, erano stati associati al re; e poiché non si vergognavano del loro Dio, avevano onorato e reso gloria al Signore ogni volta che se ne era presentata l’occasione. Il re aveva ascoltato dalle loro labbra le descrizioni dell’Essere glorioso che servivano; e fu grazie a questa istruzione che fu in grado di riconoscere la quarta persona nel fuoco come il Figlio di Dio. Il re conosceva bene il ministero degli angeli e ora credeva che gli angeli avessero interferito in favore di questi uomini fedeli, che avrebbero consegnato i loro corpi alla punizione piuttosto che acconsentire con la mente a servire o adorare qualsiasi altro Dio che non fosse il loro. Questi uomini erano veri missionari. Ricoprivano posizioni onorifiche nel governo e allo stesso tempo facevano risplendere la luce del Vangelo nella loro vita. Questo miracolo fu uno dei risultati della loro vita divina. Con amaro rimorso e sentimenti di umiltà, il re si avvicinò alla fornace ed esclamò: “Shadrach, Meshach e Abed-nego, servi del Dio altissimo, uscite e venite qui”. Essi lo fecero e tutte le schiere nella piana di Dura furono testimoni del fatto che nemmeno l’odore del fuoco era sulle loro vesti e nemmeno un capello era stato bruciato. Dio aveva trionfato grazie alla costanza dei suoi fedeli servitori. La magnifica immagine fu dimenticata dal popolo nella sua meraviglia e la solennità pervase l’assemblea. Ciò che gli ebrei come nazione non erano riusciti a fare nell’annunciare la verità alle nazioni del mondo, Dio lo realizzò nelle circostanze più difficili, con soli tre uomini. La storia della liberazione miracolosa fu raccontata fino ai confini della terra. I principi della libertà religiosa e della libertà di coscienza furono conosciuti. La storia degli ebrei passava di bocca in bocca, mentre chi non conosceva i tre ebrei chiedeva chi fossero e come fossero arrivati a Babilonia. Si rivendicava il sabato. La storia dell’educazione ebraica fu resa nota. La gloria di Babilonia fu per il momento dimenticata, mentre lo splendore del regno celeste e i principi del governo di Dio divennero il tema centrale. Senza dubbio alcuni uomini fecero risalire la loro conversione a quel giorno e vennero messe in moto forze che spianarono la strada al ritorno degli ebrei pochi anni dopo. Ancora una volta il monarca pagano è portato a riconoscere il potere del Re del cielo. Quando Daniele interpretò il sogno, la sapienza mondana e l’insegnamento delle scuole babilonesi caddero di fronte al semplice insegnamento del Vangelo portato avanti da madri fedeli in Israele. Quando i tre ebrei furono salvati dal calore della fornace, per i principi del governo di Dio – il vero protestantesimo, come sarebbe stato chiamato oggi – furono proclamati davanti alle nazioni della terra. Era solo un apprezzamento parziale di questi principi che Nabucodonosor ottenne all’inizio; tuttavia portò al decreto che in tutto il dominio, ovunque vivesse un ebreo, nessuno avrebbe dovuto parlare contro il Dio di Shadrach, Meshach e Abed-nego. Questo diede la libertà a ogni credente di praticare il proprio culto senza essere disturbato. Satana, nel tentativo di distruggere gli Ebrei, aveva oltrepassato i limiti, e al posto della morte di tre, la vita fu concessa a migliaia di persone. La cronologia di Usher indica come data di emanazione di questo decreto ventisei anni dopo che Daniele era stato deportato in cattività a Babilonia; ma è molto probabile che la data esatta fosse quella in cui il profeta Geremia disse a Zedekia, re di Giuda, che se si fosse consegnato nelle mani dei principi del re di Babilonia, Gerusalemme non sarebbe stata distrutta. Solo poco tempo prima lo stesso profeta si era rivolto a Sedekia dicendo: “I Caldei ritorneranno e combatteranno contro questa città, la prenderanno e la daranno alle fiamme». Così dice l’Eterno: «Non ingannate voi stessi, dicendo: “I Caldei se ne andranno certamente da noi”, perché non se ne andranno. Anche se riusciste a sconfiggere tutto l’esercito dei Caldei che combattono contro di voi e ne rimanessero solo alcuni feriti, questi si alzerebbero, ciascuno nella sua tenda, e darebbero questa città alle fiamme” (Geremia 37:8-10).
Non c’è dubbio che a Sedekia sembrò strano che lo stesso profeta, un po’ più tardi, si rivolgesse di nuovo a lui dicendo: “Così dice l’Eterno, il DIO degli eserciti, il DIO d’Israele: Se ti consegni ai principi del re di Babilonia, avrai salva la vita; questa città non sarà data alle fiamme e vivrai tu con la tua casa; ma se non ti consegnerai ai principi del re di Babilonia, questa città sarà data in mano dei Caldei che la daranno alle fiamme, e tu non scamperai dalle loro mani»” (Geremia 38:14-23).
Sedekia camminava con la vista e non con la fede e, per mancanza di fede nel credere a Dio, perse tutto. La sua vista vedeva solo l’esercito di Babilonia e i Giudei, e temeva di obbedire. La fede l’avrebbe portato a obbedire al comando di Dio, indipendentemente da qualsiasi ostacolo che la mente gli avrebbe potuto presentare. Dio non ci ordina mai di compiere cose impossibili; sempre con il comando prepara la strada, se noi per fede andiamo avanti e obbediamo. Se Sedekia avesse saputo che a Babilonia era stato emanato un decreto che proibiva a chiunque di pronunciare anche solo una parola contro il Dio degli Ebrei, senza dubbio avrebbe obbedito rapidamente. Dio aveva preso tutte le disposizioni per risparmiare Gerusalemme, la città da Lui scelta, e il tempio dove la Sua presenza visibile aveva dimorato per tanti anni. Ma i piani del Cielo sono stati turbati dal cuore dubbioso di colui al quale Dio aveva affidato la supervisione della sua opera sulla terra. Invano il profeta del Signore implorava: “Obbedisci, ti prego, alla voce del Signore che ti parla”. Ma gli occhi di Sedekia erano accecati dalle cose terrene, egli misurava il messaggio di Dio con la propria mente. Vide solo un’apparente contraddizione nel messaggio che, se creduto, avrebbe portato la lieta novella della vittoria. Se Sedekia fosse andato incontro ai Caldei nessuno avrebbe osato mettergli le mani addosso, ma, come molti altri, perse l’occasione di una vita temendo di fidarsi di Dio. Nonostante il profeta del Signore gli avesse detto chiaramente che se non avesse obbedito avrebbe fatto bruciare Gerusalemme con il fuoco, egli ebbe comunque paura di obbedire alla parola del Signore. Sedekia era estraneo alla fede che permise a Shadrach, Meshach e Abed-nego di entrare nella fornace ardente piuttosto che disonorare il loro Signore. La prova sulla pianura di Dura fu il coronamento della vita dei tre ebrei. Ci viene detto che furono promossi a posizioni più elevate nella provincia di Babilonia, ma non abbiamo più notizie di loro. Nel momento della prova non sapevano che il Signore li avrebbe liberati dalla fornace, ma avevano fede nel credere che aveva il potere di farlo se era sua volontà farlo. In questi momenti ci vuole più fede a confidare che Dio realizzerà i suoi scopi a modo suo che a credere nel nostro modo. È l’assenza di questa fede e fiducia nei momenti critici che porta perplessità, angoscia, paura e supposizioni di male. Dio è sempre pronto a fare grandi cose per il suo popolo quando questo ripone la sua fiducia in Lui. “La devozione con contentezza è un grande guadagno”. Raramente ci troviamo nelle stesse circostanze. Abramo, Mosè, Elia, Daniele e altri si sono trovati in difficoltà, fino alla morte, ma ogni prova è avvenuta in modo diverso. Ogni individuo ha un’esperienza specifica per il suo carattere e le sue circostanze. Dio ha un’opera da compiere nella vita di ciascuno. Ogni atto, per quanto piccolo, ha il suo posto nella nostra esperienza di vita. Dio è più che disposto a guidarci sulla strada giusta. Non ha chiuso le finestre del cielo alla preghiera, ma le sue orecchie sono sempre aperte alle grida dei suoi figli e il suo occhio osserva ogni movimento di Satana per contrastare la sua opera. Shadrach, Meshach e Abed-nego erano uomini con passioni simili alle nostre. Le loro vite sono date per mostrare ciò che l’uomo può diventare anche in questa vita, se farà di Dio la sua forza e migliorerà saggiamente le opportunità a sua disposizione. Tra i prigionieri del re che avevano vantaggi simili, solo Daniele e i suoi tre compagni si impegnarono a cercare la Sapienza con tutte le loro energie e conoscenza da parte di Dio, come rivelato nella Sua Parola e nelle Sue opere. Sebbene in seguito abbiano ricoperto alte posizioni di fiducia, non erano né orgogliosi né autosufficienti. Avevano un legame vivo con Dio, amandolo, temendolo e obbedendogli. Permettevano alla loro luce di risplendere in modo non offuscato, pur occupando posizioni di responsabilità. In mezzo a tutte le tentazioni e le difficoltà della corte, rimanevano saldi come una roccia nell’adesione ai principi. L’osservanza diretta dei requisiti biblici e la fede in Dio daranno forza sia alla volontà che al corpo. Il frutto dello Spirito non è solo amore, gioia e pace, ma anche temperanza. Se questi giovani fossero scesi a compromessi con gli ufficiali pagani all’inizio, e avessero ceduto alle esigenze dell’occasione mangiando e bevendo secondo l’usanza dei Babilonesi, contrariamente a quanto richiesto da Dio, quel passo falso avrebbe indubbiamente portato ad altri, fino a quando le loro coscienze sarebbero state bruciate e si sarebbero incamminati su strade sbagliate. La fedeltà in questo punto li preparò a resistere a tentazioni maggiori, finché alla fine rimasero saldi in questa prova cruciale sulla piana di Dura. Il terzo capitolo di Daniele può essere studiato con profitto in relazione al messaggio cui si fa riferimento nel tredicesimo capitolo dell’Apocalisse (Apocalisse 13:14-17).
I principi sono gli stessi in entrambi. Tutto il mondo era chiamato ad adorare l’immagine eretta nella provincia di Babilonia; rifiutandosi, avrebbero subito la morte. Nell’Apocalisse viene presentata un’immagine della bestia, ovvero governi sulla terra che stabiliranno leggi contrarie ai requisiti di Dio. La vita e il potere daranno vita a questa immagine, ed essa parlerà e decreterà che quanti non l’ adoreranno saranno messi a morte. Tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e obbligati, dovranno ricevere un marchio nella mano destra o sulla fronte. Gli uomini saranno privati del diritto di voto per non aver adorato questa immagine; infatti, a nessuno sarà permesso di comprare o vendere se non ha il marchio, il nome della bestia o il numero del suo nome. Chi sarà in grado di resistere alla prova quando questo decreto di adorare l’immagine della bestia sarà imposto? Chi sceglierà di “soffrire la sofferenza con il popolo di Dio piuttosto che godere dei piaceri del peccato per una stagione”? Quali bambini vengono ora formati ed educati a questi principi di integrità verso Dio? Da quali case usciranno i Daniele e i Meshach? Questa sarà la prova finale per i servitori di Dio. Le scene rappresentate nel terzo capitolo di Daniele non sono che una rappresentazione in miniatura delle prove a cui il popolo di Dio va incontro con l’avvicinarsi della fine.
Il quarto capitolo di Daniele è, secondo alcuni, un capitolo meraviglioso che si trova nella Bibbia. È un documento pubblico scritto da Nabucodonosor, re di Babilonia, dopo la sua umiliazione da parte del Dio del cielo. Fu inviato “a tutti i popoli, nazioni e lingue che abitano su tutta la terra”. Pertanto giunge a noi con la stessa freschezza e vitalità come se fosse stata emanata alla generazione in cui viviamo.
L’obiettivo era, dice Nabucodonosor, “mostrare i segni e i prodigi che l’alto Dio ha compiuto nei miei confronti”. Contemplando ciò che era stato fatto, esclamò con un linguaggio simile a quello dell’apostolo Paolo: “«Il re Nabucodonosor a tutti i popoli, a tutte le nazioni e lingue, che abitano su tutta la terra: La vostra pace sia grande. Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i prodigi che il Dio Altissimo ha fatto per me. Quanto grandi sono i suoi segni e quanto potenti i suoi prodigi! Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio dura di generazione in generazione” (Daniele 4: 1-3).
Il regno di Nabucodonosor era stato un lungo scenario di guerra. Era un uomo di guerra. Questa caratteristica era così evidente nella vita del grande re che la profezia lo chiama “il terribile delle nazioni” e “martello di tutta la terra”. Aveva incontrato nemici da ogni parte e aveva avuto successo, perché Dio aveva messo la sua “spada nella mano del re di Babilonia” e si era servito di questo monarca per punire altre nazioni che avevano rifiutato la luce della verità. Per illustrare: Per tredici anni la città di Tiro resistette a ogni tentativo di Nabucodonosor. Alla fine ebbe successo, ma non ottenne alcun bottino, perché Tiro, catturata sulla costa, fu trasferita su un’isola. Sebbene Nabucodonosor non lo sapesse, con la distruzione di Tiro stava realizzando la profezia. Il Signore lo ricompensò per quest’opera inviandogli la notizia, tramite il profeta Ezechiele, che avrebbe potuto avere il bottino dell’Egitto come paga per il suo esercito mentre distruggeva Tiro, perché anche l’Egitto come Tiro aveva rifiutato la conoscenza del vero Dio. Allora Nabucodonosor rivolse le sue armi contro l’Egitto e quella nazione, che anni prima aveva tenuto Israele in schiavitù, divenne ora schiava della potenza di Babilonia. Al profeta Ezechiele, uno dei capi ebraici, fu data una visione della presa dell’Egitto da parte di Nabucodonosor e gli fu detto di inviare la testimonianza al faraone, re d’Egitto. In questa profezia l’Egitto è rappresentato come un albero possente che dominava su tutti gli alberi della terra. Persino gli alberi dell’Eden invidiavano lo splendore di questo albero. Tutti gli uccelli del cielo facevano il nido tra i suoi rami; le schiere della terra abitavano sotto i suoi rami. Ma questo albero d’Egitto fu innalzato a causa della sua grandezza e Dio mandò Babilonia ad abbatterlo. Lo schianto della sua caduta scosse la terra. Questa profezia doveva essere nota a Nabucodonosor, se non prima, almeno dopo la sua vittoria sull’Egitto, perché era familiare agli ebrei e c’erano ebrei alla corte babilonese. Ciò getta luce sul quarto capitolo di Daniele. Dopo aver conquistato il mondo, Nabucodonosor era a riposo nella sua casa, quando una notte fece un sogno. Il successo lo aveva seguito ovunque si fosse voltato. Ai suoi piedi si inchinavano i rappresentanti di tutte le nazioni. Nei suoi forzieri affluivano le ricchezze dell’est e dell’ovest, del nord e del sud. Intorno a lui si raggruppavano l’ingegno e il sapere dell’epoca. Le biblioteche erano ai suoi ordini e l’arte fioriva. Perché il re Nabucodonosor non dovrebbe prosperare nel suo regno? Ma aveva sognato un sogno che lo turbava, e si rivolse ai saggi per ottenere un’interpretazione. Essi ascoltarono, ma, strano a dirsi, non seppero dare alcuna spiegazione. Dio permise sempre ai saggi della terra di fare la prima prova. Quando questi saggi fallirono, fu chiamato Daniele. Il nome di Daniele era stato cambiato quando entrò per la prima volta alla corte babilonese e per il re e i suoi collaboratori era conosciuto come Beltsatsar, figlio del dio pagano Bel, ma Daniele stesso conservò sempre il proprio nome ebraico. Anni prima, tuttavia, il Dio di Daniele aveva detto: “Bel si inchina e Nebo si abbassa… non hanno potuto liberare il fardello, ma sono andati in cattività” (Isaia 46: 1-2).
Daniele ebbe di nuovo l’occasione di dimostrare la saggezza del suo Dio e la debolezza delle divinità babilonesi. Il sogno, ripetuto dal re all’udienza di Daniele, è meraviglioso da contemplare. L’albero era un oggetto familiare e un simbolo suggestivo. Gli esemplari più belli che il mondo offriva erano stati trapiantati nei giardini babilonesi. La storia dell’Eden e dei suoi alberi era stata tramandata dalla tradizione e il popolo conosceva l’albero della vita e anche l’albero della conoscenza del bene e del male. L’albero visto nel sogno era stato piantato in mezzo alla terra e, mentre osservava, il re lo vide crescere fino a quando la sua cima raggiunse il cielo e i suoi rami si estesero fino alle estremità della terra. Strano che quest’albero, che cresceva fino al cielo nonostante tutto, che era innaffiato dalle rugiade del cielo e alimentato dal sole di Dio, conoscesse solo la terra e i regni terreni! Come per l’albero egizio, così per questo: gli uccelli riposavano tra i rami e le bestie dimoravano alla sua ombra. Il re nel suo sogno vide solo la parte superiore dell’albero, i rami, le foglie e i frutti, ma le radici di qualsiasi albero sono numerose e diffuse quanto i suoi rami; quindi questo albero possente, la cui cima raggiungeva il cielo e i cui rami si estendevano fino alle estremità della terra, era sostenuto da radici che, sebbene nascoste, attraversavano tutta la terra. Radicato in profondità, traeva nutrimento da sorgenti nascoste. Infatti, le belle foglie e i frutti abbondanti dipendevano dalla condizione delle radici. Mentre Nabucodonosor guardava l’albero, vide un “un guardiano, un santo scese dal cielo” (Daniele 4:13), un messaggero del cielo, il cui aspetto era simile a quello di colui che camminò in mezzo alla fornace ardente con i giovani ebrei. Al comando di questo messaggero divino, l’albero fu abbattuto e rimase solo il ceppo. L’abbattimento dell’albero non uccise il ceppo né le radici. La vita riprese, ed era pronta a spuntare nuovi germogli più numerosi di prima. Non è certo che l’uomo abbia mai ricevuto un messaggio più importante di questo. Nel suo precedente sogno gli era stata mostrata la brevità del suo regno e gli era stata data una prova del declino dell’impero. Se avesse vissuto in armonia con ciò che gli era stato rivelato, l’esperienza che stava per accadere sarebbe stata evitata. Le parole con cui l’angelo si congedò da Nabucodonosor furono: “La cosa è decretata dai guardiani e la sentenza viene dalla parola dei santi, perché i viventi sappiano che l’Altissimo domina sul regno degli uomini; egli lo dà a chi vuole e vi innalza l’infimo degli uomini”.. (Daniele 4:17)Il fatto che un uomo ricopra una posizione non significa che sia migliore degli altri. Quando Daniele si rese conto del vero significato del sogno e previde l’umiliazione del re di Babilonia, “i suoi pensieri lo turbarono”. Il re lo incoraggiò a non turbarsi, ma a dare la vera interpretazione. Lo fece, dicendo chiaramente al re che l’albero visto nella visione era emblematico di Nabucodonosor stesso e del suo dominio. “Sei tu, o re, che sei cresciuto e sei diventato forte; perché la tua grandezza è cresciuta e arriva fino al cielo, e il tuo dominio fino all’estremità della terra”. Per quanto grande fosse il regno di Nabucodonosor, esso era cresciuto da un piccolo inizio. Gradualmente i principi su cui si fondava – principi molto più antichi del re, poiché avevano origine con Lucifero ed erano una perversione delle verità celesti – avevano messo radici. Nel governo era la monarchia più rigida; il re teneva in pugno la vita dei suoi sudditi. Gli schiavi s’ inchinavano davanti a lui in un’abietta sottomissione; tasse esorbitanti venivano imposte ai sudditi; le teste coronate venivano abbassate e gli uomini ridotti in schiavitù affinché il re di Babilonia potesse godere delle ricchezze del mondo. I semi di quella forma di governo sono stati seminati ovunque Babilonia abbia stabilito il suo potere, e come ha seminato, così ha raccolto, come altri. Quando Babilonia cadde, i principi con cui aveva controllato gli altri furono a loro volta applicati a lei. Ogni volta che oggi c’è una tirannia nel governo di una qualsiasi nazione della terra, è una ramificazione di quella radice che riempì la terra, il cui ceppo fu lasciato rimanere fino alla fine dei tempi. Ovunque Babilonia abbia posto la sua mano nella conquista, i principi della sua religione sono stati impiantati. Le forme più vili di culto erano praticate in quel regno con tutta la sua gloria esteriore. Il cuore era corrotto. Il mistero dell’iniquità aveva il sopravvento, nascosto dal luccichio esteriore dell’oro. I misteri della Grecia, in un secondo momento, non erano che una ripetizione dei misteri babilonesi. Dalla coppa d’oro che teneva in mano e che era un simbolo familiare nelle società segrete babilonesi, fece ubriacare tutte le nazioni con il vino della sua fornicazione. Le nazioni e i popoli di oggi, inconsapevoli della loro origine, perpetuano le usanze religiose babilonesi quando celebrano il Natale con feste, candele accese, agrifoglio e nebbia. È per commemorare le divinità pagane babilonesi che si mangiano le uova a Pasqua; e anche i capperi selvaggi di Hallowe’en ripetono i misteri di Babilonia. La radice non è stata distrutta; i suoi principi religiosi sono germogliati di nuovo in ogni generazione e hanno dato frutti in ogni paese. L’influenza di Babilonia in campo educativo non è stata meno marcata di quella in campo governativo e religioso, e la radice educativa dell’albero era vigoroso come gli altri. Abbiamo l’abitudine di far risalire il sistema educativo del mondo della Grecia o dell’Egitto; i suoi principi sono più antichi della Grecia. Essi appartengono a Babilonia. Il risalto dato a questa fase della vita babilonese dallo Spirito di Dio, nel libro di Daniele, è il fatto, che i principali educatori e le istituzioni educative del mondo, siano stati messi in contatto diretto con i principi più semplici della vera educazione; ogni volta che gli Ebrei incontravano i Caldei e i saggi, mostravano il posto che l’educazione avrebbe dovuto occupare sia nei falsi regni di cui Babilonia è un tipo, sia nel vero, che il governo ebraico rappresentava”. La cosiddetta “istruzione superiore” di oggi, che esalta la scienza del mondo al di sopra della scienza della salvezza; e che manda avanti studenti con credenziali mondane, ma non riconosciute nei libri del cielo, studenti che amano l’esibizione, che sono pieni di orgoglio, di egoismo, e di autostima, questa istruzione è una pianta che è nata da quell’ampia radice che sosteneva l’albero del dominio babilonese. I semi della verità erano stati piantati a Babilonia. Il Santo Sorvegliante cercava costantemente di far crescere un albero che portasse la vita. Tutte le nazioni furono riunite sotto l’influenza di Babilonia, nella speranza di essere nutrite con un frutto che si sarebbe rivelato il pane della vita; invece, si trattava di un miscuglio di bene e di male, che avvelenava il consumatore. Le foglie dell’albero erano belle da vedere e avrebbero potuto servire a guarire i nervi; ma l’odore stesso che esalavano, intossicava e portava all’eccesso. Così è per la pianta che è nata da quelle radici nascoste. Può essere bella da vedere, il suo frutto può essere così dolce che chi lo mangia non può essere persuaso che non sia verità, ma la sapienza di Dio resterà in piedi a lungo dopo che quella del mondo sarà stata distrutta. Dobbiamo vigilare e guardarci dai mali che nascono dalla radice babilonese.
Daniele esortò il re: “Ti sia gradito il mio consiglio e cancelli i tuoi peccati con la giustizia e le tue iniquità con la misericordia verso i poveri”. C’era ancora tempo per il pentimento, e se il re avesse ascoltato questo consiglio, lo avrebbe salvato dalla grande umiliazione che lo colpì. Ma quando i cuori degli uomini sono fissati, il messaggio di cambiare, anche se dato da un angelo del cielo, rimane inascoltato. Di conseguenza, “tutto questo si abbatté sul re Nabucodonosor”. Al re fu concesso un anno di libertà vigilata dopo questo solenne avvertimento. Alla fine di questo periodo il re, nel suo palazzo reale, pensando al suo regno con orgoglio e soddisfazione, esclamò: “Non è forse questa la grande Babilonia che ho costruito per la casa del regno, con la forza della mia potenza e per l’onore della mia maestà?”. Stava ripetendo i pensieri, quasi le parole esatte, di Satana, quando pensava di esaltare il suo trono al di sopra di Dio. Quando si pensa all’orgoglio e si pronunciano queste parole, viene pronunciata la sentenza che fa saltare l’albero e declassa il monarca che l’albero simboleggiava. Era Dio che aveva dato al re la ragione e la capacità di stabilire un regno come questo. Lo stesso Dio poteva togliere il giudizio e la saggezza di cui il re si vantava. E Dio lo fece. È la mente che eleva l’uomo al di sopra della bestia. Quando il potere della mente viene rimosso, l’uomo sprofonda al livello più basso. Nabucodonosor divenne come una bestia. Davide dice: “Ho visto l’empio in grande potenza, che si espandeva come un alloro verde. Ma egli passava, ed ecco, non c’era più; sì! lo cercavo, ma non lo trovavo”. Quando Dio non riesce a salvare gli uomini nella prosperità, porta su di loro le avversità. Se in tutto questo rifiutano Dio, allora portano su di sé la distruzione. Che i risultati siano quelli che sono, Dio è al riparo da ogni censura. Questo è illustrato dal caso di Nabucodonosor. Il monarca orgoglioso e pieno di potere non reggeva più lo scettro. Divenne simile ad una bestia e per sette anni fu trovato con il bestiame, compagno delle bestie, a nutrirsi come loro. Gli era stato tolto il potere, non era più considerato nemmeno come un uomo. Il guardiano aveva detto: “Abbatti l’albero, taglia i suoi rami, scuoti le sue foglie e disperdi i suoi frutti”. È necessario, per la causa di Dio e per il mondo, che gli uomini si assumano le proprie responsabilità. Ma quando gli uomini si innalzano nell’orgoglio e dipendono dalla saggezza del mondo, Dio non li sostiene più ,ed essi cadono. Sia le nazioni che gli individui fanno questa esperienza. Anche la Chiesa di Cristo, quando si allontana dall’umiltà del Maestro, perde la sua forza e sarà certamente abbattuta. Le persone che si gloriano della ricchezza, dell’intelletto, della conoscenza o di qualsiasi altra cosa che non sia Gesù Cristo, saranno portate alla confusione. Solo in Cristo “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”. Ogni pensiero brillante, ogni idea intellettuale, che in qualche modo porta alla grandezza, ha origine dal nostro Signore. È Dio che si occupa dell’umanità. Egli governa. Va ricordato che in tutti i suoi rapporti con il re Nabucodonosor, Dio stava lavorando per la salvezza del sovrano e di coloro che erano influenzati dalla sua autorità. Dio gli ha permesso di soffrire sette anni di deplorevole degradazione, per poi ritirare la Sua mano castigatrice. Dopo essere passato attraverso questa terribile umiliazione, fu portato a riconoscere la propria debolezza; confessò la propria colpa e riconobbe il Dio del cielo. Inviò a tutto il mondo la descrizione di questa esperienza, riportata nel quarto capitolo di Daniele. Aveva imparato che chi cammina nell’orgoglio, Dio è in grado di abbatterlo. In confronto a Dio e al suo universo, gli abitanti della terra sprofondano nell’insignificanza e sono considerati un nulla.
Egli fa secondo la sua volontà nell’esercito del cielo e tra gli abitanti della terra; e nessuno può fermare la sua mano o dirgli: “Che cosa fai?”.
La storia della nazione babilonese rivela, a chi cerca principi nascosti, tutto ciò che è necessario per comprendere la relazione dei governi terreni con Dio, i rapporti di Dio con tutte le nazioni della terra e l’atteggiamento che gli uomini dovrebbero assumere nei confronti di Dio e dei governi terreni. Questi principi possono essere appresi da uno studio della storia di Babilonia, riportata nel libro di Daniele, e dall’analisi della storia di Babilonia. Da Daniele e dai profeti che scrissero di questo regno. Questo è vero, perché in Babilonia si vede per certi aspetti lo sviluppo più completo dei piani di Satana. Qui venivano contraffatti i principi del regno celeste, e così il metallo vero si mescolò con la lega, tanto da sviluppare una forza inusuale. In altre parole, il regno di Babilonia è stato costruito e si è sviluppato secondo leggi che erano in sé divine; ma poiché il male più grande si trova vicino al bene più grande ne deriva una perversione. Questa perversione dei principi del governo del cielo ha fatto sì che il più forte dei regni terrestri si trovasse in una situazione di pericolo. Affinché fosse difficile per gli esseri che osservavano l’andamento degli eventi individuare l’errore, Dio, che non tratta mai arbitrariamente con gli uomini o gli angeli, nemmeno con Satana stesso, lasciò che il regno di Babilonia facesse il suo corso naturale, affinché il mondo avesse una lezione esemplare e sapesse per sempre che la verità porta la vita, ma che la minima perversione della verità, per quanto lieve, porta la morte. Per rivendicare se stesso davanti all’universo, Dio elargì ogni sorta di benedizione a questo regno terreno che Satana rivendicava con vanto come suo. La saggezza fu data al popolo di Babilonia, il Santo Osservatore protesse il re sul suo trono e Dio diede potere al sovrano in battaglia, rendendolo un conquistatore. È stato Dio a far sì che l’albero raggiungesse il cielo e a “dare forza e bellezza ai suoi rami”. La Sapienza infinita si è servita di ogni cosa, a titolo di avvertimento e di esortazione, per far sì che i Babilonesi vedessero la differenza tra il vero e il falso e li portasse a scegliere il vero. Si tratta di uno dei commenti più incisivi della storia della terra sulla cura di Dio per tutti, anche per il più vero peccatore. Se Babilonia avesse accettato l’aiuto offerto, nonostante tutto il potere di Satana come principe di questo mondo, avrebbe unito il suo trono al trono di Dio e sarebbe stato un regno eterno. Quanto facilmente la storia del mondo avrebbe potuto essere cambiata! Gli uomini che vivono in questi ultimi giorni, siano essi cristiani o meno, non devono sottoporsi per ignoranza riguardo alle leggi stravaganti dei governi civili. Le nazioni non possono appellarsi all’ignoranza riguardo ai loro doveri verso i cristiani, verso le altre nazioni e verso Dio, le profezie di Daniele spiegano e ci informano ed avvertono. È un libro per i governanti e per la gente comune. Babilonia è un esempio per le nazioni che esistono oggi. La sua crescita è avvenuta secondo le leggi della crescita delle nazioni; i suoi fallimenti descrivono i fallimenti che si verificano oggi, e la sua distruzione è una descrizione della fine di tutti i regni terreni. Le nazioni hanno un periodo di prova, come le persone. Si registrano gli eventi nazionali e quando il calice dell’iniquità è pieno, arriva la distruzione e un’altra potenza, più vigorosa perché meno corrotta prende il suo posto. “L’Altissimo regna nel regno degli uomini”, che sia riconosciuto o meno, e le cose che, agli occhi umani, sembrano accadere per caso, sono direttamente sotto il controllo del Santo Osservatore. Lo studio del libro di Daniele richiede, quindi, che ci si prenda del tempo per tracciare la storia di Babilonia come nazione. Tra la chiusura del quarto e l’apertura del quinto capitolo intercorre un periodo di circa venticinque anni. Il regno di Nabucodonosor si chiuse poco dopo la restaurazione della sua fede, come raccontato nel quarto capitolo. Da un punto di vista mondano, il suo era stato un regno lungo e prospero, e alla sua conclusione non c’erano segni di indebolimento dell’impero. Nabucodonosor aveva un figlio adulto che avrebbe preso il posto del padre. Nessuno metteva in dubbio il suo diritto al trono e, mentre si piangeva la morte di Nabucodonosor, il figlio era in età avanzata per prendere il posto del padre. Nabucodonosor, a quanto pare i sudditi avevano molte ragioni per rallegrarsi della successione del figlio. Agli occhi del cielo questa situazione era a rischio. Ci sono stati periodi in cui il desiderio di conoscere il giusto e di governare con giustizia era scritto di fronte al nome del re. Ma a questi sono seguiti periodi ancora più lunghi in cui la voce del Divino è rimasta del tutto inascoltata. C’era un resoconto di provvidenze meravigliose, di ricche benedizioni e di amare prove, tutte con un unico scopo: rivolgere le menti del mondo verso l’unica fonte di vita e di potere. Se il Cielo si stancava di guardare le lotte delle nazioni, quale deve essere stato il loro fardello nel vedere questo regno scegliere ripetutamente la strada che portava all’inevitabile rovina?
Se il Cielo non si stanca mai di guardare le lotte delle nazioni, quale deve essere stata la nazione, quale dev’essere stato il loro fardello nel vedere questo regno scegliere ripetutamente la strada che portava all’inevitabile rovina? Belsatsar, il figlio di Nabucodonosor, è menzionato solo due volte nelle Scritture, e in ogni caso si fa riferimento a un atto della sua vita. Sembra strano che a un tale padre segua un figlio di cui si parla così poco, ma è gratificante notare che quando il silenzio viene rotto, è per raccontare un atto di bontà. Nel primo anno del suo regno fece uscire di prigione Jehoiachin, l’ex re di Gerusalemme, un uomo ormai cinquantenne, che aveva vissuto in catene fin da quando era un ragazzo di diciotto anni. L’ex sovrano ebreo ricevette abiti e provviste da re e fu esaltato al di sopra degli altri re di Babilonia per il resto dei suoi giorni. Belsatsar era cresciuto alla corte di Babilonia e conosceva gli ebrei e la loro storia fin dalla giovinezza. Non sarebbe stato impossibile che Daniele, nominato capo dei saggi caldei da Nabucodonosor, fosse stato l’istruttore del principe. Anche se i dettagli sono omessi, è vero che per qualche motivo la distruzione di Babilonia fu ritardata oltre il regno di Belsatsar. Il suo breve regno di due anni fu seguito da un periodo instabile, un’esperienza molto pericolosa in una monarchia. Alla fine, Nabonadio figlio di Nabucodonosor , si impadronì di un’isola. si sedette sul trono e verso l’anno 541 associò a sé il figlio Belshazzar. I due regnarono congiuntamente fino alla distruzione del regno nel 538 a.C. Questo giovane, nipote del grande Nabucodonosor, si dimostrò ben presto testardo, vizioso, crudele e dissoluto. Daniele non fu più mantenuto a corte. Il momento del suo licenziamento non è precisato, ma nel terzo anno del regno di Belshazzar, egli viveva a Shushan, la capitale dell’Elam, a una certa distanza a est di Babilonia, e fu in quel luogo che ebbe la visione di cui parla l’ottavo capitolo del libro di Daniele. Durante il regno di Nabonadio e di Belshazzar si verificarono eventi della massima importanza. Per i Giudei che accettarono le parole dei profeti inviati da Dio, alzandosi presto e inviando, la caduta del regno nel prossimo futuro era ben nota. Nonostante la loro oppressione, c’era un mondo da avvertire e, quando la schiera dei redenti si riunirà attorno al trono di Dio, composta, come sarà, da rappresentanti di ogni nazione, stirpe, lingua e popolo, ci saranno alcune anime dell’antica Babilonia che, avendo udito la proclamazione del messaggio, si separarono dai suoi peccati e furono salvate. Poiché i monarchi regnanti avevano perso la conoscenza di Dio e gli uomini timorati di Dio non erano più tra i consiglieri, l’oppressione dei Giudei divenne quasi insopportabile. Quando erano entrati a Babilonia, il Signore aveva chiesto loro di costruire case e piantare vigne, di sposarsi e di aumentare il numero dei figli e di pregare per la pace e la prosperità di Babilonia, perché la loro cattività sarebbe durata settant’anni. Il popolo di Dio aveva l’osservanza del sabato del quarto comandamento per preservare la sua peculiarità e impedirgli di mescolarsi con i pagani. Arrivò il momento in cui i Babilonesi, adoratori del sole, derisero gli ebrei a causa del sabato. Fu proibito loro di celebrare le feste; i sacerdoti e i governanti furono degradati e perseguitati. I Babilonesi chiedevano spesso canzoni agli Ebrei. “Quelli che ci hanno devastato ci hanno chiesto di divertirci, dicendo: “Cantaci uno dei canti di Sion”, (Lamentazioni 1: 1-7) ma il loro cuore era triste. “Israele è una pecora smarrita”, scrisse Geremia; “i leoni lo hanno scacciato… Nabucodonosor, re di Babilonia, gli ha spezzato le ossa”. I Babilonesi si vantavano che non era peccato opprimere i Giudei, sostenendo che Dio aveva messo in schiavitù gli ebrei a causa dei loro peccati. Non c’è da stupirsi che il giogo fosse difficile da sopportare e che il re fosse implacabile. Era un periodo di difficoltà, un’anticipazione del grande periodo di difficoltà che il popolo di Dio attraverserà prima del secondo avvento del regno di Dio. Entrambi i periodi sono chiamati dal profeta Geremia con lo stesso nome: il tempo dei problemi di Giacobbe. In queste circostanze difficili i Giudei furono obbligati a predicare il Vangelo che un tempo avevano avuto l’opportunità di dare con potenza da Gerusalemme. Gemendo sotto l’oppressione, insegnavano del Messia che stava per arrivare il liberatore; insegnavano la giustizia per fede e il Vangelo eterno, l’ora del giudizio di Dio, la caduta di Babilonia e la distruzione di coloro sui quali era stato trovato il marchio del culto babilonese, Lo spirito di profezia, così come era stato desiderato dagli ebrei, fu conosciuto dai Babilonesi durante tutto il periodo della cattività. Daniele, alla presenza del re, aveva ricevuto più di una volta l’illuminazione divina. Ezechiele inviava messaggi trasmessi dal Signore e Geremia aveva ricevuto una parola da Dio con l’ordine di renderla nota a tutte le nazioni circostanti. Non si poteva nascondere il fatto che il Dio degli Ebrei avesse dei profeti tra il suo popolo. Fu così che non solo gli Ebrei, ma anche Moab, Edom, Tiro e Sidone, Ammon, Egitto, e le nazioni circostanti, ebbero la possibilità di conoscere la parola di Dio e persino la Media e la Persia sapevano che la caduta di Babilonia era stata decretata. Molte di queste nazioni, tra cui i persiani, sapevano quale regno sarebbe stato usato per distruggere Babilonia, e il nome dell’uomo che Dio aveva scelto per compiere il crollo. Questi sono i messaggi che Dio ha inviato e così si è servito del suo popolo. Quelli che non poteva usare quando gli venivano concessi pace e prosperità e una città propria, li usava quando erano schiavi sotto il tallone di ferro di Babilonia.
Babilonia era come una città sull’orlo di un cratere vulcanico, ma non ci credeva. Nell’anno 539 a.C., le forze combinate dei Medi e dei Persiani si diressero verso Babilonia. La città ricevette la notizia che il nemico era in marcia (Geremia 50:43-46).
Fu allora che giunse il messaggio di fuggire dalla città e di rifugiarsi come capre sui monti. Gli ebrei che ascoltarono la parola del Signore si ritirarono da Babilonia. Ma l’esercito persiano non arrivò. La storia dice che Ciro fu fermato dalla morte di un cavallo bianco sacro, che fu annegato nell’attraversare un fiume. Ciro mise i suoi uomini a scavare. canali per il fiume, trascorrendo un anno in questo modo. La profezia dice: “Le mura di Babilonia cadranno. Popolo mio, esci dal suo mezzo e libera ogni uomo dalla sua anima. “… Perfino le mura di Babilonia cadranno. 45 Uscite di mezzo ad essa, o popolo mio, e salvi ciascuno la propria vita davanti all’ardente ira dell’Eterno. 46 Non venga meno il vostro cuore e non spaventatevi delle notizie che si udranno nel paese, perché un anno giungerà una notizia e l’anno dopo un’altra notizia. Ci sarà nel paese violenza, dominatore contro dominatore” (Geremia 51:44-46). E così fu: una primavera la voce arrivò, ma l’esercito non si presentò. Gli incauti e gli increduli si schernirono, ma per i credenti quello era il momento opportuno. La primavera successiva la voce si ripresentò, ma non ci fu tempo per vendere o prepararsi a partire, perché l’esercito arrivò anch’esso e le forze babilonesi e medo-persiane si scontrarono in una battaglia aperta. I Babilonesi furono sconfitti e si ritirarono all’interno delle fortificazioni della città. Le porte furono chiuse e iniziò l’assedio. Coloro che si trovavano a Babilonia dovevano vivere o morire con i Babilonesi, a meno che Dio non fermasse la mano del distruttore. Il culmine fu raggiunto dal più grande dei governi terreni. Tutto il cielo era in ansia. Solo l’uomo dormiva alla sua imminente distruzione.
Era l’ultima notte dell’esistenza di una nazione, ma il popolo non lo sapeva. Alcuni dormivano in una pace inconsapevole, altri si divertivano e si scatenavano in danze sconsiderate. Nelle tane di Babilonia, uomini immersi nel vizio continuavano le loro orge selvagge; nelle sale del palazzo, Belshazzar banchettava con un migliaio di suoi signori. La musica risuonava nelle sale brillantemente illuminate. I nobili si aggiravano intorno alle tavole imbandite. Le donne di corte e le concubine del re entravano in quelle sale. Era la festa di Bacco e si beveva alla salute del re sul suo trono. Egli ordinò di portare i vasi sacri dal tempio per dimostrare che nessun essere, umano o divino, poteva alzare la mano contro di lui, il re di Babilonia. La coppa d’oro piena di vino fu sollevata e fu invocata la benedizione di Bel, ma il re di Babilonia non si fece pregare ma non raggiunse mai le labbra del re mezzo inebetito. La sua mano era ferma. Quei vasi erano stati modellati da mani divinamente esperte e su modelli celesti. Gli angeli li avevano osservati mentre venivano presi dal tempio di Gerusalemme e portati a Babilonia. Messaggeri divinamente designati li avevano
custoditi e la loro stessa presenza nel tempio pagano era una testimonianza del Dio degli Ebrei. Un giorno il silenzio sarebbe stato rotto. La profanazione del Suo tempio non sarebbe rimasta sempre impunita. Arrivò il momento in cui il re sollevò il calice pieno di vino frizzante. La sua mano si irrigidì, perché sulla parete opposta, contro le luci, c’era una mano insanguinata che scriveva parole di una lingua sconosciuta. La coppa cadde a terra; il volto del re impallidì; tremò violentemente e le sue ginocchia si strinsero finché la splendida cintura dei suoi lombi si allentò e cadde. Le risate cessarono e la musica si spense. Terrorizzati, gli ospiti guardarono dal volto del re alla scritta sul muro. Furono chiamati gli astrologi e gli indovini caldei, ma la scrittura per loro era priva di significato. Coloro che insegnavano tutte le lingue terrene non riconoscevano la lingua del cielo. I quattro strani caratteri rimasero così come li avevamo visti, impressi a lettere di fuoco sul muro. Da giorni era in corso l’assedio di Babilonia. Le porte erano chiuse e le sue mura erano considerate inespugnabili, mentre all’interno della città c’erano provviste per vent’anni. Ma per quanto forte potesse sembrare, Dio aveva detto: “Anche se Babilonia salisse al cielo, e se fortificasse l’altezza della sua forza, tuttavia da me verranno a lei i devastatori”. Le roccaforti più forti che l’uomo può costruire, dall’uomo vengono schiacciate come una foglia morente quando la mano di Dio si posa su di esse. Ma questa era lezione che i governanti di Babilonia non avevano ancora imparato. Il padre dell’iniquità, che stava spingendo questi governanti verso un peccato sempre più grave, non aveva ancora riconosciuto la debolezza della sua causa.
Il cielo e i mondi non caduti osservavano l’andamento delle cose in questa grande città, perché era il campo di battaglia delle due potenti, forze del bene e del male, Cristo e Satana, si sfidavano qui.
Gli angeli, invisibili agli occhi degli uomini, come quando radunarono gli animali nell’arca prima del diluvio, avevano radunato le forze contro Babilonia.
Dio si stava servendo di uomini che non lo riconoscevano come Dio, ma che
erano fedeli ai loro principi e desideravano fare il bene.
A Ciro, il capo dell’esercito persiano, “«Così dice l’Eterno al suo unto, a Ciro, che io ho preso per la destra per atterrare davanti a lui le nazioni: Sì, io scioglierò le cinture ai lombi dei re, per aprire davanti a lui le porte a due battenti e perché le porte non rimangano chiuse. Io camminerò davanti a te e appianerò i luoghi elevati, frantumerò le porte di bronzo e spezzerò le sbarre di ferro. Ti darò i tesori delle tenebre e le ricchezze nascoste in luoghi segreti, perché tu riconosca che io sono l’Eterno, il DIO d’Israele, che ti chiama per nome. Per amore di Giacobbe mio servo e d’Israele mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo onorifico anche se non mi conoscevi” (Isaia 45:1-4).
Mentre Belshazzar e i suoi ospiti bevevano e banchettavano, l’esercito di Ciro stava abbassando le acque nel letto dell’Eufrate, preparandosi ad entrare in città.
Poiché i Caldei non erano in grado di leggere la scritta sul muro, il terrore del re aumentò. Sapeva che si trattava di un rimprovero alla sua festa sacrilega, ma non riusciva a capirne l’esatto significato. Allora la regina madre si ricordò che Daniele, aveva “lo spirito dei santi dei”, e che era stato nominato maestro dei saggi ai tempi di Nabucodonosor, per aver interpretato il sogno del re. Daniele, il profeta di Dio, fu chiamato nella sala del banchetto. Quando si presentò al cospetto di Belshazzar, il monarca gli promise di farlo diventare il terzo sovrano del regno se avesse interpretato la scrittura. Il profeta, con la tranquilla dignità di un servo del Dio altissimo, si trovò di fronte agli invitati spaventati che avevano terrore, e portavano con sé le prove di un banchetto intemperante e di bagordi malvagi.
In Israele i bambini venivano chiamati per nome sotto l’ispirazione dello Spirito di Dio e il nome era un’espressione del carattere. Quando Dio cambiava il nome, come nel caso di Abramo, Giacobbe o Pietro, era a causa di un cambiamento di carattere nell’individuo. Fedele al nome datogli dalla madre, Daniele – giudice di Dio appare ancora una volta per rivendicare la verità. Nabucodonosor lo aveva chiamato Belteshazzar, in onore del dio babilonese Bel, ma fino all’ultimo questo ebreo, che conosceva il Signore, rimase fedele al nome che gli era stato dato da Dio, come mostra il dodicesimo versetto di questo capitolo. Non parlò con parole lusinghiere, come avevano fatto i sedicenti saggi del regno, ma disse la verità di Dio. Fu un momento di grande intensità, perché non c’era che solamente ora per far conoscere il futuro. Daniele era ormai un uomo anziano, ma rifiutò severamente ogni desiderio di ricompensa o di onore e procedette a rivedere la storia di Nabucodonosor e i rapporti del Signore con quel sovrano, il suo dominio e la sua gloria, la sua punizione per l’orgoglio del cuore e la sua sottomissione. Il successivo riconoscimento della misericordia e della potenza del Dio che ha creato i cieli e la terra. Daniele rimproverò Belsatzar per il suo allontanamento dai veri principi e per la sua grande malvagità e orgoglio. “Ma tu, Belshatsar suo figlio, benché sapessi tutto questo non hai umiliato il tuo cuore; anzi ti sei innalzato contro il Signore del cielo; ti sei fatto portare davanti i vasi del suo tempio, e in essi avete bevuto vino tu e i tuoi grandi, le tue mogli e le tue concubine. Inoltre hai lodato gli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra, che non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato il Dio, nella cui mano è il tuo soffio vitale e a cui appartengono tutte le tue vie. Perciò dalla sua presenza è stata mandata la parte di quella mano, che ha tracciato la scritta” (Daniele 5:22-24).
Le parole di Daniele erano dirette e forti. Belshazzar aveva calpestato un terreno sacro; aveva imposto mani empie su cose sacre; aveva reciso i legami che uniscono il cielo e la terra; e non c’era modo per lo Spirito vivificante di Dio di raggiungere lui o i suoi seguaci. Giorno dopo giorno gli era stato dato il soffio, simbolo del respiro spirituale, ma egli lodava e ringraziava gli dèi del legno e della pietra Ogni suo movimento era in virtù del potere del Dio del cielo, ma egli aveva prostituito quel potere a una causa empia. Ciò che non poteva vedere scritto nel suo respiro e nei suoi muscoli, ciò che non poteva leggere nei battiti del suo cuore, Dio lo scrisse in caratteri ebraici sul muro del palazzo, sopra, accanto al candelabro. Il popolo aspettava con il fiato sospeso che Daniele si voltasse verso la scritta sul muro e leggesse il messaggio tracciato dalla mano dell’angelo. La mano era stata ritirata, ma rimanevano quattro parole terribili. Il profeta annunciò il loro significato: “Mene, Mene, Tekel, Upharsin… MENE: Dio ha fatto il conto del tuo regno e gli ha posto fine. TEKEL: tu sei stato pesato sulla bilancia e sei stato trovato mancante. PERES: il tuo regno è stato diviso ed è stato dato ai Medi e ai Persiani»” (Daniele 5: 26-28).
Nel trattare con gli uomini Dio usa sempre un linguaggio che fa appello con forza alla loro comprensione. Questo è illustrato nella scrittura sul muro. È credenza comune tra gli idolatri che gli dei pesino le azioni in una bilancia e che se le azioni buone superano quelle cattive, l’individuo entra nella sua ricompensa; se si ottiene il risultato opposto, segue la punizione. Il linguaggio, quindi, era familiare al re Belshazzar. “Dio ha contato il tuo regno… sei stato pesato sulla bilancia e sei stato giudicato insufficiente”. Per i maghi che stavano ascoltando, mentre Daniele dava l’interpretazione, le parole si presentavano con un significato particolare le affermazioni ebbero una forza particolare a causa della loro familiarità con le usanze religiose. Per chi conosce Dio, l’atteggiamento del Signore nei confronti del peccatore è molto diverso, e comunque il simbolo dei pesi e delle bilance è applicabile. Affinché questo argomento fosse compreso, Dio aveva inviato una spiegazione per mezzo del profeta Ezechiele. Quando un uomo pecca e muore senza pentirsi, è tagliato fuori da Dio, perché le sue iniquità si separano da Lui e non può essere salvato (Ezechiele 33: 10-16). Se un uomo ama Cristo e accetta Lui e la Sua giustizia, il carattere di Cristo è scritto di fronte al nome di quell’uomo nei libri del cielo, e finché l’amore per la verità è custodito, l’uomo si nasconde in Cristo ed è conosciuto dal carattere di Cristo. Dio tratta con gli uomini nel presente. Possiamo essere stati il peggiore dei peccatori, ma se oggi siamo salvati in Cristo, il cielo tiene conto solo della nostra posizione attuale. Così Dio ha trattato con le nazioni, E questo risponde alla domanda sul perché Nabucodonosor possa essere un giorno favorevole a Dio e il giorno dopo condannato; sul perché la linea d’azione di Sedekia sia stata condannata una volta e poi di nuovo gli sia stato detto che era in suo potere salvare Gerusalemme. Dio diede ai monarchi babilonesi, e attraverso di loro all’intero regno, un’abbondanza di tempo per accettarlo. Egli attese a lungo. Il Santo Osservatore aleggiò a lungo vicino al centro dei governi terrestri; ogni benedizione che il Cielo poteva elargire fu data per portare il regno dalla parte del giusto. Ma alla fine l’esile cordone che collegava la terra al cielo si spezzò; non c’era più alcun canale per il flusso dello Spirito Santo; solo la morte e la distruzione poteva essere la conseguenza. Affinché non ci fossero fraintendimenti, l’ultima parola recitava: “Il tuo regno ti è stato tolto e dato ai Medi e ai Persiani”.
La veste scarlatta era stata appena indossata e la catena d’oro appesa al collo di Daniele, quando le grida dell’esercito invasore risuonarono nel palazzo. Nel bel mezzo dei banchetti e dei tumulti, nessuno aveva notato che le acque dell’Eufrate stavano diminuendo costantemente. L’esercito assediante di Ciro, che era stato a lungo tenuto a bada dalle massicce mura, osservava avidamente il fiume. Il fiume era stato deviato dal suo corso e, non appena l’acqua si era abbassata a sufficienza per consentire un passaggio nel letto del fiume, gli uomini entrarono dai lati opposti della città. Nel loro sconsiderato sentimento di sicurezza, i Babilonesi avevano lasciato aperte le porte delle mura che fiancheggiavano le sponde del fiume all’interno della città”. Così i Persiani, una volta nel letto del fiume, entrarono facilmente in città attraverso le porte aperte. Ben presto un inviato corse “incontro all’altro e un messaggero all’altro, per mostrare al re di Babilonia che la sua città era stata presa da una parte”. Ma la notizia fu ricevuta troppo tardi per salvare il re. Dio aveva numerato e terminato il suo regno, il nemico si precipitò verso il palazzo. La penna dell’Ispirazione descrive i cambiamenti del regno in modo più vivido di qualsiasi storico umano Belshazzar racconta: “Io inebrierò i suoi principi, i suoi savi, i suoi governatori, i suoi magistrati e i suoi prodi, ed essi dormiranno un sonno eterno e non si desteranno più», dice il Re, il cui nome è l’Eterno degli eserciti. Così dice l’Eterno degli eserciti: «Le larghe mura di Babilonia saranno interamente distrutte, le sue alte porte saranno arse col fuoco; così i popoli avranno lavorato per nulla e le nazioni si saranno stancate solamente per il fuoco»” (Geremia 51:53-58).
Poi, come se l’occhio del profeta non fosse riuscito a separare Satana dal regno che aveva così a lungo controllato, esclama: “Come è stato preso Sheshach e come è stata sorpresa la lode di tutta la terra! Come Babilonia è diventata uno stupore tra le nazioni! “Il fuoco infuriava per le strade e, quando il popolo si rese conto che la distruzione era su di lui, il suo grido raggiunse il cielo. Fu una lotta corpo a corpo con il fuoco e la spada, finché gli uomini si stancarono e abbandonarono la lotta “In quella notte Belshazzar fu ucciso”, e il regno fu affidato a Dario, l’anziano re dei Medi (Daniele 5:30-31). Così ebbe fine una delle monarchie più orgogliose che ci siano mai state sulla terra. Quando un individuo o una nazione riempie d’iniquità e oltrepassa il limite della misericordia di Dio, viene rapidamente umiliato nella polvere.
Sorge spontanea la domanda: Perché l’esercito conquistatore non ha distrutto Daniele, che era terzo sovrano del regno, in questo momento critico?
La risposta è semplice e naturale.
Quando il regno fu preso e Belshazzar fu ucciso, Nabonadio, il primo sovrano, alla testa di un esercito, era circondato dal nemico in un’altra parte del regno. Questo lasciò Daniele unico sovrano a Babilonia. Egli, sapendo che più di cento anni prima, Isaia aveva profetizzato che Ciro avrebbe preso il regno, era pronto ad accogliere colui che Dio aveva detto che avrebbe costruito la casa del Signore a Gerusalemme. Ci sono anche buone ragioni per credere che Daniele e Ciro non fossero estranei. Quando escluso dal consiglio di Belshazzar, Daniele aveva trascorso parte del suo tempo a Shushan, la capitale dell’Elam. L’ Elam si era ribellato a Babilonia, in adempimento della profezia di Geremia.
“Dico di Ciro: “Egli è il mio pastore!” e compirà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: “Sarai ricostruita!”, e al tempio: “Sarai stabilito!”»” (Isaia 44:28). Daniele potrebbe aver fatto conoscenza con Ciro e avergli potuto mostrare, come il sommo sacerdote fece ad Alessandro in una certa occasione, la profezia che riguardava lui stesso e gli rivelava anche il modo in cui Dio aveva detto che sarebbe entrato a Babilonia. È evidente dalla formulazione del decreto riportato nel primo capitolo di Esdra, che Ciro conosceva queste profezie (Esdra 1:1-5).
Dio dà continue opportunità al suo popolo di preparare la strada per le benedizioni che verranno a loro, quando camminano nella luce.
Dio non viene mai colto di sorpresa, ma la sua Parola è una lampada per i nostri piedi illuminandoci la strada è una guida per la vita.
Questo illustra l’importanza del fatto che il popolo di Dio “conosca il tempo” in cui vive alla luce della profezia. C’è un Testimone in ogni scena di delirio sacrilego, e l’angelo registratore scrive: “Tu sei pesato nella bilancia e sei stato giudicato insufficiente”. Questo stesso testimone è con noi ovunque ci troviamo. Anche se possiamo ritenere di avere la libertà, di seguire il cuore naturale e di abbandonarci a leggerezze e sciocchezze, tuttavia dobbiamo rendere conto di queste cose. Come seminiamo, così raccoglieremo. Le nazioni di oggi stanno ripetendo la storia degli ultimi anni del regno di Babilonia. La Medo-Persia fu lo strumento nelle mani del Signore per punire Babilonia. Il prossimo grande rovesciamento dei governi inaugurerà il regno di nostro Signore. Per la battaglia finale, le nazioni stanno radunando le loro forze. Il grido è stato lanciato: “Fuggite dal mezzo di Babilonia, e liberate ogni uomo dalla sua anima; non siate tagliati fuori nella sua iniquità, perché questo è il tempo della vendetta del Signore” (Apoc. 18: 4).
I primi cinque capitoli del libro di Daniele raccontano la storia del regno di Babilonia. Alla fine del quinto capitolo, il governo passa ai Medi, di cui fa parte Dario, noto nella storia come Dario il Medo, un uomo di sessantadue anni, è re. Con lui Ciro, il persiano, capo dell’esercito ed erede al trono. Il tempo rappresentato dalla testa d’oro dell’immagine è passato, e un metallo più basso rappresenta la potenza nascente. I Medi, tuttavia, non erano una potenza nuova o sconosciuta, poiché sono menzionati nella cronologia come discendenti di Japheth, e già nell’ottavo secolo a.C., quando Israele fu preso in cattività dagli Assiri e fu disperso nelle città dei Medi. Questo aveva portato i Medi a contatto con gli ebrei due secoli prima della caduta di Babilonia. Alla loro conoscenza del Dio degli ebrei si può attribuire la purezza del loro culto, poiché, pur essendo pagani, non erano mai caduti nelle grossolane forme di idolatria che erano praticate dalla maggior parte delle nazioni dell’Asia occidentale. Le abitudini dei Medi e dei Persiani, ma soprattutto dei Persiani, li portavano a stretto contatto con la natura e nel loro culto prendevano gli elementi – fuoco, terra, acqua e aria – come le più alte manifestazioni della divinità, per questo motivo cercavano un paese collinare e tenevano un fuoco perennemente acceso. Credevano nella lotta tra il bene e il male, rappresentata dalla luce e dalle tenebre, e senza dubbio le parole di Isaia, rivolte a Ciro, avevano in mente questa convinzione, perché il Signore dice: “Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il benessere e creo la calamità. Io, l’Eterno, faccio tutte queste cose” (Isaia 45:7).
Con queste parole Egli si pone al di sopra degli dèi dei Persiani, e spiega perché ha chiamato Ciro per la sua strana opera. I Persiani all’epoca del rovesciamento di Babilonia erano fisicamente forti e robusti, grazie alla semplicità delle loro abitudini e alla temperanza nel mangiare. Tali condizioni che permisero ai Medi e ai Persiani di essere la verga nella mano del Signore per punire Babilonia.
L’organizzazione del regno realizzata dai monarchi babilonesi è riportata nel primo verso del capitolo sesto, perché Dario pose subito centoventi capi sulle centoventi province. Questo cambiamento nell’amministrazione del governo delle province è molto importante, poiché la forza del monarca regnante è proporzionale alla forza e alla cooperazione dei governi. Era impossibile mantenere un governo rappresentativo in presenza di province conquistate e la pace dipendeva molto dalla forza dell’organizzazione centrale.
Sui centoventi capi c’erano tre presidenti, tra i quali Daniele era il primo. Non fu secondo l’ordine del mondo che Daniele, appartenente a una razza tenuta in schiavitù, facesse parte delle posizioni più alte nel governo appena organizzato. La cosa appare ancora più insolita se si ricorda che Daniele era stato nominato terzo sovrano del regno babilonese sotto Belshazzar. Il riferimento al primo e al secondo versetto dell’ottavo capitolo di Daniele mostra che Daniele non era estraneo al nuovo governo, poiché prima della morte di Belshazzar, aveva vissuto a Shushan, nella provincia dell’Elam.
A questo fatto di conoscenza si può aggiungere che l’eccellente spirito e l’insuperabile abilità negli affari di Daniele lo portarono alla ribalta. Qui è riportato il caso di un uomo che era un devoto seguace di Dio, la cui onestà, accuratezza e abilità in ogni particolare erano una meraviglia per il mondo. È una potente testimonianza dei doveri e dei privilegi di ogni uomo d’affari cristiano. Era un nobile statista, un esempio per tutti i titolari di cariche, ma non un politico. Egli adempì ai suoi doveri sotto i Medi con la stessa fedeltà di quelli babilonesi. Servì il Dio del cielo e non un partito creato dall’uomo. Un uomo d’affari non deve necessariamente essere un uomo di politica, ma può essere istruito da Dio in ogni fase. Quando era primo ministro di Babilonia, Daniele, come profeta di Dio, riceveva la luce del cielo. Il solito tipo di uomo di Stato, mondano, ambizioso, intrigante, è paragonato nelle Scritture all’erba dei campi e al fiore che svanisce. Il Signore si compiace di avere uomini intelligenti nella Sua opera, se rimangono fedeli a Lui. Attraverso la grazia di Cristo, l’uomo può conservare l’integrità del suo carattere quando è coinvolto da circostanze avverse. Daniele fece di Dio la sua forza e non fu abbandonato nel momento di maggior bisogno. La posizione stessa che occupava ha messo Daniele alla prova più dura. Come presidente o capo dei dirigenti sui principi, Daniele era obbligato a trattare con tutti i sotto-governanti dell’impero. Ad uno ad uno, essi dovevano rendere conto a lui. Questo affinché il re non ricevesse alcun danno. Il re, era in pericolo; non rischiava di perdere la vita, ma questi funzionari erano politici intriganti che stavano derubando il governo in ogni modo possibile. Se avevano tasse da riscuotere, ne destinavano una grossa percentuale nel proprio conto. “e sopra di loro tre prefetti, di cui uno era Daniele, ai quali quei satrapi dovevano render conto, perché il re non ne soffrisse alcun danno.” (Daniele 6:2). C’erano corruzione, imbrogli, e truffe di posizioni nel governo babilonese, come nel mondo di oggi. La disonestà era presente ovunque. L’Ispirazione non descrive l’iniquità in dettaglio ma dice: “L’uomo pio è scomparso dalla terra, fra gli uomini non c’è più gente retta; tutti stanno in agguato per versare sangue, ognuno dà la caccia al proprio fratello con la rete. Entrambe le loro mani sono protese a fare il male con bravura; il principe pretende, il giudice cerca ricompense, il grande manifesta la sua cupidigia; così pervertono insieme la giustizia. Il migliore di loro è come un roveto, il più retto è peggiore di una siepe di spine. Il giorno della sua punizione viene; ora sarà la loro confusione” (Michea 7:2-4).
Se si vogliono dei dettagli, bisogna studiare i governi di oggi. Sono le ramificazioni della stessa radice di Babilonia. e studiando l’iniquità di oggi, possiamo conoscere i peccati contro cui Daniele doveva opporsi. Anche nel migliore dei governi terreni, centinaia di migliaia di dollari vengono usati ogni anno in modo illegale. Quando vengono pagati 3.500 dollari per un singolo voto, e l’individuo restituisce il denaro perché ha un’offerta di 3.700 dollari dall’altro partito; quando il sindaco di una città può permettersi di spendere tre o quattro volte il suo stipendio per ottenere una carica, Il denaro proviene da qualche fonte illegale. La storia romana, con le sue storie di banche, di monopoli e di imprese, la corruzione in senato e fuori dal senato,, è la storia di Babilonia, perché Roma è stato uno dei governi che furono costruiti su principi babilonesi. La storia francese durante il periodo della Rivoluzione ripete la stessa storia. La storia dell’Inghilterra, dei Paesi continentali e degli Stati Uniti di oggi ripete la stessa storia. Così nella storia si può leggere in dettaglio ciò che il primo ministro dovette affrontare nella città di Babilonia. Il sesto capitolo di Daniele è stato lasciato per mostrare come un uomo di Dio, quando si trova in una posizione del genere, può rimanere incontaminato. Mostra l’atteggiamento che ogni uomo di Dio deve assumere nei confronti del vizio e della corruzione popolare e, soprattutto, mostra il trattamento che un uomo fedele ai principi, deve aspettarsi di ricevere dalle mani di coloro che sono corrotti. Poiché Daniele aveva custodito gli interessi del re, Dario stava per metterlo a capo di tutto il regno. Ma l’onestà di un uomo è come una spina nella carne degli ingiusti, e nelle loro riunioni politiche i principi e i presidenti cercarono di distruggere l’uomo che faceva rapporti accurati e che era impeccabile nei suoi comportamenti. “Rendi a Cesare ciò che è di Cesare” è un principio del governo divino, e da questo principio Daniele non poteva essere sviato. Si può immaginare il linguaggio dei principi mentre discutevano della questione. Ogni schema tentato era stato messo a dura prova, eppure era generalmente riconosciuto che sarebbe stato inutile presentare un reclamo per il lavoro di Daniele. C’era solo un modo possibile per condannarlo, e doveva riguardare la sua religione. Anche su questo punto non osavano accusarlo apertamente, ma dovevano raggiungere il loro scopo senza rivelare il loro oggetto. Il loro metodo spregevole e subdolo di procedere li ha portati in conflitto con il Dio di Daniele, non con Daniele in quanto individuo. Con manifesto rispetto per il re e con parole che lo lusingavano, un comitato di principi si recò da Dario. Le prime parole che pronunciarono rivelarono che c’era un piano in atto, poiché dissero: “Allora quei prefetti e satrapi si radunarono tumultuosamente presso il re”. e altri ufficiali si erano consultati insieme, mentre in realtà avevano tenuto riunioni segrete e il capo dei presidenti era stato tenuto all’oscuro della questione.
Il re riponeva una grande fiducia nel suo primo ministro e tutto ciò che si diceva voleva che avesse la sua approvazione e veniva accettato senza ulteriori indagini. Al re fu presentata la forma di un decreto. Il decreto esaltava Dario al di sopra di tutti i monarchi terreni e cercava di metterlo al di sopra di Dio. Il re Dario appose il suo sigillo sul documento, rendendolo una legge del Paese, secondo la quale per trenta giorni nessun uomo avrebbe dovuto inchinarsi o adorare o chiedere qualsiasi petizione, se non al re. Il cuore di Dio era attratto da Babilonia. Il cielo era legato a doppio filo alla terra, nonostante l’iniquità, perché il popolo eletto di Dio era lì e il tempo della sua liberazione si avvicinava. Mentre i Medi e i Persiani sapevano di Dio, ma non lo conoscevano. Era necessaria un’esperienza concreta e Dio avrebbe manifestato la sua potenza attraverso quello stesso servo fedele che aveva testimoniato per lui, per sessantotto anni. Daniele era sincero, nobile e generoso. Era ansioso di essere in pace con tutti gli uomini, ma non avrebbe permesso a nessun potere di distoglierlo dalla via del dovere. Era disposto a obbedire a coloro che lo governavano, ma i re e i decreti non potevano farlo desistere dalla sua fedeltà al Re dei re. Si rese conto che l’osservanza dei requisiti biblici era una benedizione sia per l’anima che per il corpo. Daniele era consapevole dello scopo dei suoi nemici di distruggere la sua influenza e la sua vita. Sapeva del decreto, ma non faceva alcuna differenza nella sua vita quotidiana. Non fece nulla di insolito per provocare l’ira, ma eseguì in modo diretto i suoi doveri abituali e tre volte al giorno, nella sua stanza e con le finestre aperte verso Gerusalemme, al solito orario di preghiera abituale, egli aveva supplicato il Dio del cielo di dargli la forza di essere fedele. Daniele aveva un luogo d’incontro speciale e un’ora stabilita per incontrare il Signore, e questi appuntamenti furono rispettati. C’è una bellezza nel pensiero del legame tra Daniele e il cielo. La sua vita spirituale era una cosa reale, una vita che egli viveva in modo altrettanto reale e vera anche nella vita quotidiana. L’unica vita che i suoi nemici conoscevano o potevano comprendere era quella fisica. Interrompere il rapporto con Dio sarebbe stato per Daniele altrettanto doloroso che privarlo della vita naturale; e come Cristo si ritirava sui monti dopo giorni di lavoro massacrante per essere rifornito di quella vita che costantemente impartiva alle moltitudini affamate, così Daniele cercava Dio nella preghiera. Solo grazie a questi frequenti momenti di riempimento dello Spirito, per così dire, aveva la forza di affrontare la tensione nervosa dei suoi doveri ufficiali. Quando la pressione esterna era maggiore, allora aveva più bisogno di essere riempito, per mantenere l’equilibrio. Quindici libbre per ogni centimetro quadrato di superficie del corpo è la pressione sotto la quale viviamo fisicamente. Perché non ci schiaccia? Perché la pressione è uguale su tutti i lati e quindi non ne siamo consapevoli. È solo un esempio della vita spirituale.
Colui che controlla le nuvole, se glielo permettiamo, regolerà la pressione esterna con la forza interiore in modo tale da non dover mai essere turbati. Se le prove sono grandi, aprite l’anima al Cielo e pareggiate la pressione venendo riempiti dall’alto. Daniele non rinnegò il suo Salvatore nascondendosi in qualche angolo della sua casa.
ma andò nella sua stanza per pregare. Si inginocchiò vicino alla finestra aperta, verso Gerusalemme. Non pregò nel suo cuore, in silenzio, ma ad alta voce, come era sua abitudine prima dell’emanazione del decreto. Nobile e vero è colui che ha Dio nel cuore. Subdole e meschine sono le azioni di chi cede all’influenza di Satana. Tutto ciò che è nobile nell’uomo è perduto per sempre quando viene scelto un tale leader. Satana era nei consigli di quei funzionari mentre tramavano contro Daniele. e, dopo la firma del decreto, si misero in moto per catturarlo. Lo videro inginocchiarsi nel suo luogo abituale di preghiera; tre volte al giorno udirono la sua voce parlare in suppliche. Era sufficiente; l’accusa fu rivolta a “quel Daniele figlio in cattività della tribù di Giuda”. Per la prima volta il segno dei consiglieri balenò nella mente di Dario.
Un decreto firmato dal sigillo del re era inalterabile nel regno dei Medi e dei Persiani, eppure il re passò l’intera giornata a supplicare le alte sfere e a cercare una via d’uscita; ma con un sorriso satanico quei principi rispondevano a ogni argomentazione con le parole: “Sappi, o re, che la legge dei Medi e dei Persiani è che nessun decreto o statuto stabilito dal re può essere cambiato”. Quando le mani degli uomini sono legate, quando non c’è nessun potere sulla terra che possa aiutare, allora è l’opportunità di Dio. E la preghiera di Daniele salì ancora: “È tempo che Tu, Signore, operi. Tienimi in perfetta armonia con Te”. Mentre il suo cuore era in sintonia con il Cielo, non c’era potere sulla terra che potesse privarlo della vita, se Dio voleva che vivesse.
Daniele e Dario si incontrarono all’imboccatura della fossa dei leoni, ma non c’era un altro re del regno così adatto a entrarvi come questo stesso Daniele. Premendo la mano del suo stimato ministro, Dario disse: “Il tuo Dio, che tu servi con continuità, ti libererà”. Daniele passò in mezzo alle bestie selvagge della foresta, fu portata una pietra e fu posta sulla bocca della tana. Probabilmente alcuni temevano che amici e simpatizzanti di Daniele potessero venire in soccorso, così il sigillo del re fu posto sulla pietra, affinché il proposito non fosse cambiato. Satana esultò come fece anni dopo quando vide il Figlio di Dio nel sepolcro, con una pietra davanti alla porta e la pietra sigillata con il sigillo romano. Ma non c’era più potere per trattenere Daniele nella fossa dei leoni che per trattenere Cristo nella tomba. L’angelo venne, non alla pietra, ma nella tana, e uno dei momenti più preziosi per Daniele fu quando si sedette al centro della caverna, e quei leoni si accoccolavano ai suoi piedi o gli leccavano affettuosamente le mani. C’è stato un tempo in cui il leone e l’agnello giocavano insieme e l’uomo aveva il dominio sulle bestie della terra. Solo dopo che il peccato è entrato e l’uomo ha preso la vita delle bestie, queste hanno cercato a loro volta di distruggere l’uomo. La comunione con Dio restituirà finalmente all’uomo il posto di re sulle bestie che gli è stato dato da Dio. Il cuore di Daniele batteva con il cuore di Dio e, quando entrò nella tana, le bestie furono in pace con lui. L’unità di sentimenti è dimostrata dal fatto che un angelo era visibile e Daniele parlò faccia a faccia con il visitatore celeste.
Ma il cuore del re era triste e trascorse la notte in digiuno e preghiera. Nelle prime ore del mattino si affrettò a raggiungere la tana e chiamò: “O Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio, che servi continuamente, è in grado di liberarti dai leoni?”. E dai recessi della tana giunsero le parole di incoraggiamento: “Il mio Dio ha mandato il suo angelo e ha chiuso la bocca dei leoni”. “Non è qui, ma è risorto”. “Perché cercate il vivo tra i morti? “disse l’angelo quando le donne si avvicinarono al sepolcro di Cristo. Così nessun tipo di danno fu riscontrato su Daniele, il rappresentante di Cristo, “perché credeva nel suo Dio”, perché in lui fu riscontrata l’innocenza.
Quando gli accusatori di Daniele furono gettati nella fossa dei leoni, furono subito schiacciati e divorati. Ancora una volta le nazioni del mondo videro la potenza del Dio di Israele nel preservare il suo popolo fedele. Dario ebbe la conferma della sua fede in Dio e Ciro ricevette una lezione che non avrebbe dimenticato presto. Fu un
nuovo segno per gli israeliani che Dio era in mezzo a loro per benedirli. A Daniele giunse la voce di Dio che prometteva pazienza e forza per compiere i suoi doveri di servo di Dio. A Daniele giunse una luce più grande, perché fu dopo questa esperienza che gli fu data gran parte delle profezie. Dario pubblicò a “tutti i popoli, nazioni e lingue che abitano su tutta la terra”, “che in ogni dominio del mio regno gli uomini tremano e temono davanti al Dio di Daniele”. Così Dio non solo onorò Daniele con una liberazione miracolosa, ma la sua integrità fu il mezzo per pubblicare la verità in tutto il mondo. Da quel momento Daniele prosperò – durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, che emanò il meraviglioso decreto per la liberazione dei Giudei.
Se il cuore è malato a causa dell’apparente prosperità dei malvagi e dell’aumento della malvagità tra gli uomini di alto rango, imparate il loro destino dal sesto capitolo di Daniele.
Se siete oppressi a causa dell’adesione alla Parola di Dio, ricordate che Daniele rappresenta tutti questi uomini e ciò che è stato fatto per lui sarà fatto per tutti coloro che il cielo favorisce oggi. Anche se la morte reclama il corpo, la promessa di Dio è una rapida risurrezione; e che sia nella morte, in prigione o in una fossa di leoni, Satana non ha alcun potere su Cristo. “Io sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”.
La prima metà del libro di Daniele tratta di questioni che riguardano in particolare il regno di Babilonia come esisteva ai tempi del profeta. Gli ultimi sei capitoli sono interamente dedicati alla storia del mondo nel suo complesso e, in visioni date in diversi momenti, al profeta vengono mostrati i grandi eventi fino alla fine dei tempi. Guardando nel futuro, egli vede, per così dire, le cime dei monti illuminate dalla gloria di Dio, e queste caratteristiche sorprendenti sono annotate con precisione infallibile per servire da guida, non solo agli ebrei, ma a tutti i popoli, affinché comprendano i tempi in cui vivono e sappiano cosa sta per accadere sulla terra. Per lo studente di profezia, il settimo capitolo di Daniele è un documento importantissimo. Attraverso una catena continua di eventi, il profeta dà la storia dai giorni di Babilonia al grande giudizio investigativo, che è il tema centrale del capitolo. Il fatto che Dio abbia potuto aprire il futuro a un re pagano è notevole. A Nabucodonosor fu mostrato solo il futuro dei governi terreni, perché lui stesso era terreno e non era in grado di cogliere le cose più alte; ma a Daniele, Dio aprì le scene del cielo. Anche se al profeta fu mostrata la storia delle nazioni, l’angelo della rivelazione toccò brevemente questi argomenti, ma si soffermò sull’emozionante descrizione del giudizio istruttorio. Il settimo capitolo di Daniele rivela il futuro del popolo di Dio, non solo della nazione ebraica, ma del vero Israele spirituale. Questa visione fu data a Daniele nel primo anno del regno di Belshazzar, intorno al 540 a.C. Il solo fatto di dare questa visione è la testimonianza più forte dei risultati dell’educazione di Daniele da giovane, della sua fermezza di propositi e della sua crescita nelle cose spirituali. All’età di ottantacinque anni, dopo sessantasette anni di vita di corte, con tutto il suo fascino e la naturale tendenza della natura umana a sprofondare in un’esistenza puramente superficiale, il suo occhio di fede era così intatto che, su ordine di Michele(Gesù), Gabriele poté portare Daniele in cielo, per vedere il Padre e il Figlio nell’opera finale del santuario. Mosè vide una volta queste cose dalla cima del monte Horeb, quando il tabernacolo doveva essere costruito, e la gloria era così grande che dovette velarsi il volto prima che la gente comune potesse vederlo. Il cuore di Daniele era con Dio, quindi le cose che l’occhio che non ha visto né orecchio ha udito, potrà essergli rivelato dallo Spirito. Dio ha detto per mezzo del profeta Osea: “«Ma io sono l’Eterno, il tuo DIO, fin dal paese d’Egitto. Ti farò abitare ancora in tende come nei giorni di solennità. Ho parlato ai profeti, ho moltiplicato le visioni e per mezzo dei profeti ho usato similitudini»” (Osea 12:10-11).
I regni che hanno governato il mondo sono stati rappresentati davanti a Daniele come bestie da preda, che sono sorte quando i “quattro venti del cielo si sono scontrati sul grande mare”. I venti sono, nella profezia, un simbolo di guerra e di lotta. Le scene successive alla guerra e alla rivoluzione, con cui i regni prendono il potere, sono rappresentate nel settimo capitolo di Daniele dai quattro venti del cielo che si agitano sul grande mare. Il mare o le acque indicano “popoli, moltitudini, nazioni e lingue”. Le bestie a cui si fa riferimento rappresentano re o regni.
Quattro grandi bestie salirono dal mare; cioè, si misero in evidenza in mezzo alle moltitudini della terra. In altre parole, ci fu una guerra tra le nazioni e sorsero quattro re, diversi l’uno dall’altro.
Babilonia, il primo di questi regni, fu rappresentata a Nabucodonosor come la testa d’oro della grande immagine. A Daniele la stessa potenza apparve come un leone con ali d’aquila. La forza del monarca della foresta, a cui si aggiunge la rapidità del re della foresta, la rapidità del re degli uccelli, rappresenta il regno di cui la città di Babilonia era la capitale. Più di cinquant’anni prima, Geremia aveva parlato della potenza babilonese come di un leone. Prima che Babilonia fosse conosciuta come regno indipendente, quando era ancora una provincia soggetta all’Assiria, Abacuc, un profeta di Israele, gli era stata data una visione del suo lavoro che mostra la forza del simbolo del leone con le ali d’aquila. è stata data una visione del suo lavoro che mostra la forza del simbolo del leone con le ali d’aquila. Parlando a Israele, racconta di un’opera così meravigliosa che non ci crederanno quando gli verrà detta. “Guardate fra le nazioni e osservate, siate stupefatti e sbalorditi, perché io compirò ai vostri giorni un’opera, che voi non credereste, anche se ve la raccontassero. Poiché ecco, io susciterò i Caldei, nazione feroce e impetuosa, che percorre la terra nella sua ampiezza per impadronirsi di abitazioni non sue. È terribile, spaventevole; il suo giudizio e la sua dignità procedono da lei stessa. I suoi cavalli sono più veloci dei leopardi, più feroci dei lupi della sera. I suoi destrieri si spargono ovunque, i suoi destrieri vengono da lontano, volano come l’aquila che piomba sulla preda per divorare. Vengono tutti per far violenza, le loro facce sono protese in avanti e ammassano prigionieri come la sabbia. Egli si fa beffe dei re e i principi sono per lui oggetto di scherno; si ride di ogni fortezza, perché accumula un po’ di terra e la prende. Quindi avanza velocemente come il vento, passa oltre e si rende colpevole, attribuendo questa sua forza al suo dio»” (Habacuc 1:5-11).
Questa è Babilonia come l’ha vista Abacuc. Mentre Daniele osservava lo stesso regno nella sua visione, il nobile leone con le sue ali, che denota potenza e rapidità di conquista, era stato sollevato da terra in una posizione innaturale, fatto stare in piedi come un uomo e gli era stato dato un cuore d’uomo. Il cuore dell’uomo senza Cristo è semplicemente il peccato. Le ali furono tarpate, e allora Babilonia fu rappresentata come esisteva al momento della visione, priva di forza, abbandonata da Dio, con Belshazzar a capo del governo. Il profeta Abacuc dà la ragione di questo improvviso indebolimento della potente potenza di Babilonia. Egli dice: “Allora la sua mente cambierà, passerà oltre e offenderà, imponendo il suo potere al suo dio”. La storia del regno, riportata nei capitoli precedenti, mostra come e quando ciò avvenne. Babilonia ha commesso il peccato imperdonabile imputando la potenza e lo Spirito di Dio agli dei pagani. In questo atto il leone fu privato della sua forza, gli furono strappate le ali e gli fu dato un cuore d’uomo. Pochi anni dopo questa visione, nell’anno 538 a.C., Daniele fu testimone del completo crollo del regno.
Il regno medo-persiano, di natura sanguinaria e crudele, è rappresentato dall’orso. Dario era un Medo e Ciro, il generale principale, un Persiano. Dario il Medo conquistò il regno babilonese e vi regnò per un breve periodo. Ciro il persiano fu lo spirito guida nel governo dopo la morte di Dario. L’orso, così come le altre bestie che seguivano il leone, rappresentavano regni ancora futuri al momento in cui Daniele ebbe la visione. L’orso del settimo capitolo di Daniele simboleggia la stessa potenza dell’ariete dell’ottavo capitolo, che l’angelo dice al profeta rappresentare l’impero medo-persiano. La storia di questo impero, riportata nell’undicesimo capitolo del libro di Daniele, e lo studio di questo capitolo insieme al tredicesimo e al ventunesimo capitolo di Isaia e al libro di Ester, rivelerà il carattere dell’orso della nazione che sorse e divorò molta carne. La storia del secondo grande regno copre gli anni che vanno dal 538 al 331 a.C. Dopo la nascita e la caduta del regno medo-persiano, sorse un altro regno di natura completamente diversa da quello rappresentato dall’orso. Nella spiegazione della visione dell’ottavo capitolo di Daniele, l’angelo afferma chiaramente che la nazione successiva alla Media e Persia è la Grecia. Il regno greco, che seguì la Media e la Persia, è paragonato al vigore di un leopardo allo stato naturale. Non essendo questo sufficiente a rappresentare la rapidità delle conquiste di Alessandro, il primo re, il leopardo aveva sul dorso quattro ali di uccello. Aveva anche quattro teste, che simboleggiavano la divisione dell’impero di Alessandro dopo la sua morte, quando quattro dei suoi generali presero il suo regno e il dominio fu dato a loro. Il potere di Alessandro è rappresentato dal capro con il corno notevole, che schiacciava tutto sotto i suoi piedi, come descritto nell’ottavo capitolo di Daniele. La storia dei primi tre regni è appena accennata in questo capitolo, ma quando apparve la quarta bestia, “spaventosa e terribile e di grande forza”, Daniele” volle conoscere la verità” e l’angelo spiegò minuziosamente questa potenza. Le tre potenze precedenti erano state simboleggiate da tre delle più potenti bestie della terra, ma quando si pensò alla quarta bestia, non c’era nessun animale con un carattere che rappresentasse la sua natura terribile; così una bestia senza nome, con denti di ferro, chiodi di ottone e dieci corna, fu preannunciata al profeta.
L’angelo disse a Daniele: “Per quanto riguarda le altre bestie, fu tolto loro il dominio, ma la loro vita fu prolungata”. Ognuna di esse, prima di essere distrutta, si è fusa con quella successiva e i suoi aspetti caratteristici sono rappresentati in successione fino alla fine dei tempi. Ciò è chiaramente mostrato nel secondo capitolo di Daniele, dove l’oro, l’argento, l’ottone, il ferro e l’argilla vengono fatti a pezzi insieme. e spazzata via come la pula, quando tutte le nazioni terrene saranno distrutte. La stessa verità è stata rappresentata nel quarto capitolo, quando l’albero che rappresentava Babilonia fu abbattuto, ma le radici rimasero nel terreno. Le radici rappresentavano i principi di base su cui era stata costruita Babilonia, e da allora sono rimaste nella terra. Quando Medo-Persia cadde, lasciò i suoi sistemi di governo, educazione e religione ancora in vita, trasmettendoli alla sua posterità, le nazioni della terra. La Grecia fece lo stesso, e con ogni impero successivo quei principi fondanti, così chiaramente rappresentati a Babilonia, che erano stati posti lì dal principe della potenza dell’aria, invece di apparire in uno stato indebolito, spuntarono in vita con rinnovato vigore. Così, quando apparve il quarto regno, quegli stessi principi di governo, che erano la contraffazione dei principi di fondo del cielo, erano così forti che nessuna bestia naturale poteva simboleggiare, nemmeno la Roma pagana. Roma rinnovò nella religione tutti gli errori religiosi di Babilonia, e nell’educazione perpetuò gli errori della Grecia, mentre nella crudeltà seguì le orme della Media e della Persia. Ma mentre il profeta osservava, apparvero cose meravigliose. La quarta bestia, che rappresentava Roma, succeduta alla Grecia nel 160 a.C. aveva dieci corna, che, disse l’angelo, “sono dieci re che sorgeranno”. Questa quarta bestia è identica alle gambe di ferro dell’immagine mostrata a Nabucodonosor, e le dieci corna corrispondono alla miscela di ferro e argilla dei piedi di quell’immagine. Ognuno dei regni precedenti è caduto nelle mani di qualche forte generale che ne assunse il comando, ma con Roma il caso era diverso.
I dettagli di questa storia sono riportati nell’ottavo capitolo dell’Apocalisse sotto il simbolo delle sette trombe. Orde barbariche provenienti dal nord dell’Europa e dell’Asia travolsero l’impero romano tra il 351 e il 483 d.C., frantumando il governo in dieci parti. I dieci regni sorti in seguito alla disgregazione del vecchio regno romano sono: gli Unni, gli Ostrogoti, i Visigoti, i Franchi, i Vandali, gli Eruli, i Burgundi, i Suevi, gli Anglosassoni e i Longobardi. La connessione tra questi e le nazioni dell’Europa moderna può essere facilmente rintracciabile nei nomi, come Francia, Inghilterra, Lombardia, Borgogna, ecc. C’è stato un tempo in cui l’impero romano ha avuto una meravigliosa “opportunità” di accettare il vero Dio. Roma era il regno universale durante la vita di Cristo. A Babilonia Dio mandò il suo popolo, gli Ebrei, per diffondere le verità del suo regno e condurre gli uomini al pentimento. I Medi e i Persiani ricevettero il Vangelo da questo stesso popolo e i rappresentanti della Grecia si recarono a Gerusalemme, proprio nel tempio, a contatto con i sacerdoti, affinché non ci fossero scuse per il loro rifiuto di Cristo. Ma al regno romano il cielo stesso fu offerto nella persona del Salvatore, e fu Roma a inchiodarlo alla croce. C’era un sigillo romano sulla sua tomba e una guardia romana al suo sepolcro. La Chiesa primitiva subì la persecuzione per mano di questa stessa potenza. Il giudizio si abbatté su Roma quando questi barbari conquistarono l’impero con il fuoco e la spada, e il regno fu diviso in dieci parti. Ma la storia romana non finì con la divisione. Daniele osservò: “Ed ecco spuntare in mezzo a loro un altro piccolo corno, davanti al quale c’erano tre dei primi corni strappati dalle radici”. Un nuovo potere, esterno all’impero, è qui rappresentato dal piccolo corno. Le tre divisioni che erano gli Eruli nel 493, i Vandali nel 534 e gli ostrogoti nel 538 d.C. furono sconfitti. L’imperatore Giuseppino, che aveva sede a Costantinopoli, attraverso il suo generale Belisario, fu la potenza che rovesciò i tre re rappresentati dalle tre corna e la ragione del loro abbattimento fu la loro adesione all’arianesimo in opposizione alla fede cattolica ortodossa. I dettagli del capovolgimento e la controversia religiosa che fu all’origine del problema sono riportati in modo esauriente da Gibbon nel “Declino e caduta dell’Impero romano”, da Mosheim nella sua storia della Chiesa e da altri.
Il piccolo corno, che ottenne il potere strappando tre corni, era diverso da tutti gli altri. Aveva occhi “come quelli di un uomo e una bocca che diceva grandi cose”; il suo aspetto era anche più robusto dei suoi compagni. Roma stava cadendo in rovina; le sue città erano state saccheggiate, il suo governo spezzato. Come dal tronco in decomposizione della palude spunta in una notte il fungo, che trae la sua vita dalla decomposizione, così nell’impero romano sorse una potenza che si nutrì di questa decomposizione nazionale. Questo potere era il piccolo corno conosciuto come papato.
“Dopo questo, io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventevole, terribile e straordinariamente forte; essa aveva grandi denti di ferro; divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi; era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna. Stavo osservando le corna, quand’ecco in mezzo ad esse spuntò un altro piccolo corno, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte; ed ecco in quel corno c’erano degli occhi simili a occhi di uomo e una bocca che proferiva grandi cose” (Daniele 7:7-8).
È scritto che Babilonia, la madre dei popoli, cadde per aver attribuito il suo potere agli dèi dei pagani. La Roma pagana cadde perché presumeva di avere autorità sulla persona di Cristo e dei suoi seguaci. Poi sorse il piccolo corno, che “fece guerra ai santi e prevalse contro di loro”. Egli proferirà parole contro l’Altissimo, perseguiterà i santi dell’Altissimo con l’intento di sterminarli e penserà di mutare i tempi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo. Si terrà quindi il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà annientato e distrutto per sempre” (Daniele 7:25-26).
Roma ai tempi di Cristo era il centro del mondo. Paolo e altri predicarono il Vangelo in quella città. Vi fu organizzata una chiesa e per anni questa chiesa di Roma si classificò tra le chiese di Gerusalemme, Costantinopoli e altre. Gradualmente, ma inesorabilmente, la mondanità prese il posto dello Spirito di Cristo e i vescovi romani si esaltarono. Il mistero dell’antichità, di cui Paolo scrive nella lettera ai Tessalonicesi, era all’opera a Roma. Al tempo della divisione dell’impero i vescovi erano avidi di potere civile, questo avvenne nel 538 d.C., quando la corona dei tre corni fu strappata e il decreto emanato da Giustiniano nel 533, che riconosceva il vescovo di Roma come capo di tutte le chiese, entrò in vigore. (Il paganesimo sul trono era stato già abbastanza crudele, ma quando quei principi pagani che erano vissuti fin dai tempi di Babilonia assunsero il ruolo e la forma esteriore del cristianesimo, il potere che si imponeva fu ancora più crudele).
Non solo il piccolo corno avrebbe pronunciato parole dure contro l’Altissimo, ma avrebbe “presunto di cambiare i tempi stabiliti e la legge”.
Negli anni passati mani empie si erano posate sul tempio di Dio, sui vasi consacrati nel tempio e sul popolo di Dio, ma il piccolo corno mise le mani sulla legge stessa di Dio, cercando di cambiare il sabato del quarto comandamento.
Il piccolo corno aveva tutto il potere di Babilonia. Nel governo era una monarchia assoluta, con autorità su tutti i troni d’Europa. I re sorgevano e cadevano secondo i dettami di Roma. Dal punto di vista religioso, era il potere dominante, che imponeva alle coscienze degli uomini, li portava davanti al suo tribunale e scrutava nei loro pensieri. La forca e l’inquisizione erano i suoi strumenti, e nessun uomo sfuggiva all’esame degli occhi del piccolo corno. Il mezzo con cui si manteneva questo potere era il suo sistema d’ istruzione, che ha tenuto l’Europa nell’oscurità per più di mille anni. Si trattava di un regno di lunga durata. “Essi [i santi, i tempi e la legge] sarebbero stati dati nelle sue mani per un tempo dei tempi e per la metà di un tempo”.
[Si rimanda il lettore a Dan. 11: 13; Dan. 12 :7; Apo. 12: 6 ; Apo. 3: 5 e Num. 14: 34 per le diverse espressioni che danno lo stesso tempo e si riferiscono allo stesso potere]. Questo tempo – tre anni e mezzo, o quarantadue mesi, o milleduecentosessanta giorni, come viene variamente designato – iniziò nel 538, quando tre corni furono strappati per far posto all’insediamento di questa unica potenza, il piccolo corno. Continuò fino al 1798, quando il suo dominio fu tolto. Il suo potere, tuttavia, non è ancora distrutto. A Daniele, nella sua visione, non furono mostrati solo i regni e le potenze terrene, ma dopo aver ascoltato la voce del piccolo corno, che pronunciava grandi parole contro l’Altissimo, la sua attenzione fu richiamata dalle scene della corte celeste che si sarebbero svolte contemporaneamente all’adempimento della profezia riguardante le nazioni della terra. Fu durante il periodo in cui la quarta bestia aveva dominio e potere che il Salvatore fu crocifisso. Egli fu l’Agnello ucciso nel cortile esterno e, nella Sua ascensione, entrò nel luogo santo del santuario celeste. Lì fu visto da Giovanni come descritto nel quarto e quinto capitolo dell’Apocalisse. Ma quest’opera nel luogo santo era solo una parte del ministero del Salvatore per gli uomini. Venne il momento in cui Egli dovette compiere in cielo quel servizio di cui il giorno dell’espiazione nel santuario terreno era il tipo. il nono versetto dice: “Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l’Antico di giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. Il giudizio si tenne e i libri furono aperti”.
Qui, nel Santo dei Santi, si trova la dimora del Re dei re, Dio Padre, dove migliaia e decine di migliaia di angeli prestano servizio davanti a Lui. Questo, il trono di Dio, è il centro di tutta la creazione; attorno ad esso ruotano i sistemi solari per tutta l’estensione dello spazio. I mondi girano intorno ai loro soli, e i soli con i loro pianeti a loro volta girano intorno al trono di Dio. È la ruota all’interno di una rotazione che Ezechiele descrive. Daniele dice: “Un torrente di fuoco usciva e si sprigionava davanti a Lui”, perché lì c’è tutta la vita, un trono vivente -trono in continuo movimento. La potenza di Dio pervade lo spazio in ogni direzione. Come fasci di luce, da Lui si irradia una forza che trattiene i mondi nelle loro orbite. La forza che l’uomo chiama gravità non è che una parte della forza di attrazione di Dio che tiene le sfere del cielo al loro posto, equilibra le nuvole, pesa le montagne e misura le acque del mare. La stessa potenza registra la caduta di ogni foglia sulla terra, la morte del più piccolo passero e i battiti del polso di ogni uomo. Da Lui proviene tutta la vita: “in Lui viviamo, ci muoviamo e siamo”. Il Figlio era una cosa sola con il Padre, ed è da questa gloria che è uscito quando si è presentato alla fondazione del mondo. Era l’Agnello immolato e il cuore di Dio si è spezzato in quell’offerta. Ogni volta che un coltello è stato conficcato in una vittima sull’altare del santuario terreno, il sangue che scorreva ha toccato di nuovo il cuore del Padre eterno. Ogni volta che un uomo o una donna dal cuore spezzato si avvicinano al trono in segno di penitenza, il cuore del Padre viene toccato. “Non disprezzerai, o Dio, il cuore rotto e contrito”. Mai, mai, per tutta l’eternità, il Figlio riprenderà la sua condizione precedente. Ciò che ha assunto per l’uomo decaduto lo manterrà per sempre. È un uomo ancora nella corte celeste, toccato da ogni dolore umano. L’universo ha visto il dono e si è inchinato in adorazione. Il tempio è pieno di gloria.
I serafini e i cherubini con la loro gloria splendente, come guardiani, spiegano le loro ali sopra il Suo trono, velano i loro volti in adorazione e si inchinano davanti a Lui. Non possiamo nemmeno ora guardare la luce del sole quando risplende nei cieli; e il vento che passa ha cancellato il cielo. Ma quale splendore apparirà dal Santo dei Santi! Con Dio c’è una “maestà” insopportabile! L’Onnipotente! Non possiamo comprenderlo ” Oh, istruiscici su ciò che dobbiamo dire di Lui; non possiamo fare giustizia a causa della nostra ignoranza”. Se un uomo si azzarda a parlare, sicuramente sarà sopraffatto.
La porta del Santo dei Santi fu aperta nel 1844, ed “ecco che uno simile al Figlio dell’uomo venne con le nubi del cielo, si avvicinò all’Antico dei giorni”. Non ci sono parole che possano dare una visione più vivida dell’apertura del giudizio, avvenuta al momento dell’annuncio.
“È giunta l’ora del suo giudizio”. Nel settimo capitolo di Daniele si trova l’unica descrizione nella Bibbia della scena del giudizio annunciata dal primo angelo del quarto e decimo capitolo dell’Apocalisse. Il messaggio stesso è l’unico annuncio nella Bibbia che il tempo è arrivato; e il quattordicesimo versetto dell’ottavo capitolo di Daniele è l’unico periodo profetico dato nella Bibbia che segna il tempo dell’inizio del giudizio di Dio. Questo periodo è costituito dai 2300 giorni, cioè anni letterali, che iniziarono nell’anno 457 a.C., con il decreto di costruire e restaurare Gerusalemme, che scadevano nel 1844, d.C.
Fu in quest’ultima data che il primo angelo del quattordicesimo capitolo dell’Apocalisse annunciò l’ora del giudizio di Dio. Il messaggio giunse in tutte le terre e le isole del mare lo udirono.
“Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo e che aveva l’evangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo, e diceva a gran voce: «Temete Dio e dategli gloria, perché l’ora del suo giudizio è venuta; adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque” (Apocalisse 14: 6-7).
“Egli mi disse: «Fino a duemilatrecento sere e mattine poi il santuario sarà purificato»” (Daniele 8:14).Quando Dio prese posizione sulla sua legge nel luogo santissimo del santuario celeste, allora Cristo entrò per supplicarlo per il suo popolo. Questo non può essere avvenuto quando Egli è salito in alto, perché allora è salito al Padre e il giudizio è futuro. Non può riferirsi alla Sua seconda venuta su questa terra, perché allora Egli viene dal Padre. Era la Sua presenza davanti al Padre quando prese posizione nel giudizio alla fine dei venti anni, alla fine dei 2300 giorni. È venuto davanti al Padre circondato dalle nubi del cielo, cioè con migliaia di angeli che, come spiriti ministri, hanno osservato la vita degli uomini, registrando ogni loro parola, azione e pensiero. I caratteri sono stati formati, e se sono buoni o cattivi, sono stati riflessi nei libri del cielo. Quando Cristo è venuto davanti al Padre, i libri sono stati aperti e i casi dei morti hanno cominciato ad essere esaminati. Le azioni possono essere state commesse alla luce del giorno o nelle tenebre della notte, ma sono tutte aperte e manifeste davanti a Colui con cui abbiamo a che fare. Le intelligenze celesti sono state testimoni di ogni peccato, e lo hanno registrato fedelmente. Il peccato può essere nascosto agli amici, ai parenti e alle persone più intime. Nessuno, tranne i colpevoli, può avere la minima conoscenza delle azioni sbagliate, ma queste cose sono tutte messe a nudo davanti agli angeli e agli abitanti di altri mondi. La più oscura delle notti buie, la più profonda trama di individui o nazioni, non può nascondere nemmeno un pensiero alle intelligenze celesti. Il Signore ha un registro fedele di ogni affare storto, di ogni peccato e di ogni pratica ingiusta. Se il cuore interiore è pieno di ipocrisia, un’apparenza di rettitudine non può ingannarlo. Mentre vengono letti i nomi, il Salvatore alza le mani, portano ancora le impronte dei chiodi del Calvario, e grida: “Il mio sangue, Padre, il mio sangue, il mio sangue”. Sopra il Suo trono c’è l’arcobaleno; misericordia e giustizia si mescolano lì. Il cuore di Dio è toccato dalle suppliche di Suo Figlio, e il perdono è scritto di fronte al nome. Poi, attraverso gli archi del cielo, risuona un grido di trionfo. Gli angeli gettano le loro corone davanti al trono, gridando: “Santo, santo, santo!”.
Da oltre “sessant’anni” è in corso l’opera del giudizio investigativo. Si sta rapidamente concludendo. Prima che si concluda, risolverà il caso di ogni uomo e donna vivente. Giorno dopo giorno stiamo scrivendo il verbale che determinerà il nostro futuro di bene o di male. Quanto è solenne il pensiero che le parole pronunciate una volta, le azioni compiute una volta, non possono essere cambiate. Il sangue espiatorio di Cristo viene offerto oggi. “Oggi, se volete ascoltare la Sua voce, non indurite i vostri cuori”. La vita della quarta bestia, in particolare del piccolo corno, si è prolungata oltre il tempo del giudizio istruttorio. Anche dopo la sistemazione dei troni e l’inizio dei lavori nel Santo dei Santi, le grandi parole del piccolo corno hanno attirato l’attenzione del profeta. La più grande parola mai pronunciata contro Dio è stato il decreto di infallibilità emesso dal Concilio ecumenico nel 1870. Si trattava del tentativo di far sedere un uomo sul trono accanto al Figlio di Dio. Mentre Cristo stava come un agnello ucciso davanti al Padre, supplicando per la salvezza del mondo, un uomo povero e fragile esaltava il suo trono sopra le stelle di Dio. Babilonia cadde perché imputava il suo potere agli dei. Della quarta bestia Daniele dice: “… guardai finché la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso” (Daniele 7:11).
Così, alla fine, invece di essere conquistata da qualche altro potere sorto sulla terra, questo potere va nel lago di fuoco. Alle altre bestie, che rappresentano i regni, è stato tolto il dominio, ma la loro vita è stata prolungata per un tempo e una stagione; cioè, ciascuna è stata fusa nel regno successivo. Ma non è così per il quarto regno: la sua distruzione sarà completa. Il quinto regno, che è quello celeste, il regno di Dio, non è nelle mani dell’uomo. Dio stesso lo stabilirà sotto l’intero cielo ed esisterà per sempre. “Il regno e il dominio e la grandezza del regno sotto tutto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo”. Coloro che saranno ritenuti degni nel giudizio investigativo usciranno nella prima risurrezione, o saranno traslati senza vedere la morte, e regneranno con Cristo per i secoli dei secoli. Il peccato, con tutti coloro che vi si sono aggrappati, sarà distrutto per sempre. L’orgoglio e l’arroganza dell’antica Babilonia, la sua iniquità di ogni forma che è stata ripetuta da tutte le nazioni della terra, insieme all’istigatore di ogni male, saranno finalmente cancellati. La fine della controversia è raggiunta. Il trionfo della verità è testimoniato da tutti gli esseri creati * La cicatrice che il peccato ha fatto è scomparsa per sempre. La discordia che per seimila anni ha guastato l’universo è dimenticata. La musica delle sfere viene ripresa e l’uomo regna con il suo Creatore. “La fine della storia è questa”. Che meraviglia che la visione abbia turbato Daniele e che il suo volto sia cambiato! Chi può capire l’amore incomparabile di Cristo?
Erano trascorsi due anni dalla visione riportata nel settimo capitolo di Daniele.
La mente del profeta si era soffermata spesso sulle scene che il suo occhio aveva visto, e il tema del giudizio era stato meditato più e più volte. Aveva conservato la questione nel suo cuore, come dice lui stesso, perché ai tempi di Daniele, come oggi, solo pochi, potevano comprendere e apprezzare i temi spirituali. Molti cambiamenti di natura materiale erano avvenuti durante quei due anni. La malvagità era aumentata nel regno di Babilonia e non si mostrava alcuna riverenza per Dio e per il suo popolo. Ciò rattristò il cuore di Daniele.
Colui che per anni era stato il principale consigliere dell’impero, ora non abitava più nella capitale, ma aveva la sua residenza nel palazzo di Shushan. Era la capitale dell’Elam, che in passato era una provincia soggetta al regno di Babilonia, ma quando quell’impero cominciò a indebolirsi e si riconosceva la forza di Ciro, il generale persiano, l’Elam, sotto il viceré o principe Abradates, si era ribellato a Babilonia e si era unito alle forze di Ciro. Anni prima, il profeta Isaia aveva detto che l’Elam e la Media avrebbero unito le loro forze nella conquista di Babilonia. Mentre Daniele viveva nel palazzo di Shushan, vide “aprirsi la strada per l’adempimento di questa profezia. Se Babilonia non fosse già stata assediata da Ciro e Dario, la sua caduta era così imminente che in questa visione la storia delle nazioni inizia con l’ascesa del regno dei Medi e dei Persiani. Daniele fu trasportato al fiume Ulai, accanto al quale si trovava un ariete con due corna, uno più alto dell’altro, e quello più alto saliva per ultimo. Nella sua precedente visione il secondo regno era stato rappresentato da un’orsa che si sollevava da un lato e aveva tre costole in bocca. Entrambi i simboli si applicano al doppio regno dei Medi e dei Persiani, ma le corna disuguali dell’ariete danno una descrizione più specifica, perché mentre il regno Medo era il più antico dei due, il regno persiano lo superava in forza e la sua posizione nella storia deve essere attribuita alla linea di re persiani che iniziò con Ciro il Grande. La certezza con cui questo simbolo è interpretato è un’illustrazione del fatto che le scritture sono i loro stessi migliori commenti. Disse l’angelo:
“Il montone che hai visto con due corna sono i re di Media e di Persia” (Daniele 8: 20). Come l’ariete si spingeva verso ovest, nord e sud, e nessuna bestia poteva resistergli, così l’impero medo-persiano estendeva il suo dominio in queste direzioni. Alla caduta di Babilonia centoventi province riconobbero l’autorità di Ciro e di Dario. Questi furono e altri si aggiunsero, cosicché al tempo di Assuero e di Ester, il regno controllava centoventisette province, che si estendevano, dall’India a est al Mediterraneo a ovest e dal Mar Caspio all’Etiopia. Era allora definito un regno glorioso e il monarca veniva definito come “sua eccelsa maestà” (Ester 1:1-4).
Gli stessi fatti sono messi in evidenza nell’undicesimo capitolo di Daniele, dove Serse, il quarto di Ciro, suscita la guerra di tutte le nazioni orientali contro la Grecia.
“Egli fece secondo la sua volontà e divenne grande”. Tuttavia, la grandezza del secondo regno non assicurava la durata della vita, e il profeta si vide mostrare un capro che veniva da Occidente e, come dice la traduzione di Spurrell, “che correva sulla faccia di tutta la terra, senza toccare il suolo”. Il capro aveva un corno notevole tra gli occhi. Nell’interpretazione l’angelo ha detto:
“Il capro rozzo è il re [o regno] della Grecia, e il grande corno … è il primo re”. Il regno della Grecia è stato descritto nella visione precedente (Dan. 7 :6), ma nel periodo che ora stiamo esaminando, i dettagli della sua ascesa sono descritti. L’undicesimo capitolo afferma che il quarto regno dopo Ciro avrebbe dovuto aizzare le nazioni contro la Grecia, cosa che fu fatta quando Serse attraversò l’Ellesponto (Così chiamavano i Greci quel braccio di mare, lungo circa 50 km. e largo dai 2 ai 6, che collega il mar di Tracia e l’Egeo alla Propontide e separa la Troade dal Chersoneso tracico (penisola di Gallipoli), detto oggi Dardanelli). con un grande esercito nel 480 a. C. Secondo Erodoto, dice che il suo esercito contava più di un milione e mezzo di unità. Si trattava di un insieme di nazioni, e l’esercito era così vasto che erano necessari sette giorni per passare dall’Asia al suolo greco. Ma nonostante tutti i preparativi, l’esercito persiano fu sconfitto alle Termopili, a Salamina e a Platea. Serse, scoraggiato e avvilito, rinunciò al tentativo di invadere la Grecia. La profezia aveva predetto che quando la Medo-Persia e la Grecia si sarebbero contese, la Grecia sarebbe stata la potenza aggressiva. In seguito, il capro, la Grecia, si avvicinò all’ariete, Medo-Persia, e si avventò su di lui nel vigore della sua forza. E lo vidi avvicinarsi all’ariete, e si adirò molto contro di lui e colpì l’ariete e gli spezzò le due corna, cosicché l’ariete non ebbe più forza per resistere davanti a lui, poiché lo gettò a terra e lo calpestò; e nessuno poté liberare l’ariete dalla sua presa”. Nessuno storico ha mai dato un resoconto più preciso nella lotta tra i Greci sotto Alessandro Magno e i Persiani sotto Dario. Quel regno che prima aveva mostrato una forza così meravigliosa, si sgretolò e cadde, e non c’era nessuno che potesse aiutarlo. Aveva superato la sua prova e riempito il calice della sua iniquità. Michele, il Signore del cielo, si trovava alla destra del monarca sul trono persiano per persuaderlo, anche se aveva resistito all’influenza divina, e quel regno che era stato una verga nella mano di Dio per Babilonia nella sua malvagità, ha ripetuto i suoi peccati ed è andata incontro a sua volta alla stessa sorte. Sebbene i Persiani abbiano riportato gli Ebrei a Gerusalemme, ciò non li ha salvati. Solo se le nazioni o gli individui continuano ad amare la verità, solo se si nutrono costantemente delle foglie dell’albero della vita, la loro esistenza si prolungherà L’ariete e la capra si incontrarono su un fiume. La prima battaglia combattuta con successo dai Greci contro i Medi si svolse sulle rive del Granico, un corso d’acqua dell’Asia Minore. Questo avvenne nell’anno 334 a.C. Già la vittoria della Grecia fu registrata nei libri del cielo.
La battaglia di Granico fu presto seguita dalla sconfitta delle forze medo-persiane al passo di Issus, e la terza e schiacciante sconfitta fu nelle pianure di Arbela, nel 331 a.C. Nessuno avrebbe potuto liberare dalle mani del vincitore Alessandro la causa dell’impero medo-persiano che stava affondando.
Alessandro non aveva rivali per la rapidità delle sue conquiste. Era solo un giovane ventenne quando, alla morte del padre Filippo di Macedonia, divenne erede di un piccolo dominio.
Riunì gli Stati greci, si mise a capo degli affari e guidò il suo esercito in una serie di meravigliose vittorie. In pochi anni fu il padrone riconosciuto dal mondo. Colui che era salito alla più alta posizione che il mondo potesse offrire, cadde altrettanto improvvisamente. Aveva conquistato regni, ma non era padrone delle proprie passioni. Il suo amore per la lode lo portò a farsi proclamare figlio di Giove Ammone in Egitto, e il suo amore per il bere ne causò la morte all’età di trentadue anni, dopo un regno universale di soli due anni. Tale fu il destino di colui che non temeva Dio né gli uomini. “L’Altissimo governa nel regno degli uomini”. “La promozione non viene né dall’oriente né dall’occidente, né dal sud, ma Dio è giudice. Egli abbatte uno e ne innalza un altro”. “Con la forza nessuno prevarrà”. Non c’è alcun freno da parte del Signore a salvare da molti o da pochi.
“Non c’è re che si salvi grazie alla moltitudine di un esercito; un uomo potente non è aiutato da molta forza. Un cavallo è una cosa vana per la difesa e non può liberare nessuno con la sua grande forza. Ecco, l’occhio del Signore è rivolto su coloro che lo temono, su coloro che sperano nella sua misericordia, per liberare le loro anime dalla morte, e per mantenerle in vita durante la carestia”.
In verità, il Signore “accresce le nazioni e le distrugge; allarga le nazioni e le raddrizza”. Egli toglie il cuore dei popoli della terra e li fa vagare nel deserto dove non c’è nessuna via. Brancolano nel buio senza luce, e li fa barcollare come un ubriaco. “Quando fu forte, il grande corno fu rotto, e per esso si alzarono quattro notabili, verso i quattro venti del cielo”. Alessandro non lasciò alcun erede in grado di governare il regno, e in meno di vent’anni di lotte, i suoi quattro più importanti generali riuscirono a spartirsi l’impero tra loro.
Tolomeo prese l’Egitto e il territorio meridionale;
Seleuco prese la Siria e la divisione orientale;
Lisimaco prese l’Asia Minore e il territorio a nord;
mentre Cassandro prese possesso della Grecia, la divisione occidentale.
Questi quattro non avevano la potenza di Alessandro. La storia profetica di queste quattro divisioni è data nell’undicesimo capitolo di Daniele.
Nella divisione in esame, il profeta vede un piccolo corno che esce da una di queste quattro divisioni. Qui si vede il potere simboleggiato dalla quarta bestia del capitolo settimo di Daniele. Nella sua prima visione la quarta bestia era così terribile e aveva un aspetto così strano che Daniele chiese una spiegazione più chiara. Nella seconda visione il piccolo corno non viene nominato, ma il suo lavoro come regno è ancora ulteriormente rappresentato. Leggendo la visione e l’interpretazione del piccolo corno, si ha la sensazione di trovarsi alla presenza di un potere più grande di quello che è stato, che egli appaia un potere più forte e più terribile di qualsiasi altro finora esistente. Le forze accumulate del male dell’epoche passate si concentra in questa potenza nascente, che diventerà sempre più grande.
Era in verità, il capolavoro del laboratorio di Satana. Quattromila anni di prove non erano passati invano. Mentre il cielo stava per essere svelato con il dono del Salvatore, tutta la malvagità del mondo inferiore veniva messa in gioco per contrastare l’amore di Dio e distruggere l’effetto del sacrificio. C’è un mondo di significati nelle parole dell’angelo. Gabriele che disse: “Il suo potere sarà potente, ma non con la sua forza”. Nessun potere semplicemente umano potrebbe fare ciò che questo regno ha fatto. Luce, amore e potere vengono dall’alto a coloro i cui occhi sono rivolti verso il cielo, così un potere dal basso si impossessa di individui e nazioni che resistono all’amore di Dio. Questo regno “divenne molto grande, verso il sud, verso l’est e verso la terra amena”. Roma estese il suo territorio intorno al Mediterraneo; non c’era luogo in cui le sue armi non fossero vittoriose. Alcune delle più grandi battaglie che la storia ricordi furono combattute dagli eserciti romani. La penna ispirata dice, ” Egli [il piccolo corno] distruggerà incredibilmente”. le città che osarono resistere al potere di Roma furono cancellate dall’esistenza. Nel descrivere tale governo, l’angelo disse: “Egli prospererà e si affermerà”. e “Con la sua politica farà crescere la sua impresa nelle sue mani”. Ma a parte il forte governo centrale che è stato costruito da Roma; che ha portato ogni altra nazione ai suoi piedi, e ha reso schiavi delle più nobili razze; che stava derubando gli uomini dei diritti divini e violando ogni principio di equità e giustizia. a parte tutto questo, la grande arroganza di Roma fu mostrata quando la nazione si è magnificata contro l’esercito del cielo. “Sì, si è ingrandita anche contro il principe del cielo” (Daniele 8:10-11). “Crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere a terra una parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario”. Il popolo di Dio è prezioso ai suoi occhi e colui che lo tocca, tocca la pupilla dei Suoi occhi (Zaccaria 2:8).
Roma per prima privò gli ebrei del diritto di culto, calpestando quella nazione sotto il tallone dell’oppressione. quando l’oppressione divenne più grave, giunse Cristo, affinché Roma potesse vedere Dio in carne umana. Venne per identificarsi con quel popolo oppresso, e per mostrare agli uomini che Dio è sempre dalla parte degli oppressi e schiavizzati. Venne per illustrare l’azione dello Spirito nel cuore umano e per dimostrare che è possibile avere un paradiso interiore, anche se le circostanze esteriori sono contrarie. Ma Roma ha crocifisso Colui che è stato mandato dal Cielo. Il drago si è adirato e ha fatto guerra al seme della donna – il Cristo – (Apocalisse 12:17) che era stato promesso quando il peccato entrò nel mondo. Quando era nell’agonia della morte, ha confermato la verità. Ciò che Satana non poteva ottenere attraverso l’opposizione aperta, ha cercato di ottenerlo con una strategia politica. Silenziosamente, furtivamente, i principi del male si insinuarono nella chiesa di Cristo, che era cresciuta nonostante l’opposizione pagana. L’umiltà del Figlio di Dio all’inizio caratterizzava il corpo dei cristiani, e qui stava la potenza della Chiesa primitiva. Le madri cristiane raccoglievano intorno a sé i loro figli come avevano fatto le madri ebree ai tempi della loro prosperità. Fin dall’infanzia le verità della Parola di Dio furono impiantate nei loro cuori; i canti sacri erano sulle loro labbra; la Parola di Dio era il libro di testo da cui venivano apprese tutte le lezioni. I genitori non osavano permettere ai loro figli di restare nelle scuole pagane, perché l’atmosfera stessa traspirava il culto pagano; l’aria era appesantita dall’odore dei sacrifici agli idoli. Non osavano sedersi a tavola con coloro che erano stati un tempo in amicizia, perché il cibo era stato consacrato agli idoli. La generazione nascente fu educata con la massima cura e il cristianesimo prese il posto del paganesimo. Ma Satana non poteva vedere il suo potere abbattuto senza una lotta disperata e, di soppiatto, insinuò i suoi principi ;furtivamente nella nuova chiesa. Liti, dispute, controversie teologiche scacciarono lo spirito di vita. L’autoesaltazione ha messo gli uomini al potere; l’uguaglianza dei diritti di tutti è caduta di fronte al potere nascente di una gerarchia. Il principio dei trust e dei monopoli, delle unioni e delle legislazioni, che aveva sempre caratterizzato la società pagana, si intrecciò con il principio della nuova organizzazione dei cristiani, e ne soffocò la vita. “Un esercito fu abbandonato, così pure il sacrificio quotidiano, a causa dell’iniquità; la verità venne gettata a terra; ma esso prosperò nelle sue imprese” (Daniele 8: 12).
Roma divenne nominalmente un impero cristiano. Il suo imperatore professava il nome di Cristo e portava davanti al suo esercito il vessillo della croce. Vennero emanati decreti che obbligavano gli uomini a praticare il culto secondo i dettami di Roma. Sia l’imperatore che l’impero cercarono di esaltarsi al di sopra del Dio del cielo. I principi di Lucifero stesso avevano messo da parte la verità di Cristo e, come fu mostrato a Daniele, la verità fu gettata a terra.
Per Giovanni questo passaggio dal paganesimo al papato è rappresentato come un trasferimento di potere dal drago alla bestia. “Le fu dato di far guerra ai santi e di vincerli, e le fu dato di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione” (Apo. 13: 7).
I versetti undicesimo e dodicesimo dell’ottavo capitolo di Daniele sono paralleli ai versetti ventunesimo e venticinquesimo del settimo capitolo, dove il piccolo corno fa guerra ai santi e pronuncia grandi parole contro l’Altissimo, tentando di cambiare i suoi tempi e la sua legge. Per due volte a Daniele era stata mostrata la duplice storia di Roma: prima come potenza pagana, quando era più crudele di qualsiasi governo pagano che l’aveva preceduta; poi come potenza dichiaratamente cristiana, quando la sua crudeltà superava di gran lunga tutte le opere del paganesimo.
Il profeta soffriva di cuore nel vedere queste scene e le profonde sofferenze del popolo di Dio. Non riusciva ad afferrare l’idea del momento in cui questi eventi si sarebbero verificati e pensava che il suo stesso popolo, forse proprio quello che in quel momento era in schiavitù a Babilonia, sarebbe stato chiamato a soffrire queste cose. Gli era stato rivelato il giudizio istruttorio, quando i casi degli uomini sarebbero stati giudicati e l’oppressore condannato. Anche la fine di questo potere oppressivo che gli era stato mostrato era il lago di fuoco, quando l’autorità romana sarebbe stata spezzata . Nel sogno di Nabucodonosor la fine sarebbe arrivata quando la pietra tagliata senza mani avrebbe colpito l’immagine e infine avrebbe riempito tutta la terra. Mentre queste scene passavano come un panorama davanti all’occhio del profeta, anche gli angeli osservavano, perché interessati a tutto ciò che riguarda il popolo di Dio sulla terra.
L’universo ha atteso per seimila anni la questione finale tra verità e errore.
Non è strano che le schiere angeliche si chiedano quando finirà la lotta e quando il canto dei canti potrà essere ripreso dal coro del cielo. Questi tempi sono nascosti presso il Padre, ma l’uomo può comprendere alcuni dei segreti dell’Onnipotente. L’interesse che il Cielo manifesta per queste scene della terra è mostrato dal tredicesimo versetto. Un angelo si rivolse a Gabriele chiedendogli: “Poi udii un santo che parlava, e un altro santo disse a quello che parlava: «Fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo e la trasgressione della desolazione, che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati?»” (Daniele 8:13).
E Gabriele rispose: “Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato” (Daniele 8:14). Daniele desiderava comprendere ciò che aveva visto, e qui si mostra la stretta connessione tra il desiderio umano e il cuore di Cristo; infatti Cristo, apparendo come uomo, si presentò al profeta e a Gabriele disse: “Fa’ che quest’uomo comprenda la visione”. Gabriele si avvicinò e Daniele, davanti al suo splendore, cadde a terra con la faccia rivolta verso la terra. Poi, come se volesse togliere la tensione dalla mente di colui che portava Israele, si avvicinò. Daniele svenne, perché la crocifissione del Salvatore gli era stata appena rivelata e la visione era più di quanto potesse sopportare. Poi disse: “Comprendi bene, figlio dell’uomo, perché questa visione riguarda il tempo della fine” (Daniele 8:17).
E disse: «Ecco, io ti faccio conoscere ciò che avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione, perché riguarda il tempo fissato della fine” (Daniele 8:19).
Gabriele riprese la storia dei regni uno per uno e, quando giunse ai duemilatrecento giorni, disse: “La visione delle sere e delle mattine, di cui è stato parlato, è vera. Tu tieni segreta la visione, perché riguarda cose che avverranno fra molto tempo”. Versetto 26. Ulteriori spiegazioni furono rimandate a una visione successiva. Gli eventi che si sarebbero verificati durante quel periodo sono riportati nel capitolo successivo del libro di Daniele. Oltre alla verità insegnata dalla profezia stessa, all’ottavo capitolo di Daniele sono collegati alcuni principi di fondo di meravigliosa bellezza. Lo spirito di profezia è un dono da desiderare. Dio non ci lascia mai senza rappresentanti sulla terra, e tra il suo popolo alcuni sono profeti. Lo studio della vita di Daniele rivela il carattere che rende possibile all’uomo comprendere il linguaggio di Dio. È necessaria un’anima pulita e pura. Gabriele è l’angelo della profezia, il messaggero che porta la luce della verità agli uomini. Al padre di Giovanni Battista disse: “Io sono Gabriele, che sto alla presenza di Dio”. A Daniele disse: “Non c’è altro che Michele, il nostro principe, mi sostenga in queste cose”. Cristo stesso. Gabriele è dunque l’accompagnatore personale del Figlio di Dio, nella posizione di portatore di luce che Satana occupava prima della sua caduta. Fu Gabriele ad annunciare la nascita del Salvatore a Maria a Nazareth. Fu lui a guidare il coro degli angeli sulla pianura di Betlemme; lui con altri, come la stella, guidò i magi verso il Bambino di Betlemme. È stato Gabriele a dare forza al Salvatore al termine dei quaranta giorni di conflitto nel deserto delle tentazioni e a sollevare il corpo prostrato del Figlio dell’uomo nel Getsemani e a far ricadere il capo dolorante, bagnato di sudore sanguinante, sul proprio petto. Davanti a Gabriele, le guardie romane caddero come uomini morti e la sua voce scosse la terra quando il Salvatore uscì dal sepolcro. Prendendo posto sul sepolcro vuoto, incontrò i discepoli e le donne e le invitò a cercare il loro Signore tra i vivi. Il Salvatore salì al cielo, lasciando i suoi discepoli soli, ma non erano soli, perché “ecco due uomini stavano loro accanto in vesti bianche”. Mentre il cielo risuonava di canti di benvenuto al Figlio di Dio che si trasformava, due angeli stavano sulla terra per confortare chi era solo. Uno di questi era Gabriele, l’angelo custode di Cristo. Di tutti gli angeli del cielo nessuno è stato più strettamente legato all’uomo di Gabriele. Eppure a Giovanni, che cadde davanti a lui per adorarlo, disse: “Allora io caddi ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo, io sono un conservo tuo e dei tuoi fratelli che hanno la testimonianza di Gesù. Adora Dio! Perché la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia»” (Apocalisse 19:10), era solo un angelo, sostenuto dalla stessa Potenza che sosteneva Giovanni, e non avrebbe permesso nemmeno per un momento che Giovanni si ingannasse pensando che lui potesse far parte della grande Trinità del ,cielo e di essere degno dell’adorazione degli uomini. Egli assicurò a Giovanni di essere solo una delle schiere di “spiriti ministri inviati per servire coloro che devono essere eredi della salvezza”, dicendo: “Io sono il tuo servo”. Questo potente angelo è talmente coinvolto nelle vicende dell’uomo che si considera uno di noi., è colui che Cristo ha usato per trasmettere la luce degli eventi futuri agli uomini sulla terra. Ad ogni profeta, da Mosè a Giovanni, è venuto lo stesso angelo, e per la Chiesa residua è ancora Gabriele a rivelare la verità attraverso la persona del profeta. Prima della sua caduta, Lucifero era il portatore di luce. Da allora ha usato il suo potere per portare le tenebre ai figli degli uomini. Ci sono sempre stati, e ci saranno fino alla fine dei tempi, falsi profeti e veggenti. Uomini che potrebbero essere usati da Dio, se il loro cuore fosse a Lui dedicato, spesso si sottomettono all’ influenza della potenza contraria. Qui sta la spiegazione delle manifestazioni spiritiche. Questa potenza sarà così grande che prima della fine Satana stesso, personificando un angelo di luce, apparirà sulla terra, ingannando, se possibile, proprio gli eletti. La sicurezza del popolo di Dio consisterà nell’ ascoltare la voce di Gabriele che parla attraverso qualche strumento scelto. Cristo parla attraverso Gabriele al suo profeta. Daniele, pur vivendo nel palazzo di Shushan, fu portato dall’angelo al fiume Ulai. Sulle rive del fiume assistette alla prova tra l’ariete e il capro – tra l’impero medo-persiano e i greci. Ulai rappresenta il fiume del tempo, che ha la sua sorgente nell’eternità. Il tempo con cui abbiamo a che fare non è che una frazione infinitamente piccola dell’ eternità, come una goccia nel secchio, come il ruscello nell’ oceano. Ma sulle rive di questo fiume si trovano tutte le nazioni; lì sorgono e lì cadono. Cristo presiede alle acque e la sua voce si è udita tra le rive del fiume, chiamando Gabriele: “Fa’ che la tua vita si compia”. a far comprendere la visione”. Le nazioni possono contendere con le nazioni sulle sue rive, ma il “Santo Sorvegliante” è sempre vicino. Questo fiume contiene l’ acqua della vita per tutti coloro che vogliono bere, ma tutte le nazioni hanno costruito muri che superano l’altezza di quelli di Babilonia, per tenere gli uomini lontani dall’ acqua e per interrompere l’ influenza di Colui che chiama tra le sponde.
Tra la visione del capitolo ottavo e gli avvenimenti di cui parla la prima parte del capitolo nono passarono solo pochi mesi. Le parole con cui Gabriele si era congedato erano state che le cose viste riguardo ai duemila e trecento giorni erano vere. Daniele non poté ascoltare la spiegazione di questo tempo e, mentre si occupava degli affari del re, pensava spesso alla visione. Nel frattempo era stato chiamato da Shushan a Babilonia e alla corte del re per interpretare la strana scrittura sul muro. Il destino della nazione era stato letto e le parole si erano appena spente prima che iniziasse il massacro dei babilonesi. Quella stessa notte Belshazzar fu ucciso e il re dei Medi fu proclamato monarca del mondo. Da Dario, Daniele era stato nominato presidente capo e occupava un posto a Babilonia accanto a Ciro, il socio di Dario. Durante l’agitazione e il trambusto di tutti i cambiamenti negli affari, mentre le mani di Daniele erano piene di doveri di corte e le preoccupazioni degli affari lo pressavano, egli aveva ancora tempo per la preghiera e lo studio.
La profezia aveva predetto che Ciro avrebbe restituito agli Ebrei la libertà; il momento della liberazione si avvicinava e Daniele cercava attentamente di capire il momento. Le profezie di Geremia erano le uniche a indicare chiaramente la durata della cattività. Senza dubbio la mente di Daniele era perplessa sui duemilatrecento giorni di cui aveva parlato Gabriele, perché per gli Ebrei il tempio di Gerusalemme era il Santuario di Dio e la purificazione, per loro, significava l’allontanamento dei gruppi empi dal monte Sion. Due volte nel libro di Geremia viene indicata la durata della cattività. “Queste nazioni serviranno il re di Babilonia per settant’anni. E quando i settant’anni saranno compiuti, io punirò il re di Babilonia” (Geremia 25:11,12). Ancora una volta il profeta aveva detto: “Dopo che saranno trascorsi settant’anni a Babilonia, vi visiterò e compirò la mia opera buona nei vostri confronti, facendovi tornare in questo luogo”. Babilonia era caduta e Gerusalemme era rimasta desolata per quasi settant’anni. Una crisi era vicina per il popolo di Dio e Daniele cercò di comprendere la questione con la preghiera e il digiuno.
Questo è uno dei casi in cui le Scritture riportano una preghiera. Questa viene data come esempio di preghiera fervente ed efficace di un giusto. uomo che vale molto. Daniele si rese conto che il peccato aveva oscurato la visione di molti fedeli di Dio. Alcuni di coloro che si trovavano a Babilonia erano incuranti e indifferenti alla verità di Dio. Molti si erano procurati delle case e si sentivano sicuri del fatto che, quando sarebbe iniziata la cattività, sarebbe stato detto loro di comprare terreni e costruire case. Alcuni si accontentavano dell’ambiente attuale e temevano le difficoltà che avrebbe comportato il viaggio verso Gerusalemme, che era in mano a tribù ostili e dove non c’erano case piacevoli. Gerusalemme doveva essere costruita, sostenevano, ma dovevano essere altri a farlo, non loro.
L’amore per Babilonia era forte nei cuori di molti, perché settant’anni dopo il decreto di Ciro, quando tutti furono liberi di tornare in Palestina, c’erano ancora centinaia di ebrei a Babilonia. In realtà, solo una piccola percentuale di ebrei fece ritorno. Le giovani, che erano state educate in città, avevano, molte di loro, come le figlie di Lot a Sodoma, preso talmente parte ai costumi che si attardavano tra i pagani, nonostante gli angeli le avessero esortate ad andarsene. Lo spirito della profezia veniva ignorato con poche osservazioni o cadeva su orecchie del tutto sorde; sebbene in schiavitù, le condizioni attuali erano preferibili alla libertà con lo sforzo necessario per ottenerla. Daniele conosceva questa condizione e confessò i peccati del popolo davanti a Dio. Si identificò con il suo popolo. La sua è una delle preghiere più meravigliose che ci siano pervenute.
Quest’uomo, che il cielo chiamava “molto amato”, in cui non si poteva trovare alcuna colpa, nemmeno da parte dei suoi più acerrimi nemici, si mise sotto il carico di peccato che opprimeva Israele. Inchinandosi davanti a Dio, incontrò il Padre con le parole: “Abbiamo peccato e commesso iniquità, abbiamo fatto malvagità e ci siamo ribellati”; “non abbiamo dato ascolto ai tuoi servi, i profeti”. “O Signore, a te appartiene la giustizia, ma a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri principi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato… ci siamo ribellati a Lui; non abbiamo obbedito… la maledizione si è riversata su di noi”; “tutto questo male è venuto su di noi, eppure non abbiamo fatto la nostra preghiera davanti al Signore, nostro Dio, perché ci allontanassimo dalle nostre iniquità; non abbiamo obbedito alla sua voce; “abbiamo peccato, abbiamo fatto il male”; “perché per i nostri peccati e per le iniquità dei nostri padri”, “ecco le nostre desolazioni”; “non abbiamo presentato le nostre suppliche davanti a te per le nostre giustizie”.
Davanti al Padre abbiamo uno solo, Cristo, che “si è caricato dei nostri dolori e ha portato le nostre pene”, “che ha denunciato i nostri peccati nel proprio corpo”. Daniele era un rappresentante di Cristo, e aveva vissuto così vicino a Dio, e lo conosceva così intimamente, che lo spirito che distingueva Cristo da tutti gli altri si manifestava anche in Daniele. Egli era un vero pastore d’Israele e la sua preghiera è un rimprovero a tutti i presuntuosi; un rimprovero tagliente a coloro che dicono, con parole o azioni, “Io sono più santo di te”.
“O Signore, ascolta; o Signore, perdona; o Signore, ascolta ed esegui; non rimandare per il tuo bene, unico Dio, perché la tua città e il tuo popolo sono chiamati con il tuo nome”. Questa era la supplica di un cuore oppresso. Tali erano le parole con cui Daniele si rivolgeva al suo Dio. Egli conosceva il Padre e sapeva che le sue parole raggiungevano il trono del cielo. La fede e la preghiera sono le due braccia che l’uomo mortale può intrecciare al collo dell’Amore infinito. Cristo si chinò ad ascoltare e disse a Gabriele di accelerare il passo verso la terra. Nelle nostre
preghiere lasciamo troppo presto il braccio del Signore. Dovremmo spingere le nostre suppliche sempre più in alto. Dio a volte mette alla prova la forza dei nostri desideri ritardando una risposta immediata.
“Sì, mentre parlavo in preghiera, anche l’uomo Gabriele, che avevo visto in visione all’inizio, essendo stato fatto volare rapidamente, mi toccò verso l’ora dell’oblazione serale”.
La cosa per cui Daniele aveva chiesto, fu menzionata per la prima volta quando Gabriele pose le mani sul profeta. “O Daniele, ora sono venuto per darti abilità e comprensione. All’inizio delle tue suppliche una parola è uscita, e io sono venuto a mostrartela”. Il Cielo era più interessato di quanto potesse esserlo, l’uomo alla cosa, per cui Daniele pregava e, non appena il canale fu aperto, lo Spirito entrò. Nel mondo spirituale come in quello naturale il vuoto è aborrito. Come l’aria entra in un recipiente quando si versa un liquido, così lo Spirito Santo riempie il cuore quando è svuotato di sé. Se ci fosse più spazio per Cristo nei cuori, l’esperienza pentecostale si ripeterebbe spesso.
Dio ha molti favoriti tra i figli degli uomini. In effetti, ogni uomo è un favorito speciale e molto onorato dal Re del cielo, ma sono pochi quelli a cui gli angeli hanno rivolto la parola: “Tu sei molto amato”. La lettura marginale del ventitreesimo versetto dà la resa ebraica come “un uomo di desideri”. Quell’uomo il cui desiderio è rivolto verso il cielo, che desidera il cibo spirituale come il cuore anela al ruscello d’acqua, è molto amato da Dio, perché Dio è alla ricerca di tali persone per compiere la sua volontà sulla terra. A costoro Gabriele può parlare.
A partire dal ventiquattresimo versetto, l’angelo spiega il periodo di tempo, i duemilatrecento giorni del capitolo 8:14. Non ci sono preliminari. Gabriele conosce i pensieri del profeta, e quindi dice: “Settanta settimane sono stabilite sul tuo popolo e sulla tua città santa, per terminare la trasgressione, far cessare i peccati, riconciliare l’iniquità, introdurre la giustizia eterna, sigillare la visione e la profezia e ungere il Santissimo”. L’intera storia futura degli Ebrei come nazione è contenuta in questo versetto. Nessun’altra storia ha mai racchiuso così tanto in così poche parole. Qui è indicata la data esatta dell’inizio dell’opera di Cristo; il tempo assegnato a Israele come nazione per il pentimento, il tempo in cui il tipo avrebbe incontrato l’antitipo in tutte le offerte sacrificali; il periodo in cui la prova sarebbe terminata per la razza ebraica e la giustizia eterna sarebbe stata predicata al mondo intero. In questo colloquio con Gabriele fu data solo quella parte dei duemilatrecento giorni che si riferiva alla nazione ebraica. A Daniele era già stata rivelata la storia delle nazioni del mondo; i duemilatrecento giorni hanno a che fare soprattutto con il popolo di Dio, indipendente dai governi nazionali.
Il periodo di settanta settimane [70 X 7 = 490] o quattrocentonovanta giorni di tempo profetico, copre un periodo di quattrocentonovanta anni, durante il quale la
storia ebraica come tale sarebbe continuata. Questi quattrocentonovant’anni non iniziarono subito, perché l’angelo disse che dovevano iniziare a contare dalla data del comandamento di restaurare e costruire Gerusalemme. Il periodo di settanta settimane della storia ebraica è così suddiviso dall’angelo: Sette settimane per la costruzione delle mura e delle strade di Gerusalemme; sessantadue (62) settimane fino all’opera del Messia; e una settimana, che coprirebbe il periodo del suo ministero e il tempo successivo, fino a quando il Vangelo non sarà trasmesso ai Gentili. Quest’ultima settimana è dedicata alla conferma dell’alleanza.
Per comprendere la prima divisione, le sette settimane o quarantanove anni, abbiamo la storia registrata in Esdra, Neemia, Aggeo e Zaccaria. Dio suscitò Ciro e lo mise sul trono, affinché riportasse i Giudei nella loro città natale. Molto prima dell’inizio della cattività babilonese, il profeta Isaia (44:28) scrisse di Ciro: “Egli è il mio pastore e compirà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: “Sarai costruita” e al tempio: “Le tue fondamenta saranno poste”.
Nel primo capitolo del libro di Esdra è riportato il decreto di Ciro. L’adempimento da parte di Ciro della profezia di Isaia è impressionante:
Nel primo anno di Ciro, re di Persia… il Signore suscitò lo spirito di Ciro, che fece un proclama in tutto il suo territorio. e lo mise per iscritto, dicendo: “Così dice Ciro, re di Persia: Il Signore, Dio del cielo… mi ha incaricato di costruirgli una casa a Gerusalemme”.
A quel punto ogni ebreo di Babilonia era libero di tornare in Palestina. Se necessario, le spese del viaggio sarebbero state sostenute dal governo di Ciro. C’erano ampie disposizioni per tutti i poveri e i malati. Un decreto del genere non era mai stato emanato prima. Israele sarebbe dovuto insorgere in massa, portando con sé tutti coloro di altre nazionalità che, avendo ascoltato il Vangelo, erano disposti a tirare la sorte con il popolo di Dio. La terra avrebbe dovuto risuonare di grida di lode e di canti dei riscattati. L’esodo da Babilonia avrebbe dovuto essere una potente testimonianza alle nazioni della potenza del Dio degli Ebrei. L’esodo dall’Egitto, i prodigi della traversata del Mar Rosso e del Giordano e il nutrimento delle migliaia di persone nel deserto sarebbero stati insignificanti se Israele avesse approfittato della via che Dio aveva preparato.
Quale fu il risultato del decreto? Daniele osservò con ansia i preparativi per la partenza, e alla fine del primo anno appena cinquantamila persone erano partite da Babilonia verso Gerusalemme.
Ciro fu scoraggiato e disgustato per la scarsa risposta e cadde nell’indifferenza. In seguito l’angelo di Dio, con l’aiuto di Michele, lo supplicò per tre settimane per toccare nuovamente il suo cuore.
I vasi portati da Nabucodonosor dal tempio a Babilonia furono restituiti ai capi dei Giudei, che li riportarono a Gerusalemme. Nel secondo anno del loro arrivo in Palestina, fu iniziata l’opera di restauro del tempio. Il sito del tempio di Salomone, che era stato bruciato da Nabucodonosor, era nascosto dalla spazzatura, accumulata in quasi settant’anni. I lavori di restauro furono presto interrotti dai samaritani che vivevano nel paese e non fu possibile fare ulteriori progressi fino all’emanazione di un secondo decreto da parte di Dario, re di Persia, nel 520 a.C. I lavori per la casa di Dio si fermarono per quindici anni. Poi i profeti Aggeo e Zaccaria rimproverarono il popolo per la sua inattività.
Sembra che i Giudei, pur professandosi popolo di Dio, costruissero le loro case e ritardassero i lavori del tempio, perché non c’era un ordine diretto del re di procedere. Ma Dio voleva che andassero avanti, esercitando la fede, e quando, in risposta alla parola del Signore del profeta Aggeo, si misero all’opera, il Signore suscitò il cuore del re persiano per aiutarli. Questo si vedrà meglio nel capitolo dodici. Gli uomini del mondo, nemici dei Giudei, si lamentarono apertamente con il re, ma questo, Invece di ostacolare l’opera, fece cercare i registri reali, che rivelarono il decreto di Ciro. Allora Dario, invece di rimproverare i Giudei, emanò un decreto che stabiliva che i lavori andassero avanti e ordinò inoltre che l’opera di costruzione fosse aiutata dal denaro del tesoro reale.
Gerusalemme fu soggetta al governo persiano fino ai giorni di Esdra, sotto il regno di Artaserse. Nel settimo anno di regno di quel re, il 457 a.C., fu emanato il terzo decreto sulla ricostruzione di Gerusalemme. Questo decreto:
1) permetteva a tutti i Giudei che lo desideravano di tornare a Gerusalemme;
2) permetteva di fare un’offerta libera da tutta Babilonia per la causa di Gerusalemme;
3) proclamava la perfetta libertà di seguire i comandi di Dio in tutto il territorio a ovest del Giordano;
4) esonerava tutti i Leviti e i ministri dal pagamento di pedaggi o tributi;
5) le mura di Gerusalemme dovevano essere ricostruite;
6) disponeva la nomina di magistrati e giudici in Palestina tra gli stessi ebrei, organizzando così un governo del popolo, cosa del tutto estranea alla politica di una monarchia orientale.
Questo avvenne nell’anno 457 a.C. ed è il momento a partire dal quale si deve calcolare il periodo di settanta settimane, secondo le parole di Gabriele a Daniele. Che siano stati necessari i tre decreti per costituire il comandamento di Daniele 9:25, è evidente dalle parole dell’ispirazione in Esdra 6:14: “Lo costruirono e lo arredarono, secondo l’ordine di Ciro, di Dario e di Artaserse, re di Persia”. I tre decreti sono così collegati.
I “tempi difficili durante i quali la costruzione doveva essere portata avanti sono descritti dal profeta Neemia. Tra i quindici e i vent’anni dopo l’emanazione del decreto di Artaserse, Neemia, che era coppiere del re a Babilonia, era in lutto per i problemi di Gerusalemme e, in risposta alla sua petizione, gli fu permesso di salire in città a favore dell’opera. Sotto la direzione di Neemia, il popolo lavorava alle mura di Gerusalemme con le armi legate ai fianchi. Quelli che costruivano sulle mura, quelli che portavano i pesi e quelli che trasportavano, ognuno con una mano lavorava nell’opera e con l’altra teneva un’arma”. Così lavorammo nell’opera; e metà di loro tenevano le lance dal sorgere del mattino fino all’apparire delle stelle”.
Neemia, in questi tempi di difficoltà, fu una guida meravigliosa per Israele. Le sue lezioni al popolo sull’usura, sul salario e sull’affitto dovrebbero essere seguite dai cristiani di oggi. La ricostruzione di Gerusalemme in tempi difficili è un simbolo adatto per portare il Vangelo a tutte le nazioni negli ultimi giorni. Israele si è portato addosso questo problema con i suoi peccati e la sua mancanza di fede; e ciò che avrebbe dovuto fare per avvertire il mondo in pace e tranquillità, ha dovuto farlo in grande sofferenza. Inoltre, si noterà che pochi anni di riposo hanno sempre trovato il peccato e l’iniquità abbondanti in Israele. La nazione era appena uscita dalle mani di Babilonia quando il popolo teneva i propri fratelli come schiavi a causa dei debiti. Una proclamazione di libertà doveva venire dall’interno dei loro confini prima che potessero esserci pace e aiuto dall’esterno. Quando doveva venire dall’interno, la parola di Dio garantiva il sostegno anche dei loro nemici. Questi principi sono validi nel corpo dei cristiani di oggi. La diffusione del Vangelo sarà un’opera facile e sarà come la voce di un angelo potente che illumina il mondo, quando il popolo di Dio proclamerà la libertà tra di loro.
“Dall’inizio del comandamento di restaurare e costruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, passeranno sette settimane e sessantadue settimane” (7 + 62 = 69 settimane, o 483 giorni profetici, o anni letterali). Messia, in ebraico, e Cristo, in greco, sono la stessa cosa di “unto” in inglese. Dio ha unto Gesù di Nazareth con lo Spirito Santo. Questa unzione ebbe luogo al momento del suo battesimo. Le sessantanove settimane, o quattrocentottantatré anni, arrivano al battesimo di Cristo da parte di Giovanni nel fiume Giordano.Dal decreto di Artaserse, quattrocentocinquantasette anni arrivano all’anno 1 d.C., nella dispensazione attuale. Ma rimanevano ventisei anni delle sessantanove settimane (483 – 457 = 26), che terminavano con il battesimo di Cristo. Ventisei anni aggiunti all’anno 1 d.C. ci portano al 27 d.C., nell’autunno di quell’anno Cristo fu battezzato. Si veda Marco 1:10; Luca 3:21. Per anni la nazione ebraica aveva avuto la promessa di un liberatore. Alla fine delle sessantanove settimane i Giudei si trovarono sotto il controllo del quarto regno, la bestia spaventosa e terribile che Daniele ha già descritto. Il desiderio di ogni donna ebrea fedele al suo Dio era di essere la madre del Salvatore. Nelle riunioni di famiglia se ne parlava spesso; ogni volta che un bambino veniva presentato al Signore, era con la speranza che potesse essere l’eletto. Il luogo della nascita del Messia era stato predetto. Il fatto che Malachia avesse profetizzato su Giovanni è stabilito da sei fatti storici. Israele e Giuda accorsero sulle rive del Giordano e tra loro venne Gesù di Nazareth.
“E avvenne in quei giorni, che Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano. E subito, come usciva dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. E venne dal cielo una voce: «Tu sei il mio amato Figlio nel quale mi sono compiaciuto” (Marco 1 :9-11). Le sessantanove settimane si erano chiuse. Coloro che in quel momento stavano studiando le profezie di Daniele lo stavano cercando e credettero alle parole di Giovanni quando disse: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1: 29).
Cristo disse anche: “Il tempo è compiuto”, riferendosi al periodo profetico delle sessantanove settimane di Daniele. Ma la nazione nel suo insieme era cieca. “Venne ai suoi e i suoi non lo accolsero”. Avrebbero potuto saperlo. Il libro di Daniele era per loro da studiare. Lo stesso libro, insieme a quello dell’Apocalisse, annuncia l’ora del giudizio di Dio e la sua seconda venuta, ma gli uomini saranno colti alla sprovvista perché non ascoltano le profezie.
Come il battesimo di Cristo fu un segno dato da Gabriele per far conoscere agli ebrei il Messia, così la sua morte fu un secondo segno. Una settimana – sette anni – rimaneva del tempo assegnato alla nazione ebraica. Durante la metà di questo tempo – tre anni e mezzo – il Figlio di Dio camminò in mezzo al popolo. I malati furono guariti, egli consolò chi aveva il cuore spezzato e predicò il Vangelo ai poveri. Alti e bassi, ricchi e poveri, entravano nella cerchia della sua influenza.
“Nel mezzo della settimana”, disse l’angelo a Daniele, “egli farà cessare il sacrificio e l’oblazione”. Al tempo della festa di Pasqua, nella primavera del 31 d.C., tre anni e mezzo dopo il suo battesimo, Cristo fu crocifisso proprio da coloro che aveva cercato di salvare. Mentre la sua vita si spegneva, il velo interno del tempio si squarciò da cima a fondo. Il seggio della misericordia, visto solo dal Sommo Sacerdote una volta all’anno, fu aperto allo sguardo delle folle. Il coltello cadde dalla mano del sacerdote e l’agnello sacrificale fuggì. Dio aveva ritirato la sua presenza dal tempio. L’Agnello di Dio stesso era stato ucciso e il sacrificio e l’oblazione erano stati eliminati per sempre. Quelle cerimonie, che facevano da ombra alla morte del Salvatore, cessarono alla croce. Questo avveniva nel mezzo dell’ultima settimana delle settanta profetiche. La misericordia indugiava ancora sul popolo ebraico; c’era ancora un po’ di tempo per pentirsi. Ciò che non si era compiuto nella persona di Cristo, Dio, inviando il suo Spirito Santo, cercò di compierlo attraverso i suoi discepoli. Umili pescatori impregnati della potenza di Dio insegnavano al popolo, un Salvatore crocifisso e risorto. In un solo giorno tremila persone accolsero il messaggio. Ma mentre molti credevano, l’inimicizia di Satana fu nuovamente risvegliata. Nel 34 d.C., Stefano fu lapidato e, come risultato della severa persecuzione, il popolo si sentì in colpa. Ciò che seguì, fu, che i credenti furono cacciati da Gerusalemme e “andavano dappertutto predicando la parola”. Israele si era allontanato da Dio e il suo Spirito non poteva più proteggerli. In meno di quarant’anni la città fu conquistata dall’esercito di Tito, il tempio fu bruciato e i Giudei furono dispersi ai confini della terra, dove sarebbero rimasti fino alla consumazione di tutte le cose nel momento stabilito.
Non ci sono dubbi sull’accuratezza della data del 457 a.C. come inizio delle settanta settimane, perché è stabilita da quattro eventi: Il decreto di Artaserse, il battesimo di Cristo, la crocifissione e la diffusione del Vangelo tra i Gentili. La storia ha stabilito la data del 457 a.C. come settima di Artaserse grazie a più di venti eclissi.
I quattrocentonovanta anni possono essere calcolati a ritroso dalla storia del Nuovo Testamento o in avanti dal decreto di restaurare e costruire Gerusalemme.
Dei duemilatrecento giorni di Dan. 8:14, l’angelo ha dato gli eventi per i primi quattrocentonovanta anni. Rimanevano 1810 anni, 2300-490=1810.
I quattrocentonovant’anni si sono conclusi nell’anno 34 d.C. A ciò si aggiungono milleottocentodieci anni e si arriva all’anno 1844 d.C. A Daniele era stato mostrato l’evento che avrebbe segnato questo anno. Si trattava del giudizio investigativo e del messaggio del primo angelo dell’Apocalisse 14. Questo messaggio è stato dato nella memoria di molti che sono ancora in vita ed è noto come messaggio dell’avvento. Circa vent’anni prima della scadenza del periodo profetico dei duemilatrecento giorni, l’attenzione di alcuni uomini fu richiamata ad uno studio delle profezie. Il più importante tra questi studenti fu William Miller, che si convinse che il periodo profetico di Dan. 8:14 si sarebbe chiuso nel 1844. L’espressione “fino a duemilatrecento giorni il santuario sarà purificato” fu interpretata nel senso che alla fine di quel periodo la terra sarebbe stata distrutta dal fuoco alla seconda venuta di Cristo. Di conseguenza, tra il 1833 e il 1844 la venuta personale del Salvatore fu predicata in tutto il mondo. Gli uomini furono avvertiti, secondo le parole del messaggio del primo angelo di Apocalisse 14, che il giudizio era vicino e migliaia di persone si prepararono ad incontrare il Signore.
Quando l’anno 1844 passò e Cristo non apparve, molti persero la fede nelle profezie; ma altri, sapendo che la parola di Dio rimane sicura, furono portati a cercare più diligentemente l’evento che ebbe luogo alla fine del periodo profetico. Ulteriori studi hanno confermato la veridicità delle interpretazione del tempo, e rivelò anche la luce sulla questione del Santuario.
Per la prima volta gli uomini videro che il “santuario” di cui si parla nella visione di Daniele si riferiva all’opera in cielo e non sulla terra. Un’indagine sul servizio tipico istituito nel deserto ha rivelato l’opera di purificazione nel giorno dell’espiazione. Si è visto che l’opera del Sommo Sacerdote nel tabernacolo terreno era solo una figura del servizio in cui Cristo, il grande Sommo Sacerdote, entrò nel 1844. In quel momento entrò alla presenza dell’Antico dei Giorni, come si vede nella visione del settimo capitolo, e iniziò l’opera del giudizio investigativo, al termine del quale apparirà sulle nuvole del cielo. William Miller e altri che predicarono il secondo avvento nel 1844 si sbagliarono sull’evento, ma non sul tempo del periodo menzionato da Daniele.
Gli eventi che si verificarono tra il 34 d.C. e il 1844 d.C. sono descritti nella visione successiva, che fu data a Daniele, quattro o cinque anni dopo la visione del nono capitolo.
Poiché Gabriele spiegò con tanta cura e minuzia la storia degli Ebrei,
che come nazione erano senza scuse nel rifiuto del Figlio di Dio, possiamo aspettarci che questo stesso angelo della profezia fissi dei punti di riferimento alti e chiari, affinché gli uomini degli ultimi giorni possano conoscere il momento dell’apparizione di Cristo in giudizio e della sua seconda venuta sulle nubi del cielo.
Vegliamo e teniamoci pronti.
Poiché un’incomprensione della questione del santuario ha portato alla delusione del 1844, sembra opportuno dedicare un capitolo all’esame di questo importantissimo argomento.
Nella Bibbia vengono presentati tre santuari o templi. Il primo è il santuario celeste, dove Dio regna sul suo trono, circondato da diecimila angeli. Questo tempio è stato aperto allo sguardo incredulo del profeta solitario sull’isola di Patmos e anche a Mosè sul Monte Sinai. Il secondo Santuario, o Santuario terrestre, era un modello in miniatura di quello celeste, in cui i sacerdoti servivano sull’esempio e all’ombra del servizio nel tempio celeste. Per più di quattrocento anni, Dio ha progettato che il servizio si svolgesse nel santuario in ombra. Arrivò il momento in cui coloro che seguivano l’ombra, raggiunsero la sostanza. Due giorni prima della crocifissione, Cristo lasciò lentamente e con rammarico il tempio per l’ultima volta. I sacerdoti e i governanti furono colpiti dal terrore quando udirono le sue parole di dolore:
“Ecco, la vostra casa vi è lasciata desolata”. La bella struttura rimase fino al 70 d.C., ma aveva cessato di essere il tempio di Dio. Il Padre mostrò con un segno inequivocabile che la gloria se n’era andata. Quando le parole “È finito” furono pronunciate dal Sofferente sulla croce, il velo del tempio fu squarciato da cima a fondo da mani invisibili. Il terrore e la confusione prevalsero. “Il coltello alzato per uccidere il sacrificio cadde dalla mano senza forze del sacerdote e l’agnello fuggì.” D’ora in poi il peccatore non dovrà più aspettare un sacerdote per offrire il suo sacrificio. Il grande Sacrificio era stato compiuto.! Ogni figlio di Adamo poteva accettare il Suo sangue espiatorio. La via d’accesso al tempio celeste era ora resa manifesta. Il Santuario celeste aveva preso il posto di quello terreno. D’ora in poi la fede dell’uomo doveva entrare all’interno del velo, dove Cristo officiava. Il terzo tempio che viene presentato nella Bibbia è il tempio del corpo umano. Gli ebrei avevano perso di vista il fatto che il loro corpo doveva essere il tempio dello Spirito di Dio e quando il Salvatore disse: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”, pensarono solo alla massiccia struttura di marmo e pietra, risposero che aveva preso il posto del tempio terreno. quarantasei anni per costruire il tempio, senza rendersi conto che Gesù “parlava del tempio del suo corpo”. Dal Santuario celeste risplendono raggi di luce gloriosi su coloro che studiano l’opera tipica del Santuario terreno. Questi raggi, raccolti nel tempio del corpo, riflettono il carattere del nostro grande Sommo Sacerdote nelle corti celesti.
In principio il corpo dell’uomo fu creato per essere una dimora per lo Spirito Santo; ma Satana se ne impossessò e l’uomo prese parte a una natura malvagia. Prima che il corpo, possa tornare ad essere un tempio per lo Spirito di Dio, la natura malvagia deve morire. Cristo ha offerto la sua vita per il peccatore; prima della fondazione del mondo è stato considerato un “Agnello immolato”. Affinché l’uomo nella sua condizione decaduta potesse comprendere questo dono e l’opera di redenzione, il peccatore che desiderava crocifiggere “l’uomo vecchio”, la natura malvagia, fu incaricato di portare un animale innocente e di togliergli la vita, come lezione oggettiva dell’Agnello di Dio, e anche per illustrare il fatto, che la natura malvagia del peccatore deve morire, affinché lo Spirito Santo possa dimorare al suo interno.
Davanti alle porte del giardino di Eden, Adamo e la sua famiglia presentarono le loro offerte. Le loro menti limpide afferrarono per fede la promessa del Redentore, che avrebbe nuovamente aperto loro le gioie del giardino. Adamo, per fede, aspettava il momento in cui il Salvatore lo avrebbe condotto ancora una volta all’Albero della Vita e gli avrebbe chiesto di cogliere e mangiare il suo frutto vivificante. Quando prese la vita dell’agnello innocente e vide per fede “l’unico uomo senza peccato” che soffriva la morte per lui, il suo cuore si spense in amore e gratitudine a Dio per il Suo meraviglioso amore”, e per un po’ dimenticò il terribile dolore che gravava sulla sua anima. Ogni foglia che cadeva, se da un lato insegnava la morte di Cristo, dall’altro gli ricordava costantemente che il peccato aveva portato la morte in una terra fino ad allora perfetta. Mentre gli uomini vivevano vicino a Dio, gli altari erano illuminati dal fuoco del cielo. Ma questo culto perfetto fu rovinato. La mente di Caino divenne così accecata dal peccato che non riuscì a comprendere il sacrificio infinito.
Satana lo convinse che Dio era un giudice austero, che esigeva un servizio. L’amore e il sacrificio del Salvatore furono trascurati. Caino e Abele portarono ciascuno un’offerta alla porta del giardino; ma i desideri dei due cuori erano molto diversi. Abele portò un agnello, e mentre ne prendeva la vita, la sua fede si impossessava dell’Agnello di Dio. L’agnello fu deposto sull’altare, il fuoco balenò dalla spada lucente dei cherubini che custodivano la via verso l’albero della vita e il sacrificio fu consumato. Caino portò un’offerta di frutti. Non c’era nulla nella sua offerta che rappresentasse la morte del Calvario. Nessuna vita innocente fu presa in cambio della sua vita perduta. Attese che il fuoco lo consumasse, ma non c’era nulla che richiamasse il fuoco dell’Osservatore celeste. Non c’era nessun amore dolce, nessun desiderio di liberazione dalla schiavitù del peccato e della morte.
Caino e Abele sono i tipi di tutti gli adoratori da allora a oggi. I seguaci di Caino moltiplicarono le cerimonie e fecero offerte al sole e a vari altri oggetti. In questo modo trascuravano l’importantissimo principio che l’io deve morire e che Cristo deve vivere nel tempio del corpo umano. Anticamente ogni famiglia erigeva i propri altari. Il padre era il sacerdote della casa e gli succedeva il figlio maggiore. A volte il peccato separava il più anziano dalla famiglia e il carattere, anziché l’età, decideva chi dovesse fungere da sacerdote. Giacobbe conosceva il carattere dell’unico grande Sommo Sacerdote; e mentre giaceva con la testa sulla pietra di Betel e guardava gli angeli che scendevano su quel ragazzo glorioso, vedeva anche il Signore sopra di esso. Vide i suoi paramenti gloriosi e, a imitazione di quelle vesti, fece a Giuseppe un “mantello di molti colori”. Gli altri figli di Giacobbe non potevano comprendere queste belle verità. Persino il mantello era per loro oggetto di odio. Quando i fratelli vendettero Giuseppe, intinsero il mantello nel sangue e la sua bellezza fu rovinata. La vicenda rivelò che Giacobbe aveva letto bene il carattere di Giuseppe, perché in mezzo alle tenebre egiziane egli rifletteva la luce del cielo. Era un tempio per la presenza dello Spirito di Dio. Quando Israele uscì dall’Egitto, le loro menti erano così offuscate dal peccato che non vedevano più il Salvatore promesso nelle semplici offerte. Dio allora disse: “Mi facciano un santuario, perché io possa abitare in mezzo a loro”. Mosè trascorse sei giorni sul fianco della montagna in una profonda ricerca del cuore; poi la spessa nube di gloria che copriva il Monte Sinai si manifestò come un fuoco divorante agli occhi di tutto Israele e Mosè fu introdotto alla presenza della Divinità. Davanti al suo sguardo meravigliato si aprirono le bellezze del santuario celeste. Per quaranta giorni il Signore si mise in comunione con lui, dando indicazioni per costruire un’ombra di quella struttura celeste sulla terra. In mezzo all’idolatria dell’Egitto, Israele aveva perso la verità spirituale che il corpo è la dimora dello Spirito Santo. Non riuscivano nemmeno a concepire l’opera compiuta in cielo per l’uomo peccatore. Per raggiungere l’uomo nella sua condizione decaduta, Dio ha voluto costruire il tabernacolo terreno, affinché l’umanità potesse conoscere la natura dell’opera nel santuario celeste. In questo edificio, gli uomini divinamente designati dovevano compiere agli occhi del popolo un’ombra dell’opera che sarebbe stata compiuta nel santuario celeste dal Salvatore dell’umanità, quando avrebbe officiato come nostro Sommo Sacerdote. L’intera economia ebraica era una profezia compatta del Vangelo. Ogni atto del sacerdote nel servizio in ombra, mentre entrava e usciva, era una profezia dell’opera del Salvatore quando entrò in cielo come nostro Sommo Sacerdote. “Era il Vangelo in figure”, la lezione o l’asilo del Signore per i “bambini” d’Israele. Erano diventati bambini nella comprensione, e per raggiungerli Dio insegnò il Vangelo in un modo che i sensi potessero afferrare. Alla fine l’uomo divenne così depravato da non vedere la luce che brillava dalle leggi levitiche e dalle offerte sacrificali, e quando venne l’antitipo di tutte le loro offerte, lo rifiutarono.
Torniamo con l’immaginazione al tabernacolo del deserto e vediamo se riusciamo a scorgere il glorioso vangelo di Cristo che risplende dall’economia ebraica. Un uomo entra nella corte esterna con un agnello, che conduce alla porta del tabernacolo. Con solenne timore e con gli occhi alzati al cielo, posa la mano sulla sua testa, mentre le sue labbra in movimento, come quelle dell’antica Hannah, tradiscono il peso del suo cuore. Poi solleva il coltello e toglie la vita al sacrificio La sua fede si aggrappa all’Agnello sanguinante del Calvario, e il suo peccato rotola dal suo cuore appesantito al grande Sacrificio. Il sangue viene accuratamente raccolto ogni goccia è preziosa, perché per fede vede il vero sacrificio. Il sacerdote lo incontra, prende il sangue della vita sacrificata, e scompare dalla vista all’interno del primo velo, mentre l’adoratore attende con ansia il suo ritorno. Nell’infanzia suo padre gli aveva parlato dell’arca dell’alleanza rivestita d’oro”, dove c’era il vaso d’oro che conteneva manna, la verga di Aronne che germogliava e le tavole dell’alleanza; e sopra di essa i cherubini della gloria che ombreggiavano il trono della misericordia”. In alcuni momenti la gloria luminosa della shekinah sopra il trono della misericordia si manifestava e riempiva il Santuario. Gli era stato raccontato di quella tavola mistica, con i suoi dodici pani ricoperti d’ incenso; anche del bellissimo candelabro, le cui sette lampade sempre accese; di come le pareti dorate su entrambi i lati riflettessero la luce e come grandi specchi riproducevano continuamente le brillanti tonalità delle tende riccamente ricamate con i loro angeli splendenti. Prima del secondo velo, che nascondeva l’arca sacra, egli raffigurò l’altare, da cui saliva costantemente l’incenso profumato. Per fede vede il sacerdote porre il sangue del sacrificio espiatorio sui corni dell’altare.
La sua fede guarda oltre l’ombroso servizio, al momento in cui Cristo invocherà il suo sangue nel santuario celeste. È il sangue di un Salvatore crocifisso e risorto che egli vede nella lezione che lui stesso sta contribuendo a realizzare. Ben presto il velo viene sollevato e il sacerdote ritorna. L’offerta è stata accettata. Il sacerdote fa l’espiazione per lui ed è perdonato. Nella gioia e nella libertà del perdono prega: “Che l’influenza di tutti i miei peccati sia cancellata per sempre”.
Quando vede il sacerdote andare all’altare di bronzo nella corte, e “versare tutto il sangue in fondo all’altare”. Quando vede quel sangue, prezioso per lui, perché rappresenta la sua vita riscattata, la vita sacrificata del Salvatore, il suo cuore si riempie di gioia. Egli comprende il fatto che il decreto: “Maledetto il suolo per causa tua”. è soddisfatto in Cristo e che il Salvatore promesso purificherà la terra dagli effetti di tutti i suoi peccati. Il corpo dell’agnello giace ancora vicino alla porta del santuario, dove gli è stata tolta la vita. Egli si rivolge ad esso e con un coltello affilato separa dalla carne ogni particella di grasso: “tutto il grasso che ricopre le parti interne”, ecc. viene tolto e il sacerdote lo brucia sull’altare dell’olocausto come un sapore dolce al Signore”.
Il grasso viene consumato come tipo della distruzione finale, “Gli empi periranno;
i nemici del SIGNORE, come grasso d’ agnelli, saran consumati e andranno in fumo” (Salmo 37: 20).
Ogni peccatore che si aggrappa al peccato sarà distrutto con il peccato. Dio ha previsto che ognuno si separi dal peccato, affinché Egli possa distruggere il peccato e salvare il peccatore. Il grasso che bruciava sull’altare divenne un odore dolce davanti a Dio, perché rappresentava il peccato, che era stato separato dal peccatore e distrutto, mentre il peccatore viveva una nuova vita attraverso Cristo.
Il peccatore separava il grasso dal sacrificio; il sacerdote lo riceveva e lo immolava, illustrando la verità che dobbiamo cooperare con il Signore e, grazie a Cristo che lo rafforza, dobbiamo essere in grado di far fronte alle esigenze del Signore.
Mentre l’uomo cercava con cura il grasso, si rese conto più di prima che il suo corpo doveva essere il tempio dello Spirito Santo, e che quando il suo peccato passato viene perdonato e viene accettato, è perché possa diventare una dimora per lo Spirito di Dio. “La parola di Dio infatti è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a due tagli e penetra fino alla divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, ed è in grado di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore” (Ebrei 4:12).
Mentre passa attraverso l’ombroso cortile del tempio si rende conto di essere lui un tempio, “Ora, quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, vaga per luoghi aridi, cercando riposo e non lo trova. Allora dice: “Ritornerò nella mia casa da dove sono uscito”; ma quando giunge, la trova vuota, spazzata e adorna; va allora a prendere con sé altri sette spiriti peggiori di lui, i quali entrano e vi prendono dimora; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione malvagia» (Matteo 12: 43-45). Poi viene preparata una porzione di carne, che rappresenta il peccato, viene preparata
e mangiata dal sacerdote nel luogo santo. In questo atto il sacerdote insegnava ai figli di Israele la meravigliosa verità che Cristo, “Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, vivessimo per la giustizia; e per le sue lividure essere stati guariti” (1 Pietro 2: 24).
Ogni offerta separata presentava una fase diversa dell’opera di Cristo. L’incenso che saliva continuamente dall’altare era una lezione oggettiva dell’inesauribile ricchezza, della perfetta obbedienza, derivante dalla vita senza peccato del nostro Salvatore, che, sommato alle preghiere di tutti i santi, come vengono offerte sull’altare d’oro in cielo, le rende accettabili davanti a Dio.
Il profumo dell’incenso riempiva l’aria ben oltre la corte del tempio. Allo stesso modo la Dolce influenza dei cristiani che vivono una vita di fede in Dio, è sentita da tutti coloro che entrano in contatto con loro. Il fuoco veniva alimentato mattina e sera, rappresentando il culto mattutino e serale nella famiglia. “Tutta la moltitudine del popolo pregava senza che ci fosse l’ora dell’incenso”. Le lampade erano un tipo delle sette lampade di fuoco davanti al trono di Dio in cielo, che sono i sette Spiriti di Dio. Questi “sono gli occhi del Signore, che corrono di qua e di là per tutta la terra”.
” Il Sette denota lo Spirito di Dio completo che illumina ogni uomo che viene al mondo. I suoi raggi vivificanti conducono il cristiano verso la città celeste. La tavola d’oro conteneva il “pane della Sua presenza”, che rappresentava la dipendenza dell’uomo da Dio per l’aiuto e la forza temporali e spirituali.
L’arca era il centro di tutto il culto; era il primo articolo menzionato nella descrizione del Santuario. La legge nascosta in essa era il grande” metro di giudizio” e una copia perfetta di quella legge celeste davanti alla quale il carattere di ogni figlio di Adamo sarà giudicato dal tribunale celeste. Se questa legge testimonia un carattere purificato dal peccato grazie al sangue del sacrificio espiatorio, allora il loro nome sarà confessato davanti al Padre e ai santi angeli.
Il continuo bruciare di ciò che simboleggiava il peccato indicava il momento in cui il peccato e i peccatori saranno consumati nel fuoco dell’ultimo giorno.
Man mano che le ceneri si accumulavano sull’altare dell’olocausto, venivano accuratamente raccolte dall’altare; e a un certo punto il sacerdote si toglieva le vesti sacerdotali, portava le ceneri fuori dal cortile e le depositava in un “luogo pulito”. Non sono state gettate, con noncuranza da una parte, ma messe in un luogo pulito. Queste ceneri rappresentavano tutto ciò che rimarrà del peccato e dei peccatori dopo le fiamme dell’ultimo giorno.
“Poiché ecco, il giorno viene, ardente come una fornace; e tutti quelli che operano empiamente saranno come stoppia; il giorno che viene li brucerà»,
dice l’Eterno degli eserciti, «in modo da non lasciar loro né radice né ramo. 2 Ma per voi che temete il mio nome, sorgerà il sole della giustizia con la guarigione nelle sue ali, e voi uscirete e salterete come vitelli di stalla. 3 Calpesterete gli empi, perché saranno cenere sotto la pianta dei vostri piedi nel giorno che io preparo», dice l’Eterno degli eserciti” (Malachia 4:1-4).
In quel giorno le vere ceneri dei malvagi saranno lasciate su una “terra pulita”. Quando il padre ebreo si recava al santuario con il suo bambino, la mente del bambino sarebbe stata attratta dalle ceneri nel luogo pulito. Egli chiederebbe: “Perché quelle ceneri sono messe in un luogo pulito? Quando tu getti le ceneri del nostro fuoco sul letamaio?”. La risposta del padre spiegherebbe le bellezze della nuova terra, quando sarà resa simile all’Eden, e il peccato e il dolore saranno rimossi per sempre. Con esso sarebbe arrivata la dolce ammonizione di separarsi dal peccato e di mantenere puro il tempio del corpo, affinché nel grande giorno del rogo, il peccato possa essere consumato senza il peccatore, ed egli, sia tra i riscattati dal Signore. Gran parte del servizio e molte delle usanze dell’antico Israele avevano lo scopo di suscitare domande da parte dei bambini, affinché i genitori, che avevano una mentalità spirituale, li istruissero sulle vie di Dio.
Dopo aver parlato del modo particolare di mangiare la Pasqua, Dio aggiunge, “Quando i vostri figli vi chiederanno: “Che significa per voi questo rito?”, risponderete: “Questo è il sacrificio della Pasqua dell’Eterno, che passò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani, e risparmiò le nostre case”».
E il popolo si inchinò e adorò?” (Esodo 12:26-27), mostrando che intendeva che questo servizio avrebbe dovuto suscitare domande da parte dei bambini di tutte le età, e che i bambini conoscessero così il sangue salvifico del grande Agnello Pasquale. La vista del mucchio di pietre presso il Giordano doveva suscitare nella mente dei figli delle generazioni future delle domande che, se avessero avuto una risposta adeguata, li avrebbe resi consapevoli della potenza di Dio. Lo stesso vale per l’intero servizio ebraico. Il lebbroso che voleva essere purificato doveva portare due uccelli vivi e puliti, e legno di cedro e scarlatto e issopo. Il sacerdote ordinava che uno degli uccelli fosse ucciso in un recipiente di terra, sull’acqua corrente. L’uccello vivo, il legno di cedro scarlatto e l’issopo venivano immersi nel sangue, e il lebbroso veniva asperso con il sangue; poi l’uccello vivo veniva lasciato libero in campo aperto (Levitico 14:4-7).
Volava nell’aria, portando sulle sue piume il sangue, che era “tipo del sangue di Cristo” che purifica l’aria e rimuove tutti i germi del peccato e della morte. Ora la morte entra nelle nostre finestre, ma il sangue di Cristo ci darà una nuova atmosfera. La terra, l’aria e l’acqua sono elementi che compongono il nostro pianeta. Tutti sono contaminati dal peccato. Il vaso di terra contenente il sangue tenuto sopra l’acqua corrente, indicava il momento in cui la terra, l’aria e l’acqua sarebbero state liberate dalla maledizione del peccato, grazie al sangue di Cristo.
Il legno di cedro e l’issopo rappresentavano i due estremi della vegetazione, dal gigante della foresta. all’issopo sul muro. Venivano intinti nel sangue, insegnando così a Israele, che il sangue di Cristo avrebbe liberato l’intero mondo vegetale dalla maledizione e avrebbe rivestito di nuovo la terra della bellezza dell’Eden.
All’uomo potrebbe sembrare che la maledizione sia stata così profondamente segnata sulla terra, sull’aria e sul mare che non avrebbe mai potuto essere rimossa; ma il piccolo pezzo di lana scarlatta, intinto nel sangue con l’uccello vivo, il cedro e l’issopo, erano una promessa ,che il sangue di Cristo avrebbe rimosso i segni più profondi dalla terra maledetta dal peccato. Abbiamo il sacrificio vero e proprio da studiare così come un’ombra. Il tipo ha incontrato l’antitipo.
Il sangue di Cristo è stato versato; il prezzo è stato pagato che ripristinerà la purezza della terra, dell’aria e del mare.
La terra maledetta dal peccato ha ricevuto il sangue di Cristo mentre pregava nel giardino.
“Dalle mani e dai piedi il sangue cadeva goccia a goccia sulla roccia perforata ai piedi della croce”. Così attraverso le ferite passò il prezioso sangue. Dalla ferita nel Suo costato “sgorgarono due flussi copiosi e distinti, uno di sangue e l’altro di acqua. “Il sangue di Cristo è entrato in contatto con la terra, l’aria e l’acqua. Anche i due estremi della vegetazione si sono incontrati al Calvario.
La croce era fatta di legno preso dagli alberi della foresta; “Or c’era là un vaso pieno d’aceto. Inzuppata dunque una spugna nell’aceto e, postala in cima ad un ramo d’issopo, gliela accostarono alla bocca. Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: «È compiuto».” C’era forse un antitipo dello scarlatto mentre il Suo sangue sgorgava da quelle ferite crudeli? Sì, in Gesù appeso alla croce, livido, deriso e sanguinante, il ladrone vide l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. La speranza si accese nella sua anima ed egli si gettò sul Salvatore morente Con fede nella certezza che Cristo avrebbe posseduto il regno, gridò:
“Signore, ricordati di me, quando sarai nel Tuo regno”.
In un tono dolce e melodioso, pieno di amore, la risposta fu prontamente data:
“In verità ti dico oggi: sarai con me in paradiso”. Mentre queste parole venivano pronunciate, l’oscurità intorno alla croce è stata trafitta da una luce viva. Il ladro ha provato la pace e la gioia dei peccati perdonati. Cristo è stato glorificato.
Mentre tutti pensavano di vederlo sconfitto, Egli era il conquistatore. Non potevano privarlo del suo potere di perdonare i peccati. Il tipo ha incontrato pienamente l’antitipo; il prezzo è stato pagato; il sangue del Redentore del mondo è stato versato sulla terra. È sceso nell’ aria dalla croce crudele. È sgorgato con l’acqua dalla ferita della lancia crudele. Anche gli estremi della vegetazione vennero a contatto con essa, e colui i cui peccati erano come scarlatto, sperimentò la pace di averli resi bianchi come la neve grazie al prezioso sangue, anche mentre scorreva dalle ferite aperte. Le varie feste nel corso dell’anno rappresentavano diverse fasi del Vangelo. La Pasqua era un tipo di Cristo in senso particolare.
Cristo è la nostra Pasqua. Le primizie offerte il terzo giorno dopo l’uccisione dell’agnello pasquale, insegnavano la risurrezione di Cristo. Il tipo ha incontrato antitipo, e si è adempiuto quando Cristo, la primizia di coloro che dormivano, è uscito il terzo giorno e si è presentato al Padre. Durante le varie funzioni dell’anno, tutto indicava l’Agnello di Dio, e allo stesso tempo insegnava la lezione della purificazione del corpo e di mantenere puro il tempio per lo Spirito di Dio. In autunno, il decimo giorno del settimo mese, si svolgeva il servizio di coronamento dell’anno. Tutti gli altri servizi erano una preparazione a questo.
Giorno per giorno i peccati del popolo erano stati trasferiti, in forma di tipo e di ombra, al sacerdote e al santuario, e una volta all’anno questi dovevano essere purificati e i peccati rimossi per sempre. Gabriele rivelò a Daniele l’antitipo del tempo di purificazione del santuario terreno: “Fino a duemilatrecento giorni, allora il santuario sarà purificato”. Questo periodo di purificazione, che abbiamo trovato nello studio del nono capitolo di Daniele, iniziò nel 1844. La copertura dell’arca nel Santuario celeste fu allora sollevato e la legge di Dio fu vista dal popolo, non spezzata, ma integra. In mezzo alla legge, tracciate le parole: “Il settimo giorno è il sabato del Signore, tuo Dio, non farai alcun lavoro”. Si sono risvegliati e si sono accorti che avevano riposato il primo giorno della settimana invece del settimo. Mentre guardavano la legge, un’aureola di luce sembrava il quarto comandamento, che per tanti anni è stato calpestato. Con riverenza hanno ascoltato le parole:
“Se tu trattieni il piede dal violare il sabato, dal fare i tuoi affari nel mio santo giorno, se chiami il sabato delizia, il giorno santo dell’Eterno, degno di onore, se lo onori astenendoti dai tuoi viaggi, dallo sbrigare i tuoi affari e dal parlare dei tuoi problemi, allora troverai il tuo diletto nell’Eterno, e io ti farò cavalcare sulle alture della terra e ti darò da mangiare l’eredità di Giacobbe tuo padre, poiché la bocca dell’Eterno ha parlato»” (Isaia 58:13-14).
Pensarono alle loro vie e si affrettarono, e non hanno tardato a osservare i comandamenti, Il periodo del giudizio investigativo si aprì nel 1844, quando ogni carattere doveva essere misurato con lo standard della legge di Dio. Come l’opera si è aperta in cielo, era volontà di Dio che sulla terra il suo popolo mettesse alla prova la sua esistenza con la legge di Dio e di entrare in armonia con i i Suoi santi precetti. Il giorno dell’espiazione era il tipo del giudizio. Questo era il giorno più solenne dell’anno per l’antico Israele. Quando il sole indorava le colline occidentali della Giudea, il nono giorno del settimo mese, la tromba fu suonata in tutto Israele. L’avvertimento solenne della tromba produsse un forte effetto in ogni casa. Tutti i lavori furono messi da parte e regnò la quiete. Non era il riposo ordinario del sabato settimanale, perché non c’era la solita preparazione dei cibi e la cottura a vapore che si fanno di solito durante la preparazione del sabato. Non fu preparato alcun cibo, perché non si trattava di una festa, ma di un giorno di digiuno.
Il padre di famiglia radunò la sua famiglia intorno a sé e lesse dal Libro sacro: “Non farete alcun lavoro. È una legge perpetua per tutte le vostre generazioni, in tutti i luoghi dove abiterete. Sarà per voi un sabato di riposo, in cui umilierete le anime vostre; il nono giorno del mese, dalla sera alla sera seguente, celebrerete il vostro sabato» (Levitico23:31-32).
Con la preghiera, il digiuno e un profondo esame di cuore il giorno fu trascorso dall’Israele di Dio. Con solenne soggezione ripetevano: “Qualunque anima non sarà afflitta in quello stesso giorno, sarà eliminata dal Suo popolo”. Nelle case dei gentili intorno a loro si mangiava e beveva con tutte le attività della vita quotidiana, ma nelle case d’Israele regnava la quiete. Nella corte del tempio tutto era in attività.
Fu portato il giovenco senza difetti e il sommo sacerdote impose le mani sul suo capo, confessando i suoi peccati e della sua famiglia. Poi fu sgozzato e con il suo sangue espiò per sé e per la sua famiglia, affinché fosse pronto a svolgere il servizio solenne del giorno. Quando uscì, dopo aver presentato il sangue del giovenco davanti al Signore, furono portati due capri, e tirati a sorte, uno fu scelto come capro del Signore, mentre l’altro, Azazel, il capro espiatorio, rappresentava il maligno. Il capro del Signore fu ucciso. Quando uscì, dopo aver presentato il sangue del giovenco davanti al Signore, furono portati due capri, e tirati a sorte, uno fu scelto come capro del Signore, capro del Signore fu ucciso.
“Poi prenderà i due capri e li farà stare davanti al Signore all’ingresso della tenda del convegno e getterà le sorti per vedere quale dei due debba essere del Signore e quale di Azazel. Farà quindi avvicinare il capro che è toccato in sorte al Signore e l’offrirà in sacrificio espiatorio; 10 invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti al Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e sia mandato poi ad Azazel nel deserto” (Levitico 16:7-10).
Con il suo sangue e l’incensiere d’oro il sacerdote entrava nel secondo velo del santuario. Avvicinandosi al trono della misericordia con la luce gloriosa della shekinah che brillava sopra di essi cospargeva “molto incenso” sui carboni nel turibolo, “Il Signore disse a Mosè: «Parla ad Aronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualunque tempo nel santuario, oltre il velo, davanti al coperchio che è sull’arca; altrimenti potrebbe morire, quando io apparirò nella nuvola sul coperchio” (Levitico 16:2).
Poi con le spalle rivolte al sole che sorgeva, asperse il sangue espiatorio sette volte sopra e davanti alla legge infranta nell’arca. Si fermò nel luogo santo e fece l’espiazione per esso e per la tenda di convegno. L’altare d’oro, che tante volte durante l’anno aveva testimoniato i peccati di Israele con le macchie scarlatte sulle sue corna, era ora da ogni contaminazione grazie al sangue del capro del Signore. Le persone rimaste fuori ascoltavano con attenzione il suono delle campane sulle sue vesti, mentre si muoveva nel santuario.
“Aaronne poserà entrambe le sue mani sulla testa del capro vivo e confesserà su di esso tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati, e li metterà sulla testa del capro; lo manderà poi nel deserto per mezzo di un uomo appositamente scelto. Il capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in terra solitaria; e quell’uomo lo lascerà andare nel deserto. Poi Aaronne entrerà nella tenda di convegno, si spoglierà delle vesti di lino che aveva indossate per entrare nel santuario e le lascerà lì. E laverà il suo corpo nell’acqua nel luogo santo, indosserà le sue vesti e uscirà ad offrire il suo olocausto e l’olocausto del popolo, e farà l’espiazione per sé e per il popolo” (Levitico 16: 21-24).
L’opera di riconciliazione è terminata, Dio e l’uomo erano uno.
L’espiazione era stato fatto in modo figurato. I peccati di separazione sono stati rimossi. Il popolo si rallegrò in Dio che li aveva accettati e che i loro peccati erano tutti rimossi davanti al Signore. Mentre il Sommo Sacerdote faceva tutto questo, i loro cuori si riempirono della pace che supera ogni comprensione, loro lodavano Dio per il meraviglioso dono del suo amore nel dare Suo Figlio a morire per l’uomo peccatore, liberandolo dal peccato e dalla morte.
Questo era il tipo. Cosa significa per noi l’antitipo?
Dal 1844 il mondo ha vissuto nel grande giorno antitipico dell’espiazione. Il giudizio investigativo si è svolto nella sessione in cielo. Nel tipo il popolo doveva controllare i propri appetiti e considerare i propri interessi economici secondari rispetto al culto di Dio. Questo è dimostrato dal fatto che il giorno dell’espiazione nel tipo era un giorno di riposo e di digiuno. Viviamo nel tempo in cui il nostro grande Sommo Sacerdote
sta purificando il Santuario celeste, rimuovendo i registri dei peccati. Siamo ammoniti di pentirci e di convertirci, affinché i nostri peccati siano cancellati “quando i tempi di grazia verranno dalla presenza del Signore.
Quando la riconciliazione è completata e l’ultimo caso è deciso nel giudizio finale del cielo, il Salvatore pronuncerà il decreto:
” Chi è ingiusto continui ad essere ingiusto, chi è immondo continui ad essere immondo, chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo continui a santificarsi. Ecco, io vengo presto e il mio premio è con me, per rendere ad ognuno secondo le opere che egli ha fatto (Apocalisse 22:11-12).
Ogni caso sarà deciso per l’eternità. Satana, il grande istigatore di tutti i mali, il capro espiatorio antitipico entrerà in scena per la sua parte di servizio. Nel tipo i peccati venivano deposti sul capro espiatorio alla presenza della comunità; nell’antitipo, il Salvatore, alla presenza del Padre, degli angeli di Dio, di tutti i redenti. e l’esercito, farà ricadere i peccati dei giusti sulla testa di Satana e un angelo potente lo condurrà sulla terra desolata, dove rimarrà per mille anni. Alla fine dei mille anni, egli andrà nel fuoco che distrugge la terra. Il tipo incontrerà pienamente l’antitipo quando tutti i peccati dei giusti saranno bruciati con Satana e non rimarranno che le ceneri in un “luogo purificato”. Si vedrà allora che “Satana non solo porterà il peso e la punizione dei suoi peccati, ma anche dei peccati della schiera dei redenti, che gli erano stato attribuito; e deve anche soffrire per la distruzione delle anime che lui ha causato”. I peccati di Israele non saranno mai più trovati. Le azioni precedenti non saranno ricordate, né torneranno alla mente. Per tutta l’eternità, la gioia e la pace regneranno per sempre. Il profeta Dice: “Egli metterà fine a tutto”; l’ afflizione non sorgerà una seconda volta”. Il tipo deve essere conforme all’antitipo.
Il grande Sommo Sacerdote del cielo sta ora svolgendo il suo servizio. State facendo la vostra parte? Nelle case sparse su tutta la terra; i fedeli figli di Dio realizzeranno l’antitipo nel modo in cui Dio ha indicato agli israeliti di trascorrere il tipico giorno dell’espiazione. Il sacerdote avrebbe potuto svolgere il servizio nel tempio perfettamente, ma a meno che, la gente nelle loro case digiunasse, riposasse e pregasse, l’opera non sarebbe stata di alcun aiuto per loro. Ogni israelita che mangiava e si comportava come i gentili che lo circondavano nel giorno dell’espiazione, era escluso dal popolo di Dio. La vostra casa è un luogo dove l’appetito è controllato? I vostri interessi commerciali sono secondari rispetto all’opera di Dio? State prestando attenzione alle parole del Salvatore?
“«Or fate attenzione che talora i vostri cuori non siano aggravati da gozzoviglie, da ubriachezza e dalle preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno vi piombi addosso all’improvviso” (Luca 21:34).
Ci saranno i centoquarantaquattromila, coloro che terranno conto dell’avvertimento nel timore di Dio compiranno l’antitipo. Mentre Cristo in cielo intercede fedelmente per loro, essi presenteranno i loro corpi come sacrificio vivente, “Santo, gradito a Dio, affinché Dio sia glorificato”.
Gli ultimi tre capitoli del libro di Daniele sono inseparabili, poiché si riferiscono all’ultima visione annunciata dal profeta. Il decimo capitolo è propedeutico a una storia dettagliata del mondo. ed è prezioso per le importanti lezioni spirituali che contiene. Daniele era un uomo anziano e si stava avvicinando alla fine di una lunga e movimentata carriera, ma i suoi ultimi giorni sono stati pieni di ansia per il suo popolo: portava ancora nel suo cuore il peso della loro prigionia, Dal momento che gli eventi registrati nel nono capitolo, era nella fossa dei leoni, spinto lì a causa del l’odio crudele degli uomini che occupano posizioni elevate. La sua vita devota è stata un costante rimprovero alla corruzione degli uomini in carica, ed essi cercarono di distruggerlo, ma Dio mise questi uomini in confusione testimoniando la purezza della vita di Daniele. Il profeta era stato tenuto in grande considerazione da Dario il
Medo, e alla sua morte con l’ascesa di Ciro, Daniele rimase a corte, come consigliere del re. Ciro, nel primo anno del suo regno, aveva emanato un decreto di liberazione per gli ebrei. lo Spirito di Dio aveva supplicato il cuore del re, ed egli sentiva di essere stato messo al potere per quello scopo. Quando, dopo che erano state prese tutte le disposizioni per il ritorno, solo una piccola parte dei Giudei ne approfittò, Ciro cominciò a dubitare della saggezza del decreto. Era per gli ebrei come per i peccatori di oggi. Il perdono viene concesso e la libertà offerta, ma essi scelgono di rimanere nel peccato fino a ricevere la pena – la morte. I peccati di Babilonia abbagliarono gli occhi degli Ebrei che li videro e la voce del loro Dio non è stata udita se non debolmente (Eze. 33: 30-32).
Daniele non riusciva a capire la situazione. La condizione spirituale del suo popolo pesava molto su di lui, e l’atteggiamento mutevole del comportamento del re lo preoccupava. Pensò alla visione precedente e si chiedeva se potesse essere possibile che il suo popolo – gli ebrei – si aggrappassero ai peccati di Babilonia, fino a quando non sarebbero stati travolti dalle persecuzioni descritte come appartenenti agli ultimi tempi, anche se le parole pronunciate da Gabriele sembravano di facile comprensione. due anni dopo il decreto di Ciro, Daniele decise di umiliare il suo cuore davanti a Dio con la preghiera ed il digiuno, fino a quando non avesse capito la questione. Non praticò l’astinenza totale dal cibo, perché questo digiuno non era di un giorno. Ma si ritirò dalla tavola del re e si cibava del cibo più semplice, trascorrendo molto tempo in preghiera e studiando. Il suo scopo era quello di sottomettere l’appetito in modo tale che i bisogni fisici non avrebbero ostacolato il suo desiderio di insorgenza spirituale. La vita spirituale dell’uomo troppo spesso partecipa alla forma del suo corpo per l’eccessiva indulgenza dell’appetito. L’anima dovrebbe controllare il corpo e non essere appesantita da esso. Questa condizione Daniele cercò di raggiungere. Cercò anche di rafforzare la mente ritirandosi in un luogo tranquillo sulle rive del fiume Tigri. Portò con sé alcuni uomini come compagni. Senza dubbio si trattava di ebrei che sentivano anch’essi un peso per Israele. La solitudine del luogo, lo scorrere veloce del fiume, gli alberi alti e il cielo limpido, condussero la mente del profeta alla ricerca del suo Dio. Per tre settimane cercò così la luce e la verità. Poi alzò gli occhi e vide il Figlio di Dio al suo fianco, lo stesso che era apparso a Giovanni sull’isola di Patmos. Lo splendore che brillava intorno a Michele era troppo grande per gli occhi dei compagni di Daniele e si affrettarono a nascondersi. Il volto di Cristo era come un lampo, e mentre fissava la forma prostrata di Daniele, gli altri uomini fuggirono per salvarsi. Ma ciò che sarebbe stata la morte per coloro che nutrivano il peccato, era vita per colui che aveva un carattere puro. La feccia era già stata consumata in precedenza, e la luce risplendeva sul profeta come la luce del sole su uno specchio. Il Figlio di Dio è talmente pieno di vita che i suoi occhi apparivano come lampade di fuoco, lampeggianti di luce. *È lui che dice: “Ti guiderò con il mio occhio”. Daniele riuscì a sopportare lo sguardo, ma i suoi compagni sentirono che quegli occhi bruciavano nelle loro stesse anime, e si nascosero al Suo sguardo. Alle orecchie di Daniele, abituate per lunga esperienza ai suoni celestiali, la voce del “Uomo Unico” era come la voce della moltitudine, o come il suono di molte acque, chiaro e bello. Per le orecchie umane, ottuse di udito, è come un tuono (Daniele 10: 6-9).
Gli Ebrei, al tempo in cui i Greci si avvicinarono a Cristo, ebbero un’esperienza simile a quella dei compagni di Daniele. Mentre Cristo sedeva nel cortile del tempio, il bagliore illuminava la sua testa e la voce, che per lui era la voce di Dio, per loro suonava come lo schianto di un tuono. Daniele fu lasciato solo alla presenza del Figlio di Dio e mentre confrontava la propria condizione con quella di Cristo, sembrava un pezzo di argilla, un vaso rotto, scomodo e inutile. “Il mio vigore si è trasformato in corruzione, e non ho conservato alcuna forza. Si aggrappò alla
terra fredda, con la faccia rivolta a terra in un sonno, indifeso nelle mani di Dio.
“Che cos’è l’uomo perché Tu ti occupi di lui, o il figlio dell’uomo perché Tu lo visiti?” Allora Gabriele, l’angelo che aveva parlato così spesso con Daniele, lo toccò con la mano, e sollevò il suo corpo prostrato. Disse: “0 Daniele, uomo molto amato, comprendi le parole che ti dico e stai in piedi; perché a te sono stato mandato”. C’era potere nel tocco della mano dell’angelo. C’era potere nel tocco della mano del Salvatore. Quando era sulla terra, la virtù, la vita, il potere di guarigione di Dio, erano irradiati costantemente da Lui. Poteva toccare il lebbroso e una corrente di vita scorreva da Lui alla persona malata. Così è stato per il tocco di Gabriele. Colui che si trovava alla presenza di Dio era così pieno di vita che, quando posava la mano sull’uomo, un brivido di vita veniva percepito in ogni nervo. Può essere così per gli abitanti di oggi. Il seguace di Cristo dovrebbe avere la corrente vitale così forte dentro di sé che il peccato sia respinto e la malattia sia allontanata da lui.
“Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma non si avvicineranno a te”, è una promessa. Cristo è venuto perché potessimo avere l’abbondanza della vita, il calice pieno fino a traboccare. Non ci rendiamo conto del nostro privilegio.
Erano passate tre settimane intere da quando Daniele aveva iniziato a pregare e Gabriele spiegò la causa del ritardo. Fin dal primo giorno di digiuno le sue parole erano state ascoltate, ma la loro risposta richiedeva la collaborazione di Ciro, il re persiano. Così mentre Daniele aspettava, ignaro dell’opera del cielo in suo favore, e poco sognando i desideri nel cuore del re, Gabriele era stato alla corte persiana a supplicare Ciro. Ci si può chiedere come Gabriele lavori. I dettagli non sono forniti, ma una cosa è certa: fino al momento del rifiuto di una nazione, gli angeli sono sempre in mezzo ai loro consigli. Gli uomini saranno portati a prendere posizioni per la verità, non conoscendo il vero motivo delle loro decisioni. Il Santo Osservatore è un testimone costante nelle aule legislative oggi, e ogni decreto giusto è il risultato di un impulso proveniente dal trono di Dio. Questa influenza era all’opera nel cuore di Ciro, e le suppliche di Daniele erano così pressanti che Cristo stesso venne di persona ad aiutare Gabriele. A Daniele sembrò senza dubbio che la sua preghiera fosse rimasta inascoltata, ma Dio stava elaborando la risposta in un modo sconosciuto al profeta. Se avesse smesso di intercedere al termine di una settimana, o alla fine di due settimane, la storia di un intero popolo sarebbe stata cambiata.
La promessa è: “Avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi” (Isaia 65: 24).
Dio spesso mette alla prova la forza dei nostri desideri quando trattiene una risposta immediata alla nostra preghiera. “Sai perché sono venuto da te?”, chiese Gabriele. “ora sono venuto per farti intendere ciò che avverrà al tuo popolo alla fine dei giorni, poiché c’è ancora una visione per quei giorni». Mentre egli parlava con me in questa maniera, chinai la faccia a terra e ammutolii” Daniele cadde a terra e il respiro si spense dal suo corpo. Questa era la sua condizione durante la visione. Non era in grado di parlare finché Cristo non gli toccò le labbra. Poi parlò Gabriele, che stava al fianco di Daniele per rafforzarlo e per spiegargli la storia degli ultimi giorni. Dio ha avuto molti profeti. L’effetto dello Spirito sull’essere umano quando è in visione è inspiegabile. C’è una presenza potente che pervade così tanto l’essere fisico che non ha la forza di agire da solo. Il respiro lascia il corpo, e la voce di Dio parla attraverso lo spirito umano. Gli occhi rimangono aperti, come Balaam ha descritto la sua condizione, ma la persona vede cose al di fuori del mondo. Spesso viene portato ben oltre i confini della terra, come nel caso di Ezechiele, Giovanni e Paolo. L’attrazione della Terra viene spezzata e, con un angelo guida, il profeta visita altri luoghi, o futuro, leggendovi la storia degli uomini e delle nazioni. Quando il carbone vivo dell’altare viene su quelle labbra, pronunciano parole di saggezza celeste. Isaia ha vissuto questa esperienza. Per la terza volta Gabriele espresse l’amore di Dio per Daniele, aggiungendo: “Pace a te; sii forte”. Con la parola e con il tocco Gabriele ha rafforzato il profeta dai capelli grigi. Allora fu pronto per la rivelazione e disse: “Parli pure il mio Signore, perché mi hai rafforzato”.
Le cose che sono note nella storia della verità sono state raccontate da questo grande rivelatore. L’uomo non vede come vede Dio, e nella sua miopia, spesso enfatizza ciò che non è importante, e passa sopra con leggerezza ad eventi universali. Ma quando la storia è data nella Parola di Dio, è una cronaca di quelle cose che sono “annotate nelle Scritture della verità”. Questo fatto si nota nella storia dei re persiani, che è contenuta nei versi successivi. Nella maniera più sintetica possibile, Gabriele tocca gli eventi di centinaia di anni, ma mette in evidenza le cose, che sono state riportate altrove nella Parola di Dio e che possono essere comprese solo attraverso un attento studio di altri libri della Bibbia. Per comprendere la storia della Persia, è necessario studiare attentamente Esdra, Ester, Neemia, Aggeo e Zaccaria. Questi libri riportano la storia all’epoca della massima forza della Persia, fino al periodo in cui quella
nazione lavorava per Dio e per il suo popolo. Allora, e non fino ad allora, il libro tace.
L’angelo iniziò con la storia del regno persiano, poiché al momento della visione la monarchia babilonese era completamente scomparsa. Era il terzo anno dell’unico regno di Ciro e il quinto da quando Dario il Mede aveva preso Babilonia. Si ricorderà che Daniele aveva visto le varie nazioni, man mano che sorgevano una dopo l’altra nella corrente del tempo. Dio è l’unico storico perfetto e autentico; l’unica testimonianza imparziale degli eventi nazionali si trova nelle Scritture. Gli uomini registrano gli atti, ma solo Dio può dare a questi atti la loro giusta collocazione nel grande dramma della vita. C’è una catena ininterrotta di eventi, un filo di seta nella rete della vita, una sorgente perpetua nella marea delle vicende umane. Questo è il resoconto dei rapporti di Dio con il suo popolo eletto. La storia egiziana è annotata nel Libro ispirato del mondo, ma solo in quanto ha svolto un ruolo in relazione al popolo di Jahwè. Allo stesso modo l’Assiria, Babilonia, la Grecia e Roma; qualunque sia la nazione e qualunque sia il suo posto nel tempo, la sua storia viene ricordata dallo storico divino solo nel periodo in cui è stata uno strumento nelle mani di D-o per diffondere la Sua verità o per proteggere il Suo popolo. Il regno medo-persiano è nato per questo scopo e, quando ha compiuto quest’opera e lo Spirito di Dio si è ritirato, è uscito dalla scena dell’azione. L’impero medo-persiano nacque quando i tempi erano maturi per la liberazione di Israele dalla schiavitù di Babilonia. Il primo re dell’impero unito fu Dario il Medo. Quando salì al trono era un uomo molto avanti con gli anni: sessantadue anni, si legge. Ma durante tutto il suo regno, Gabriele gli fu accanto “per confermarlo e rafforzarlo”. A Dario fu data l’opportunità di liberare i Giudei. Lo Spirito di Dio lo supplicò e portò Daniele in suo favore, tanto che egli collocò il profeta nella terza posizione del regno. Dario conosceva Dio e la sua potenza, perché fu lui a passare la notte insonne in preghiera mentre Daniele era nella fossa dei leoni. Dario, tuttavia, non compì un’opera grandiosa per il Signore. Regnò solo due anni, poi Ciro prese il regno.
Dall’ascesa di Ciro fino alla fine della storia di Medo-Persia, Gabriele lavorò con i re. Le sue prime parole a Daniele in quest’ultima visione sono queste: “Ora ti farò conoscere la verità.
In Persia sorgeranno ancora tre re; poi il quarto diventerà molto più ricco di tutti gli altri e quando sarà diventato forte con le sue ricchezze, solleverà tutti contro il regno di Grecia” (Daniele 11: 2).
Quando, dunque, l’influenza di Dio si sarebbe ritirata dal re di Persia, nessun potere sulla terra avrebbe potuto aiutarlo. Questo pensiero fu enfatizzato quando si vide il rozzo caprone incontrare l’ariete sulle rive del fiume Granicus. Ricchezza, armi e influenza erano inutili. Dei sette anni di regno di Ciro, il terzo era già iniziato al momento della visione. Il suo primo atto registrato, una volta conquistato il regno, fu la proclamazione del libero dominio ai Giudei. La notizia fu annunciata in tutto il paese. Non ci vollero più di dodici mesi perché il messaggio raggiungesse gli angoli più remoti dell’impero dove si potevano trovare gli ebrei. Tutti gli incentivi che il monarca poteva offrire furono offerti a quel popolo. La lentezza dei movimenti da parte di alcuni e l’assoluta inattività della grande maggioranza sorpresero Ciro oltre ogni misura. È uno dei commenti più tristi di tutta la Bibbia sulla perversità del cuore umano e sul suo desiderio di aggrapparsi al peccato.
Se si ricorda che Babilonia era la personificazione di tutte le nefandezze, che l’ingiustizia e l’oppressione abbondavano, e che il decreto di Ciro era un richiamo di Dio alla libertà e alla purezza di vita, l’effetto di vivere a lungo anche in vista del peccato dovrebbe sconvolgere. Questa è un’immagine del modo in cui le chiamate di Dio sono state trattate più e più volte. Qui si vede l’esatta controparte di ciò che si fa oggi quando si chiede a Dio di abbandonare la moderna Babilonia. Uno dei motivi per cui gli Ebrei tardarono a ritirarsi dall’antica Babilonia fu perché i bambini e i giovani erano stati trascurati durante il periodo della guerra. i settant’anni di cattività. Le case ebraiche avrebbero dovuto essere scuole, per formare questi bambini per la città di Gerusalemme. Invece, i bambini ebrei frequentarono le scuole babilonesi, si mescolarono alla società babilonese, indossarono l’abbigliamento babilonese, parlarono, mangiarono e si comportarono come i babilonesi; di conseguenza, quando giunse il momento di lasciare Babilonia, non ebbero alcun desiderio di partire.
Se la razza ebraica fosse stata fedele alle sue prerogative, avrebbe potuto fondare scuole di profeti, da cui la luce si sarebbe irradiata in tutte le parti del regno. Questa opportunità fu offerta nei primi giorni della capitolazione, quando Nabucodonosor fu testimone del fatto che tutto il sapere caldeo non valeva un decimo di quello che Dio poteva insegnare. Daniele e i suoi compagni furono messi in favore.
Se a quel tempo fossero state istituite delle scuole, i giovani caldei sarebbero stati senza dubbio educati dai Giudei e nella religione dei Giudei. Dio ha sempre voluto che Israele fosse l’insegnante del mondo; e anche dopo che il peccato li aveva condotti in schiavitù, diede loro l’opportunità di insegnare ai loro rapitori e ai figli dei loro rapitori. Israele lo fece? La fine dei settant’anni è la risposta al decreto di Ciro, rispondono: no. Non insegnarono agli altri; non riuscirono a insegnare nemmeno ai propri figli. Di conseguenza, migliaia di persone perirono con Babilonia.
Coloro che salirono a Gerusalemme erano tiepidi nel loro servizio e pronti ad arrendersi di fronte alla minima opposizione. Quando fu posta la prima pietra del tempio, i vecchi piansero perché non era all’altezza del suo splendore del tempio di Salomone. e l’influenza esercitata per far venire altri da Babilonia era scarsa. Non c’è da meravigliarsi se, dopo aver aspettato due anni interi per vedere i risultati, Ciro era perplesso e stupito dell’esito. Non c’è da stupirsi che Daniele abbia dovuto aspettare tre settimane per avere una risposta alla sua preghiera, mentre Gabriele e Michele imploravano Ciro, che era sconfortato! Ciro era pronto, se gli Ebrei avessero fatto la loro parte, a fare di Gerusalemme la gloria di tutta la terra. Invece, non troviamo traccia di ulteriori opere di questo re. Egli morì e l’opera che avrebbe potuto compiere fu solo parzialmente realizzata a causa della negligenza e dell’inattività del popolo eletto di Dio.
Satana aveva assistito all’opera dello Spirito di Dio sul cuore degli uomini proprio al centro del governo che rivendicava come suo. Fu a causa della sua influenza che i Giudei non fecero un ingresso in grande stile a Gerusalemme. Ciro lottò tra due influenze, ma fu trattenuto da Gabriele dal compiere qualsiasi atto di violenza. Cambise, suo figlio, regnò per quasi otto anni, ma la maggior parte del suo tempo fu spesa in inutili e costose guerre in Egitto e in Etiopia. Cambise è l’Assuero di Esdra 4: 6. A lui i Samaritani scrissero lettere di protesta contro i Giudei di Gerusalemme. Ma Cambise era troppo impegnato nelle sue guerre estere per occuparsi della questione, e quindi non fu presa alcuna iniziativa né a favore né contro l’opera a Gerusalemme. I Giudei erano ancora liberi di lasciare Babilonia, ma un tale periodo di tranquillità nazionale non era adatto a una grande attività da parte loro, e rimasero dove erano. Arrivò il momento in cui desiderarono con tutto il cuore di essere usciti durante quegli anni di pace. Cambise fu ucciso in Egitto e, prima che la notizia fosse diffusa in tutto l’impero medo-persiano, un impostore salì sul trono che apparteneva a Smerdis, figlio di Cambise. L’impostore, noto nella storia come Pseudo-Smerdis (il falso Smerdis), è l’Artaserse di Esdra 4:7. Regnò solo sette mesi, ma questo gli diede il tempo di prendere in considerazione le lamentele dei Samaritani e delle tribù intorno a Gerusalemme, e di emanare un ordine per la cessazione della costruzione di Gerusalemme fino a quando non fosse giunta una parola ulteriore dal trono. Questa lettera del falso Smerdì si trova in Esdra 4:18-22. È l’unico atto che lo storico divino menziona nella vita di questo monarca persiano. Anche se si parla poco di lui, Dio conosceva ogni sua mossa. Lo si vede seguendo la storia dei decreti. Non appena i Giudei di Gerusalemme udirono la lettura della lettera del falso Smerdis, tutti i lavori cessarono. “Perchè si chiesero “come possiamo andare avanti?”. Dopo che essi smisero di costruire, Dio elevò due profeti, Aggeo e Zaccaria, e da questi otteniamo una conoscenza della condizione delle cose a Gerusalemme. Il popolo smise di costruire il tempio e si dedicò alla costruzione delle loro case. Quando venivano sollecitati a continuare l’opera del Signore, rispondevano che il denaro era scarso. Seminavano, ma il raccolto era inferiore alla quantità seminata; i loro alberi davano pochi o nessun frutto; c’era la siccità e il bestiame moriva; gli uomini non potevano pagare l’affitto o le tasse, diventavano schiavi per i debiti e vendevano i loro figli in schiavitù. Allora si lamentarono con Dio. Ma per tutto il tempo Dio lavorava per loro e loro non lo sapevano. Ecco come operava: Nella città di Babilonia, sei dei capi dell’impero sospettavano che il re regnante non fosse il legittimo erede e si unirono per scoprirlo. Entrati con la forza alla presenza di Smerdis, riconobbero l’impostore, lo uccisero e Dario, il capo del gruppo, fu nominato re. Questo è l’uomo conosciuto nella storia come Dario Hystaspes, ed è Dario il persiano di cui si parla in Esdra 4 : 24. Gabriele sorvegliava ancora il trono dei Persiani e, mentre i Giudei dal cuore debole rinunciavano a costruire il tempio a causa di una piccola opposizione, Dio stava portando sul trono un uomo che avrebbe portato avanti l’opera di Ciro. Aggeo e Zaccaria riunirono il popolo e lo esortarono a riprendere l’opera di costruzione, dando la parola del Signore che la loro povertà era il risultato diretto del loro rifiuto di costruire di fronte alle difficoltà. I Giudei si fecero carico di questo onere, ma subito Tatnai e altri, governatori di tribù in Palestina, giunsero a Gerusalemme e ammonirono i Giudei a cessare. Aggeo, Zaccaria, Zorobabele e Jeshua citarono il decreto di Ciro. Tatnai scrisse allora a Dario, aspettandosi, ovviamente, che questi ponesse fine ai lavori. Dario, tuttavia, fece fare una ricerca e trovò il decreto di Ciro,
con tutti i dettagli riguardanti la costruzione, i sacrifici e l’ordine di prelevare denaro dal tesoro del re. Ecco una manifestazione della bontà e della misericordia di Dio. Ciò che agli occhi degli uomini sembrava una sconfitta, fu trasformato in una gloriosa vittoria. Dario emanò un decreto che comprendeva tutto ciò che era contenuto nel decreto di Ciro, e anche di più. A Tatnai e agli uomini che erano entrati nel reclamo fu ordinato di contribuire alla realizzazione dell’opera a Gerusalemme dando il proprio denaro per sostenere le spese. Osservate quegli uomini, Tatnai, Shetharboznai e i loro compagni, che sollevarono un tale clamore contro l’opera di Dio. Quando il decreto di Dario fu ricevuto, gli accusatori si recarono con grande rapidità dai capi dei Giudei. L’apparente sconfitta fu trasformata in un segnale di vittoria, perché Dio dirigeva gli affari degli uomini. Nemici acerrimi diventavano amici, o almeno assistenti, quando il soffio di Jahwè confondeva la loro politica mondana.
Ancora una volta Dio favorì in modo particolare Israele. Gli avvertimenti di Geremia furono ancora ascoltati: “Fuggite di mezzo a Babilonia e liberate ogni uomo dalla sua anima; non siate tagliati fuori nella sua iniquità… Avremmo voluto guarire Babilonia, ma non è guarita; abbandonatela e tornate ognuno nel proprio paese… Il Signore ha fatto emergere la nostra giustizia; venite e dichiariamo in Sion l’opera del Signore, nostro Dio”.
“Stolti e lenti di cuore a credere a tutto ciò che i profeti hanno detto”. Israele non ha ascoltato. Per trentasei anni – pensate, più di un quarto di secolo – regnò Dario, e Gabriele stava alla sua destra per mantenere il suo cuore tenero verso il popolo eletto. Gli angeli del cielo vegliavano intensamente per vedere Israele tornare e costruire Gerusalemme. Al profeta Zaccaria, ai tempi di Dario, fu data una meravigliosa visione della storia futura del popolo di Dio. In quei giorni a Gerusalemme fu data l’opportunità di costruire per diventare una città eterna. Un angelo disse all’altro, all’udienza di Zaccaria: “Corri, parla a questo giovane, dicendo: Gerusalemme sarà abitata come città senza mura, per la moltitudine di uomini e di bestiame che vi si trova”. Al posto di mura di pietra, come quelle che Gerusalemme e le città del mondo erano state accusate di costruire fino ad allora, Dio aveva promesso di creare un muro di fuoco intorno ad essa. “Uscite, uscite e fuggite dal paese del nord… Liberati, o Sion, che abiti con la figlia di Babilonia”. L’amore smisurato, come quello di una madre per il suo primogenito, si sente nelle parole di Yahwè: “Canta ed esulta, o figlia di Sion, perché ecco, io vengo. Abiterò in mezzo a te”. La prima e la seconda venuta di Cristo furono promesse allora, e senza dubbio sarebbero seguite in rapida successione se Israele avesse ascoltato. In tutto il mondo la gloria del Signore doveva essere vista su Sion, figlia del Dio vivente. “Io sono tornato a Sion e abiterò in mezzo a Gerusalemme; e GERUSALEMME SARA’ CHIAMATA CITTA’ DELLA VERITA’!”. Rallegrati molto, figlia di Sion, grida, figlia di Gerusalemme”. ecco, il tuo Re viene a te”. A coloro che piangevano perché il nuovo tempo appariva meno glorioso del precedente, Cristo, pregustando il momento in cui Egli stesso vi sarebbe entrato con parole di vita per il Suo popolo, disse, per mezzo del profeta Aggeo: “Scuoterò tutte le nazioni, e il Re verrà. Cristo, in attesa del momento in cui Egli stesso vi sarebbe entrato con le parole di vita per il Suo popolo, disse, per mezzo del profeta Aggeo: “Scuoterò tutte le nazioni e verrà il Desiderio di tutte le nazioni; e riempirò questa casa di gloria”. “La gloria di quest’ultima casa sarà più grande della precedente… e in questo luogo darò la pace”. Questo disse riferendosi alla Sua visita personale sotto forma di umanità. E ancora, per mezzo dello stesso profeta, chiese loro di testimoniare che dal giorno stesso in cui iniziarono a costruire, la terra fruttò abbondantemente; l’argento e l’oro affluirono e ci fu una prosperità generale. Da Zaccaria fu promessa a Gerusalemme l’ultima pioggia; grandi nubi della Sua gloria li avrebbero avvolti. A Gerusalemme i deboli sarebbero stati come Davide e Davide come l’angelo del Signore. Tutto ciò fu detto loro dal profeta Zaccaria. Leggete l’intera profezia per le sue gloriose promesse. Se fossimo vissuti a Babilonia ai tempi di Dario, avremmo ascoltato? Il profeta, guardando ancora più lontano nel futuro, vede il Signore che viene, con tutti i suoi santi, a incoronare Gerusalemme, la città del nostro Dio, la sposa dell’Apocalisse. Sarà una città eterna, con il peccato e l’iniquità cancellati dalla terra.
Zaccaria vide queste cose ai tempi di Dario, re di Persia; e se gli Ebrei fossero usciti da Babilonia e avessero seguito il cammino di Dio, sarebbe stata la stessa cosa, così sarebbe stata la storia del mondo. Non hanno ascoltato la Sua voce e, dopo quasi venticinque anni, il popolo di oggi si ritrova erede delle stesse promesse alle stesse condizioni. Se la Chiesa di oggi seguirà le istruzioni dei profeti, ogni promessa di Zaccaria sarà per loro. In caso contrario, si ripeterà la storia dei Giudei durante il regno del re che seguì Dario. Nel dare questa storia a Daniele, questi dettagli furono omessi e Daniele non visse per vederli realizzati. A lui l’angelo disse, parlando nel terzo anno del regno di Ciro: “Ecco, si ergeranno ancora tre re in Persia; e il quarto sarà molto più ricco di tutti”.
I tre re che seguirono Ciro furono Cambise, Pseudo-Smeride e Dario. Di questi, e del loro ruolo nella storia degli Ebrei, abbiamo già parlato. Il quarto re di Persia dopo Ciro il Grande si distinse per le sue ricchezze e per il grande esercito che sollevò contro i Greci. Questo re era Serse, salito al trono alla morte di Dario. Il nostro interesse risiede nel resoconto dei suoi rapporti con gli Ebrei, alla cui storia è dedicato un intero libro della Bibbia. Si suppone che Serse sia l’Assuero di Ester, e il libro di Ester è il resoconto delle azioni di questo re nei confronti del popolo di Dio che viveva ancora nel regno di Babilonia, sul quale Serse era monarca unico. Il regno medo-persiano era al suo apice durante il regno di questo re. Egli possedeva in sottosezione centoventisette province, che si estendevano dall’India all’Etiopia. La sua capitale era a Shushan, nella provincia di Elam. Una certa stima delle ricchezze a disposizione di questo sovrano si può ricavare dal fatto che per sei mesi i principi, i governanti e i governatori di tutte le province, che rappresenta il potere del re persiano in tutte le parti del regno, furono intrattenuti nel palazzo reale; e che quando questa riunione era terminata, il palazzo di Shushan era stato aperto per un’intera settimana, durante la quale, tutto il popolo banchettava nei giardini. Si beveva vino e si faceva baldoria. era simile al momento in cui Belshazzar banchettò con un migliaio di suoi signori. L’arredamento del palazzo, con le sue pareti e i suoi pavimenti in marmo, le ricche tende e i drappeggi di molti colori, appesi con anelli d’argento agli alti pilastri, raccontavano della gratificazione dell’orgoglio. I letti e i divani erano d’oro e d’argento, e bevevano da coppe d’oro. In verità la Medo-Persia era figlia di Babilonia. La storia di Vashti è una storia familiare. Assuero le ordinò di comparire davanti alla sua compagnia di ubriachi e lei rifiutò. Poi fu messa da parte e una fanciulla ebrea, la cui nazionalità era sconosciuta, divenne regina del regno persiano. Questa era Hadassah, conosciuta come Ester, un’orfana della casa di Saul, i cui genitori erano stati tra i prigionieri reali ai tempi di Nabucodonosor. Aveva vissuto sempre con un cugino di nome Mardocheo, che la trattava come una figlia. Mardocheo e sua moglie non pensavano, quando presero la piccola e indifesa Hadassah, che un giorno avrebbe difeso il suo popolo al cospetto del re. era una bambina obbediente, e di conseguenza divenne una donna obbediente. Lei era semplice e senza pretese, chiedeva poco e non pretendeva nulla. Amava la sua gente, anche se essere fedele a loro significava che avrebbe dovuto guardare in faccia la morte. Daniele non era più in vita, e c’erano pochi, se non nessuno, a rappresentare il culto del vero Dio alla corte del re senza Dio, Mardocheo sedeva alla porta del re, è vero, e in caso di cospirazione riferiva la questione al re; ma erano poche le occasioni in cui poteva mescolarsi con chi aveva autorità. La malvagità e l’ingiustizia abbondavano e Mardocheo si rifiutava di tollerare tali principi e non si inchinava davanti all’altezzoso Haman, uno dei consiglieri del re. Questo era un pretesto sufficiente per i nemici degli Ebrei, che ormai erano una razza odiata in tutto l’impero. Non erano riusciti a sfruttare il momento di favore nazionale e la Persia si era rivoltata contro di loro.
Per circa quarant’anni la misericordia era stata estesa a Israele, ma quel popolo era rimasto sordo a tutte le suppliche. Quarant’anni sono stati spesso definiti il tempo assegnato a una generazione per decidere il proprio destino a favore o contro la verità. Mosè rimase quarant’anni nel deserto, senza apprendere le cose d’Egitto e senza essere istruito nelle cose di Dio; Israele vagò per quarant’anni nel deserto, quando erano necessari solo undici giorni per compiere il viaggio dal Mar Rosso alla frontiera di Canaan; quaranta giorni Cristo sopportò una grave tentazione; quarant’anni segnarono il destino della Riforma in Germania; e trascorsero quarant’anni dalla predicazione del messaggio del suggello fino al momento del grido forte.
Così a Israele furono concessi quarant’anni a Babilonia mentre gli angeli tenevano i venti della contesa. Alla fine di quel periodo Serse cedette al suggerimento di Haman ed emanò un decreto contro quel “certo popolo disperso all’estero e disperso tra i popoli in tutte le province”. Se il trattato non avrebbe più attirato l’attenzione dei Giudei, Dio, nella sua misericordia, avrebbe lasciato che arrivasse la persecuzione, in modo che essi fossero costretti a rifugiarsi al suo fianco per ottenere protezione. Ma quando la persecuzione e le difficoltà si avvicinano, l’amore di Dio è così grande che prepara in anticipo il consegnatario.
L’angelo di Dio aveva custodito Hadassah e l’aveva guidata nella sua educazione. L’aveva portata al regno “per un tempo come questo”. Quando non c’era un uomo a rappresentare la Sua causa, il Signore si servì di una donna, e di una giovane donna. La sua bellezza era consacrata al Signore ed Egli se ne servì. Dio ama i giovani, come testimonia la storia degli Ebrei.
Furono inviati dei messaggeri per posta per portare il decreto del re in ogni provincia del vasto impero. Era sigillato con il sigillo del re e le leggi dei Medi e dei Persiani erano immutabili. In un giorno stabilito, tutti i Giudei del regno dovevano essere messi a morte di spada; vecchi, giovani, uomini, donne e bambini, nessuno era esentato. Satana trionfava al pensiero che finalmente Israele era nelle sue mani e la causa di Dio sarebbe caduta. Il re e Haman”, due servi di Satana, “si sedettero a bere”.
La città di Shushan udì per prima il decreto e la costernazione riempì i cuori degli ebrei. C’era angoscia in ogni casa. “La città di Shushan era perplessa”. Poco più di un anno dalla data del decreto e la morte sarebbe stata la loro sorte. Sembrava che non ci fosse alcuna via d’uscita. Anni prima sarebbero potuti salire a Gerusalemme, ma ora era per sempre, troppo tardi. Un amaro lamento di agonia raggiunse il cielo e, man mano che i messaggeri del re si allontanavano, il grido si faceva più forte. Le voci degli ebrei di Shushan furono rafforzate dai suoni di lutto di migliaia di ebrei in tutte le province.
Ester, nel palazzo del re, ignorava il decreto, ma Mardocheo le fece conoscere l’angoscia universale e le inviò una copia dell’ordine del re. Il momento cruciale era venire a lei. Doveva, poteva, essere fedele al suo Dio? Gli ebrei di Shushan si vestirono di sacco e per tre giorni digiunarono per la regina. Poi lei si presentò nella certezza del suo Dio. Regina, bella, fiduciosa, stava nel cortile interno di fronte alla casa del re, in attesa del riconoscimento del monarca della terra, la cui volontà significava morte. Da un lato vedeva la morte per mano di Serse, dall’altro l’approvazione del suo Dio. “Se muoio, muoio”, disse, e Dio accettò il suo sacrificio.
Dio aveva preparato da lontano la sua liberazione. Lo stesso atto di gentilezza compiuto anni prima da Mardocheo portò alla liberazione del suo popolo. Chi dice che non ci sono registrazioni delle azioni dell’uomo o che l’uomo compie atti di gentilezza senza essere sollecitato dagli esseri celesti? Dio si è servito di Ester per salvare il Suo popolo; si è servito anche di Mardocheo.
Haman, colui che aveva proposto il decreto, fu impiccato su una forca costruita per Mardocheo; Mardocheo fu promosso a capo dei consiglieri di Serse; e fu emanato un decreto secondo il quale, nel giorno stabilito per il massacro degli ebrei, ogni ebreo avrebbe dovuto portare le armi e difendersi dai persiani. E la paura dei Giudei cadde su tutto il popolo. Ancora una volta Dio sconfisse i piani, non solo degli uomini, ma dell’arcinemico. La verità trionfò a dispetto della perpsicacia del Suo popolo. Questo decreto di Assuero, o Serse, è la controparte del decreto che presto sarà emesso dalla bestia del tredicesimo capitolo dell’Apocalisse contro i seguaci di Dio.
Troverà un popolo situato come i Giudei a Babilonia; troverà un popolo. Essa troverà un popolo situato come lo erano gli Ebrei a Babilonia; troverà e quando il nemico si precipiterà su questi ultimi, con l’intento di ucciderli, le spade cadranno come pagliuzze spezzate, perché gli angeli di Dio combatteranno per il Suo popolo. Questa testimonianza, riportata nel libro di Ester, è conservata nella storia della Bibbia affinché gli uomini possano conoscere il futuro. I rapporti di Dio con gli Ebrei evidenziano i principi del suo governo e questa storia è una descrizione grafica dei peccati e della liberazione dell’Israele spirituale.
Serse era un uomo crudele e arrogante e il suo carattere si mostra non solo nei suoi rapporti con la razza ebraica, ma anche con altri popoli. Non contento dell’estensione del territorio sotto il suo controllo, radunò un esercito immenso – oltre cinque milioni, secondo gli storici – e attraversò l ‘Ellesponto per sottomettere la Grecia. Sconfitte e disastri accompagnarono però lo sforzo ed egli tornò nel suo regno.
Lo Spirito di Dio non si era ancora ritirato dalla corte medo – persiana e, sebbene Serse sia l’ultimo re menzionato nella visione di Daniele, Dio continuava ad avere misericordia per gli Israeliti; fu durante il regno di Artaserse Longimano, successore di Serse, che fu emanato il decreto finale per il ritorno degli Ebrei. Allo stesso modo il grande giubileo seguirà immediatamente l’ultimo sforzo di Satana per distruggere il popolo di Dio.
Nel settimo anno del regno di Artaserse, il cuore di Esdra fu stimolato dallo Spirito di Dio ed egli si appellò al re per ottenere assistenza. In risposta all’appello Artaserse emanò il comandamento riportato nel settimo capitolo di Esdra.
Questo è il decreto dell’anno 457 a.C., menzionato nel capitolo decimo, pagina 145, ed è la data da cui partire per calcolare l’inizio dei duemilatrecento giorni di Daniele 8:14 e delle settanta settimane di Daniele 9:24. Il decreto di Artaserse includeva tutto ciò che era contenuto nei decreti di Ciro e Dario, e dava un ulteriore ordine di costruire il muro e di stabilire un governo.
Erano passati ottant’anni dal decreto di Ciro, ottant’anni di tolleranza; ma anche dopo l’esperienza dei giorni di Ester e di Serse, l’interesse per la ricostruzione di Sion era scarso e la compagnia che andò con Esdra era piccola rispetto a quella che avrebbe dovuto essere. La condizione di Gerusalemme era scoraggiante, perché lì i Giudei si erano mescolati con i Cananei, portando iniquità e confusione. Il sabato era profanato e i servizi della casa del Signore erano trascurati. Solo nel ventesimo anno di Artaserse, dopo che Esdra aveva lavorato per Israele per tredici anni, Neemia giunse da Babilonia e risvegliò il popolo. Allora, e solo allora, le mura furono ricostruite. Anche allora si combatteva con una mano e si costruiva con l’altra, a causa della moltitudine di nemici. Solo allora cominciarono a pagare la decima e a cessare il traffico ordinario del sabato; fu allora che abbandonarono le loro mogli pagane; ma lo fecero solo perché minacciati dall’ira di Dio.
In realtà Israele era rigido e ribelle. Un residuo si salvò da Babilonia, ma era solo un residuo; e quel residuo, dopo anni di lotte e molti ostacoli, fu come un marchio strappato al fuoco.
Gerusalemme, che avrebbe potuto essere la gloria della terra, cadde in preda a ogni regno successivo. La mente di Daniele si rivolse alla nascente potenza del regno di Grecia, e Gabriele parlò poi del potente che avrebbe governato con grande dominio. Medo-Persia sprofondò in uno stato di debolezza e l’angelo ritirò le sue ali protettrici; la prova fu superata per un’altra nazione. Anch’essa era stata censita e giudicata insufficiente, e il suo nome viene abbandonato dall’autore ispirato.
La storia dell’impero persiano, fino al suo apice, è la storia dei decreti; e quando quella nazione ha smesso di aiutare a portare avanti il popolo a cui Dio stava ancora donando la luce, viene persa di vista dallo storico divino.
Il tempo non aspetta né l’uomo né la nazione. La vita di ogni individuo può essere letta nella storia degli anni della supremazia medo-persiana. Affrettiamo i nostri passi verso la Nuova Gerusalemme.
I primi due versetti dell’undicesimo capitolo di Daniele descrivono la storia del secondo regno, quello di Medo-Persia. La parte del capitolo compresa nei versetti dal terzo al tredicesimo registra la storia del terzo regno, la Grecia. Le cose che sono “annotate nelle Scritture della verità” riguardo alla “Grecia” sono quelle che Gabriele fece conoscere a Daniele.
Gabriele fece conoscere a Daniele. Il profeta aveva avuto difficoltà a cogliere il pieno significato dei simboli usati nelle visioni precedenti per rappresentare i regni del mondo, e così in quest’ultimo colloquio tra il servo di Dio e l’angelo della profezia, i simboli vengono messi da parte e la storia viene ripetuta in modo chiaro. Nonostante il fatto che Gabriele dia la profezia in una semplice narrazione, le parole che usa e i fatti che seleziona dalla moltitudine di eventi che si sono effettivamente verificati, hanno un significato. Nella lettura della Parola di Dio, in ogni sua parte, c’è innanzitutto la storia che si trova in superficie; in secondo luogo, il significato più profondo, che è altrettanto vero, ma che va cercato come con una candela accesa. Si spera che il lettore, leggendo la semplice narrazione degli eventi, possa almeno intravedere il profondo significato spirituale.
Dio aveva uno scopo quando ha dato la storia dei quattro regni, Babilonia, Medo- Persia, Grecia e Roma. La comprensione di queste profezie è incentivata dal fatto stesso che ogni nazione è rappresentata in modi diversi, rivelando caratteristiche diverse. E poiché Daniele è un profeta degli ultimi giorni, aumenta il desiderio di leggere non solo la storia, ma anche lo scopo di Dio nel tracciare la storia con una precisione così infallibile. Babilonia, come nazione, come si è visto dallo studio di Daniele in relazione all’Apocalisse, rappresenta una condizione di cose che esisteranno nella chiesa degli ultimi giorni. Grande era lo splendore di quel regno, ma era un’eresia, è la madre delle prostitute. Sopra la città il cielo ha visto le parole: “Mistero d’iniquità”, perché ha fatto ubriacare tutte le nazioni con il vino della sua fornicazione. “Sulla fronte aveva scritto un nome, un mistero: BABILONIA LA GRANDE, LA MADRE DELLE PROSTITUTE E DELLE ABOMINAZIONI DELLA TERRA” (Apocalisse 17:5).
“Egli gridò con voce potente: È caduta, è caduta Babilonia la grande! È diventata ricettacolo di demòni, covo di ogni spirito immondo, rifugio di ogni uccello impuro e abominevole. Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua prostituzione furente, e i re della terra hanno fornicato con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con gli eccessi del suo lusso” (Apocalisse 18: 2-3).
Medo-Persia era una figlia di Babilonia e anche lei si prostituì, cioè partecipò ai peccati di Babilonia e si allontanò dal Dio vivente. I principi della religione di Babilonia furono portati avanti dalla figlia (Medo-Persia).
Sebbene la malvagità fosse in qualche modo controllata dalla costante presenza di angeli a corte, che operavano a favore del popolo eletto di Dio, la costante tendenza alla tirannia e all’oppressione nel governo è rivelata dal decreto di Assuero ai tempi di Ester.
Come la Medo-Persia aveva un ruolo importante da svolgere in relazione al popolo di Dio, e sebbene il suo ruolo fosse diverso da quello di Babilonia nei confronti dello stesso popolo, così la nazione greca fu chiamata da Dio a compiere un’opera specifica. Era una figlia di Babilonia e partecipava ai suoi peccati; ma questi peccati, pur essendo gli stessi, portavano a manifestazioni esteriori diverse da quelle della Medo-Persia. Come i figli di una stessa famiglia, che riproducono il carattere degli altri, ma che differiscono ampiamente l’uno dall’altro, così Grecia, Medo-Persia e Roma sono tre sorelle, figlie della stessa madre, ma ciascuna dotata di caratteristiche speciali e di forti peculiarità. La Grecia attraversa l’abisso tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Il suo lavoro principale come nazione è stato svolto durante il periodo in cui non c’erano profeti in Israele, il periodo tra Malachia e Cristo, per cui il libro di Daniele è l’unica parte della Bibbia che tratta di questa nazione. La storia della Grecia può essere fatta risalire a Javan, della famiglia di Japheth, che con i suoi figli si stabilì nelle isole del Mediterraneo. La divisione naturale del Paese, dovuta alle baie e alle montagne, ha fatto sì che si formassero molte tribù dipendenti o semi-indipendenti, ma con una lingua e una religione comuni. Sembrerebbe che i principi del culto di Yahweh, come conosciuto dai figli di Noè, furono portati nelle isole della Grecia, poiché in tutto il sistema è rintracciabile una stretta somiglianza con la legge cerimoniale con i suoi tipi e le sue ombre, come portato avanti a Gerusalemme ai tempi di Salomone. Ancora, quando si ricorda che il regno degli Ebrei, nei giorni della sua prosperità, era visitato da rappresentanti di tutte le nazioni, è facile comprendere come le forme e le cerimonie del culto di Dio siano state adottate dai Greci. Anche l’architettura della Palestina, in particolare il tempio di Salomone, divenne un modello per i Greci, amanti del bello. Tutto ciò che è buono e bello nel mondo ha origine nella mente di Dio. L’idolatria grossolana di Babilonia e dell’Egitto fu sostituita in Grecia da un culto più raffinato, se si può dire che ci siano gradi di raffinatezza nella licenziosità. In ogni caso, i costumi greci erano meno rivoltanti in superficie, e quindi più sottili e insidiosi. Il gusto estetico dei Greci si è sviluppato a stretto contatto con la natura. Studiavano la natura e, non avendo la Parola di Dio come interprete, adoravano le forme invece del Creatore. Riconoscevano il potere della vita, ma non conoscendo la fonte della vita, erano portati a pratiche licenziose, note come “i misteri”, dove le cose sacre venivano contaminate con il bere e l’indulgenza appassionata. C’è una tensione patetica in tutta la loro storia. Si avvicinarono così tanto al Dio della natura, eppure, non conoscendolo, vagarono nell’oscurità più totale. La loro è una costante Il nostro è un promemoria del futuro di quegli studenti di oggi che cercano di capire i fenomeni naturali, ma non interpretano la natura con la parola del suo Creatore. Anche loro adorano Zeus e Demetra, Plutone o Poseidone, invece del Cristo. Il fatto è che i bambini di oggi si nutrono di miti e tradizioni di questo stesso popolo, che brancolava nelle tenebre, adorando gli dei dell’Olimpo e ignorando il Dio la cui voce scuoteva le montagne in ogni tempesta, il cui sorriso era in ogni raggio di sole e i cui fiumi irrigavano i campi. I Greci offrivano sacrifici, ma che valore avevano se non accettavano il sacrificio dell’Agnello di Dio ucciso? Lo spirito di profezia era coltivato, ma mentre i profeti di Dio si mescolavano al popolo, la profetessa greca, una fanciulla dal carattere discutibile, era isolata dal popolo e riceveva la sua ispirazione da un vapore che si sprigionava da una fenditura nella roccia su cui era costruito il tempio di Delfi. Esisteva un sacerdozio, i cui membri avevano il compito di rivelare la volontà degli dei. Le feste sacre del popolo del Signore erano sostituite dai giochi nazionali dei Greci. Come la Pasqua e la festa dei tabernacoli riunivano la razza ebraica e promuovevano l’unità e l’amore per Dio, così i giochi greci riunivano quel popolo, promuovendo una lingua, una religione e una legge comune. Il popolo di Dio si riuniva per il culto spirituale; i greci per il divertimento fisico o intellettuale. La storia della Grecia è la storia della cultura fisica e intellettuale. Il popolo adombrava grazia e bellezza, e le sue menti letterarie, veneravano l’intelletto. Platone, il più grande dei filosofi greci, visse circa quattrocento anni prima di Cristo e i suoi insegnamenti hanno guidato i pensieri degli scrittori di ogni epoca da allora. Gli Ebrei mescolarono gli insegnamenti della Bibbia con la filosofia di Platone e ciò formò le tradizioni degli uomini, contro le quali Cristo mise spesso in guardia i suoi seguaci. La falsa filosofia e la “scienza falsamente chiamata” del tempo di Paolo era l’insegnamento greco, che respirava lo spirito di Platone e dei suoi studenti: Gli scritti di Platone hanno sostituito la Bibbia per molti, e un gran numero di scrittori moderni, sia di prosa che di poesia, lo riconoscono come il loro leader intellettuale. La filosofia di quest’uomo era spesso buona ed egli ammirava la verità; ma l’errore consisteva nell’ammirare o nell’affermare la verità, senza riuscire a viverla. I suoi seguaci furono condannati da Cristo, insieme ai Farisei, dei quali disse: “Dicono, ma non fanno”. Qui, nella religione e nell’istruzione greca, c’era la forma più sottile di quel miscuglio di verità ed errore che Satana offrì all’albero della conoscenza del bene e del male, e che si è protratto dai giorni dell’Eden fino ai tempi della Grecia. Babilonia schiavizzò i corpi del popolo di Dio, Medo-Persia fece leggi per ucciderli, ma la Grecia catturò le loro menti e le rese schiave delle sue idee. Contraffece così bene, così abilmente, gli insegnamenti spirituali dell’Antico Testamento; e così silenziosamente, ma così sicuramente, avvolse i suoi viticci intorno al popolo di Dio, che la sua schiavitù fu molto peggiore di quella dell’Egitto o di Babilonia. È questa influenza che deve essere presa in considerazione quando si segue la storia dei Greci raccontata da Gabriele. L’angelo disse: “Quando sarò uscito [dalla Persia], ecco che verrà il principe della Grecia”. E della Grecia dice: “Sorgerà un re potente, che governerà con grande dominio e farà secondo la sua volontà”. È in questo linguaggio che Alessandro viene introdotto nei documenti divini. Non era un greco, ma un macedone, figlio di Filippo di Macedonia. Egli si impone nella storia come uno di quei personaggi forti di cui Dio si serve nonostante il fatto che non lo conoscano e che non siano in grado di fare la loro parte, non conoscendo il Suo modo di operare. Alessandro, nella storia greca, corrisponde per certi versi a Ciro il Persiano. Alessandro, da ragazzo, mostrò una volontà incrollabile, che si rafforzò con l’avanzare dell’età. Fu educato da Aristotele, l’illustre allievo di Platone, alla saggezza dei Greci. Quando aveva vent’anni, Filippo di Macedonia morì, lasciando il governo ad Alessandro. Era l’anno 336 a.C. Alessandro riunì gli Stati indipendenti di Grecia e si mise a capo del loro consiglio anfiteatrale. I Greci erano ambiziosi e il nuovo generale organizzò un esercito per la conquista di altri paesi. Il terzo regno era rappresentato da un leopardo con quattro ali sul dorso Questo simbolo copriva non solo il periodo in cui Alessandro era re, ma anche durante il suo stato diviso. La rapidità della conquista è ben rappresentata dalle ali dell’uccello; la natura astuta e insinuante dalla forma flessuosa del leopardo; e l’unione di verità ed errore nelle sue dottrine e pratiche dalle macchie. “Il leopardo può cambiare le sue macchie? “La Grecia non potrebbe più dare la verità senza una parte di falsità; non si possono più separare la verità e l’errore in quel sistema di educazione fondato sulla saggezza dei Greci – la sua filosofia, i suoi miti e il suo insegnamento della natura.
Ancora una volta Daniele vide il progresso di questa terza nazione come una capra ruvida che viene da ovest senza toccare la terra. Ciò indica la rapidità delle conquiste portate avanti da Alessan- der. Granico, l’Asia Minore, Issus, Tiro, Gaza, con la resa di tutto l’Egitto; Arbela, Babilonia, Susa, la Bactria e l’India, il tutto nello spazio di otto brevi anni. Dopo aver conquistato coloro che gli si opponevano, progettò di unire il vasto territorio su cui esercitava il dominio. Era un organizzatore e un diplomatico, oltre che un generale. Sposando una principessa di Babilonia e dando in sposa ai suoi generali diversi membri della famiglia reale di Persia, cercò di ottenere il favore delle razze conquistate. Fu proprio mentre si trovava a Babilonia, a dirigere gli affari in quell’efficiente capitale orientale, che Alessandro morì, probabilmente a causa di intemperanze ed eccessi. Era ancora un giovane uomo, ma le nazioni del mondo si inchinarono ai suoi piedi. Seguendo le rapide conquiste di Alessandro, simboleggiate dal capro che non toccava terra, non si è fatto cenno agli ebrei. Come Dio mise Nabucodonosor e Ciro a diretto contatto con il suo popolo, affinché conoscessero il Dio del cielo, così permise ad Alessandro di conoscerlo. Mentre il conquistatore passava da Tiro, dopo la sua resa, verso Gaza, che proteggeva l’ingresso in Egitto, si fermò a Gerusalemme. Giuseppe afferma che una grande costernazione riempì la città quando si seppe che il guerriero greco stava arrivando. Ma il sommo sacerdote, Juddas, aveva un decreto in cui gli si ordinava di uscire di andare incontro ad Alessandro, vestito con gli abiti sacerdotali e accompagnato dagli ufficiali del tempio vestiti di bianco. Quando Alessandro incontrò questa compagnia, con grande sorpresa del suo esercito e dei suoi generali, si prostrò a terra per adorare il Dio il cui nome era sulla mitra indossata dal sommo sacerdote. Accompagnò poi il sommo sacerdote al tempio di Gerusalemme, dove vennero illustrati i sacrifici e le profezie di Daniele riguardanti l’ascesa e la caduta di Babilonia, le conquiste di Medo-Persia e la sua successiva caduta, nonché l’ascesa di un terzo impero.
Daniele, che aveva testimoniato di persona davanti a Nabucodonosor e a Ciro, fu poi citato ad Alessandro. Il potente conquistatore si trovò alla presenza dello Spirito di Dio e ricevette il messaggio che l’Altissimo governa il regno degli uomini e lo concede a chi vuole. Vorrebbe egli inchinarsi in segno di sottomissione e lasciare che Dio conquisti per lui? Questo fu il momento opportuno della sua vita. Alessandro riconobbe Dio, ma lasciò Gerusalemme e si spinse in battaglia. Gaza cadde. Entrò in Egitto e lì, per appagare un orgoglio egoistico, si fece proclamare figlio di Giove
Ammone. Colui che avrebbe potuto diventare figlio di Dio scelse piuttosto di essere chiamato figlio di Giove. Il risultato dell’educazione e dell’apprendimento greco è pienamente esemplificato in questo atto. L’esito di una tale scelta – un’adeguata consumazione di tutto l’insegnamento greco – fu incontrato “a Babilonia, quando il re, nel momento in cui si trovava a casa sua, si fece chiamare figlio di Giove. Babilonia, quando il re, nel pieno della sua maturità, pose e morirono senza alcuna speranza per il futuro. È un commento triste ma impressionante per coloro che cercano le vie del mondo piuttosto che le verità di Dio. Una cosa che lo storico ispirato nota è che avrebbe fatto “secondo la sua volontà”. Quando l’uomo prende una tale decisione, significa che gli è stata offerta una scelta tra Dio e Satana, e ha scelto quest’ultimo. Ci sono solo due menti nell’universo e chi rifiuta Dio può affermare di esercitare la propria mente, ma significa che è influenzato dalla mente del nemico di Dio. “Sia in voi questa mente che era anche in Cristo Gesù”, perché essa porta la libertà. Lo spirito che vuole esaltare se stesso sta imitando la filosofia dei greci, e il suo risultato è la morte; perché la filosofia greca non è che la continuazione della filosofia che ingannò Adamo ed Eva nell’Eden, presso l’albero della conoscenza del bene e del male. Alessandro non lasciò eredi al trono che potessero tenere le redini del governo. Suo figlio maggiore era un bambino di cinque anni. Alcuni uomini forti avevano svolto il ruolo di generali dell’esercito durante la marcia attraverso l’Asia e, alla morte dell’imperatore, otto di loro si contesero il primato. Nessuno, però, era abbastanza forte da sottomettere tutti gli altri. Trascorsero quasi vent’anni di guerre e contese. Alla fine si decise che Tolomeo avrebbe tenuto l’Egitto, Seleuco la Siria e l’Oriente, Lisimaco la Tracia e l’Asia Minore, e Cassandro la Grecia. Il territorio di Alessandro fu diviso, ma “non alla sua posterità”; né la forza di questi quattro era pari a quella di Alessandro, e le quattro spartizioni durarono solo pochi anni. La Grecia, che era sotto il dominio di Cassandro, fu conquistata da Lisimaco, unendo così le divisioni occidentali e settentrionali. Nel 281 a.C., dopo intrighi troppo numerosi da menzionare, Seleuco incontrò Lisimaco e lo uccise in battaglia. Questo ridusse le quattro divisioni a due, i cui sovrani furono in seguito distinti come re del nord e del sud. Seleuco, il re del nord, deteneva ora il territorio che prima apparteneva a tre generali, mentre Tolomeo manteneva la divisione meridionale. Questo concorda con le parole di Gabriele a Daniele. Il quinto versetto, recita: “Il re del mezzogiorno diventerà forte, ma uno dei suoi capi diventerà più forte di lui; dominerà, e il suo dominio sarà grande”.
Tolomeo che conquistò l’Egitto fu chiamato Soter, o Salvatore, e alla sua morte gli succedette il figlio Tolomeo Filadelfo. A Seleuco, che conquistò le tre divisioni, successe il figlio Antioco Sotor, ucciso dai Galli in Asia Minore. Il terzo della linea dei re greco-siriaci fu Antioco Teo, che regnava in Siria mentre Tolomeo Filadelfo regnava sul trono d’Egitto. Oltre alla semplice successione dei re, però, c’è qualcosa che merita di essere notato. Gabriele diede a Daniele il quadro della storia della Grecia. Nella documentazione ispirata abbiamo qualcosa che corrisponde allo scheletro del corpo umano, e la carne e gli organi della vita devono essere inseriti. Queste nazioni che esistevano allora erano un rifugio, forse, un’impalcatura, costruita intorno al popolo di Dio, che offriva loro un’altra opportunità di lavoro. Lo Spirito di Dio operava nelle corti dei monarchi con la stessa fedeltà di sempre. Allo stesso tempo, la controversia tra la verità e l’errore non si placava mai. All’osservatore casuale potrebbe sembrare che la Grecia non fosse in realtà una potenza dominante nel senso in cui Babilonia e Medo-Persia erano monarchie universali.
Fin dall’inizio si è notato che la Grecia era un sovrano intellettuale piuttosto che una potenza che teneva in schiavitù gli uomini. Se possiamo personificare l’intelletto greco in modo astratto, possiamo dire che Alessandro è stato lo strumento nelle mani di Dio per costruire un regno dove esso(intelletto greco) potesse regnare. Alessandro fece bene questo lavoro; e mentre lui cadeva individualmente, la lingua, l’apprendimento e i costumi greci, furono introdotti in tutti i Paesi dove le sue braccia avevano aperto la strada. La religione greca, con i suoi misteri, fu accettata in Siria e in Asia Minore; i giochi greci furono celebrati nelle province orientali. Ma l’educazione greca prese una posizione superiore anche alla sua religione e insegnanti e studiosi greci, seguirono la scia del conquistatore. La lingua greca era quasi universalmente usata, e i libri in lingua greca erano molto richiesti. La città di Alessandria, in Egitto, fu fondata da Alessandro e divenne il centro dell’apprendimento greco. L’idolatria egiziana e la filosofia greca sedevano in trono l’una accanto all’altra. Come si legge nell’Enciclopedia Britannica, “in Egitto esisteva un’aristocrazia greca, di ufficio, di nascita e di intelletto, accanto a una distinta vita indigena”. Israele era stato miracolosamente liberato dalla schiavitù fisica in Egitto. Ai tempi di Nabucodonosor, durante l’assedio di Gerusalemme, Israele era stato messo in guardia dal fuggire in Egitto per proteggersi. Forse erano sfuggiti alla schiavitù di quei tempi, ma erano stati catturati dall’apprendimento dei Greci. Ai tempi di Tolomeo Soter, schiere di ebrei si riversarono in Egitto e quelli che rimasero a Gerusalemme e in Palestina si appropriarono di molte delle idee dei greci. È stato detto che la storia della Grecia riempie il tempo tra la profezia di Malachia e quella di Giovanni Battista. Siamo ora pronti a comprendere il motivo per cui Israele è rimasto così a lungo senza il suono della voce di un profeta.? Dio diede a Israele un sistema di educazione separato e distinto da quello di tutte le altre nazioni; un sistema che, se seguito, avrebbe reso per sempre impossibile per il popolo andare in cattività. Ma Israele ha spesso rinunciato al sistema donatogli da Dio per l’insegnamento delle nazioni pagane. Quando gli Ebrei tornarono da Babilonia, erano fortemente contaminati dalle idee babilonesi di educazione e religione. Questo li preparò ad accettare con prontezza gli insegnamenti dei greci. I rabbini di Gerusalemme mescolarono i principi della filosofia greca così a fondo con gli statuti di Jahwè, che era stato loro ordinato di insegnare ai bambini, che dalla morte di Malachia alla nascita di Giovanni il Battista non c’era famiglia in Giuda a cui potesse essere affidata l’educazione di un profeta. I giochi greci si svolgevano proprio a Gerusalemme e i giovani ebrei, vestiti solo di sciarpa e cappello largo, a imitazione del dio Ermes, lottavano come gli atleti ateniesi. Il dottor Mears afferma che i sacerdoti, quando veniva dato il segnale per gli sport, lasciavano il loro lavoro nel tempio per assistere ai giochi. I nomi greci sostituirono in molti casi quelli ebraici e persino i sacerdoti si mescolarono con i greci. Non c’è da stupirsi che Gabriele abbia dato indicazioni specifiche sul nome da dare al bambino di Zaccaria ed Elisabetta, perché anche se un
tempo ogni bambino in Israele veniva chiamato con un nome su ispirazione del Signore, il nome di Gabriele è stato dato a tutti i bambini. Israele veniva chiamato sotto l’ispirazione dello Spirito, gli israeliti avevano ormai scelto la Grecia al posto di Dio. L’intero insegnamento ebraico era ellenizzato; e quando nacque Giovanni Battista, a sua madre e a suo padre fu ordinato di lasciare la città di Gerusalemme e di educare il bambino nel deserto, lontano dall’influenza delle scuole e della società dei Giudei. Cristo stesso non frequentò mai le scuole del suo tempo, a causa della mescolanza della verità di Dio con la filosofia pagana. L’insegnamento greco esaltava la natura; ma il Figlio di Dio non poteva sentire la voce del Padre negli insegnamenti delle scuole e vagava per i boschi da solo o in compagnia di sua madre. Fu allora che la natura, la grande lezione del Creatore, si aprì alla sua mente in espansione. I giovani ebrei sedevano ai piedi dei rabbini, imparando ciò che insegnava lo spirito dei greci, e crocifiggevano il Signore della vita. È una cosa meravigliosa per l’uomo, che è così limitato nei mezzi, osservare l’operato di Dio, che è così illimitato nelle risorse. Quando gli Ebrei fuggirono in Egitto, Dio approfittò della loro presenza lì e la trasformò nella sua gloria. Tolomeo Filadelfo fondò la Biblioteca Alessandrina e fu lui a incoraggiare la traduzione dell’Antico Testamento in greco. Così le profezie riguardanti il Messia promesso furono messe in lingua universale quasi trecento anni prima della nascita di Cristo. Il mondo poteva essere intossicato dalla filosofia greca, ma Dio lasciò l’uomo senza scuse ponendo la parola di vita nella lingua familiare delle nazioni. Satana può tramare e i suoi agenti sulla terra possono essere saggi, ma non possono fare nulla contro la verità senza promuovere la verità stessa. Mentre le ali oscure del paganesimo si avvicinavano sempre di più al mondo, per escludere, se possibile, la luce del cielo, la parola di Dio, come una candela accesa, brillava sotto quelle tenebre e annunciava l’avvento del Desiderio di tutti i secoli. I primi versetti della storia della Grecia (Dan. 2: 3-5) mettono lo studente di fronte a quel Paese come potenza intellettuale e rivelano che il segreto della sua forza è nella sua lingua e nella sua filosofia. Ha conquistato il mondo portando tutte le menti sotto il suo controllo. Il piano del nemico della verità era quello di sottomettere le menti a una falsa filosofia; e poiché questo era lo schema su cui lavorava in Grecia, fu sotto questa stessa influenza nazionale che la verità che libera la mente fu data al mondo. Quanto erano ampi, dunque, i propositi di Dio. Un altro grande principio si affianca a quello enunciato nei primi versetti. Questo secondo, nascosto nei versetti da sei a tredici, ha a che fare con l’attuazione di quegli stessi principi attraverso il governo come un cambiamento. Il regno di Alessandro si risolse in due divisioni, una settentrionale e una meridionale. Entrambe erano ellenizzate, ma quella settentrionale rappresentava più fedelmente i principi greci, mentre la divisione meridionale era fortemente tinta delle vecchie idee egiziane sia di governo che di religione.
Fu la divisione settentrionale a portare avanti l’opera della profezia, come simboleggiato dal leopardo e dal capro rozzo, e fu dalla divisione settentrionale che il piccolo corno (di Daniele 8) procedette. Di conseguenza, è giusto concludere che sarà la divisione greco-siriaca, piuttosto che quella egiziana, a compiere l’opera di cui Alessandro è stato il precursore. Tuttavia, nel corso dei secoli, fino alla fine dei tempi, ci sarà una forza che sorgerà dal sud e si opporrà alla potenza del nord. Questo si vedrà di nuovo nell’opera maomettana del Medioevo durante la supremazia della quarta bestia. Ma dobbiamo osservare l’attuazione del principio durante la vita del terzo regno, perché è di per sé introduttiva all’opera futura. La storia rivela il fatto che la più grande forza nel governo si trova in quelle potenze il cui territorio si estende da est a ovest, e che le nazioni che cercano di governare un territorio che tende molto a nord e a sud hanno problemi. È per riconoscere questo fatto che ogni impero universale è progredito principalmente da est a ovest, e ogni regno successivo si è spinto più a ovest del precedente. Ciò continua fino a quando il globo sarà circondato e tutti i re della terra si incontreranno finalmente nella grande battaglia di Armagheddon. Nonostante questo principio di controllo tra le nazioni, e di fronte al decreto del Santo Sorvegliante, il nord e il sud hanno tentato di unirsi. Si seguì una politica mondana di matrimoni nel versetto 6, “dopo alcuni anni essi [i re del nord e del sud] si uniranno, perché la figlia del re del sud [Berenice, figlia di Tolomeo Filadelfo] verrà dal re del nord [Antioco Teo] per fare accordi”. Antioco abbandonò la sua legittima moglie, Laodice, per sposare Berenice, e i risultati di questa trasgressione della legge di Dio sono riportati dalla penna dell’Ispirazione.
La penna dell’Ispirazione dice: “Il braccio non conserverà la sua forza, né la loro discendenza si stabilirà; ma lei sarà abbandonata, i suoi assistenti, il suo bambino e i suoi sostenitori in quei tempi”. La penna umana non può rendere la storia più chiara di quanto abbia fatto Gabriele nel raccontarla a Daniele quasi due secoli prima che si verificasse. Berenice perse il favore di Antioco Teo, che richiamò Laodice. La moglie gelosa fece avvelenare Antioco e mise sul trono il proprio figlio. Grazie alla sua influenza, inoltre, Berenice, la figlia avuta da Antioco, e i suoi attendenti egizi e i suoi sostenitori, furono tutti uccisi. Questo fatto suscitò la casa reale d’Egitto e un fratello di Berenice avanzò nel territorio di Antioco con un grande esercito. “Egli governerà all’interno delle fortificazioni dei re del nord, guerreggerà contro di loro e si farà precedere da un’azione di guerra. settentrionali, guerreggerà contro di loro e li precederà”. Viene qui descritto Tolomeo Eergete, figlio di Tolomeo Filadelfo. Non solo invase la Siria, ma si recò a Babilonia, dove trovò alcune delle divinità egizie e delle immagini fuse che Cambise aveva catturato durante la sua guerra in Egitto. Queste immagini furono restituite da Tolomeo, che per questo fu chiamato Euergetes (benefattore) dal suo popolo riconoscente. Si dice che portò in Egitto quarantamila talenti d’argento e molti vasi d’argento e d’oro. Tolomeo Euergete tornò poi nel suo regno, dove sopravvisse ad Antioco Callinico, figlio di Laodicea. Ma i problemi non cessarono allora. C’era una naturale gelosia e antipatia tra il nord e il sud. Tolomeo Eergete deteneva gran parte della Siria. Alla morte di Antioco Callinico, due figli di Callinico si impegnarono a riconquistare il territorio perduto e a riscattare l’onore del padre. Il primo era debole e inefficiente; il più giovane, Antioco Magno, che salì al trono nel giro di pochi anni, era più forte. È lui “colui” che si è mosso rapidamente, riconquistando gran parte del territorio perduto. All’incirca al tempo dell’ascesa al trono siriano di Antioco, Magno al trono siriano, Tolomeo Filopatro salì al trono in Egitto. Non si dimostrò disposto a invadere il territorio del re del nord, essendo indolente e molto amante della guerra. di lusso e agio, ma fu destato dalla prospettiva di un’invasione dell’Egitto, il cui trono era minacciato da Antioco Magno. Antioco era sostenuto da un immenso esercito, che però finì nelle mani di Tolomeo Filopatro, il quale, euforico per la vittoria, tornò a banchettare nel suo capo. Pur avendo abbattuto diecimila soldati, non trasse alcun vantaggio dalla vittoria. Non aveva guadagnato nulla; era solo uno spietato massacro di esseri umani, una gara per la supremazia bruta, che è odiosa agli occhi di Dio e degli uomini. È impressionante la differenza tra questa guerra e i progressi dei potenti generali di cui Dio si è servito per stabilire regni e punire i re. Tolomeo Filopater fece anche cose peggiori, perché, per autostima, entrò a Gerusalemme e tentò di profanare il tempio offrendo egli stesso sacrifici. La moderazione offerta dai sacerdoti lo incattivì a tal punto da iniziare una guerra contro di loro e la storia afferma che tra i quaranta e i sessantamila ebrei, che allora vivevano in Egitto, caddero di spada. Gli ebrei che avevano cercato l’Egitto per protezione o per i vantaggi delle sue scuole e biblioteche, si allontanarono dalla mano protettrice del loro Dio e venne il momento in cui sentirono l’ira del nemico. In tutte queste difficoltà la nazione che Dio aveva scelto avrebbe potuto ergersi come un faro su una collina, invece di essere calpestata da ogni esercito nelle sue marce tra l’Egitto e la Siria. Anzi, la collocazione degli Ebrei in Palestina e nella sua capitale fu per nomina divina. Erano alle porte delle nazioni e avrebbero potuto mantenere l’equilibrio del potere. Se avessero tenuto in alto la parola di Dio, tutte le nazioni si sarebbero inchinate davanti al re e avrebbero pagato il tributo nel loro tesoro. Era così ai tempi di Salomone; si sarebbe potuto ripetere (Deut. 28:11-12),
L’atto di riverenza di Alessandro quando incontrò la compagnia dei sacerdoti a Gerusalemme avrebbe dovuto essere una lezione oggettiva per tutta la Giudea di ciò che Dio, per mezzo del suo Spirito, avrebbe fatto fare a tutte le nazioni. Ma i capi giudei erano così accecati dall’insegnamento greco, anche a quel tempo, che non lo videro. Invece di accorrere ad Alessandria per la saggezza della Grecia, le nazioni avrebbero dovuto mandare i loro giovani alle scuole dei profeti a Gerusalemme e gli studiosi del mondo avrebbero dovuto cercare la Parola da coloro che conoscevano il Dio della saggezza. Ma non era così. Israele era allora come la Chiesa di oggi. Invece di guidare in virtù della vita spirituale, cercava la saggezza dell’Egitto e della Grecia.
Tra Filopatro e Antioco Magno fu infine conclusa una pace che durò quattro anni, fino alla morte di Tolomeo. A Tolomeo Filopatro successe il figlio Tolomeo Epifane, che era minorenne. Antioco Magno approfittò di questa apparente debolezza negli affari egiziani e fece ampi preparativi per invadere l’Egitto con il progetto di conquistare l’intero dominio dei Tolomei. Ma l’Altissimo governa i regni degli uomini e Antioco si rese conto che c’era un altro potere sulla terra e in cielo.
Nel quattordicesimo versetto dell’undicesimo capitolo di Daniele circa, si ode la voce della quarta bestia; Roma si mette dalla parte del re indifeso e Antioco vede vanificate le sue ambizioni. La vita del regno greco era finita. Ci furono ancora molti anni di lotta, ma era una lotta per l’esistenza, non per l’aggiunta di territori. Ma ciò
che la Grecia non guadagnò in termini di territorio, lo guadagnò come maestra dei popoli, e sebbene alla fine abbia perso ogni supremazia territoriale, sebbene, come il regno di Nabucodonosor, l’albero sia stato abbattuto, le sue radici sono rimaste fino ad oggi. Più di una volta la Grecia è sorta come potenza intellettuale. In tutto il mondo intellettuale ha dei devoti che si inchinano davanti al suo santuario: la mente dell’uomo. La sua filosofia è studiata oggi sotto le vesti di scrittori moderni; le sue idee sono inculcate nelle menti dei bambini, dall’asilo alla scuola media e l’università e gli studenti escono dalle scuole del paese sapendo molto di più della mitologia greca che della religione di Gesù Cristo; conoscendo meglio gli eroi greci che l’Uomo del Calvario. L’istruzione greca domina ancora il mondo e lo farà fino all’instaurazione dell’eterno regno di Dio, finché la pietra tagliata senza mani non riempirà la terra. Come gli Ebrei ai tempi di Alessandro e dei suoi successori erano senza scuse, così l’Israele di oggi ha davanti a sé la sapienza dell’Eterno in contrasto con la sapienza della Grecia. E il messaggio è: “Scegliete oggi” a quale santuario inchinarvi. Sedersi ai piedi di Gesù, imparare da Lui, prendere la Sua parola come autentica storia del mondo, la Sua verità come interprete della natura, vi assicurerà la vita eterna. Accettare gli scritti degli uomini, le speculazioni umane sulla storia del mondo, la sua creazione, la sua età, dare un’interpretazione umana alle opere della natura, assicura la vita eterna. cercando di scoprire con esperimenti e speculazioni ciò che deve essere conosciuto per fede, questo porta alla morte, perché allontana da Cristo, il centro dell’universo, la fonte di ogni saggezza, la grande forza di attrazione della “creazione”. Il primo è il sistema di Dio, di cui la fede è la forza motrice; il secondo è il sistema greco, che esalta il ragionamento umano. Non ci si può inchinare agli idoli d’Egitto, né bere i vini di Babilonia, ma se ci si lascia intrappolare dai più piacevoli sofismi di Babilonia, e dai più piacevoli sofismi della Grecia, la sua sorte è alla fine la stessa. Per questo motivo la Verità Eterna ha brillato lungo il cammino degli uomini in tutte le epoche per difendersi dal nemico. In questi ultimi giorni, quando tutto il male del passato si rinnova e si presenta all’uomo in tutte le sue varie forme, ecco che la filosofia greca e lo scetticismo emergono in tutta la loro forza. Un cuore pieno di verità è l’unica salvaguardia contro l’errore.
Il quattordicesimo versetto dell’undicesimo capitolo di Daniele, come abbiamo visto, introduce una nuova potenza. Gabriele, narrando gli eventi legati alla storia della Grecia, ha riportato l’impero al tempo in cui la divisione meridionale era nelle mani di un bambino, Tolomeo Epifane, e quando due uomini, Filippo di Macedonia e Antioco di Siria, pur essendo gelosi l’uno dell’altro, erano disposti a unire le loro forze per sottomettere l’Egitto. Da un punto di vista politico, nel potente impero di Alessandro prevaleva una debolezza generale. Senza notare i dettagli, l’angelo della profezia parla della prima apparizione del quarto regno mentre entra in contatto con le divisioni del terzo regno, la Grecia. Questo quarto regno viene così introdotto: “I violenti oppositori del tuo popolo si esalteranno perché la visione resti in piedi”.
Poiché ogni parola è trasmessa divinamente, c’è un significato nell’introduzione stessa di quello che sta per diventare il più potente regno della terra, e allo stesso tempo il più grande nemico che il popolo di Dio abbia mai dovuto incontrare. Daniele aveva già visto questo regno. Nella visione del settimo capitolo, Roma era rappresentata come una bestia troppo terribile per essere nominata. Le sue caratteristiche erano divorare, e spezzare. Durante una parte della sua storia avrebbe pronunciato grandi parole contro l’Altissimo; avrebbe logorato i santi di Dio e avrebbe pensato persino di cambiare le sue leggi. Il profeta era così turbato dalla prima visione che cercò una spiegazione speciale di questo quarto regno.
Nella visione successiva il quarto regno fu nuovamente mostrato sotto il simbolo di un piccolo corno, che nasceva da una delle divisioni del regno di Alessandro. In questa visione Roma fu presentata in forma non più blanda come nella visione precedente. Si trattava di un re dal “volto feroce”, che “capiva frasi oscure” e che aveva un potere potente, persino più di quello umano. Si trattava di un governo intrigante e subdolo, e le sue pratiche più crudeli furono viste contro il popolo eletto di Dio. Ebbene, contro Cristo, il Principe dei principi, il Principe dell’alleanza, questo potere avrebbe dovuto opporsi. Gabriele parlò dei briganti che si sarebbero dovuti esaltare per stabilire la visione, cioè per adempiere alla descrizione appena fatta. Mettendo insieme tutte queste riflessioni, si vedrà che Roma, il quarto regno, il successore della Grecia, si sarebbe distinto per la politica decisiva che ha mantenuto. Ogni nazione della catena profetica aveva qualche caratteristica forte e la sua storia è registrata come una lezione per il mondo, come nei giorni della sua vita era stata una lezione per le moltitudini osservanti di altri mondi. Babilonia fu un esempio del potere di Satana di stabilire una religione che contraffaceva il culto celeste. Il risultato fu la forma più bassa di idolatria, una fornicazione che la rende la
personificazione, tra gli scrittori biblici, di ogni nefandezza. La Medo-Persia era un tipo di dispotismo orientale. “La legge dei Medi e dei Persiani non cambia”: questo era un proverbio tra le nazioni. Ma fu con i re di questa nazione che Gabriele e Michele operarono; furono i capi di questo dispotismo a essere tenuti sotto controllo dal potere del Re dei re. La Grecia era completamente diversa dalle due precedenti e, invece di farsi riconoscere per la forma di religione o di governo, ottenne il controllo del mondo grazie al potere del suo intelletto. Con la sua istruzione e la sua filosofia si guadagnò una posizione che nessun’altra nazione ha mai avuto. Quando Babilonia fu abbattuta e Medo-Persia non c’era più, la Grecia continuò a vivere nella mente degli uomini. Ma il quarto regno era “diverso da tutti gli altri”. Come rappresentata a Giovanni, Roma, la bestia di Ap. 13:2, combinava le caratteristiche del leopardo, dell’orso e del leone. Vi erano uniti il falso sistema della religione dell’antica Babilonia, la tirannia governativa di Medo-Persia e la mescolanza di bene e male nella cultura intellettuale della Grecia. Quando si conoscono la religione e il sistema educativo, o gli statuti intellettuali, e la storia governativa di una nazione, rimane poco altro da raccontare. Così in un’unica nazione, Roma, ha incarnato la forza di tutte le nazioni precedenti. Che meraviglia che sia stata una nazione terribile e spaventosa e che, se non si fosse abbreviato il tempo della sua supremazia, non sarebbe rimasto nessuno a testimoniare la verità! È questa potenza che ci viene presentata in Daniele 11:14.
Nell’anno 201 a.C. il bambino Tolomeo Epifane salì al trono d’Egitto e i re di Macedonia e di Siria progettarono il suo rovesciamento e la divisione del suo impero. Fu allora che Roma salì alla ribalta sotto gli occhi del profeta. Ma Roma esisteva già da anni e durante questi anni aveva accumulato forze per poter entrare nell’arena con decisione, quando sarebbe arrivato il momento giusto. La storia tradizionale di Roma risale alla metà dell’ottavo secolo prima di Cristo. Era prima dei giorni di Nabucodonosor e delle glorie di Babilonia. Nei giorni in cui Isaia iniziò a profetizzare, Roma fu fondata. Si diceva che fosse la patria di una banda di ladri e fuorilegge, e uno dei primi atti fu il furto delle donne di una città vicina come mogli per questi primi coloni.(Il ratto delle Sabine) Quindi, se i Romani sono chiamati figli di briganti, il carattere non può essere negato. I Romani erano una razza forte e robusta e fin dall’inizio svilupparono un forte governo centrale. In questa impresa gli uomini furono aiutati dal principe di questo mondo, il diavolo stesso; infatti il drago, quel vecchio serpente, chiamato diavolo e Satana, diede alla quarta bestia “il suo potere, la sua sede e una grande autorità”. La forza di tutta la storia si perde se lo studente non riconosce ogni nazione come un attore del grande piano di redenzione, uno dei partecipanti alla grande controversia tra Cristo e Satana. Poiché i piani dell’ arcinemico avevano fallito nella storia di Babilonia, della Medo-Persia e della Grecia, egli tentò ora con raddoppiato vigore di ostacolare i piani di Dio. A questo scopo scelse la città dai sette colli. I suoi piani erano ben delineati e la struttura da lui eretta poggiava su solide fondamenta. Come un faro al largo di una costa rocciosa, il grande pianificatore sperava che avrebbe resistito ai potenti colpi delle onde della verità. Fu il suo ultimo, supremo sforzo, perché è questo regno, in una delle sue manifestazioni, che resterà in piedi fino alla fine dei tempi. Nei primi tempi Roma era governata da re, ma era impossibile per un re occidentale imitare i costumi delle monarchie orientali. I governi greci si collocano nell’abisso tra il dispotismo delle origini e la liberalità delle nazioni occidentali più moderne. A Roma esistevano due classi di uomini, che chiedevano di essere rappresentate nel governo. Alla fine di duecento cinquant’anni i re furono detronizzati e fu sostituito il governo dei consoli. Questo prevedeva che due consoli appartenenti alla classe più ricca, i patrizi, tenessero le redini del governo. Per i due secoli successivi ci fu una lotta tra patrizi e plebei per la parità di diritti.
I principi del repubblicanesimo stavano lottando per nascere.
Gradualmente i patrizi persero il potere, finché alla fine il governo rimase nelle mani del popolo, cioè dei cittadini di Roma. Ma c’erano città conquistate, soprattutto nella penisola italiana. “Il dominio romano in Italia era il dominio di una città sulle città”. Infine, alla maggior parte di esse furono concessi i diritti di cittadinanza. Il governo di Dio è un governo rappresentativo e, pur sedendo come Re dei re, si regge sul consenso comune e i suoi sudditi di tutti i mondi hanno dei rappresentanti nei consigli del cielo. Satana, come principe di questo mondo, era un rappresentante di quel tempo in quel concilio. A Roma tentò di contraffare quella fase del governo divino. Fu come Repubblica, che Roma iniziò la sua carriera di nazione conquistatrice. La sua costituzione fu il risultato di una crescita graduale di due secoli. Riconosciuta la sua autorità in tutta Italia, di cui Roma era il centro, iniziò ad acquisire territori con la forza delle armi. Cartagine, una città rivale a sud del Mediterraneo, fu il primo punto di attacco e per cento anni Roma lottò per la supremazia.
Fu una lotta aspra, che poteva concludersi solo con l’annientamento di una delle parti in causa. Ridpath esprime bene la politica del governo quando dice: “Essi [i Romani] presero ciò che potevano e poi presero il resto”. Negli anni in cui Roma aleggiava su Cartagine, come un’aquila pronta a scendere sulla preda, portava avanti guerre di aggressione anche in altre direzioni. Sia l’Occidente che l’Oriente furono invasi. La Spagna fu resa una provincia sottomessa; tutti i cittadini furono tassati; le miniere d’argento e d’oro, la ricchezza di quel Paese, furono confiscate come proprietà dello Stato e a nessuna città fu permesso di fortificarsi senza il consenso di Roma. Questo era il cosiddetto repubblicanesimo l’uguaglianza dei diritti degli uomini – come inteso e praticato da Roma. Gli abitanti della Corsica e della Sardegna venivano venduti nei mercati degli schiavi di Roma, ed erano così numerosi, dice Livio, che “sardi in vendita” divenne un’espressione proverbiale per indicare qualsiasi cosa a buon mercato. Anche questo era il repubblicanesimo romano! La Macedonia e la Grecia erano in subbuglio e Roma si intromise.
Dopo conferenze e guerre, fu proclamata l’indipendenza di tutti i greci. Questo era uno degli schemi politici con cui funzionava la repubblica, ma la libertà durò solo per un breve periodo. Pochi anni dopo, tutti i macedoni in grado di governarsi da soli furono portati a Roma, mentre quelli rimasti erano uomini inesperti che presto fecero il gioco del senato romano. Centocinquantamila greci furono venduti come schiavi e i tesori prelevati servirono a pagare tutte le spese sostenute durante la guerra. Il tributo richiesto alle province assoggettate era così alto che sollevò i cittadini romani da tutte le tasse per le guerre future. Questa era l’indipendenza concessa alle province assoggettate dalla Repubblica di Roma!
La famiglia di Andoco continuava a regnare nel mondo orientale. Fu Andoco IV a proporre di unirsi a Filippo V di Macedonia contro il giovane re d’Egitto, quando
Roma si intromise. Ma una blanda ingerenza non fu mai sufficiente per Roma, anche se a volte assunse quel ruolo per un certo periodo. Andoco il Grande nella singola battaglia di Magnesia (190 a.C.) perse tutte le sue conquiste in Asia Minore. Fu costretto a pagare tremila talenti e un sussidio annuale di mille talenti per dodici anni. Roma controllava l’Egitto perché l’educazione dell’erede al trono era nelle mani di un senatore romano e un esercito romano era pronto a difendere il Paese da ogni attacco proveniente da nord o da est. Il potere romano circondava così il Mediterraneo. La libertà concessa alle nazioni conquistate era un mito. Roma era una repubblica solo di nome. Era impossibile per Roma concedere la libertà alle sue dipendenze come sarebbe stato impossibile per Satana stesso manifestare gli attributi di Dio. Qualsiasi nazione, non importa quali siano le sue pretese, né la formulazione della sua costituzione, né la volontà di alcuni dei suoi cittadini, che si allontani dai principi della libertà di coscienza, troverà impossibile mantenere una repubblica se non di nome. Questo è vero anche nell’esperienza individuale, e la libertà si conosce solo quando Cristo è intronizzato nel cuore. Ci sono sempre altri risultati che accompagnano le guerre di conquista. Per esempio, questa politica richiede un grande esercito. Nei primi tempi di Roma, l’esercito era composto da uomini che lasciavano l’aratro e la bottega per la difesa della patria e, una volta finita la guerra, tornavano alle loro case e ai loro mestieri; ma quando la guerra divenne un’attività regolare, i generali trovarono un vantaggio nel tenere i loro soldati sempre pronti. “I soldati non erano tanto servi dello Stato quanto attaccati alla persona di un generale di successo, che consideravano il loro protettore”. La strada era quindi aperta al dispotismo militare e Roma sperimentò questa forma di governo più di una volta.
Il Senato, che doveva rappresentare il popolo, divenne una corporazione avida di guadagni e arricchita dai bottini di guerra. I favoriti dei senatori ricevevano ricche province da governare e la corruzione era quasi universalmente praticata. Il “potere della borsa” era nelle mani del solo Senato. Alla loro influenza si può aggiungere la costante e continua crescita delle città e il declino della popolazione rurale, una pratica sempre rovinosa per il repubblicanesimo e sempre incoraggiata da un falso sistema di educazione e religione. La tradizione faceva dei Romani i discendenti del dio della guerra, Marte, il Bruto, e loro erano fedeli a questo personaggio. L’ispiratore ha detto: “Si romperà in pezzi e si ammaccherà”. Cristo giunse a Roma come il Principe della pace, il legatore di ferite, il guaritore dei cuori spezzati. La religione di Roma era secondaria rispetto al suo governo. Cioè, lo Stato era l’unica istituzione che assorbiva tutto. Un uomo a Roma era grande non per il carattere che portava o per le azioni che aveva compiuto, ma per il semplice fatto di essere un grande uomo. che era un cittadino romano. Il nome ha preso il posto del carattere. Qui si vede il contrario della verità. Con Dio è il carattere a dare il nome; con Roma era il nome ad essere, indipendente dal carattere.
Sebbene la religione fosse asservita allo Stato, tuttavia la forma della religione a Roma giocò un ruolo importante nella sua storia, soprattutto nella seconda fase, quella papale. Poiché il papato era una continuazione del paganesimo, è necessario notarne le caratteristiche principali. Non c’erano cantori dolci come Davide il Betlemita; mancava anche lo studio della natura dei Greci. C’erano molti dei e molti signori, ma una natura severa caratterizzava tutto il culto, l’uomo era divinizzato e canonizzato. Il nome stesso di Augusto, applicato a una lunga serie di imperatori, significava divino. Nei templi romani un corpo di sacerdoti eseguiva i riti sacri, ma erano nominati dallo Stato. Il più alto funzionario religioso durante la vita del paganesimo era il Pontifex Maximus, il papa del paganesimo, ed era un funzionario civile. La gerarchia religiosa, composta da sacerdoti, augure, vestali e Pontifex Maximus, aprì la strada alla gerarchia papale dei giorni successivi, così come il passaggio dal repubblicanesimo all’imperialismo aprì le porte alla supremazia papale. Nella letteratura e nell’educazione Roma prese in prestito in larga misura dalla Grecia, tanto che la supremazia intellettuale di quella nazione deve essere ricondotta alla Grecia, anche se l’uomo di cultura era spesso uno schiavo venduto nei mercati dei suoi rapitori. Tuttavia, fu l’educazione che prevalse in Grecia, e che fu copiata da Roma, a formare una classe di cittadini per la guerra, per la tirannia e per il papato.
Il diritto romano è oggi esaltato come la base di tutto il diritto civile. Si sviluppò gradualmente, come già detto, e il grano della verità si mescolò con la zizzania dell’errore. Era buona e cattiva, come l’albero di cui Adamo si cibò nel giardino. Questo si vede nelle applicazioni odierne di queste leggi. Il culto greco della mente o della ragione, applicato all’amore romano per la legge, ha fatto dell’avvocato di Roma il capostipite di quella classe di ragionatori che oggi influenzano il mondo con le argomentazioni piuttosto che con le regole della giustizia. Satana ha un solo piano: lo sviluppo del peccato; Dio ne ha uno solo: il dispiegamento della verità e dell’amore. Tutta la storia è una lezione oggettiva, che mostra come Dio vanifichi i mille modi in cui si svolgono i piani del diavolo, e la storia nazionale non è che un’esperienza individuale su larga scala.
Molto spesso gli studenti leggono la storia delle nazioni, dimenticando che hanno davanti a sé un’immagine della propria vita. La storia nazionale, piuttosto che l’esperienza individuale, è data in profezia, perché è come una visione ingrandita gettata sulla tela, che rivela dettagli che sarebbero trascurati nello studio di un solo uomo. Va ricordato che quando si fa riferimento a principi come il repubblicanesimo, il protestantesimo, la monarchia, il papato, la libertà o l’oppressione, ognuno di essi ha un’applicazione nei rapporti tra gli uomini, nei rapporti tra i membri della Chiesa e tra le nazioni. Tenendo conto di questi fatti, si possono comprendere le profezie di Daniele su Roma. Sembra che Gabriele abbia richiamato l’attenzione sul quarto regno, non all’inizio della sua esistenza, ma nel momento in cui tutti i principi precedentemente esposti erano ben sviluppati, e nella fase giusta per crescere rapidamente quando si sarebbero offerti gli ambienti adatti. La repubblica era in realtà morta, anche se il suo cadavere non era ancora stato seppellito, e gli uomini non erano disposti a riconoscere che la vita se n’era andata davvero. Durante il periodo di transizione tra la repubblica e l’impero a tutti gli effetti del versetto 20, alcuni attori ebbero un ruolo di primo piano. Fu un periodo di dura competizione tra gli uomini per vedere chi poteva meglio servire lo scopo del controllore degli affari che stava dietro il trono dei monarchi terreni. Quando la Repubblica perse potere, una corporazione composta da Cesare, Pompeo e Crasso prese le redini del governo.
Crasso controllava il denaro, Pompeo aveva l’esercito e Cesare era la mente principale. L’esercito romano, con a capo Pompeo, attraversò l’Asia Minore e la Siria, e l’intero regno dei Seleucidi cadde ai suoi piedi. Andoco e ogni stazione fortificata dell’impero d’Oriente si sgretolarono con la sua avanzata. Pompeo, chiamato a decidere tra i governanti degli Ebrei, entrò a Gerusalemme e, come nei tempi passati, la conoscenza del Dio di Israele fu resa nota alla nazione che guidava il mondo. Pompeo, tuttavia, agì in modo molto diverso da Alessandro. Entrò nella città con la forza dopo un assedio di tre mesi; le mura furono demolite e i Giudei furono sottoposti a tributo al governo romano. Roma si trovava ora “nella gloriosa terra che per mano sua sarà consumata”. Questo avvenne nel 63 a.C. La saggezza di Dio nello scegliere la Palestina come patria degli Ebrei viene riconosciuta sempre di più con il progredire della storia. Non c’è stato alcun errore nell’ubicazione e non c’è stato alcun abbassamento dello standard stabilito per quella nazione. Ai tempi della supremazia romana, come ai tempi di Salomone, era volontà divina che Israele fosse la luce del mondo. Ad essi furono affidati i sacri oracoli della verità e ogni nazione fu portata ad essi come a una fonte di acqua viva. Se la razza ebraica fosse stata fedele al suo compito, la storia del mondo intero sarebbe completamente diversa. Roma è venuta a Gerusalemme è venuta perché mandata da Dio, ma il pozzo era una cisterna incrinata e perdente, e la sete dell’anima della nazione non poteva essere placata. Di conseguenza, Roma ridusse in schiavitù gli Ebrei: mancava la forza della vita che respinge il nemico. Fu durante il governo del primo triumvirato che l’Egitto, il regno del sud, fu nuovamente invaso da Roma. Il senato romano, a cui Cleopatra e suo fratello Tolomeo Dionisio erano stati affidati dal padre, aveva chiesto a Pompeo di recarsi in Egitto per risolvere le difficoltà. Pompeo, tuttavia, fu ucciso mentre attraversava la terraferma su una piccola barca. Cesare entrò ad Alessandria poco dopo e sposò la causa di Cleopatra, costretta a fuggire dalla capitale. Cesare si impose sulla fazione dominante ad Alessandria e, prima di lasciare la città, intronizzò Cleopatra e abbellì il suo trionfo a Roma con Arsinoe, una rappresentante della famiglia reale dei Tolomei. La storia afferma che Cesare trascorse circa nove mesi in Egitto, cosa insolita per questo generale, poiché i suoi rapidi spostamenti da un luogo all’altro erano uno dei segreti del suo successo.
Cesare, come generale, era in grado di realizzare per il quarto regno ciò che Nabucodonosor, Ciro e Alessandro avevano fatto per i tre precedenti, ma non ci risulta che abbia riconosciuto Dio come sovrano delle nazioni. Fu affascinato e corrotto dalla regina d’Egitto. Il diciassettesimo versetto, pur descrivendo un evento particolare della storia, simboleggia anche l’influenza corruttrice dell’Egitto ogni volta che il nord entrava in contatto con il sud. L’Egitto è stato una rovina per gli uomini e le nazioni, dai tempi di Abramo fino a Cesare, e la sua influenza è ancora viva, un tipo di peccato e di schiavitù. Lasciato l’Egitto, Cesare passò lungo le coste della Palestina e dell’Asia Minore, ricevendo la sottomissione di tutti i popoli con tale rapidità da inviare a Roma il famoso dispaccio: “Sono venuto, ho visto, ho conquistato” (Venni, Vidi, Vinsi). Tornato a Roma, modificò le leggi, rafforzò il senato, risolse i disordini nell’esercito e in seguito portò alla sottomissione l’Africa occidentale, che si era ribellata.
Cesare fu un organizzatore oltre che un guerriero e dimostrò una liberalità e un’ampiezza di idee maggiori di qualsiasi altro sovrano precedente. Il diritto di voto romano fu concesso ai cittadini di molte città fino ad allora escluse e tutti gli uomini di scienza, di qualsiasi nazionalità, furono ugualmente onorati. Tra le sue carte, dopo la morte, si trovano progetti ancora più grandi per il miglioramento di Roma. Stava per raggiungere l’apice della fama terrena quando cadde, trafitto da una ventina di pugnali, alla presenza del Senato che controllava. Egli “inciampò e cadde”, senza lasciare alcun erede al trono. Un altro grande uomo era passato dalla scena dell’azione. Il cielo osservava, perché la nascita del Figlio dell’uomo era vicina. Era il 44 a.C. quando i piani di Giulio Cesare furono interrotti dalla sua morte prematura. Il repubblicanesimo era così lontano che il governo cadde nelle mani degli uomini più forti, quelli che avevano il sostegno militare. Lepido, uno dei secondi triumviri, morì presto; Antonio, un secondo membro, innamorato di Cleopatra, intrappolato nella rete delle tenebre egiziane, si gettò sulla propria spada e morì; Ottavio, figlio adottivo di Giulio Cesare, rimase solo. Una nobiltà coniugale e dei comuni ostinati, dotati di armi, tenaci nella proprietà e riuniti in assemblee costituzionali, formano l’unico equilibrio in grado di preservare una libera costituzione contro le imprese di un aspirante principe”, dice Gibbon. Roma non aveva nulla di tutto ciò; ogni barriera della costituzione romana era stata abbattuta dall’ambizione di Ottavio, chiamato Cesare Augusto. Inoltre, le province erano state così a lungo oppresse dagli intrallazzi dei ministri della repubblica che accolsero volentieri un potere unipersonale. Augusto restituì al Senato la sua antica dignità, è vero, ma “i principi di una libera costituzione vengono irrimediabilmente meno quando il potere legislativo viene nominato dall’esecutivo”. Così Ottavio fu proclamato imperatore di Roma con il voto unanime di quello stesso senato servile. Così Cesare Augusto, l’esattore delle tasse, fu portato a capo del quarto regno. Dopo secoli di lotte e tumulti, guerre, spargimenti di sangue e oppressione, il mondo giaceva passivo ai piedi dell’imperatore romano. Un unico governo circondava il Mediterraneo; dall’Atlantico all’Oceano Indiano un unico potere regnava. Sembrava che il governo terreno avesse raggiunto la sua massima ambizione. Satana esultava e riposava nella speranza che finalmente la vittoria fosse sua. Ma il momento del suo tranquillo riposo fu la calma che precedeva le sue più grandi lotte. Le nazioni erano così tranquille che il sollevamento di una mano in segno di ribellione in una qualsiasi delle sue parti più lontane avrebbe mandato un palpito al centro, che avrebbe risposto con il ritorno delle legioni. Fu allora che nella piccola città di Betlemme Efrata, dove Maria e Giuseppe, contadini della città collinare di Nazareth, erano andati a farsi tassare in obbedienza al comando di questo stesso Augusto, nacque un Salvatore, Cristo il Signore. Le stesse condizioni che fecero esultare Satana furono le più favorevoli a Cristo quando venne a dimorare tra gli uomini. Colui che Satana aveva osteggiato fin dalla ribellione in cielo; lui, il Principe dei mondi di tutto lo spazio, “fu fatto a somiglianza dell’uomo” e venne al mondo come un bambino indifeso. I semplici pastori sulla collina vicino a Betlemme, che curavano le loro pecore dove Davide aveva spesso curato le sue greggi, udirono il coro degli angeli annunciare la nascita del Redentore del mondo. I saggi ai confini orientali del vasto impero di Augusto, dopo aver letto le profezie, stavano osservando la sua stella e anch’essi videro una compagnia splendente di angeli e seppero che Dio abitava con gli uomini. Ma il resto dell’impero dormiva inconsapevole della sua vicinanza. Betlemme, il luogo della sua nascita, era caro alla memoria di ogni vero ebreo. Fu lì che Dio incontrò il loro padre Giacobbe mentre lasciava la sua casa, fuggitivo e solo. Si chiamava Bethel, la casa di Dio, perché Giacobbe disse: “Sicuramente Dio è in questo luogo e io non lo sapevo”. Giacobbe si recò nello stesso luogo e pagò la decima dei suoi guadagni mentre era con Labano. Deborah, la nutrice di Rachele, fu sepolta lì. È a Betlemme che Abramo piantò la sua tenda quando entrò per la prima volta nella terra promessa. Davide, l’eletto di Dio, fu unto lì. È stato notato il pozzo di Betlemme, simbolo di Colui che è nato a Betlemme e che offre l’acqua della vita a tutti.
“La storia di Betlemme è un tema senza fine”. In essa è nascosta “la profondità delle ricchezze della sapienza e della conoscenza di Dio”. Ma nonostante le memorie sacre che si stringono attorno al luogo, quando il Cristo nacque pochi uomini lo conobbero, Tutto ciò che la Sacra Scrittura ci dice di Augusto, l’uomo che deteneva il potere universale, è che era un esattore delle tasse quando il regno era all’apice della sua gloria e che, dopo un regno di pochi giorni o anni, avrebbe concluso la sua carriera in pace. Inconsapevolmente aveva contribuito a preparare la strada al principe della pace e, dopo averlo fatto, era uscito di scena.
“Come anticamente Ciro fu chiamato sul trono dell’impero mondiale per liberare i prigionieri del Signore, così Cesare Augusto è l’agente per il compimento del proposito di Dio di portare la madre di Gesù a Betlemme. Lei è della stirpe di Davide, e il Figlio di Davide deve nascere nella città di Davide”.
La maggior parte della vita del Salvatore trascorse durante il regno di Tiberio, il successore di Augusto, che Gabriele descrisse a Daniele come una “persona vile”. La storia conferma la descrizione. Non era un erede diretto al trono e non fu mai onorato dai suoi sudditi. La tirannia dell’assolutismo ricominciò a manifestarsi e i principi delle monarchie orientali si ripeterono. Le assemblee popolari cessarono del tutto e l’imperatore si arrogò il diritto di mettere a morte senza processo. I governatori di Giuda rifletteva il carattere del governo generale. I Giudei erano amaramente oppressi e, sapendo che il tempo della comparsa del Salvatore era vicino, riponevano tutte le loro speranze in un re temporale, che avrebbe dovuto spezzare il giogo di Roma e stabilire per loro un regno separato. Alcuni, forse, ma solo alcuni, intuirono la natura spirituale della promessa di un Messia, perché era un piano studiato di Satana quello di accecare gli occhi degli uomini su tutta la verità spirituale.
A Babilonia aveva cercato di ubriacare gli uomini con l’idolatria; attraverso la Persia aveva sperato di uccidere coloro che erano fedeli al loro Dio; attraverso gli insegnamenti della Grecia aveva talmente affascinato l’uomo con i poteri della propria mente che, grazie alle opere di giustizia che poteva compiere e alle filosofie delle proprie congetture, era portato a dimenticare qualsiasi potere superiore a quello che egli stesso possedeva. Ma in tutto questo pochi si erano aggrappati alla promessa fatta ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Il mondo ignorava il Cristo, ma Giovanni Battista chiamò molti al pentimento. Il ministero di Cristo si svolse durante il regno di Tiberio e, mentre quel vile individuo lavorava, pianificava, diffidava e uccideva, l’Uomo di Dio girava per tutte le città della Palestina, guarendo chi aveva il cuore spezzato e dispensando luce a tutti coloro che volevano accettarla. Gli angeli lo guardavano, Gabriele lo assisteva e, nei momenti di particolare pericolo, lo proteggeva dal nemico che lo inseguiva incessantemente. Alla fine lo inchiodarono alla croce; i Giudei ne furono responsabili, ma la legge romana li sostenne nell’azione; e se non fosse stato fatto dal suo popolo, l’avrebbero fatto i romani, perché avevano raggiunto una condizione in cui la vita dell’uomo era poco considerata e il regno spirituale che Cristo era venuto a instaurare non avrebbe mai potuto essere compreso dal monarca regnante. I funzionari di Roma inchiodarono il Figlio di Dio alla croce. Il Principe dell’alleanza eterna fu schiacciato da coloro che cercavano di confederarsi; lo misero nel sepolcro; si unirono a Satana, come la nazione non aveva mai fatto prima; ma egli spezzò quei legami e uscì trionfante. Rappresentanti dei quattro angoli del pianeta gli furono vicini nelle sue ultime ore. I greci lo incontrarono al tempio nell’ultimo grande giorno di festa; il ladrone era appeso accanto a lui sul Calvario; Simone di Cirene aiutò a portare la croce e il centurione, un soldato romano, condannato, disse: “Veramente questo era il Figlio di Dio”. L’oscurità che avvolgeva le sembianze di Cristo morente simboleggiava la condizione del mondo romano. La luce che risplendeva intorno al sepolcro quando gli angeli hanno detto al Figlio dell’uomo di uscire, simboleggiava la potenza con cui la verità doveva penetrare nell’impero mentre i suoi seguaci andavano a predicare la salvezza.
La forza del paganesimo era stata messa alla prova. La verità, la verità eterna, aveva abitato nella persona dell’Uomo di Nazareth. Con la morte di Cristo, Satana ha perso la speranza. Aspettando la sua crocifissione, Gesù disse: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà scacciato”. Satana, dopo la sua caduta, si era incontrato di tanto in tanto con i rappresentanti di altri mondi. Alcuni in quell’assemblea, non comprendendo l’orrenda natura del peccato, avevano pensato di mettere in dubbio la saggezza di Dio nell’espellere Satana dalle corti celesti, ma quando la vita di Cristo era finita, e avevano visto lo scherno del nemico e il suo ultimo atto di omicidio, “l’accusatore dei fratelli” fu scacciato per sempre dal consiglio dei mondi. “E quando il “drago”Ho trovato quello vide che era stato gettato sulla terra”, sapeva che il suo tempo era breve e con rinnovata energia cercò di rovesciare la verità di Dio e schiacciare coloro che vi aderivano. La restante parte dell’undicesimo capitolo di Daniele rivela chiaramente la verità di queste affermazioni. Dopo l’ascensione di Cristo, i suoi discepoli diffusero il Vangelo in tutta la Giudea e in tutta la Palestina, e molti che udirono la parola pronunciata con potenza il giorno di Pentecoste andarono nei loro paesi per proclamare la verità com’era in Cristo. In meno di trent’anni il mondo è stato avvertito. Ma gli ebrei erano esclusivi, e i discepoli non avevano ancora perso l’idea che Cristo era il Salvatore della razza ebraica, non il guaritore di tutta l’umanità. La persecuzione a Gerusalemme disperse i credenti, e poi andarono dappertutto a predicare la salvezza di Dio. Silenziosamente, ma costantemente, la corrente vivificante del cristianesimo penetrò negli angoli più remoti del vasto impero romano. Tutte le nazionalità erano per la prima volta, in tutta la storia, unite in Lui, perché… “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28).
Quando la verità si diffuse, fu la crescita di un impero; Un regno spirituale entro i confini della monarchia più forte della terra. Era con tutta la chiesa come con ogni individuo all’interno della chiesa, una vita spirituale, un uomo nuovo, circondato da una forma umana. Sarebbe stato per il progresso della verità se tutta l’oppressione dello spirituale da parte del temporale fosse stata solo quando lo stato si opponeva alla chiesa! Invece, il più grande, l’unico, l’effettivo inconveniente alla diffusione della verità è stato causato nell’esperienza individuale quando l’uomo fisico ha limitato lo sviluppo dello spirituale, dello spirito dimorante, del Cristo in voi, della speranza della gloria. La chiesa primitiva era zelante; Il loro primo amore è stato forte, e le maggiori difficoltà sono state incontrate e superate. A volte significava un’intera famiglia, ma spesso solo uno o due membri della cerchia domestica che uscivano dalle tenebre del paganesimo per opporsi a tutti gli attacchi, per la verità di Dio. Le madri guardavano i loro figli con la massima cura, perché ogni usanza e pratica del popolo dal momento della veglia al momento in cui si impegnavano a dormire, dalla nascita alla morte, era associata al culto di qualche dio. Una cosa peculiare della nuova setta, come erano visti dagli adoratori pagani, era l’assenza di immagini e forme che i sensi potessero comprendere. Quando i cristiani si riunivano per il culto, non c’era altare, nessuna immagine, nessun incenso. Quando i cristiani pregavano, non c’era sacerdozio, non c’era una vana ripetizione di parole, nessuna offerta, ma una semplice supplica nel nome di Cristo. Un potere invisibile sembrava aver preso il controllo dei nuovi convertiti, un potere che non si è mai eguagliato e che nessun devoto pagano poteva guadagnare. La vita che Dio aveva così a lungo cercato tra gli ebrei fu trovata tra i primi cristiani. Il nemico della verità aveva cercato con ogni mezzo di accecare gli occhi degli ebrei all’amore di Dio; aveva operato attraverso ogni governo per la loro distruzione, e quando la loro nazione era al suo punto più basso, quando la vitalità spirituale era quasi esaurita, Cristo venne in persona per ravvivare la loro flebile speranza. Allora Satana usò ogni espediente per ingannare il Figlio dell’uomo. Lo ha tentato in tutti i punti in cui la natura umana può essere tentata; cercò di intrappolarlo con processi meschini; cercò di indurlo ad accettare alti onori mondani; Ma fallì in tutto, e quando pensò di aver ottenuto la vittoria con la sua crocifissione, scoprì che era solo la forma fisica che poteva essere così legata, e questo solo per un certo tempo. Uno spirito eterno dimorò nel giorno mortale, e i legami della morte furono spezzati dalla sua risurrezione. Ora, in mezzo a quel popolo oppresso, a quella razza disprezzata, fin dai piedi della croce ignominiosa, Dio scelse un popolo e lo mandò a conquistare il mondo. “Tale conoscenza è troppo meravigliosa; è alto, non posso raggiungerlo”. Che meraviglia che il mondo si sia svegliato di soprassalto e che Satana abbia cercato nuovi espedienti per rovesciare la verità. La pressione esterna, sebbene provata più e più volte, si era dimostrata inutile nel cancellare la verità. Nella fornace ardente si vedeva la forma di un quarto; Dalla fossa dei leoni uscì un primo ministro; dal nuovo sepolcro di Giuseppe sorse un conquistatore. Babilonia, Persia, Grecia e Roma avevano tentato di rovesciare la verità, ma c’era stata una grandezza sempre crescente al posto della sconfitta. Un nuovo piano fu escogitato da Satana. Se il paganesimo potesse essere posto nel cuore, mentre i principi cristiani fossero riconosciuti esteriormente, il rovesciamento sarebbe certo; poiché la distruzione opera dall’interno, all’esterno. Era una ripetizione del piano di Balaam. Paolo, il grande maestro di giustizia, mentre visitava da un luogo all’altro tra i santi, scrisse così ai Tessalonicesi: “Il mistero dell’iniquità opera già”. “Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà, se non verrà prima un allontanamento, e non sarà rivelato quell’uomo del peccato, il figlio della perdizione; che si oppone e si esalta al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio, o che è adorato; affinché egli, come Dio, sieda nel tempio di Dio, mostrando a se stesso di essere Dio”. Fu allora che in quella
chiesa, nota per la sua purezza, si insinuò la vita del paganesimo. Al riparo nelle pieghe della veste cristiana giaceva il serpente, il vecchio drago. Poiché la nascita di Cristo, l’incarnazione di Dio, era un mistero, ed è ancora oggi un mistero che nessuno può comprendere, è stato accolto da un altro mistero, un mistero di iniquità le cui macchinazioni sono troppo forti per essere comprese dalla mente umana. Ingannerà se possibile gli stessi eletti. Solo colui il cui occhio è illuminato dalla verità, il cui cuore è il luogo , dimora del Figlio di Dio; In altre parole, solo colui che ha nel proprio essere il mistero della pietà, si opporrà al mistero dell’iniquità. Ai giorni di Paolo, cioè nel primo secolo d.C., quel potere era all’opera. Finora la storia riportata nel libro di Daniele trattava dei regni terreni, ma da questo momento in poi la storia tratta questo “mistero di iniquità” che ha operato attraverso i vari governi. La distinzione tra i regni del nord e del sud rimane quella del passato, ma passiamo ad un potere che sta influenzando questi governi. Da una parte in questa controversia c’è la chiesa di Dio; Dall’altra parte c’è il mistero dell’iniquità, che spesso si impadronisce dei governi terreni allo scopo di distruggere la Chiesa. L’espressione “Chiesa di Dio” non si riferisce a nomi o linee confessionali. Dai giorni di Cristo, fino ad oggi, c’è stata una vera chiesa. I suoi membri sono stati spesso dispersi a perdita d’occhio umana, ma nei libri dei registri del cielo sono stati riconosciuti come un’unica compagnia. La caratteristica che contraddistingue la vera chiesa è l’adesione ai comandamenti del Dio del cielo. Ovunque un popolo sia stato fedele a questi, Dio li ha onorati con la sua presenza. Inoltre, ad ogni denominazione che è sorta, sono state offerte le stesse opportunità che sono state offerte alle quattro nazioni successive man mano che si presentavano; cioè, il privilegio di camminare in tutta la luce, e con quello stesso atto diventare una compagnia eterna. Come la verità è stata rifiutata dalle nazioni ed esse sono cadute, così la verità è stata rifiutata da una denominazione dopo l’altra, e sono cadute, un altro popolo ha preso il posto vacante. Questa successione sarà mantenuta fino a quando un popolo rimanente che osserverà i comandamenti di Dio e la fede di Gesù sarà costituito. Entreranno nella città eterna per regnare con Cristo. È questa lotta che fu rivelata a Daniele nell’ultima parte della sua ultima visione. La storia di Roma diventa la storia della controversia religiosa, e la lotta tra la verità e l’errore è più grande che mai. La storia della chiesa, come data a Giovanni, contiene più dettagli delle parole di Gabriele a Daniele. Ai suoi seguaci del primo secolo, Dio dice: “Tu hai lasciato il tuo primo amore. Ricordati, dunque, da dove sei caduto, e pentiti, e compi le tue prime opere”. Della chiesa nel secondo e terzo secolo, dice: “Conosco le tue opere, e tribolazioni, e povertà (ma tu sei ricco)… Non temete nessuna di queste cose che soffrirete: ecco, il diavolo getterà alcuni di voi in prigione affinché possiate essere processati; e avrete tribolazioni”.
Il cristianesimo e il paganesimo furono in aperto conflitto per tre secoli dopo la nascita di Cristo, e a volte il serpente alzava la testa per colpire e gettare la verità a terra. Alcuni dei seguaci di Cristo furono perseguitati, mentre altri divennero freddi e indifferenti. Ma c’era un potere nel vangelo che i pagani non potevano sopportare. Con l’aumento dei suoi seguaci, la loro influenza si fece sentire anche nei circoli politici. La fine del terzo secolo dell’era cristiana trovò il governo di Roma notevolmente indebolito. I mali dell’impero, la sua oppressione e crudeltà, resero quasi impossibile per gli imperatori controllare gli affari. L’autorità era nelle mani dell’esercito, che sedeva e spodestava i governanti a volontà. Le orde barbariche premevano sull’impero da tutte le parti e la caduta di Roma era imminente. Qualche cambiamento radicale era necessario per evitare una completa rottura, e Diocleziano, l’imperatore regnante, concepì l’idea di dividere il territorio. Di conseguenza associò a sé un uomo di nome Massimiliano, dandogli il titolo di Augusto. Ognuno dei due imperatori scelse quindi un assistente, chiamato Cesare, il cui compito era quello di sorvegliare le frontiere. Secondo il piano di Diocleziano, i Cesari avrebbero dovuto diventare imperatori alla morte degli Augusti, e poi sarebbero stati nominati altri Cesari. Per un po ‘i quattro che erano a capo dell’impero romano lavorarono insieme in armonia, ma attraverso una serie di complicazioni scoppiò la guerra. Costantino era un Cesare nella divisione occidentale dell’impero, e marciando verso Oriente, sottomise, uno per uno, tutti i rivali nel governo. Era circa l’anno 312, quando, di fronte ad acerrimi nemici, di cui riconosceva la forza, questa luce nascente assunse una politica mai seguita prima. C’erano molti cristiani sparsi in tutto l’impero che si rifiutavano di combattere sotto la bandiera del paganesimo. Con questi Costantino fece una lega. La storia della sua conversione è raccontata in vari modi, e forse i dettagli non sono importanti. Resta il fatto che riconobbe il Dio dei cristiani, si proclamò seguace di Cristo, e subito i cristiani di tutto l’impero accorsero nel suo esercito, devoti seguaci del generale che ora combatteva in nome del cristianesimo. Parlando dell’uso della croce, Gibbon dice: “Questo stesso simbolo santificava le armi dei soldati di Costantino; la croce brillava nei loro elmi, era incisa sui loro scudi, era intrecciata nei loro stendardi; e gli emblemi consacrati che adornavano la persona dell’imperatore stesso si distinguevano solo per i materiali più ricchi e la lavorazione più squisita. Lo stendardo che fu portato davanti a questo esercito (cristiano) “sosteneva una corona d’oro, che racchiudeva il misterioso monogramma, allo stesso tempo espressivo della figura della croce, e la lettera iniziale del nome di Cristo”. Gli umili seguaci di Cristo, che subito dopo la sua ascensione erano partiti “conquistando e vincendo”, portando con sé le sue parole, la spada dello Spirito, erano stati sostituiti da un esercito con elmo e spada, guidato da un comandante che legava insieme gli emblemi della croce e il suo nome. L’abbigliamento del paganesimo in abiti cristiani non fu mai più completo che ai tempi di Costantino. Il mistero dell’iniquità era all’opera. Costantino conquistò il mondo romano; Sedeva come unico monarca dell’impero che stava vacillando nelle mani dei suoi predecessori. La guardia pretoriana, che era stata il terrore e la protezione di altri imperatori, fu soppressa per sempre da Costantino. La dignità del senato e del popolo di Roma ricevette un colpo fatale, e da allora in poi furono soggetti allo stesso modo. agli insulti o alla negligenza del loro padrone che risiedeva nella nuova capitale, Costantinopoli. Il personaggio di Costantino, il primo imperatore cristiano, è descritto in modo appropriato da Gibbon. Parlando del motivo per cui ritardò il battesimo fino a quando non fu sul letto di morte, dice: “La sublime teoria del Vangelo aveva fatto un’impressione molto più debole sul cuore che sulla comprensione di Costantino stesso. Ha perseguito il grande obiettivo della sua ambizione attraverso i sentieri oscuri e sanguinosi della guerra e della politica; e dopo la vittoria, si abbandonò senza moderazione all’abuso della sua fortuna. Invece di affermare la sua giusta superiorità al di sopra dell’eroismo imperfetto e della filosofia profana di Traiano e degli Antonini, l’età matura di Costantino perse la reputazione che aveva acquisito nella sua giovinezza. Man mano che avanzava nella conoscenza della verità, declinava proporzionalmente nella pratica della virtù; e lo stesso anno del suo regno in cui convocò il Concilio di Nizza, fu inquinato dall’esecuzione, o piuttosto dall’omicidio, del figlio maggiore… La gratitudine della chiesa ha esaltato le virtù e giustificato le mancanze di un generoso patrono, che ha seduto il cristianesimo sul trono del mondo romano; e i greci, che celebrano la festa del santo imperiale, raramente menzionano il nome di Costantino senza aggiungere il titolo di “Uguale agli apostoli”. Queste parole da sole offrono un triste commento sul declino della virtù cristiana dai tempi di Cristo. Colui che rivendicava il potere del cristianesimo era meno virtuoso dell’eroico pagano Traiano e di filosofi pagani come gli Antonini. Le prime leggi religiose mai approvate dai cristiani furono editti di Costantino. Nel 312 l’editto di Milano concesse la tolleranza universale; nel 321 fu pubblicata la prima legge per il culto della domenica; nel 325 fu convocato a Nizza il primo concilio ecumenico che formulò un credo per il mondo. Poi iniziarono i conflitti che dilaniarono la chiesa e la esponevano alla vergogna aperta. Circa il regno di Costantino raggruppa eventi di grande interesse, non solo per Roma, ma per la chiesa di Dio e per il mondo. Fu la prima e forse più grande lezione oggettiva che illustrava gli effetti dell’elevazione del cristianesimo in nome al trono del mondo. Sulla scia di questo regno seguono gli anni di oscurità per tutta l’Europa, quando l’anticristo regnava supremo. Egli infatti compì ciò che né suo padre né i padri di suo padre avevano compiuto. Lasciò ai suoi eredi “una nuova capitale, una nuova politica e una nuova religione”. Nessuno aveva osato pensare che Roma potesse essere abbandonata. Costantino scelse il sito di Costantinopoli con più della saggezza umana. È formato dalla natura. essere il centro e la capitale di una grande monarchia. È stato il punto conteso tra le nazioni d’Europa da quando il continente ha avuto nazioni da contendere, e secondo la profezia di Daniele, sarà il pomo della discordia fino alla fine dei tempi. È un fatto degno di nota che la città fu fondata nell’anno 330 a.C., esattamente trecentosessanta anni, “un tempo”, dopo la vittoria di Ottavio su Antonio ad Azio, che lo pose come unico sovrano sul trono romano. La nuova politica era il risultato di un’unione di chiesa e stato. I regni del passato avevano seguito una politica in qualche modo simile l’uno all’altro. Il governo era con loro l’oggetto centrale. Questo fu visto nella sua luce più forte nella Roma pagana, ma con Costantino la politica cambiò. Il paganesimo come paganesimo fu messo in basso, e il “mistero dell’iniquità” fu intronizzato. Al mondo è stato dato il cristianesimo, non come proveniva dalla vita di Colui di cui portava il nome, ma perché era corrotto e inquinato da menti umane e sataniche. Gibbon dice che d’ora in poi lo storico descriverà le “istituzioni politiche” prima di riferire le guerre, e che “adotterà la divisione sconosciuta agli antichi degli affari civili ed ecclesiastici”. Cioè, la storia futura deve avere a che fare con la chiesa e lo stato, non con regni come Babilonia, Medo-Persia e Grecia. La storia è cambiata. Il diavolo va in giro a cercare chi può
divorare, e i piani calmi e determinati per conquistare il mondo che hanno segnato le nazioni prima dei giorni di Cristo, sono stati sostituiti da una disperazione che significa la distruzione totale, se possibile, di tutti coloro che servono il Dio del cielo. Ogni mezzo è lecito nelle mani del principe di questo mondo, e maggiore è il numero di coloro che cadono, più leggero è il fardello che egli, l’arcinemico, deve sopportare nei giorni della resa dei conti finale. Gli atti di Costantino iniziarono una serie di movimenti che si svilupparono rapidamente nell’anticristo del Medioevo. Il concilio tenutosi a Nizza fu un incontro importante sia per la chiesa che per la nazione, perché poiché i due si sono uniti, tutto ciò che riguarda l’uno influisce sull’altro. Il mondo cristiano era lacerato da fazioni teologiche. Alessandria, centro di tutti gli studi filosofici, era anche il centro dell’attività teologica. Qui è dove l’influenza greca è stata più sentita con la forza. Atanasio, il capo di una fazione, era arcidiacono, e poi vescovo di Alessandria, e il suo avversario, Ario, era presbitero nella stessa città. Paganesimo e cristianesimo si incontrarono sul campo di battaglia quando Costantino si contendeva il trono di Roma; paganesimo e cristianesimo si incontrarono in un conflitto più mortale ad Alessandria, dove scuole cristiane e pagane stavano fianco a fianco. Fu qui che uomini come Origene e Clemente, riconosciuti Padri della chiesa, adottarono la filosofia dei Greci e applicarono allo studio della Bibbia gli stessi metodi che erano comuni nello studio di Omero e di altri scrittori greci. La critica superiore ha avuto la sua nascita ad Alessandria. Era il risultato di una mescolanza tra le verità insegnate da Cristo e la falsa filosofia dei Greci. Era un tentativo di interpretare gli scritti divini da parte dell’intelletto umano, una rinascita della filosofia di Platone. Questi maestri, introducendo la filosofia greca nelle scuole nominalmente cristiane, aprirono la strada alle controversie teologiche che scuotevano il mondo romano e stabilirono infine il mistero dell’iniquità. Così da questo falso insegnamento della Parola ad Alessandria vennero due capi: Atanasio e Ario. Ognuno aveva il suo seguito, eppure nessun uomo poteva definire chiaramente il punto conteso su cui litigavano. La controversia fu così grande che il Concilio di Nizza fu chiamato a dirimere la disputa e a consegnare alla chiesa un credo ortodosso. L’imperatore Costantino convocò il concilio e fu presente di persona. In questo concilio il credo di Atanasio fu riconosciuto come ortodosso, e Ario e i suoi seguaci furono dichiarati eretici. Ma annunciare un credo è una cosa, e farlo adottare è un’altra. Il credo ortodosso è stato pubblicato al mondo, e poi ha iniziato la lotta. In questo conflitto gli eserciti combatterono e molto sangue fu versato. Ma nonostante il fatto che l’arianesimo fosse eresia, la dottrina si diffuse. Era popolare tra le tribù barbare che invasero la divisione occidentale dell’impero romano. I Vandali, che si stabilirono in Africa, erano tra i seguaci di Ario, così come gli Eruli e gli Ostrogoti che si stabilirono in Italia. Ma mentre l’arianesimo si diffuse in Africa, Sardegna e Spagna, ed era presente a volte in Italia, la religione riconosciuta dell’imperatore romano e l’impero stesso, il regno settentrionale, che ora aveva la sua sede a Costantinopoli, era la fede cattolica, proclamata a Nizza. Come Costantinopoli era il rappresentante di questa divisione settentrionale ai suoi tempi, così più tardi, tra il 527 e il 565, Giustiniano divenne campione della causa cattolica. Secondo la visione di Daniele 7, il regno romano sarebbe stato diviso in dieci parti, rappresentate dalle dieci corna della quarta bestia, e tre di questi regni avrebbero dovuto essere strappati da un altro potere. È questa parte della storia del quarto regno che è raccontata in Daniele 11, a cominciare dal versetto venticinque. Il regno di Giustiniano fu il periodo più brillante della storia bizantina dopo la morte di Costantino, e gli storici concordano sul fatto che tra i suoi più grandi successi militari devono essere classificate le sue imprese contro il sud. Il successo di Giustiniano fu dovuto ai servizi, durante la maggior parte del suo regno, del celebre generale Belisario. Era lo strumento nelle mani dell’imperatore per schiacciare l’eresia.
I Vandali erano ariani, ma Ilderis, il nipote del loro capo guerriero, il noto Genserico, favoriva la fede cattolica. La disaffezione dei suoi sudditi rese possibile che Hilderis fosse detronizzato da Gelimero, che aveva qualche titolo sul trono vandalo. Con il pretesto di proteggere il detronizzato Ilderis, l’imperatore Giustiniano si preparò per una guerra in Africa. Mentre era ancora indeciso sull’opportunità di effettuare l’attacco a causa della debolezza dell’esercito romano e del costo dell’impresa, il suo proposito fu confermato dalle parole di un vescovo cattolico. Egli disse in tono profetico: “È volontà del Cielo, o imperatore, che tu non abbandoni la tua santa impresa per la liberazione della chiesa africana. Il Dio delle battaglie marcerà davanti al tuo stendardo e disperderà i tuoi nemici, che sono i nemici di suo Figlio.” Questo fu sufficiente, e fu intrapresa la guerra santa per lo sterminio dell’arianesimo. Una forza di Romani, il più grande Belisario poté comandare dall’impero indebolito, aiutato da reclute di fronte ad est, sbarcò in Africa. L’esercito vandalo contava 160.000 combattenti. Belisario fu affrettato nella sua marcia verso Cartagine dai nemici di Gelimero e dagli amici del credo cattolico. Gli eserciti si incontrarono vicino alla città, e la vittoria arrivò ai Romani attraverso la follia e l’avventatezza del fratello del re vandalo. Gelimero fuggì, e Cartagine aprì le sue porte, e ammise Belisario e il suo esercito. “Gli ariani, consapevoli che il loro regno era scaduto, cedettero il tempio ai cattolici, che salvarono il loro santo da mani profane, eseguirono i riti sacri e proclamarono ad alta voce il credo di Atanasio e Giustiniano”. La fede cattolica aveva trionfato. L’arianesimo cadde, la Sardegna e la Corsica si arresero, e altre isole del Mediterraneo cedettero alle armi e al credo di Giustiniano. Nell’autunno del 534 Giustiniano concesse un trionfo a Belisario. Gibbon descrisse così la scena: “Dal palazzo di Belisario la processione fu condotta per le strade fino all’ippodromo… La ricchezza delle nazioni era esibita, i trofei di lusso marziale o effeminato; ricca armatura; troni d’oro e i carri di stato che erano stati usati dalla regina dei vandali; i mobili massicci del banchetto reale, lo splendore delle pietre preziose, le eleganti forme di statue e vasi, i tesori d’oro più consistenti e i vasi sacri del tempio ebraico, che, dopo la loro lunga peregrinazione, furono rispettosamente depositati nella chiesa cristiana di Gerusalemme. Un lungo treno dei più nobili Vandali esponeva con riluttanza la loro alta statura e il loro volto virile.” “Gli ariani deploravano la rovina della loro chiesa, trionfante per oltre un secolo in Africa; e furono giustamente provocati dalle leggi del conquistatore, che interdicevano il battesimo dei loro figli e l’esercizio di ogni culto religioso”. Non c’è molto da meravigliarsi che coloro che rimasero complottarono contro il governo e il generale che rappresentava Giustiniano. La perdita di vite umane fu terribile in quelle guerre per la supremazia di un credo su un altro, e il percorso verso la corona papale fu macchiato di sangue. Si afferma che cinque servitori africani furono consumati dalle guerre e dal governo dell’imperatore Giustiniano. Per brevità, le guerre tra l’impero cattolico e i Vandali possono essere prese come un’illustrazione dello sterminio degli altri due regni, quello degli Eruli e degli Ostrogoti. Giustiniano era l’imperatore regnante; e la maggior parte del lavoro fu svolto da Belisario, questo stesso generale, tra gli anni 533 e 538. L’ultima contesa con il paganesimo fu nel 508 quando i Britanni accettarono il cristianesimo; il “quotidiano” di cui si parla in Daniele era stato portato via. Nel 538 la strada era spianata per il papato di sedere sul trono a Roma. La nuova capitale stabilita da Costantino lasciò Roma per poter essere occupata dal capo della chiesa. La nuova religione – il cristianesimo – che abbiamo visto mescolarsi con il paganesimo, che ha schiacciato e ha dato vita al papato. La nuova politica, un’unione di chiesa e stato, diede aiuto civile a quel cristianesimo paganizzato chiamato papato. Il raccolto del seme seminato ai giorni di Costantino fu raccolto durante il regno di Giustiniano, il cui potere militare e civile sosteneva “l’abominio che rende desolato”. Una caratteristica sorprendente di questa storia è il fatto che lo stesso codice di diritto che Roma ha lasciato in eredità ai tempi successivi, è opera di questo stesso Giustiniano. C’è da meravigliarsi che le leggi di questo imperatore, che regnò al tempo in cui si formò il papato, e che fu colui che lo sostenne con le armi, dovrebbero contenere alcuni principi del papato? Fisher dice: “I principi umani sono incorporati nella legge civile, ma allo stesso modo il sistema dispotico dell’imperialismo”. Le leggi di Giustiniano costituiscono la base delle leggi nazionali di oggi; allo stesso modo la religione di Giustiniano è la religione riconosciuta dalla maggior parte dei paesi oggi. Costantino e Giustiniano furono i due uomini che più di tutti gli altri furono determinanti nel formare il papato e nel dargli potere civile. La contesa tra arianesimo e cattolicesimo ortodosso era il mezzo per intronizzare il papato. Un potere presto riconosciuto come la personificazione di tutta la tirannia influenzò lo scettro di Roma, e i seguaci di Colui che proclamò un patto di pace con Israele, avrebbero lottato per il periodo di 1260 anni per l’esistenza. Ogni principio di verità fu schiacciato, e con 538 fu inaugurato il Medioevo.
Come l’anno 457 a.C. fu una data importante nella storia ebraica, così il 538 d.C. è una pietra miliare nella storia della chiesa cristiana. Il primo, risalente al decreto di restaurare e costruire Gerusalemme, segna l’inizio di un grande periodo profetico, i 2300 giorni di Daniele 8:14. Quest’ultimo, che ha assistito all’istituzione del papato, è la data da cui calcolare quell’altro periodo profetico, “un tempo e tempi e la divisione del tempo”, o i milleduecentosessanta giorni di Daniele 7:25. È il periodo durante il quale il piccolo corno, che ha strappato tre delle dieci divisioni dell’impero romano, dovrebbe dominare. È all’inizio di questo periodo, l’anno 538, che il trentunesimo versetto di Daniele 11 porta la storia.
Il papato pienamente sviluppato non fu opera di uno né di due anni più di quanto il potere universale di Babilonia, Medo-Persia o Grecia fosse un’acquisizione immediata. Come quei regni crebbero in potenza, così la Roma papale crebbe in potenza. Secondo Apocalisse 13:2, il dragone diede alla bestia il suo potere, il suo seggio e la sua grande autorità. Il lavoro di Costantino e Giustiniano per ottenere potere per questa nuova organizzazione fu parallelo alle conquiste di Ciro, Alessandro e Cesare nelle loro conquiste per le rispettive nazioni. La sede del governo pagano romano fu spostata a Costantinopoli, dando così spazio al papato di sedere sul trono nella città sul Tevere. Come il territorio e una capitale furono acquisiti gradualmente, così l’autorità del papato fu un’acquisizione graduale. Ognuno dei quattro regni universali aveva una politica distinta, che fu seguita per tutta la sua esistenza. Allo stesso modo il papato aveva la sua politica altrettanto chiaramente definita. il funzionamento di questa politica nel suo inizio è meglio visto ad Alessandria. Fu lì che i due flussi, paganesimo e cristianesimo, mescolarono le loro acque. il papato è nato sulle rive del Nilo: l’Egitto è stata la madre che lo ha curato e, crescendo, ha respirato i miasmi dei suoi dintorni. In primo luogo, i cristiani interpretarono la Bibbia secondo il pensiero pagano, e il paganesimo che sembrava essere sconfitto, in realtà divenne il conquistatore.
Poi gli insegnamenti della Parola furono cambiati. Al fine di scendere a compromessi con i pagani, il culto degli idoli fu introdotto nella chiesa cristiana; Il secondo comandamento fu eliminato dal Decalogo e il decimo fu diviso per preservare il numero. Il quarto, la chiave di volta della legge di Dio, memoriale della creazione e della redenzione, è stato così alterato da esaltare il nemico di Dio al di sopra di Dio stesso. In seguito, l’intera Bibbia fu scartata e, quando quel rivelatore di peccati fu soppresso, la viltà e l’iniquità divennero incontrollabili. Questa, tuttavia, non era l’intera politica del papato, ma solo una delle pietre nelle fondamenta della struttura che veniva eretta. Il capo della chiesa, che era anche un governante civile, era esaltato sempre più al di sopra dei suoi simili, fino a formare una completa gerarchia ecclesiastica. Per decreto di un concilio generale il capo della chiesa fu dichiarato infallibile. Ma anche prima, questa fede nella nuova chiesa, e specialmente nel capo della chiesa, ha preso il posto della fede in Cristo. La Vergine Maria e i santi divennero mediatori per l’uomo peccatore, e il perdono fu concesso dal capo della chiesa. La rettitudine per opera portava a lunghi pellegrinaggi, penitenze e adorazione delle reliquie. La punizione eterna era considerata una minaccia sopra le teste della gente comune. L’oscurità si fece più profonda. L’inquisizione fu istituita per forzare la coscienza degli uomini. I re sui loro troni erano costretti a riconoscere l’autorità superiore del potere di Roma, e il fallimento significava la rimozione delle loro corone. I sudditi furono assolti dalla fedeltà ai loro sovrani, e così completa fu l’obbedienza delle nazioni a Roma, che nessun uomo osò alzare la mano in opposizione.
Un’oscurità al di là della comprensione si stabilì su tutto il mondo. La luce si era spenta quando la Parola di Dio era stata bandita. “Il mezzogiorno del papato era la mezzanotte morale del mondo”. Il potere che avrebbe dovuto pronunciare grandi parole contro l’Altissimo e logorare i santi dell’Altissimo, fu assegnato 1260 anni per operare; Ma quel potere era così crudele che il tempo fu abbreviato, per timore che nessuno sopravvivesse alla persecuzione. Era una schiavitù egiziana o babilonese per la chiesa cristiana. Ma proprio come Dio aveva alcuni in Egitto e Babilonia che erano seguaci della luce durante tutto il periodo delle tenebre, c’era sempre una piccola compagnia di credenti che tenevano care le Scritture ai loro cuori e che obbedivano ai comandamenti.
I Valdesi potevano far risalire i loro antenati ai giorni di Paolo, e dall’Asia Minore, dove quell’apostolo predicò per la prima volta, al ritiro selvaggio sulle montagne d’Italia, c’erano fedeli osservanti del sabato. Il potere sul trono poteva cambiare il giorno dell’adorazione, ma c’erano sempre alcuni che obbedivano a Dio piuttosto che all’uomo. Come disse Gabriele a Daniele: “Coloro che comprendono tra il popolo istruiranno molti; ma cadranno di spada, di fiamma, di prigionia e di bottino”. Sebbene migliaia caddero perché osarono alzare la voce contro i poteri costituiti, tuttavia Dio osservò il loro numero e contò ognuno di coloro che diedero la vita. Non c’è testimonianza più meravigliosa di liberazione dalla schiavitù di quella che Dio ha operato per la sua Chiesa alla fine del periodo di persecuzione. La liberazione di Israele dall’Egitto, quando una moltitudine marciò attraverso il Mar Rosso sulla terraferma, fu meravigliosa; la liberazione da Babilonia fu una meraviglia agli occhi del mondo; ma la nascita del protestantesimo, la liberazione dalle tenebre del Medioevo, superò tutte le altre.
Nel dodicesimo capitolo dell’Apocalisse, dove si parla della stessa liberazione, si afferma che la terra aiutò la donna, la Chiesa. E così è stato. Potenze del tutto inspiegabili per il bene che stavano facendo, furono usate dal Padre per spezzare i legami che Satana aveva posto intorno alla verità. La soppressione della Bibbia aveva portato alla soppressione di tutto il sapere. Non c’erano scuole per le masse; non c’erano libri, né giornali; ai medici era vietato praticare la medicina, per non sottrarre denaro che altrimenti sarebbe andato nelle casse della Chiesa. Se qualcuno osava sostenere l’apprendimento o attraversare i sentieri battuti dalla Chiesa, veniva condotto al rogo. Ma non poteva essere sempre così. Dio si servì dei Mori che avevano accettato il maomettanesimo per aiutare a liberare il suo popolo. Essi fondarono scuole in Spagna e in Asia occidentale. Vennero insegnate le scienze e da queste scuole la luce del sapere irruppe in Egitto.
Wycliffe, chiamato “la stella del mattino della Riforma”, nel XIV secolo tradusse la Bibbia in inglese. Scrisse trattati che mostravano la fallacita’ del sistema papale. In Inghilterra, come l’antico Daniele, era in stretto contatto con il re e la luce del Vangelo stava facendo il suo effetto. Al sovrano sul trono e agli studenti delle università, Wycliffe trasmetteva il Vangelo. I suoi seguaci, noti come Lollardi, furono aspramente perseguitati, ma mai completamente sterminati; e sono i loro discendenti che, come Puritani, hanno portato il protestantesimo in America. Huss e Girolamo in Boemia alzarono la voce contro i dogmi papali, e più tardi Lutero, il monaco tedesco, proclamò la libertà di coscienza e la salvezza solo per fede in Gesù Cristo. Egli aveva trovato una copia della Bibbia incatenata in una cella di uno dei monasteri tedeschi e la scintilla che si era accesa, accese un fuoco che Roma non riuscì a spegnere.
La Parola di Dio divenne il libro di lezioni per la nazione tedesca. Lutero fu assistito nella sua opera di riforma da Melantone, il noto insegnante di Wittenberg. Altre scuole vennero fondate in tutta la Germania; vennero istruiti insegnanti e, prima della morte di Lutero, la nazione tedesca si sedette ai piedi dei maestri protestanti; tanto rapida era l’opera di apertura della Parola di Dio all’umanità. La Riforma marciava verso la vittoria. Roma si ritirò in confini sempre più stretti, non davanti alla spada, ma alla marcia della verità. In ogni nazione d’Europa la luce risplendeva e l’America fu fondata sui principi che erano nati in Germania. Il papato tremò di fronte al colpo; e se ogni nazione avesse accettato la Riforma così come si presentava, sarebbe passato poco tempo prima che la storia si concludesse. Nella Riforma Dio offriva alle nazioni moderne la stessa liberazione che era stata offerta agli Ebrei quando fu concessa loro l’opportunità di tornare da Babilonia a Gerusalemme. L’alleanza eterna fu ripetuta, ma gli uomini del XVI e XVII secolo la trattarono come gli ebrei trattarono il decreto di lasciare Babilonia. Quando i principi della Riforma – la libertà di coscienza e l’uguaglianza dei diritti di tutti gli uomini – sono stati presentati a una nazione e sono stati rifiutati, quella nazione è ricaduta nelle braccia del papato e ha portato a compimento i principi di quel governo.
Questa è stata la storia della Francia. L’esperienza di quella nazione è una lezione esemplare per il mondo. La verità era stata proclamata all’interno dei suoi confini, ma ancora una volta il papato si sollevò per fare la sua volontà. È in quel Paese che si sono adempiuti esattamente i versetti 36-39 del capitolo 11. Avendo rifiutato la luce, l’intensità della luce si è fatta sentire. Avendo rifiutato la luce, l’intensità delle tenebre in cui gli uomini caddero era indescrivibile. Scott, nella vita di Napoleone, parlando della Francia nell’anno 1793, pochi anni prima della scadenza del tempo stabilito (versetto 36), dice: “Il mondo per la prima volta ha sentito un’assemblea di uomini, nati ed educati nella civiltà, e che presumevano di governare una delle migliori nazioni europee, alzare le loro voci unite per negare la verità più solenne che l’anima dell’uomo riceve, e rinunciare unanimemente alla credenza e al culto della Divinità”. “La Francia si distingue nella storia del mondo per essere l’unico Stato che, con un decreto della sua assemblea legislativa, ha dichiarato che non c’è Dio, e di cui l’intera
popolazione della capitale, e una vasta maggioranza altrove, sia donne che uomini, ha danzato e cantato con gioia nell’accettare l’annuncio. Questo era l’ateismo, il risultato logico della posizione assunta ad Alessandria quando i cristiani assunsero la veste di filosofi pagani. La Parola di Dio veniva trattata come un prodotto della mente umana. L’ateismo nell’individuo è anche il risultato di un simile trattamento delle Scritture”. Altre citazioni dalla storia di quei tempi mostreranno quanto Dio fosse completamente rifiutato e sostituito dal culto dell’intelletto umano.
Un giorno “le porte della Convenzione furono spalancate a una banda di musicisti, preceduti dai membri del corpo municipale che entrarono in solenne processione, cantando un inno in lode della Libertà e scortando una donna velata, che definirono la ‘Dea della Ragione'”. Quando la creatura fu svelata, si scoprì che era una cantante d’opera prostituta. Questa era la rappresentazione più adatta che la Francia potesse trovare della ragione che essi esaltavano. Forse era difficile capire, notando la politica della Grecia nell’elevare la ragione umana, quale sarebbe stato il risultato di un tale corso. La storia della Francia nei giorni della Rivoluzione è una spiegazione esauriente di questi risultati. Gli uomini di oggi esaltano la ragione al di sopra di Dio; si degnano di dare un’interpretazione privata alla Parola divina; propongono ogni sorta di teorie contraddittorie al “così dice il Signore”, e persino i cristiani che si professano tali seguono l’intelletto greco, studiando essi stessi la filosofia e insegnandola ai loro figli, apparentemente inconsapevoli del fatto che questo è papale e solo papale, e che il suo risultato finale può essere letto nei terribili annali della Francia. Dopo aver intronizzato la “Dea della Ragione”, la Francia ha approvato leggi che rivelano chiaramente il risultato di tale culto. Le due istituzioni che risalgono all’Eden e che sono indissolubilmente legate al culto di Jahwèh furono diffamate. La settimana fu cambiata per decreto in modo da abolire completamente ogni somiglianza con i tempi passati, e per un breve periodo la Francia riposò un giorno su dieci invece di osservare il sabato settimanale. La legge sul matrimonio fu abrogata e questa salvaguardia della società fu completamente ignorata.
Il papato in Francia stava rapidamente spianando la strada verso l’auto-annullamento.
L’intelletto umano adorato porta la morte. La Rivoluzione francese del 1798, il Massacro di San Bartolomeo e il Regno del Terrore raccontano la terribile storia della distruzione. L’intera storia di questo periodo è una lezione oggettiva per il mondo della distruzione finale delle nazioni quando lo Spirito di Dio viene ritirato, perché coloro che sono in autorità rifiutano di adorare Geova, scegliendo piuttosto di esaltare la “Dea della Ragione”.
Il rovesciamento completo della Francia è stato fissato in faccia fino a quando il controllo degli affari è stato assunto dal giovane ufficiale militare Napoleone Bonaparte. Dal caos, egli condusse la nazione, attraverso lo spargimento di sangue, a un posto d’onore tra i popoli. nazioni europee. La causa della lotta, che costò migliaia di vite, fu il tentativo di sopprimere i diritti civili e religiosi. La Riforma in Germania nel XVI secolo diede il colpo di grazia al feudalesimo e alla monarchia. La Francia fu il campo di battaglia in cui la tirannia papale lottò contro il protestantesimo e il repubblicanesimo. La monarchia assoluta accompagna e sostiene sempre la politica del papato, sia in una nazione pagana che in una nazione nominalmente cristiana. La democrazia, in linea di principio, è la forma di governo assunta da qualsiasi nazione quando viene accettata la luce della verità.
Quando la Riforma fu rifiutata dalla Francia, la tirannia della monarchia non conobbe limiti. Due terzi delle terre dello Stato erano nelle mani del clero e dei nobili; il re approvava leggi che tassavano i suoi sudditi contro ogni protesta del Parlamento; i mandati di arresto e di detenzione erano emessi dalla sua sola autorità; “la carestia prevaleva in ogni provincia, e la corteccia degli alberi era il cibo quotidiano per centinaia di migliaia di persone”. L’oppressione era insopportabile, e gli uomini, impazziti fino a diventare più demoni che esseri umani, si sollevarono in rivolta. In America i principi della Riforma erano stati messi in pratica con relativa facilità. Ma la Francia, dopo aver rifiutato la luce, si è immersa nel sangue nella sua richiesta di libertà.
Poi apparve Napoleone. Con i rapidi movimenti di una mente geniale, portò la vittoria delle armi francesi in tutta Europa. L’esercito era l’elemento di controllo; i nobili e il clero erano impotenti e la gente comune si era esaurita senza successo durante i terrori degli ultimi anni. Sconfisse gli Austriaci e catturò Milano; costrinse il Papa e varie città d’Italia a comprare la pace cedendo le loro collezioni d’arte. Organizzò una repubblica nell’Italia settentrionale e costrinse l’Austria a cedere le province belghe alla Francia. Condusse una spedizione in Egitto, nella speranza di ottenere il controllo del Mediterraneo orientale. Durante il viaggio catturò Malta e poi ottenne una vittoria sui maomettani d’Egitto vicino alle piramidi. Nei pressi del Nilo, tuttavia, Bonaparte fu affrontato e sconfitto da Lord Nelson, il più grande degli ufficiali navali inglesi. L’Inghilterra, gelosa dei rapidi progressi di Napoleone, si era opposta alla sua avanzata in Egitto. In seguito, egli sconfisse i turchi d’ Egitto ad Aboukir. Nel 1799 fu adottata una costituzione in Francia e Napoleone fu scelto come primo console con due assistenti. La Francia aveva tentato di copiare la Costituzione degli Stati Uniti, ma l’effetto era fallito. La costituzione del 1799 stabilì un governo centralizzato e privava il popolo della libertà e dell’autogoverno. “L’uguaglianza, non la libertà, era tutto ciò che rappresentava la causa della Francia”.
Le riforme di Napoleone sono degne di nota. Dice lo storico: “Partecipò personalmente alle cerimonie religiose che presero parte alla restaurazione formale del vecchio sistema di culto dove la dea della Ragione era stata intronizzata con orge atee”. “La piena tolleranza fu assicurata agli acattolici”. Fu Berthier che nel 1798 fece prigioniero il Papa, realizzando così la profezia dei 1260 anni di supremazia papale.
Le riforme di Napoleone, tuttavia, tendevano solo verso una monarchia e, mentre il popolo invocava il repubblicanesimo, l’orgoglio dell’uomo ebbe la meglio ed egli piegò le sue energie verso la propria esaltazione. Fu proclamato imperatore nel 1804 e, a imitazione di Carlo Magno, ricevette la corona da Papa Pio VII a Notre Dame. La libertà sembrava di nuovo sconfitta. L’accettazione parziale della verità porta solo alla tirannia. Questa è un’esperienza individuale e nazionale. L’affermazione dei principi della Riforma, come si vede nell’adozione della Costituzione degli Stati Uniti, fu il risultato della fede e del coraggio dei Puritani di seguire quella luce che allontanava dal papato. La lotta della Francia è un monito per coloro che non vedono nulla di male nell’ospitare i principi dell’anticristo o per coloro che, dopo aver conosciuto la verità della libertà civile e religiosa, tornano alla schiavitù dell’errore.
Al momento della fine (1798) i re del nord e del sud si contesero nuovamente. Dalla fondazione di Costantinopoli da parte di Costantino nel 330, la potenza che deteneva quella città aveva mantenuto il controllo del Mediterraneo, poiché Costantinopoli è riconosciuta da tutte le nazioni come la chiave dell’Asia e dell’Europa. Nel tempo della fine, la storia sarà di nuovo incentrata su questa città.
Come nei tempi passati, anche in questo caso siamo costretti a risalire molto indietro per trovare l’origine di eventi che ora appaiono in tutta la loro evidenza. Nel momento in cui il papato stava diventando una monarchia a tutti gli effetti, riconosciuta dalle nazioni della terra, nacque un’altra potenza. Questa nuova opera di Satana si presentò sotto forma di maomettanesimo, che oggi tiene in pugno circa un sesto della popolazione mondiale. La nuova dottrina ebbe origine in Arabia, da dove si diffuse come un fumo dal pozzo senza fondo. La Siria cadde sotto il suo potere, ma l’Egitto divenne il centro delle sue influenze. L’Egitto ha subito ogni influenza malvagia e le rive del Nilo hanno alimentato ogni forma di idolatria.
Il maomettanesimo non è che un’altra forma di oscurità egiziana. Con la forza della spada i seguaci di Maometto cercarono di entrare in Europa. Il corno occidentale della Mezzaluna, simbolo musulmano, si estese in Spagna all’inizio dell’VIII secolo e per un certo periodo tutta l’Europa fu minacciata, ma la battaglia di Tours (732) fermò l’avanzata dei conquistatori. Nel 1453, tuttavia, Costantinopoli fu conquistata e da allora è rimasta nelle mani dei Turchi, i più audaci sostenitori della dottrina di Maometto. Come la fondazione di Costantinopoli è un punto di riferimento nella storia, così la presa di quella città nel 1453 è un altro punto di riferimento. Uno dei maggiori scossoni ricevuti dal papato fu dovuto all’afflusso in Italia di studiosi greci, cacciati da Costantinopoli dai maomettani in arrivo. La scoperta dell’America fu dovuta alla chiusura del passaggio orientale verso le ricche isole dell’Oceano Indiano da parte dei maomettani di Costantinopoli e dell’Asia Minore, e così, in più modi di quanto si pensi, Dio operò per far progredire la verità attraverso coloro che erano ignoranti della sua verità.
Non solo l’Egitto, ma anche la Siria e la Turchia in Europa appartenevano ai maomettani, ed egli è entrato nella “terra gloriosa”, e una moschea musulmana occupa il luogo dove un tempo sorgeva il tempio di Salomone. Edom, Moab e Ammon, tuttavia, sono sfuggiti alla mano di questa potenza conquistatrice e questi Paesi ricevono un tributo annuale dai Turchi che passano in carovana diretti alla Mecca.
L’ambizione di Napoleone di stabilire l’autorità dell’Europa in Egitto avrebbe potuto essere l’inizio dell’ultima lotta tra il nord e il sud. Già ai suoi tempi la Russia e la Francia avevano stretto amicizia, ma non era ancora giunto il momento in cui il Turco si sarebbe allontanato dall’Europa, e l’Inghilterra prese le parti dell’Egitto contro le armi di Napoleone. Napoleone riconobbe la forza di Costantinopoli, così come la Russia, e c’è stata una costante gelosia tra le nazioni d’Europa per evitare che una superasse le altre e diventasse proprietaria di quella roccaforte. Tutti gli occhi sono puntati su quel punto, e lo sono stati per anni. La Turchia è universalmente conosciuta come il “malato d’Oriente”, e l’unica ragione per cui non muore è che gli intossicanti vengono somministrati, in senso figurato, prima da una nazione e poi da un’altra. Verrà il momento in cui si allontanerà da Costantinopoli e prenderà dimora in Palestina, cioè pianterà il suo tabernacolo tra il Mediterraneo e il Mar Rosso. Più volte il mondo si è reso conto che la fine di tutte le cose è vicina, perché tutti sanno che quando il Turco lascerà Costantinopoli, ci sarà una disgregazione generale dell’Europa. Non si può dare un nome a questo conflitto imminente, la battaglia di Armagheddon, ma Dio l’ha chiamata così. Nella guerra di Crimea del 1853-1856, il mondo tremò per la Turchia e, per evitare che la crisi precipitasse, l’Inghilterra e la Francia vennero in soccorso e la Russia fu invitata a ritirarsi. Nella guerra russo-turca del 1877, le potenze europee si unirono per sostenere la vita del malato.
Vidi quattro angeli in piedi ai quattro angoli della terra, che tenevano i quattro venti della terra… E vidi un altro angelo che saliva dall’oriente, con il sigillo del Dio vivente; e gridava… dicendo: “Non ferite la terra… finché non avremo sigillato i servi del nostro Dio nelle loro fronti”. Questi angeli ora tengono i venti della contesa, in attesa che la chiesa di Dio si prepari alla sua venuta. L’angelo suggellatore passa per Gerusalemme (la chiesa) per porre il sigillo del Dio vivente sulla fronte dei fedeli e, mentre quest’opera procede, la Turchia si pone come guida nazionale per il mondo, affinché gli uomini sappiano cosa accade nel santuario di lassù. L’occhio di Dio è puntato sul suo popolo e non si lascia mai senza testimoni nel mondo. Nessuno sa quando la Turchia si allontanerà dall’Europa, ma quando questo avverrà, la storia della terra sarà breve. Allora si dirà: “Chi è ingiusto sia ancora ingiusto… e chi è giusto sia ancora giusto”. Oggi è “il giorno della preparazione”. Il destino di Babilonia, Medo-Persia, Grecia e Roma è registrato per l’edificazione delle nazioni di oggi, e le lezioni impartite da tutti si concentrano negli eventi che abbiamo davanti. Mentre il mondo osserva la Turchia, il servo di Dio osserva i movimenti del suo grande Sommo Sacerdote, il cui ministero per il peccato è quasi terminato.
A Daniele, l’uomo molto amato da Dio, fu data più volte una visione della storia del mondo; ma l’ultima visione copriva l’intero periodo nei dettagli e Gabriele non lasciò il profeta finché non gli ebbe rivelato la conclusione di tutte le cose. Daniele è un profeta dell’ultimo giorno e, pur facendo una storia del tempo che intercorre tra i suoi giorni e l’epoca attuale, è sugli eventi conclusivi che viene posto un accento particolare. Quattro volte nelle sue profezie viene ripetuta l’espressione “tempo della fine”; “gli ultimi giorni” è usato due volte, e “la fine dell’indignazione” e “per molti giorni” compaiono ciascuno una volta, e le parole conclusive di Gabriele erano: “Ti riposerai e poi sorgerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni”. Così, per nove volte nel corso del libro, l’attenzione viene richiamata sul fatto che la profezia indicava direttamente la fine della storia di questa terra. Quando iniziò l’ultima visione, il profeta si trovava accanto al fiume Tigri. Era il terzo anno dell’unico regno di Ciro, il re persiano. Partendo dai tempi in cui viveva, Gabriele portò il profeta attraverso la storia della Persia; gli illustrò le conquiste di Alessandria e la divisione del suo impero; vide il funzionamento della letteratura e dell’arte greca e osservò l’influenza che si diffondeva in Italia, plasmando il quarto regno e infine fondendosi con la verità in modo tale da formare il papato. Daniele vide l’anticristo sorretto dalle armi sul trono di Roma; fu trasportato attraverso i secoli bui; osservò, ed ecco, le tenebre disperdersi davanti alla verità proclamata dai Riformatori. Come una schiarita improvvisa dopo una tempesta, le nubi si ritirarono e il Sole della giustizia risplendette; ma di nuovo le tenebre si radunarono e la Francia, quella nazione d’Europa che era un campo di battaglia dove il protestantesimo si scontrava con il papato, quasi cessò di esistere, tanto aspra era la lotta tra i principi della verità e dell’errore.
L’esistenza stessa di Dio fu negata e per un certo periodo la rovina eterna incombette come una coltre su quel Paese. L’ira di Dio è stata trattenuta, ma come una persona colpita da una malattia schifosa può vivere, ma portare sempre nel suo corpo gli effetti della malattia, così la Francia che esce dalla lotta è ancora segnata dall’orrore del suo peccato. La guida profetica ha portato avanti il profeta e ha rivelato la contesa tra le nazioni moderne; ha visto la lotta finale tra il nord e il sud, e indicava Costantinopoli come sede della contesa negli ultimi giorni. Le nazioni dovrebbero volgere lo sguardo verso gli attuali occupanti di quella città e attendere pazientemente il trasferimento del Turco nella “terra gloriosa”. Perché “egli giungerà alla sua fine e nessuno lo aiuterà”.
Il profeta aveva osservato con intenso interesse il popolo su cui aveva brillato la luce
del cielo. Da Babilonia fino alla fine dei tempi, un flusso dorato collegava il cielo e la terra, come se i cieli fossero aperti e la colomba della pace stesse scendendo. A volte il flusso si restringeva fino a diventare un filo di luce, ma non si spegneva mai del tutto; poi il profeta lo vide allargarsi fino a illuminare il mondo intero.
Quella luce seguì gli ebrei per centinaia di anni, ma nei giorni che precedettero la nascita del Salvatore c’erano solo poche anime che legavano terra e cielo. Con l’avvento di Cristo un’inondazione di luce riempì la terra, ma di nuovo le tenebre coprirono quasi la faccia del sole. I flussi di luce erano numerosi man mano che i cristiani si disperdevano sulla terra, ma gradualmente, man mano che il profeta li seguiva in visione, diventavano sempre più fiochi. Ai tempi di Lutero e dei Riformatori il flusso si allargò, e di nuovo la luce balenò come un lampo, squarciando le tenebre. Ma i giorni di luce chiara erano relativamente pochi.
La fine del periodo profetico di 2300 giorni portò gli uomini a importanti cambiamenti nel santuario celeste. In tutti i tempi Cristo aveva supplicato per il suo popolo e, sia che fossero molti o pochi, il suo amore era sempre lo stesso. Finalmente il grande Sommo Sacerdote entrò nel Santo dei Santi. A Daniele era stata rivelata la scena del giudizio istruttorio. Aveva visto il Figlio avvicinarsi all’Antico dei Giorni; i libri del cielo erano stati aperti e i registri esaminati. Più e più volte le mani trafitte dai chiodi erano state alzate davanti al grande Giudice, mentre veniva letto il nome di qualche anima pentita e l’Intercessore aveva gridato: “Perdono, Padre! Il mio sangue! Il mio sangue”, e il carattere sfregiato, la fedina penale rovinata, era stata coperta dalla vita del Figlio dell’uomo. Daniele aveva visto questo. Sapeva che il popolo di Dio deve passare in rassegna davanti al Giudice dei mondi, ma alla fine dell’ultima visione si presenta un’altra scena. Mentre gli uomini osservano i movimenti delle nazioni; mentre gridano: “Pace e sicurezza”, eppure si preparano alla guerra, l’angelo di Dio viene visto da Daniele passare sulla terra e porre un sigillo sulla fronte di coloro ai quali si estendono i raggi celesti. Finché l’angelo trova qualcuno di questi fedeli, Cristo continua a intercedere, ma alla fine il messaggero si allontana con le ali verso il cielo. In tutto il vasto regno di Jahvè risuona il suono: “È fatto”, e Cristo dal santuario interiore si alza e proclama: “È fatto”. Depone le vesti sacerdotali e si prepara a mettere ordine nel suo regno. La sua opera mediatrice è finita; la porta da cui sono usciti quei raggi di luce e di misericordia è chiusa per sempre. Coloro che sono stati suggellati devono ora resistere completamente per fede, aggrappandosi solo a Dio durante un “tempo di difficoltà come non c’è mai stato da quando esistono le nazioni”.
Daniele aveva visto gli uomini passare attraverso le prove. Aveva visto Israele provato e gli uomini di tutte le epoche che erano fedeli a Dio messi alla prova sul piano della fede, ma in tutti i casi precedenti la prova era stata alleggerita da un mediatore. Ora non c’è più alcun intercessore e l’uomo è solo. La misericordia non lo protegge più. È “un’altra notte nel Getsemani”, un altro giorno del Calvario. Ancora una volta le parole vengono pronunciate, non da un uomo solo, ma da moltitudini: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Le gocce di sudore di sangue scendono da altre fronti; la corona di spine può essere premuta, inascoltata, su molte fronti; i chiodi del Calvario possono essere piantati senza ulteriore dolore. Il peso dell’esame di coscienza è grande tra i pochi fedeli, che ricordano che un solo peccato non confessato significa morte. La madre dei figli di Zebedeo chiese per i suoi figli un posto a destra e a sinistra del Re sul suo trono. Il Salvatore disse che quel posto spettava a colui che avrebbe bevuto del calice di cui egli stesso doveva bere. Questo è il calice che viene versato fino all’amara feccia dal popolo rimanente nel tempo dei guai, perché sono loro che occuperanno il posto menzionato dalla madre di Giacomo e Giovanni. I seguaci fedeli e sigillati non sono gli unici a sapere che la prova è finita, perché sui malvagi sta cadendo la settima piaga, da cui nessuno sfugge. Il tempo dei guai per i malvagi sarà terribile, perché essi berranno fino all’ultima goccia il calice dell’ira di Dio. “Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra”, ma i giusti non sentono gli effetti della piaga. I monti tremeranno e le isole fuggiranno. Allora la tomba cede una parte dei suoi morti. Alla risurrezione di Cristo, una moltitudine di persone di tutte le epoche uscì dalle tombe; fu vista a Gerusalemme e fu presentata da Gesù come offerta per il suo ritorno in cielo. Così, poco prima della sua seconda venuta, la terra restituirà alcuni di coloro che si sono appoggiati a Lui. Coloro che hanno trafitto Cristo quando era appeso alla croce, coloro che lo hanno schernito e deriso durante il suo processo, si alzeranno per vederlo quando verrà trionfante con l’esercito del cielo. Allo stesso modo i giovani che, in base all’ultimo messaggio, si sono addormentati in Gesù, usciranno ad accogliere Colui per il quale hanno vissuto. Questi si avviano alla vita eterna, ma coloro che abbiamo prima menzionato saranno uccisi dallo splendore della sua venuta. Le vesti regali vengono indossate e il Salvatore si prepara a raccogliere il suo popolo. In tutto il cielo la preparazione continua. Gli angeli si affrettano e gli abitanti dei mondi non caduti assistono con ansia. Mentre la compagnia si forma per accompagnare il Re, la legge di Dio, i dieci comandamenti, fondamento del suo trono, viene appesa al cielo in vista delle folle sbigottite della terra. “La sua giustizia è stata mostrata apertamente agli occhi dei pagani”. Gli uomini che hanno schernito e deriso, coloro che hanno obbedito a questa legge, ora la vedono scritta nei cieli.
Ancora una volta l’arcobaleno più brillante è dipinto sulle nubi minacciose che sovrastano la terra. Misericordia e giustizia si sono mescolate in tutti i rapporti di Dio con gli uomini, finché questi non si sono completamente allontanati da lui. Per la compagnia in attesa questo è un rinnovo dell’alleanza eterna fatta ai padri, secondo cui l’eredità doveva appartenere ai fedeli. Più e più volte lo stesso simbolo dell’alleanza eterna è stato appeso nel cielo, ma gli uomini non hanno sentito la voce di Yhawé, che parlava all’arco. “I cieli dichiarano la gloria di Dio”, ma mentre gli scienziati hanno studiato, i pianeti, i soli e i sistemi, non hanno visto che in essi Dio ha raffigurato l’organizzazione della sua Chiesa e la storia del suo amore per l’uomo. Fin dalla creazione del mondo, l’ordine e la disposizione delle stelle hanno raccontato
il piano di redenzione, ma l’uomo, privo dello spirito di verità, non riesce a comprendere l’alfabeto della cupola celeste; e mentre la storia si ripete notte dopo notte, non riesce a vedere la legge di Dio nel firmamento.
Oggi Yhawéh ci indica le stelle perché possiamo imparare la lezione data ad Abramo quando lo chiamò alla porta della sua tenda e tracciò nel cielo la promessa del Salvatore. La stella sorse su Israele e i saggi d’Oriente, ispirati da Dio, seppero che si trattava della stella di Cristo. Gli uomini, sfruttando le capacità donate da Dio, hanno inventato strumenti meravigliosi per scrutare i cieli, e Dio ha incoraggiato questo sforzo nella speranza che portasse alla comprensione della storia divina scritta lì, ma solo pochissimi hanno visto o sentito la lezione spirituale che è stata impartita.
Daniele osservò Gabriele che procedeva e vide i cieli allontanarsi come un rotolo; vide il sole esplodere in tutta la sua gloria a mezzanotte, araldo del Sole di giustizia. Ha udito la voce del trombettiere come il suono di un’esplosione di luce. ha fatto rotolare tutta la terra; ha visto i giusti morti uscire in risposta all’appello del Dio del cielo. Sono usciti glorificati; il potere della tomba è stato spezzato; la terra non ha più presa su di loro e, attratti dal cielo, salgono ad incontrare il Signore nell’aria. Moltitudini dai giorni di Adamo fino alla fine dei tempi si mescolano a quella piccola compagnia che sulla terra aspettava e vegliava la sua apparizione. Insieme passano verso le porte del cielo. Le guardie avanzate aprono i cancelli perlacei e di nuovo il coro degli angeli intona il meraviglioso alleluia che fu cantato quando Cristo tornò con la piccola compagnia il giorno della sua ascensione.
Dall’esterno giungono le parole: “Alzate il capo, o porte, e siate sollevati, o porte eterne, affinché il Re della gloria possa entrare”. Dall’interno risuona il canto: Chi è questo Re della gloria? L’ospite che lo accompagna risponde l’Eterno potente e vittorioso; L’Eterno, vittorioso in battaglia, alzate il capo, o schiere; e siate sollevate, o porte eterne, affinché il Re della gloria possa entrare”.
“E guardai, e un Agnello stava sul monte Sion, e con lui centoquarantaquattromila persone”. In un quadrato vuoto intorno al trono sono raggruppati coloro che vivevano quando il Figlio dell’uomo venne in potenza. Quando vedono l’Agnello, ucciso fin dalla fondazione del mondo, un canto di trionfo prorompe dalle loro labbra. Le arcate del cielo risuonano e, meraviglia delle meraviglie, coloro le cui esperienze sono sembrate così diverse, coloro che sono stati separati, schiacciati, degradati, sui quali il peccato ha posto una volta la sua terribile mano, scoprono che le loro voci si fondono in perfetta armonia e il canto che intonano è di un tale pathos, di una tale profondità di gioia e gratitudine che nessun altro può unirsi a loro. La lode risuona in tutto il cielo. L’immagine di Cristo e il suo carattere sono perfettamente riflessi da questa compagnia. Dal più profondo del peccato all’apice del cielo, ognuno, come una pietra nella corona del Maestro, riflette il suo carattere, con una certa angolazione, e i centoquarantaquattromila insieme completano il cerchio della perfezione.
Oltre a questa compagnia, che d’ora in poi funge da guardia del corpo del Re, prendendo il posto che era rimasto vacante dalla caduta di Satana e dei suoi angeli, è stata vista un’altra compagnia composta da coloro che sono stati martiri, innumerevole che nessun uomo può contare, che rappresenta ogni nazione, tribù e quelli che sono stati strappati dalla fossa della rovina. E di nuovo si vede una compagnia lingua. Il numero che avrebbe popolato la terra se il peccato non fosse mai entrato, è raccolto attorno al Padre e al Figlio. Cristo li guarda e, nonostante il ricordo della caduta e il dolore che il piano di salvezza è costato, quando vede il travaglio della sua anima, è soddisfatto. In mezzo alla sua chiesa redenta il Salvatore irrompe nel canto. Il pensiero del peccato e del dolore è cancellato. Dalle impronte dei chiodi nelle sue mani fluiscono raggi di luce che è “l’occultamento del suo potere”. Il cielo si inchina in adorazione, perché la vittoria è ottenuta.
È allora che Daniele vede interpretato il linguaggio dei cieli. L’universo è composto da soli, molti dei quali più potenti del nostro, e ogni sole è il centro di un sistema planetario, e ogni pianeta è accompagnato dai suoi satelliti, un vasto cerchio all’interno di un cerchio, che si muove in perfetto ordine, compiendo la sua rivoluzione nel suo tempo assegnato, facendo, all’orecchio di Dio, la musica delle sfere. L’immensità dello spazio è piena di universi, e tutti ruotano attorno al trono di Dio; tutti sono tenuti nelle loro orbite dai raggi di potere del suo trono di vita; ciascuno risplende di una luce riflessa da Colui che è la fonte della vita; ciascuno è guidato nel suo cammino dall’occhio di colui che siede sul trono. Questo è il tipo di ordine di Dio per la sua Chiesa sulla terra. L’ordine perfetto dei corpi celesti è un modello per l’organizzazione della famiglia e della chiesa. Ogni piccola comunità dovrebbe brillare come una stella. Dio guarda con piacere i gruppi di adoratori che si muovono in perfetto ordine, ciascuno piegandosi all’influenza delle potenze superiori. Come è la potenza di Dio nel sole che tiene la terra nel suo corso, così la sua potenza, operando attraverso l’organizzazione più alta sulla terra, controlla quelle di potenza minore. Nella famiglia, i figli devono obbedire ai genitori e i genitori devono obbedire a Dio, così come la terra segue il sole e il sole gira intorno al suo centro, il trono di Dio.
La perfezione di questo sistema caratterizzerà l’ultima chiesa, che avrà sviluppato il carattere ricercato nell’antico Israele. Il popolo di Dio è un popolo peculiare e le sue peculiarità vivranno nelle virtù di Cristo, che esso riflette; ciò lo rende adatto a diventare un sacerdozio regale. A Daniele l’angelo disse: “Quelli che saranno maestri risplenderanno come lo splendore del firmamento”. Così il profeta ebbe il privilegio di vedere una nazione o una compagnia di maestri tra i salvati, che portarono avanti l’opera che la sua stessa razza avrebbe potuto fare. Come Cristo era un maestro, che parlava con un’autorità alla quale nessuno poteva resistere, così la chiesa residua sarà maestra in virtù della vita di Cristo che è in lei.
Era un’immagine bellissima, l’ultima scena che si presentava agli occhi di Daniele. Tante volte il risultato è stato deludente quando l’inizio sembrava così promettente, ma alla fine è un trionfo glorioso. Coloro che sono stati sottratti alle profondità del peccato risplenderanno come le stelle del firmamento.
«Ma tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al tempo della fine; molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà».
La porzione di tempo nota come “tempo della fine” è segnata in modo netto come qualsiasi altro periodo profetico. Al suo inizio la mano dell’oppressione fu tolta dalla legge di Dio, che era stata cambiata e che, nel linguaggio dell’Apocalisse, aveva profetizzato vestita di sacco. Allo stesso tempo era terminata la persecuzione dei santi. La libertà civile e religiosa si presentava a pieno titolo al mondo e Gabriele, vedendo la libertà concessa all’uomo, ne spiegò gli effetti dicendo: “Ma tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al tempo della fine; molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà»”. Gli uomini che vivono oggi vedono l’adempimento delle parole dell’angelo. Migliaia di chilometri di ferrovia attraversano il globo, consentendo ai messaggeri della verità di passare rapidamente da un luogo all’altro. L’oceano, un tempo barriera quasi invalicabile tra i continenti, viene ora attraversato in pochi giorni. La macchina da stampa invia ogni giorno migliaia di tonnellate di materiale, in modo che il Vangelo eterno possa essere sparso come foglie d’autunno in ogni nazione sulla faccia della terra. Anche la moltitudine di invenzioni stupisce il mondo. Ogni giorno vede la nascita di qualche nuova comodità. “Gli uomini hanno cercato molte invenzioni” e il lavoro continua. Dio lo permette, affinché la sua verità sia diffusa con rapidità, perché prima della Sua venuta ogni nazione, stirpe, lingua e popolo deve ascoltare il messaggio di avvertimento.
L’aumento della conoscenza della generazione attuale è meraviglioso e al di là di ogni descrizione. Non c’è regno della scienza che sia rimasto inesplorato. Questo perché l’uomo sia portato a vedere le meraviglie della creazione e a desiderare di conoscere meglio il Creatore. Come la chiusura della Bibbia all’inizio dei milleduecentosessanta anni ha portato oscurità, intellettuale e morale, così l’apertura della Parola di Dio ha portato a un progresso intellettuale e morale. Da una città all’altra i messaggi volano su ali più veloci dei piccioni viaggiatori, mentre nelle misteriose profondità del vecchio oceano le parole dell’uomo passano, inascoltate dalle miriadi di persone che popolano le caverne oceaniche. Mentre l’uomo guarda con stupore, gli angeli osservano con intenso interesse se l’uomo collaborerà con loro nell’utilizzare queste vaste strutture per portare avanti il Vangelo sulla terra.
Dio, fin dall’inizio della storia della terra, ha offerto la vita a quella nazione che avrebbe fatto della sua Parola la base della sua educazione. Gli Ebrei furono perduti come nazione a causa della mancata formazione dei loro figli secondo le sue sacre verità; e quando la Chiesa cristiana ereditò la promessa fatta agli Israeliti, fu alla stessa condizione di insegnare ai loro figli tutti gli statuti di Dio.
Il tempo della fine è il periodo in cui si svilupperà il popolo residuo. Un grande mezzo per la loro educazione sarà il ritorno ai veri principi dell’educazione.
Come l’educazione cristiana e la vita sana sono rivelate nel primo sguardo dato al profeta Daniele e alla sua opera, così, mentre sta per concludere la sua carriera terrena, mentre guarda agli ultimi giorni della storia della terra, viene indicato dal messaggero speciale di Cristo un popolo che è fedele a questi stessi principi fondamentali. Il popolo che passerà indenne attraverso il tempo dei guai, che chiude quest’ultimo periodo profetico, sarà fortificato fisicamente dalla rigorosa obbedienza per fede a tutte le leggi.
Il tempo della fine, il periodo in cui viviamo, è un tempo in cui la conoscenza aumenterà, e mentre i sapienti del mondo si affidano sempre più alla propria saggezza, i fedeli seguaci di Dio si separeranno completamente dall’educazione mondana. È il momento in cui i veri saggi risplendono come stelle la cui luce si fa più evidente man mano che si approfondiscono le tenebre dell’iniquità. È evidente che tutta l’attenzione di Daniele si era concentrata sugli eventi che Gabriele, lo storico di Dio, aveva raccontato e, quando fu dato il trionfo finale della verità, fu mostrato che Cristo stesso era vicino al profeta e che anche gli angeli del cielo stavano ascoltando il resoconto degli eventi.
Questi esseri celesti sono così strettamente legati alla terra e così forti sono i legami che uniscono i loro cuori e i loro interessi all’uomo, che quando Gabriele cessò di parlare, un angelo chiamò Cristo, che fu visto di nuovo sulle acque della corrente del tempo: “Quanto tempo ci vorrà per la fine di questi prodigi?”. Questa fu la domanda dell’angelo e Cristo stesso rispose. Tenendo in alto la sua mano destra e la sinistra verso il cielo, “giurò per Colui che vive in eterno che sarebbe stato per un tempo, per dei tempi e per la metà di un tempo”. Gli angeli hanno atteso per seimila anni il compimento del piano; hanno osservato generazione dopo generazione la composizione del numero finale e hanno visto scorrere un secolo dopo l’altro, mentre gli abitanti della terra continuavano a bighellonare. Che c’è da meravigliarsi se, quando la fine viene resa nota, essi chiedono: “Quanto tempo manca alla fine?”.
Il cuore del profeta era pesante mentre seguiva la storia delle nazioni fino alla fine dei tempi; e temendo di rimanere ancora in dubbio sul tempo del compimento di tutto ciò che aveva visto, come Giacobbe che nella sua notte di lotta si aggrappò all’angelo, supplicò: “O mio Signore, quale sarà la fine di queste cose?”. Nessuna richiesta ancora fatta da quest’uomo di Dio era passata senza risposta. Né ora era stato lasciato nell’ignoranza del tempo. Gabriele rispose con toni teneri all’accorata richiesta. Disse: “Va’ per la tua strada, Daniele, perché le parole sono chiuse e sigillate fino al tempo della fine”; e allora si capì che “fino al tempo della fine” significava “un tempo , dei tempi e la metà di un tempo” , al termine del quale la grande persecuzione sarebbe cessata. Questo periodo profetico di milleduecentosessanta anni iniziò nel 538; la legge di Dio fu cambiata e il sabato del decalogo fu calpestato dagli uomini. Sia la legge di Dio che i santi di Dio furono legati per “un tempo, due tempi e mezzo” dalla potenza che si esalta al di sopra di Yhavé, come descritto in Dn. 7:25. La persecuzione tendeva solo a disperdere la forza del popolo santo; e al momento della fine sia la legge di Dio che il popolo furono restaurati. “in un tempo, dei tempi e la metà di un tempo” terminò nel 1798. Da allora la Parola di Dio è stata fatta circolare liberamente tra il popolo. Le profezie sono state studiate, il messaggio di giudizio di Apocalisse 14 è stato proclamato e nel 1844, alla fine dei 2300 giorni, (anni) la luce ha brillato dall’alto del santuario, rivelando il vero sabato del Signore dell’uomo fisico. E mentalmente saranno resi forti da un’educazione alla fede che separa ogni famiglia dalla cultura dell’Egitto, di Babilonia e della Grecia, e che invece rivolge il cuore dei genitori verso i figli, legandoli tutti insieme nell’amore di Cristo.
Man mano che la conoscenza è aumentata, le meravigliose verità sul tempo della fine si sono diffuse di paese in paese, preparando la strada alla venuta del Figlio dell’uomo. Affinché i due periodi profetici che avevano tanto sconcertato la mente del profeta potessero essere compresi più perfettamente, Gabriele disse: “Dal momento in cui il quotidiano sarà tolto”, cioè dal 508 d.C., “ci saranno milleduecentonovanta giorni” fino al tempo della fine, il 1798. E di nuovo: “Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni. “. C’è quindi una benedizione pronunciata su coloro che vivono nel 1843 (508 + 1335 = 1843), perché il sigillo è stato rimosso dalle profezie ed esse sono comprese. È vero che “molti saranno purificati e resi bianchi e provati” e che alcuni non capiranno, ma questo non smentisce le profezie, perché “i saggi capiranno”. Nel momento in cui tutti potranno capire, alcuni insisteranno sul fatto che il libro di Daniele è ancora un libro sigillato. Le parole di Cristo e di Gabriele testimoniano contro tutto ciò. “Chi legge, comprende”. “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.
L’OPERA DI DANIELE ERA FINITA. La storia del mondo era scritta. La sua profezia sarebbe rimasta in piedi fino alla fine. Si addormentò con i suoi padri, dopo più di settant’anni di fedele servizio nelle corti di Babilonia e di Shushan. Gli uomini non potevano trovare nulla di sbagliato in lui, se non riguardo alla legge del suo Dio, e l’Eterno lo chiamò “uomo molto amato”.
Negli ultimi giorni gli tocca in sorte di essere un profeta e le cose che gli sono state rivelate, insieme all’Apocalisse data a Giovanni a Patmos e agli avvertimenti inviati da Dio attraverso lo spirito di profezia nella Chiesa residua, guideranno la fedele compagnia di credenti attraverso il tempo dei guai e li prepareranno all’apparizione di Cristo sulle nubi del cielo.
Il santuario
Il santuario celeste è il centro dell’opera di Cristo per l’uomo. Il destino di ogni anima dipende dalle decisioni prese in quel grande tribunale. Che ne siano consapevoli o meno, quell’opera riguarda ogni anima sulla terra.
L’antico servizio del santuario era un’ombra dell’opera compiuta da Cristo per la razza decaduta, nel santuario celeste. L’intera economia ebraica era una profezia compatta del Vangelo. Era il Vangelo in cifre. Il diagramma riportato nella pagina a fianco illustra questa verità. I temi non sono affatto esauriti, ma per ogni argomento sono riportati alcuni testi che serviranno da guida per una ricerca più approfondita per coloro che desiderano vedere la luce che balenava dalle leggi levitiche e dalle offerte sacrificali.
Tutti i testi del diagramma sono riportati nelle pagine seguenti, insieme al pensiero principale dei testi. Che il lettore ricordi sempre che “l’intero sistema del giudaismo era il Vangelo velato”.
Nei raggi di luce che balenano dalle leggi levitiche e dalle offerte sacrificali ci sono preziose visioni dell’opera di Cristo che ripagheranno ampiamente lo studente che le cercherà.
Molti oggi scartano lo studio delle leggi levitiche, perché pensano che il Vangelo non abbia alcun legame con l’economia ebraica. Tutti costoro farebbero bene a riflettere in preghiera sugli ultimi due versetti del quarto capitolo del Vangelo di Giovanni. Mosè ha scritto di Cristo. Ogni dichiarazione fatta, ogni simbolo dato aveva un unico scopo: rivelare all’uomo decaduto un Redentore che perdonasse il peccato. Cristo disse: “Se non credete ai suoi scritti [di Mosè] come crederete alle mie parole”… “perché egli ha scritto di me”; e ancora: “Allora egli gli disse: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti”»” Luca 16:31. Queste parole sono vere anche oggi e chiunque studi le leggi levitiche, credendo che l’intero sistema del giudaismo riveli il vangelo di Cristo, troverà la sua fede nel Salvatore molto rafforzata da questo studio. Quando impareranno a vedere Cristo rivelato in tipi, ombreggiato in simboli e manifestato nelle rivelazioni dei profeti, così come nelle lezioni impartite ai discepoli e nei meravigliosi miracoli compiuti per i figli degli uomini, il loro cuore arderà dentro di loro mentre Egli parlerà con loro lungo la strada. Si soffermeranno sulle stesse preziose verità su cui si soffermò il Salvatore mentre camminava con i discepoli sulla via di Emmaus, quando, “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, espose loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” Luca 23:13-31.
Seconda venuta di Cristo
Lev. 16:20-25. Quando il sommo sacerdote, nel giorno dell’espiazione, aveva finito di riconciliarsi e aveva messo i peccati sul capro espiatorio, deponeva la veste da sommo sacerdote, entrava nel tribunale e lo purificava. Così Cristo, quando si chiude la prova, depone le sue vesti sacerdotali e viene nel tribunale antitipico, la terra, per raccogliere da essa tutte le cose che offendono e commettono iniquità.
Matteo 13:41. Isaia 63:1-6. Cristo viene rivestito di abiti di vendetta.
Ap. 19:16; Sof. 2:1-3. Cristo non viene sulla terra in abiti sacerdotali, ma in vesti regali.
Il millennio
Lev. 16:20-22. Il capro espiatorio fu condotto in una terra desolata, una terra non abitata. “Capro espiatorio” è un sinonimo di male.
Giobbe 1:7. La terra è la casa del diavolo.
Ger 4, 23-27 La terra sarà desolata. Quando non ci saranno più uomini, animali e uccelli, il diavolo e i suoi angeli saranno l’unica vita rimasta sulla terra.
Isa. 24:21, 22; Ger. 4:27. Questa condizione di desolazione sarà solo per un periodo di tempo limitato.
Ez 28:18, 19. Il diavolo sarà infine ridotto in cenere sulla terra.
Lev. 6, 9-11. Le ceneri dell’olocausto lasciate in un luogo pulito, insegnano la distruzione finale del peccato e del diavolo.
La nuova terra
Gen. 3:17. Terra maledetta dal peccato
Lev. 17:11-l3. Il sangue espiava il peccato.
Lev. 4:7, 18, 25, 30. Il sangue di ogni offerta per il peccato, versato sulla terra maledetta dal peccato, insegnava la purificazione della terra per mezzo del sangue di Cristo.
Ger. 9:21. L’aria è carica di germi di malattie come risultato del peccato.
Es. 15:23. L’acqua è colpita dalla maledizione. La terra, l’aria e l’acqua sono tutte maledette dal peccato.
Lev. 14:4-7. Questa offerta prevedeva la purificazione dell’acqua, dell’aria e della terra. Il sangue entrò in contatto con ciascuno di essi. Il sangue veniva raccolto in un recipiente di terra tenuto sopra l’acqua corrente e l’uccello volava nell’aria con il sangue sulle piume. L’issopo, il legno di cedro e la lana venivano immersi nel sangue.
1 Re 4:33. L’issopo e il cedro rappresentavano i due estremi della vegetazione. Immergerli nel sangue non era che un tipo di vegetazione di tutta la terra che veniva purificata dal sangue di Cristo.
Num. 19:6. In questa offerta si insegnava anche la purificazione della vegetazione mediante il fuoco. L’issopo e il legno di cedro furono bruciati.
Giovanni 19:29. La croce fu fatta con gli alberi della foresta. Così i due estremi della vegetazione, l’issopo e gli alberi della foresta, vennero a contatto con il sangue di Cristo.
Lev. 25:23, 24. La terra non veniva mai venduta, ma se veniva persa in qualche modo poteva essere riscattata dal parente più prossimo che aveva il potere di riscattare.
Ruth 2:20. Cristo è l’unico parente stretto dell’umanità che ha il potere di riscattare. Satana non possiede la terra; ne ha semplicemente il possesso attuale. Solo Cristo ha il diritto di riscattare il dominio perduto di Adamo.
La legge di Dio
Es 25,21 L’arca, il mobile centrale del santuario, era fatta per contenere la legge di Dio.
Es. 31:18. Le tavole erano chiamate tavole della testimonianza.
Ap. 11:19. L’arca contenente la testimonianza si trova nel santuario celeste.
Il Sabato
Es. 25:30 Il pane doveva essere conservato continuamente sulla tavola nel luogo santo.
1 Cron. 9:32. Ogni sabato i sacerdoti dovevano preparare del pane fresco.
Lev. 24, 5-9: Il pane veniva preparato in dodici pani, disposti in due file sulla tavola. Rimaneva sulla tavola una settimana, poi veniva tolto e mangiato dai sacerdoti.
1 Sam. 21:6. Il pane fresco veniva preso caldo dal forno ogni sabato mattina e posto sulla tavola.
Tutto il lavoro legato al pane era un lavoro di sabato; pertanto, tutte le lezioni antitipiche ad esso collegate erano lezioni di sabato. Il pane era un tipo di Cristo, il “pane vivente” Giovanni 6:51. Noi, in quanto membri del sacerdozio reale (1 Pietro 2:9), dovremmo avere ogni sabato una nuova verità dalla Parola di Dio e nutrirci della verità stessa.
Apoc. 11:19. L’arca nel luogo santissimo era fatta per contenere la legge di Dio. Giovanni vide l’arca in cielo. Il comandamento del sabato, che è la base di ogni osservanza del sabato, è il quarto del decalogo e si trova nell’arca celeste.
Il pentimento
Ogni offerta per il peccato insegnava questa verità; infatti, il peccatore confessava i suoi peccati sul capo del sacrificio prima che questo venisse consumato.
Lev. 4:27-31. La libertà dal peccato era chiaramente insegnata; i peccati del peccatore erano “perdonati”.
Il destino dei malvagi
Salmo 73, 12-18. Quando Davide entrò nel santuario, comprese chiaramente il destino dei malvagi. Il servizio del santuario lo insegnava chiaramente.
Lev. 3:14-17; Lev. 16:25. Tutto il grasso veniva separato dal sacrificio e bruciato.
Psa. 37:20. La combustione del grasso simboleggiava la combustione del peccato e dei peccatori nel fuoco degli ultimi giorni.
Lev. 4:8-12; Lev. 6:10,11. Anche la cura delle ceneri prese dall’altare insegnava una lezione importante. Non venivano gettate con noncuranza, ma venivano svuotate in un “luogo pulito” preparato a questo scopo.
Mal. 4:3. L’antitipo sarà pienamente soddisfatto quando le fiamme dell’ultimo giorno avranno consumato completamente Satana e i malvagi, e tutto ciò che rimarrà di loro sarà cenere sulla terra “pulita” Eze. 28:18.
Lavoro d’aiuto cristiano
Es. 22, 22-24. Dio ha una cura speciale per la vedova e gli orfani.
Deut. 14:29. Chi si prende cura dello straniero, della vedova e dell’orfano sarà benedetto nel suo lavoro.
Deut. 24:19-22. Quando si raccoglieva il grano si provvedeva ai poveri.
Isa. 58:7-12. La salute spirituale e fisica è la ricompensa per aver provveduto alle necessità dei poveri e degli indifesi.
Doni spirituali
Es. 28:30. L’Urim e il Thummim dovevano essere messi nel pettorale e indossati dal sommo sacerdote.
Num. 27:21; 1 Sam. 28:6. Il sommo sacerdote apprendeva la mente del Signore attraverso queste pietre nel pettorale.
1 Sam. 23:9-12. Le risposte dirette venivano date da Dio per mezzo del pettorale, che rappresenta la comunicazione diretta tra Dio e il suo popolo, attraverso i profeti.
“A destra e a sinistra del pettorale c’erano due grandi pietre di grande lucentezza. Queste erano note come Urim e Thummim. Con esse veniva resa nota la volontà di Dio attraverso il sommo sacerdote. Quando le questioni venivano portate per la decisione davanti al Signore, un alone di luce che circondava la pietra preziosa a destra era un segno del consenso o dell’approvazione divina, mentre una nuvola che ombreggiava la pietra a sinistra era una prova di negazione o disapprovazione”.
Educazione cristiana
Es. 12:26, 27. Uno degli scopi dei tipi e dei simboli era quello di suscitare una domanda nella mente dei giovani, alla quale i genitori dovevano rispondere fedelmente.
Es. 13: 7, 8, 14. Il consumo del pane azzimo e il riscatto del primogenito avrebbero indotto i bambini a chiedersi il perché di questo gesto. L’istruzione data doveva essere una risposta alla domanda del bambino stesso.
Deut. 32:7. L’istruzione doveva essere ricevuta tramite domande poste ai genitori e agli anziani. Era dovere dei genitori e degli anziani rispondere
fedelmente a queste domande.
Gios. 4: 6-7. Venivano posti degli oggetti in luoghi ben visibili per suscitare la curiosità dei bambini e le domande dovevano essere risposte fedelmente.
Salmi 78:6,7. La fedeltà a Dio doveva essere inculcata nel bambino attraverso l’istruzione impartita dai genitori.
Deut. 4: 9-13. La conoscenza degli eventi legati alla promulgazione della legge di Dio è particolarmente importante per l’educazione dei figli.
Deut. 6, 7-9. La conversazione in casa e durante le attività quotidiane dovrebbe essere sempre tale da educare i figli alle cose di Dio.
Il ministero degli angeli
Es. 25:20. I cherubini d’oro non erano che un’ombra o un tipo del cherubino “che copre” nel santuario in cielo. Luca 1:19.
Es. 36:8, 35. I cherubini erano lavorati nelle tende che fungevano da “veli” e da soffitto del santuario terreno ed erano solo un tipo delle “migliaia” e diecimila volte diecimila” di angeli che Daniele vide nel santuario celeste.
Dan 7:9, 10. A Daniele questa immensa moltitudine di angeli che serviva nel santuario celeste apparve come una “fiamma ardente”
Eb. 1:7; Eze. 1:14.
Il battesimo
Giovanni 1:25. C’era qualcosa nelle Scritture che insegnava al popolo che quando sarebbe venuto il precursore di Cristo avrebbe battezzato; infatti il popolo se lo aspettava.
Es. 40:12-16. Il lavaggio con l’acqua faceva parte della cerimonia di consacrazione dei sacerdoti.
Es. 30:17-21. Lavarsi con l’acqua quando si svolgeva il lavoro dei sacerdoti era così importante che la “morte” era la pena per la negligenza.
1 Cor. 10:1, 2. Il Signore chiamò battesimo il passaggio attraverso il Mar Rosso.
Riforma dell’abbigliamento
Num. 15:37-39. Gli abiti erano fatti in modo tale che, guardandoli, ricordassero i comandamenti di Dio e fossero incoraggiati ad obbedire. Nel vestire non dovevano cercare il proprio cuore o i propri occhi. Se lo facessero, copierebbero le mode di Babilonia.
Deut. 22:5. Alle donne era vietato indossare abiti maschili.
Lev. 19:19. Le vesti sono sempre state considerate come un emblema della giustizia di Cristo, e quando si mischiavano sostanze diverse come il lino e la lana, si rovinava la figura.
Isa. 3:16-24. Le mode stolte non sono limitate ai giorni moderni, ma sono esistite fin dai tempi antichi. Tutte le mode qui citate sono in uso oggi in qualche parte del mondo. Quando le “figlie di Sion” hanno seguito le mode del mondo, hanno fatto sì che Sion si sedesse sulla terra desolata Isa. 3: 26.
1 Pietro 3:5. Solo la ferma fiducia in Dio permetteva alle donne di vestire in modo semplice e di ignorare le mode del mondo.
I Tim. 2:9. Le donne devono vestire in modo modesto.
Gen. 35:1-5. Dopo che la figlia di Giacobbe era stata disonorata (Gen. 34: 1-5), Giacobbe si avvicinò a Dio. Vedendo che il loro modo di vestire era simile a quello del mondo, invitò la sua famiglia a cambiare le vesti e a nascondere gli ornamenti.
Gios. 7:20, 21, 11. Achan desiderò l’abito babilonese e perse il suo posto in Israele.
Giudizio
Eccl. 12:13, 14. La legge contenuta nell’arca nel luogo santissimo è la norma del giudizio. Rm. 2:11-13.
Ger 17:12. Il trono di Dio è sempre stato collegato al santuario in cielo.
Dan. 7:9, 10. A Daniele fu data una visione del trono di Dio nel santuario celeste. Vide il Grande Giudice dell’universo seduto su quel trono. Alla sua presenza i libri sono stati aperti e ogni caso è stato deciso. Il santuario è la grande sala del giudizio dell’universo di Dio.
La Cena del Signore
Gen. 14:18. Melchisedec, il grande sacerdote re di Salem, diede “pane e vino” ad Abramo.
Lev. 7:15-21. L'”offerta di pace” era l’ombra della morte e della risurrezione di Cristo. Doveva essere mangiata il primo e il secondo giorno; chi mangiava la carne il terzo giorno, con quel gesto diceva virtualmente di non credere che Cristo sarebbe stato vivo il terzo giorno.
Lev. 19:5-8. Chi non rispettava questa ingiunzione non vedeva l’oggetto del servizio e quindi “profanava le cose sante del Signore” e veniva escluso dal popolo di Dio. L’offerta di pace veniva mangiata da tutto il popolo. Essa rappresentava la morte di Cristo, mentre la Cena del Signore la commemora.
Giovanni 11:39. Il quarto giorno dopo la morte il corpo cominciò a decomporsi.
Psa 16:9, 10. I profeti hanno chiaramente rivelato che il corpo di Cristo non avrebbe visto la corruzione. Non sarebbe stato nella tomba il terzo giorno.
Atti 2:24-27, 30, 31. Pietro citò il sedicesimo Salmo per dimostrare la risurrezione di Cristo. Il popolo conosceva l’offerta di pace, che insegnava chiaramente la morte e la risurrezione di Cristo, e la potenza convertitrice di Dio partecipava alle sue parole.
Rettitudine per fede
Lev. 16:13. L’incenso proteggeva il sacerdote dalla morte quando entrava davanti al Signore.
Ap 8, 3. L’incenso aggiunto alle preghiere dei santi le rende gradite a Dio.
NOTA. Era compito del sacerdote, nel ministero quotidiano, presentare davanti a Dio il sangue dell’offerta per il peccato e l’incenso che saliva con le preghiere di Israele. Così Cristo ha invocato il suo sangue davanti al Padre in favore dei peccatori e ha presentato davanti a Lui, con il prezioso profumo della sua giustizia, anche le preghiere dei credenti penitenti”. Grande controversia”, p. 421.
Deut. 15:19, 21. Le offerte dovevano essere senza macchia, rappresentando così la vita perfetta di Cristo imputata a noi.
Lev. 22:24, 25. Se qualcuno offriva un’offerta imperfetta, non veniva accettata. Per fede dovevano vedere il carattere giusto di Cristo in ogni offerta.
Riforma della salute
Lev. 23:27, 29: Ogni uomo doveva affliggere la propria anima mentre si svolgeva l’opera di espiazione. Tutti gli affari dovevano essere lasciati da parte e l’intera congregazione d’Israele doveva trascorrere il giorno in solenne umiliazione davanti a Dio, con preghiera, digiuno e profonda ricerca del cuore”. Grande controversia”, p. 420.
Isa. 58:5. Digiunare significa affliggere l’anima. Il giorno dell’espiazione nel tipo era un giorno di digiuno. L’appetito era tenuto sotto perfetto controllo, un esempio del controllo dell’appetito richiesto da Dio durante il giorno antitipico dell’espiazione.
Luca 21:34-36. Il Salvatore dice che nel momento del giudizio, mentre gli individui vengono “giudicati” meritevoli o indegni, dobbiamo fare attenzione a non sovraccaricarci di sregolatezza e ubriachezza. La gola è l’assunzione di cibo troppo libero, sia esso buono o cattivo. L’ubriachezza è l’assunzione di cibo improprio. Dobbiamo essere padroni e non schiavi del nostro appetito.
Isaia 22:12-14. In questo periodo in cui Dio invita all’autocontrollo, molti daranno briglia sciolta al proprio appetito.
Isaia 66:15-17. Tutti costoro saranno distrutti, “consumati insieme dice il Signore”.
Deut. 23:12-14. Il Signore esigeva un’organizzazione sanitaria rigorosa in tutto l’accampamento, poiché Egli camminava in mezzo al suo popolo.
La vita solo attraverso Cristo
Lev. 4, 29. L’uccisione di ogni offerta per il peccato insegnava che il peccatore otteneva la vita attraverso la morte dell’offerta. Un sostituto è stato ucciso e il peccatore ha vissuto.
Rm 6, 23. Il peccato porta la morte; la libertà dal peccato, la vita attraverso il Salvatore.
Decima
Lev. 27:30-34. Il Signore ha riservato a sé un decimo del reddito dell’uomo. “La terra è del Signore e la sua pienezza”. Egli ha il diritto di reclamare una parte della ricchezza.
Num. 18:20-28. Il Signore usava la decima per sostenere la sua opera sulla terra. La decima veniva data ai sacerdoti, che a loro volta versavano una decima al tesoro.
Eb. 7:1, 2. Abramo pagò la decima a Melchisedec.
Eb 6, 20. Gesù è un sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec.
Giovanni 8:39. Se siamo la discendenza di Abramo, faremo le opere di Abramo – pagando la decima per sostenere l’opera di Cristo sulla terra. “Anche il Signore ha stabilito che coloro che predicano il Vangelo vivano del Vangelo” 1 Cor. 9: 9-14.
Ordine
Num. 4:17-20. Se coloro che erano incaricati di portare i mobili entravano a guardare i mobili prima che fossero coperti, venivano uccisi. Ognuno doveva venire nel proprio ordine. I sacerdoti dovevano coprire i mobili, poi i Kohathiti dovevano portarli.
1 Sam. 6:19-20. Il popolo fu punito con la morte per aver disobbedito e guardato nell’arca.
2 Sam. 6:6, 7. Dio ordinò che solo i sacerdoti toccassero l’arca.
2 Sam. 6:12, 13. Quando l’arca fu portata dai sacerdoti secondo le indicazioni di Dio, il Signore li benedisse.
NOTA. Le indicazioni relative all’ordine nel servizio del tabernacolo furono registrate affinché tutti coloro che avrebbero vissuto sulla terra potessero trarne degli insegnamenti. Gli uomini furono scelti per svolgere varie parti del lavoro di allestimento e smontaggio del tabernacolo; se uno si fosse allontanato con noncuranza e avesse messo le mani sul lavoro assegnato a un altro, sarebbe stato messo a morte.
Oggi serviamo lo stesso Dio. Ma la pena di morte è stata abolita; se non lo fosse stata, non ci sarebbe stato un lavoro così disordinato e incauto per la Sua causa. Il Dio del cielo è un Dio d’ordine e richiede che tutti i suoi seguaci abbiano regole e regolamenti e che mantengano l’ordine”. Testimonianze per la Chiesa”, Vol. V, p. 274.
CAPITOLO 1
DANIELE E I SUOI COMPAGNI MESSI ALLA PROVA
UNA VERA EDUCAZIONE
42. Chi erano i parenti dei re sopra citati?
43. Quanti anni aveva Daniele quando fu portato a Babilonia?
Lo stesso principio vale anche oggi?
50. In quale elenco furono inseriti questi giovani?
CAPITOLO 2
UNA CONTROVERSIA TRA VERITÀ ED ERRORE
IL SOGNO
23 Cosa impedì al re di raccontare il sogno? 24. A chi chiese un’interpretazione?
UN CUORE CAMBIATO
64. Il re accettò l’interpretazione?
CAPITOLO 3
LA VERA LIBERTÀ DI CULTO
CAPITOLO 4
L’ALTISSIMO GOVERNA
CAPITOLO 5
GLI ULTIMI ANNI DEL REGNO DI BABILONIA
2.. Come si apprendono questi principi?
CAPITOLO 6
LA SCRITTURA SUL MURO
a passare?
CAPITOLO 7
DANIELE NELLA FOSSA DEI LEONI
CAPITOLO 8
LA PROFEZIA DI DANIELE
65: Con quale nome è conosciuto?
CAPITOLO 9
L’OTTAVO CAPITOLO DI DANIELE
CAPITOLO 10
LA STORIA DEGLI EBREI
CAPITOLO 11
IL SANTUARIO
CAPITOLO 12
INTRODUZIONE ALL’ULTIMA VISIONE
CAPITOLO 13
STORIA DEI DECRETI
CAPITOLO 14
STORIA DELLA GRECIA
CAPITOLO 15
IL QUARTO REGNO
CAPITOLO 16
IL MISTERO DELL’INIQUITÀ
CAPITOLO 17
L’OPERA DEL MISTERO DELL’INIQUITÀ
CAPITOLO 18
LA SCENA FINALE
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