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Progresso di Lettura:
LA VIA CONSACRATA
DELLA PERFEZIONE CRISTIANA
Uno studio all’epistola degli Ebrei
Titolo originale inglese:
The Consecrated Way to Christian Perfection (1905)
Autore:
Alonzo Trévier Jones (1850-1923)
Traduzione:
Revisione:
Associazione Raw Truth Aps
Alonso Trèvier Jones
Breve biografia
Alonso T. Jones (1850-1923) Ministro, editore, autore di libri, nacque in Ohio. All’età di 20 anni, A. T. Jones prestò servizio nell’esercito dal 1870 al 1873. È interessante notare che passò molto del suo tempo a consultare grandi opere storiche, pubblicazioni Avventiste e la Bibbia. Quando lasciò l’esercito fu battezzato e iniziò a predicare sulla costa occidentale. Nel maggio del 1885 divenne redattore di Signs of the Times (Segni dei Tempi).
In pochi anni Jones passò dall’essere un uomo qualunque, a diventare uno dei lavoratori più importanti della denominazione, collaborando con E. J. Waggoner in un ruolo di rilievo alla sessione della Conferenza Generale di Minneapolis, Minnesota, del 1888. Ellen White li identificò come coloro che condividevano “un messaggio molto prezioso” sulla giustizia per fede. Nel dicembre 1888 Jones testimoniò contro la legge Blair sulla domenica davanti al Comitato del Senato per l’Educazione e il Lavoro. Rimase sulla scena nazionale e le sue opinioni furono ampiamente notate dai giornali. Jones divenne anche pastore del Battle Creek Dime Tabernacle e presentò lunghi e brillanti sermoni alle sessioni della Conferenza Generale durante gli anni 1890 che portarono a un risveglio spirituale. Dal 1897 al 1901 fu editore della Review and Herald.
Nella rivelazione di Cristo Salvatore, Egli si manifesta a noi nei suoi tre ruoli: profeta, sacerdote e re. Ai tempi di Mosè, fu scritto di Cristo come profeta: “io susciterò per loro un profeta come te di mezzo ai loro fratelli e porrò le mie parole nella sua bocca, ed egli dirà loro tutto ciò che io gli comanderò. E avverrà che se qualcuno non ascolterà le mie parole che egli dice in mio nome, io gliene domanderò conto” {Deuteronomio 18: 18-19}. Questo concetto continua ad essere presente nelle Scritture successivamente, fino alla sua venuta.
Come sacerdote, ai tempi di Davide, di Cristo fu scritto: “L’Eterno ha giurato e non si pentirà: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek»” {Salmo 110: 4}.
E di Cristo come re, ai tempi di Davide fu scritto: “Ho insediato il mio re sopra Sion, il mio santo monte” {Salmo 2: 6}. Questo pensiero ha continuato ad apparire in tutte le successive scritture fino alla Sua venuta, ma anche dopo la Sua venuta e fino alla fine della Bibbia. Cosicché le Scritture presentano chiaramente Cristo nei tre ruoli di profeta, sacerdote e re.
Questa triplice verità di Dio è ampiamente riconosciuta da tutti coloro che hanno familiarità con le Scritture, ma in relazione ad essa c’è una verità che non è così ben conosciuta – che Cristo non è le tre cose insieme. I tre ruoli si susseguono l’uno dopo l’altro. Egli è prima profeta, poi sacerdote e poi re.
Era “profeta” quando venne nel mondo come maestro inviato da Dio, il Verbo fatto carne che dimorava tra noi, “pieno di grazia e di verità” {Atti 3: 19-23}. Ma Egli allora non era anche sacerdote, né lo sarebbe stato se fosse rimasto sulla terra, perché sta scritto: “Se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote” {Ebrei 8: 4}. Ma avendo terminato la sua opera profetica sulla terra, ed essendo salito in cielo alla destra del trono di Dio, ora è lì come nostro “sommo sacerdote” che è “vivente per intercedere per essi (noi)”, e leggiamo, “egli costruirà il tempio del Signore, riceverà la gloria si siederà e dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono, e tra i due ci sarà un consiglio di pace” {Zaccaria 6: 12-13}.
Così come non era sacerdote quando era sulla terra come profeta, allo stesso modo ora non può essere re in cielo perché sta esercitando il ruolo di sacerdote. È vero che egli regna, nel senso e per il fatto che siede sul trono del Padre, essendo così un sacerdote regale e un re sacerdotale secondo l’ordine di Melchisedeck, che, pur essendo sacerdote del Dio Altissimo, era anche re di Salem, ossia re di pace {Ebrei 7: 1-2}. Ma questo non è il ruolo di re, né il trono a cui la profezia e la promessa si riferiscono e contemplano, quando fanno menzione della sua specifica funzione di re.
La funzione regale a cui si riferisce la profezia e la promessa, consiste nel fatto che Lui regnerà sul “trono di Davide suo padre”, perpetuando il regno di Dio sulla terra. Questo mandato regale è la restaurazione della perpetuità del diadema, della corona e del trono di Davide in Cristo. Il diadema, la corona e il trono di Davide furono interrotti quando, a causa della profanazione e della malvagità del popolo di Giuda e d’Israele, furono portati in cattività a Babilonia, nel momento in cui fu fatta la dichiarazione: “E tu, o corrotto e malvagio principe d’Israele, il cui giorno è giunto al tempo della punizione finale» cosi dice il Signore, l’Eterno: «Deponi il turbante, togliti la corona; le cose non saranno più le stesse: ciò che è basso sarà innalzato e ciò che è alto sarà abbassato. Devastazione, devastazione, io la compirò. Ed essa non sarà più restaurata, finché non verrà colui a cui appartiene il giudizio e al quale io la darò” {Ezechiele 21: 25-27}.
In quel modo e in quel tempo il trono, il diadema e la corona del regno di Davide cessarono, “finché non verrà Colui a cui appartiene il giudizio” {Ezechiele 21: 27} al quale gli sarà dato. E colui che ne ha il diritto non è altri che Cristo, “il Figlio di Davide”. E quel “finché non verrà” non è la Sua prima venuta, nella Sua umiliazione, come uomo di dolori, familiare col patire, ma la Sua seconda venuta, quando verrà nella Sua gloria come “Re dei re e Signore dei signori” {Apocalisse 19: 16}, quando il Suo regno distruggerà e consumerà tutti i regni della terra, riempirà tutta la terra e durerà per sempre.
È vero che quando il bambino di Betlemme nacque nel mondo, nacque per noi un re, che era ed è stato re per sempre e con pieno diritto. Ma è altrettanto vero che la posizione regale, il diadema, la corona e il trono della profezia e della promessa, non li ha assunti allora, non li ha ancora presi, né li prenderà finché non verrà di nuovo. Sarà allora quando Lui prenderà su di sé il potere sulla terra e regnerà pienamente e veramente in tutto lo splendore della Sua gloria e del Suo ruolo regale. Infatti nelle Scritture è specificato che dopo che “il giudizio si tenne e i libri furono aperti” {Daniele 7: 10}, “ecco… un figlio d’uomo venne e si avvicinò all’Antico dei giorni, a lui fu dato dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto” {Daniele 7: 13-14}. È allora che egli possederà veramente “il trono di Davide, suo padre; e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine” {Luca 1: 32-33}.
Da una considerazione delle Scritture – della promessa e della profezia – in relazione ai suoi tre ruoli di profeta, sacerdote e re, è evidente che questi ruoli sono in successione. Non sono simultanei, non avvengono nello stesso momento. Prima è venuto come profeta. Attualmente è sacerdote. E sarà re quando tornerà. Ha terminato la sua opera come profeta prima di diventare sacerdote, e terminerà la sua opera come sacerdote prima di venire come re.
Dobbiamo considerarlo come era, com’è, e come sarà. In altre parole, è considerato come profeta quando era nel mondo. Questo infatti è anche il modo in cui anche noi dobbiamo contemplarlo. A quel tempo non si doveva considerarlo come sacerdote per la semplice ragione che non era sacerdote mentre era sulla terra.
Ma dopo quella fase, è diventato sacerdote. Questo è ciò che è ora. Egli è certamente un sacerdote oggi, come era un profeta quando era sulla terra. Nel suo ministero e nella sua opera sacerdotale dobbiamo considerarlo con la stessa certezza, con la stessa attenzione, continuamente, come un “sacerdote così grande” {Ebrei 8: 1}, così come Lo abbiamo considerato nel suo ministero profetico mentre era qui sulla terra.
Quando tornerà di nuovo nella sua gloria e nella maestà del suo regno sul trono di Davide suo padre, allora lo vedremo come re, ovvero ciò che sarà in realtà. Ma fino ad allora non possiamo considerarlo veramente nel suo ministero regale, nel pieno senso di ciò che implica la sua regalità.
Come re, oggi possiamo contemplarlo solo per quello che sarà. Come profeta, per quello che già è stato. Ma nel suo sacerdozio, dobbiamo contemplarlo oggi per quello che è attualmente, perché è esattamente quello che è. È l’unico ministero in cui si manifesta oggi; ed è proprio questo, e non un altro, l’unico ministero in cui possiamo considerare la sua opera e la sua persona.
Questi tre ministeri: profeta, sacerdote e re, non sono semplicemente in successione, ma lo sono per uno scopo. E questo scopo è legato a quel preciso ordine di successione di: profeta, sacerdote e re. La sua funzione di profeta era preparatoria ed essenziale alla sua funzione di sacerdote. E le sue funzioni di profeta e di sacerdote, in quest’ordine, sono preparatorie alla sua funzione di re.
È essenziale considerarlo nei Suoi ministeri, nel giusto ordine. Dobbiamo contemplarlo nel Suo ruolo di profeta, non solo per imparare da Colui del quale fu detto: “nessun uomo ha mai parlato come costui” {Giovanni 7: 46}, ma anche per considerarlo correttamente nel Suo ministero di sacerdote. Dobbiamo considerarlo nel Suo ministero di sacerdote, non solo per ricevere il beneficio infinito del Suo sacerdozio, ma anche per essere preparati per quello che saremo. Perché sta scritto: “essi saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui mille anni” {Apocalisse 20: 6}.
Dopo averlo considerato nel suo ministero di profeta, che ci ha preparato a considerarlo correttamente nel suo ministero di sacerdote, è essenziale che noi lo consideriamo nel suo ministero sacerdotale per poterlo vedere nel Suo ministero come re; cioè, per essere in grado di essere lì, a regnare con lui. Di noi infatti si afferma: “i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, per l’eternità” {Daniele 7: 18} ed “essi regneranno nei secoli dei secoli” {Apocalisse 22: 5}.
Poiché il sacerdozio è l’attuale ministero e opera di Cristo, che ha iniziato da quando è salito in cielo, questo è lo studio più importante in assoluto per tutti i cristiani, così come per tutti gli uomini, ovvero quello che ha che fare con Cristo e il Suo sacerdozio.
“Ora il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande, che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 1-2}.
Questa è “la sintesi” o “l’essenza” del sommo sacerdozio di Cristo come presentato nei primi sette capitoli di Ebrei. Questo “punto essenziale” o conclusione non è semplicemente il fatto che abbiamo un sommo sacerdote, ma specificamente che abbiamo un tale [così grande] sommo sacerdote. “Tale” significa “di una certa specie o tipo”, “di caratteristiche tali”, “che come precedentemente menzionato o specificato, non diverso o di un altro tipo”. Cioè, nei primi sette capitoli dell’epistola agli Ebrei, sono specificate certe cose in relazione a Cristo come sommo sacerdote, certe qualifiche con cui è stato costituito sommo sacerdote, o certe cose che lo rendono sommo sacerdote, che sono assunte in questa affermazione: “Ora il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande” {Ebrei 8: 1}.
Per comprendere questa scrittura, per afferrare la vera portata e le implicazioni di avere un tale “sommo sacerdote così grande”, è quindi necessario esaminare le parti precedenti dell’epistola. L’intero settimo capitolo è dedicato allo studio di questo sacerdozio. Il capitolo sei si conclude con l’idea del suo sacerdozio. Il quinto è dedicato quasi interamente alla stessa cosa. Il quarto capitolo non è altro che una continuazione del terzo, che inizia con un’esortazione a “l’apostolo e il sommo sacerdote della nostra confessione di fede, Gesù Cristo” {Ebrei 3: 1} e questa è anche la conclusione di quanto è stato sopra esposto. Il secondo capitolo termina con l’idea di Cristo come “un misericordioso e fedele sommo sacerdote” {Ebrei 2: 17}, e questa a sua volta è la conclusione di ciò che viene presentato nei primi due capitoli. Poiché, sebbene siano due capitoli, si tratta di un singolo argomento.
Quanto esposto mostra chiaramente che, sopra ogni altro, il grande tema dei primi sette capitoli di Ebrei è il sacerdozio di Cristo; e che le verità lì elencate, in una forma o nell’altra, non sono che diverse presentazioni della stessa grande verità del Suo sacerdozio, tutte riassunte nelle parole: “abbiamo un sommo sacerdote così grande”.
Perciò, avendo scoperto la vera importanza e il significato dell’espressione “abbiamo un sommo sacerdote così grande”, la cosa da fare è cominciare proprio dall’inizio, dalle primissime parole del libro degli Ebrei, e tenere in mente l’idea fino a quando non si arriva al “punto essenziale delle cose che stiamo dicendo”, tenendo sempre presente che il pensiero centrale di tutto ciò che viene presentato è “un sommo sacerdote così grande”, e che in tutto ciò che viene detto il grande scopo è di mostrare all’umanità che “abbiamo un sommo sacerdote così grande”. Per quanto le verità possano essere piene e ricche di per sé in relazione a Cristo, bisogna sempre tenere a mente che quelle verità lì elencate sono in ultima analisi destinate a mostrare che “abbiamo un sommo sacerdote così grande”. Per quanto possano essere ricche e soddisfacenti in sé stesse, le verità su Cristo contenute nelle dichiarazioni successive, si deve tenere presente che queste verità – non importa quanto ricche e soddisfacenti possano essere – sono tutte quante espresse con il solo scopo di dimostrare che abbiamo “un sommo sacerdote così grande”.
Nel secondo capitolo di Ebrei, come conclusione dell’argomento presentato, leggiamo: “Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio” {Ebrei 2: 17}. Qui si stabilisce che la condiscendenza di Cristo, il suo diventare uomo, il suo farsi carne e sangue e abitare tra gli uomini, erano necessari affinché Egli potesse “un misericordioso e fedele sommo sacerdote”. Ora, per apprezzare la magnificenza della sua condiscendenza e qual è il vero significato del suo essere nella carne, come figlio dell’uomo e come uomo, è necessario prima sapere quale fu la grandezza della sua esaltazione come figlio di Dio e come Dio, e questo è il tema del primo capitolo.
La discesa di Cristo, la sua posizione e la sua natura nell’essere fatto carne su questa terra, ci sono rivelati nel secondo capitolo di Ebrei molto più ampiamente che in qualunque altra parte delle Scritture. Ma questo succede nel secondo capitolo. Il primo lo precede. Quindi, la verità o il tema del primo capitolo è indispensabile per capire il secondo. Il primo capitolo deve essere pienamente compreso per afferrare la verità e il concetto esposto nel secondo.
Nel primo capitolo di Ebrei, l’esaltazione, la posizione e la natura di Cristo come erano in cielo prima della sua venuta nel mondo, sono presentate più ampiamente che in qualsiasi altra parte della Bibbia. Ne consegue che una comprensione della posizione e della natura di Cristo come erano in cielo è essenziale per una comprensione della sua posizione e della sua natura come era sulla terra. E poiché “doveva essere in tutto” tale e quale a come era sulla terra, “per diventare un misericordioso e fedele sommo sacerdote”, è essenziale conoscerlo come era in cielo. Questo perché una cosa precede l’altra, costituendo, quindi, una parte essenziale delle prove riassunte l’espressione “abbiamo un sommo sacerdote così grande”.
Cosa ci viene detto riguardo a Cristo nel primo capitolo di Ebrei?
Prima di tutto, “Dio” – il Padre – è presentato come Colui che parla all’uomo. Come Colui che ha parlato “dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio” {Ebrei 1: 1-2}.
Così ci viene presentato Cristo, il Figlio di Dio. Poi di Cristo e del Padre si dice: “che egli (il Padre) ha costituito erede di tutte le cose, per mezzo del quale (il Padre) ha anche fatto l’universo”. Così, prima della sua presentazione, e della nostra considerazione come Sommo Sacerdote, Cristo il Figlio di Dio ci viene presentato come Creatore con Dio, e come il Verbo o Parola attiva e vivificante: “per mezzo del quale (Dio) ha anche fatto l’universo”.
Poi, del Figlio di Dio, leggiamo: “Egli, che è lo splendore della sua gloria (di Dio) e l’impronta della sua essenza (di Dio) e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver egli stesso compiuto l’espiazione dei nostri peccati, si è posto a sedere alla destra della Maestà nell’alto dei cieli” {Ebrei 1: 3}.
La conclusione è che in cielo, la natura di Cristo era la natura di Dio. Che lui, nella sua persona, nella sua sostanza, è l’immagine stessa, il carattere stesso della sostanza di Dio. Significa che prima di venire in questo mondo, la natura di Cristo in cielo era la natura di Dio con la sua stessa sostanza, e perciò di Lui dopo, si dice che “è diventato tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che egli ha ereditato”. Questo nome più eccellente è il nome “Dio”, che il Padre dà al Figlio: “del Figlio invece dice: «O Dio, il tuo trono è per i secoli dei secoli…” {Ebrei 1: 8}.
Così, egli è “tanto superiore” agli angeli, quanto Dio lo è in confronto a loro, ed è per questo che ha un nome “tanto superiore”, un nome che non esprime altra cosa se non ciò che Lui è nella Sua stessa natura. E questo nome lo ha “per eredità”. Non è un nome che gli è stato dato, ma lo ha ereditato.
È nella natura delle cose, come una verità eterna, che l’unico nome che una persona può ereditare è il nome di suo padre. Il nome di Cristo, quello che è più eccellente degli angeli, non è altro che quello di Suo Padre, e il nome di Suo Padre è “Dio”. Il nome del Figlio, dunque, quello che gli appartiene per eredità, è “Dio”. E questo nome, che è più eccellente di quello degli angeli, è appropriato a Lui, poiché egli è molto più eccelso di quello degli angeli. Quel nome è “Dio”. Pertanto, il nome del Figlio, il nome ottenuto per eredità, è il nome di “Dio”.
Poi si passa a considerare la Sua posizione e la Sua natura, tanto più eccellente di quella degli angeli: “a quale degli angeli disse mai: «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato»? E di nuovo: «Io gli sarò Padre, ed egli mi sarà Figlio»?” {Ebrei 1: 5}. Questo abbonda nel concetto riferito al versetto precedente, riguardo al Suo nome più eccellente; poiché egli, essendo il Figlio di Dio – ed essendo Dio Suo Padre – porta “per eredità” il nome di Suo Padre, che è “Dio”: in quanto egli è tanto più eccellente del nome degli angeli, poiché essendo Dio è più eccellente di loro.
Si evidenzia ancora di più, in questi termini: “E ancora, quando introduce il Primogenito nel mondo, dice: «E lo adorino tutti gli angeli di Dio»” {Ebrei 1: 6}. Così Cristo è talmente più eccellente degli angeli che è adorato da loro, e questo per espressa volontà divina, perché nella sua natura è Dio. Ancora una volta ci si sofferma sul netto contrasto tra Cristo e gli angeli: “Ma degli angeli dice: «Dei suoi angeli, fa dei venti, e dei suoi ministri una fiamma di fuoco»; del Figlio invece dice: «O Dio, il tuo trono è per i secoli dei secoli”.
E continua: “lo scettro del tuo regno è scettro di giustizia. Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia al di sopra dei tuoi compagni»” {Ebrei 1: 7-9}.
Il Padre parlando del Figlio dice: “«Tu, o Signore, nel principio fondasti la terra e i cieli sono opera delle tue mani, Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito, e li avvolgerai come un mantello e saranno cambiati; ma tu sei lo stesso, e i tuoi anni non verranno mai meno»” {Ebrei 1: 10-12}.
Notate i contrasti e comprenderete in essi la natura di Cristo. I cieli periranno, ma Lui rimane. I cieli invecchieranno, ma i suoi anni non finiranno. I cieli saranno cambiati, ma lui è lo stesso. Questo dimostra che è Dio: della natura di Dio.
E ancora più differenze tra Cristo e gli angeli: “A quale degli angeli disse egli mai, «Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi»? Non sono essi tutti spiriti servitori, mandati a servire per il bene di coloro che hanno da ereditare la salvezza?” {Ebrei 1: 13-14}.
Così, nel primo capitolo degli Ebrei, Cristo è rivelato più esaltato degli angeli, come Dio. E tanto più esaltato degli angeli quanto lo è Dio, per il fatto che è Dio. Egli è presentato come Dio, del nome di Dio, perché è della natura di Dio. E la sua natura è quella di Dio, che è l’immagine stessa della sostanza di Dio.
Tale è Cristo il Salvatore, spirito di spirito e sostanza di sostanza di Dio, ed è essenziale riconoscere questo nel primo capitolo di Ebrei, per capire qual è la sua natura di uomo, nel secondo capitolo.
La somiglianza di Cristo a Dio, come ci viene presentata nel primo capitolo di Ebrei, non è che un’introduzione destinata a stabilire la Sua somiglianza all’uomo, come viene presentata nel secondo. La Sua somiglianza con Dio, espressa nel primo capitolo di Ebrei, è l’unica base per una vera comprensione della Sua somiglianza con l’uomo, così come viene presentata nel secondo capitolo.
Questa Sua somiglianza a Dio, presentata nel primo capitolo di Ebrei, è una somiglianza, non nel senso di una semplice immagine o rappresentazione, ma è una somiglianza nel senso di essere realmente come Lui nella stessa natura, “l’impronta della sua essenza” {Ebrei 1: 3}, spirito di spirito, sostanza di sostanza di Dio.
Ci viene presentata come una condizione preliminare per poter comprendere la Sua somiglianza con l’uomo. Cioè: da questo dobbiamo capire che la Sua somiglianza con l’uomo non lo è solo nella forma, nell’immagine o nella rappresentazione, ma nella natura, nella sostanza stessa. Se così non fosse, l’intero primo capitolo di Ebrei, con le sue informazioni dettagliate, sarebbe privo di senso e fuori luogo a questo riguardo. Qual è, allora, la verità su Cristo, fatto a somiglianza dell’uomo, come si legge nel secondo capitolo di Ebrei?
Tenendo presente l’idea principale del primo capitolo e i primi quattro versetti del secondo – quelli che si riferiscono a Cristo in confronto agli angeli: superiore a loro, come Dio – leggiamo il quinto versetto del secondo capitolo, dove inizia il confronto di Cristo con gli angeli: di poco inferiore agli angeli come uomo.
Così leggiamo: “Infatti non è agli angeli che egli ha sottoposto il mondo a venire, del quale parliamo, ma qualcuno ha testimoniato in un certo luogo, dicendo: «Che cosa è l’uomo, perché tu ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo perché lo consideri? Tu lo hai fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, tu lo hai coronato di gloria e di onore e lo hai costituito sopra le opere delle tue mani; tu gli hai posto tutte le cose sotto i piedi». Infatti, nel sottoporgli tutte le cose non ha lasciato nulla che non gli fosse sottoposto. Tuttavia al presente non vediamo ancora che tutte le cose gli sono sottoposte, ma vediamo coronato di gloria e d’onore per la morte che sofferse, Gesù, che è stato fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti” {Ebrei 2: 5-9}.
Equivale a dire: Dio non ha sottomesso il mondo futuro agli angeli, ma lo ha sottomesso all’uomo. Ma non all’uomo al quale originariamente fu sottoposto, perché, anche se era così, ora vediamo che non è più così. L’uomo ha perso il suo dominio, e invece di avere tutte le cose soggette sotto i suoi piedi, egli stesso è ora soggetto alla morte. E questo per la sola ragione che è soggetto al peccato. “Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” {Romani 5: 12}. Egli è soggetto alla morte perché è soggetto al peccato, perché la morte non è altro che il salario del peccato.
Tuttavia, è vero che Lui non ha sottomesso il mondo agli angeli, ma all’uomo, e ora Gesù Cristo è quell’uomo. Sebbene questo dominio venne dato all’uomo, ora vediamo che l’uomo ha perso il dominio. Tuttavia, “vediamo… che Gesù”, come uomo, venne per recuperare la prima signoria. “Vediamo… che Gesù”, come uomo, venne affinché “tutte le cose gli siano sottomesse”.
L’uomo iniziale era il primo Adamo. L’altro uomo è l’ultimo Adamo. Il primo è stato fatto un po’ inferiore agli angeli. Anche l’ultimo – Gesù – lo vediamo di poco “inferiore agli angeli” {Ebrei 2: 7}.
Quel primo uomo non rimase nella posizione in cui era stato creato, “di poco inferiore agli angeli”. La perse e scese ancora più in basso e divenne soggetto al peccato e, in quanto tale, soggetto alla sofferenza, fino alla sofferenza della morte.
Invece vediamo il secondo Adamo rimanere nella stessa posizione, nella stessa condizione: “Vediamo… Gesù, che è stato fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti” {Ebrei 2: 9}. E ancora: “Infatti colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da UNO” {Ebrei 2: 11}.
Colui che santifica è Gesù. Coloro che sono santificati sono uomini di tutte le nazioni, razze, lingue e popoli. E un uomo santificato di qualsiasi nazione, razza, lingua o popolo, è la dimostrazione divina che ogni anima di quella nazione, razza, lingua o popolo può essere santificata. Gesù, essendo diventato uno di loro per condurli alla gloria, dimostra di essere uno con gli uomini. Lui come uomo, e gli uomini stessi, sono “da uno per questo motivo egli non si vergogna di chiamarli fratelli” {Ebrei 2: 11}.
Perciò, essendo come Dio, nel cielo era più esaltato degli angeli, mentre come uomo, sulla terra era inferiore agli angeli. Nel cielo era come Dio, più esaltato degli angeli, Lui e il Padre erano una cosa sola, così anche quando era sulla terra, essendo minore degli angeli, come uomo, lui e l’uomo erano una cosa sola. Cioè, come Gesù e Dio sono una cosa sola per quanto riguarda Dio – di un solo Spirito, di una sola natura, di una sola sostanza – così per quanto riguarda l’uomo, Cristo e l’uomo sono “uno”: di una sola carne, di una sola natura, di una sola sostanza.
La somiglianza di Cristo con Dio e la somiglianza di Cristo con l’uomo sono sia nella sostanza che nella forma. Altrimenti, il primo capitolo di Ebrei, come introduzione al secondo, non avrebbe senso. L’antitesi presentata tra i due capitoli non avrebbe senso. Il primo capitolo sarebbe vuoto di contenuto, fuori luogo, come introduzione al successivo.
Il primo capitolo di Ebrei mostra che la somiglianza di Cristo con Dio non è solo nella forma o nella rappresentazione, ma anche nella sostanza stessa; e il secondo capitolo rivela altrettanto chiaramente che la Sua somiglianza con l’uomo non è solo nella forma o nella rappresentazione, ma nella sostanza stessa. In tutte le cose fu fatto simile agli uomini, esattamente come essi sono. Perciò è scritto: “Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio (…). E la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra di noi” {Giovanni 1: 1, 14}.
Questo significa assomigliare all’uomo così come egli è nella sua natura caduta e peccaminosa, e non come era originariamente nella sua natura senza peccato. Ciò è supportato dal seguente testo: “vediamo (Gesù) che è stato fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti” {Ebrei 2: 9}. Perciò vediamo che Gesù è stato fatto, nella Sua condizione di uomo, nel modo in cui è l’uomo, quando è soggetto alla morte. Quindi vediamo Gesù fatto inferiore agli angeli, fino alla sofferenza della morte, è così dimostrato che, come uomo, Gesù ha preso la natura dell’uomo, da quando è entrata la morte; e non la natura dell’uomo come era prima che fosse soggetto alla morte.
Ma la morte è entrata solo a causa del peccato: la morte non sarebbe mai potuta entrare, se il peccato non fosse entrato. E Gesù fu fatto un po’ inferiore agli angeli, per la sofferenza della morte. Quindi, vediamo Gesù fatto nella natura dell’uomo, come l’uomo era da quando ha peccato, e non come era prima che il peccato entrasse. L’ha fatto perché fosse possibile per Lui “gustare la morte per tutti”.
Nel farsi uomo, per raggiungere l’uomo, doveva venire dove l’uomo si trovava. L’uomo è soggetto alla morte, quindi Gesù ha dovuto diventare uomo, farsi uomo in tutto e per tutto com’è l’uomo, dal momento che è stato soggetto alla morte.
“Conveniva infatti a colui, per il quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, nel portare molti figli alla gloria, di rendere perfetto per mezzo di sofferenze l’autore della salvezza” {Ebrei 2: 10}.
Così, facendosi uomo, era giusto che venisse esattamente come un uomo. L’uomo è soggetto alla sofferenza, quindi era giusto che venisse dove si trovava l’uomo, nelle sue sofferenze. Prima che l’uomo peccasse, non era in alcun modo soggetto alla sofferenza.
Se Gesù fosse venuto nella natura dell’uomo com’era prima che il peccato entrasse, non sarebbe stato altro che venire in una forma e natura in cui gli sarebbe stato impossibile conoscere le sofferenze dell’uomo, e quindi non avrebbe potuto raggiungerlo per salvarlo. Ma poiché: “Conveniva infatti a colui, per il quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, nel portare molti figli alla gloria, di rendere perfetto per mezzo di sofferenze l’autore della salvezza” è chiaro che Gesù, diventando uomo, ha condiviso la natura dell’uomo così com’è l’uomo, poiché è venuto per essere soggetto alla sofferenza, e la sofferenza della morte, che è il salario del peccato.
Così sta scritto: “Poiché dunque i figli hanno in comune la carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose” {Ebrei 2: 14}. Cristo, nella Sua natura umana, prese la stessa carne e lo stesso sangue che hanno gli uomini. In una sola frase troviamo tutte le parole che possono essere usate per rendere l’idea positiva e chiara. I figli degli uomini sono partecipi della carne e del sangue; e quindi, Lui prese parte alla carne e al sangue; ma non è tutto: inoltre, prese parte alla stessa carne e allo stesso sangue di cui sono partecipi i figli degli uomini. Cioè, ha partecipato – allo stesso modo – alla stessa carne e allo stesso sangue dei figli.
Lo Spirito di ispirazione è così desideroso che questa verità sia resa chiara, evidente e comprensibile a tutti, che non si accontenta di usare poche parole per dircelo. Così si dichiara con tanta precisione e sicurezza che: “i figli hanno in comune la carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune” la stessa carne e lo stesso sangue.
Egli ha fatto ciò affinché mediante la sua morte possa “liberare tutti quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la loro vita” {Ebrei 2: 15}.
Egli condivise la stessa carne e lo stesso sangue che noi abbiamo nella schiavitù del peccato e nella paura della morte, per liberarci dalla schiavitù del peccato e dalla paura della morte, cosicché “colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da uno per questo motivo egli non si vergogna di chiamarli fratelli” {Ebrei 2: 11}.
Questa grande verità riguardante l’unione di sangue, ovvero la fratellanza di sangue di Cristo con gli uomini, è chiaramente predicata nel Vangelo della Genesi. Poiché quando Dio fece la Sua eterna alleanza con Abramo, gli animali sacrificali furono divisi in due, e Lui, insieme ad Abramo, ci passò in mezzo {Genesi 15: 8-18; Geremia 34: 18; Ebrei 7: 5, 9}. Con questo atto il Signore entrò nel “patto più solenne noto agli orientali” o alla famiglia umana – il patto di sangue – e divenne così un fratello di sangue per Abramo, “una relazione che superava qualsiasi altra relazione nella vita”.
Questa grande verità sulla relazione di sangue di Cristo con l’uomo è predicata più profondamente nel Vangelo del Levitico. Infatti nel Vangelo del Levitico è stata scritta la legge per la redenzione – o riscatto – degli uomini e delle loro eredità. Quando qualcuno dei figli d’Israele perdeva la propria eredità oppure diventava uno schiavo, era prevista una possibilità di riscatto. Se era in grado di riscattare sé stesso o la sua eredità, poteva farlo. Ma se non poteva riscattarsi da solo, il diritto di redenzione appartiene al suo parente di sangue più vicino. Questo diritto non apparteneva solo al più vicino dei suoi fratelli, ma a quello che era il parente più stretto e che poteva riscattarlo {Levitico 25: 24-28, 47-49; Rut 2: 20; Rut 3: 9, 12, 13; Rut 4: 1-14}.
Così, secondo Genesi e Levitico, a quel tempo si insegnava ciò che troviamo qui affermato nel secondo capitolo di Ebrei: la verità è che l’uomo ha perso la sua eredità e lui stesso è caduto in schiavitù. E poiché non può riscattare sé stesso, non può riscattare la sua eredità, il diritto di riscatto spetta al parente più prossimo che può riscattarla. E Gesù Cristo è l’unico in tutto l’universo che ha questa capacità.
Ma per essere il Redentore deve avere non solo il potere, ma anche la parentela di sangue. E deve essere non solo prossimo, ma il parente di sangue più stretto. Così, “poiché dunque i figli hanno in comune la carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose” partecipando alla nostra carne e al nostro sangue nella loro sostanza; proprio così divenne il nostro parente più stretto. Per questo motivo sta scritto che Lui e noi proveniamo “tutti da UNO. Per questo motivo egli non si vergogna di chiamarli fratelli” {Ebrei 2: 11}.
Ma la Scrittura non si ferma qui, avendo accertato questa verità fondamentale. Dice di più: “Egli non prese su di sé la natura degli angeli, ma prese su di sé il seme di Abrahamo. Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli” {Ebrei 2: 16-17, Versione King James}.
Essendo diventato loro fratello di sangue, conferma così il patto eterno. E lo ha fatto per uno scopo: affinché potesse “venire in aiuto di coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 18}. “Infatti, noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato” {Ebrei 4: 15}. Essendo stato formato, nella Sua natura umana, in tutto come noi, poteva essere – ed era – tentato in tutte le cose come lo siamo anche noi. L’unico modo in cui poteva essere “tentato in ogni cosa come noi” è che doveva essere reso “in ogni cosa simile ai fratelli”.
Poiché nella Sua natura umana è uno di noi, e poiché “Egli ha preso le nostre infermità” {Matteo 8: 17}, può “simpatizzare con le nostre infermità” {Ebrei 4: 15}, essendo stato fatto in tutto simile a noi, quando è stato tentato ha sperimentato la tentazione proprio come noi quando siamo tentati, e conosce ogni cosa al riguardo; e così è in grado di aiutare e salvare completamente tutti coloro che chiedono il Suo aiuto. Nella Sua carne era debole come noi e da sé stesso “non poteva fare nulla” {Giovanni 5: 30}, così quando Egli portò “le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori” {Isaia 53: 4}, quando fu tentato come anche noi siamo tentati, sentendo quello che sentiamo noi. Con la fede venuta dall’alto, Egli ha dimostrato di ottenere la vittoria per la potenza di Dio, quella stessa fede vincente l’ha portata nella nostra carne.
Perciò è chiamato Emmanuele che significa “Dio con noi”. Non Dio con Lui, ma Dio con noi. Dio era con Lui dall’eternità e avrebbe potuto rimanere tale anche se non si fosse sacrificato per noi. Ma l’uomo, attraverso il peccato, è stato privato di Dio, e Dio ha voluto raggiungerci di nuovo. Perciò Gesù è diventato “noi”, affinché Dio con Lui potesse diventare “Dio con noi”. E questo è il Suo nome, perché è ciò che Lui è. Lodato sia il Suo nome.
Questa è “la fede di Gesù” e la Sua potenza. Questo è il nostro Salvatore: uno con Dio e uno con l’uomo; Egli è quindi in grado di salvare perfettamente ogni anima che vuole venire a Dio tramite Lui.
“Cristo Gesù (…) essendo in forma di Dio, (…) svuotò sé stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini” {Filippesi 2: 5-7}.
È stato fatto a somiglianza degli uomini, come gli uomini, esattamente là dove si trovano.
“La Parola si è fatta carne” {Giovanni 1: 14}. Lui ha condiviso lo stesso sangue e la stessa carne di cui i figli degli uomini sono partecipi, così come lo sono da quando l’uomo è caduto nel peccato. Quindi sta scritto: “quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge” {Galati 4: 4}.
Essere sotto la legge significa essere colpevole, condannato e soggetto alla maledizione. Sta scritto: “noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio” {Romani 3: 19}. Questo perché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” {Romani 3: 23}. E la colpa del peccato porta la maledizione.
In {Zaccaria 5: 1-4}, il profeta vide “un rotolo che vola”. Il Signore gli disse: “Questa è la maledizione che si sta spargendo su tutto il paese”. E qual è la causa di questa maledizione che si diffonde sulla faccia di tutta la terra? Questa: “da ora in poi, chiunque ruba sia reciso da esso e chiunque da ora in poi giura, sarà reciso da esso”.
Il rotolo è la legge di Dio. Infatti viene citato un comandamento da ognuna delle tavole, ciò a dimostrare che le tavole della legge sono incluse nel rotolo. Chiunque ruba – e trasgredisce la legge riguardo alla seconda tavola – sarà distrutto, secondo quella parte della legge; e chiunque giura – e trasgredisce la legge riguardo alla prima tavola – sarà distrutto, secondo quella parte della legge. Gli scrivani celesti non hanno bisogno di registrare i peccati particolari di ciascuno; è sufficiente annotare sul rotolo di ogni uomo il comandamento violato per ogni trasgressione. Quel rotolo della legge accompagna ogni uomo, ovunque egli vada, finché non rimane nella sua casa, come dimostrano le parole: “entrerà nella casa del ladro e nella casa di colui che giura falsamente nel mio nome”. E a meno che non si trovi un rimedio, quel rotolo della legge rimarrà lì finché la maledizione non consumerà quell’uomo e la sua casa, “con il suo legno e le sue pietre”, finché la maledizione non divorerà la terra in quel grande giorno in cui gli elementi, bruciando col fuoco, saranno dissolti {2 Pietro 3: 10-12}. Perché “il potere del peccato” e la maledizione derivano dalla trasgressione della Legge” {1 Corinzi 15: 56; Isaia 24: 5-6}.
Ma grazie a Dio che “ha mandato suo Figlio, (…) sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge” {Galati 4: 4-5}. Venendo in questo mondo, ha portato la redenzione ad ogni anima sotto la legge. Ma per realizzare in modo perfetto quella redenzione per coloro che sono sotto la legge, Egli stesso doveva raggiungere gli uomini proprio dove si trovavano, e nella condizione in cui si trovavano: sotto la legge. Gesù accettò tutto questo, perché fu “sottoposto alla legge”; fu reso “colpevole”; fu condannato dalla legge; fu “reso” colpevole come ogni uomo che è sotto la legge. Egli è stato “sottoposto a condanna”, come lo è pienamente ogni uomo che ha violato la legge. Fu “reso” sotto la maledizione come qualsiasi uomo al mondo che è o che può trovarsi sotto la maledizione. Poiché sta scritto: “Colui che è appeso (sull’albero) è maledetto da Dio” {Deuteronomio 21: 23}.
La traduzione letterale dall’ebraico è la seguente: “colui che è appeso sull’albero è la maledizione di Dio”. E questa è esattamente la forza della realtà che riguarda Cristo, perché sta scritto che Egli divenne “maledizione”. Così, quando fu sotto la legge, fu fatto divenire tutto ciò che comporta essere sotto la legge. Fu reso colpevole; fu condannato; divenne maledizione.
Ma non dimenticare mai che Lui è stato “reso” tutto ciò. In Lui non vi era alcun difetto da sé stesso, ma è stato “reso” tutto ciò. E tutto ciò che è stato fatto è stato fatto per noi; per noi che siamo sotto la legge; per noi che siamo sotto la condanna a causa della trasgressione della legge; per noi che siamo sotto la maledizione per aver giurato, mentito, ucciso, rubato, commesso adulterio, e ogni altra violazione del rotolo della legge di Dio, quel rotolo che ci accompagna e rimane nella nostra casa.
Venne sotto la legge, per redimere coloro che sono sotto la legge. Fu maledetto per redimere coloro che erano maledetti perché erano sotto la legge, ma chiunque sia il beneficiario di ciò che si compie, e qualunque cosa si compia con il suo compimento, non bisogna mai dimenticare che, per compierlo, è dovuto divenire come coloro ai quali è stato di beneficio.
Perciò, chiunque, in qualsiasi parte del mondo, conosca il senso di colpa, conosce necessariamente ciò che Cristo ha provato per lui e, per questo, sa quanto Gesù gli è vicino. Chiunque sappia cos’è la condanna, sa esattamente cosa ha provato Cristo per lui e capisce così quanto Gesù sia perfettamente in grado di simpatizzare con lui e di redimerlo. Chiunque conosca la maledizione del peccato, “quando qualcuno riconosce la piaga del suo cuore” {1 Re 8: 38}, può avere un’idea esatta di quanto Gesù abbia sperimentato per lui, e quanto Gesù si sia identificato pienamente – nella Sua stessa esperienza – con lui.
Portando la colpa, essendo sotto la condanna, e quindi sotto il peso della maledizione, Gesù, vivendo la Sua vita in questo mondo colpevole, condannato e maledetto, visse in modo perfetto nella giustizia di Dio senza peccare affatto. E ogni uomo che conosce la colpa, la condanna e la maledizione del peccato, sapendo che Gesù ha realmente provato nella Sua esperienza tutto questo, esattamente come lo sente l’uomo, e se quell’uomo crede in Gesù, potrà conoscere attraverso la propria esperienza la benedizione di una vita perfetta nella giustizia di Dio per riscattarlo dalla colpa, dalla condanna e dalla maledizione, che si manifesterà in tutta la sua vita per impedirgli di peccare.
Cristo fu sottoposto alla legge, per redimere coloro che erano sotto la legge. E quest’opera benedetta viene compiuta per ogni anima che accetta una tale redenzione: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, e si è fatto maledizione per noi. Non è cosa vana che Lui sia diventato una maledizione, perché in questo sta il compimento del fine ricercato, a beneficio di tutti coloro che Lo ricevono. Tutto questo è stato fatto: “affinché la benedizione di Abrahamo pervenisse ai gentili in Cristo Gesù, perché noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” {Galati 3: 14}.
Inoltre, qualunque sia il fine perseguito e il suo compimento, si deve sempre tenere presente il fatto che, nella Sua condiscendenza, nel Suo umiliarsi essendo stato “reso simile agli uomini”, diventando carne, Cristo fu sottoposto alla legge, colpevole – sotto la condanna, sotto la maledizione – così pienamente e realmente come lo è ogni anima che deve essere redenta.
E avendo vissuto tutto questo, è diventato l’autore della salvezza eterna, essendo in grado di salvare fino all’estremo, anche dalle più basse profondità, coloro che vanno a Dio per mezzo di Lui.
In che modo Cristo diventò carne? In che modo partecipò alla natura umana? Nello stesso modo in cui tutti noi la condividiamo. Perché sta scritto: “Poiché dunque i figli hanno in comune la carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose” {Ebrei 2: 14}.
“Similmente” significa “allo stesso modo”. Perciò Egli condivise “le stesse cose”, nella stessa carne e sangue degli uomini, e vi partecipò allo stesso modo in cui anche gli uomini vi partecipano. Le persone vi partecipano dalla nascita. “Similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose”. Ecco perché sta scritto: “un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato” {Isaia 9: 6}.
“Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge” {Galati 4: 4} (La traduzione KJV dice: “fatto dalla donna”). Essendo nato da una donna in questo mondo, nacque dall’unico tipo di donna che esiste in questo mondo.
Ma perché doveva nascere dalla donna? Perché non da un uomo? Per la semplice ragione che se fosse stato fatto dall’uomo non si sarebbe potuto avvicinare abbastanza alla famiglia umana, lì dove si trova la famiglia umana sotto il peccato. Venne “fatto dalla donna” in modo che Lui potesse avvicinarsi completamente alla natura umana lì dove si trova nel suo peccato. A tal fine, doveva essere nato da una donna, perché la donna, e non l’uomo, fu la prima a infrangere il comandamento. Perché “non fu Adamo ad essere sedotto ma fu la donna che, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione” {1 Timoteo 2: 14}.
Se fosse stato fatto provenire da un uomo, ciò non gli avrebbe permesso di comprendere l’intera ampiezza del dominio del peccato, perché fu la donna a peccare, e quindi il peccato era nel mondo già prima che Adamo peccasse.
Cristo così fu generato da una donna per poter affrontare il grande problema del peccato, manifestato proprio all’inizio della sua entrata in questo mondo. Se fosse stato generato diversamente, sarebbe stato privo di questa esperienza, e quindi non Gli sarebbe stato possibile riscattare completamente gli uomini dal peccato.
Doveva essere il “seme di lei (della donna)” {Genesi 3: 15} a schiacciare la testa del serpente; ed è solo come “seme della donna”, essendo “nato da donna”, che egli poteva incontrare il serpente sul suo stesso terreno, precisamente là dove il peccato è entrato in questo mondo.
È la donna – che in questo mondo – è stata coinvolta per prima nella trasgressione. Fu attraverso di lei che il peccato entrò originariamente. Quindi, per redimere dal peccato i figli degli uomini, Colui che era il Redentore doveva andare oltre l’uomo, e incontrare il peccato che era nel mondo prima che l’uomo peccasse.
Ecco perché Cristo, è venuto a redimere l’umanità, nascendo dalla donna (fatto dalla donna). Essendo generato dalla donna, fu in grado di rintracciare il peccato fin dalla sua origine quando entrò per la prima volta nel mondo attraverso la donna. In questo modo avrebbe potuto trovare il peccato del mondo e sradicarlo dalle sue origini fino a quando l’ultimo residuo di esso sarà spazzato via. Era perciò necessario che Gesù partecipasse alla natura umana così come essa è realmente da quando il peccato è entrato nel mondo.
Se non fosse stato così, non ci sarebbe stata alcuna ragione per cui avrebbe dovuto “nascere da donna”. Se Lui non fosse venuto a contatto con il peccato così come si è manifestato nel mondo; se avesse dovuto separarsi di un solo grado da esso, così com’è manifestato nella natura umana, allora non aveva bisogno di “nascere da donna”.
Ma dato che nacque da donna, non dall’uomo; dato che nacque da colei che per mezzo della quale il peccato è entrato nel mondo originariamente, e non dall’uomo, il quale commise il peccato dopo che esso era già entrato nel mondo, questo dimostra al di là di ogni possibile dubbio che tra Cristo e il peccato, e tra Cristo e la natura umana, non c’è separazione, nemmeno in minima parte. Si è fatto carne, si è fatto peccato. È stato fatto carne, precisamente come la carne è in questo mondo, ed è stato fatto peccato, precisamente com’è il peccato. E tutto questo era necessario per redimere l’umanità perduta. Separarsi minimamente, in qualsiasi senso, dalla natura di coloro che era venuto a redimere, avrebbe significato un fallimento totale.
Pertanto, Gesù nacque “sottoposto alla legge” perché quelli che voleva redimere si trovano sotto la legge, divenne maledizione perché quelli che voleva redimere sono sotto la maledizione e divenne peccato perché quelli che voleva redimere sono peccatori, “venduti al peccato”. In ugual modo Egli doveva essere fatto con la stessa carne e sangue degli uomini, perché proprio quelli che voleva redimere sono fatti di carne e sangue, e doveva essere fatto “dalla donna” perché il peccato apparve per la prima volta nel mondo attraverso la donna e nella donna.
Di conseguenza, è totalmente vero, senza alcuna eccezione, che Gesù “doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli” {Ebrei 2: 17}.
Se non fosse nato nella stessa carne di coloro che era venuto a redimere, allora non sarebbe servito a nulla diventare carne. Inoltre: l’unica carne che esiste in questo mondo che egli è venuto a redimere è questa: povera, peccaminosa, perduta carne umana che ogni uomo possiede, se questa non è la carne da cui è nato, allora Lui non venne realmente in questo mondo, bisognoso di essere redento.
Se fosse venuto in una natura umana diversa da quella che esiste realmente in questo mondo, e pur essendo venuto, e avendo raggiunto e aiutato l’uomo, era così lontano da lui come se non fosse mai venuto. Se fosse stato così, sarebbe stato così lontano dalla natura umana che sarebbe stato di un altro mondo, come se non fosse venuto affatto.
Non c’è dubbio che Cristo, alla Sua nascita, abbia preso la natura di Maria, quella “donna” che Lo ha “fatto”. Ma la mente carnale è riluttante ad ammettere che Dio, nella perfezione della Sua santità, accettasse di venire in questo mondo dove l’umanità è nel peccato. Perciò si è cercato di sfuggire alle conseguenze di questa gloriosa verità, che implica il distacco dall’IO, inventando una teoria secondo la quale la natura della Vergine Maria sarebbe diversa da quella del resto del genere umano, che la sua carne non sarebbe esattamente quella comune a tutta l’umanità. Questa invenzione sostiene che, per qualche strano processo, Maria è diversa dal resto degli esseri umani, col proposito particolare che Cristo potesse nascere da lei nel modo giusto.
Tale invenzione è culminata in quello che è noto come il dogma cattolico dell’immacolata concezione. Molti protestanti, se non la stragrande maggioranza di loro, insieme ad altri non cattolici, credono che l’immacolata concezione si riferisca al concepimento di Gesù da parte della Vergine Maria. Ma questo è un errore grossolano. La dottrina ufficiale e “infallibile” dell’immacolata concezione, come è solennemente definita nell’articolo di fede da Papa Pio IX parlando ex cattedra (cioè in una forma solenne ed esplicita) l’8 dicembre 1854, è la seguente: “Per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo, e per nostra propria autorità, dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina della beatissima vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una speciale grazia e privilegio di Dio Onnipotente, in virtù dei meriti di Gesù, il Salvatore dell’umanità, fu preservata libera da ogni macchia di peccato originale, è una dottrina che è stata rivelata da Dio, e quindi, deve essere solidamente e fermamente creduta da tutti i fedeli. Pertanto, se qualcuno dovesse pretendere – cosa che Dio non vuole – di pensare nel suo cuore, diversamente da quanto abbiamo definito, sappia e comprenda che il suo giudizio lo condanna, che la sua fede è naufragata ed è caduto dall’unità della Chiesa” (The Catholic Belief, p.14).
Gli scrittori cattolici definiscono questo concetto nei seguenti termini:
L’antico scritto “De Nativitate Christi”, che si trova nelle opere di San Cipriano, dice: Poiché [Maria] era “molto diversa dal resto del genere umano, le fu comunicata la natura umana, ma non il peccato” (Id, p.216).
Teodoro, patriarca di Gerusalemme, nel secondo concilio di Nizza disse che Maria “è veramente la madre di Dio, e vergine prima e dopo il parto; ed è stata creata in una condizione più sublime e gloriosa di tutte le altre nature, sia intellettualmente che corporalmente” (Id, p.217).
Chiaramente questo pone la natura di Maria al di là di ogni possibile somiglianza o relazione con l’umanità o la natura umana, quale essa sia. Tenendo presente quanto detto prima, esponiamo questa invenzione nel passo successivo, che verrà evidenziato nelle parole del cardinale Gibbons:
“Noi affermiamo che la seconda persona della beata Trinità, il Verbo di Dio, che è nella sua natura divina, da tutta l’eternità, generato dal Padre, consustanziale con lui, quando venne la pienezza dei tempi, fu generato di nuovo nascendo dalla vergine, prendendo questa forma dal ventre della madre, una natura umana della stessa sostanza della sua. Nella misura in cui il sublime mistero dell’incarnazione può essere riflesso dall’ordine naturale, la Beata Vergine Maria, sotto l’intervento dello Spirito Santo, trasmise alla seconda persona della trinità, come fa ogni madre, una vera natura umana della stessa sostanza della sua. Essa è realmente e veramente sua madre” (Faith of Our Fathers, p. 198-199).
Ora mettiamo in relazione le due cose. In primo luogo, vediamo la natura di Maria definita come non solo “molto diversa dal resto della razza umana”, ma “più sublime e gloriosa di tutte le altre nature”, ponendola così oltre ogni somiglianza o relazione con la razza umana, ovvero come noi siamo realmente. In secondo luogo, Gesù è descritto che da Maria prende la sua stessa natura umana, la sua stessa sostanza.
Secondo questa teoria, ne consegue che – siccome due più due fa quattro – nella Sua natura umana il Signor Gesù è “molto diverso” dal resto dell’umanità; anzi, la Sua natura non è affatto umana. Questa è la dottrina cattolica romana sulla natura umana di Cristo. Essa consiste semplicemente nel fatto che quella natura non è per nulla una natura umana, ma divina: “più sublime e gloriosa di tutte le altre nature”. Cristo, nella Sua natura umana, era così separato dalla razza umana da essere completamente diverso dal resto dell’umanità, la Sua era una natura che non poteva identificarsi con i sentimenti degli uomini.
Ma questa non è la fede di Gesù. La fede di Gesù è: “Poiché i figli hanno in comune la carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose” {Ebrei 2: 14}.
La fede di Gesù è che Dio mandò “il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato” {Romani 8: 3}.
La fede di Gesù dice che “doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli” {Ebrei 2: 17}.
La fede di Gesù dice che “portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori” {Isaia 53: 4}, e “che è stato tentato in ogni cosa come noi” {Ebrei 4: 15}. Se non fosse stato come noi, non poteva essere “tentato in ogni cosa come noi”. Ma essendo stato “tentato in ogni cosa come noi” Lui era “come noi”.
Perciò, Egli era “in tutto” e per tutto “secondo la nostra somiglianza”. Nelle citazioni riportate in questo capitolo sulla fede cattolica, abbiamo presentato la posizione di Roma sulla natura di Cristo e di Maria. Nel secondo capitolo di Ebrei e in alcuni passaggi della Scrittura vediamo riflessa, la fede di Gesù riguardo la Sua natura umana, e in questo studio ci siamo sforzati di esporla come viene presentata nella Bibbia.
La fede di Roma in relazione alla natura di Cristo, di Maria, e anche alla nostra natura, parte da quella nozione della mente naturale secondo cui Dio è troppo puro e santo per abitare con noi e in noi, nella nostra natura umana peccaminosa: così peccaminosi come siamo, siamo troppo distanti da lui, dalla Sua purezza e santità, troppo distanti affinché Lui venga a noi così come siamo.
La vera fede – la fede di Gesù – dice che sebbene siamo così lontani da Dio nella nostra peccaminosità, Egli, prendendo la nostra natura umana, è venuto da noi esattamente là dove siamo; che sebbene Dio sia infinitamente puro e santo, e noi peccatori, degradati e persi, Lui in Cristo, attraverso il Suo Spirito Santo, desidera dimorare con noi e in noi per salvarci, purificarci e renderci santi.
La fede di Roma è che noi dobbiamo necessariamente essere puri e santi affinché Dio abiti con noi; la fede di Gesù è che Dio deve necessariamente abitare con noi e in noi, affinché possiamo essere puri e santi.
“La Parola si è fatta carne” {Giovanni 1: 14}.
“Quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge” {Galati 4: 4}.
“L’Eterno ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” {Isaia 53: 6}.
Abbiamo visto che Cristo, essendo nato da donna, ha dovuto affrontare il peccato dalla porta d’ingresso dalla quale è entrato nel mondo, e per farlo doveva essere appunto generato dalla donna.
Tutto il peccato esistente, dalla sua origine nel mondo fino alla sua fine, è stato posto su Cristo: sia il peccato come è in sé, sia il peccato come è nel commetterlo. Ovvero il peccato nella sua tendenza, ereditato in noi, ma non commesso da noi, e il peccato nell’atto, che commettiamo.
Solo in questo modo il peccato di tutti noi poteva essere posto su di Lui. Solo sottomettendosi alla legge dell’eredità poteva raggiungere il peccato nella sua vera e reale dimensione, come è in realtà. Altrimenti, sarebbe stato accusato dei peccati che noi abbiamo effettivamente commesso, con la colpa e la condanna che gli sono dovute. Ma oltre a questo, in ogni persona, c’è la tendenza al peccato, ereditata dalle generazioni passate, che non è ancora culminata nell’atto di peccare, ma che è sempre pronta, quando l’occasione lo permette, a consumarsi nell’effettiva esecuzione dei peccati. Il grande peccato di Davide è una buona illustrazione di quanto sopra {Salmo 51: 5; 2 Samuele 11: 2}.
Nell’essere liberati dal peccato, non è sufficiente che siamo salvati dai peccati che abbiamo effettivamente commesso: dobbiamo anche essere liberati dal commettere altri peccati. Affinché sia così, quella tendenza ereditaria al peccato deve essere affrontata e sottomessa; dobbiamo essere in possesso di quel potere che ci impedisca di peccare, il potere di vincere quella tendenza ereditaria o propensione al peccato che è in noi.
Tutti i peccati che effettivamente abbiamo commesso sono stati posti su di Lui, e imputati a lui, in modo che la Sua giustizia potesse essere posta su di noi, affinché potesse essere imputata a noi. Si è anche caricato della nostra tendenza al peccato facendosi carne, nascendo da donna, della stessa carne e sangue di cui noi siamo fatti, in modo che la Sua giustizia potesse realmente manifestarsi in noi nella vita quotidiana.
Così, Egli ha affrontato il peccato nella carne ricevendolo su di sé e ha trionfato su di esso, come è scritto: “Dio, mandando il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne” {Romani 8: 3}. E ancora: “Egli infatti è la nostra pace, (…) avendo abolito nella sua carne l’inimicizia” {Efesini 2: 14-15}.
E così, proprio come i peccati che abbiamo commesso realmente sono stati imputati a Lui in modo che la Sua giustizia potesse essere imputata a noi; così, affrontando e vincendo – nella carne – la tendenza al peccato, e manifestando la giustizia in quella stessa carne, ci rende capaci – in lui, e lui in noi – di affrontare e vincere nella carne quella stessa tendenza al peccato, e di manifestare la giustizia in quella stessa carne.
Ed è così che per quanto riguarda i peccati che effettivamente abbiamo commesso (nel passato), la Sua giustizia ci è imputata, proprio come i nostri peccati sono stati imputati a Lui. E per impedirci di peccare, ci impartisce la Sua giustizia nella nostra carne, mentre la stessa nostra carne, con la sua tendenza al peccato, viene impartita a Lui. In questo modo il Salvatore è completo. Ci salva da tutti i peccati che abbiamo effettivamente commesso; e ci salva allo stesso modo da tutti quelli che potremmo commettere separati da Lui.
Se Egli non avesse partecipato alla stessa carne e allo stesso sangue che i figli degli uomini condividono, con la loro tendenza al peccato, allora quale ragione o filosofia giustificherebbe l’enfasi della Scrittura sulla Sua genealogia? Era un discendente di Davide; un discendente di Adamo; ed essendo nato dalla donna, raggiunse ciò che precedette la caduta di Adamo: le origini del peccato nel mondo.
Questa genealogia include Jehoiakim che, a causa della sua malvagità, fu “sepolto come si seppellisce un asino, trascinato e gettato lontano dalle porte di Gerusalemme” {Geremia 22: 19}; Manasse, che si allontanò da Giuda e fece “maggior male di tutto quello fatto dagli Amorei” {2 Re 21: 11}; Achaz, che “aveva fomentato il decadimento morale in Giuda e aveva gravemente peccato contro l’Eterno” {2 Cronache 28: 19}; Roboamo, che nacque da Salomone dopo che questi aveva abbandonato il Signore; Salomone stesso, che nacque da Davide e Betsabea; anche Ruth la moabita e Rahab; anche Abramo, Isacco, Jesse, Asa, Giosafat, Ezechia e Giosia: ci sono sia i peggiori che i migliori. Persino le azioni empie dei migliori ci vengono riferite altrettanto fedelmente come quelle buone. In tutta questa genealogia, difficilmente troveremo uno nella cui vita non si sia registrata qualche azione cattiva.
Alla fine di questa genealogia, “la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra di noi” {Giovanni 1: 14}. Alla fine di questa genealogia, fu “nato da donna” {Galati 4: 4}. Secondo una linea di tali discendenti, Dio mandò “il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato” {Romani 8: 3}.
Una tale progenie, una tale genealogia, ebbe un impatto su di Lui, così come l’avrebbe avuto su ogni altro uomo, così come dice la grande legge secondo la quale le iniquità [tendenze] dei genitori vengono trasmesse nei bambini fino alla terza e quarta generazione. Sentì terribilmente questa genealogia durante le tentazioni del deserto, proprio come durante tutta la Sua vita nella carne.
Quindi, sia per ereditarietà che per imputazione, Gesù fu caricato con i peccati del mondo. E così gravato, con quell’immenso svantaggio, percorse trionfalmente il terreno sul quale la prima coppia aveva fallito.
Con la Sua morte ha pagato la condanna per tutti i peccati realmente commessi, ed è in grado di impartire la Sua giustizia a tutti coloro che scelgono di riceverla. E poiché ha condannato il peccato nella carne, abolendo l’inimicizia nella Sua carne, ci libera dal potere della legge dell’eredità; e può così, in giustizia, impartirci la Sua potenza e la Sua natura divina in modo da elevarci al di sopra di quella legge, mantenendo al di sopra di essa ogni anima che Lo riceve.
E così leggiamo che “quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione” {Galati 4: 4-5}.
Dio ha mandato “il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne” {Romani 8: 3-4}.
“Egli infatti è la nostra pace (…) avendo abolito nella sua carne l’inimicizia (…) per creare in se stesso dei due [Dio e l’uomo] un solo uomo nuovo, facendo la pace” {Efesini 2: 14-15}.
“Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli (…) poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 17-18}.
Sia che la tentazione venga dall’interno o dall’esterno, Gesù è lo scudo perfetto contro di essa; di conseguenza, Egli salva pienamente coloro che vanno a Dio attraverso di Lui. Dal fatto che Dio abbia mandando il proprio Figlio in carne simile a quella del peccato, ovvero che Cristo prese su di Sé la nostra natura così come essa realmente è, paccaminosa e degenerata, e dal fatto che Dio dimorava continuamente con Lui e in Lui, in questa natura, Dio ha dimostrato definitivamente a tutti gli uomini che non esiste persona in questo mondo così carica di peccati, o così persa, che Dio non voglia vivere piacevolmente con lui e in lui per salvarlo e per guidarlo sulla via della giustizia di Dio.
Ecco perché il Suo nome è Emmanuele, che significa “Dio con noi”.
È fondamentale riconoscere che il tema dei primi due capitoli di Ebrei è la persona di Cristo, in particolare la Sua natura e sostanza. {In Filippesi 2: 5-8} vediamo Cristo in relazione a Dio e all’uomo, in riferimento alla Sua natura e forma. “Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l’essere uguale a Dio, ma svuotò sé stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell’esteriore simile ad un uomo, abbassò sé stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce”.
Quando Gesù svuotò sé stesso, facendosi uomo, Dio fu rivelato nell’uomo. Quando Gesù svuotò sé stesso, da un lato fu rivelato l’uomo, e dall’altro fu rivelato Dio. Così, in Lui, sia Dio che l’uomo si ritrovarono in pace e divennero una cosa sola: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli uno (…) avendo abolito nella sua carne l’inimicizia (…) per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace” {Efesini 2: 14-15}.
Colui che era in forma di Dio prese la forma dell’uomo. Colui che era uguale a Dio divenne uguale all’uomo. Colui che era Creatore e Signore divenne creatura e servo. Colui che era a somiglianza di Dio divenne a somiglianza dell’uomo. Colui che era Dio e Spirito divenne uomo e carne {Giovanni 1: 1, 14}.
Ciò non è certo solo per quanto riguarda la forma; è certo anche per quanto riguarda la sostanza, perché Cristo era come Dio nel senso di essere della stessa natura e sostanza. Fu fatto come gli uomini, nel senso di essere fatto nella stessa sostanza e natura. È diventato uomo. E quando si è fatto uomo, era veramente uomo come anche era realmente Dio. Egli si è fatto uomo per redimere l’uomo. Venne all’uomo dove l’uomo si trovava, per condurre l’uomo dove Lui era ed è.
Per redimere l’uomo da ciò che l’uomo è, Lui si fece carne: come l’uomo è carne {Genesi 6: 3; Giovanni 3: 6}. “E la Parola si è fatta carne” {Giovanni 1: 14; Ebrei 2: 14}.
L’uomo è sotto la legge {Romani 3: 19}. Cristo fu “sottoposto alla legge” {Galati 4: 4}.
L’uomo è sotto la maledizione {Galati 3: 10; Zaccaria 5: 1-4}. Cristo è “diventato maledizione per noi” {Galati 3: 13}.
L’uomo è venduto sotto la schiavitù del peccato {Romani 7: 14}, ed è pieno di iniquità {Isaia 1: 4}. E “l’Eterno ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” {Isaia 53: 6}.
L’uomo è un “corpo di peccato” {Romani 6: 6}. E Dio lo “ha fatto essere peccato per noi” {2 Corinzi 5: 21}.
Così, letteralmente, doveva essere “come i suoi fratelli in tutte le cose”. Eppure non si deve mai dimenticare, e va sempre tenuto presente nella mente e nel cuore, che nulla dell’umanità, della carne, del peccato e della maledizione che è stato fatto, era di per sé, né aveva la sua origine in alcuna natura o mancanza propria. Tutto ciò che è stato citato lo “è diventato”.
In tutto questo Cristo “divenne” ciò che prima non era, affinché l’uomo potesse essere, ora e per sempre, ciò che non è.
Cristo era il Figlio di Dio. Egli divenne il Figlio dell’uomo affinché i figli degli uomini potessero diventare figli di Dio {Galati 4: 4; 1 Giovanni 3: 1}. Cristo era Spirito {1 Corinzi 15: 45}. Egli si è fatto carne affinché l’uomo, che è un peccatore, possa essere fatto spirito {Giovanni 3: 6; Romani 8: 8-10}. Cristo, la cui natura era divina, è diventato partecipe della natura umana affinché noi, che abbiamo la natura umana, potessimo essere “resi partecipi della natura divina” {2 Pietro 1: 4}.
Cristo, che non conosceva il peccato, si è fatto peccato, la stessa peccaminosità dell’uomo, affinché noi, che non conoscevamo la giustizia, fossimo fatti giustizia, la stessa giustizia di Dio. Nello stesso modo in cui la giustizia di Dio, che in Cristo si è fatta uomo, è vera giustizia, così il peccato dell’uomo, in Cristo essendosi fatto carne, era peccato vero. Sicuramente i nostri peccati, quando sono su di noi, sono veri peccati per noi, così quando quei peccati furono posti su di lui, erano veri peccati per lui.
Proprio come la nostra colpa è legata ai peccati che commettiamo e quindi a noi che sentiamo tutto il loro peso, così Egli si è fatto carico di tutti questi peccati per noi. La colpa, la condanna e lo scoraggiamento causato dalla conoscenza del peccato, facevano parte di Lui, erano tanto reali nella Sua esperienza cosciente, quanto lo sono nella vita di qualsiasi peccatore che sia mai esistito sulla terra.
E questa schiacciante verità porta ad ogni anima peccatrice la gloriosa realizzazione che “la giustizia di Dio” e il riposo, la pace, la gioia di quella giustizia, sono un fatto reale nell’esperienza cosciente del credente in Gesù in questo mondo, come lo sono nella vita di ogni santo che vive in cielo.
Colui che ha conosciuto l’ampiezza della giustizia di Dio, ha acquisito anche la conoscenza della profondità dei peccati dell’umanità. Egli conosce l’orrore della profondità dei peccati degli uomini così come la gloria delle altezze della giustizia di Dio. E per questo, “per la sua conoscenza, il giusto, il mio servo renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità” {Isaia 53: 11}.
Per la conoscenza che ha, è in grado di liberare ogni peccatore dalla più bassa profondità del peccato, e sollevarlo alla massima altezza della giustizia, la giustizia di Dio stesso.
Creato “in ogni cosa” come noi, Egli fu in ogni punto come noi. Era così vero che Lui poté dire ciò che anche noi dovremmo riconoscere: “Io non posso fare nulla da me stesso” {Giovanni 5: 30}.
Era così vero, che nella debolezza e nell’infermità della carne (che Lui prese da noi) era come un uomo senza Dio e senza Cristo. Perché gli uomini non possono fare nulla senza di Lui. Sta scritto che con Lui e attraverso di Lui: “Io posso ogni cosa” {Filippesi 4: 13}. Ma coloro che sono senza di Lui è scritto: “Senza di me non potete fare nulla” {Giovanni 15: 5}.
Perciò, quando disse di sé stesso, “Non posso fare nulla da me stesso”, questo ci assicura una volta per tutte che nella carne – dato che prese tutte le nostre infermità a causa della nostra peccaminosità ereditata ed effettiva che le fu impartita – in quella carne Egli stesso era esattamente come l’uomo che nell’infermità della carne è gravato dai peccati, effettivi ed ereditari, ed è senza Dio. E in quella debolezza, oppresso dai peccati e debole come noi, con fede divina esclamò: “Confiderò in lui” {Ebrei 2: 13}.
Gesù “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” {Luca 19: 10}. E per fare questo, venne ai perduti là dove si trovavano. È stato contato tra i perduti. Fu “annoverato tra i malfattori” {Isaia 53: 12}. Egli “divenne peccato”. E dalla posizione di debolezza e infermità dell’uomo perduto, Egli confidò in Dio, che Lo avrebbe liberato e salvato. Gravato dai peccati del mondo e tentato in ogni cosa come noi, Egli sperava e confidava in Dio per salvarlo da tutti quei peccati e per impedirgli di peccare {Salmo 69: 1-21; Salmo 71: 1-20; Salmo 22: 1-22; Salmo 31: 1-5}.
Questa è la fede di Gesù. Questo è il punto in cui la fede di Gesù raggiunge l’uomo perduto e peccatore per aiutarlo. Perché è pienamente dimostrato che non c’è uomo in tutto il mondo per il quale non ci sia speranza in Dio: nessuno che confida in Dio e nella fede di Gesù è così perso da non poter essere salvato. E quella fede di Gesù che spera e confida in Dio, affinché ci salvi e ci impedisca di peccare, costituisce la vittoria che ha portato la fede divina ad ogni uomo nel mondo; con essa ogni uomo può sperare in Dio e confidare in lui, e può ricevere il potere di Dio per liberarlo dal peccato e impedirgli di peccare. La fede che Egli esercitò, e con la quale ottenne la vittoria sul mondo, la carne e il diavolo; quella fede è il dono gratuito per ogni uomo perduto; e così, “questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede” {1 Giovanni 5: 4}. È di quella fede, che Gesù è autore e compitore.
Questa è la fede di Gesù, che è data all’uomo. È la fede di Gesù che l’uomo deve ricevere per essere salvato. La fede di Gesù che ora, nel tempo della proclamazione del messaggio del terzo angelo, deve essere ricevuta e custodita da coloro che saranno liberi dall’adorazione della “bestia e della sua immagine” {Apocalisse 14: 9} e resi capaci di osservare i comandamenti di Dio. Questa è la fede di Gesù a cui alludono le parole conclusive del messaggio del terzo angelo: “qui sono coloro che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù” {Apocalisse 14: 12}.
E la conclusione di ciò che è stato detto è che: “noi abbiamo un sommo sacerdote così grande”. Ciò che è contenuto nel primo e nel secondo capitolo di Ebrei è il fondamento preliminare e basilare del Suo alto sacerdozio. “Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare l’espiazione dei peccati del popolo. Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 17-18}.
Questo è il tema dei primi due capitoli di Ebrei. E così inizia anche il terzo, o meglio continua quel grande tema, con la meravigliosa esortazione:
“Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della celeste vocazione, considerate l’apostolo e il sommo sacerdote della nostra confessione di fede, Gesù Cristo, che è fedele a colui che lo ha costituito” {Ebrei 3: 1-2}.
Avendo presentato Cristo nella carne, come è venuto in questo mondo “in ogni cosa” come i figli degli uomini, e avendolo presentato come il nostro parente di sangue più stretto, siamo ora invitati a considerarlo nella fedeltà che ha caratterizzato il Suo ministero.
Il primo Adamo non fu fedele. Quest’ultimo Adamo: “Gesù è stato ritenuto degno di una gloria tanto più grande di quella di Mosè, quanto maggior gloria ha colui che ha fabbricato una casa della casa stessa. Ora ogni casa è costruita da qualcuno, ma colui che ha fatto tutte le cose è Dio. E Mosè fu veramente fedele nella casa di Dio come servo, per testimoniare delle cose che dovevano essere dette, ma Cristo, come Figlio, lo è sopra la propria casa e la sua casa siamo noi, se riteniamo ferma fino alla fine la franchezza e il vanto della speranza” {Ebrei 3: 3-6}.
Successivamente viene citato Israele, che è uscito dall’Egitto, ma che non è rimasto fedele e che non è entrato nel riposo del Signore perché non ha creduto in Lui. Quindi, a questo proposito, ci viene fatta l’esortazione: “Or noi vediamo che non vi poterono entrare per l’incredulità. Perciò, poiché rimane ancora una promessa di entrare nel suo riposo, abbiamo timore perché qualcuno di voi non ne resti escluso. Infatti a noi come pure a loro è stata annunziata la buona novella, ma la parola della predicazione non giovò loro nulla, non essendo stata congiunta alla fede in coloro che l’avevano udita. Noi infatti, che abbiamo creduto, entriamo nel riposo” {Ebrei 3: 19, Ebrei 4: 1-3}. Noi che abbiamo creduto in Colui che ha dato Sé stesso per i nostri peccati.
Credendo in Colui che fu fedele a ogni dovere e soggetto a ogni tentazione della vita, possiamo entrare nel Suo riposo col perdono di tutti i nostri peccati. Anche noi entriamo nel Suo riposo e vi rimaniamo diventando partecipi della Sua fedeltà, nella quale e mediante la quale anche noi saremo fedeli a Colui che ci ha costituiti. Considerandolo – “il sommo sacerdote della nostra professione” – nella Sua fedeltà, arriveremo sempre alla conclusione che: “Avendo dunque un gran sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, riteniamo fermamente la nostra confessione di fede” {Ebrei 4: 14}.
Poiché “noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità”, ne consegue che abbiamo un sommo sacerdote che può simpatizzare con esse. E il modo in cui può simpatizzare con loro, è quello di essere stato “tentato in ogni cosa come noi” {Ebrei 4: 15}. Non c’è un solo punto in cui ogni anima possa essere tentata, in cui Lui non sia stato tentato esattamente allo stesso modo, e abbia sentito la tentazione con la stessa intensità con cui la può sentire qualsiasi essere umano.
Sebbene sia stato tentato in tutte le cose come noi, e abbia sentito la potenza della tentazione come ognuno di noi, tuttavia in tutto questo è stato fedele, ed ha superato tutto “senza però commettere peccato”. E credendo in Lui – nella Sua fedeltà, nella Sua fede perfetta – ogni anima può affrontare ogni tentazione e superarla senza peccare.
Questa è la nostra salvezza: Gesù si è fatto carne come un uomo, ed è diventato in tutto simile ai fratelli ed è stato tentato in tutto come noi, “perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio” {Ebrei 2: 17}. E questo, non solo per “fare l’espiazione dei peccati del popolo”, ma anche per “soccorrere” – aiutare, assistere e liberare dalla sofferenza – “coloro che sono tentati” {Ebrei 2: 18}.
Egli è il nostro misericordioso e fedele Sommo Sacerdote, che ci soccorre, che viene in nostro aiuto, che ci impedisce di cadere in tentazione, liberandoci così dal cadere in peccato. Egli ci sostiene, affinché non cadiamo in tentazione, ma la vinciamo e ci eleviamo vittoriosamente sopra di essa, senza peccare.
“Avendo dunque un gran sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, riteniamo fermamente la nostra confessione di fede” {Ebrei 4: 14}. E anche per questo, “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo opportuno” {Ebrei 4: 16}.
Poi, invitandoci a considerare il nostro Sommo Sacerdote nella Sua fedeltà, leggiamo che “ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, è costituito per gli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati; così egli può usare compassione verso gli ignoranti e gli erranti, poiché è circondato anch’egli di debolezza” {Ebrei 5: 1-2}.
Ed è per questo che, per essere un sommo sacerdote misericordioso e fedele nei Suoi rapporti con Dio, e per portare molti figli alla gloria, era opportuno che, come Capitano della loro salvezza, anche Lui fosse “circondato di debolezza”, che soffrisse di essere tentato, che fosse “uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza” {Isaia 53: 3}. Così, “in ogni cosa doveva” essere “a conoscenza dell’esperienza umana”, in modo che “potesse avere compassione dell’ignorante e dell’errante”. In altre parole, affinché potesse “diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele in ciò che riguarda Dio”, egli doveva “conoscere le afflizioni” della tentazione.
“Nessuno si prende da sé stesso questo onore, ma lo riceve colui che è chiamato da Dio, come Aaronne. Così anche Cristo non si prese da sé la gloria di diventare sommo sacerdote, ma la ricevette da colui che gli disse: «Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato», e altrove dice: «Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedek». Nei giorni della sua carne, con grandi grida e lacrime, egli offrì preghiere e supplicazioni a colui che lo poteva salvare dalla morte, e fu esaudito a motivo del suo timore di Dio. Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì, e, reso perfetto, divenne autore di salvezza eterna per tutti coloro che gli ubbidiscono, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote, secondo l’ordine di Melchisedek” {Ebrei 5: 4-10}.
“Inoltre ciò non è avvenuto senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento, (ma costui con giuramento da parte di colui che gli ha detto: «Il Signore ha giurato e non si pentirà: Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedek»). Per questo Gesù è diventato garante di un patto molto migliore. Inoltre quelli erano fatti sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare, ma costui, perché dimora in eterno, ha un sacerdozio che non passa ad alcun altro” {Ebrei 7: 20-24}.
Egli è costituito sacerdote per sempre mediante il giuramento di Dio. Egli è anche sacerdote “ma per la potenza di una vita indissolubile” {Ebrei 7: 16}. Di conseguenza, “egli rimane per sempre” e quindi “ha un sacerdozio immutabile”. E per questo “egli può anche salvare appieno coloro che per mezzo suo si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro” {Ebrei 7: 25}. “Abbiamo un sommo sacerdote così grande” {Ebrei 8: 1}. “A noi infatti occorreva un tale sommo sacerdote, che fosse santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli, che non ha bisogno ogni giorno, come quei sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, quando offerse sé stesso. La legge infatti costituisce come sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza, ma la parola del giuramento, che viene dopo la legge, costituisce il Figlio reso perfetto in eterno” {Ebrei 7: 26-28}.
“Ora il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande” {Ebrei 8: 1}.
Qual è l’essenza, o la sintesi, di questa affermazione?
Questi sono i punti della Parola di Dio, la cui essenza – o la cui sintesi – è: “abbiamo un sommo sacerdote così grande”.
Tuttavia, questa è solo una parte di questa “sintesi”, perché la dichiarazione completa di tale sintesi continua nei termini: “Noi abbiamo un sommo sacerdote così grande, che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 1-2}.
Sulla terra c’era un santuario che l’uomo aveva costruito e allestito. È vero che era stato costruito e allestito secondo le direttive del Signore; tuttavia è molto diverso dal santuario e dal vero tabernacolo che il Signore stesso ha costruito, e non l’uomo. Altrettanto diverse sono le cose fatte da Dio, rispetto a quelle fatte dall’uomo.
Ebrei 9 presenta una breve descrizione di questo santuario “terreno” e del suo ministero, e fa un riassunto sul suo significato. È difficile realizzare una descrizione più completa di questa, espressa con meno parole di quelle usate nei seguenti versetti:
“Infatti fu costruito un primo tabernacolo in cui vi erano il candelabro la tavola e i pani della presentazione; esso è chiamato: «Il luogo santo». Dietro il secondo velo c’era il tabernacolo, detto: «Il luogo santissimo», che conteneva un turibolo d’oro e l’arca del patto tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovava un vaso d’oro contenente la manna, la verga di Aaronne che era germogliata e le tavole del patto. E sopra l’arca vi erano i cherubini della gloria che adombravano il propiziatorio; di queste cose non possiamo parlarne ora dettagliatamente. Or essendo queste cose disposte così, i sacerdoti entravano continuamente nel primo tabernacolo, per compiere il servizio divino; ma nel secondo entrava soltanto il sommo sacerdote una volta all’anno, non senza sangue, che egli offriva per sé stesso, e per i peccati d’ignoranza del popolo. Lo Spirito Santo voleva così dimostrare che la via del santuario non era ancora resa manifesta, mentre sussisteva ancora il primo tabernacolo, il quale è una figura per il tempo presente, e voleva indicare che i doni e i sacrifici offerti non potevano rendere perfetto nella coscienza colui che faceva il servizio divino, trattandosi solo di cibi, di bevande, di varie abluzioni e di ordinamenti carnali, imposti fino al tempo del cambiamento. Ma Cristo, essendo venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto non fatto da mano d’uomo, cioè non di questa creazione, entrò una volta per sempre nel santuario, non con sangue di capri e di vitelli, ma col proprio sangue, avendo acquistato una redenzione eterna” {Ebrei 9: 2-12}.
Questo santuario non era che una “figura” prevista per “quel tempo presente”. In esso i sacerdoti e i sommi sacerdoti offrivano e servivano offerte e sacrifici. Ma tutto questo sacerdozio, ministero, offerta e sacrificio, così come il santuario stesso, era semplicemente “una figura per quel tempo presente”, poiché “non potevano rendere perfetto nella coscienza colui che faceva il servizio divino”.
Il santuario stesso e il tabernacolo non erano che una figura del Santuario e del vero Tabernacolo che il Signore ha istituito, e non l’uomo.
Il sommo sacerdote di quel santuario non era che una figura di Cristo. Il vero Sommo Sacerdote del santuario e del vero tabernacolo è Lui, Cristo.
Il ministero del sommo sacerdote nel santuario terreno non era che una figura del ministero di Cristo, il nostro grande Sommo Sacerdote “che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 1-2}.
Le offerte del sacerdozio nel ministero del santuario sulla terra non erano che una figura dell’offerta di Cristo, il vero Sommo Sacerdote, nel Suo ministero nel Santuario e nel vero Tabernacolo.
Così Cristo era la vera sostanza e il fulcro di tutto il sacerdozio e servizio del santuario terreno. Se una qualsiasi parte del sacerdozio o del servizio è considerata estranea a questo significato, cessa immediatamente di avere valore. E come Cristo è il vero sacerdote dei cristiani, rappresentato figurativamente nel sacerdozio levitico; indubbiamente il santuario del quale Cristo è ministro è il vero santuario del cristianesimo, il cui santuario terreno, nella dispensazione levitica, era una “figura”. E così è scritto: “Ora, se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, perché vi sono già i sacerdoti che offrono i doni secondo la legge i quali servono di esempio ed ombra delle cose celesti, come fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire il tabernacolo: «Guarda», egli disse, «di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte»” {Ebrei 8: 4-5}.
Era dunque necessario che le figure delle cose celesti fossero purificate con queste cose [sacrifici terreni]; ma le cose celesti stesse con sacrifici migliori di queste. Perché Cristo non è entrato nel santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora alla presenza di Dio per noi. E fu nel cielo stesso, nella dispensazione cristiana, che fu visto il trono di Dio {Apocalisse 4: 5}, l’altare d’oro e un angelo con l’incensiere d’oro, che offriva incenso con le preghiere dei santi, “E il fumo dei profumi, offerti con le preghiere dei santi, salì dalla mano dell’angelo davanti a Dio” {Apocalisse 8: 4}.
Il tempio di Dio fu visto nel cielo stesso: “Allora si aperse nel cielo il tempio di Dio e in esso apparve l’arca del suo patto” {Apocalisse 11: 19; Apocalisse 15: 5-8; Apocalisse 16: 1}. Analogamente, si videro “davanti al trono (…) sette lampade ardenti” {Apocalisse 4: 5}. Inoltre, fu visto uno simile a un Figlio d’uomo, vestito con abiti da Sommo Sacerdote {Apocalisse 1: 13}.
C’è dunque un santuario cristiano del quale il primo santuario era una “figura”, così come c’è un sommo sacerdozio cristiano di cui il sommo sacerdozio terreno era una “figura”. E Cristo, nostro Sommo Sacerdote, esercita un ministero in quel santuario cristiano, proprio come c’era un ministero nel sacerdozio terreno, esercitato nel santuario di questa terra. E “ora il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande, che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 1-2}.
Quando Dio diede a Israele le istruzioni originali per la costruzione del santuario che doveva essere una figura per quel tempo presente, disse: “Mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro” {Esodo 25: 8}.
Lo scopo del santuario era che il Signore potesse abitare in mezzo a loro. Il Suo proposito è rivelato in modo completo nei seguenti testi: “E là io mi incontrerò coi figli d’Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria. Così santificherò la tenda di convegno e l’altare; santificherò pure Aaronne e i suoi figli, perché mi servano come sacerdoti. Dimorerò in mezzo ai figli d’Israele e sarò il loro DIO. Ed essi conosceranno che io sono l’Eterno, il loro DIO, che li ho fatti uscire dal paese d’Egitto per dimorare tra di loro. Io sono l’Eterno, il loro DIO” {Esodo 29: 43-46; Levitico 26:11-12}.
L’obiettivo non era semplicemente che Egli potesse abitare, nel senso di porre il Suo santuario in mezzo all’accampamento d’Israele. Questo è stato il grande errore di Israele in relazione al santuario, cosicché persero quasi completamente il vero significato del santuario. Quando il santuario fu eretto e posto in mezzo all’accampamento d’Israele, molti dei figli d’Israele pensarono che questo fosse sufficiente; essi supponevano che fosse questo il motivo per cui Dio doveva abitare in mezzo a loro.
È vero che attraverso la Shekinah, Dio abitava nel santuario. Ma la costruzione del santuario con il suo splendido ornamento, posta in mezzo all’accampamento, non costituiva l’intero obbiettivo. Oltre alla struttura magnificamente decorata, c’erano i sacrifici e le offerte del popolo; e i sacrifici e le offerte in favore del popolo. C’erano anche i sacerdoti nel servizio continuo e il sommo sacerdote nel suo sacro ministero. Senza tutto questo, il santuario sarebbe stato poco più di un luogo vuoto per Israele, anche se il Signore vi dimorava.
E qual era il significato e lo scopo di queste cose? Quando uno degli Israeliti aveva fatto qualcosa contro uno dei comandamenti del Signore, essendo quindi colpevole, portava di sua spontanea volontà un agnello sacrificale alla porta del tabernacolo. Prima di offrirlo in sacrificio, l’israelita che l’aveva portato imponeva le mani sulla testa della vittima e confessava i suoi peccati, “ed egli lo accetterà per fare espiazione per lui”. Allora colui che aveva portato la vittima e confessato i suoi peccati la uccideva. Il sangue si raccoglieva in una bacinella.
Una parte del sangue “lo spruzzeranno intorno all’altare che è alla porta del tabernacolo” (altare degli olocausti o delle offerte bruciate); una parte del sangue veniva messa “sui corni dell’altare dell’incenso, che è nel tabernacolo della testimonianza”; e una parte veniva spruzzata “sette volte davanti al Signore, verso il velo del santuario”; il resto si trovava “in fondo all’altare degli olocausti, che è alla porta del tabernacolo della testimonianza”. L’agnello veniva bruciato sull’altare dell’olocausto. E l’epilogo di questo servizio è che: “il sacerdote farà per lui l’espiazione del suo peccato che ha commesso, e gli sarà perdonato”. Il servizio era uguale, in caso di peccato e di confessione dell’intera congregazione. Un servizio simile si teneva anche continuamente – mattina e sera – in favore di tutta la congregazione. Ma sia che i servizi fossero di carattere individuale o generale, la conclusione era sempre la stessa: “il sacerdote farà l’espiazione per lui del suo peccato che ha commesso, e gli sarà perdonato” {Levitico 1-5}.
Il ciclo del servizio del santuario si completava annualmente. Il giorno in cui si raggiungeva la pienezza del servizio, il decimo giorno del settimo mese, in particolare era “il giorno dell’espiazione”, o la purificazione del santuario. In quel giorno si concludeva il servizio nel luogo santissimo. A quel giorno si riferisce l’espressione “una volta all’anno”, quando “solo il sommo sacerdote” entrava nel “luogo santissimo”. Del sommo sacerdote e del suo servizio in quel giorno, sta scritto: “Egli farà l’espiazione per il santuario santo; farà l’espiazione per la tenda di convegno e per l’altare, e farà l’espiazione per i sacerdoti e per tutto il popolo dell’assemblea” {Levitico 16: 33; Ebrei 9: 2-8}.
Così i servizi del santuario nell’offerta di sacrifici e il ministero dei sacerdoti, e in particolare dei sommi sacerdoti, avevano lo scopo di fare l’espiazione; di perdonare e cancellare i peccati del popolo. Per il peccato e la colpa, per aver fatto qualsiasi cosa contro i comandamenti del Signore loro Dio, era necessario fare l’espiazione o la riconciliazione, e ottenere il perdono. Il termine espiazione, o riconciliazione, letteralmente significa diventare “una sola mente”. Il peccato e la colpa avevano separato gli israeliti da Dio. Attraverso questi servizi furono riconciliati (resi uno) con Dio. Perdonare significa ‘dare per’. Perdonare il peccato significa ‘dare per il peccato’. Il perdono dei peccati viene solo da Dio. Che cosa ha dato Dio per il peccato? Egli ha dato Cristo, e Cristo “ha dato sé stesso per i nostri peccati” {Galati 1: 4; Efesini 2: 12-16; Romani 5: 8-11}.
Perciò, quando un individuo o l’intera congregazione d’Israele aveva peccato e desiderava il perdono, l’intero piano e problema del perdono, della riconciliazione e della salvezza era rivelato in presenza del peccatore. Il sacrificio che veniva offerto per fede nel sacrificio che Dio aveva già fatto nel dare Suo Figlio per il peccato. Era attraverso quella fede che Dio accettava i peccatori, ed essi ricevevano Cristo al posto del loro peccato. Erano così riconciliati con Dio, diventando una cosa sola con Lui (questo è ciò che significa espiazione).
Ecco come Dio avrebbe abitato in mezzo a loro: cioè, avrebbe abitato in ogni cuore e avrebbe dimorato in ogni vita, per renderla “santa, innocente, pura, separata dai peccatori” {Ebrei 7: 26}. E la costruzione del tabernacolo in mezzo all’accampamento d’Israele era un’illustrazione, una lezione oggettiva e un’evocazione della verità che Egli avrebbe dimorato in mezzo a ciascun individuo {Efesini 3: 16-19}. Alcuni di quella nazione, in ogni epoca, videro nel santuario questa grande verità salvifica. Ma come corpo, nella globalità del tempo, Israele perse questo concetto; e soffermandosi unicamente sul pensiero che Dio dimorasse nel tabernacolo in mezzo all’accampamento, mancarono di percepire la gioia della presenza personale di Dio che dimorava nelle loro vite individuali. Di conseguenza, il loro culto divenne solo formalistico e di carattere esteriore, piuttosto che interiore e spirituale. Così, la loro vita continuava a non rigenerarsi e a essere priva di santità; e così, coloro che uscirono dall’Egitto persero la grande benedizione che Dio aveva per loro, e “caddero nel deserto” {Ebrei 3: 17-19}.
Dopo essere entrati nella terra di Canaan, il popolo commise l’identico errore. Dipesero dal Signore solamente come da Colui che dimorava nel tabernacolo, e non permisero che il tabernacolo e il suo ministero fossero i mezzi per i quali il Signore dimorasse nell’essere umano per fede. Di conseguenza, non fecero altro che progredire nella malvagità, in modo tale che Dio permise che il tabernacolo fosse distrutto, e che i pagani si impadronissero dell’arca di Dio {Geremia 7: 12; 1 Samuele 4: 10-22} affinché il popolo imparasse, vedesse, incontrasse e adorasse Dio individualmente.
Dopo che il tabernacolo e il suo servizio erano mancati in Israele per circa cento anni, Davide lo restaurò, e fu completato con il grande tempio che Salomone costruì. Ma ancora una volta il suo vero scopo era stato perso di vista. Il formalismo, con la malvagità che lo accompagnava, aumentò costantemente, finché il Signore fu costretto ad esclamare riguardo a Israele: “Io odio, disprezzo le vostre feste, non provo piacere nelle vostre solenni assemblee. Anche se mi offrite i vostri olocausti e le vostre oblazioni di cibo, io non le gradirò, né riguarderò con favore ai sacrifici di ringraziamento di bestie grasse. Allontana da me il rumore dei tuoi canti, perché non voglio udire la musica delle tue arpe. Ma scorra il diritto come acqua e la giustizia come un corso d’acqua perenne” {Amos 5: 21-24}.
Anche nei confronti di Giuda fu costretto a esprimere un grido simile, che Isaia descrive così: “Ascoltate la parola dell’Eterno, o capi di Sodoma, prestate orecchio alla legge del nostro DIO, o popolo di Gomorra! «Che m’importa la moltitudine dei vostri sacrifici, dice l’Eterno. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi ha richiesto questo da voi, che calpestiate i miei cortili? Smettete di portare oblazioni inutili; l’incenso, è per me un abominio; non posso sopportare i noviluni e i sabati, il convocare assemblee e l’iniquità assieme alle riunioni sacre. Io odio i vostri noviluni e le vostre feste solenni; sono un peso per me, sono stanco di sopportarle. Quando stendete le vostre mani, io nascondo i miei occhi da voi; anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete dalla mia presenza la malvagità delle vostre azioni, cessate di fare il male. Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova. Venite quindi e discutiamo assieme, dice l’Eterno, anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” {Isaia 1: 10-18}.
Ma le loro suppliche non furono ascoltate, così Israele fu portato via in cattività e la terra fu desolata a causa della loro malvagità. Lo stesso destino incombeva su Giuda. E questo pericolo di Giuda derivava dallo stesso grande concetto che il Signore si era sempre sforzato di insegnare alla nazione, e che essi non avevano ancora imparato: si erano aggrappati al tempio e al fatto che la presenza di Dio dimorasse in quel tempio come grande fine, invece di comprenderlo come mezzo per il vero fine, il quale consisteva, attraverso la “figura” del tempio e il del ministero, ad offrire perdono e riconciliazione, in modo tale che Colui che dimorava nel tempio venisse ad abitare anche in loro. Così, il Signore per bocca di Geremia gridò ancora una volta contro il Suo popolo per salvarli da quell’errore, rendendo così possibile che essi vedessero e ricevessero la grande verità del vero significato e scopo del tempio e del suo servizio.
Disse: “Ecco, voi mettete la vostra fiducia in parole ingannatrici che non giovano a nulla. Così voi rubate, uccidete, commettete adulteri, giurate il falso, bruciate incenso a Baal e andate dietro ad altri dèi che prima non conoscevate, e poi venite a presentarvi davanti a me in questo tempio su cui è invocato il mio nome e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutte queste abominazioni. Questo tempio su cui è invocato il mio nome è forse divenuto ai vostri occhi un covo di ladroni? Ecco, io ho visto questo», dice l’Eterno. «Ma andate ora al mio luogo che era a Sciloh, dove avevo inizialmente posto il mio nome e vedete che cosa ne ho fatto a motivo della malvagità del mio popolo Israele. Ed ora, poiché avete compiuto tutte queste cose» dice l’Eterno, «poiché quando vi ho parlato con urgenza ed insistenza non avete ascoltato, e vi ho chiamati e non avete risposto, io farò con questo tempio su cui è invocato il mio nome e in cui riponete la vostra fiducia, con questo luogo che ho dato a voi e ai vostri padri, come ho fatto a Sciloh; e vi scaccerò dalla mia presenza, come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la progenie di Efraim. Perciò non intercedere per questo popolo non innalzare per loro alcun grido o preghiera e non insistere presso di me, perché non ti esaudirò” {Geremia 7: 8-16}.
“Oh, fosse la mia testa una sorgente d’acqua e i miei occhi una fonte di lacrime, perché pianga giorno e notte gli uccisi della figlia del mio popolo! Oh, avessi nel deserto un rifugio per viandanti! Abbandonerei il mio popolo e me ne andrei lontano da loro, perché sono tutti adulteri, un assembramento di traditori. «Tendono le loro lingue come fosse il loro arco per scoccare menzogne; nel paese sono potenti ma non per la verità, perché procedono di malvagità in malvagità e non conoscono me», dice l’Eterno” {Geremia 9: 1-3}.
Quali erano nello specifico le “menzogne” in cui il popolo confidava? Ecco: “Non ponete la vostra fiducia in parole ingannatrici, dicendo: «Questo è il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno!»” {Geremia 7: 4}. È perfettamente evidente che il popolo, sebbene fosse dedito alle forme di culto e al servizio del tempio, lo viveva semplicemente come forma, perdendo completamente di vista lo scopo del tempio e dei suoi servizi, Dio desiderava solamente che potesse riformare e santificare la vita del popolo, dimorando individualmente in loro. E avendo perso tutto questo, la malvagità dei loro cuori non fece che diventare sempre più manifesta. È per questo che tutti i loro sacrifici, il loro culto e le loro preghiere divennero una chiassosa farsa, in quanto i loro cuori e le loro vite non avevano nulla a che fare con la conversione e la santità.
Pertanto: “Questa è la parola che fu rivolta a Geremia da parte dell’Eterno dicendo: «Fermati alla porta della casa dell’Eterno e là proclama questa parola e di’: Ascoltate la parola dell’Eterno o voi tutti di Giuda che entrate per queste porte per prostrarvi davanti all’Eterno!». Così dice l’Eterno degli eserciti, il DIO d’Israele: «Emendate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo. Non ponete la vostra fiducia in parole ingannatrici, dicendo: «Questo è il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno!» Ma se emendate completamente le vostre vie e le vostre opere, se praticate veramente la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo e non andate dietro ad altri dèi a vostro danno. Allora io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che ho dato ai vostri padri da molto tempo e per sempre” {Geremia 7: 1-7}.
Invece di permettere che il grande proposito di Dio si realizzasse in loro attraverso il tempio e i suoi servizi, quello che fecero fu di pervertire completamente quel proposito. Anziché permettere che il tempio e i suoi servizi – che Dio nella Sua misericordia aveva stabilito in mezzo a loro – gli insegnassero il modo in cui Egli stesso avrebbe abitato tra loro, dimorando nei loro cuori e santificando le loro vite, quello che fecero fu di escludere il vero significato del tempio e dei suoi servizi, pervertendolo totalmente, usandolo come un pretesto per sanzionare l’abietta malvagità e coprire la più profonda e insondabile mancanza di santità.
Per un tale sistema, non c’era altro rimedio che la distruzione. Di conseguenza, la città fu assediata e presa dai pagani. Il tempio, “la casa del nostro santuario e della nostra gloria”, fu distrutto. E poiché la città e il tempio erano diventati un cumulo di rovine annerite, il popolo fu portato in cattività a Babilonia, dove nel suo dolore e nel profondo senso di immensa perdita, cercò, trovò e adorò il Signore; ciò costituì una così grande riforma della vita spirituale del popolo, che se fosse avvenuta mentre il tempio era ancora in piedi, sarebbe potuto rimanere in piedi per sempre {Salmo 137: 1-6}.
Dio fece uscire da Babilonia un popolo umile e riformato. Il Suo santo tempio fu ricostruito e i servizi furono restaurati. Di nuovo il popolo poté abitare nella sua città e nella sua terra. Ma ancora una volta l’apostasia si ripeté. Seguì un corso identico finché, Gesù, il grande Centro del tempio e dei suoi servizi, venne dai Suoi, ma lo stesso vecchio stato di cose continuò a prevalere {Matteo 21: 12-13; Matteo 23: 13-32}. Furono capaci, dal profondo del loro cuore, di attaccarlo e perseguitarlo a morte, mentre esteriormente erano così “santi” che si astennero dall’andare oltre il portico del pretorio di Pilato “per non essere contaminati” {Giovanni 18: 28}.
E mentre la chiamata del Signore diretta al popolo continuava ad essere la stessa di un tempo, essi dovevano trovare nella loro vita personale il significato del tempio e dei suoi servizi, e così essere salvati dalla maledizione che aveva perseguitato la nazione durante la sua storia a causa dello stesso grande errore che stavano ripetendo. Ecco perché Gesù, un giorno trovandosi nel tempio, disse alla moltitudine presente: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ricostruirò». Allora i Giudei dissero: «Ci son voluti quarantasei anni per edificare questo tempio, e tu lo ricostruiresti in tre giorni?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo” {Giovanni 2: 19-21}.
Quando Gesù, nel tempio, disse quelle parole alla gente, riferendosi al “tempio del suo corpo”, stava veramente cercando di fargli capire – come aveva fatto in tutta la loro storia passata – che il grande obiettivo del tempio e dei suoi servizi era sempre quello che, attraverso il ministero e i servizi, Dio potesse camminare e dimorare in loro stessi come egli dimorava nel tempio, rendendo santa la loro dimora in loro stessi, proprio come la Sua dimora nel tempio rendeva quel luogo santo. Pertanto, poiché Dio dimorava e camminava in loro, i loro corpi sarebbero stati veramente templi del Dio vivente {2 Corinzi 6: 16; 1 Corinzi 3: 16-17; Levitico 26: 11-12; 2 Samuele 7: 6-7}.
Tuttavia, anche allora non capirono questa verità. Non volevano essere riformati. Non volevano che lo scopo del santuario si compisse in loro stessi non volevano che Dio abitasse in loro. Rifiutarono Colui che venne personalmente a mostrare loro il vero proposito e la vera Via. Quindi, ancora una volta, non ci fu altra scelta che la distruzione. Ancora una volta la loro città fu conquistata dai pagani. Anche il tempio, “la casa del nostro santuario e della nostra gloria”, fu bruciato con il fuoco. Furono anche portati via in cattività e furono dispersi per sempre, per “vagare tra le nazioni” {Osea 9: 17}.
È necessario sottolineare ancora una volta che il santuario terreno, il tempio con il suo ministero e i suoi servizi come tale, non era che una figura di quello vero, quello allora esistente in cielo, con il suo ministero e i suoi servizi. Quando a Mosè gli fu presentato per la prima volta il concetto del santuario per gli israeliti, il Signore disse: “Guarda di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte” {Ebrei 8: 5; Esodo 25: 40; Esodo 26: 30; Esodo 27: 8}. Il santuario sulla terra era dunque una figura di quello vero, nel senso di essere una rappresentazione dello stesso. Il ministero e i servizi in quello terreno erano “figura delle cose vere” nel senso di essere un “modello”, “figura delle cose celesti”{Ebrei 9: 23-24}.
Il vero santuario di cui quello terreno era una figura, l’originale da cui proveniva il modello, esisteva allora. Ma nelle tenebre e nella confusione d’Egitto, Israele aveva perso la chiara nozione di tutto questo, come di tante altre cose che erano state chiare ad Abramo, Isacco e Giacobbe; e con questa lezione Dio avrebbe dato loro la conoscenza del vero santuario. Non era, quindi, una figura nel senso di essere un’anticipazione di qualcosa che doveva venire e che non esisteva ancora; ma una figura nel senso di essere una lezione oggettiva e una rappresentazione visibile di ciò che esisteva ma che era invisibile, per educarli in un’esperienza di fede e di vera spiritualità che li avrebbe resi capaci di vedere l’invisibile.
E attraverso tutto questo Dio stava rivelando loro, come fece con tutti i popoli, che è attraverso il sacerdozio, il ministero e il servizio di Cristo nel santuario o tempio celeste che Egli dimora tra gli uomini. Egli stava rivelando loro che in quella fede di Gesù, il perdono dei peccati, l’espiazione o riconciliazione sono concessi agli uomini, cosicché Dio può abitare in loro e camminare in mezzo a loro, essendo il loro Dio ed essi il Suo popolo; ed essi sono così separati da tutti i popoli che abitano la faccia della terra: consacrati a Dio, come Suoi veri figli e figlie, per essere edificati nella perfezione, e nella conoscenza di Dio {Esodo 33: 15-16; 2 Corinzi 6: 16-18; 2 Corinzi 7: 1}.
Il grande scopo del vero santuario, del sacerdozio e del ministero era che Dio abitasse nei cuori del popolo. Ora, qual è il grande scopo di dimorare nei cuori del popolo? La risposta è: la perfezione; la perfezione morale e spirituale dell’adoratore.
Consideriamo questo: alla conclusione del quinto capitolo degli Ebrei, subito dopo l’affermazione: “e, reso perfetto, divenne autore di salvezza eterna per tutti coloro che gli ubbidiscono, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote, secondo l’ordine di Melchisedek” {Ebrei 5: 9-10}, leggiamo: “Perciò”, cioè, come conseguenza di tutto questo, per questa ragione, “lasciando l’insegnamento elementare su Cristo, tendiamo alla perfezione, senza porre di nuovo il fondamento del ravvedimento dalle opere morte e della fede in Dio” {Ebrei 6: 1}.
Si sottolinea inoltre che la perfezione si raggiunge solo attraverso il sacerdozio di Melchisedek. E si afferma che fu sempre così, e che il sacerdozio levitico era temporaneo e solo un modello del sacerdozio di Melchisedek. Leggiamo poi, a proposito del sacerdozio levitico: “Se dunque ci fosse stata la perfezione mediante il sacerdozio levitico (perché sotto quello fu data la legge al popolo), che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, e non designato invece secondo l’ordine di Aaronne?” {Ebrei 7: 11}. E in relazione a questo, “la legge infatti non ha portato nulla a compimento, è l’introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio” {Ebrei 7: 19}.
Da queste dichiarazioni ispirate è indiscutibile che la perfezione dell’adoratore sia proprio ciò che il sacerdozio e il ministero di Cristo offre e fornisce. Inoltre, come già citato in relazione alla descrizione del santuario e del suo servizio, ci viene detto che era una “figura del tempo presente”, in cui venivano offerti doni e sacrifici che non potevano rendere perfetto, quanto alla coscienza, colui che li serviva. La sua grande impossibilità era quella di non poter rendere perfetto colui che serviva. Quindi, il grande tema e il fine ultimo del sacerdozio e del ministero di Cristo nel vero santuario è di rendere perfetto colui che vi partecipa con fede.
Il servizio terreno non poteva “rendere perfetto nella coscienza” {Ebrei 9: 9}. “Ma Cristo, essendo venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto non fatto da mano d’uomo, cioè non di questa creazione, entrò una volta per sempre nel santuario, non con sangue di capri e di vitelli, ma col proprio sangue, avendo acquistato una redenzione eterna” {Ebrei 9: 11-12}.
Quel santuario, sacerdozio, sacrificio e ministero di Cristo, rende perfetto nella redenzione eterna, ogni persona che per fede entra nel Suo servizio, ricevendo così ciò che quel servizio è destinato a fornire.
“Infatti, se il sangue dei tori e dei capri e la cenere di una giovenca aspersi sopra i contaminati li santifica, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offerse sé stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” {Ebrei 9: 13-14}.
Il sangue di tori e capri e la cenere della giovenca cosparsi sull’impuro, nel servizio levitico del santuario terrestre, santificava per la purificazione della carne, secondo ciò che dichiara la Parola.
E poiché è così, “quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offerse sé stesso puro di ogni colpa a Dio”, santifica per la purificazione dello spirito e “purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente”. La morte stessa è una conseguenza del peccato. Quindi, le opere di morte sono quelle che portano in sé il peccato. Quindi, la purificazione delle coscienze dalle opere di morte consiste nella purificazione totale dell’anima – purificazione dal peccato – per mezzo del sangue di Cristo, per mezzo dello Spirito Eterno, in modo che nella vita e nelle opere del credente in Gesù non ci sia posto per il peccato; le opere saranno solo opere di fede, e la vita, una vita di fede. Solo questo è il vero e puro servizio al “Dio vivente”.
La Scrittura continua così: “La legge infatti, avendo solo l’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non può mai rendere perfetti quelli che si accostano a Dio con gli stessi sacrifici che vengono offerti continuamente, anno dopo anno. Altrimenti si sarebbe cessato di offrirli, perché gli adoratori, una volta purificati, non avrebbero avuto più alcuna coscienza dei peccati. In quei sacrifici invece si rinnova ogni anno il ricordo dei peccati, poiché è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati” {Ebrei 10: 1-4}.
Ancora una volta vediamo che, sebbene l’oggetto di tutto il ministero effettuato sotto la legge fosse la perfezione, la perfezione non era raggiunta dal compimento di quel ministero sotto la legge. Tutto questo non era che una figura del tempo presente, una figura del ministero e del sacerdozio con cui si ottiene la perfezione, che è il ministero e il sacerdozio di Cristo. I sacrifici non potevano rendere perfetti coloro che vi si avvicinavano. Il vero sacrificio e il vero ministero “del santuario e del vero tabernacolo” rende perfetti coloro che vi si avvicinano: e questa perfezione degli adoratori li porta a non avere “più coscienza del peccato”.
Ma poiché il sangue dei capri e dei vitelli “non può togliere i peccati”, non era possibile, anche se questi sacrifici venivano offerti anno dopo anno continuamente, purificare gli adoratori a tal punto che non avessero più coscienza del peccato. Il sangue di tori e capri, e le ceneri del vitello cosparse sugli infedeli, santificavano e purificavano la carne, ma solo la carne; e anche questo non era che una “figura del tempo presente” del “sangue di Cristo” che tanto più purificherà gli adoratori che essi non avranno più coscienza del peccato.
“Perciò, entrando nel mondo, egli dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; tu non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora io ho detto: Ecco, io vengo nel rotolo del libro è scritto di me; io vengo per fare, o Dio, la tua volontà. Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrificio né offerta né olocausti né sacrifici per il peccato, che sono offerti secondo la legge», egli aggiunge: «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà». Egli toglie il primo, per stabilire il secondo” {Ebrei 10: 5-9}.
Qui si parla di due cose: il “primo” e il “secondo”. Qual è il primo e qual è l’ultimo? Le due cose citate sono: (1) il sacrificio, le offerte, gli olocausti e le espiazioni per il peccato; tutti questi costituiscono il “primo”, e (2) “la tua volontà” (la volontà di Dio), che è il “secondo”. “Egli toglie il primo, per stabilire il secondo”; cioè, ha tolto il sacrificio, le offerte, gli olocausti e le espiazioni per il peccato, al fine di stabilire la volontà di Dio. E “questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione” e la vostra perfezione {1 Tessalonicesi 4: 3; Matteo 5: 48; Efesini 4: 8, 12-13; Ebrei 13: 20-21}.
Ma questo non poteva essere ottenuto con i sacrifici, le offerte, gli olocausti e le espiazioni per il peccato offerti sotto il sacerdozio levitico. Questi non potevano rendere perfetto, quanto alla coscienza, colui che serviva Dio in questo modo. Non potevano purificare così tanto l’adoratore da non essere più cosciente del peccato, per la ragione che il sangue di tori e capri non può togliere il peccato.
Poiché la volontà di Dio è la santificazione e la perfezione degli adoratori, perciò la volontà di Dio è che gli adoratori siano così purificati da non avere più coscienza del peccato, e poiché il servizio e le offerte del santuario terreno non potevano realizzare questo, egli tolse tutto questo per stabilire la volontà di Dio. “Per mezzo di questa volontà, noi siamo santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” {Ebrei 10: 10}.
“Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione” {1 Tessalonicesi 4: 3}. La santificazione è la vera osservanza di tutti i comandamenti di Dio. In altre parole, il progetto di Dio per l’uomo è che la Sua volontà divina trovi in noi il perfetto compimento. La volontà di Dio è espressa nella legge dei dieci comandamenti, che “è il tutto dell’uomo” {Ecclesiaste 12: 13}. La legge è perfetta, e la perfezione del carattere è la perfetta espressione di quella legge nella vita di chi adora Dio. Per mezzo di questa legge c’è la conoscenza del peccato, e tutti hanno peccato, venendo meno alla gloria di Dio. Siamo tutti carenti della Sua perfezione di carattere.
I sacrifici e il servizio del santuario terreno non potevano togliere i peccati dell’uomo, quindi non potevano portarlo a quella perfezione. Ma il sacrificio e il ministero del vero sommo sacerdote del santuario e del vero tabernacolo sì. Tolgono completamente ogni peccato. E l’adoratore è così purificato che non ha più coscienza del peccato. Con il sacrificio, l’offerta e il servizio di Sé stesso, Cristo ha abolito i sacrifici, le offerte e il servizio che non avrebbero mai potuto togliere i peccati, e con la Sua perfetta ubbidienza alla perfetta volontà di Dio, ha stabilito proprio quest’ultima. In quella “volontà, noi siamo santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” {Ebrei 10: 10}.
In quel primo santuario e servizio terreno, “mentre ogni sacerdote è in piedi ogni giorno ministrando e offrendo spesse volte i medesimi sacrifici, che non possono mai togliere i peccati, egli invece, dopo aver offerto per sempre un unico sacrificio per i peccati, si è posto a sedere alla destra di Dio, aspettando ormai soltanto che i suoi nemici siano posti come sgabello dei suoi piedi. Con un’unica offerta, infatti, egli ha reso perfetti per sempre coloro che sono santificati” {Ebrei 10: 11-14}.
La perfezione è raggiunta in tutti gli aspetti attraverso il sacrificio e il sacerdozio del nostro grande Sommo Sacerdote alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministrando nel santuario e nel vero tabernacolo che il Signore ha stabilito, e non l’uomo. “E ce ne rende testimonianza anche lo Spirito Santo; infatti dopo aver detto: «Questo è il patto, che farò con loro dopo quei giorni, dice il Signore, io metterò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti», aggiunge: «E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità». Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato” {Ebrei 10: 15-18}.
E questa è la “via recente e vivente” che “attraverso il velo, cioè la sua carne” Cristo ci ha consacrato {Ebrei 10: 20}. Ha consacrato tutto il genere umano. E per mezzo di essa, ogni anima può accedere fino al luogo santissimo, il più santo di tutti i luoghi, la più santa di tutte le esperienze, la più santa di tutte le relazioni, la più santa di tutte le vite. Questa via nuova e vivente l’ha consacrata per noi attraverso la Sua carne. Cioè, venendo nella carne, identificandosi con il genere umano nella carne, ha consacrato per noi che siamo nella carne, una via che va da dove siamo noi a dove è Lui ora, alla destra del trono della Maestà nel cielo, nel luogo santissimo.
Venendo nella carne – essendo stato fatto in tutto come noi, ed essendo stato tentato in tutti i punti come noi – si è identificato con ogni anima umana, precisamente nella nostra condizione attuale. E ovunque si trovi quell’anima, Egli ha consacrato per lei una via nuova e vivente attraverso le vicissitudini e le esperienze di una vita intera, compresa la morte e la tomba, per arrivare nel luogo santissimo, per sempre alla destra di Dio.
Oh, che via consacrata! Consacrata dalle Sue tentazioni e sofferenze, dalle Sue preghiere e suppliche con grande grida e lacrime, dalla Sua santa vita e dalla Sua morte sacrificale, dalla Sua risurrezione vittoriosa e ascensione gloriosa, e dal Suo ingresso trionfale nel luogo santissimo, alla destra del trono della Maestà nei cieli! E quella “via” l’ha consacrata per noi. Essendo diventato uno di noi, ha fatto di quella via il nostro cammino; ci appartiene. Egli ha dato ad ogni anima il diritto divino di camminare lungo quella via consacrata; e avendola percorsa Lui stesso nella carne – nella nostra carne – ha reso possibile, e ci ha dato la certezza, che ogni essere umano può percorrerla, in tutto ciò che quella via significa; e attraverso di essa accedere pienamente e liberamente al luogo santissimo.
Lui, come uno di noi, nella nostra natura umana, debole come noi, gravato dai peccati del mondo, nella nostra carne peccaminosa, su questa terra, e per tutta la durata della Sua vita, fu “santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli” {Ebrei 7: 26}. Solo così è riuscito a costituire e consacrare una via per la quale, in Lui, ogni credente può, in questo mondo e per tutta la sua vita, vivere una vita santa, innocente, pura, separato dai peccatori, e di conseguenza essere reso con Lui più elevato del cielo. La perfezione, la perfezione del carattere, è la meta cristiana, la perfezione raggiunta nella carne umana in questo mondo. Cristo la raggiunse in questo mondo, nella nostra carne umana, costituendo e consacrando così una via attraverso la quale, in Lui, ogni credente può raggiungerla. Egli, avendola ottenuta, è diventato il nostro sommo sacerdote nel sacerdozio del vero santuario, affinché noi la ottenessimo.
L’obiettivo del cristiano è la perfezione. Il ministero e l’alto sacerdozio di Cristo nel vero santuario è l’unica via attraverso la quale ogni anima può raggiungere quel vero proposito, in questo mondo. “La tua via, o Dio, è nel santuario” {Salmo 77: 13, Versione King James}.
“Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel santuario, in virtù del sangue di Gesù, che è la via recente e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e avendo un sommo sacerdote sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, in piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi per purificarli da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Riteniamo ferma la confessione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha fatto le promesse” {Ebrei 10: 19-23}.
“Voi infatti non vi siete accostati al monte che si poteva toccare con la mano e che ardeva col fuoco, né alla caligine, né alle tenebre, né alla tempesta, né allo squillo di tromba, né al suono di parole, che quelli che l’udirono richiesero che non fosse più rivolta loro alcuna parola, perché non potevano sopportare il comando dato: «Quand’anche una bestia tocca il monte, sia lapidata o uccisa con frecce»; e tanto spaventevole era ciò che si vedeva che Mosè disse: «Io sono tutto spaventato e tremante». Ma voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’assemblea universale e alla chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti, e a Gesù, il mediatore del nuovo patto, e al sangue dell’aspersione, che dice cose migliori di quello di Abele. Guardate di non rifiutare colui che parla, perché se non scamparono quelli che rifiutarono di ascoltare colui che promulgava gli oracoli sulla terra, quanto meno scamperemo noi, se rifiutiamo di ascoltare colui che parla dal cielo” {Ebrei 12: 18-25}.
È così grande il sacrificio, il sacerdozio e il ministero di Cristo nel Santuario e nel vero Tabernacolo che il Signore ha costruito, e non l’uomo. Questa è la spiegazione della verità nel libro degli Ebrei, dei meriti e dell’efficacia del sacrificio, del sacerdozio, del santuario e del ministero di Cristo, ma non è solo nel libro degli Ebrei che troviamo questa grande verità. Anche se da nessun’altra parte è così apertamente dichiarata, né così pienamente esposta come nel libro degli Ebrei, possiamo riconoscerla chiaramente in tutto il Nuovo Testamento, così come il santuario e il ministero del sacerdozio levitico è presente in tutto l’Antico Testamento, sebbene non sia così esplicitamente dichiarato, né così pienamente esposto come nei libri dell’Esodo e del Levitico.
Nell’ultimo libro del Nuovo Testamento, già nel suo primo capitolo, viene descritto “uno simile a un Figlio d’uomo” {Apocalisse 1: 13} vestito di abiti sacerdotali. Inoltre, in mezzo al trono e alle quattro bestie e in mezzo agli anziani, stava “un Agnello come ucciso” {Apocalisse 5: 6}. Si vide anche un altare d’oro e uno con un turibolo d’oro, affinché le preghiere dei santi salissero davanti a Dio mescolate al fumo dell’incenso offerto. Appaiono le sette lampade di fuoco che bruciano davanti al trono. Il tempio di Dio fu aperto in cielo, “e in esso apparve l’arca del suo patto” {Apocalisse11: 19}. Poi a coloro che hanno parte alla prima risurrezione, coloro sui quali la seconda morte non ha potere, viene detto e promesso che “saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui mille anni” {Apocalisse 20: 6}. E quando il primo cielo e la prima terra saranno passati e non si troverà più il loro luogo, quando arriveranno nuovi cieli e nuova terra, con la santa città che scenderà da Dio dal cielo, il Tabernacolo di Dio con gli uomini, Egli abiterà con loro, essendo essi il Suo popolo, ed Egli il loro Dio con loro; quando avrà asciugato ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più morte, pianto, dolore e afflizione perché le prime cose sono passate, allora, e non prima, si dirà della città di Dio: “non vidi in essa alcun tempio” {Apocalisse 21: 22}.
È altrettanto vero che c’è un sacerdozio, un ministero sacerdotale e un santuario in questa dispensazione, come lo fu in quella antica; sì, ancora più vero; perché, sebbene ci fossero un santuario, un sacerdozio e un ministero nella dispensazione antica, tuttavia non erano che una figura per quel tempo presente, una figura di quello che ora è il vero, che è in cielo.
Il vero sacerdozio, il ministero e il santuario di Cristo in cielo appaiono così chiaramente nel Nuovo Testamento che nessuno può negarli. Ma sorprendentemente, è qualcosa a cui si pensa raramente; è quasi sconosciuto, e anche difficilmente accettato dal mondo cristiano dei nostri giorni.
Perché succede questo e come si è arrivati a questo punto? Esiste una causa. La Scrittura lo indica e i fatti lo dimostrano.
Il capitolo 7 del libro di Daniele descrive che il profeta vide in visione i quattro venti del cielo che sconquassavano il mare grande; “e quattro grandi bestie salivano dal mare, una diversa dall’altra. La prima era simile a un leone ed aveva ali di aquila” {Daniele 7: 3-4}. Simboleggiava l’impero mondiale babilonese. Il secondo era come un orso appoggiato su un lato, con tre costole in bocca, e simboleggiava l’impero di Medo-Persia. Il terzo era un leopardo, con quattro teste e quattro ali di uccello, che simboleggiava l’impero mondiale della Grecia ai tempi di Alessandro Magno. La quarta bestia era “spaventevole, terribile e straordinariamente forte, essa aveva grandi denti di ferro; divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi, era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna” {Daniele 7: 7}. Questa quarta bestia simboleggiava l’impero mondiale di Roma, diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto, perché originariamente non era una monarchia o un regno, ma una repubblica. Le dieci corna simboleggiano i dieci regni che furono stabiliti nella parte occidentale dell’impero Romano dopo la sua disintegrazione.
Il profeta descrive ancora: “Stavo osservando le corna, quand’ecco in mezzo ad esse spuntò un altro piccolo corno, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte; ed ecco in quel corno c’erano degli occhi simili a occhi di uomo e una bocca che proferiva grandi cose. Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l’Antico di giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente” {Daniele 7: 8-9}.
Osservate il notevole cambiamento nell’espressione di quest’ultima affermazione. Il profeta vide il piccolo corno dalla sua apparizione fino al momento in cui “Il giudizio si tenne e i libri furono aperti” {Daniele 7: 10}. Daniele vide il piccolo corno in quel momento; e in modo particolare la sua “bocca che proferiva grandi cose [parole arroganti]” {Daniele 7: 8}. E continuò a contemplare quella stessa scena – riferendosi allo stesso piccolo corno – fino alla fine, fino alla sua distruzione. Ma quando evidenzia l’espressione che descrive la sua distruzione, il piccolo corno non viene rotto o distrutto ma è “la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso” {Daniele 7: 11}.
Questo dimostra che il piccolo corno è un’altra fase della stessa quarta bestia, la bestia spaventosa e terribile di cui il piccolo corno non è che una continuazione, nel suo stesso spirito, disposizione e proposito, solo sotto un altro aspetto. E come il quarto impero mondiale, la bestia spaventosa e terribile, nella sua forma primitiva era Roma; così il piccolo corno, nelle sue azioni, è la continuazione dello spirito e delle azioni di Roma.
Questo è confermato dalla spiegazione data sull’argomento nel capitolo stesso. Infatti, del piccolo corno è detto che è “diverso dai precedenti” {Daniele 7: 24}, che “proferirà parole contro l’Altissimo, perseguiterà i santi dell’Altissimo con l’intento di sterminarli e penserà di mutare i tempi e la legge” {Daniele 7: 25}. Leggiamo ancora: “IO guardavo e quello stesso corno faceva guerra ai santi e li vinceva finché giunse l’Antico di giorni e fu resa giustizia ai santi dell’Altissimo” {Daniele 7: 21-22}. Tutto ciò è vero, e costituisce la descrizione della fine di Roma Imperiale.
Ed è l’ultima Roma stessa a confermarlo. Papa Leone Magno esercitò il suo pontificato dal 440 al 461, nel periodo preciso in cui la prima Roma stava vivendo i suoi ultimi giorni, e rapidamente precipitava verso la rovina. Leone Magno in un sermone disse che la prima Roma non era che la promessa dell’ultima Roma; che le glorie della prima dovevano essere riprodotte nella Roma cattolica; che Romolo e Remo non erano altro che i precursori di Pietro e Paolo; i successori di Romolo erano quindi i precursori dei successori di Pietro; e come la prima Roma aveva dominato il mondo, così l’ultima doveva dominarlo, avendo il santo e beato Pietro come capo del mondo. Il papato non ha mai abbandonato questa concezione di Leone il Grande. Quando, appena quindici anni dopo, l’impero romano si è estinto come tale, solo il papato è sopravvissuto alla rovina; così si stabilì saldamente e si rafforzò in Roma quella concezione di Leone, che doveva solo affermarsi ed essere più apertamente sostenuta e proclamata.
Tale concezione è stata anche sviluppata intenzionalmente e sistematicamente. Le Scritture sono state attentamente esaminate e abilmente pervertite per sostenere questa idea. Con un’applicazione spuria del sistema levitico dell’Antico Testamento, l’autorità e l’eternità del sacerdozio romano furono praticamente stabilite. E ora, mediante deduzioni tendenziose, “a partire dal Nuovo Testamento, è stata stabilita l’autorità e l’eternità di Roma stessa”.
Considerandosi l’unica continuazione della Roma originale, il papato prese la posizione che ovunque il Nuovo Testamento citi o si riferisca all’autorità della Roma originale, in realtà si applica a lui stesso, il quale si autoproclama di essere la vera e l’unica continuazione della Roma originale. Di conseguenza, dove il Nuovo Testamento ammonisce a sottomettersi “all’autorità” o ad ubbidire ai “governanti” {Romani 13}, deve riferirsi al papato. La ragione è che l’unica autorità e gli unici governanti che c’erano a quel tempo erano i Romani, e il potere papale è l’unica vera continuazione del potere romano.
Si cercò e si prese ogni testo che conteneva un imperativo a sottomettersi ai governanti; ogni passaggio in cui si ordinasse di obbedire alle autorità della nazione, richiamando in particolare l’attenzione sul fatto che Cristo stesso ha sancito il dominio romano pacificando il mondo attraverso Augusto, nascendo in un’epoca in cui si pagavano i tributi, come Lui stesso aveva pagato a Cesare, e dicendo a Pilato: “Tu non avresti alcun potere contro di me, se non ti fosse dato dall’alto” (Bryce). E poiché Cristo riconobbe l’autorità di Pilato, che era un rappresentante di Roma, chi oserà disdegnare l’autorità del papato, la vera continuazione di quell’autorità alla quale il Signore del cielo stesso si sottomise!
E fu il culmine logico di questa pretesa, che portò Papa Bonifacio VIII a presentarsi davanti alla moltitudine rivestito con l’armatura, con un elmo in testa e brandendo una spada, proclamando: “Non c’è altro Cesare, re o imperatore, ma io, il Sovrano Pontefice e successore degli Apostoli”. E poi parlando ex-cathedra dichiarò: “Pertanto, noi affermiamo, stabiliamo e proclamiamo che, per essere salvati, è necessario credere che ogni essere umano è soggetto al Pontefice di Roma”.
Questo prova sufficientemente che il piccolo corno di Daniele capitolo 7 è Roma papale, e che intenzionalmente, nello spirito e nello scopo, è la continuazione della Roma originale (imperiale).
Il capitolo 8 di Daniele ritorna sullo stesso tema. Il profeta nella visione prima vede un montone con due corna prominenti, una più grande dell’altra in corrispondenza della bestia simile all’orso, che era inclinata verso un lato. L’angelo afferma semplicemente che essi indicavano “i re di Media e Persia”. Poi il profeta vide un “capro maschio” che veniva da ovest e che percorreva tutta la terra senza toccare il suolo; questo capro aveva un grosso corno fra gli occhi. Quest’ultimo colpì il montone, gli spezzò le due corna, lo gettò a terra e lo calpestò, e non ci fu nessuno che potesse liberare il montone dalla sua mano. L’angelo dichiarò che “il capro è il re di Javan [Grecia]; e il gran corno che era in mezzo ai suoi occhi è il primo re” {Daniele 8: 21}. Il capro si irrobustì ma, quando fu al culmine della sua potenza, il suo gran corno si spezzò; al suo posto spuntarono quattro grandi corna verso i quattro venti del cielo. L’angelo spiegò questo: “Il corno spezzato e le quattro corna che sono sorte al suo posto sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione, ma non con la stessa sua potenza [Alessandro Magno]” {Daniele 8: 22}.
Da una di queste quattro divisioni dell’impero di Alessandro Magno, il profeta vide come “Da uno di questi [quattro venti] uscì un piccolo corno, che diventò molto grande verso sud, verso est e verso il paese glorioso” {Daniele 8: 9}. I riferimenti geografici indicano che questo potere è sorto e cresciuto molto, partendo dall’est. Come spiega l’angelo, questo significa che “alla fine del loro regno” (dopo le quattro divisioni della Grecia), quando la trasgressione si compirà, “sorgerà un re dall’aspetto feroce, esperto in stratagemmi” {Daniele 8: 23}. “Si ingrandì fino a giungere all’esercito del cielo, fece cadere in terra parte dell’esercito e delle stelle e le calpestò” {Daniele 8: 10}. “La sua potenza crescerà, ma non per sua propria forza; compirà sorprendenti rovine, prospererà nelle sue imprese e distruggerà i potenti e il popolo dei santi. Per la sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani; si innalzerà nel suo cuore e distruggerà molti che stanno al sicuro; insorgerà contro il principe dei principi [si innalzò fino al capo di quell’esercito che troviamo al versetto 11], ma sarà infranto senza mano d’uomo” {Daniele 8: 24-25}.
Queste precisazioni mostrano che il piccolo corno dell’ottavo capitolo di Daniele rappresenta Roma dal momento in cui è sorta, dopo la distruzione dell’impero greco, fino alla fine del mondo, quando “sarà infranto senza mano d’uomo” da quella “pietra si staccò, ma non per mano d’uomo” {Daniele 2: 34-35}, la quale frantumerà tutti i regni terreni {Daniele 2: 44-45}.
Abbiamo visto che in Daniele capitolo 7, il piccolo corno, sebbene rappresenti solo l’ultima fase di Roma, in realtà include Roma in entrambe le fasi, dall’inizio alla fine, poiché al momento della distruzione del “piccolo corno” risulta essere “la bestia” che viene distrutta, “e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso” {Daniele 7: 11}. Così, il tema con cui finisce la storia del piccolo corno in Daniele 7 trova la sua continuazione in Daniele 8, riferendosi allo stesso potere. In Daniele 8 l’espressione “piccolo corno” comprende la totalità di Roma nelle sue due fasi, esattamente come è indicato nella descrizione finale del “piccolo corno” in Daniele 7.
Questo è dimostrato dalle espressioni “abominazione della desolazione” {Daniele 9: 26-27; Matteo 24: 15; Daniele 11: 31; Daniele 12: 11} o “abominazione della trasgressione” {Daniele 8: 11-13} applicate a Roma nelle sue due fasi; e come confermato dall’insegnamento e dalla storia dell’ultima Roma stessa. Esse formano un’unità, in modo che tutto ciò che si dice della prima Roma sia vero e intensificato nella seconda Roma.
Ora, consideriamo più attentamente le espressioni bibliche in Daniele 8, in relazione al potere del piccolo corno. Di questo potere è detto: “si innalzò [esaltando sé stesso, Versione King James]” {Daniele 8: 11}, e “insorgerà contro il principe dei principi” {Daniele 8: 25}. Questo è ben spiegato in 2 Tessalonicesi capitolo 2, dove Paolo, correggendo le false idee che quei credenti si erano fatti sull’imminente venuta del Signore, dice loro: “Nessuno v’inganni in alcuna maniera, perché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e prima che sia manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato dio o oggetto di adorazione, tanto da porsi a sedere nel tempio di Dio come Dio, mettendo in mostra se stesso e proclamando di essere Dio. Non vi ricordate che, quando ero ancora tra voi, vi dicevo queste cose?” {2 Tessalonicesi 2: 3-5}.
Quel passaggio descrive chiaramente lo stesso potere che in Daniele 8 è rappresentato dal piccolo corno. Ma ci sono altre considerazioni che lo dimostrano più ampiamente. Paolo afferma che quando era a Tessalonica con i fratelli, aveva già detto loro quelle cose che ora scrive. In {Atti 17: 1-2} è registrata la permanenza di Paolo tra i Tessalonicesi nei seguenti termini: “Or dopo essere passati per Anfipoli e per Apollonia, giunsero a Tessalonica, dove c’era la sinagoga dei Giudei. E Paolo, secondo il suo solito, entrò da loro e per tre sabati presentò loro argomenti tratti dalle Scritture”.
E ragionando con loro sulle Scritture, spiegò loro ciò che doveva avvenire riguardo alla manifestazione dell’uomo del peccato, il mistero dell’iniquità, il figlio della perdizione, che si sarebbe opposto ed esaltato contro tutto ciò che è chiamato Dio, o che è adorato; fino al punto di sedersi nel tempio di Dio, come Dio, e pretendere d’essere Dio.
Ragionando con il popolo sulle Scritture, in quale parte di tali Scritture Paolo avrebbe trovato la rivelazione dalla quale poteva insegnare tutto questo ai Tessalonicesi? Solo, in Daniele 8 troviamo le stesse espressioni che Paolo usa in 2 Tessalonicesi, aggiungendo: “Non vi ricordate che, quando ero ancora tra voi, vi dicevo queste cose?”. Questo determina che il tempo sarebbe stato dopo i giorni degli apostoli, quando Roma si esaltò “fino al capo dell’esercito” e “contro il principe dei principi”, e lo relaziona direttamente alla caduta o apostasia sperimentata dal papato, che è Roma nella sua fase successiva e ultima.
Ora leggiamo i versetti di {Daniele 8: 11-12}, e vedremo chiaramente che è qui che Paolo ha trovato i versetti in cui insegna ai Tessalonicesi circa “l’uomo del peccato” e “il mistero dell’iniquità”: (il piccolo corno, l’uomo del peccato). “Si innalzò addirittura fino al capo dell’esercito, gli tolse il sacrificio continuo e il luogo del suo santuario fu abbattuto. L’esercito gli fu dato in mano assieme al sacrificio continuo, a motivo della trasgressione; egli gettò a terra la verità; fece tutto questo e prosperò”.
Questo indica chiaramente chi è il responsabile dell’annullamento del sacerdozio, del ministero e del santuario di Dio e dei cristiani.
Leggiamolo di nuovo: il piccolo corno, o l’uomo del peccato (il papato) si innalzò contro il capo dell’esercito, o il Principe dei principi (Cristo), gli tolse il sacrificio continuo, o il servizio quotidiano (il ministero e il sacerdozio di Cristo) e il luogo del suo Santuario (il santuario celeste) fu gettato a terra. A causa della trasgressione, l’esercito e il sacrificio continuo gli furono dati. Gettò a terra la verità e prosperò in tutto ciò che fece.
È “a causa della trasgressione”, cioè a causa del peccato, che “l’esercito” gli è stato dato nelle mani, ed egli ha gettato a terra la verità, col proposito di separare la chiesa e il mondo dal sacerdozio di Cristo dal suo ministero e dal suo santuario, per abbatterli e calpestarli. È a causa della trasgressione che è avvenuto questo. La trasgressione è il peccato, e questa è la considerazione o rivelazione sulla quale l’apostolo Paolo, in 2 Tessalonicesi, definisce quel potere come “l’uomo del peccato” e “il mistero dell’iniquità”.
In {Daniele 8: 11-13; Daniele 11: 31 e Daniele 12: 11}, alcuni traduttori della Bibbia hanno aggiunto la parola “sacrificio”, che non appare nell’originale, dopo il termine “continuo” o “quotidiano”. La parola “continuo” o “quotidiano” – corrispondente all’originale ebraico “tamid” – non si riferisce al sacrificio quotidiano o continuo in particolare, ma all’intero ministero o servizio continuo (o quotidiano) del santuario, di cui il sacrificio era solo una parte. La parola “tamid” significa “continuo”, “costante”, “stabile”, “sicuro”, “permanente”, “per sempre”. Tali espressioni danno l’idea esatta del termine nell’originale, che nel testo in esame, è tradotta “quotidianamente”. Solo nei capitoli 28 e 29 di Numeri, questo termine è usato diciassette volte in riferimento al servizio “continuo” nel Santuario.
Ed è questo servizio continuo di Cristo, il vero Sommo Sacerdote, “che continua in eterno” e “che è consacrato per sempre” in “un sacerdozio immutabile” – è questo servizio continuo del nostro grande Sommo Sacerdote, che l’uomo del peccato, il Papato, ha portato via. È il santuario celeste, il vero tabernacolo, in cui questo vero Sommo Sacerdote esercita il Suo ministero continuo, ad essere stato abbattuto “dall’abominazione della desolazione”. È questo ministero e questo santuario che l’uomo del peccato ha eliminato dalla chiesa e dal mondo, gettandolo a terra e calpestandolo, e ponendo sé stesso – l’abominazione della desolazione – al loro posto. Questo è ciò che l’antica Roma (Roma imperiale) fece fisicamente al santuario visibile o terreno, che era “un’immagine di quello vero” {Daniele 9: 26-27; Matteo 24: 15}, mentre la seconda Roma (Roma papale) lo fece spiritualmente al Santuario invisibile o celeste, che “è quello vero” {Daniele 11: 31; Daniele 12: 11; Daniele 8:11-13}.
La citazione che troverete a fine capitolo mostra che nell’apostasia, vescovi, sacerdoti, diaconi e l’eucaristia dovevano succedere ai sommi sacerdoti, ai sacerdoti, ai leviti e ai sacrifici del sistema levitico. Ora, nelle Scritture emerge che il disegno di Dio era che Cristo, il Suo ministero e il Suo santuario in cielo – il vero oggetto del sistema levitico – fosse l’esclusiva e l’autentica successione cristiana a quel sistema levitico. Perciò, quando nell’apostasia, a proposito della successione al sistema levitico, fu istituito il sistema dei vescovi anziché dei sommi sacerdoti, dei presbiteri anziché dei sacerdoti, dei diaconi anziché dei leviti, e l’eucaristia come sacrificio, in realtà, introducendo quel sistema come successione cristiana al levitico, non si fece altro che stabilire il falso sistema dell’apostasia in sostituzione di quello vero, escludendolo completamente, il che significa abbatterlo (gettarlo a terra) e calpestarlo.
Ed è così che questa grande verità cristiana dell’autentico sacerdozio, ministero e santuario di Cristo è praticamente sconosciuta al mondo cristiano di oggi. L’uomo del peccato l’ha tolta, l’ha gettata a terra e l’ha calpestata. Il “mistero dell’iniquità” ha nascosto questa grande verità alla chiesa e al mondo per tutti questi anni in cui si è spacciato come Dio e le sue eucaristie (ostie) inique come la chiesa di Dio.
Tuttavia, lo stesso “uomo del peccato”, “il mistero dell’iniquità” testimonia la necessità di un tale servizio nella chiesa, a causa del peccato. Sebbene “l’uomo del peccato”, “il mistero dell’iniquità”, abbia tolto il vero sacerdozio, abbia gettato a terra il ministero e il santuario di Cristo, li abbia calpestati e li abbia nascosti completamente alla vista del mondo cristiano, tuttavia non ha cancellato l’idea nella sua totalità. No: ha tolto quella vera e l’ha gettata a terra, ma ha conservato l’idea e ha eretto nel suo seno una struttura completamente falsa al posto di quella vera.
Cristo, vero e divino Sommo Sacerdote designato da Dio nel cielo, è stato sostituito da un sacerdozio umano, peccaminoso e peccatore sulla terra. Al posto del ministero continuo e celeste di Cristo nel Suo vero sacerdozio, basato sul Suo vero sacrificio, lui ha stabilito un ministero discontinuo e terreno tramite un sacerdozio umano, peccaminoso e peccatore, nel sacrificio “quotidiano” della Messa (offerta una volta al giorno). E al posto del santuario e di quel vero tabernacolo che il Signore ha istituito, non fatto da mano d’uomo; ha edificato i suoi luoghi di riunione, costruiti in pietra e legno, e dando loro il nome di “santuario”.
Così, invece dell’unico Sommo Sacerdote, del ministero continuo e sacerdozio celeste che Dio ha ordinato, che sono gli unici veri, egli ha progettato di sua invenzione di sostituire il primo con molti sommi sacerdoti, ministeri, sacrifici e santuari sulla terra, che nel migliore dei casi sono solo umani e completamente falsi. E non potranno mai togliere il peccato. Nessun sacerdozio, ministero, servizio o sacrificio terreno, in nessun santuario terreno, potrà mai togliere il peccato.
Abbiamo visto in Ebrei che anche il ministero, il sacerdozio, il sacrificio e il servizio del santuario terreno – quello che il Signore stesso stabilì sulla terra – non poté mai togliere il peccato. La testimonianza ispirata ci dice che non ha mai tolto il peccato e non ha mai potuto farlo.
Solo il sacerdozio e il ministero di Cristo possono togliere il peccato. Ed essendo un sacerdozio e un ministero celeste, appartengono a un santuario celeste. Perché quando Cristo era sulla terra, non era un sacerdote. E se fosse rimasto sulla terra fino ai nostri giorni, neppure sarebbe un sacerdote. Secondo {Ebrei 8: 4} “ se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote”. Così, con un chiaro precetto e un’abbondante illustrazione, Dio ha dimostrato che nessun ministero, sacerdozio o sacrificio terreno possono togliere il peccato.
Se fosse stato possibile, Dio non avrebbe forse scelto quel sistema [ebraico] che Egli stesso aveva già stabilito sulla terra? E se poteva veramente togliere il peccato, che bisogno c’era di cambiare il sacerdozio e il ministero dalla terra al cielo? Perciò, secondo la Parola del Signore, il sacerdozio, il ministero, il sacrificio e il santuario che il papato ha stabilito, e che operano sulla terra, non possono togliere il peccato. Al contrario, lo alimentano. È una frode, una menzogna, è la “trasgressione”, è “l’abominazione della desolazione” del santuario.
E questa conclusione e affermazione di ciò che costituisce il sistema papale nella realtà, non è una deduzione fantasiosa o stravagante. Lo confermano le parole del cardinale Baronius, l’analista ufficiale del papato. Riferendosi al decimo secolo, scrisse: “In quel secolo l’abominazione della desolazione fu vista nel tempio del Signore; e nella sede di San Pietro, venerata dagli angeli; furono collocati gli uomini più malvagi: non pontefici, ma mostri”. E il Concilio di Reims, nel 991, definì il papato come “l’uomo del peccato, il mistero dell’iniquità”.
Grazie a Dio questa menzogna non durerà per sempre. La grande verità del sacerdozio cristiano, del ministero e del santuario non sarà nascosta per sempre agli occhi della chiesa e del mondo. Il mistero dell’iniquità quando venne istituito nascose il mistero di Dio al mondo, così che tutta la terra “si meravigliò dietro alla bestia” {Apocalisse 13: 3-4}. Ma sta arrivando il giorno in cui il mistero dell’iniquità sarà smascherato, e il mistero di Dio brillerà di nuovo nello splendore della sua verità e purezza, per non essere mai più nascosto, e per compiere il suo grande proposito, raggiungendo così la sua piena realizzazione. Perché sta scritto che “nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce, quando egli suonerà la tromba, si compirà il mistero di Dio, secondo quanto egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti” {Apocalisse 10: 7}.
Ai giorni di Cristo e dei Suoi apostoli il mistero di Dio fu rivelato in una pienezza mai conosciuta prima, e fu predicato a “tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno Dio, per indurli all’ubbidienza della fede” {Romani 16: 26}. Dall’inizio del mondo fino a quel tempo, “il mistero celato per molti secoli addietro” {Romani 16: 25}, “il mistero che fu tenuto nascosto per le passate età e generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi, ai quali Dio ha voluto far conoscere quali siano le ricchezze della gloria di questo mistero fra i gentili, che è Cristo in voi, speranza di gloria, che noi annunziamo, ammonendo e ammaestrando ogni uomo in ogni sapienza, per presentare ogni uomo perfetto in Cristo Gesù; e per questo mi affatico combattendo con la sua forza che opera in me con potenza” {Colossesi 1: 26-29; Efesini 1: 26-29; Efesini 3: 3-9}.
Ma già a quel tempo, ai giorni degli apostoli, il “mistero dell’iniquità” era all’opera. Ed è andato avanti ottenendo il potere della supremazia mondiale, fino a distruggere i santi dell’Altissimo e a pensare di cambiare i tempi e la legge, ribellandosi contro il Principe dei principi, magnificandosi contro il Capo dell’esercito, e mettendosi al posto di Dio. E così il mistero di Dio fu nascosto. Ma ora, nei giorni della voce del settimo angelo, proprio ora, questo mistero di Dio, che per anni era stato nascosto alle generazioni, è reso manifesto ai suoi santi, “ai quali Dio ha voluto far conoscere quali siano le ricchezze della gloria di questo mistero fra i gentili, che è Cristo in voi, speranza di gloria, che noi annunziamo, ammonendo e ammaestrando ogni uomo in ogni sapienza, per presentare ogni uomo perfetto in Cristo Gesù” {Colossesi 1: 27-28}.
Come abbiamo già documentato, questo avviene conformemente a come “egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti”. Questa non è una dichiarazione occasionale del profeta di Patmos, rivolta al suo tempo. È ora, ai nostri giorni, che “il mistero di Dio sarà compiuto”, perché quando l’angelo di Dio fece quell’annuncio nella visione del profeta di Patmos, lo aveva già annunciato molto tempo prima ai suoi servi i Profeti. L’annuncio fatto a Patmos non era altro che la dichiarazione dell’angelo di Dio che ciò che era stato annunciato ai suoi servi i profeti, ora, doveva avvenire senza ulteriori ritardi. Le parole dell’angelo sono le seguenti: “Allora l’angelo che avevo visto stare in piedi sul mare e sulla terra alzò la mano destra verso il cielo, e giurò per colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso, la terra e le cose che sono in essa, il mare e le cose che sono in esso, che non vi sarebbe più alcun ritardo. Ma nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce, quando egli suonerà la tromba, si compirà il mistero di Dio, secondo quanto egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti” {Apocalisse 10: 5-7}.
Daniele è il profeta a cui più ampiamente e chiaramente è stato rivelato. Daniele vide non solo l’apparizione di quel piccolo corno, la sua esaltazione “contro il capo dell’esercito”, “contro il Principe dei principi”, il suo calpestare la Verità e il Santuario, ma vide anche, nella stessa visione, la Verità e il Santuario liberati dal potere del piccolo corno, riscattati dal suo blasfemo calpestare, innalzati dalla terra ed esaltati fino al cielo, ai quali in giustizia appartengono. Ed è proprio in questa parte della visione che gli esseri celesti sembrano mostrare il più grande interesse, perché Daniele dice: “Poi udii un santo che parlava, e un altro santo disse a quello che parlava: «Fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo e la trasgressione della desolazione, che abbandona il luogo santo e l’esercito ad essere calpestati?». Egli mi disse: «Fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato»” {Daniele 8: 13-14}.
Gabriele fu poi incaricato di far comprendere a Daniele la visione. Cominciò a farlo, fino a quando arrivò alla spiegazione dei molti giorni della visione, a quel punto le cose sorprendenti e terribili rivelate sconvolsero Daniele: “E io, Daniele, mi sentii sfinito e fui malato per vari giorni, poi mi alzai e sbrigai gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide” {Daniele 8: 27}. Per quanto era stato spiegato, era semplice da capire: il montone è chiaramente indicato come i re di Media e Persia, e il capro è il re di Grecia. E alla luce delle spiegazioni già fatte nei capitoli 2 e 7 di Daniele, la descrizione della prossima grande potenza che sarebbe successa alla Grecia fu facilmente compresa mentre l’angelo procedeva nella spiegazione. Ma Daniele vacillò proprio al culmine della parte più importante della spiegazione, così che la parte più essenziale e significativa della spiegazione andò persa, e nessuno la capì.
Ciononostante, il profeta cercò diligentemente di capire la visione. Dopo la distruzione di Babilonia, nel primo anno del re dei Medi e dei Persiani, l’angelo Gabriele apparve di nuovo a Daniele, dicendo: “Daniele, io sono venuto ora per metterti in grado di intendere” {Daniele 9: 22}.
E venne proprio per fargli capire la dichiarazione di quella visione che aveva iniziato a spiegare quando Daniele svenne. Quindi, per prima cosa diresse l’attenzione di Daniele sulla visione, dicendo: “All’inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per fartela conoscere, perché tu sei grandemente amato. Fa’ dunque attenzione alla parola e intendi la visione” {Daniele 9: 23}.
Avendo così rivolto l’attenzione del profeta verso la visione, l’angelo affronta direttamente il tema del tempo menzionato nella visione: la parte precisa della visione che, a causa dello svenimento di Daniele, era rimasta senza spiegazione. Egli dice: “Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città” {Daniele 9: 24}. La parola “stabilite” significa “tagliate”, “ confinate da limiti”, “delimitate nella loro estensione”. Nello spiegare la visione la prima volta, l’angelo era arrivato alla questione del tempo: i “molti giorni” di {Daniele 8: 26}, i “duemilatrecento giorni” {Daniele 8: 14} della visione. Ora, nel richiamare l’attenzione di Daniele sulla visione, egli inizia subito a riferirsi a quei giorni, spiegando gli eventi ad essi collegati: “Settanta settimane”, o 490 di quei giorni, sono stabilite o tagliate (determinate , assegnate) per gli ebrei e Gerusalemme. Questo segna i limiti del tempo per gli ebrei e per Gerusalemme come popolo e città speciale di Dio. Sono giorni profetici, in cui ogni giorno corrisponde a un anno: le 70 settimane – o 490 giorni – diventano 490 anni, tolti (presi) dai 2.300 giorni, che a loro volta sono 2.300 anni. Il principio dei 490 anni coincide dunque con quello dei 2300 anni.
Il racconto delle “settanta settimane”, o 490 anni, è dato dall’angelo in questi termini: “Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme, fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane; essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi. Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui. E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni. Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore” {Daniele 9: 25-27}.
Il decreto per restaurare e ricostruire Gerusalemme arrivò nel 457 a.C., ed è registrato in Esdra capitolo 7. Fu emesso da Babilonia, e fu indirizzato prima a Esdra, concedendogli il permesso di lasciare Babilonia e di prendere le persone e i materiali necessari per il lavoro di restaurazione di Gerusalemme, in modo che Dio potesse essere adorato lì. E più tardi, “a tutti i tesorieri dall’altra parte del fiume” Eufrate, per fornire qualsiasi cosa Esdra richiedesse per il progresso dei lavori. Quando Esdra arrivò a Gerusalemme era il quinto mese dell’anno, quindi la restaurazione deve essere iniziata verso l’autunno del 457 a.C., il quale porta all’anno 456 ½ come data di inizio dei 490 anni, e dei 2.300 anni. Successivamente, i 483 anni porterebbero al “Messia Principe”, il quale ci porta all’anno 26 ½ dell’era cristiana, cioè il 27 d.C., che è l’anno preciso in cui Cristo fece la sua apparizione come Messia, nel suo ministero pubblico, venendo battezzato nel Giordano e unto con lo Spirito Santo {Marco 7: 9-11; Matteo 3: 13-17)}. Dopo di che, lui, il Messia, “stipulerà pure un patto con molti per una settimana” {Daniele 9: 27}, cioè l’ultima settimana che è rimasta delle 70. Ma a metà di quella settimana, “farà cessare sacrificio e oblazione” con il sacrificio di Sé stesso sulla croce. A metà della settimana che è la fine dei tre anni e mezzo, su sette, da calcolarsi dall’autunno del 27 d.C. Questo porta alla primavera del 31 d.C., il momento preciso in cui il Salvatore fu crocifisso; e così, con il Suo stesso sacrificio, il vero sacrificio per i peccati, fece cessare per sempre il sacrificio e l’offerta. In quell’occasione il velo del tempio terreno “si squarciò in due, dall’alto in basso” {Marco 15: 38}, indicando che il servizio di Dio qui era finito e il Santuario terreno sarebbe stato lasciato desolato.
C’era ancora la seconda metà della settantesima settimana, entro il termine in cui il popolo ebraico e Gerusalemme avrebbero avuto un favore speciale. A quel tempo, “Or coloro che erano stati dispersi a motivo della persecuzione iniziata con Stefano, arrivarono fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiochia, annunziando la parola a nessun altro, se non ai soli Giudei” {Atti 11: 19; Atti 8: 4}. Ma quando quel tempo fu trascorso, e gli ebrei furono confermati nel loro rifiuto del Messia e del Suo vangelo, allora la loro decisione fu accettata, e sotto la guida di Pietro e Paolo, le porte furono aperte ai gentili, ai quali apparteneva la parte rimanente dei 2.300 anni.
Dopo aver detratto i 490 anni assegnati agli ebrei e a Gerusalemme, rimangono ancora 1.810 anni per i gentili (2.300 – 490 = 1.810). Questo periodo di 1.810 anni, che inizia, come abbiamo visto, nell’autunno dell’anno 34 della nostra era, porta immancabilmente all’autunno dell’anno 1844, segnando quella data come la fine dei 2.300 anni. E in quel momento, per la parola di Colui che non può sbagliare, “il santuario sarà purificato” {Daniele 8: 14}. Il 1844 era anche il tempo preciso dei giorni in cui “il settimo angelo farà udire la sua voce, quando egli suonerà la tromba, si compirà il mistero di Dio, secondo quanto egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti” {Apocalisse 10: 7}.
A quel tempo l’orrore delle fitte tenebre, con cui il mistero dell’iniquità aveva nascosto il mistero di Dio attraverso i secoli e le generazioni passate, sarebbe stato spezzato. È allora che il Santuario, il vero Tabernacolo, e la sua Verità, si sarebbero sollevate da terra, da dove l’uomo del peccato li aveva gettati per calpestarli, per essere esaltati in cielo, il luogo a cui appartengono. Da lì risplenderanno di una tale luce che tutta la terra sarà illuminata dalla loro gloria. In quel momento l’importante verità del sacerdozio e del ministero di Cristo doveva essere salvata dall’oblio a cui la trasgressione e l’abominazione della desolazione l’avevano sottoposta, ed essere finalmente restituita al suo vero luogo celeste nella fede della chiesa, raggiungendo in ogni vero credente quella perfezione che è il proposito eterno di Dio in Cristo Gesù nostro Signore.
La purificazione del santuario e il compimento del mistero di Dio coincidono nel tempo, e sono così strettamente collegate da costituire un’identità pratica nel loro carattere e nella loro portata.
Nella prefigurazione del vero, la successione dei servizi del santuario terreno formava un ciclo che si completava annualmente. E la purificazione del santuario era il compimento di quel servizio annuale figurativo. Questa purificazione del santuario consisteva nel lavare e purificare il santuario “dall’impurità dei figli d’Israele, dalle loro trasgressioni e da tutti i loro peccati” che, attraverso il ministero sacerdotale, erano stati portati nel santuario durante l’anno.
Il compimento di quest’opera, del e per il santuario, era anche il compimento dell’opera per il popolo, perché in quel giorno di purificazione del santuario, che era il giorno dell’espiazione (o riconciliazione), chi non avesse partecipato al servizio di purificazione mediante l’esaminazione del proprio cuore, la confessione e la cancellazione del peccato, sarebbe stato escluso dal popolo per sempre. Così la purificazione del santuario riguardava il popolo e lo includeva, così come il santuario stesso. E chiunque del popolo non partecipasse alla purificazione del santuario, non essendo egli stesso purificato – come lo era il santuario, purificato da ogni iniquità, trasgressione e peccato – era eliminato dal suo popolo per sempre {Levitico 16: 15-19, 29-34; Levitico 23: 27-32}.
E questo “è una figura per il tempo presente” {Ebrei 9: 9}. Quel santuario, quel sacrificio, quel sacerdozio e quel ministero erano una figura di quello vero, che è il santuario, il sacrificio, il sacerdozio e il ministero di Cristo. E quella purificazione del santuario era una figura di quella vera, che è la purificazione del santuario e vero tabernacolo che il Signore ha istituito, non fatto da mano d’uomo, Egli ha purificato ogni impurità dei credenti in Gesù, a causa delle loro trasgressioni o peccati. E il tempo di questa purificazione del vero Santuario, nelle parole di Colui che non può sbagliare, è: “fino a duemilatrecento giorni; poi il santuario sarà purificato” {Daniele 8: 14} – il Santuario di Cristo – nell’anno del 1844 ha avuto inizio la purificazione del Santuario celeste.
E in effetti, il santuario di cui Cristo è Sommo Sacerdote è l’unico che poteva essere purificato nel 1844, poiché è l’unico che esisteva a quel tempo. Il santuario che era una figura per il tempo presente fu distrutto dall’esercito romano insieme alla città {Daniele 9: 26}. Persino il suo luogo fu lasciato deserto “fino alla piena consumazione”; quindi, l’unico santuario che poteva essere purificato al tempo stabilito dall’Autore della profezia, alla fine dei 2.300 giorni, era il Santuario di Cristo. Il Santuario e il vero Tabernacolo di cui Cristo, alla destra di Dio, è il vero sacerdote e ministro. Quel “santuario e vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 2}.
Il significato di questa purificazione è chiaramente espresso nella Scrittura che stiamo studiando: {Daniele 9: 24-28}. L’angelo di Dio, spiegando a Daniele la verità sui 2300 giorni, dichiarò anche il grande obiettivo del Signore in quel momento, in relazione agli ebrei e ai gentili. Le settanta settimane, o 490 anni assegnati agli ebrei e a Gerusalemme, “sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo” {Daniele 9: 24}.
Tale è il vero scopo di Dio nel santuario e nei suoi servizi, in ogni tempo: sia in quello figurato che in quello reale, per gli ebrei e i gentili, sulla terra e in cielo. Settanta settimane, o 490 anni, furono concessi agli ebrei per il compimento o la conclusione di quel proposito, per e in loro. Per fare questo, Cristo stesso è venuto a questo popolo, tra la Sua gente, per mostrare loro la Via e condurli per quella Via. Ma non l’hanno ricevuto.
Invece di vedere in Lui l’Essere misericordioso che avrebbe messo fine alla trasgressione, posto fine al peccato, espiato l’iniquità e portato la giustizia dei secoli ad ogni anima, essi videro in Lui solo “Belzebù”, il principe dei diavoli; vedevano solo Uno al posto del quale avrebbero decisamente preferito un assassino; solo Uno che avrebbero apertamente ripudiato come re, scegliendo di non avere altro re che il Cesare di Roma; solo Uno che consideravano degno di nient’altro che la crocifissione e l’eliminazione dal mondo. Per un tale popolo, e in un popolo come quello, Egli avrebbe potuto porre fine alla trasgressione, porre fine al peccato, espiare l’iniquità e portare la giustizia dei secoli? Sarebbe stato impossibile. Impossibile a causa della loro ostinata ribellione. Invece di permettergli di compiere un’opera così misericordiosa e meravigliosa in loro favore, fu costretto a esclamare dal profondo del dolore e della tristezza divina: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi è lasciata deserta” {Matteo 23: 37-38}. “Perciò io vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a una gente che lo farà fruttificare” {Matteo 21: 43}.
Dopo il rifiuto dei Giudei, il regno di Dio fu dato ai Gentili. E tutto quello che doveva essere fatto dagli ebrei nei 490 anni a loro dedicati, ma che essi non hanno in alcun modo realizzato, venne assegnato ai gentili, ai quali è dato il regno di Dio durante i 1.810 anni a loro concessi. E quell’opera consiste nel “far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo” {Daniele 9: 24}.
Questo può essere realizzato solo nel compimento del mistero di Dio, nella purificazione del vero santuario cristiano. Solo nel vero santuario, si può togliere la trasgressione e mettere fine ai peccati per il perfezionamento dei credenti in Gesù, da un lato; e dall’altro lato, togliere la trasgressione e mettere fine ai peccati con la distruzione dei malvagi e con la purificazione dell’universo da ogni macchia di peccato che sia mai esistita in esso.
Il compimento del mistero di Dio è il completamento finale dell’opera del vangelo. E il completamento dell’opera del vangelo è, in primo luogo, lo sradicamento di ogni macchia di peccato e l’introduzione di quella giustizia esterna, cioè Cristo pienamente riprodotto in ogni credente, Dio manifestato nella carne di ogni credente in Gesù; e in secondo luogo, il completamento dell’opera del vangelo significa esattamente la distruzione di tutti coloro che non hanno ricevuto il vangelo {2 Tessalonicesi 1: 7-10}, perché non è volontà del Signore preservare la vita di uomini il cui unico fine sarebbe quello di accumulare miseria su sé stessi.
Abbiamo visto che nel servizio del santuario terreno, l’opera del vangelo terminava nel ciclo annuale a beneficio di coloro che vi avevano preso parte, ma quelli che, al contrario, non vi avevano preso parte, venivano tagliati fuori o esclusi. Ciò che “è una figura per il tempo presente”, insegna inequivocabilmente che nel servizio del vero santuario, quando l’opera del vangelo per tutti coloro che vi hanno preso parte sarà terminata, allora tutti coloro che non vi hanno preso parte, saranno esclusi. Così, in entrambi i casi, il compimento del mistero di Dio significa porre fine al peccato per sempre.
Nel servizio del santuario terreno vediamo anche che, per realizzare la purificazione e completare così il ciclo dell’opera del vangelo, prima, si doveva compiere nelle persone che partecipavano al servizio. In altre parole: nel santuario stesso non poteva esserci una fine alla trasgressione, una fine al peccato, un’espiazione per l’iniquità, per ottenere una giustizia eterna, finché tutte queste cose non si fossero prima compiute in ogni persona che partecipava al servizio del santuario.
Il santuario stesso non poteva essere purificato prima che ogni adoratore fosse purificato. Il santuario non poteva essere purificato finché le iniquità, le trasgressioni e i peccati continuava a essere introdotte in esso dalla confessione del popolo e dall’intercessione dei sacerdoti. La purificazione del santuario come tale, consisteva nello sradicamento e nell’espulsione dal santuario, di tutte le trasgressioni del popolo, che dal servizio dei sacerdoti erano state introdotte in esso, nel servizio dell’intero anno. E quel flusso doveva fermarsi alla sua fonte, nei cuori e nelle vite degli adoratori, prima che il santuario stesso potesse essere purificato.
Di conseguenza, la prima cosa che si effettuava nella purificazione del santuario era la purificazione del popolo. Ciò che era essenziale e indispensabile per la purificazione del santuario, per porre fine alla trasgressione, per porre fine al peccato, per espiare l’iniquità e portare una giustizia eterna, era porre fine alla trasgressione, porre fine al peccato, espiare l’iniquità e portare la giustizia eterna nel cuore e nella vita di ognuno del popolo. Quando il flusso che scorreva nel santuario veniva fermato alla sua fonte, allora, e solo allora, il santuario stesso poteva essere purificato dai peccati e dalle trasgressioni del popolo, che erano stati introdotti in esso attraverso l’intercessione dei sacerdoti, e tutto questo “è una figura per il tempo presente”, una prefigurazione del vero. Ci viene così chiaramente insegnato che il servizio del nostro grande Sommo Sacerdote nella purificazione del vero santuario deve essere preceduto dalla purificazione di ogni credente, la purificazione di ciascuno che partecipa al servizio del vero Sommo Sacerdote nel vero Santuario.
È imperativo che la trasgressione abbia fine, che il peccato abbia fine, che l’iniquità sia espiata e che la giustizia eterna sia portata nell’esperienza di ogni credente in Gesù, prima che la purificazione del vero santuario possa essere compiuta.
Questo è lo scopo principale del vero sacerdozio nel vero santuario. I sacrifici, il sacerdozio e il ministero nel santuario, non erano altro che una mera figura per quel tempo presente, e non potevano realmente togliere il peccato, non potevano rendere perfetti coloro che vi si avvicinavano. Ma il sacrificio, il sacerdozio e il ministero di Cristo nel vero Santuario toglie i peccati per sempre, rende perfetti coloro che vi si avvicinano, rende perfetti per sempre “coloro che sono santificati”.
E’ ora, in questo tempo di compimento della speranza dei secoli, in questo tempo in cui il vero santuario deve essere completamente purificato, in questo tempo in cui l’opera del vangelo deve essere completata e il mistero di Dio compiuto, ora è il tempo di tutti i tempi, che mai si è avuto nel mondo; in cui i credenti in Gesù, che sono i beati destinatari del Suo glorioso sacerdozio e della sua mirabile intercessione nel vero santuario, saranno partecipi della pienezza della Sua grazia celeste in modo che nelle loro vite la trasgressione finisca, il peccato finisca e l’iniquità sia espiata per sempre, e nella perfezione della verità ricevano una giustizia eterna.
Questo è precisamente lo scopo del sacerdozio e del ministero di Cristo nel vero santuario. Non è forse sufficiente il Suo sacerdozio? Il Suo ministero non è forse efficace per compiere il Suo scopo? È solo con questo mezzo che la sua realizzazione è assicurata. Nessuna anima da sola potrà porre fine alla trasgressione o eliminare i peccati o effettuare la riconciliazione per le proprie iniquità, o portare una giustizia eterna nella propria vita. Affinché tale cosa possa essere compiuta, deve essere compiuta solo dal sacerdozio e dal ministero di Colui che ha dato Sé stesso e che è stato dato affinché Egli possa compiere proprio questo in ogni anima e presentare ogni anima “santa ed irreprensibile” {Efesini 5: 27} agli occhi di Dio.
Tutti coloro il cui cuore è incline alla verità e alla giustizia, desiderano che ciò sia realizzato; e solo il sacerdozio e il ministero di Cristo possono farlo, ora è il momento del suo pieno e definitivo compimento. Perciò, crediamo in Colui che lo sta realizzando, e confidiamo nel fatto che Lui è in grado di portarlo ad una piena ed eterna conclusione.
Questo è il tempo e questa è l’opera di cui sta scritto che “non vi sarebbe più alcun ritardo” {Apocalisse 10: 6}. Perché non si deve più tardare? Se il sacerdozio del nostro grande Sommo Sacerdote è efficiente, se il Suo sacrificio e il Suo ministero sono del tutto sufficienti in ciò che è promesso e in ciò che ogni credente spera, allora perché dovrebbe esserci un ritardo nel finire la trasgressione, nel porre fine al peccato, nel fare la riconciliazione dell’iniquità e nel portare una giustizia eterna ad ogni anima che crede? Confidiamo perciò nel fatto che Cristo farà ciò per cui ha dato Sé stesso, e che solo Lui può compiere. Confidiamo in Lui e in questa sua opera, e riceveremo in tutta la sua pienezza ciò che appartiene ad ogni anima che crede e confida incondizionatamente nell’Apostolo e Sommo Sacerdote della nostra professione, Cristo Gesù.
Abbiamo visto che il piccolo corno – l’uomo del peccato, il mistero dell’iniquità – ha istituito il suo sacerdozio terreno, umano, peccaminoso, al posto del sacerdozio e del ministero santo, celeste. In questo servizio e sacerdozio del mistero d’iniquità, il peccatore confessa i suoi peccati al sacerdote, ma continua a peccare. In realtà, in quel ministero e sacerdozio non c’è il potere di fare altro che continuare a peccare, anche dopo aver confessato i peccati. Ma, per quanto triste sia la questione, coloro che non appartengono al mistero d’iniquità, ma che credono in Gesù e nel suo sacerdozio celeste, non confessano anche loro i propri peccati, e poi continuano a peccare?
Questo rende giustizia al nostro grande Sommo Sacerdote, al Suo sacrificio e al Suo ministero benedetto? È giusto degradare così Cristo, il Suo sacrificio e il Suo ministero, praticamente al livello “dell’abominazione della desolazione”, dicendo che nel vero ministero non c’è più potere o virtù che nel “mistero dell’iniquità”? Possa Dio liberare la Sua chiesa e il Suo popolo oggi e per sempre, senza ulteriori indugi, da questa condizione degradante in cui viene messo il nostro grande Sommo Sacerdote, il Suo formidabile sacrificio e il Suo glorioso ministero. Confidiamo veramente nel nostro grande Sommo Sacerdote, e che la nostra fede sia veramente incrollabile.
È possibile sentire i protestanti esprimere sorpresa per la cieca stoltezza dei cattolici nel confidare pienamente nel prete. E per quanto riguarda il sacerdozio terreno, la sorpresa è giustificata. La fede incondizionata nel sacerdote è corretta, ma dovrebbe essere posta nel vero Sacerdote. La fede in un falso sacerdozio è estremamente rovinosa, ma il principio dell’incrollabile fiducia nel vero Sacerdote è del tutto corretto.
Gesù Cristo è il vero Sacerdote. Perciò, tutti coloro che credono in Gesù – nel sacrificio che ha fatto, nel sacerdozio e nel ministero che esercita nel vero santuario – non solo devono confessare i loro peccati, ma devono poi assolutamente confidare nel vero Sommo Sacerdote nel Suo ministero e nel vero santuario per porre fine alla trasgressione, porre fine al peccato, fare la riconciliazione per l’iniquità, e portare una giustizia eterna nei loro cuori e nelle loro vite.
Non dimenticare: una giustizia eterna. Non una giustizia oggi, e il peccato domani, e di nuovo la giustizia e di nuovo il peccato. Questa non è una giustizia eterna. La giustizia eterna è quella giustizia che rimane per sempre nella vita di colui che crede e che la confessa, e continua a credere e a ricevere questa giustizia eterna anziché il peccato e il peccare. Solo questa è la giustizia eterna; solo questa è la redenzione eterna dal peccato. E questa benedizione indescrivibile è il dono della grazia di Dio attraverso il ministero celeste che ha stabilito in nostro favore nel sacerdozio e il ministero di Cristo nel santuario celeste.
Di conseguenza, oggi, in questo momento, “finché ci è detto: Oggi” {Ebrei 3: 15}, la Parola di Dio, come mai prima d’ora, ad ogni uomo dice: “ravvedetevi dunque e convertitevi, affinché i vostri peccati siano cancellati, e perché vengano dei tempi di refrigerio dalla presenza del Signore, ed egli mandi Gesù Cristo che è stato predicato prima a voi, che il cielo deve ritenere fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, dei quali Dio ha parlato per bocca di tutti i suoi santi profeti fin dal principio del mondo” {Atti 3: 19-21}.
Il tempo della venuta del Signore e della restituzione di tutte le cose è veramente alle porte. E quando Gesù verrà, riunirà il Suo popolo a Sé. “Per far comparire la chiesa davanti a sé gloriosa, senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma perché sia santa ed irreprensibile” {Efesini 5: 27}. Per vedere sé stesso perfettamente riflesso in tutti i suoi santi {2 Tessalonicesi 1: 10}.
E prima che Lui venga, il Suo popolo deve essere in quella condizione. Dovremmo aver raggiunto, quello stato di perfezione, dovremmo riflettere la piena immagine di Gesù {Efesini 4: 7-8, 11-13}. E quello stato di perfezione, quello sviluppo in ogni credente della completa immagine di Gesù, è la realizzazione del mistero di Dio, che è “Cristo in voi, la speranza della gloria” {Colossesi 1: 27}.
Questa realizzazione trova il suo compimento nella purificazione del santuario, che indica la piena realizzazione del mistero di Dio, e che consiste nel porre fine alla trasgressione, nel porre fine definitivamente ai peccati, nel fare la riconciliazione per l’iniquità, nel portare una giustizia eterna, nel sigillare la visione e la profezia e nell’ungere il luogo Santissimo.
È in questo tempo che la venuta di Gesù e la restaurazione di tutte le cose è alle porte; e visto che il perfezionamento dei santi deve necessariamente precedere quella venuta e quella restaurazione, abbiamo una forte dimostrazione che ora siamo nel tempo di refrigerio, il tempo dell’ultima pioggia. Senza ombra di dubbio è così, attualmente stiamo vivendo nel tempo della cancellazione finale di tutti i peccati che ci hanno perseguitato. La purificazione del Santuario consiste nella cancellazione dei peccati, nel porre fine alla trasgressione nella nostra vita, nel porre fine ad ogni peccato nel nostro carattere, nell’avvento della giustizia di Dio che è per fede in Gesù, affinché solo essa rimanga per sempre.
Questa cancellazione dei peccati deve precedere l’effusione del refrigerio dell’ultima pioggia, perché la promessa dello Spirito scende solo su coloro che hanno la benedizione di Abrahamo, e questa benedizione è pronunciata solo su coloro che sono redenti dal peccato {Galati 3: 13-14}.
Di conseguenza, come mai prima d’ora, dobbiamo pentirci e convertirci, affinché i nostri peccati siano cancellati, affinché terminino completamente nella nostra vita, affinché sia introdotta una giustizia eterna; e la pienezza dell’effusione dello Spirito Santo, in questo tempo di refrigerio dell’ultima pioggia, scenda su di noi. Tutto questo deve avvenire affinché il messaggio del vangelo del regno, che produce la maturazione della messe, sia predicato in tutto il mondo con quella potenza dall’alto con la quale tutta la terra sarà illuminata dalla Sua gloria.
Gesù Cristo, il Signore, il Figlio di Dio, discese dal cielo e si fece carne, e abitò tra gli uomini come Figlio dell’uomo. Morì sulla croce del Calvario per le nostre offese. Risuscitò dai morti per la nostra giustificazione. Salì al cielo come nostro avvocato, e come tale si sedette alla destra del trono di Dio. Egli è sacerdote sul trono del Padre Suo; un sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedek.
Alla destra di Dio, sul trono di Dio, come sacerdote sul Suo trono, Cristo è “ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 2}. Egli ritornerà di nuovo sulle nuvole del cielo con potenza e grande gloria per prendere con Sé il Suo popolo, si presenterà davanti alla Sua chiesa gloriosa e giudicherà il mondo. Queste affermazioni costituiscono i principi eterni della fede cristiana.
Perché la fede sia vera e piena, occorre che la vita di Cristo nella carne, la Sua morte sulla croce, la Sua risurrezione, la Sua ascensione e il Suo sedersi alla destra del trono di Dio nei cieli, siano dei princìpi eterni nella fede di ogni cristiano, e che lo stesso Gesù sia un sacerdote alla destra di Dio sul Suo trono deve essere ugualmente un principio eterno nella fede di ogni cristiano.
Che Cristo – il Figlio di Dio – come sacerdote alla destra del trono di Dio è “ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo”, sarà sempre un principio eterno nella fede matura e piena di ogni cristiano.
E quella vera fede in Cristo – il Figlio di Dio – come vero Sacerdote di quel vero Ministero e Santuario, alla destra della Maestà nei cieli; quella fede nel Suo Sacerdozio e Ministero che mette fine alla trasgressione, che pone fine ai peccati, che redime dall’iniquità e porta una giustizia eterna, quella fede, renderà perfetti tutti coloro che vanno a Lui. Li preparerà per ricevere il sigillo di Dio e per l’unzione finale del luogo Santissimo.
Attraverso quella fede vera, ogni credente che abbia abbracciato quella fede genuina può avere la certezza che in lui e nella sua vita, la trasgressione finirà e i peccati non saranno più, si farà la riconciliazione per ogni iniquità della sua vita e la giustizia eterna regnerà nella sua vita per sempre. Queste affermazioni sono certe, perché la Parola di Dio lo afferma, e la vera fede viene dall’ascolto della Parola di Dio {Romani 10: 17}.
Tutti coloro che hanno questa vera fede possono essere sicuri di tutto ciò che è stato detto, perché Cristo è alla destra del trono di Dio. Lo sanno con certezza per il fatto che Cristo è un sacerdote su quel trono. Con la stessa certezza che Lui è lì come “ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo”. Esattamente con la stessa fiducia che merita ogni dichiarazione inequivocabile della Parola di Dio.
Pertanto, in questo momento, che ogni credente in Cristo si elevi nella forza di quella vera fede, credendo senza riserve nei meriti del nostro grande Sommo Sacerdote, nel Suo santo ministero e nella Sua intercessione in nostro favore.
Nella fiducia di questa vera fede, che ogni credente in Gesù possa esprimere un lungo sospiro di sollievo, in ringraziamento a Dio per l’adempimento di quanto sperato. Che si ponga fine alla trasgressione nella sua vita, che si interrompa per sempre con l’iniquità; che si metta fine ai peccati nella sua vita, in modo da esserne liberato per sempre; che si faccia la riconciliazione per l’iniquità, essendone purificato per sempre dal sangue della dispersione; e che la giustizia eterna possa entrare nella sua vita, per regnare per sempre, per sostenerlo, guidarlo e salvarlo nella pienezza della redenzione eterna che, attraverso il sangue di Cristo, è data ad ogni credente in Gesù, il nostro grande Sommo Sacerdote e vero intercessore.
Allora, nella giustizia, nella pace e nella potenza di questa vera fede, ogni persona che la comprende diffonda la gloriosa novella del sacerdozio di Cristo, della purificazione del santuario, del compimento del mistero di Dio, della venuta del tempo di refrigerio e della prossima venuta del Signore “per essere glorificato nei suoi santi, per essere ammirato in mezzo a quelli che hanno creduto” {2 Tessalonicesi 1: 10} e “per far comparire la chiesa davanti a sé gloriosa, senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma perché sia santa ed irreprensibile” {Efesini 5: 27}.
“Ora il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande, che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che ha eretto il Signore e non un uomo” {Ebrei 8: 1-2}.
“Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel santuario, in virtù del sangue di Gesù, che è la via recente e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e avendo un sommo sacerdote sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, in piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi per purificarli da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Riteniamo ferma la confessione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha fatto le promesse” {Ebrei 10: 19-23}.
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