Progresso di Lettura:
L’Apocalisse
di Uriah Smith
Traduzione amatoriale di: Melis Antonello
Il libro dell’Apocalisse inizia con l’annuncio del suo titolo, e con una benedizione per tutti coloro che presteranno ascolto, diligentemente, alle sue solenni dichiarazioni profetiche:
VERSETTI 1-3: La rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per mostrare ai suoi servitori le cose che debbono avvenire in breve; ed Egli l’ha fatta conoscere mandandola per mezzo del suo angelo al suo servitore Giovanni, il quale ha attestato la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, tutto ciò ch’egli ha veduto. Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e serbano le cose che sono scritte in essa perché il tempo è vicino!
Il titolo: Alcune versioni adottano come titolo del libro il nome di “La Rivelazione”, cui sono aggiunte le parole “Di San Giovanni il teologo”. Contraddicendo così, le parole del libro stesso, che dichiara di essere: “La Rivelazione di Gesù Cristo”. Infatti, è Gesù Cristo il Rivelatore, non Giovanni. Egli non fu che lo scrivano impiegato da Cristo per scrivere questa rivelazione destinata a portare benefici nella sua chiesa. Questo Giovanni é il discepolo che Gesù amò, e che fu il preferito fra i dodici. Giovanni fu apostolo, evangelista e autore delle lettere omonime. A tutti questi titoli bisogna aggiungere quello di profeta, dato che l’Apocalisse è una profezia, come, egli stesso, dichiara. Ma il contenuto di questo libro proviene da una fonte ancora più elevata. Non è solamente la rivelazione di Gesù Cristo, ma “la Rivelazione” che Dio gli diede. Essa proviene dalla Gran Fonte d’ogni sapienza e verità: Dio Padre, che la comunicò a Gesù Cristo, il Figlio, il Quale la inviò, per mezzo di un angelo, a Giovanni suo servo.
Il contenuto del libro: È espresso in una parola: “Rivelazione”.
Una rivelazione è qualcosa resa manifesta, fatta conoscere, non qualcosa nascosta od occulta. Mosè afferma che: “Le cose segrete appartengono all’Eterno, ma quelle rivelate sono per noi e per i nostri figli, per sempre”. (Deuteronomio 29: 29)
Il titolo stesso, perciò, contraddice abbondantemente, l’opinione espressa a volte apertamente, di coloro che considerano questo libro uno dei misteri di Dio, un testo che è impossibile capire.
Se così fosse, come titolo avrebbe: “Il Mistero”, oppure “Il Libro Occulto”, non quello di “Rivelazione”.
Lo scopo: “Per mostrare ai suoi servitori le cose che devono avvenire in breve”. Chi sono i suoi servi? A favore di chi fu concessa la rivelazione? Per alcune determinate persone? Per alcune chiese e per un periodo in particolare? No; essa è per tutta la chiesa, in ogni tempo, mentre, uno ad uno, si compiono gli avvenimenti predetti in questo libro. Esso è per tutti quelli che possono considerarsi suoi servi, ovunque e in qualunque tempo vivano, o siano vissuti.
Dio afferma che lo scopo di questa profezia è quello di rivelare ai suoi servi le cose che devono succedere. Ciononostante, molti dei commentatori e dei teologi, insistono a dire che nessuno può capirla. E’ come se Dio decidesse di far conoscere all’umanità verità importanti, e improvvisamente, quasi cadendo nell’insensatezza umana, le presentasse con un linguaggio e con dei simboli incomprensibili per la mente dell’uomo. Oppure, è come se ordinasse ad una persona di guardare un oggetto lontano, e poi sollevasse una barriera impenetrabile tra l’uomo e l’oggetto, o, come se donasse ai suoi servi una luce per guidarli nelle tenebre della notte, e poi coprisse questa luce con un panno tanto spesso da non lasciar passare un solo raggio del suo splendore. Come, e quanto, gli uomini che trattano così la Sua parola, disonorano Dio! No! La Rivelazione realizzerà lo scopo ed il fine per i quali è stata data, e i “Suoi servi” apprenderanno da essa le “cose che devono avvenire in breve”, e che riguardano la loro salvezza eterna.
Il suo angelo: Cristo inviò e fece conoscere la Rivelazione a Giovanni per mezzo del “Suo angelo”. Ecco ora presentarsi un angelo particolare. Quale angelo, in particolare, può essere definito l’angelo di Cristo? L’abbiamo già ampiamente spiegato nel commento relativo a Daniele 10: 21. In quell’occasione abbiamo imparato che l’angelo cui furono affidate le verità destinate a Daniele, per volontà di Gesù, si chiama Gabriele. Anche allora l’incarico di rivelare verità importanti al profeta “grandemente amato” fu affidato a Gabriele, e così anche adesso, è sempre lui che ha la missione di comunicare verità, altrettanto importanti, al discepolo amato da Gesù Cristo. Chi avrebbe potuto compiere quest’opera se non lo stesso Gabriele che venne in aiuto di Daniele, all’epoca dei messaggi profetici? Così, anche ora, vediamo lo stesso essere celeste assumersi l’incarico d’informare il profeta Giovanni. (Confr. Comm. Apocalisse 19: 10)
Una benedizione per il lettore: “Beato chi legge, e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia”. Abbiamo mai trovato nel resto della Sacra Scrittura, una benedizione così precisa e categorica relativa alla lettura e all’osservanza della Parola di Dio? Come ci deve incoraggiare a leggerla e a conoscerla questa benedizione Divina! Diremo ancora che l’Apocalisse non si può capire? Sarebbe razionale promettere una benedizione per lo studio di un libro che non ci sarebbe stato di nessuna utilità? Dio ha pronunciato una benedizione sul lettore di questa profezia, ed ha confermato col Divino Suggello della Sua approvazione lo studio fervente delle sue pagine meravigliose. Con questo stimolo di fonte divina, il figlio di Dio non deve sentirsi scoraggiato dai mille attacchi degli uomini.
L’insieme delle rivelazioni profetiche ci impone dei doveri. Nell’Apocalisse vi sono cose che devono essere osservate e compiute. La conseguenza della comprensione e della realizzazione profetica, è l’osservanza e l’obbedienza alle prescrizioni divine. Un esempio l’abbiamo in Apocalisse 14: 12, dov’è scritto che: “Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù”.
“Il tempo é vicino” scrive Giovanni; ed ecco un altro buon motivo per studiare il suo libro, che diventa sempre più importante man mano che ci avviciniamo alla fine dei tempi ed al Grande Evento.
In merito a questo punto, leggiamo i pensieri e le solenni impressioni di un altro scrittore: “Con il passare del tempo, cresce l’importanza dello studio dell’Apocalisse, in cui vi sono: ‘cose che devono avvenire in breve’. Già al tempo di Giovanni, quando egli registrò le parole di Dio e la testimonianza di Gesù, e tutte le cose che vide, si avvicinava il lungo periodo, in cui stavano per realizzarsi tutti i fatti predetti e i simboli presentati”.
La prima di tutta la serie consequenziale era sul punto di compiersi.
Se quest’imminenza era, già allora, un buon motivo per prestare attenzione al contenuto del libro, quanto più lo sarà ora! Ogni secolo che passa, ogni anno che trascorre intensifica l’urgenza di dare ascolto a quest’ultimo libro della Sacra Scrittura.
L’attaccamento alle cose materiali dei nostri contemporanei, non aumenta forse ancor di più il carattere razionale di quest’esigenza? Non c’è mai stata, un’epoca come la nostra, in cui sia comune il bisogno di una forza morale che s’opponga poderosamente al degrado, al materialismo e all’immoralità. La Rivelazione di Gesù Cristo debitamente studiata esercita un’opportuna e benefica influenza moralizzatrice. Oh, se tutti i cristiani ricevessero in quantità sempre maggiore la benedizione destinata a coloro che leggono, e che ascoltano “le parole di questa profezia, e serbano le cose che sono scritte in essa perché il tempo é vicino”.
La dedica: Dopo la benedizione abbiamo la dedica, con queste parole:
VERSETTI 4-6: Giovanni alle sette chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, e dai sette Spiriti che son davanti al Suo trono, e da Gesù Cristo, il fedel testimone, il primogenito dei morti e il Principe dei re della terra. A Lui che ci ama e ci ha lavati dai nostri peccati col Suo sangue, e ci ha fatti essere re e sacerdoti all’Iddio e Padre Suo, a Lui siano la gloria e l’imperio nei secoli dei secoli. Amen.
Le chiese dell’Asia: C’erano più di sette chiese in Asia, compresa la parte occidentale conosciuta come Asia Minore. E se consideriamo un territorio ancora più piccolo, cioè quella piccola zona in cui si trovano le chiese citate, scopriamo che in quello stesso territorio, ne esistevano altre, alcune delle quali erano, certamente più importanti. Colosse, ad esempio, ai cui cristiani Paolo inviò la lettera omonima, era molto vicina a Laodicea. Patmo, dove Giovanni ebbe la visione, era la più vicina a Mileto, che a sua volta era un importante centro cristiano, a giudicare dal fatto che Paolo stesso vi fece tappa. E da cui fece chiamare gli anziani della chiesa di Efeso (Atti 20: 17-38), e in cui lasciò, tra buoni cristiani, il suo discepolo Trofimo, che si era ammalato (2° Timoteo 4: 20). Troade, dove Paolo dimorò un certo periodo e da cui si mise in viaggio dopo il sabato, non distava molto da Pergamo, una delle sette chiese citate.
È interessante sapere perché furono scelte proprio quelle sette chiese, e perché, proprio ad esse, sia stato dedicato il libro dell’Apocalisse.
Chiediamoci se sia sensato credere che il saluto di Apocalisse 1: 4 sia indirizzato a quelle chiese letterali. Lo stesso vale per gli ammonimenti dei capitoli 2 e 3. Ancora. Ci sono descritte solamente le condizioni specifiche di quelle chiese esistenti, o anche di quelle future? No! Non possiamo giungere a queste conclusioni. Abbiamo molti e buoni motivi per contestare quest’ipotesi.
Tutto il libro é dedicato alle sette chiese (confr. 1: 3,11,19; 22: 18,19).
Il libro non si rivolge, solo, ai cristiani di quelle chiese, ma anche a tutti i credenti cristiani, dovunque siano: in Asia Minore o nel Ponto, in Cappadocia o in Bitinia, a quelli di Colosse come a quelli di Mileto; in qualunque luogo essi si trovino. Ma c’è di più.
Crediamo che solo una piccola parte del libro sia indirizzata alle sette chiese ed ai loro membri contemporanei di Giovanni, perché la maggioranza dei fatti rivelati non si sarebbero manifestati in quel periodo, né nel periodo in cui esistevano le citate chiese. Esse, perciò, non avrebbero mai avuto a che fare con gli avvenimenti predetti.
Le sette stelle che il Figlio dell’uomo ha in mano sono, come Lui stesso dichiara, gli angeli delle sette chiese (vers. 20). Tutti ammetteranno che gli angeli delle chiese simboleggino i suoi ministri. Il fatto che siano nella Sua destra evidenzia il Suo potere che sostiene, la guida e la protezione che Gesù concede loro. Ma ve n’erano solo sette nella Sua destra: sono solo sette coloro che sono curati così amorevolmente dal Gran Maestro delle assemblee? Non potranno tutti i ministri, quelli dell’intero periodo evangelico, avere da questo simbolo la consolazione di sapersi sostenuti e guidati dal Gran Capo della Chiesa?
E’ questa l’unica conclusione logica cui si può convenire. Aggiungiamo inoltre che Giovanni, penetrando con lo sguardo l’era cristiana, vide il Figlio dell’uomo in mezzo ai sette candelabri che rappresentano le sette chiese. La posizione di Cristo tra essi simboleggia la Sua presenza accanto ai Suoi figli, la cura premurosa che ha di loro mentre ne scruta la condizione. Ma Gesù riconosce forse solo sette singole chiese? Non potremo, allora, affermare più esattamente che quest’immagine vuole rappresentare la volontà Divina di assistere le Sue chiese, nel loro insieme, lungo tutto il periodo dell’Era Evangelica?
Allora perché sono indicate solo sette chiese? Nella Bibbia il numero sette è usato per indicare la pienezza, la completezza e la perfezione. Da ciò si evince che i sette candelabri e le sette chiese rappresentano la chiesa attraverso i sette periodi dell’Era Evangelica.
Chiediamoci ora: perché si scelsero proprio “quelle” sette chiese? Esattamente perché il significato dei loro nomi, sintetizzando il contenuto delle lettere, esprimeva la condizione spirituale dei diversi periodi, che ognuna di esse rappresentava.
Da tutto questo si desume che le “sette chiese”, non sono semplicemente quelle esistenti allora in Asia Minore, ma i sette periodi dell’era cristiana, che va dal periodo apostolico sino alla fine del tempo di grazia (confr. comm. Apocalisse 2: 1).
L’origine della benedizione: “Da Colui che è, che era e che viene”, o “che sarà”, è un’espressione che si riferisce in questo caso a Dio Padre, dato che lo Spirito Santo e Gesù Cristo, nel contesto immediato, sono nominati separatamente.
I sette spiriti: Questa espressione, probabilmente, non indica gli angeli ma lo Spirito di Dio. Egli è, per la chiesa, una fonte di grazia e di pace. Su questo tema così rilevante, Thompson scrive: -Stavolta lo Spirito Santo è chiamato “i sette spiriti”, perché sette è numero sacro e perfetto, dato che quest’espressione non vuole indicare un’intima pluralità, ma la pienezza e la perfezione dei Suoi doni e della Sua opera”. Albert Barnes dichiara: “. . . Probabilmente lo Spirito Santo è stato accostato simbolicamente al numero sette, per significare la diversità e la pienezza della Sua opera nell’animo umano, e per i molteplici interventi nei fatti del mondo, come vedremo più avanti in questo libro”.
Il suo trono: Il riferimento è al trono di Dio Padre, giacché Cristo non è ancora asceso al Suo. I sette spiriti che stanno davanti al trono, stavolta, indicano che lo Spirito Divino stava, per così dire, per essere inviato, ed era pronto, secondo un’immagine consueta delle Scritture, a compiere importanti interventi nei fatti umani.
E di Gesù Cristo: Vediamo ora indicate, alcune delle principali caratteristiche di Cristo. Egli è il “Testimone fedele”: qualunque cosa Egli attesti è la verità, qualsiasi cosa Egli prometta, certamente la manterrà!
“Il primogenito dei morti” è un’espressione parallela ad altre che troviamo in 1° Corinzi 15: 20-23; Ebrei 1: 6; Romani 8: 29; e Colossesi 1: 15-18, e che si riferiscono a Gesù Cristo quale “primizia di quelli che dormono”, “primogenito in terra”, il “primogenito fra molti fratelli”, “il primogenito d’ogni creatura”. Tuttavia, queste espressioni non vogliono significare che Egli sia stato “il Primo” ad essere risuscitato fra i morti; altri infatti furono richiamati in vita prima di Lui, anche se questo non ha nessuna importanza, perché Cristo è il simbolo centrale di tutti quelli che uscirono dalla tomba, poiché, se altri tornarono in vita, ciò fu possibile solo in virtù della Sua venuta, del Suo ministero, della Sua morte e della Sua Resurrezione. Nel proposito di Dio, Cristo fu “il Primo” per importanza, anche al di là del concetto del tempo, perché, sebbene altri siano risuscitati prima di Lui, ciò accadde perché nel piano di Dio, che Egli concepì e vide compiuto nella Sua mente, Egli guardò il Suo Figliolo trionfare sulla morte. Perché Dio “chiama le cose che non sono come quelle che sono” (Romani 4: 17), e quelli furono liberati in virtù di quello straordinario proposito che si sarebbe realizzato al tempo dovuto.
Cristo è il “Principe dei re della terra”. In un certo senso lo è già da ora. Paolo, in Efesini 1: 20-21, afferma che: “Egli si è già seduto alla destra di Dio nei cieli, sopra ogni principato, potestà e autorità e signoria e d’ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma in quello a venire”. I nomi più onorati in questo mondo sono quelli dei principi, dei re, degli imperatori e dei potenti; ma Cristo è stato stabilito più in alto di loro: Egli è assiso col Padre sul trono del dominio universale, e sta alla stessa altezza di Lui nel controllo di tutte le nazioni della terra. (Apocalisse 3:21).
Nel senso più vero del termine, Cristo deve diventare Principe dei re della terra, quando sarà assiso sul proprio trono e i regni di questo mondo saranno: “I regni del Nostro Signore e del Suo Cristo”, quando dal Padre saranno consegnati nelle Sue mani, ed Egli s’elevi con il titolo di “Re dei re e Signore dei signori”, scritto sul Suo vestito, per spezzare le nazioni, come se fossero vasi d’argilla. (Apocalisse 19:16; 2:27; Salmo 2:8-9).
Di Cristo si parla, inoltre, come: di Colui che “ci amò, e ci ha lavato dai nostri peccati col Suo sangue”. Accade a volte che crediamo d’aver ricevuto tanto amore dai nostri amici e parenti (padri, fratelli, cugini, amici), ma il loro amore, se lo paragoniamo con l’amore che Cristo ci ha manifestato, è ben poca cosa.
La frase successiva amplifica e spiega il significato delle parole precedenti: “E ci ha lavato dei nostri peccati col Suo sangue”. (Giovanni 15: 13). Solo Cristo ci amò, al punto di dare se stesso sulla croce: “Quando eravamo ancora peccatori”. Di più: “Ci ha fatti re e sacerdoti di Dio Padre”. A noi, che eravamo suoi nemici, ci considera suoi amici; non solo, ma ci ha elevati in onore e dignità. Che amore incomparabile! Con quale Provvidenza Dio ha voluto beneficarci perché fossimo salvati, perché ci fosse concesso d’essere purificati dai nostri peccati.
Consideriamo per un attimo il servizio nel Santuario e il suo profondo significato. Quando un peccatore confessa i suoi peccati e riceve il perdono, li passa a Cristo, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Nei libri del cielo dov’erano registrati, il sangue di Cristo li copre; e se colui che si è convertito rimane fedele alla sua professione di fede, questi peccati non saranno mai rivelati; non solo, ma saranno distrutti dal fuoco che purificherà la terra, quando saranno consumati nel fuoco sia i peccati sia i peccatori impenitenti. Il profeta Isaia scrive: “Ti sei gettato dietro alle spalle, tutti i nostri peccati”. (Isaia 38: 17) Allora si realizzerà il proposito del Signore, come fu scritto: “Non mi ricorderò più del suo peccato”. (Geremia 31: 34) Non ci appaia strano che il discepolo tanto amato da Gesù, e che tanto amò Gesù, voglia ora evidenziare l’eternità, la gloria e i meriti del Salvatore.
VERSETTO 7: Ecco, egli viene colle nuvole; e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui. Si, Amen.
Ora Giovanni è trasportato nel futuro, al secondo Avvento di Cristo in gloria, evento conclusivo del Suo piano in favore dell’umanità caduta. Egli venne una prima volta, rivestito di debolezza, ora torna con potenza; venne una prima volta in umiltà, ora torna in gloria. Viene con le nubi, così come ascese nei cieli davanti agli apostoli (Atti 1: 9 – 11).
Il suo ritorno visibile: “E ogni occhio lo vedrà”. Tutti quelli che saranno vivi al suo ritorno, Lo vedranno. Giovanni non afferma che il ritorno di Cristo avverrà nel silenzio della notte, o nel deserto, o nelle stanze segrete. Gesù verrà come un ladro: ma non con il significato di “furtivamente, segretamente, o silenziosamente”, ma “improvvisamente”. Egli verrà per prendere i suoi tesori più preziosi: i santi, sia che dormano, sia che vivano. Viene per riprendersi coloro che comprò a prezzo del Suo Preziosissimo sangue, coloro che strappò dal potere della morte operando con lealtà e giustizia. Per loro, il Suo ritorno non sarà meno visibile e trionfante. Sarà con lo sfolgorio e lo splendore del lampo quando dardeggia dall’oriente sino ad occidente. (Matteo 24: 27) Sarà con il suono della tromba che penetra perfino nelle più remote profondità della terra, con una voce così potente che risveglierà i santi che dormono nei loro letti polverosi (Matteo 24:31;1° Tessalonicesi 4:16). Sorprenderà gli empi “come un ladro”, perché chiusero ostinatamente gli occhi per non vedere i segni dell’imminenza del Suo ritorno, e non vollero credere alle affermazioni e alle dichiarazioni della Sua Parola che avvertiva tutti di tale imminenza.
Per quanto riguarda il “modo”, le Scritture non sostengono le tesi di coloro che insegnano che vi saranno due tipi d’avvento: uno privato e l’altro pubblico.
“Lo vedranno anche quelli che Lo trafissero” Oltre ad “ogni occhio”, la profezia si riferisce anche ai malvagi che presero parte e che ebbero un ruolo attivo nella tragedia della Sua morte. La Bibbia assicura che essi Lo vedranno tornare sulla terra in modo glorioso e trionfale. Come si spiega questo fatto? Se ora essi non vivono, come potranno vederLo al Suo ritorno? Vi sarà una resurrezione dei morti. È questo l’unico modo in cui, coloro che sono nelle tombe, possono tornare in vita. Significa forse che questi empi torneranno in vita in quell’occasione, anche se la resurrezione generale dei malvagi non ci sarà che mille anni dopo il 2° Avvento?
Leggiamo cosa dice in proposito Daniele: “E in quel tempo sorgerà Micael, il gran capo, il difensore de’ figlioli del tuo popolo; e sarà un tempo d’angoscia, quale non se n’ebbe mai da quando esiston le nazioni fino a quell’epoca; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli, cioè, che saran trovati iscritti nel libro. E molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per una eterna infamia” (Daniele 12: 1-2).
Ecco che é qui descritta una resurrezione parziale, quella di una categoria di giusti e di empi, e che si compie prima della resurrezione generale dei due gruppi. Al ritorno di Gesù molti di quelli che dormono si risveglieranno, ma non tutti, cioè: alcuni dei giusti, per la vita eterna; e alcuni degli empi per l’obbrobrio e la vergogna eterna. Questo risveglio parziale avviene durante il periodo del gran tempo d’angoscia “come non ci fu mai”, che precede di pochissimo il ritorno del Signore. Tra coloro che risorgeranno per la vergogna e l’obbrobrio eterno, non potremo annoverare anche quelli che Lo trafissero? Non è secondo giustizia che coloro che presero parte al martirio, e i responsabili dell’assassinio di Gesù, e quelli che incitarono il popolo ebreo alla ribellione, e che eseguirono materialmente quel crimine, siano riportati momentaneamente in vita, onde contemplare la Sua tremenda maestà, quando tornerà trionfante, e con fiamme di fuoco, per punire coloro che non riconobbero Dio, e non ubbidirono all’Evangelo? La risposta della Chiesa é: “Si! Amen”. Anche se per gli empi l’avvento di Cristo è motivo di terrore e distruzione, per i giusti è motivo di trionfo e di gioia. Assieme alle “fiamme di fuoco”, che serviranno per l’esecuzione della condanna degli empi, Gesù porterà la ricompensa per tutti quelli che credono. (2° Tessalonicesi 1: 6-10) Ogni uomo che ama Cristo saluterà il Suo ritorno; così come accoglierà con gioia ogni notizia e ogni testimonianza in merito.
VERSETTO 8: Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine, dice il Signore che é, che era e che viene, l’Onnipotente.
Chi parla ora è un’altra persona, non Giovanni. Presentandosi usa la doppia caratterizzazione “Alfa e Omega, Principio e Fine”, che ritroviamo in Apocalisse 22: 3, dove, in armonia con i versetti 12 e 16 di quel capitolo, ci viene rivelato che, in entrambi i casi, è Cristo che parla.
VERSETTO 9: Io, Giovanni, vostro fratello e partecipe con voi della tribolazione, del regno e della costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmo a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Ora il tema è diverso. Giovanni presenta il luogo e le circostanze in cui ebbe la rivelazione. Si presenta come fratello della chiesa universale, compagno nella tribolazione.
Con la parola “regno” Giovanni intende evidentemente riferirsi al futuro regno di gloria, e introduce il concetto che la tribolazione fa parte della preparazione necessaria per entrare nel Regno di Dio. Questo concetto lo ritroviamo più tardi, ad esempio in Atti 14: 22 “… dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni “, e in 2° Timoteo 2: 12 “… se abbiamo costanza nella prova con Lui altresì regneremo”. I veri credenti hanno ora la certezza di accedere un giorno al trono della grazia, a quel trono cui, dopo la conversione, Dio “ci ha trasportati al regno del Suo adorato Figlio”. (Colossesi 1: 3)
Ma è al 2° Avvento di Cristo che s’inaugura il Suo Regno Glorioso. Sarà allora che i santi vi avranno accesso: dopo che saranno stati redenti da questo mondo malvagio. In quel giorno finirà la tribolazione ed i figli di Dio gioiranno nella luce della presenza del Re dei re, per l’Eternità.
Il luogo in cui scrisse: Patmo è un isolotto arido di fronte alla costa occidentale dell’Asia Minore, tra l’isola di Icaro e il promontorio di Mileto, in cui al tempo di Giovanni c’era la più vicina chiesa cristiana. Ha circa 16 km di larghezza e 10 di lunghezza massima. La costa è molto frastagliata e a quel tempo c’erano molti porti. Adesso l’unico ancora esistente si trova in una baia rotonda, sovrastata da alte montagne e protetta da un promontorio. Il villaggio vicino a questo porto è situato su di un alto monte che si leva a picco sul mare. A metà strada, tra il porto e il villaggio, vi é una grotta naturale in cui la tradizione vuole che Giovanni abbia avuto la visione e scritto l’Apocalisse. Per questa desolazione l’Impero Romano la scelse come destinazione per gli esiliati. Ecco perché Giovanni si trovava li; egli fu esiliato al tempo di Domiziano, verso l’anno 94 d.C.; il libro lo scrisse tra il 95 e il 96.
La causa dell’esilio: “Per la parola di Dio e la testimonianza di Gesù”. Era questo il delitto, il grave crimine di Giovanni. Il tiranno Domiziano allora imperatore di Roma, più noto per i suoi vizi che per l’impegno civile, anche se impressionato dalla santità dell’anziano apostolo, non voleva permettere la proclamazione dell’Evangelo nel suo regno. Esiliò allora Giovanni in quell’isolotto solitario, per poi sentirsi tranquillo, avendolo allontanato dal mondo, come se l’avesse ucciso. Dopo averlo esiliato e condannato al lavoro nella miniera, Domiziano s’illuse che il mondo non avrebbe più sentito parlare del predicatore della giustizia. È probabile che i persecutori di Johan Bunyan abbiano pensato la stessa cosa, quando lo rinchiusero nel carcere di Bedford. Quando l’uomo crede di avere sepolto la verità nell’oblio più profondo, il Signore la risuscita moltiplicandone la gloria e la potenza. Dalla cupa e stretta cella di Bunyan brillò un raggio di luminosa spiritualità: egli scrisse il libro “Viaggio del Pellegrino”, che, per quasi trecento anni, mantenne vivo l’interesse per l’Evangelo.
Dall’arida isola di Patmo, dove Domiziano sperava che almeno quella fiaccola di verità si sarebbe spenta per sempre, scaturì la più maestosa rivelazione di tutto il sacro canone, destinata a diffondere la luce divina su tutto il mondo cristiano sino alla fine dei tempi.
Quanti, tra coloro che ricorderanno e rispetteranno il nome dell’amato discepolo per le sue straordinarie visioni, dimenticheranno per sempre il nome del mostro che lo fece esiliare! Nella vita, a volte, si avverano le parole della Scrittura le quali ci ricordano che: “La memoria del giusto sarà eterna, ma il nome degli empi marcisce” (Salmo 112: 6, Proverbi 10: 7).
VERSETTO 10: Fui rapito in Spirito nel giorno del Signore, e udii dietro a me una gran voce, come d’una tromba.
Nonostante Giovanni si trovi esiliato, separato dai suoi fratelli in fede, fino ad essere quasi completamente fuori del mondo, non è, in ogni caso, separato né da Dio, né da Cristo, né dallo Spirito Santo e neppure dagli angeli; egli era del continuo in comunione con il suo Divino Signore.
L’espressione “in Spirito” vuole indicare il più sublime stato spirituale, una condizione d’estasi ed elevazione cui si può giungere per l’intervento dello Spirito Santo di Dio. Quando Giovanni ebbe la visione si trovava in questa condizione.
“Nel giorno del Signore”: Quale giorno si indica così? Questa domanda ha avuto diverse risposte. Alcuni sostengono che quest’espressione comprende tutta l’era evangelica e che non si riferisce ad un giorno di 24 ore. Altri sostengono che “il giorno del Signore”, è il giorno del giudizio, tante volte citato nelle Scritture. Altri ancora affermano che questa frase indichi il primo giorno della settimana. Vi é, infine, un gruppo di persone che ritengono che queste parole indichino il 7° giorno della settimana, il giorno del riposo del Signore.
Alla 1° di queste opinioni rispondiamo che: il libro dell’Apocalisse fu rivelato a Giovanni in un giorno preciso, che lui definì “giorno del Signore”. L’autore, il luogo e il giorno in cui fu scritto sono tutte situazioni reali, non simboliche o mistiche; considerandolo così e sostenendo che rappresenta l’era evangelica, facciamo una supposizione inammissibile. Perché mai Giovanni avrebbe indicato l’era evangelica come “giorno del Signore”, quando tutti sono a conoscenza del fatto che il libro fu scritto all’incirca 60 anni dopo la morte di Cristo?
Neppure la seconda opinione, che vi scorge il giorno del giudizio, è corretta. Anche se Giovanni ebbe una visione di quel “Giorno”, non può averla avuta “quello stesso Giorno” dato che “quel Giorno è ancora nel futuro”. La parola greca “en” ha lo stesso significato della corrispondente italiana “in” quando è riferita al tempo. Thayer a questo proposito così scrive: “… periodi o parti di tempo nei quali accade qualcosa: in, durante, ecc. Essa non significa mai: “Circa” o “Concernente il…”; e coloro che ne danno questo significato commettono un errore grammaticale, e fanno di Giovanni un bugiardo per aver affermato, più di 1900 anni fa, d’aver avuto una visione NEL GIORNO del Giudizio, che invece OGGI è ancora nel futuro.
La terza opinione, la più diffusa, pretende che essa indichi il 1° giorno della settimana. Mancano, però, le prove a sostegno. Il testo, d’altra parte, non definisce il termine “giorno del Signore”, perciò, se vogliamo vedervi il 1° giorno della settimana, dobbiamo trovare in un’altra parte della Bibbia la prova che questo giorno della settimana sia abitualmente definito così.
Tra gli autori ispirati, gli unici che parlano del primo giorno della settimana, sono: Matteo, Marco, Luca e Paolo; ed essi l’indicano semplicemente come “primo giorno della settimana”. Non ne parlano mai in un modo che lo classifichi superiore ad uno qualsiasi degli altri sei, e questo è tanto più indicativo in quanto, tre dei succitati ne parlano proprio in occasione della Resurrezione del Signore Gesù, e due di loro lo fanno trent’anni dopo.
Si sostiene che “il giorno del Signore” sia stata l’espressione comunemente usata per indicare il 1° giorno della settimana. Domandiamoci: dov’è la prova di quest’affermazione? Da nessuna parte. In verità abbiamo le prove del contrario. Se questo fosse stato il modo abituale per indicare il 1° giorno della settimana nel tempo in cui l’Apocalisse fu scritta, lo stesso autore avrebbe continuato a chiamarlo così in tutti i suoi scritti successivi. Giovanni, infatti, scrisse il suo vangelo dopo l’Apocalisse, e mai in esso chiamò il primo giorno della settimana “giorno del Signore” ma semplicemente “primo giorno della settimana”. Chi voglia conoscere la cronologia degli scritti Giovannei troverà ampia e autorevole documentazione.
Quest’opinione è smentita anche dal fatto che né il Padre né il Figliolo dichiararono che tale giorno fosse diverso dagli altri giorni lavorativi. Né l’Uno, né l’Altro mai lo benedirono, né lo dichiararono santo, se l’avessero santificato in virtù della Resurrezione di Cristo, avvenuta in quel giorno, la Parola ispirata ci avrebbe senza dubbio informato. E se noi uomini, anche senza una precisa volontà Divina, dichiariamo santo il giorno della Resurrezione, perché non dichiariamo tali anche i giorni della crocifissione, o dell’ascensione, dato che anch’esse sono eventi fondamentali nel Piano della Salvezza?
Dopo avere scartato le prime tre ipotesi, esaminiamo la quarta che riconosce nel “giorno del Signore” il Sabato, e che merita tutta la nostra attenzione. A sostegno di questa tesi si possono portare prove inconfutabili.
Quando alla Creazione Dio diede all’uomo sei giorni per lavorare, riservò per Se il settimo, lo benedisse e lo santificò. In modo chiaro ed inequivocabile lo dichiarò Suo e Santo (Genesi 2: 1-3).
Mosè, nel deserto del Sinai, il sesto giorno della settimana disse ad Israele: “Domani è il Santo Sabato, il riposo dell’Eterno” (Esodo 16: 23). Quando sul Sinai, in uno scenario di terribile manifestazione di gloria, il Gran Legislatore proclamò i suoi precetti morali nel codice supremo della Legge, confermò la sacralità del Suo giorno di riposo: “Il settimo giorno sarà un giorno di riposo sacro all’Eterno tuo, Dio… perché in sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra e il mare e tutto ciò ch’è in essi, e si riposò il settimo: per questo l’Eterno benedisse il giorno di riposo e lo santificò”. (Esodo 20: 10-11). Ottocento anni dopo, tramite il profeta Isaia, Dio ancora esorta ciascuno di noi: “Se tu trattieni il pie’ per non violare il sabato facendo i tuoi affari nel mio giorno santo… allora troverai la tua delizia nell’Eterno” (Isaia 58: 13-14).
Consideriamo i tempi del Nuovo Testamento e arriviamo a “Colui che è Uno col Padre”, e che afferma in modo categorico: “… perciò il Figlio dell’uomo é Signore anche del sabato” (Marco 2 :28); può qualcuno negare ciò che Egli afferma in modo così esplicito? Abbiamo appena visto che sia il Padre sia il Figlio, chiamano il sabato “giorno del Signore”; solo quello, e nessun altro, solamente il sabato del Dio Creatore. Abbiamo notizia di un altro giorno della settimana che durante l’era cristiana sia stato considerato come “giorno del Signore”? Il Sacro Libro nega completamente, esaurientemente e chiaramente quello che alcuni pretendono: cioè che durante il periodo evangelico non vi fosse un giorno di riposo e che tutti i giorni fossero uguali. Dichiarandolo “giorno del Signore” l’Apostolo ci ha dato, già dalla fine del 1° secolo, la sanzione apostolica d’osservare l’unico giorno santo all’Eterno: il sabato, il 7° della settimana.
Durante la Sua vita terrena, Gesù Cristo indicò chiaramente quale fosse il Suo giorno, quando disse: “… perché il Figliol dell’uomo è Signore anche del sabato” (Matteo 12: 8); se avesse detto: “Il figlio dell’uomo è Signore anche del primo giorno della settimana”, non si citerebbe questa frase come prova assoluta della santità della domenica? Certamente si, e a ragione! Quindi dobbiamo accettare lo stesso argomento per riconoscere il 7° come giorno santo, l’unico giorno cui si riferisce l’espressione usata da Giovanni.
VERSETTI 11-18: Quel che tu vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea. E io mi voltai per veder la voce che mi parlava; e come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro; e in mezzo ai candelabri Uno somigliante a un figliol d’uomo, vestito di una veste lunga fino ai piedi, e cinto d’una cintura d’oro all’altezza del petto. E il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come bianca lana, come neve; e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco; e i suoi piedi eran simili a terso rame, arroventato in una fornace; e la sua voce era come la voce di molte acque. Egli teneva nella sua man destra sette stelle; e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta, e il suo volto era come il sole quando splende nella sua forza. E quando l’ebbi veduto caddi ai suoi piedi come morto; ma Egli mise la sua man destra su di me, dicendo: “Non temere, io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades”.
Con l’espressione “mi voltai a veder la voce” l’apostolo intende le persone dalle quali essa proviene.
Sette candelabri d’oro: Questi candelabri non possono essere l’antitipo del candelabro d’oro con sette bracci del vecchio servizio ebraico, perché nel tempio ce n’era soltanto “uno”, e infatti la Scrittura ne parla sempre al singolare. Qui, invece, ne abbiamo sette, che sono molto più che i semplici supporti per le lampade che servono ad illuminare una stanza. Questi non somigliano affatto al candelabro dell’antico tabernacolo, inoltre tra essi c’è tanto spazio, che Giovanni vede il Figlio dell’uomo camminarvi in mezzo.
Il Figlio dell’uomo: La figura centrale che attira l’attenzione di Giovanni, e anche la nostra, è la maestosa persona di Gesù Cristo. Ecco la descrizione che ne fa Giovanni: dalla veste lunga e sciolta, alla chioma bianca, non per vecchiezza, ma per lo splendore della gloria celeste. I Suoi occhi di fuoco, i Suoi piedi lucenti come rame fuso, e la Sua voce simile al fragore di molte acque. Descrizione insuperabile, grandiosa e sublime. Sopraffatto dalla presenza dell’augusto Signore, e dalla consapevolezza della propria indegnità umana, Giovanni cade ai Suoi piedi come morto; ma una mano consolatrice si posa su di lui, e, la stessa voce, che infonde la vita, l’esorta a non temere. Succede la stessa cosa anche ai cristiani d’oggi, è un privilegio riservato anche a noi quello di sentire la stessa mano che ci sostiene e ci fortifica nell’ora della prova e della tribolazione; ed è sempre la stessa voce che ci incoraggia: “Non temete”. Ma ciò che più ci consola, e che infonde nei nostri cuori pace e serenità, è la dichiarazione di Gesù. Le Sue parole ci ricordano che Egli vive per l’Eternità, e che Lui è arbitro della morte e della tomba: “Ho le chiavi della morte e della tomba”. La morte è un tiranno sconfitto; essa può gettare nella fossa gli uomini più preziosi della terra, può esultare per l’apparente vittoria, ma la sua opera è vana: perché le è stata sottratta la chiave del suo oscuro carcere, perché questa chiave è nelle mani di Uno più potente di lei, e sarà costretta a depositare i suoi trofei in un luogo, sul quale un Altro ha il potere assoluto. Quest’Altro è l’Amico Immutabile, il Redentore che ha dato Sé stesso per la salvezza del Suo popolo.
Perciò non rattristatevi per i giusti che sono morti: sono custoditi con molta cura, un nemico li rapisce per un certo tempo, ma un Amico ha la chiave del carcere in cui sono rinchiusi.
VERSETTO 19: Scrivi le cose che hai visto dunque, quelle che sono e quelle che devono avvenire in appresso.
Ora a Giovanni è ordinato di scrivere tutta la Rivelazione, soprattutto le cose che in quel tempo non erano ancora avvenute. I fatti che si erano compiuti in quel tempo, erano pochi; ma l’invito è deciso, e lascia intendere che non avrebbe dovuto trascurare neanche un anello della grande catena profetica.
VERSETTO 20: Il mistero delle sette stelle che hai vedute nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese.
Rappresentare il Figlio di Dio che tiene in mano solo i ministri delle sette chiese letterali dell’Asia Minore, e che cammina, solamente, in mezzo ad esse, è ridurre a ben poca cosa la grandezza dei messaggi di questo capitolo e di quelli successivi. La premurosa attenzione e la presenza del Signore non sono una benedizione solo per poche chiese, ma per tutto il Suo popolo, e non per il tempo di Giovanni, ma per sempre. “Ecco io sono con voi in ogni tempo – disse ai Suoi discepoli – fino alla fine del mondo”.
Nel 1° capitolo il profeta ha accennato il tema delle sette chiese e dei loro ministri, le prime sono simboleggiate dai sette candelabri, gli altri dalle sette stelle. Ora Giovanni considera ogni chiesa singolarmente, e scrive il messaggio destinato a ciascuna indirizzando la lettera all’angelo della chiesa cui è destinata.
VERSETTI 1-7: All’angelo della chiesa di Efeso, scrivi: Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella sua destra, e che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: Io conosco le tue opere e la tua fatica e la tua costanza e che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli e non lo sono, e li hai trovati mendaci; e hai costanza e hai sopportato molte cose per amor del mio nome, e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore. Ricordati dunque donde sei caduto, e ravvediti, e fa le opere di prima; se no, verrò a te, e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se tu non ti ravvedi. Ma tu hai questo: che odi le opere dei Nicolaiti, le quali odio anch’io. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.
A chi vince io darò a mangiare dell’albero della vita, che sta nel Paradiso di Dio.
La chiesa di Efeso: Nei commenti relativi ad Apocalisse 1: 4, sono state anticipate alcune delle ragioni che spiegano perché le lettere indirizzate alle sette chiese sono profetiche e sono, in realtà, dei messaggi inviati ai sette periodi in cui si divide il tempo che va, dall’ascensione di Cristo in cielo, fino al Suo ritorno. Quest’opinione non è nuova. Thomas Newton, a questo proposito, scrive: – Molti negano, e tra loro uomini saggi come Moro e Vitringa, che le sette lettere sono profetiche di altrettanti periodi successivi, e dei sette stati spirituali della chiesa, dall’ascensione di Cristo fino al Suo ritorno -.
Thomas Scott rileva come: – Molti commentatori hanno immaginato che queste lettere dirette alle sette chiese, siano profetiche di sette distinti periodi in cui si è diviso l’era cristiana dal periodo apostolico sino alla fine del mondo -.
Anche se, né Newton, né Scott erano di quest’opinione, la loro testimonianza dimostra come questa tesi fosse sostenuta da “molti commentatori”. Due di loro dicono: – Il più antico commentatore dell’Apocalisse, la cui opera é giunta fino a noi, fu Vittorino, vescovo di Patavio, che subì il martirio nel 303. Uomo pio, era contemporaneo di Ireneo, attento espositore delle Scritture, acuto e perspicace nel percepirne il significato. Ad eccezione d’alcuni frammenti, la maggior parte dei suoi scritti é andato perduto, sopravvivono solo i suoi commenti sull’Apocalisse, anche se meno puri di come avremmo desiderato, sufficienti, però, a darci un’idea delle sue opinioni.
Nella sua “Scholia in Apocalypsis”, afferma che quello che Giovanni indirizza ad una chiesa, l’indirizza a tutte le altre. Ricorda ancora che Paolo fu il primo ad insegnare: “che vi sono sette chiese nel mondo intero” e che “le sette chiese menzionate rappresentano la chiesa universale”, che Giovanni, quindi, per osservare lo stesso metodo, si è attenuto al numero sette.
Ciò che Vittorino vuol dire è che Paolo, scrivendo alle sette chiese, e soltanto a sette, vuole far capire che esse simboleggiano la chiesa in ogni tempo, e nelle varie condizioni spirituali in cui viene a trovarsi. Questa era anche l’opinione di Ticonio, vissuto nel IV° secolo, di Arete, di Primasio e di molti altri teologi d’epoche precedenti” -.
“Meda spiegò le sette lettere come profetiche dei Sette Stati o Età della Chiesa, in modo che tutto il “buono” fosse applicato ad Essa, e tutto il “cattivo” fosse riferito a Roma”. In seguito anche Vitringa interpretò le lettere allo stesso modo, scrivendo: “Existimo Spiritum Sanctum sub typo et emblemate Septem Ecclesiarum Asiae… nobis voluisse dipingere septem variantes status Ecclesiae Christianae, usque ad Adventum Domini… demonstratur illas Prophetice non Dogmatice esse exponendas”.
Meda (nella sua “Opere”, Advert cap. 10, pag. 905), presenta con chiarezza la sua opinione: – “Se consideriamo che il loro numero è sette, cifra molto spesso usata o, se consideriamo che la volontà dello Spirito Santo, non era quella di riferirsi alle chiese più importanti del mondo (allora conosciuto), come Antiochia, Alessandria, Roma… se si valutano attentamente questi particolari, non potremmo allora ritenere che queste sette chiese, al di la del loro senso letterale, diventano delle figure, dei modelli, che simboleggiano i diversi “stati spirituali” della chiesa cattolica dal principio alla fine?. Sotto quest’aspetto sarebbero per noi dei campioni profetici, che rappresentano la condizione spirituale della chiesa nei diversi successivi periodi… concessa e accettata questa interpretazione… allora la Prima Chiesa, ossia la condizione di Efeso, sarebbe la prima e Laodicea l’ultima… Il rimprovero relativo ai falsi giudei e alla sinagoga di Satana (Apocalisse 2), diretta alle cinque chiese centrali, vuole significare che esse appartengono al periodo della Bestia e di Babilonia. In quanto alla sesta, in base alle sue caratteristiche possiamo situarla nel periodo in cui la Bestia cade, e, per un certo tempo, dopo la distruzione della Bestia, durante il periodo in cui scende la Nuova Gerusalemme”.
Da quello che questi autori hanno detto, comprendiamo che, ciò che ha indotto i commentatori moderni, a scartare l’interpretazione profetica dei messaggi delle sette chiese, è la dottrina, relativamente recente e antibiblica, del Millennio temporale. L’ultima condizione della chiesa, descritta in Apocalisse 3: 15-17, è ritenuta incompatibile con quella gloriosa della terra, durante i mille anni, quando “tutto il mondo” si sarà “convertito a Dio”. In questo caso, come in molti altri, si travisa l’indicazione Biblica, che è distorta e adattata ad un’interpretazione di comodo.
Il cuore umano, da tempi remoti, continua ad amare e ad insegnare seducenti lusinghe, e le sue orecchie sono sempre pronte ad accogliere con favore coloro che predicano illusorie ere di pace.
La prima chiesa è Efeso. Secondo l’opinione espressa, questo simbolo indica il primo periodo della chiesa: il secolo Apostolico. Il significato della parola Efeso è: desiderabile, termine che descrive fedelmente il carattere della chiesa durante il suo primo stato. I cristiani di quel periodo, infatti, avevano ricevuto la dottrina di Cristo in tutta la sua purezza. Essi beneficiavano dei doni dello Spirito Santo, si distinguevano per le loro opere, per l’impegno e la pazienza. Fedeli alla purezza degli insegnamenti di Cristo, non tolleravano gli operatori d’iniquità, e mettevano alla prova e smascheravano i falsi apostoli, rivelandone il vero carattere, e trovandoli mendaci. Non abbiamo prove che la chiesa di Efeso praticasse queste doti, in modo più efficace delle altre comunità cristiane del tempo. Non ne parla nemmeno Paolo, nella lettera inviata a quella comunità. Era quello, il tipico comportamento di tutte le chiese di quel periodo, il loro modo d’agire, ed era doveroso attenervisi. (confr. Atti 15: 2; 2° Corinzi 11: 13)
L’angelo della chiesa: L’angelo è un messaggero: l’angelo di una chiesa rappresenta il ministro di quella chiesa. Come ogni chiesa rappresenta un determinato periodo di tempo, così l’angelo di ciascuna rappresenta il proprio ministro, cioè tutti i rispettivi ministri di Cristo durante il periodo caratterizzato da quella chiesa. Ma il fatto che le lettere siano dirette a loro, non deve sviarci dalla consapevolezza che, in realtà, esse sono indirizzate alla chiesa nella sua totalità.
Un motivo di rimprovero: “Ma ho contro a te che hai lasciato il primo amore”, dice Gesù Cristo. L’abbandono del primo amore è grave, e merita lo stesso rimprovero che meriterebbe chi s’allontanasse da una dottrina fondamentale, o dalla morale biblica. La chiesa non è accusata d’essere decaduta dalla grazia, né d’aver lasciato spegnere il suo amore, ma del fatto che quest’ultimo è diminuito. Non vi è né zelo, né sofferenza, che possa espiare la mancanza d’amore.
Nell’esperienza del cristiano non deve mai esserci l’occasione in cui alla domanda: – In quale momento hai amato di più Gesù? -, non si possa rispondere: – ORA! -. Ma, se questo momento giunge, allora occorre interrogarci, e ricordarci da dove siamo caduti, e riflettere nel santuario della nostra coscienza. Rivivere il momento in cui abbiamo accettato il messaggio divino con zelo e fervore, affrettarci al pentimento, occorre una conversione che ci riporti a quella condizione desiderabile. L’amore, come la fede, lo si dimostra con le opere: quando il primo amore avrà riempito la nostra esistenza, allora porterà il suo frutto, come sempre.
Gli ammonimenti: “Verrò presto a te, e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se tu non ti ravvedi”. La venuta, di cui si parla è, senza dubbio simbolica, non reale, e vuole indicare giudizi e castighi, benché condizionati. La rimozione del candelabro serve per avvertire la chiesa che potrebbe essere privata della luce e delle benedizioni dell’Evangelo, per affidarle ad altre mani, a meno che essa non si dedichi con maggiore impegno alle responsabilità del suo mandato. Ci avvisa che Cristo non riconosce i membri della chiesa di Efeso Suoi rappresentanti, come coloro che devono portare la luce della Verità davanti al mondo. Questa minaccia è diretta sia ai singoli membri, sia alla chiesa nel suo insieme. Non sappiamo quanti di coloro, che in quel periodo si professavano cristiani, siano stati trovati mancanti e rigettati, di certo furono tanti. Così andarono le cose. Alcuni restarono saldi nella fede e nella dottrina, altri apostatarono e trascurarono di trasmettere la luce al mondo; ma nuovi convertiti occuparono il posto di coloro che morivano, e di quelli che apostatavano, e in questo modo la chiesa avanzò con la sua nell’esperienza e verso un’era nuova, segnata da un altro periodo della sua storia e rappresentata da un altro messaggio
I Nicolaiti: Notiamo come Cristo sia sempre disposto ad elogiare il suo popolo per ogni sua buona qualità. Ogni volta che facciamo qualcosa di apprezzabile, Egli ce lo riconosce subito. Nel messaggio alla chiesa di Efeso, dopo avere, prima di tutto, elogiato le sue virtù, quasi non volesse trascurare nessuna buona predisposizione, rimprovera le loro mancanze. Ricorda, poi, che i suoi membri aborriscono le azioni dei Nicolaiti, che anch’Egli aborrisce, condannandone le dottrine al versetto 15. In cui, inoltre, ci informa che le loro azioni e dottrine sono in abominio agli occhi di Dio. La loro origine è incerta. Alcuni commentatori pensano che questo nome derivi da Nicola di Antiochia, uno dei sette diaconi (Atti 6: 5); altri, affermano che queste dottrine s’attribuivano a lui, a causa del prestigio del suo nome, mentre altri ancora, credono che si tratti di una setta che prese nome da un certo Nicola, vissuto in un’epoca successiva, ipotesi, questa, che ci sembra la più attendibile. Per quanto riguarda le loro dottrine e cerimonie, pare che insegnassero l’uso comune delle donne, che considerassero normali l’adulterio e la fornicazione, e che permettessero l’uso dei cibi sacrificati agli idoli.
L’invito a prestare ascolto: “Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese”. È un modo solenne per richiamare l’attenzione di tutti, su ciò che è d’importanza suprema e generale. Questa frase è indirizzata a tutte le chiese, una per una. La stessa espressione usata da Cristo, quand’era sulla terra, per richiamare l’attenzione delle persone ai Suoi insegnamenti. La usò riferendosi alla missione di Giovanni (Matteo 11: 15), alla parabola del seminatore (3: 9), e a quella della zizzania che rappresenta la fine del mondo (13: 43). È usata anche riguardo al compimento di un’importante profezia in Apocalisse 13: 9.
La promessa fatta al vincitore: A chi vince è promesso che mangerà il frutto dell’albero della vita che sta in mezzo al giardino di Dio, cioè nel Paradiso. Dov’è il Paradiso? È nel terzo cielo. Paolo, in 2° Corinzi 12: 2, scrive di un uomo che lui conosce (sé stesso), che “fu rapito al terzo cielo”; nel versetto 4 afferma che fu rapito in Paradiso, il che ci porta a concludere, che il paradiso si trova al terzo cielo, e che nel Paradiso si trova l’albero della vita. La Bibbia ci mostra un solo albero della vita, ne parla sei volte: tre in Genesi e tre in Apocalisse ed ogni volta ha sempre davanti l’articolo determinativo “il”.
L’albero della vita lo troviamo nel primo e nell’ultimo libro della Bibbia, ed è sempre quello che troviamo in Eden, ed é sempre lì che Giovanni lo vede in visione. All’inizio, era sulla terra, ora si trova in cielo. Come mai? Si chiederà qualcuno. La risposta è semplice: qualcuno ce l’ha messo. Infatti, c’è un solo modo per spostare qualcosa da un posto all’altro: portarcelo! Esistono buoni motivi per credere che il Paradiso, e l’albero della vita con lui, sia stato traslato dalla terra al cielo. A questo proposito un commentatore così scrive: – La decisione di Dio di mettere due cherubini “per custodire l’albero della vita” (Genesi 3: 24) nel giardino di Eden, non evidenzia solo la severità del giudizio, ma è anche una promessa ricca di consolazione. La beata dimora dalla quale l’uomo fu allontanato, non è stata annientata, né abbandonata al degrado, ma semplicemente sottratta all’uomo e al nostro pianeta. Essa è ora affidata alla cura degli esseri più perfetti che Dio ha creato, destinata, perciò, ad essere restituita all’uomo quando l’umanità sarà redenta. (Apocalisse 22: 2) Il giardino, nella sua condizione originale, prima che Dio lo riempisse di fiori e frutti, cadde con la terra sotto la contaminazione del peccato, ma quella creazione paradisiaca e celestiale fu preservata e affidata alla cura dei cherubini. Il vero Paradiso (ideale) è stato traslato al mondo invisibile, ma almeno una copia simbolica fu concessa al popolo d’Israele nel luogo santissimo del santuario, sul modello che Mosè vide sul monte (Esodo 25: 9,40); e, l’originale stesso, quando l’uomo sarà redento, scenderà dal cielo per diventare nuovamente la sua dimora (Apocalisse 22: 2).
Al vincitore, infatti, è promessa una restaurazione che includerà anche più di quello che Adamo perse. La promessa è, non soltanto per i vincitori di quel periodo, ma anche per quelli di tutte le epoche; perché le grandi ricompense del cielo non hanno restrizioni. Sforzati, lettore, per essere anche tu vincitore: perché chi avrà accesso all’albero della vita nel Paradiso di Dio, non morrà più.
Il periodo della chiesa: Il periodo della prima chiesa è quello che va dalla Resurrezione di Cristo, sino alla fine del 1°secolo, ossia alla morte dell’ultimo apostolo.
VERSETTI 8-11: E all’angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita. Io conosco la tua tribolazione e la tua povertà (ma pur sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicon d’esser Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. Non temere quel che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, perché siate provati: e avrete una tribolazione di dieci giorni. Sii fedele fino alla morte, e io ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà punto offeso dalla morte seconda.
La chiesa di Smirne: Notiamo che il Signore, nel presentarsi a ciascuna chiesa, cita alcune Sue caratteristiche che Lo rendono particolarmente adatto a quella specifica testimonianza. Alla chiesa di Smirne, che stava per attraversare un terribile periodo di prova a causa della persecuzione, Egli si rivela come Colui che morì ma che ora vive. Poiché i suoi membri sarebbero stati chiamati a suggellare col sangue la loro testimonianza, avrebbero dovuto aver sempre presente gli occhi di Colui che li osservava e che aveva subito la stessa sorte e che, al tempo stabilito, sarà in grado di liberarli dalla tomba in cui il martirio li avrebbe gettati.
Povertà e ricchezza: “Io conosco… la tua povertà, – dice Cristo – ma tu sei ricco”. Queste parole all’inizio possono sembrare uno strano paradosso: chi sono, in questo mondo, quelli veramente ricchi? Quelli che sono “ricchi nella fede” ed “eredi del regno”. Le ricchezze di questo mondo, per le quali gli uomini lottano con tanta energia, e per le quali sovente barattano la vita eterna, sono “una moneta che non ha corso in cielo”. Uno studioso biblico ha detto: – Vi sono tanti ricchi-poveri e tanti poveri-ricchi -.
Dicono d’esser Giudei e non lo sono: È chiaro che in questo caso la parola “Giudeo” non ha il significato letterale, ma indica il carattere in armonia con le norme Evangeliche. Paolo, nelle sue lettere scrive: – Poiché Giudeo non è colui che è tale all’esterno; né è circoncisione quella che è esterna, nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, in ispirito, non in lettera; d’un tal Giudeo la lode procede non dagli uomini ma da Dio (Romani 2: 28-29). In Galati 3: 28-29, Paolo ci dice, inoltre, che in Cristo non vi sono distinzioni esteriori, come quelle che caratterizzano i Giudei e i Greci, ma che, se siamo di Cristo, allora siamo progenie di Abramo (nel significato letterale del termine), eredi secondo la promessa; perché: – non tutti quelli che sono di Israele sono israeliti; né per il fatto d’essere progenie di Abramo, sono tutti figli d’Abramo (Romani 9: 6-7). Perciò, dire, come dicono alcuni, che il termine “Giudeo” non dev’essere usato per i cristiani, è contraddire le affermazioni ispirate di Paolo e della testimonianza che il Testimone Fedele e Verace fa alla chiesa di Smirne. Alcuni, con estrema ipocrisia, simulavano d’essere Giudei in senso cristiano, mentre mancavano delle necessarie qualità: quei tali erano “della sinagoga di Satana”.
Una tribolazione di dieci giorni: Essendo, questo, un messaggio profetico, anche il tempo menzionato dev’essere considerato tale: poiché un giorno profetico rappresenta un anno letterale, i dieci giorni indicano dieci anni. È degno di nota costatare che l’ultima, e più sanguinosa persecuzione patita dalla chiesa sotto Diocleziano, durò esattamente dieci anni: dal 303 al 313. Interpretare questo messaggio diversamente è ridicolo, se così fosse, indicherebbe dieci giorni letterali. Una persecuzione di soli dieci giorni sarebbe davvero improbabile, per di più se sofferti da una sola chiesa; certamente non sarebbero l’oggetto di una profezia; d’altra parte non abbiamo notizie storiche di una persecuzione così limitata nel tempo e nello spazio. Ancora: applicando questa sofferenza ad una delle più note chiese di quel periodo, come potremmo affermare che solo una chiesa ne sia stata vittima? Tutte le chiese patirono lungamente il martirio e l’aggressione; non sarebbe né giusto né comprensibile che fossero riconosciuti ad una soltanto, ed alle altre no.
Gli ammonimenti: “Sii fedele sino alla morte”; alcuni hanno voluto usare quest’espressione come argomento in favore della teoria in base alla quale al momento della morte si riceve l’immortalità. È un argomento assolutamente infondato, perché non vi si afferma che la corona della vita sarà concessa subito dopo la morte, ma solo dopo. Di conseguenza, dobbiamo esaminare altri testi della Bibbia per sapere quando si riceverà “la corona della vita”, altri brani offriranno informazioni chiarissime. Paolo dichiara che la corona ci sarà consegnata quando apparirà Cristo (2° Timoteo 4: 8), quando suonerà l’ultima tromba (1° Corinzi 15: 51-54), quando il Signore stesso scenderà dal cielo (1° Tessalonicesi 4: 16-17), quando il Principe dei pastori apparirà, ci informa Pietro (1° lettera 5: 4), alla resurrezione dei giusti, dice Cristo (Luca 14:14), e quando tornerà per portare i suoi alla dimora preparata per essi, affin di stare sempre con Lui (Giovanni 14: 3). “Sii fedele sino alla morte”, ed essendoti mantenuto tale, quando arriverà il momento di ricompensare i santi di Dio, riceverai la corona della vita.
La promessa al vincitore: “Non riceverai danno alcuno dalla morte seconda”. Non è lo stesso linguaggio di Cristo? Un preciso riassunto di ciò che insegnò ai suoi discepoli? “Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima: temete piuttosto chi può distruggere il corpo e l’anima nell’inferno” (Matteo 10: 28). I membri della chiesa di Smirne potevano essere uccisi a causa della loro fede; ma la vita futura che è loro promessa nessun uomo potrà levargliela, e non sarà certo Dio a volerlo fare. In questo mondo essi non dovevano temere quelli che potevano uccidere il corpo, né temere qualunque cosa dovessero soffrire, perché ad essi era stata assicurata la vita eterna.
Significato ed epoca della chiesa: Smirne significa “mirra”, denominazione adatta per la chiesa di Dio che passava nella fornace della persecuzione, e diventava per il Signore un “odore soave”. Si arriva intanto ai tempi di Costantino, agli anni in cui la chiesa vive un nuovo periodo e una nuova situazione; si rende quindi necessario un altro nome e un altro messaggio. Il periodo della chiesa di Smirne va dall’inizio del 2° secolo al 323.
VERSETTI 12-17: E all’angelo della chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice Colui che ha la spada acuta a due tagli: Io conosco dove tu abiti, cioè la dov’é il trono di Satana; eppur tu ritieni fermamente il mio nome, e non rinnegasti la mia fede, neppur nei giorni in cui Antipa, il mio fedel testimone, fu ucciso fra voi, dove abita Satana. Ma ho alcune poche cose contro di te: cioè che tu hai quivi di quelli che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a porre un intoppo davanti ai figlioli d’Israele, inducendoli a mangiare delle cose sacrificate agli idoli e a fornicare. Così hai anche tu di quelli che in simil guisa professano la dottrina dei Nicolaiti. Ravvediti dunque; se no, verrò tosto a te, e combatterò contro a loro con la spada della mia bocca. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese. A chi vince io darò della manna nascosta, e gli darò una pietruzza bianca, e sulla pietruzza scritto un nome che nessuno conosce, se non colui che la riceve.
La chiesa di Pergamo: Contro la chiesa precedente non fu pronunciata una sola parola di condanna: la persecuzione tende sempre a mantenere la chiesa pura, e incita i suoi membri alla pietà. Ma ora arriviamo al periodo rappresentato dalla chiesa di Pergamo, durante il quale cominciarono ad agire quelle nefaste influenze che introdussero in seno alla chiesa gravi errori e numerosi mali.
La parola Pergamo significa “altezza, elevazione, cittadella, luogo elevato”. Fu quello un periodo, durante il quale, i veri servi di Dio dovettero lottare contro lo spirito della politica mondana, contro l’orgoglio e la popolarità che crescevano tra coloro che si professavano seguaci di Cristo, e contro le virulente corruzioni del “mistero dell’iniquità” che si manifestò infine pienamente nell’istituzione “dell’uomo del peccato”, cioè del papato (2° Tessalonicesi 2: 3).
L’elogio: “Dove sta il trono di Satana”: Cristo riconosce la situazione sfavorevole in cui il suo popolo si trova in questo periodo. Il linguaggio probabilmente non ha lo scopo di designare una località, Satana opera ovunque ci siano dei cristiani, però vi sono dei momenti nei quali egli agisce con un potere speciale. Il periodo della chiesa di Pergamo fu uno di quelli. Durante questo tempo, in cui la dottrina di Cristo andava sempre più corrompendosi, andava operando il mistero d’iniquità, e Satana gettava le fondamenta di uno stupefacente potere apostata: il papato. Ecco il motivo della deviazione dottrinale, profetizzata da Paolo nel verso citato.
E’ interessante notare che Pergamo (città) finì col diventare la sede dell’antico culto babilonico del sole. “I maghi caldei ebbero in Babilonia un lungo periodo di prosperità. Un pontefice scelto dal sovrano presiedeva un collegio di 72 ierofanti… (dopo l’occupazione medo-persiana) i caldei sconfitti fuggirono e giunsero in Asia Minore, e stabilirono il loro collegio centrale nella città di Pergamo, in cui portarono il palladio, o pietra cubica, che avevano portato con loro da Babilonia. Nella nuova sede, liberi dal controllo dello Stato, perpetuarono i riti della loro religione, e alleandosi con i greci, tramarono contro la sicurezza dell’Impero Persiano”.
Antipa: Vi sono buoni motivi per credere che questo nome indichi una categoria di persone e non un individuo, giacché non abbiamo, e non si potrà mai trovare, alcuna informazione relativa a questo personaggio. Guglielmo Miller a questo proposito scrive: – Si suppone che Antipa non fosse una persona, ma una categoria d’uomini che in quell’epoca si opponeva al potere dei vescovi romani, o papi, e che la parola sia la combinazione di due vocaboli: anti = che si oppone, e pa’, o papa, o anche padre. Molti di questi uomini patirono il martirio, sia a Costantinopoli sia a Roma, dove i vescovi e i papi cominciavano ad esercitare quel potere che avrebbe presto sottomesso i re della terra, e che calpestò la dottrina e i diritti della chiesa di Cristo. Per quanto mi riguarda non ho alcun motivo per dubitare di questa interpretazione della parola “Antipa” di questo testo, anche perché la storia di quel periodo non da alcuna informazione relativa ad un uomo che avesse quel nome -.
Il dizionario biblico di Watson dice: – La storia ecclesiastica antica non offre nessuna notizia circa un uomo così chiamato -. Clarke accenna all’esistenza di un libro intitolato “Gli atti di Antipa”, ma fa capire che non si può dargli alcun credito.
Il motivo del rimprovero: Neppure le situazioni sfavorevoli giustificano la presenza del male all’interno della chiesa. Per quanto la chiesa di Pergamo vivesse nel periodo in cui Satana elaborava una serie di sottilissimi inganni e di potenti seduzioni, i suoi membri avevano il dovere di mantenersi puri dalle false dottrine. È per questi motivi che sono accusati d’annoverare al loro interno coloro che sostenevano le dottrine di Balaam e dei Nicolaiti. (vedi commenti rel. vers. 6). La dottrina di Balaam ci é parzialmente svelata: egli insegnò a Balac a mettere una pietra d’inciampo davanti ai figli d’Israele, inducendoli all’apostasia (leggete il racconto completo della sua opera e delle sue conseguenze in Numeri 22: 25; 31: 13-16). La Parola di Dio dice che Balaam voleva maledire Israele per ottenere la ricca ricompensa che Balac gli aveva promesso, ma poiché il Signore non glielo permise pensò d’ottenere lo stesso risultato diversamente. Consigliò, allora, a Balac di sedurre gli israeliti servendosi delle donne moabite, affinché partecipassero alle cerimonie e ai riti idolatri, compresi tutti gli atti licenziosi e sensuali che vi si praticavano. Il piano riuscì, e le abominazioni dell’idolatria si diffusero nell’accampamento Israele. Su loro cadde, allora, la punizione divina e 24000 persone morirono.
Le dottrine della chiesa di Pergamo, e per le quali fu rimproverata, erano tendenzialmente le stesse: anch’esse, infatti, conducevano all’idolatria spirituale e all’illecito rapporto tra la chiesa e il mondo. Alla fine questo spirito condusse all’unione dei poteri civili ed ecclesiastici e culminò con l’istituzione del papato.
Gli ammonimenti: Cristo li avvertì che se non si fossero ravveduti, Egli stesso sarebbe personalmente intervenuto, e avrebbe preso la situazione nelle proprie mani, andando (in giudizio) contro di loro, e li avrebbe combattuti (i sostenitori delle false dottrine), e tutta la chiesa sarebbe stata considerata responsabile degli errori introdotti dagli eretici che essa aveva tollerato al suo interno.
La promessa al vincitore: A chi vince è promesso che mangerà della manna nascosta, e che otterrà l’approvazione del suo Signore sotto forma di una pietra bianca sulla quale è scritto il suo nuovo nome. La maggior parte dei commentatori considera la manna, la pietra bianca e il nuovo nome, come alcune delle benedizioni spirituali di cui possiamo usufruire già in questa vita, ma, come tutte le altre promesse fatte al vincitore, esse si riferiscono, senza dubbio, al futuro, e si realizzeranno quando arriverà il tempo in cui i santi riceveranno la ricompensa. Le spiegazioni che seguono sono fra le più valide.
I commentatori in genere credono che quest’immagine (la pietruzza bianca col nome inciso) si rifaccia all’antico uso giuridico di lasciar cadere nell’urna una pietra nera in caso di condanna, o una pietra bianca per l’assoluzione del prigioniero. Ma questo è un gesto diverso da quello preso in esame: “Gli darò una pietruzza bianca”!, noi non siamo d’accordo con loro, ma piuttosto con coloro che propongono un’altra spiegazione che si rifà ad un antico uso, che non è ignoto a chi abbia letto i classici, e che si armonizza perfettamente con l’immagine in esame. Anticamente, quando viaggiare costituiva un serio problema, sia per i pericoli sia per le difficoltà di carattere logistico, a causa della mancanza d’alberghi o ricoveri pubblici, l’ospitalità era esercitata di solito dai privati. Di tale usanza abbiamo prove sufficienti nella storia, e anche nell’Antico Testamento. Tra le persone che beneficiavano dell’ospitalità e quelle che la concedevano, s’instauravano stretti vincoli d’amicizia cementata dalla stima e dalla considerazione reciproca.
Quest’usanza era assai diffusa tra i greci e i romani, al punto che essi arrivarono a concepire un segno particolare che si tramandavano da padre a figlio, e che garantiva una piacevole ospitalità ovunque era presentato: in genere questo segno era una pietruzza bianca, tagliata in due metà, e su queste il padrone di casa ed il suo ospite scrivevano i rispettivi nomi, dopodiché se le scambiavano. Presentare questa pietra era sufficiente per garantirsi l’amicizia anche per i propri discendenti, tutte le volte che essi si mettevano in viaggio nella zona di chi aveva l’altra metà del contrassegno. E’ quindi evidente che queste pietre erano custodite con cura, e che si tenevano nascosti i nomi che vi erano scritti: per evitare che altri godessero quei privilegi che erano destinati solamente a chi ne era proprietario. Troviamo una chiara allusione a quest’usanza nelle parole: “Gli darò da mangiare della manna nascosta”, (e avendolo fatto, avendolo fatto partecipe della mia ospitalità, avendolo riconosciuto come mio ospite, mio amico, gli regalerò) “la pietruzza bianca, su cui é scritto un nome che nessuno conosce, se non colui che lo riceve”; gli darò una garanzia della mia amicizia, sacra ed inviolabile, che solo lui conoscerà -.
Circa il nuovo nome, Jean Wesley giustamente scrive: – Giacobbe, dopo la vittoria, ne meritò uno nuovo: Israele -. Vuoi sapere quale sarà il tuo? E’ facilissimo. Vinci, altrimenti non l’avrai, e le tue supposizioni saranno state inutili. Solo dopo lo leggerai.
Il periodo di questa chiesa: Il periodo di questa chiesa va dal tempo di Costantino, più esattamente dall’anno della sua presunta conversione al cristianesimo: cioè nel 323, fino all’istituzione del papato nel 538.
VERSETTI 18-29: E all’angelo della chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figliol di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i cui piedi sono come terso rame: Io conosco le tue opere e il tuo amore e la tua fede e il tuo ministerio e la tua costanza, e che le tue opere ultime sono più abbondanti delle prime. Ma ho questo contro a te: che tu tolleri quella donna Jezabel, che si dice profetessa e insegna e seduce i miei servitori perché commettano fornicazione e mangino cose sacrificate agli idoli. E io le ho dato tempo di ravvedersi, ed ella non vuole ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io getto lei sopra un letto di dolore, e quelli che commettono adulterio con lei in una gran tribolazione, se non si ravvedono dalle opere d’essa. E metterò a morte i suoi figlioli; e tutte le chiese sapranno che io sono Colui che investiga le reni e i cuori; e darò a ciascun di voi secondo le opere vostre. Ma agli altri di voi in Tiatiri che non professate queste dottrine e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Io non vi impongo altro peso. Soltanto, quel che avete tenetelo fermamente finché io venga. E a chi vince, e persevera nelle mie opere sino alla fine, io darò potestà sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro frantumandole a mo’ di vasi d’argilla; come anch’io ho ricevuto potestà dal Padre mio. E gli darò la stella mattutina. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese.
Se la datazione della chiesa di Pergamo è esatta, allora il suo tempo finì nel 538; anno in cui si realizzò l’istituzione del papato. Il lungo periodo, indicato dalla chiesa di Tiatiri, dovrebbe perciò essere quello della supremazia papale, ossia quello dei 1260 anni che va dal 538 fino al 1798.
La chiesa di Tiatiri: La parola Tiatiri significa: “Dolce sapore di lavoro; sacrificio di contrizione; consumazione delle vittime”. Questo nome, con i suoi significati, descrive perfettamente lo stato della chiesa di Gesù Cristo durante il lungo periodo del trionfo e della persecuzione papale. Questo fu, per la chiesa, un tempo di spaventosa persecuzione “come non si ebbe mai” (Matteo 24: 21), ma che ebbe il merito di migliorare la condizione religiosa dei credenti. Perciò, da Colui “i cui occhi sono come terso rame”, ricevono l’elogio per l’opera svolta, per la carità, il servizio, la fede, la pazienza. Il Signore menziona le opere due volte perché sono degne di un duplice elogio: “Perché le ultime furono più abbondanti delle prime”. La condizione dei suoi membri é migliorata, essi sono cresciuti in grazia, e in tutti i precetti del cristianesimo; e tale progresso é stato elogiato dal loro Signore. Tiatiri è l’unica chiesa a ricevere un elogio per la crescita spirituale. Ma, come nella chiesa di Pergamo, le condizioni sfavorevoli non sono motivo sufficiente per scusare o per giustificare che in seno ad essa vi siano le false dottrine. Nessuna abbondanza di opere, di carità, di lavoro, di fede e di costanza può compensare la presenza di un simile peccato; anch’essa è rimproverata di tollerare al suo interno la presenza d’un agente di Satana.
Il motivo del rimprovero: “Quella donna Jezabel”. Come nell’altra lettera Antipa non rappresentava un individuo ma una categoria di persone, cosi è anche per Jezabel. Watson afferma: – Il nome Jazabel è usato in modo proverbiale (Apocalisse 2: 20) -, e Miller spiega:- Jezabel è un nome simbolico che allude alla moglie di Ackab, che uccise tutti i profeti di Yawhè, che indusse suo marito all’idolatria e che nutrì i profeti di Baal alla sua mensa. Non si sarebbe potuto trovare una figura più rappresentativa, per descrivere le abominazioni papali (leggere 1° Re 18: 18-21). Sappiamo perfettamente, sia dalla storia sia dal versetto, che la chiesa di Cristo permise che al suo interno agissero alcuni seguaci papali (monaci e simili) -. Un commentatore, a questo proposito, fa questa osservazione: – Si parla di figli e la cosa conferma l’idea che si tratti di una setta e dei suoi proseliti -. I castighi di cui si minaccia questa donna sono simili a quelli di cui si minaccia, in un’altra parte del libro, la chiesa cattolica romana simboleggiata da una donna corrotta, madre di tutte le prostitute e di tutte le abominazioni della terra (ved. Apocalisse 17: 19). La minaccia di morte allude senza dubbio alla morte seconda che sopraggiungerà alla fine dei mille anni, quando Colui che scruta i reni e i cuori di ogni uomo le darà la giusta retribuzione.
Analizzando la dichiarazione “… e renderò a ciascuno di voi secondo le proprie opere…”, scopriamo che le parole indirizzate a questa chiesa riassumono la ricompensa o il castigo finale di ogni uomo.
Tutte le chiese sapranno: Alcuni hanno la convinzione che questa espressione dimostri che le sette chiese non rappresentano sette periodi “successivi”, ma, al contrario, la loro “contemporaneità”: altrimenti come farebbero le “altre” chiese a sapere che Gesù è “Colui che scruta le reni e i cuori”, e che condanna Jezabel e i suoi figlioli? A costoro ricordiamo che, anche se le chiese vivono in periodi diversi, giungerà il momento in cui tutte le altre assisteranno all’esecuzione della condanna: quando? Quando gli empi saranno puniti con la morte seconda. Allora tutte le chiese saranno presenti, e tutti i segreti dei cuori saranno svelati, anche i più nascosti pensieri malvagi, niente sfuggirà a Colui che con occhi di fiamma scruta i cuori di tutti.
“Io non v’impongo altro peso”, queste parole racchiudono la promessa che il carico che per tanto tempo era stato sopportato, cioè la persecuzione papale, sarebbe stato alleviato; non significa ricevere nuove verità, perché la verità non è un peso per nessun uomo responsabile. Secondo Matteo 4: 22 i giorni della tribolazione sarebbero stati abbreviati “per amore degli eletti”; sarebbe giunto “un piccolo aiuto” (Daniele 11: 34); quando “la terra soccorse la donna” (Apocalisse 12: 16).
Gli ammonimenti: “Tienila finché io venga”, in questo modo il Figlio di Dio vuole ricordarci che il suo ritorno è certo e incondizionato. Alle chiese di Efeso e di Pergamo fece una minaccia condizionata: – Ravvediti, se no verrò tosto a te -, e questa Sua venuta presuppone un castigo, ma in questo caso il suo ritorno acquista un significato diverso: non è la minaccia di un castigo, il suo ritorno, ora, non è assolutamente condizionato. Esso é per chi crede la “beata speranza”, e si riferisce al 2° Avvento in gloria del Signore, quando le prove del cristiano finiranno: quando le sue battaglie, le rinunce e la sua lotta per ottenere la corona della vita saranno ricompensati per l’eternità.
Questa chiesa ci conduce al tempo in cui cominciarono a manifestarsi i segni premonitori del prossimo Ritorno di Cristo. Nel 1780, 18 anni prima che si chiudesse questo periodo, si manifestarono i segni predetti relativi al sole e alla luna (vedi Apocalisse 6: 12). Riferendosi a questi segni il Salvatore disse: – E quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra redenzione é vicina (Luca 21 : 28) -. Con la storia di questa chiesa arriviamo al tempo in cui la fine è così vicina, quando diventa più pressante, richiamare l’attenzione dell’umanità sulla prossimità del 2° Avvento. Vogliamo e dobbiamo farlo, data la quantità e la qualità dei segni che annunciano quanto, il Ritorno di Nostro Signore, sia imminente, quasi alle porte. Gesù disse ai suoi discepoli: – Trafficate finche io venga (Luca 19: 13) -. Ora, riferendosi al peso che dovremo sopportare, ci esorta: – Tenetelo finche io venga -.
La promessa fatta al vincitore: “Fino alla fine” si riferisce senz’altro alla fine dell’era cristiana. “Chi persevera sino alla fine sarà salvo” (Matteo 24: 13), afferma Cristo. Non abbiamo qui la promessa della salvezza, fatta a coloro che fanno le opere di Gesù, e osservano i suoi comandamenti, e serbano la fede in Lui? (Apocalisse 14: 12).
Potestà sulle nazioni: In questo nostro mondo sono gli empi che prosperano e comandano, mentre i servi di Dio non sono stimati. Ma giungerà il tempo in cui prevarrà la giustizia: quando ogni empietà sarà giudicata con giustizia, e sarà sprezzata, quando lo scettro del potere sarà nelle mani del popolo di Dio. Analizziamo i passi che contengono queste promesse: le nazioni saranno dal Padre consegnate nelle mani del Figlio, perché le governi “con una verga di ferro frantumandole a mo’ di vasi d’argilla” (Salmo 2: 8-9); i santi saranno con Cristo quando Egli comincerà l’opera di giudizio (Apocalisse 21). I redenti regneranno con Lui mille anni (Apocalisse 20: 4). Durante questo periodo, che verrà dopo il giudizio, sarà sancita la condanna dei trasgressori impenitenti, come anche quella degli angeli caduti (1° Corinzi 6: 2-3); e, alla fine dei mille anni, i santi avranno l’onore di partecipare assieme a Cristo all’esecuzione della sentenza (Salmo 149: 9).
Lastellamattutina: CristoinApocalisse22:16c’informacheEgli è la stella mattutina, così come lo dice anche Pietro (2° 1: 19), incoraggiandoci: – … finche spunti il giorno, e la stella mattutina sorga nei vostri cuori -.
Durante la lunga notte d’attesa, i santi hanno la Parola di Dio che spande sopra essi la luce di cui necessitano. Ma quando nei loro cuori sorgerà la luce del mattino, e saranno illuminati dalla vittoria, sarà loro concesso d’avere una relazione, così intima, con Gesù Cristo, che i loro cuori saranno pienamente illuminati dal Suo Spirito. Cammineranno nella Sua Luce. Da quel momento non avranno più bisogno della parola profetica più ferma che ora splende su loro come una fiamma.
VERSETTI 1-6: E all’angelo della chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Io conosco le tue opere: tu hai nome di vivere e sei morto. Sii vigilante e rafferma il resto che sta per morire; poiché non ho trovate compiute le opere tue nel cospetto del mio Dio. Ricordati, dunque di quanto hai ricevuto e udito; e serbalo, e ravvediti. Che se tu non vegli, verrò come un ladro, e tu non saprai a quale ora verrò su di te. Ma tu hai alcuni pochi in Sardi che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno meco in vesti bianche, perché ne sono degni. Chi vince sarà così vestito di vesti bianche, ed io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome nel cospetto del Padre mio e nel cospetto dei suoi angeli. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.
La chiesa di Sardi: Se le date delle chiese precedenti sono state stabilite esattamente, il periodo della chiesa di Sardi inizierà verso il 1798. “Sardi” vuol dire “canto di gioia” o “il rimanente”. Essa rappresenta le chiese della Riforma. Infatti, dalla data citata, giunge sino al gran movimento che contraddistinse un altro periodo della storia del popolo di Dio.
Il motivo della lamentela: Il grave difetto che si rimprovera alla chiesa di Sardi (al suo angelo), è che “ha nome di vivere ma è morto”. Quale posizione elevata occupò, da un punto di vista mondano, la chiesa di quel periodo! I suoi titoli altisonanti attirano la nostra attenzione, così come attirarono il plauso che il mondo le tributò. Ma in essa, la popolarità e l’orgoglio erano così sviluppati da distruggerne la spiritualità; la linea di separazione fra la chiesa e il mondo non esisteva più, e le diverse organizzazioni popolari erano chiese di Cristo, solo di nome.
Questa chiesa che avrebbe dovuto incaricarsi d’annunciare la dottrina del secondo Avvento, tacque e non lo fece. Perciò essa deve udire la voce di Dio che annuncia questa verità: – e se tu non vegli, io verrò a te come un ladro -. Quest’avvento è incondizionato; solo il modo è condizionato: le conseguenze che manifesterà per ciascuno dei suoi membri. Il fatto che non vegliassero, non avrebbe impedito il ritorno del Signore, ma se avessero vegliato avrebbero potuto evitare d’essere sorpresi come da un ladro nella notte.
Il Giorno del Signore sorprenderà solamente chi dorme spiritualmente, chi non veglia. “. . . ma voi fratelli – dice Paolo – non siete nelle tenebre, perché quel giorno vi sorprenda come un ladro”. (1° Tessalonicesi 5: 4).
“Solo poche persone in Sardi” sembra indicare e significare una mondanità senza pari, nella chiesa. Ma, nonostante si trovi in questa pessima condizione, ve ne sono alcuni che hanno le vesti pure da ogni contaminazione, uomini che si sono mantenuti liberi dall’influenza corruttrice del peccato. Giacomo dice: – La religione pura e immacolata dinanzi a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e conservarsi puri dal mondo -. (Giacomo 1:27).
La promessa fatta al vincitore: “Cammineranno meco in vesti bianche”. Il Signore non abbandona mai i suoi figli, in nessun luogo, e per quanto pochi siano. Tu cristiano solitario, che non hai la possibilità di comunicare con gli altri che hanno la tua stessa fede preziosa e pura, ti sembra a volte che gli eserciti degli increduli finiranno per sopraffarti? Il Signore non si è dimenticato di te. La moltitudine degli empi che ti circonda non può essere così grande, da nasconderti alla Sua vista. Se ti mantieni puro dal male che ti circonda, la promessa è certa: otterrai la veste bianca del vincitore, andrai col Signore nella Sua Gloria. “Perché l’Agnello che sta in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle sorgenti dell’acqua della vita; e Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” (Apocalisse 7:17). In altri passi (Zaccaria 3: 4,5) essere vestito della veste è detto che simboleggia il cambiamento dall’iniquità alla giustizia. E il “lino fino”, o veste bianca “sono le opere giuste dei santi”. (Apocalisse 19:8).
Il libro della vita: Ecco che ci viene ora mostrato un oggetto di grande importanza: il voluminoso libro nel quale sono scritti i nomi di coloro che sono candidati alla vita eterna! Esiste il pericolo che i nostri nomi, se vi sono scritti, possano essere cancellati? si, altrimenti, perché sarebbe stato scritto quest’ammonimento? Perfino Paolo temeva d’essere respinto, rifiutato. (1° Corinzi 9: 27).
Abbiamo un solo modo per fare in modo che il nostro nome rimanga scritto: quello di mantenerci fedeli sino alla fine, d’esser vincitori. Non tutti, però, vinceranno. I loro nomi saranno cancellati. Qui si allude ad un determinato e ben definito momento futuro nel quale quest’opera si compirà. Siccome Cristo dice: – Non cancellerò -, significa anche che “cancellerà” i nomi di coloro che perderanno. Sarà il tempo indicato da Pietro: – Ravvedetevi dunque e convertitevi, onde i vostri peccati siano cancellati, affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di refrigerio – (Atti 3: 19-20).
Dire al vincitore che il suo nome non sarà cancellato dal libro della vita, significa che i suoi peccati saranno cancellati dal libro in cui, ora, sono registrati, affinché non gli siano imputati (Ebrei 8: 12). Significa che dai libri del cielo saranno cancellati o i suoi peccati, o il suo nome. Com’è confortante pensare che se confessiamo i nostri peccati saremo perdonati, e che poi, quando Gesù verrà, se saremo rimasti fedeli, questi peccati saranno cancellati per sempre! Quando questo momento decisivo arriverà, e non può essere molto lontano, quale sarà il tuo caso lettore? Saranno i tuoi peccati ad essere cancellati e il tuo nome sarà lasciato scritto nel libro della vita, oppure sarà il tuo nome ad essere cancellato e i tuoi peccati resteranno scritti e saranno una terribile testimonianza contro di te?
La presentazione nella gloria: “Confesserò il suo nome nel cospetto del Padre mio e dei suoi angeli”. Cristo ha insegnato che, secondo che gli uomini Lo confesseranno o Lo rinnegheranno, L’onoreranno o Lo disprezzeranno qui sulla terra, Egli li confesserà o li rinnegherà nel cielo al cospetto del Padre e dei santi angeli (Matteo 10: 32,33; Marco 8: 38; Luca 12: 8,9). Chi può valutare cosa significhi, e quale onore sia essere approvato di fronte agli esseri celesti! Chi può concepire la felicità di quel momento quando saremo riconosciuti dal Signore della vita al cospetto del Padre, come coloro che fecero la Sua volontà, “combattendo il buon combattimento”, e che fecero “la corsa”, e che L’onorarono davanti agli uomini, e che vinsero, e che in virtù dei Suoi meriti sono degni di vedere i propri nomi eternamente scritti nel libro della vita!
VERSETTI 7-13: E all’angelo della chiesa di Filadelfia scrivi: Queste cose dice il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide, Colui che apre e nessuno chiude, Colui che chiude e nessuno apre. Io conosco le tue opere. Ecco, Io ti ho posta dinanzi una porta aperta che, nessuno può chiudere, perché pur avendo poca forza, hai serbata la mia parola, e non hai rinnegato il mio nome. Ecco Io ti do di quelli della Sinagoga di Satana, i quali dicon d’esser Giudei e non lo sono, ma mentiscono: ecco Io li farò venire a prostrarsi dinanzi ai tuoi piedi, e conosceranno che Io ti ho amato. Perché tu hai serbata la parola della mia costanza, anch’io ti guarderò dall’ora del cimento che ha da venire su tutto il mondo, per mettere alla prova quelli che abitano sulla terra. Io vengo tosto; tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona. Chi vince Io lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; e scriverò su lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che scende dal cielo d’appresso all’Iddio mio, ed il mio nuovo nome. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.
La chiesa di Filadelfia: La parola “Filadelfia” significa “amore fraterno”, ed esprime il pensiero e lo spirito di coloro che accolsero il messaggio avventista nell’autunno del 1844.
Il grande risveglio religioso, sviluppatosi in seguito alla comprensione delle profezie di Daniele, manifestatosi durante la prima parte del XIX secolo, e che culminò nel movimento Avventista. Uomini d’ogni denominazione religiosa si convinsero che il ritorno di Cristo era molto vicino. Uscendo dalle varie chiese di provenienza, essi si lasciarono dietro uomini, sentimenti e nomi settari. I loro cuori palpitavano uniti, mentre convogliavano insieme i loro sforzi, per dare l’allarme alle chiese e al mondo, e predicavano che la vera Speranza di tutti i credenti è il Ritorno del Figlio dell’uomo. Abbandonavano l’egoismo e l’invidia, e indirizzavano il loro spirito alla consacrazione ed al sacrificio. Lo Spirito di Dio accompagnava ogni vero credente, e ogni lingua innalzava la lode a Dio. Quelli che non parteciparono a questo movimento, non poterono mai capire davvero, quanto profondamente, coloro che ne facevano parte, scrutassero nei loro cuori e si consacrassero a Dio. Quanto grandi fossero la pace e la gioia che lo Spirito Santo offre, e quale amore fervente e puro provassero l’uno per l’altro.
La chiave di David: La chiave è simbolo di potere. Il Figlio di Dio è erede legittimo del trono di Davide, e sta per assumere il Suo gran potere e regnare, perciò si presenta a noi tenendo in mano la chiave di Davide. La capitale di questo regno, di cui sarà il Re, è la nuova Gerusalemme, che ora è in cielo, ma da cui scenderà per restare sulla terra per sempre.
“Colui che apre e nessuno chiude”: Per capire queste parole è necessario considerare la posizione di Cristo ed il Suo ministero nel Santuario Celeste (Ebrei 8: 12). Un tempo esistette qui sulla terra una copia di quel Santuario: quello costruito da Mosé (Esodo 25:8-9; Atti 7: 44; Ebrei 9:1,21,23,24). Il modello terreno aveva due vani: il luogo santo e il luogo santissimo (Esodo 23: 33-34). Nel primo vano si trovava il candelabro, il tavolo dei pani di proposizione e l’altare dei profumi. Nel secondo c’era l’arca con i cherubini che conteneva le tavole della legge con i Dieci Comandamenti. (Ebrei 9:1-5). Il Santuario Celeste in cui ministra Gesù, ha due camere, come quello terreno, com’è spiegato nella lettera agli Ebrei 9: 21-24: – Il tabernacolo e tutti gli arredi del culto – erano – figure delle cose celesti -.
Siccome tutto fu costruito secondo il suo modello, anche il Santuario Celeste ha gli arredi simili a quelli terreni. Per avere informazioni dell’antitipo del candeliere d’oro e dell’altare dei profumi, della prima stanza, basta leggere (Apocalisse 4:5 e 8:3); e per quel che riguarda l’antitipo dell’arca del patto con i Dieci Comandamenti, (Apocalisse 11:19). I sacerdoti operavano nel santuario terreno (Esodo 28: 41-43; Ebrei 9: 6-7; 13: 11), e il loro ministero era un’ombra di quello di Cristo nel Santuario Celeste (Ebrei 8: 4-5). Nel santuario terreno il ciclo completo dei servizi era portato a termine una volta l’anno (Ebrei 9: 7), ma in quello Celeste il servizio si compie una volta per sempre (Ebrei 7: 27; 9: 12). Alla fine del ciclo annuale, il sacerdote entrava nel luogo santissimo per fare l’espiazione. Quest’opera è appunto la purificazione del santuario (Levitico 16: 20,30,33; Ezechiele 45: 18). Quando il ministero era svolto nel luogo santissimo, quello che solitamente si compiva nel luogo santo cessava, e mentre il sacerdote si trovava nella seconda stanza (il luogo santissimo), non si svolgeva nessun altro servizio (Levitico 16: 17). Questo aprire e chiudere, o cambiamento di ministero, sarà compiuto da Cristo, quando giungerà il tempo di purificare il Santuario Celeste.
Il tempo giunse alla fine dei 2300 anni, nel 1844. È appunto a questo evento che possiamo correttamente applicare “l’aprire ed il chiudere”, di cui parla il versetto. Perciò “l’aprire” simboleggia l’inizio del ministero di Cristo nel Luogo Santissimo, ed il “chiudere” la cessazione del servizio nel Luogo Santo, o primo vano (si legga il tema del santuario e la sua purificazione nei commenti su Daniele 8:14).
Il versetto quattro probabilmente indica coloro che non avanzano unitamente con il progredire della luce della verità, e che si oppongono che lo facciano coloro che credono. A costoro, Dio fa sapere d’amare quelli che obbediscono alla Sua parola e che si applicano alla conoscenza della verità.
“La parola della mia costanza”: In Apocalisse 14:12 Giovanni scrive: – Qui sta la costanza dei santi; che serbano i comandamenti di Dio e hanno la fede di Gesù -. Coloro che ora vivono obbedendo fedelmente e pazientemente ai comandamenti di Dio, e hanno la fede di Gesù, saranno protetti nell’ora della tentazione e del pericolo. (Legg. comm. Apoc. 13:13-17)
“Ecco, Io vengo tosto”: Ora si vuole presentare il secondo Avvento di Cristo con un’enfasi maggiore che in altre occasioni. L’attenzione dei credenti è attirata sulla prossimità di quest’evento. Il messaggio è indirizzato ad un periodo molto vicino a quest’avvenimento eccezionale; ciò si percepisce anche dalla natura profetica di questo massaggio. I messaggi alle prime tre chiese non contengono alcun riferimento al ritorno di Cristo, poiché tali periodi erano troppo lontani. I cristiani di quei tempi lontani non potevano biblicamente sperarlo. Ma con la chiesa di Tiatiri il momento, in cui questa speranza poteva albeggiare, era giunto. Essa è presentata con una semplice allusione “Tenetelo (il vostro carico), finche Io venga”. La chiesa successiva, quella di Sardi, è più vicina al secondo Avvento, e nel messaggio che le è indirizzato è presente il gran grido che annuncia il prossimo ritorno di Cristo. Si raccomanda al suo angelo di vigilare: “E se tu non vegli, Io verrò a te come un ladro”. Il tempo passa e arriviamo alla chiesa di Filadelfia. La prossimità del Giorno di Dio è tale che Cristo dichiara “vengo presto”. Anche da questo si deduce che queste chiese occupano periodi successivi, sempre più vicini al Ritorno di Gesù: per l’urgenza con cui è annunciato il messaggio, che è sempre più definito e pressante. Quando la chiesa giunge a questo periodo della sua storia, si rende perfettamente conto che tale straordinario evento è sempre più vicino (Ebrei 10:25).
Gli ammonimenti: “Tieni fermamente la tua corona affinché nessuno te la porti via”. La nostra fedeltà non priverà nessuno della corona. Il verbo tradotto con “prendere” ha altri significati: levare, rubare, privare. Niente e nessuno, v’induca a rinunciare alla verità, né ad allontanarvi dalla retta via tracciata dal Signore per farvi perdere la ricompensa.
La promessa fatta al vincitore: Il vincitore sarà una colonna nel tempio di Dio, e non ne uscirà più. In questo caso il tempio è la chiesa. La promessa d’esserne una colonna vuol dire avere un posto d’onore in seno ad essa. La promessa di un’eterna e stabile sicurezza all’interno dell’edificio che la simboleggia. Quando questa promessa si compirà, terminerà il tempo di grazia ed il vincitore sarà suggellato e pienamente stabilito nella verità. “E non ne uscirà più”, cioè non vi sarà più pericolo che possa cadere, apparterrà al Signore per sempre, e la salvezza gli sarà garantita per l’eternità.
Si può affermare che dal momento in cui i cristiani vinceranno e saranno suggellati per il cielo, saranno annoverati come appartenenti a Dio e a Cristo, e giungeranno alla meta finale: la Nuova Gerusalemme. Avranno il nome di Colui cui appartengono, scritto sulla fronte. Avranno anche il nome della Nuova Gerusalemme, non quello dell’antica Gerusalemme che alcuni vanamente cercano ancora. Avranno anche il nome di Cristo, perché riceveranno la vita eterna in virtù della Sua autorità. Così suggellati ed insigniti, i santi staranno al sicuro. Nessun nemico potrà loro impedire di giungere al loro destino, al luogo di riposo la Nuova Gerusalemme Celeste.
VERSETTI 14-22: E all’angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il Testimone Fedele e Verace, il Principio della Creazione di Dio. Io conosco le tue opere; tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente Io ti vomiterò dalla mia bocca. Poiché tu dici: io sono ricco, e mi sono arricchito, e non ho bisogno di nulla, e non sai che tu sei infelice fra tutti, e miserabile e povero e cieco e nudo. Io ti consiglio di comprare da me dell’oro affinato col fuoco, affinché tu arricchisca; e delle vesti bianche, affinché tu ti vesta e non apparisca la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungertene gli occhi, affinché tu vegga. Tutti quelli che amo, Io li riprendo e li castigo; abbi dunque zelo e ravvediti. Ecco, Io sto alla porta e picchio; se uno ode la mia voce ed apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli meco. A chi vince Io darò di sedere meco sul mio trono, come anch’Io ho vinto e mi sono posto a sedere col Padre mio sul Suo trono. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.
La chiesa di Laodicea: Il termine “Laodicea” ha diversi significati: “Popolo giusto” “Giudizio dei popoli”, “Separazione dei popoli”, “Rigetto dei popoli”. Il messaggio diretto a questa chiesa presenta le scene finali del tempo di grazia. Esso rivela un tempo, di giudizio. È indirizzato all’ultima tappa della chiesa, a coloro che hanno creduto all’annuncio del terzo angelo, l’ultimo messaggio di misericordia proclamato prima del ritorno di Cristo (Apocalisse 14:9-14). Mentre si realizza l’opera del gran giorno d’espiazione, e continua il giudizio investigativo riferito alla casa di Dio, vi è un periodo in cui, mentre la chiesa aspetta Gesù, osserva come regola di fede la santa e giusta legge dell’Eterno.
“Queste cose dice l’Amen”: Essendo, infatti, questo il messaggio finale diretto alle chiese prima della fine del tempo di grazia. La descrizione degli indifferenti e dei distratti è sorprendente e terribile. Tale descrizione, d’altra parte, è certa, perché a farla è il Testimone “Fedele e Verace”. Egli, inoltre afferma anche d’essere “il principio della creazione di Dio “. Speculando su queste parole, alcuni hanno tentato di sostenere che Gesù Cristo è una creatura, creata prima d’ogni altra cosa o essere. In altre parole questi apostati affermano che Gesù Cristo per importanza viene dopo l’Eterno Dio, eternamente preesistente. La frase però non significa che Egli è una creatura: le parole “il principio della creazione”, significano letteralmente che fu Lui a dare inizio alla creazione. “Senza di Lui, niente di ciò che è stato fatto, fu fatto”. Altri interpretano giustamente la parola “arché”, con “agente”, o “causa efficiente”, che è una delle definizioni del termine, e significano che Cristo fu l’agente per mezzo del quale Dio creò tutte le cose.
La causa del rimprovero: L’accusa mossa ai Laodicesi è che essi sono tiepidi, che non sono né freddi né ferventi. Essi mancano di quel fervore religioso e di quella devozione che Dio esige proprio perché si trovano nei momenti finali della storia del mondo, e perché la luce della profezia splende sul loro sentiero. Questa tiepidezza la dimostrano nella mancanza di buone opere. Infatti è la conoscenza delle loro opere ad indurre il Testimone Fedele e Verace ad esprimere questa terribile accusa.
“Oh fossi tu freddo o fervente”: In questo messaggio si presentano tre diverse condizioni spirituali: la freddezza, la tiepidezza ed il fervore. Onde evitare conclusioni sbagliate è importante capire il significato di ciascuna condizione. Prima di tutto occorre capire che queste condizioni si riferiscono alla chiesa, non al mondo. Non è difficile capire cosa vuol dire il termine fervente. La mente evoca uno stato di zelo intenso; quando tutti gli affetti e i sentimenti, tesi al massimo sforzo, convergono verso Dio e la Sua causa e si manifestano nelle opere corrispondenti. Essere tiepidi, significa essere privi di questo zelo, o esserne, quantomeno, carenti. Significa vivere una condizione che manca di zelo e di fervore, in cui non vi è abnegazione, non si porta alcuna croce, non si è risoluti nella testimonianza di Gesù. Quando nessuna aggressione mantiene lucida la nostra armatura, la conseguenza peggiore di questa condizione è la completa soddisfazione del proprio stato.
Ma cosa significa essere freddo? Denota forse uno stato di corruzione, d’empietà e di peccato, come quello che caratterizza il mondo degli increduli? No, non possiamo accettare questa spiegazione, per molte ragioni.
Ci ripugna immaginare che Cristo Gesù possa, anche una sola volta, desiderare che delle persone si trovino in quello stato, solo perché dice “Oh, fossi freddo o fervente”. Niente offende maggiormente Cristo del peccatore in aperta ribellione, con il cuore ripieno d’ogni malvagità. Perciò è molto scorretto pensare che Egli possa auspicare e accettare che i suoi figli vivano in quella situazione, mentre s’accinge a prenderli con Se. Gesù, nel versetto 16, minaccia di respingerli perché non sono né freddi né ferventi. In altre parole, se così fossero non sarebbero assolutamente respinti, ma se la freddezza indicasse una condizione di lampante empietà mondana, essi sarebbero ancora più recisamente respinti, perciò l’interpretazione non può essere questa. Dobbiamo quindi capire che, con queste parole, nostro Signore, non si riferisce a coloro che sono fuori della chiesa. Egli presenta tre gradi di tensione spirituale, due delle quali sono più auspicabili del terzo. Quale condizione intende la freddezza, se è preferibile alla tiepidezza? In primo luogo possiamo ricordare che è una condizione sentimentale, ed in questo è senz’altro superiore alla tiepidezza che implica indifferenza, insensibilità e totale appagamento di se. Come il fervore richiama alla mente un gioioso fervore, una vitalità d’affetti in un cuore traboccante dell’amore di Dio e della Sua sensibile presenza, così il freddo sembra indicare la condizione opposta, quantunque la persona sia conscia di tale mancanza. Giobbe la descrive molto bene: – Oh sapessi dove trovarLo! Potessi arrivare fino al Suo trono -. In questo stato non c’è indifferenza e non c’è appagamento, ma una sensazione di fragilità, di disagio e di mancanza di preparazione. In quella condizione si cerca di più. Vi sono delle speranze per una persona che si trovi in questo stato. Quando un uomo “sente” che gli manca “qualcosa” si sforza di trovarlo, di raggiungerlo, di possederlo. La caratteristica più scoraggiante dei tiepidi è che non s’accorgono di nulla e non desiderano altro. È questo il significato della parola “freddo”, e ci riesca più facile capire perché il Signore preferisca vedere la Sua chiesa in questa, seppure scomoda, condizione spirituale, più che in quella comoda e facile di “tiepidezza”. L’uomo non rimarrà freddo per molto tempo. I suoi sforzi lo condurranno presto al “fervore”. Ma se è tiepido corre il rischio di restarci, fino a che il Testimone Fedele e Verace si vedrà costretto a respingerlo con disgusto e ripugnanza.
“Ti vomiterò dalla mia bocca”: Ecco che la scena si sposta avanti nel tempo, e il rigetto dei tiepidi è simboleggiato dalla nausea causata dall’acqua tiepida. Questo significa un rigetto finale, una separazione definitiva della sua chiesa.
“Sono ricco e mi sono arricchito”: I Laodicesi, nella loro condizione ingannevole, pensano così. Non è ipocrisia, ignorano realmente d’essere poveri, miserabili, ciechi e nudi.
Gli ammonimenti: “Compra da me”, dice il Signore, il Testimone Fedele e Verace, “oro affinato col fuoco, perché tu sia ricco, e sia vestito di vesti bianche… e ungiti gli occhi con il collirio affinché tu vegga”. Con queste parole Egli mostra agli illusi Laodicesi le qualità di cui difettano ed il grado della loro miseria spirituale. Inoltre mostra loro a chi possono rivolgersi per ottenere quelle ricchezze di cui mancano totalmente, mettendo in evidenza l’urgenza e la necessità di possederle. La situazione è così drammatica che il nostro Sommo Avvocato nel Tribunale Celeste, ci da, opportunamente, un consiglio speciale. Il fatto stesso che ritenga opportuno indicarci le nostre mancanze, consigliandoci le cose necessarie, esortandoci a chiedergliele, è una sicura garanzia che la nostra sollecitudine Gli sarà gradita e che ci concederà ciò che Gli chiediamo.
Come possiamo acquistare queste cose? Esattamente nel modo in cui abbiamo ricevuto le altre grazie del vangelo. “Voi tutti che siete assetati, venite alle acque, e voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate. Venite, comprate senza denaro senza pagare, vino e latte!” (Isaia 55: 1). possiamo comprare solo chiedendo; comprare scambiando le cose illusorie e senza valore del mondo, e ricevendo in cambio i tesori inestimabili, comprare… semplicemente chiedendo a Cristo, e da Lui ricevendo, così in virtù dell’amore di Dio, senza dar nulla in pagamento. Cosa compreremo in tali misericordiose condizioni? Il pane che non perisce, vesti immacolate che non si insudiciano, ricchezze che non si corrompono, e un’eredità immarcescibile. Che strana transazione è questa?! Il Signore della gloria accondiscende così, senza condizioni, a trattare col suo popolo. Egli potrebbe costringerci a presentarci a Lui come mendicanti, invece ci offre i tesori della Sua grazia, e in cambio riceve la nostra indegnità. Poiché riceviamo le benedizioni, che Egli ha serbato per noi, non come un piatto di cibo offerto a dei mendicanti, ma come legittimo possesso di un dignitoso ed onorevole acquisto.
Il valore delle cose, che dobbiamo ricevere, esigono un’attenta analisi del loro significato.
“L’oro affinato nel fuoco”: L’oro nell’accezione più ampia indica i beni e le ricchezze del mondo. Nel suo significato simbolico indica l’insieme delle ricchezze spirituali. Quale grazia rappresenta l’oro? Di certo non solo la grazia, nel significato comune del termine. Il Signore disse alla chiesa di Smirne che nonostante la sua povertà, tuttavia era ricca. Da questa testimonianza comprendiamo come le sue ricchezze fossero quelle qualità, grazie alle quali avrebbe ricevuto la corona della vita. L’apostolo Giacomo dice: – Ascoltate fratelli miei diletti: Iddio non ha Egli scelto quei che sono poveri secondo il mondo, perché sono ricchi di fede, ed eredi del Regno che ha promesso a coloro che L’amano? -, Paolo, aggiunge: – Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono. Infatti, per essa fu resa buona testimonianza agli antichi: – Esser “ricchi con Dio e per Dio”, ricchi in senso spirituale e aver diritto alle promesse, essere eredi di quella “eredità incorruttibile”, che non può contaminarsi, né macchiarsi, riservata ad essi nei cieli – (I° Pietro1: 4). – E se siete di Cristo, siete dunque progenie di Abramo; eredi secondo la promessa – (Galati 3: 29). Come otterremo tal eredità? Allo stesso modo: – … per cui Abramo ottenne la promessa, cioè per fede – (Romani 4: 13-14).
Non appaia strano che tutto il capitolo 11 della lettera agli Ebrei, sia dedicato a questo esempio importante di fede, ne esalti le gesta compiute per suo mezzo, e le preziose promesse ottenute grazie ad essa. Nel capitolo 12, della stessa lettera, è mostrata la grandiosa conclusione dell’argomento, contenuta nell’esortazione fatta ai cristiani affinché rifuggano tutto il peso e il peccato dell’incredulità, che così facilmente può opprimerli. Non c’è niente che possa inaridire più velocemente le fonti della spiritualità, per poi lasciarci nella più completa povertà negli interessi del regno di Dio, che lasciare che si spenga la nostra fede, e poi lasciarci sopraffare dall’incredulità. Tutte le nostre azioni, per essere gradite a Dio, devono provenire dalla fede. Mentre andiamo a Lui, ciò di cui abbiamo più bisogno è credere che Egli esiste. Noi siamo salvati per fede che, oltre ad essere la condizione principale della grazia, è un dono di Dio (Ebrei 11: 6; Efesini 2: 8).
In conclusione affermiamo che la fede é l’elemento principale della ricchezza spirituale. Ma, come abbiamo visto, nessuna grazia da sola corrisponde al significato pieno della parola “oro”; dobbiamo includervi altre virtù. “La fede é dimostrazione di cose che si sperano”, ecco dunque che la speranza è compagna inseparabile della fede (Ebrei 11: 1; Romani 8: 24-25). Paolo dichiara che la fede opera per mezzo dell’amore, e, in un’altra occasione, ci esorta ad essere ricchi in buone opere (Galati 5: 5; 1° Timoteo 6: 18), ci spiega cioè che l’amore non può essere separato dalla fede. In I° Corinzi scopriamo che le virtù unite sono tre: Fede, Speranza e Carità, o Amore, ma è quest’ultimo il più importante perché è ricco di buone opere. È questo l’oro che ci è consigliato d’acquistare.
“Le vesti bianche”: Pare che su questo simbolo non ci siano contrasti. Alcuni passi ci offrono la chiave per capire quest’espressione. Il profeta afferma che “tutta la nostra giustizia sono stracci d’immondizia” (Isaia 64:6). Consigliandoci d’acquistare l’antitesi di quegli stracci, cioè le vesti bianche e senza macchia, Egli usa la stessa immagine di Zaccaria (3:3,4); e di Giovanni (Apocalisse 19:8), che dice chiaramente che “il lino fino sono le opere giuste dei santi”.
“Il collirio”: Su questo punto è più facile trovare delle opinioni divergenti, e varie interpretazioni. L’unzione degli occhi non dev’essere inteso in senso letterale, dato che l’argomento è incentrato sui simboli spirituali. Il collirio simboleggia qualcosa che vivifica il nostro discernimento spirituale. La parola di Dio ci rivela che solo lo Spirito Santo compie quest’opera. In Atti 10:38 leggiamo che Dio unse Gesù Cristo di Spirito Santo. Lo stesso autore dell’Apocalisse nella sua I° lettera 2: 20-27, scrive: – Quanto a voi, avete l’unzione dello Spirito Santo, e conoscete ogni cosa. . . Ma quant’è a voi, l’unzione che avete ricevuta da Lui dimora in voi, e non avete bisogno che alcuno vi insegni; ma siccome l’unzione Sua v’insegna ogni cosa, ed è verace, e non è menzognera, dimorate in Lui come essa vi ha insegnato -. Se analizziamo il Suo Vangelo, scopriamo che la stessa opera, che Giovanni ci presenta come realizzata dall’unzione, è esattamente la stessa dei versetti citati e che egli attribuisce allo Spirito Santo. “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, Egli v’insegnerà ogni cosa, e vi rammenterà tutto quello che vi ho detto” Giovanni 4: 25 (vedi Giovanni 16: 13).
Il Testimone Fedele e Verace ci consiglia quindi amorevolmente e solennemente, servendosi dei simboli dell’oro delle vesti bianche e del collirio, di ottenere da Lui, in quantità sempre maggiori, le grazie celesti della fede, della speranza, e della carità, e la giustizia che solo Lui può dare, e, non ultimo l’unzione dello Spirito Santo. Ma com’è possibile che un popolo che manca di queste grazie, si consideri ricco? Esiste una sola risposta. Possiamo notare che i Laodicesi non sono accusati di diffondere false dottrine, non sono accusati d’annoverare in mezzo a loro Jezabel, né di tollerare le dottrine di Balaam, o dei Nicolaiti; per quel che ne sappiamo il loro credo è corretto, e la loro dottrina è sana. Se ne deduce, perciò, che l’errore consiste nel sentirsi appagati della conoscenza di queste dottrine. Si ritengono soddisfatti della loro corretta formazione religiosa, fine a sé stessa, e quindi inefficace. Avendo ricevuto la luce sugli avvenimenti finali dell’era evangelica, e la conoscenza teorica e corretta delle verità destinate all’ultima generazione umana, sono inclini a confidare in questo, e trascurano la forza spirituale che cambia la vita e modella un carattere energico. Si sentono ricchi di parole, ma sono poveri d’opere e di fatti. Dato che possiedono tanta luce e tante verità, di che cosa abbisognano, ancora? Non è completa la loro giustizia, dal momento che difendono la teoria e apparentemente si conformano alla maggior luce che hanno ricevuto a proposito dei Comandamenti di Dio? E non sono per questi motivi, già ricchi, e perciò non hanno bisogno di nulla? Il loro errore consiste proprio in questo sentimento. Essi dovrebbero desiderare con tutto il cuore i benefici dello Spirito Santo: lo zelo, il fervore, la vita, e la potenza del cristianesimo vissuto intensamente.
La prova d’amore: Anche se può sembrare strano, il castigo è una prova d’amore. “Tutti quelli che amo Io li riprendo e li castigo”. Se non siamo castigati significa che non siamo figli (Ebrei12: 8).
Augusto C. Thompson, così scrive: – Ecco che ci è mostrato il Suo misericordioso procedere… Poiché, in un certo senso, tutti meritano il castigo, tutti lo ricevono seppure in misura diversa, ricevendo così la prova dell’affetto del Salvatore. Questo tipo di lezione è difficile da imparare. Alcuni tra i credenti sono duri nell’imparare. Nella Parola di Dio ci sono numerosi esempi che dimostrano come le difficoltà siano Sue benedizioni; nessun figlio sfugge alla verga. I blocchi di granito malformati, storti e di rozza costituzione sono corretti, mentre quelli scelti, data la loro buona struttura, sono sottoposti al martello e allo scalpello. Non c’è grappolo che non debba passare per il tino. Un vecchio teologo che soffriva una grande afflizione diceva: – Per quel che mi riguarda benedico Dio perché anche nella dolorosa prova che mi ha mandato, vedo e sento tanta misericordia da esserne dolcemente commosso. Mi piace pensare a quanto saranno dolci le Sue misericordie, accorgendomi di quanto siano misericordiosi i suoi giudizi -. Perciò conoscendo l’origine e gli scopi dei castighi che ricevi: – Sii zelante, e ravvediti -. Non perdere tempo, non sprecare neanche un colpo di verga, ravvediti subito. Sii fervente nello spirito. Sia questo la prima conseguenza dell’incitamento, il primo effetto del castigo.
“Abbi dunque zelo e ravvediti”: Come abbiamo già visto, anche se la freddezza è preferibile alla tiepidezza non è in ogni caso la condizione in cui il Signore desideri incontrarci. La Bibbia non vuole che manifestiamo questa disposizione, ce ne consiglia altre, migliori: ci esorta ad essere zelanti, ferventi, con il cuore ardente nel servire il nostro Redentore e Maestro.
Cristo bussa alla porta: Augusto C. Thompson, così commenta: – Ecco la generosità che scaturisce dall’amore supremo. Anche se consapevole della loro inclinazione al male, e il loro carattere ribelle, Gesù nutre un amore così grande per le Sue anime, da umiliarsi al punto di chieder loro il privilegio di salvarle. “Ecco, Io sono alla porta e busso”. Perché bussa? Perché chiama? Non perché manchi di un altro focolare. Tra le dimore della casa del Padre non c’è n’è una che per Lui sia chiusa. Egli è, nella gloria, la Vita di ogni cuore, la Luce di ogni occhio, il Canto di ogni lingua. Ciononostante, come un umile mercante, Egli va tra i Laodicesi, di porta in porta, ad offrire i mezzi della salvezza. Si ferma davanti a ciascuna porta e chiama, perché venne per cercare di salvare quello che era andato perduto; perché non può rinunciare al proposito di donare la vita eterna a coloro che Gli sono stati dati dal Padre, e infine perché, se non Gli aprono la porta e non Gli danno il Benvenuto, i commensali non potranno conoscerLo. “Comprasti un terreno, e cinque paia di buoi, e col berretto in mano chiedi d’essere scusato? Egli chiama, e chiama ancora. E tu, ora non puoi ricevere visite: sei troppo stanco per il lavoro, ti sei appena sdraiato sul divano e Gli mandi a dire che sei occupato. Ed Egli chiama… e chiama… È l’ora di riunirsi in preghiera… oppure hai l’opportunità di visitare cristianamente una persona, oppure una famiglia: però non lo fai, non ti muovi. . . Oh nauseabonda tiepidezza! Oh fatale mondanità! Il Signore della Gloria percorre tutta la strada dalla Sua Dimora Celeste, arriva in povertà, con sudore e sangue alla porta di coloro che dicono d’essere suoi amici e che Gli devono tutto, . . . e non può entrare. Oh quale altezza, quale profondità ha la pazienza del Signore! Perfino il pagano Publio ricevette Paolo, e l’ospitò cortesemente tre giorni. Coloro che si dicono cristiani diranno forse al Signore degli apostoli, che non hanno posto per Lui?
“Se uno ode la mia voce. . . ” Il Signore mentre chiama, prega. La parola “se”, implica che alcuni non vorranno udire. Quantunque Egli stia lì alla porta e chiami, alcuni chiuderanno i loro occhi e i loro orecchi per non vedere e non udire le Sue eterne suppliche. Ma solo udire non basta, dobbiamo aprire la porta. Molti di quelli che inizialmente ascoltano la Sua voce e, per un certo tempo, sono disposti ad ascoltarla, alla fine trascurano di fare quello che è necessario per assicurarsi la comunione con l’Ospite Celeste.
E tu lettore, ascolti gli inviti del Salvatore? La Sua voce è per te la benvenuta? Sei attento ai Suoi ammonimenti?, Gli aprirai la porta e Lo lascerai entrare?. Oppure la porta del tuo cuore è chiusa dall’accumulo delle scorie di questo mondo che tu non sei disposto a levare? Ricordati che il Signore della vita non forza mai la porta. Si limita a bussare e a chiamare. Si adopera per essere accettato, ma stabilisce la Sua dimora solamente in quei cuori che L’invitano e che L’accolgono come Ospite desiderato e benvenuto.
La promessa arriva subito: – Io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli meco -. Come è commovente ed espressiva quest’immagine! Un amico partecipa insieme con l’altro ad una cena intima e allegra! I due spiriti conversano amichevolmente e liberamente! Quale gioia e quale festa dev’essere avere il Re della Gloria, nostro Ospite! Non è un’unione qualsiasi, né una benedizione ordinaria, o un privilegio usuale, ciò che vuole esprimere quest’immagine! Chi può restare indifferente di fronte ad una simile eterna supplica, e ad una tale misericordiosa promessa? Egli non ci chiede nemmeno d’essere noi ad apparecchiare il tavolo e ad imbandirlo. Di questo si occupa Egli stesso, non con i grossolani alimenti della terra, ma con i cibi della propria dispensa Celeste. Ci offre gli “antipasti” della gloria che presto ci rivelerà; ci dona la caparra della nostra futura eredità incorruttibile, incontaminata ed immarcescibile. In verità, quando avremo compiuto le condizioni e avremo ricevuto questa promessa, sperimenteremo il sorgere, nei nostri cuori, della luce del mattino, e contempleremo l’alba che sorge gloriosa per la chiesa di Dio.
La promessa al vincitore: Il Signore, dopo aver promesso ai propri discepoli di cenare con essi, rivolge al vincitore la promessa finale, dimostrando così che tali benedizioni sono usufruibili anche durante il tempo di grazia e di prova. Ecco la promessa fatta al vincitore: – A chi vince, Io darò di sedere meco sul mio trono, come anch’Io ho vinto e mi sono posto a sedere col Padre Mio sul Suo trono -. Le promesse del Signore culminano con questa. L’uomo che è stato ribelle fin dall’inizio, dopo essere caduto ed essersi degradato e contaminato, è finalmente, grazie all’opera del Redentore, riconciliato con Dio. Purificato delle sue contaminazioni, redento dalla caduta, reso immortale, è alla fine elevato al seggio del trono del suo Salvatore e Redentore. Non possono esistere glorie e onori più grandi. La mente umana non può concepire questo stato, né può esprimerlo il linguaggio. Possiamo solo continuare ad operare fino a quando, se avremo vinto, lo sapremo e conosceremo come è veramente.
Questo versetto non contiene solo una gloriosa promessa ma anche un’importante dottrina. Esso ci insegna che Cristo regna contemporaneamente in due troni: uno del Padre, l’altro Suo personale. Infatti afferma che Egli dopo aver vinto sta ora assiso col Padre Suo sul Suo trono. Cristo, cioè, è unito al Padre sul trono del Dominio Universale, e si trova alla Sua destra, più in alto di qualsiasi regno, principato e potestà (Efesini 1: 20-22), nella duplice funzione di Re e Sacerdote. Egli è Sacerdote, “Ministro del Santuario”, ma allo stesso tempo è “alla destra del trono della Maestà dei cieli” (Ebrei 8: 1-2). Il profeta Zaccaria predisse così il luogo e l’opera di nostro Signore: – E gli parlerai dicendo: Cosi parla l’Eterno degli eserciti: Ecco un uomo che ha nome il Germoglio; Egli germoglierà nel suo luogo ed edificherà il tempio dell’Eterno, e porterà le insegne della gloria, e si assiderà e dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono, e vi sarà fra i due un consiglio di pace (in favore dell’uomo) – (Zaccaria 6: 12-13).
Ma giungerà il momento in cui cambierà di posto, e, dopo aver lasciato il trono del Padre, si sederà sul proprio. E questo avverrà quando sarà giunto il tempo di ricompensare i vincitori, perché allora essi sederanno con Lui sul Suo trono, come Lui si è assiso su quello del Padre. Paolo cosi ci presenta quest’avvenimento: – Poi verrà la fine, quand’Egli avrà rimesso il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna che Egli regni finche abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Difatti, Iddio ha posto ogni cosa sotto i piedi di Esso; ma quando dice che ogni cosa Gli è sottoposta, è chiaro che Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato (I° Corinzi 15: 24-28).
Le verità contenute in questo brano possono essere chiarite brevemente con una perifrasi se, al posto dei pronomi, usiamo ogni volta il sostantivo cui si riferisce, così: – Allora verrà la fine (del tempo attuale), quando Cristo consegnerà il regno (che ora regge assieme a Suo Padre) a Dio, cioè al Padre; quando Dio ridurrà al nulla ogni potenza, ogni principato e ogni potestà (che s’oppongono al Figlio). Perché Gesù Cristo deve regnare (nel trono del Padre), finche il Padre non abbia messo sotto i piedi di Cristo tutti i suoi nemici (vedi Salmo 110: 1). L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Perché Dio, allora, avrà sottoposto ai piedi di Cristo tutte le cose. Ma quando Dio dice: tutte le cose Gli siano sottoposte (a Cristo, ed Egli inizia a regnare sul proprio trono), è chiaro che Dio ne è eccettuato, infatti è Lui che sottoporrà tutte le cose a Cristo. E quando tutte le cose saranno sottoposte a Cristo, allora Cristo stesso si sottometterà a Dio, che Gli sottomise ogni cosa, affinché Dio sia Tutto in tutti -. Tutto questo ci insegna che il regno che Cristo consegnerà al Padre è quello che attualmente regge dal trono del Padre, sul quale, come ci è stato appena mostrato, sta seduto. Gesù consegnerà questo regno alla fine del suo Ministero Sacerdotale, quando sarà giunto il tempo d’assumere il proprio trono. Infine Egli regnerà sul trono di Suo Padre Davide, e sarà soggetto solo a Dio, che conserva la Sua posizione sul trono del Dominio Universale.
I santi saranno compartecipi di questo regno con Cristo: – A chi vince Io gli darò di sedere meco sul Mio trono -. – E vissero e regnarono con Cristo mille anni – (Apocalisse 20: 4). Tra l’altro ci sembra di capire che questo è un regno un po’ speciale, con un fine particolare, come vedremo nel capitolo 20, giacche il vero regno dei santi sarà eterno (Daniele 7: 18-27). Come può un’attrazione terrena sviare il nostro sguardo da questa prospettiva celeste ed eterna?
Terminano così i messaggi alle sette chiese. Com’è diretta e indagatrice la Sua Testimonianza! Quale lezione per noi credenti di tutte le età!. Il messaggio è preciso con la prima come con l’ultima chiesa, e Colui che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro, conosce tutte le loro opere. Nulla e nessuno può nascondersi al Suo sguardo indagatore. Sebbene le minacce agl’ipocriti ed agli operatori d’iniquità siano spaventose, com’è d’altronde giusto che sia, come sono grandi, consolatrici, misericordiose e gloriose le promesse che Egli fa a quelli che con cuore sincero Lo seguono e L’amano.
VERSETTO 1: Dopo queste cose io vidi: ed ecco una porta aperta nel cielo, e la prima voce che avevo udita parlante meco a guisa di tromba, mi disse: Sali qua, e io ti mostrerò le cose che debbono avvenire da ora innanzi.
Nei primi tre capitoli Giovanni ha esposto la visione avuta dal Figlio dell’uomo. Ha descritto la Sua maestosa persona, e ne ha registrato le parole che aveva pronunciato con voce “come di rombo di molte acque”. Ora, davanti ai nostri occhi si apre una nuova scena, e una nuova visione. L’espressione “dopo queste cose”, non significa che ciò che è scritto nel capitolo IV° e in quelli successivi, si realizzerà dopo che si sarà compiuto tutto ciò che è scritto nei primi tre capitoli, significa che il profeta, dopo aver visto e udito ciò che ha fin qui descritto, ha una nuova visione, e ora ce la racconta.
“Una porta aperta in cielo”: Una porta aperta nel cielo, non una porta d’accesso al cielo; la traduzione italiana è fedele all’originale. Non che il cielo gli si aprì davanti, come successe a Stefano (Atti 7: 26), ma che un luogo ben preciso, in cielo, fu aperto davanti a lui, e gli fu permesso di guardarvi dentro. Altri passi del libro dimostreranno che ciò che si concesse allo sguardo di Giovanni era il Santuario Celeste.
“Le cose che devono avvenire d’ora innanzi”: Si confronti questa frase con Apocalisse 1: 1. Lo scopo fondamentale della Rivelazione è di presentare gli avvenimenti futuri per informare, educare, e consolare la chiesa.
VERSETTI 2-5: E subito fui rapito in ispirito; ed ecco un trono era posto nel cielo, e sul trono v’era uno a sedere. E Colui che sedeva era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardònico; e attorno al trono c’era un arcobaleno che, a vederlo, somigliava a uno smeraldo. E attorno al trono c’erano ventiquattro troni; e sui troni sedevano ventiquattro anziani, vestiti di bianche vesti e aveano sui loro capi delle corone d’oro. E dal trono procedevano lampi e voci e tuoni; e davanti al trono c’erano sette lampade ardenti, che sono i sette spiriti di Dio.
“In ispirito”: In questo libro abbiamo trovato già un’altra volta quest’espressione. In Apocalisse 1:10 infatti leggiamo: “Fui rapito in ispirito nel giorno del Signore”. Abbiamo già visto che queste parole indicano il sabato. Il Sabato, il vero giorno del Signore, in cui Giovanni ebbe la visione. Essere rapito in ispirito, come in quell’occasione, significa avere una visione. Dobbiamo dedurne che la prima visione terminò con il capitolo 3, e ora ne introduce una nuova. Questa considerazione non contrasta con quanto abbiamo già detto relativamente al 1° verso del capitolo che stiamo esaminando: vale a dire che Giovanni godesse d’una tale considerazione spirituale, grazie alla quale, poté vedere una porta aperta nel cielo e udire una voce potente e squillante come il suono della tromba, che l’invitava a guardare più da vicino le cose celesti.
Allora Giovanni, ripieno di Spirito Santo, guardò e vide i cieli aperti, e vide il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio. Essere rapito in ispirito significa vivere una situazione di straordinaria elevazione spirituale; non abbiamo nessuna indicazione del giorno in cui ricevette tale visione. Giovanni, nuovamente rapito in celeste visione, vide innanzi tutto un trono e l’Essere Divino che vi era seduto. La descrizione dell’aspetto di questo personaggio rivestito d’abiti splendenti, suggerisce l’idea di un Monarca rivestito delle sue vesti regali. Il trono è circondato da un arco celeste, simile all’arcobaleno, che aggiunge luminosità alla scena e che ricorda che Colui che siede sul trono, sebbene sia un Principe Assoluto ed Onnipotente, è anche un Dio che porta a compimento il Suo patto senza incertezze o equivoci.
I ventiquattro anziani: Chi sono questi esseri che circondano il trono della gloria? Abbiamo visto che indossano vesti bianche e che in testa hanno le corone d’oro, simbolo di un conflitto che essi hanno concluso vittoriosamente. Questo lascia intendere che un tempo sono stati partecipi della lotta cristiana, che hanno camminato sulla terra assieme ai santi, che hanno vinto, e che, in anticipo sulla gran moltitudine dei redenti, hanno ricevuto la corona della vittoria. Tutto ciò essi lo evidenziano nel canto di lode dedicato all’Agnello: – … e cantavano un cantico nuovo dicendo: Tu sei degno di prendere il libro e d’aprirne i suggelli, perché sei stato immolato e hai comprato a Dio, col tuo sangue, gente di ogni tribù e lingua e popolo e nazione – (Apocalisse 5: 9).
Quest’inno è cantato prima che i fatti narrati nella profezia dei sette sigilli si compiano. Infatti lo cantano per glorificare ed esaltare l’Agnello poiché è degno di lode per tutto ciò che ha fatto, e che, avendo tanto sofferto per la loro salvezza, è degno anche di prendere il libro e d’aprirne i sigilli. La loro presenza non è un fatto anticipato o intercalato applicabile al futuro, no la loro presenza è un fatto assoluto e concluso, essi sono una categoria di persone redente da questa terra come tutte quelle che lo saranno in virtù del prezioso sangue di Cristo. Abbiamo, nel Sacro Libro, altre notizie che riguardino questo gruppo di redenti? Noi crediamo che Paolo si riferisca a loro, quando scrive: – Ed è per questo che è detto: salito in cielo Egli ha menato in cattività un gran numero di prigioni ed ha fatto dei doni agli uomini – (Efesini 4: 8). L’originale dice “portò un gran numero di prigionieri”; se riandiamo ai fatti accaduti al momento della morte e della resurrezione di Cristo, leggiamo: – … e le tombe si aprirono, e molti corpi dei santi che dormivano, risuscitarono; ed usciti dai sepolcri dopo la risurrezione di Lui, entrarono nella santa città, ed apparvero a molti -(Matteo 27: 52-53). In questo modo la pagina sacra da una risposta chiara e precisa alla nostra domanda: sono essi alcuni di coloro che uscirono dalle tombe quando Cristo risuscitò? E che furono annoverati fra l’illustre moltitudine che Gesù liberò dalla tenebrosa prigionia della morte quando ascese trionfalmente al cielo? E che assolvono i sacri doveri per i quali furono risuscitati?. Non siamo gli unici a crederlo, Wesley in proposito scrive: – “vestiti di vesti bianche”, questo loro abbigliamento e le corone d’oro, dimostrano che conclusero la loro missione e presero posto tra i cittadini del cielo. Non sono chiamate “anime”, perciò è probabile che siano dotati di corpi glorificati. Si confronti Matteo 27: 52 -. Dobbiamo anche considerare attentamente il fatto che i ventiquattro anziani sono seduti sui troni. La nostra è la traduzione letterale dal termine greco thronoi = troni, la stessa parola usata tre volte nei versetti 2 e 3, e una volta nel versetto 4. La Versione Moderna così traduce: – E intorno al trono vi erano ventiquattro troni, e sui troni erano seduti ventiquattro anziani -. Perciò questo passo chiarisce la frase di (Daniele 7: 9): – Io continuai a guardare fino al momento in cui furono collocati dei troni -. Questi sono gli stessi e, come già detto nel commentare questo versetto, non si tratta di troni che si tolgono, ma di troni che si collocano. Quest’immagine deriva dall’uso orientale di sistemare poltrone e divani per farvi accomodare gli ospiti illustri, e tali sono questi ventiquattro anziani, in quanto (si veda. comm. Apoc. cap. 5) sono gli assistenti di Cristo nella Sua opera mediatrice svolta nel Santuario Celeste. Quando la scena del giudizio, descritta in Daniele 7: 9, ebbe inizio nel luogo Santissimo, furono collocati dei troni, secondo la testimonianza di quel passo.
Le sette lampade ardenti: Le lampade ardenti sono l’antitipo del candelabro d’oro, con le sette lampade che restano sempre accese, nel santuario terreno. Su indicazione Divina il candelabro era sistemato nel primo scompartimento del Santuario Celeste (Esodo 25-31). Quando Giovanni vide una porta aperta nel cielo, vide all’interno l’antitipo del candeliere del santuario terreno, perciò sappiamo che Giovanni stava guardando all’interno del primo scompartimento del Santuario Celeste.
VERSETTI 6-11: E davanti al trono c’era come un mare di vetro, simile al cristallo; e in mezzo al trono e attorno al trono, quattro creature viventi, piene d’occhi davanti e di dietro. E la prima creatura vivente era simile a un leone, e la seconda simile a un vitello, e la terza avea la faccia d’uomo, e la quarta era simile a un’aquila volante. E la quattro creature viventi avevano ognuna sei ali, ed eran piene d’occhi all’intorno e di dentro, e non restavan mai, giorno e notte, di dire: Santo, Santo, Santo è il Signore Iddio, l’Onnipotente, che era, che è, e che viene. E ogni volta che le creature viventi rendon gloria e onore e grazia a Colui che siede sul trono, a Colui che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro anziani si prostrano davanti a Colui che siede sul trono, e adorano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo: Degno sei, o Signore, e Iddio nostro, di ricevere la gloria e l’onore e la potenza; poiché tu creasti tutte le cose, e per la Tua volontà esistettero e furon create.
Il mare di vetro: In realtà non è un composto di vetro come potrebbe sembrare, ma una larga distesa che gli somiglia. È “cristallino” e “trasparente”, come dice Jaime Strong nel suo dizionario greco. Possiamo definirlo meglio se lo paragoniamo al cristallo descritto come “… una sostanza formata da ghiaccio e vetro”. La posizione di questo mare è tale che non ha nessun rapporto con la grande conca di rame, o mare, del vecchio servizio tipico. Può estendersi sotto il trono, ed esserne il basamento, e può esserlo anche della stessa città. È menzionato anche in Apocalisse 15:2 come il luogo in cui stanno i vincitori dopo il gioioso rapimento successivo alla vittoria finale. In quel luogo loderemo Colui che ci diede la vittoria.
I quattro esseri viventi: Coloro che traducono questo versetto con la parola “animali”, rendono un’interpretazione alquanto infelice. La parola greca zoon indica più esattamente un “essere vivente“. Bloomfield nel suo commentario dice: – “Quattro esseri viventi”, (non animali). come lo traduce Heinr… Credo che tutti i commentatori riconoscano l’esattezza di questa correzione. Il vocabolo differisce molto da therion (fiera) che indica gli animali profetici del capitolo 13 e seguenti (Scholefield). In più Bulkeley mostra vari esempi di zoon per indicare, non soltanto un essere, ma anche un essere umano, specialmente in Origene, che lo usa per indicare Nostro Signore Gesù Cristo -.
Simili immagini sono usate anche nel 1° capitolo di Ezechiele. Le caratteristiche di questi simboli sono la forza, la perseveranza, la ragione e la velocità, che simboleggiano: la forza dell’amore, la perseveranza nell’assolvere i nostri doveri, la ragione per comprendere la divina volontà, e la velocità nell’ubbidienza. Questi esseri viventi sono molto più vicini al trono dei 24 anziani, infatti, è detto che gli stanno in mezzo ed attorno. Anch’essi, come i 24 anziani, cantano una lode all’Agnello che li ha redenti dalla terra. Perciò appartengono allo stesso gruppo e rappresentano una parte della grande moltitudine che, come abbiamo già visto nel commento al vers. 4, fu liberata dalla prigionia della morte e assunta in cielo. Per quanto riguarda l’oggetto della loro redenzione leggere le osservazioni su Apocalisse 5:8.
Non smettono mai: – Che felice irrequietezza! – esclama Wesley – l’oggetto della loro continua adorazione è “Santo, Santo, Santo è il Signore Dio, l’Onnipotente, che era, che è, e che viene” -. Mai dalle labbra di creature salì accordo più sublime. Essi lo ripetono continuamente. Giovanni dice “giorno e notte” per adattare tale continuità al nostro linguaggio, poiché dov’è il trono di Dio non può esservi mai notte. (Apocalisse 21: 23-25).
Noi mortali siamo soliti non manifestare al Signore la nostra gratitudine per la Sua misericordia e bontà, siamo tentati, piuttosto, di tacere anziché ripetere espressioni di gratitudine. Non potremo, invece, imparare da questi esseri celesti, che non smettono mai di ripetere espressioni di lode? Non potrebbe esserci utile la loro lezione? Per i santi quelle parole non invecchiano mai, perché i loro cuori sono sempre consapevoli della Sua Santità, bontà e amore. La lode non è mai monotona perché esprimendola essi penetrano sempre più profondamente nelle Virtù dell’Onnipotente. Essi raggiungono, nella comprensione e nella percezione delle Sue perfezioni, altezze sempre maggiori, e l’orizzonte s’apre dinanzi a loro. I loro cuori s’aprono, l’adorazione s’arricchisce di sempre nuove emozioni nel loro saluto, così che diventa sempre nuovo e diverso: “Santo, Santo, Santo è il Signore Dio, l’Onnipotente”. Può essere così anche per noi. Quand’anche ripetessimo sempre le stesse parole sulla bontà, la misericordia, l’amore di Dio, il valore della verità e la gioia del mondo a venire, queste lodi per il nostro orecchio non devono mai invecchiare. Durante la nostra vita dobbiamo elevarci ad altezze sempre maggiori, nella comprensione delle benedizioni insite nelle tematiche della Sua Gloria.
“Oh Signore, degno sei di ricevere la gloria, l’onore e la virtù”. Quanto poi ne sia degno non potremo capirlo, finche come i santi, non saremo trasformati e resi immortali per essere “presentati irreprensibili davanti alla Sua gloria” (Giuda 2: 4).
“Creasti tutte le cose”: L’onore, la gloria, e la potenza resi a Dio sono insiti nell’Opera della Creazione. “Per la Tua Volontà furono creati e vennero all’esistenza”: per la Potenza e l’Amore di Dio tutte le cose giunsero all’esistenza e, in virtù dello stesso potere, si conservano e si sostengono.
VERSETTO 1°: E vidi nella destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette suggelli.
L’apostolo, nel cominciare questo nuovo capitolo, ha in mente la stessa visione. Con le parole “di Colui che sedeva sul trono”, indica senza dubbio il Padre, dato che più avanti indicherà il Figlio come “l’Agnello che pareva essere stato immolato”. Il libro che Giovanni vide, conteneva la rivelazione degli avvenimenti che dovevano prodursi nella storia della chiesa alla fine dei tempi. Il fatto che il libro si trovi nella destra di Colui che sedeva sul trono, può significare che la conoscenza del futuro è una prerogativa esclusiva di Dio, tranne che per quei dettagli che Egli intenda rivelare.
Il libro sigillato: I libri in uso al tempo di Giovanni non erano fatti come i nostri. Non avevano una serie di fogli rilegati, ma consistevano in strisce arrotolate di pergamena, o altro materiale. Wesley scrive: – I libri in uso tra gli antichi erano diversi dai nostri, erano formati da voluminose strisce di pergamena arrotolate su un asse, come le nostre pezze di tessuto. Così era il libro nelle mani di Dio, ed era sigillato da sette suggelli. L’apostolo non dice di vedere sette suggelli tutti in una volta. Infatti, erano diversi libri, arrotolati uno dentro l’altro, ciascuno col suo suggello: così che, aperto il primo e srotolato il foglio, appariva il secondo suggello, e così via sino al settimo -.
Ancora. Questo libro non era scritto dentro e fuori, come sembrerebbe indicare la traduzione che usiamo; Lowman, Fuller, e altri specificano il senso, spostando la virgola in questo modo: – scritto di dentro, e di fuori sigillato con sette sigilli -. Quanto ai sigilli abbiamo già spiegato poc’anzi.
VERSETTI 2-4: E vidi un angelo potente che bandiva con gran voce: Chi è degno d’aprire il libro e di romperne i suggelli? E nessuno, in cielo né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, o guardarlo. E io piangevo forte perché non s’era trovato nessuno che fosse degno d’aprire il libro o di guardarlo.
Nella visione sembra che Dio tenga il libro in modo che l’Universo intero possa vederlo. Poi un angelo potente, di certo un essere preminente e forte, si fa avanti e, come un araldo, sfida a gran voce tutti gli esseri dell’Universo affinché dimostrino la forza della loro sapienza svelando i consigli di Dio. Chi era degno d’aprire il libro rompendone i sigilli? Ci fu una pausa: in silenzio, l’intero Universo ammetteva d’essere incapace e indegno di penetrare i consigli del Creatore. “… nessuno poteva né in cielo, né sulla terra”. La parola greca “oudeìs” = nessuno, non significa solamente “nessun uomo”, ma anche nessuna creatura celeste. Non è questa una prova, se ancora ve ne fosse bisogno, che le facoltà dell’angelo, come quelle degli uomini, sono limitate, e non possono penetrare il futuro, e conoscere gli eventi? Quando l’apostolo vide che nessuno si faceva avanti per aprire il libro, temette che gli avvenimenti che solo Dio conosceva e che riguardavano il Suo popolo, non sarebbero mai stati rivelati. Mosso allora dalla sua sensibilità cristiana e dalla preoccupazione per la chiesa, pianse a dirotto. – Come lontani dai sentimenti di Giovanni – commenta con amarezza Wesley – le aspirazioni di coloro che preferiscono conoscere altre cose, piuttosto che il contenuto del libro di Dio -. A proposito del pianto di Giovanni, Benson così commenta: – Quale dolore era per lui il pensiero che non vi fosse nessuno in grado di conoscere, d’agire e di rivelare i segreti divini, e che conseguentemente fossero per la chiesa nascosti per sempre. Queste lacrime provenivano dalla nobiltà del suo spirito. Ora che aveva perso la padronanza di sé stesso, la tenerezza del suo cuore si manifestava apertamente. Non fu possibile scrivere l’Apocalisse senza lacrime: tanto meno non si potrà mai capirla senza -.
VERSETTI 5-7: E uno degli anziani mi disse: Non piangere; ecco, il Leone che è della tribù di Giuda, il Rampollo di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette suggelli. Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che pareva essere stato immolato, ed avea sette corna e sette occhi che sono i sette Spiriti di Dio, mandati per tutta la terra. Ed Esso venne e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono.
Non fu permesso che Giovanni piangesse più del necessario. Dio non permette che i Suoi figli siano privati della conoscenza che è loro utile. Erano state approntate le condizioni per aprire il libro. Perciò, uno degli anziani consola Giovanni “Non piangere: Egli, il Leone della tribù di Giuda, la Radice di Davide, ha vinto per aprire il libro, e sciogliere i sette suggelli”. Non è chiaro il motivo per cui sia stato uno degli anziani a dare quest’informazione, e non un altro degli esseri celesti. A meno che, essendo stato redento, conoscesse Cristo e avesse una particolare conoscenza delle cose concernenti il bene della chiesa terrena.
Cristo ora è chiamato “Leone di Giuda”. Perché Leone, e perché della tribù di Giuda? Alla prima domanda si può rispondere perché il leone, re degli animali, simboleggia la regalità e la forza; in quanto alla seconda: l’aggettivo proviene certamente dalla profezia di Genesi 49: 9-10.
“La Radice di Davide”: Cristo era Colui che sosteneva Davide nella sua posizione e nel suo potere, e che sia stato proprio Lui a farlo in modo speciale, nessuno può metterlo in dubbio. Davide era il tipo, la figura di cui Cristo era l’antitipo. Il trono e il regno di Davide in Israele erano figura del Regno di Cristo sul Suo popolo. “Egli regnerà sul trono di Davide suo padre” (Luca 1: 32-33).
Quando Cristo prese la nostra natura umana, discese dalla discendenza di Davide “un ramo del tronco d’Isai” (Apocalisse 22: 16; Isaia 11: 1-10).
La prerogativa che soltanto Lui avesse il potere d’aprire i suggelli e il diritto di regnare sul popolo di Dio, stava proprio nel fatto che Cristo discendeva dal tronco di Davide.
“Ha vinto”: Queste parole spiegano che questo diritto fu ottenuto attraverso la vittoria conseguita in precedenza. Troveremo il racconto di questa vittoria più avanti nel capitolo. Tale scena ci presenta la grande opera di Cristo come Redentore del mondo, e lo spargimento del Suo sangue per la remissione dei peccati e la salvezza dell’uomo. Durante quest’opera Gesù fu sottoposto agli attacchi più violenti del Nemico. Ma Egli vinse la tentazione e sopportò l’agonia della croce. Uscì dal sepolcro trionfando sulla morte, assicurando così il cammino della nostra Redenzione. Per questi motivi i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani cantano: – Degno sei di prendere il libro, e di aprire i suoi sigilli; perché sei stato immolato, e ci hai redenti per Dio, col Tuo sangue -.
Giovanni vide il Leone della tribù di Giuda e contemplò in mezzo al trono, tra i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani, un Agnello immolato.
“In mezzo al trono”: Filippo Doddridge traduce così questo passo: – Vidi. . . in mezzo allo spazio tra il trono e i quattro esseri viventi, e in mezzo agli anziani. . . c’era. . . un Agnello -. Al centro della scena stava il trono del Padre, e, in piedi, nello spazio aperto che Lo circondava c’era il Figlio, rappresentato dal simbolo dell’Agnello immolato. Attorno a Loro stavano quei santi che erano stati redenti. Prima quelli rappresentati dai quattro esseri viventi, dopo gli anziani che formavano un secondo cerchio, e gli angeli (vers. 11) che formavano il terzo. La Persona e la Dignità di Cristo è l’oggetto dell’adorazione di tutta la santa moltitudine, mentre sullo sfondo spicca la figura dell’Agnello immolato.
“Come immolato”: Woodhouse commenta: – Il testo greco afferma che l’Agnello appariva come ferito al collo e alla gola, proprio come una vittima immolata sull’altare -. Clarke aggiunge: – Come se fosse nell’istante d’essere sacrificato. Questo è molto importante: agli occhi di Dio il sacrificio di Gesù è di tale infinita importanza, che Gesù è mostrato nell’atto di versare il Suo sangue per i peccati degli uomini -.
“Venne e prese il libro”: Alcuni commentatori hanno considerato l’immagine, dell’Agnello che prende il libro incongrua, strana e sono ricorsi a diversi espedienti per superare questa “difficoltà”. Facciamo notare che è un principio corretto, e già tante volte usato, indicare l’azione compiuta dall’essere simboleggiato, facendola compiere al simbolo stesso. Non è questa la logica spiegazione di questo passo? Noi sappiamo che l’Agnello è il simbolo di Cristo, e non vediamo nulla di strano nel gesto compiuto da Cristo nel prendere il libro. Perciò, quando leggiamo che il libro fu preso, consideriamo quest’azione eseguita, non da un agnello, ma da Colui del Quale l’agnello è il simbolo.
VERSETTI 8-10: E quando ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e delle coppe d’oro piene di profumi che sono le preghiere dei santi. E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i suggelli, perché sei stato immolato e hai comprato a Dio, col Tuo sangue, gente d’ogni tribù e lingua e popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e de’ sacerdoti; e regneranno sulla terra.
“Coppe d’oro piene di profumi” Questa figura ci permette di farci un’idea di come impiegano il loro tempo i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani. Essi hanno delle coppe e dei calici d’oro pieni di profumi, o, come affermano alcune note marginali, incenso, e che sono le preghiere dei santi; questo è un ministero che spetta ai sacerdoti.
Il lettore ricorderà che nell’antico servizio tipico il sommo sacerdote aveva molti assistenti. Considerando che stiamo guardando all’interno del Santuario Celeste, ci sembra logico concludere che questi redenti sono gli assistenti di nostro Signore in cielo, e che furono redenti proprio per questo servizio. Chi potrebbe assisterLo meglio, nel Suo Ministero Sacerdotale in favore dell’umanità, di coloro che per la loro vita vissuta in santità, furono giudicati degni d’essere riportati in vita, proprio per questa missione? (vedi Apocalisse 4:4).
Sappiamo che alcuni negano categoricamente che in cielo vi siano persone e cose reali e tangibili, ma noi sappiamo che l’Apocalisse, nonostante s’esprima soprattutto in simboli, non contiene e non mostra cose finte e illusorie. Descrive cose reali e tangibili di cui arriveremo a capire la realtà dopo che ne avremo interpretato correttamente le figure. Per questo sappiamo che l’Essere seduto sul trono è Dio. Egli è veramente lì. Sappiamo anche che l’Agnello simboleggia Cristo, e che anche Lui si trova lì. Quando Gesù salì in cielo, aveva un corpo vero, letterale e tangibile: chi può affermare che non l’abbia più?
Perciò, essendo il nostro Sommo Sacerdote un Essere letterale, avrà per ministrare un luogo altrettanto letterale. Quindi, se i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani rappresentano coloro che Cristo liberò dalla morte al momento della Sua Risurrezione e ascensione al cielo, perché non possono essere reali come lo furono al momento della loro ascensione?
“Il canto”: È chiamato “un nuovo cantico”, e probabilmente lo è in quanto alla composizione e all’occasione. Erano infatti i primi a cantarlo, essendo stati i primi ad essere redenti.
Essi si definiscono “re e sacerdoti”, e abbiamo già visto in che senso sono sacerdoti: perché assistono Gesù nella Sua Opera Sacerdotale. Nello stesso senso sono anche re, in quanto, essendo Gesù seduto sul trono col Padre, essi devono essere suoi ministri con incarichi di governo nel cielo, relativamente ai fatti di questo mondo.
L’anticipazione: “Regneranno sulla terra”. Anche se sono già redenti e stanno accanto al trono di Dio e dell’Agnello, dove tutto è gloria ineffabile, il loro cantico preannuncia una condizione che sarà ancora più elevata, quando l’Opera di Redenzione sarà compiuta, ed essi, assieme a tutta la famiglia di Dio, regneranno sulla terra che sarà l’eredità promessa e l’eterna dimora dei santi. (Romani 4:13; Galati 3:29; Matteo 5:5; 2° Pietro 3:13; Isaia 65: 17-25; Apocalisse 21:1-5).
VERSETTI 11-12: E vidi, e udii una voce di molti angeli attorno al trono e alle creature viventi e agli anziani; e il numero loro era di miriadi di miriadi, e di migliaia di migliaia, che dicevano con gran voce: – Degno è l’Agnello che è stato immolato di ricever la potenza e le ricchezze e la sapienza e la forza e l’onore e la gloria e la benedizione.
Il Santuario Celeste: Com’è inadeguata l’idea che noi abbiamo della grandezza e della gloria del Tempio Celeste! Giovanni vi entrò attraverso la porta aperta nel cielo, all’inizio del capitolo 4 di Apocalisse, e al 5° capitolo versetti 11-12, continua a guardare all’interno di questo Tempio. Ora contempla le coorti, gli eserciti celesti. Attorno al trono vi sono i 4 esseri viventi, subito dopo i 24 anziani, tutt’intorno la moltitudine di angeli celesti. Quanti sono? Quanti se ne potranno riunire all’interno del Tempio Celeste? “Milioni di milioni”, risponde chi assiste. Pare che non esista un’espressione numerica in grado di esprimerne il numero. L’autore della lettera agli Ebrei l’esprime con “molte migliaia di angeli” (Ebrei 12: 22), tutti riuniti nel Santuario Celeste!
Numerosissima è la moltitudine che Giovanni vide riunita nel luogo che è il centro del culto tributato dall’Universo, e dove si sta portando a compimento il meraviglioso piano per la redenzione umana. La figura centrale di questa moltitudine santa è l’Agnello di Dio nell’atto supremo della Sua vita. Egli ispira alla moltitudine numerose espressioni di lode e d’adorazione, per aver versato il Suo sangue per la salvezza dell’uomo caduto. Le voci degli eserciti celesti si levano all’unisono, per tributarGli l’onore dovuto: – Degno è l’Agnello che è stato immolato di ricevere la potenza e le ricchezze e l’onore e la gloria e la benedizione di tutte le creature -. È un’assemblea degna del luogo in cui si trova; quel canto di adorazione è veramente meritato da Colui che, con il Suo sangue, ci ha riscattati, e che, come nostro Sommo Sacerdote, presenta i Suoi meriti per noi. È in quell’augusta assemblea che la nostra vita sarà presto esaminata. Saremo pronti un giorno, a vivere senza peccato, assieme a questa moltitudine santa?
È nostro dovere meditare sui meriti infiniti del sangue di Cristo che ci monda da ogni peccato, e ci fa camminare sul santo monte di Sion, e sull’infinita Grazia di Dio che, sola, può prepararci a vivere nella Sua Gloria e darci il coraggio di stare alla Sua Divina presenza, fonte di una gioia indicibile.
VERSETTI 13-14: E tutte le creature che sono nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare e tutte le cose che sono in essi le udii che dicevano: – A Colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione e l’onore e la gloria e l’imperio, nei secoli dei secoli. E le quattro creature viventi dicevano: Amen! E gli anziani si prostrarono e adorarono.
Un universo purificato: Nel versetto 13 troviamo un’affermazione che esula dall’ordine cronologico, e che ha lo scopo di completare quello precedente. Nella Bibbia questo accade frequentemente. In questo versetto è anticipato il momento finale dell’opera di Redenzione. Infatti nel versetto 10 i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani avevano detto “Regneranno sulla terra”. Ora lo spirito del profeta è portato nel momento in cui si compie questa promessa. Giovanni guarda avanti fino al momento culminante di quest’evento, fino al momento in cui il numero dei redenti è completo, e da tutto l’Universo sale verso Dio e l’Agnello un inno di adorazione. Tentare d’applicare questo momento alla chiesa nella sua attuale condizione, o a qualunque periodo del passato, o al momento della caduta dell’uomo, o, ancora più dietro nel tempo, alla caduta di Lucifero, è sbagliato; perché nel momento, qui anticipato da Giovanni, tutto il Creato, la terra e il cielo con le loro creature, eleva a Dio un canto di ringraziamento e di benedizione. Mentre, nel nostro mondo, dalla sua caduta, la maggior parte degli uomini offende e insulta Dio e il Suo trono. E sarà così finche sussisterà il regno del peccato. La scena si conclude con il canto di adorazione a Dio e all’Agnello, e con i 4 esseri viventi e i 24 anziani che s’inginocchiano davanti al Padre e al Figlio e dicono: Amen!
VERSETTI 1-2: Poi vidi quando l’Agnello ebbe aperto uno dei sette sigilli, e udii una delle quattro creature viventi, che diceva con voce come di tuono: Vieni. E vidi, ed ecco un cavallo bianco; e colui che lo cavalcava aveva un arco; e gli fu data una corona, ed egli usci fuori come vincitore, e per vincere.
L’Agnello prende il libro e ne apre i sigilli. L’attenzione dell’apostolo è attratta dalle scene che si manifestano sotto ciascun sigillo. Abbiamo già visto come nelle Scritture il numero sette simboleggi la completezza e la perfezione. I sette sigilli rappresentano avvenimenti di carattere religioso, e racchiudono la storia della chiesa dall’inizio dell’era cristiana fino alla seconda venuta di Cristo. A mano a mano che i sigilli sono rotti, e ciò che vi è scritto, è leggibile, il contenuto è mostrato a Giovanni, non attraverso la lettura del libro, ma mediante la sua rappresentazione in immagini; queste ultime sono fatte scorrere davanti ai suoi occhi (- come in un film – n. del t.). Tali immagini sono animate da personaggi viventi e si sviluppano nello stesso luogo in cui si realizzeranno realmente: la terra.
Il primo sigillo: Il primo simbolo è un cavallo bianco il cui cavaliere è armato di un arco. Gli è consegnata una corona, ed egli s’avvia da vincitore e per vincere; simbolo perfetto dell’Evangelo e del suo trionfo durante il primo secolo dell’era cristiana. Il candore del cavallo simboleggia la purezza della fede durante questo secolo. La corona data al cavaliere e il suo uscire da vincitore per ottenere vittorie ancora più grandi, simboleggiano lo zelo ed il successo ottenuti dalla verità predicata dai suoi primi ministri. Si sarebbe potuto trovare simbolo più adatto, per indicare il cristianesimo predicato nei primissimi tempi, allo scopo di contrastare i tremendi errori e gli inumani sistemi del tempo? Il cavaliere uscì. In quale direzione? La sua missione non aveva limiti: il Vangelo era, ed è destinato, a tutto il mondo.
VERSETTI 3-4: E quando ebbe aperto il secondo suggello, io udii la seconda creatura vivente che diceva: Vieni. E uscì fuori un altro cavallo, rosso; e a colui che lo cavalcava fu dato di toglier la pace dalla terra affinché gli uomini si uccidessero gli uni gli altri, e gli fu data una grande spada.
Il secondo sigillo: La caratteristica più evidente di questi simboli è il contrasto del colore dei cavalli; questa differenza evidenzia un particolare significato. Se il candore del primo cavallo rappresenta la purezza dell’Evangelo durante il primo periodo, il rosso del secondo cavallo indica la corruzione che cominciò a manifestarsi subito dopo nella chiesa. Il mistero dell’iniquità cominciava già ad agire al tempo di Paolo, e nel periodo contrassegnato dal secondo sigillo, la chiesa di Cristo si era già corrotta, a tal punto, che si era reso necessario cambiare il colore del simbolo che la rappresentava.
Cominciavano a manifestarsi gli errori, e l’amore per le cose del mondo cominciava ad insinuarsi al suo interno. Il potere ecclesiastico si dava un gran da fare per allearsi con quello civile. La conseguenza di tutto ciò furono errori, ostacoli e false interpretazioni. Parlando di questo periodo dell’era cristiana compreso tra l’anno 100 e l’anno 313, uno storico, così scrisse: – Passiamo ora dalla chiesa apostolica primitiva a quella greco- romana; dal momento della sua nascita, all’opera di mantenimento; dalla sorgente della Rivelazione Divina, alla corrente dello sviluppo umano; dall’ispirazione di profeti e apostoli alle affermazioni di maestri illuminati ma fallibili. La mano di Dio aveva tracciato una precisa linea di demarcazione tra il secolo dei miracoli e i successivi, per mostrare, mediante il brusco passaggio e l’evidente contrasto, la differenza che c’è tra l’opera di Dio e quella dell’uomo. Il secondo periodo, che va dalla morte dell’apostolo Giovanni sino alla fine delle persecuzioni, in altre parole al regno di Costantino, primo imperatore cristiano, è il periodo classico… della persecuzione pagana, del martirio e dell’eroismo cristiano… che compie alla lettera le parole del Salvatore “Ecco, Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Il periodo che precede il concilio di Nicea… è …la radice comune dalla quale uscirono entrambi (cattolicesimo e protestantesimo); il cattolicesimo (greco-romano) per primo, ed il protestantesimo più tardi. Questa è dunque l’epoca del passaggio conseguente dalla chiesa apostolica a quella di Nicea, che si distinse per l’abbandono di molte importanti verità, predicate nella prima (specialmente le verità Paoline), e, che, sarebbero state riscoperte, affermate, e predicate nei secoli futuri. In questo periodo possiamo trovare le forme elementari del credo cattolico, l’organizzazione ed il culto della chiesa cattolica, ed anche i germi di quasi tutta la corruzione del cristianesimo greco e romano -.
Lo spirito di quell’epoca raggiunse il culmine ai giorni di Costantino, il cosiddetto “imperatore cristiano”, la cui conversione al cristianesimo nel 323, produsse la commistione tra la Chiesa e l’Impero Romano. L’editto di Milano, nel 313, concedeva tolleranza ai cristiani la e permetteva alle persone di convertirsi al cristianesimo.
Kenneth S. Latourette afferma che gli atti, immediatamente precedenti tale editto, e che culminarono con la sua promulgazione nel 313: – Costituiscono la più rilevante pietra miliare del percorso sul quale, Chiesa e Stato, procedettero insieme, e che aveva per meta la cooperazione -. Questo erudito e moderno storico ecclesiastico, dichiara ancora: – Il cristianesimo, sviluppando la Chiesa, realizzò un’istituzione che era, in parte, rivale dello Stato. La chiesa creava così un’organizzazione che, come molti credevano, costituiva di per sé una minaccia allo Stato. Questo conflitto generò forti tensioni per oltre un secolo… Ma quando Costantino abbracciò la fede, sembrò che fosse terminato con la vittoria dello Stato che esercitasse così il controllo sulla Chiesa. Ma è indubbio, però, che anche in quei giorni d’apparente subordinazione (della Chiesa allo Stato) gli ecclesiastici cercarono d’influire nelle direttive di quest’ultimo -.
Questa situazione corrisponde esattamente alla dichiarazione del profeta “per cui al cavaliere fu dato il potere di togliere la pace dalla terra, affinché gli uomini si uccidessero gli uni gli altri, e gli fu data una grande spada” -.
VERSETTI 5-6: E quando ebbe aperto il terzo suggello, io udii la terza creatura vivente che diceva: Vieni. Ed io vidi, ed ecco un cavallo nero; e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii come una voce in mezzo alle quattro creature viventi che diceva: – Una chénice di frumento per un denaro, e tre chénici d’orzo per un denaro; e non danneggiate né l’olio né il vino.
Il terzo sigillo: Oh, come avanzò rapidamente l’opera di corruzione! Quale contrasto tra questo colore e il primo! Un cavallo nero! Il perfetto contrario del cavallo bianco!
Senza alcun dubbio che questo simbolo simboleggia una chiesa ripiena di tenebre, e di grande corruzione morale e spirituale. Gli avvenimenti del secondo sigillo prepararono il terreno perché si manifestassero i tempi bui qui rappresentati.
Il tempo trascorso tra il regno di Costantino e l’istituzione del papato, nel 538, può essere ritenuto, a ragione, come quello in cui nella chiesa s’insinuarono gli errori più gravi, e le più assurde superstizioni.
Mosheim, a proposito del periodo immediatamente successivo a Costantino, scrive: – Quelle vane finzioni, che un attaccamento alle filosofie Platoniche e alle opinioni popolari, avevano fatto adottare alla maggior parte dei dottori della chiesa, prima del tempo di Costantino, furono, allora, confermate, ampliate e rese accattivanti in molti modi. Dalle apostasie sorte in quei secoli, derivarono sia l’assurda e stravagante venerazione dei santi defunti, sia le idee assurde circa un luogo di fuoco destinato a purificare le anime dei disincarnati; teorie ora prevalenti, che lasciavano il loro segno ovunque. Oltre a questo, produsse il celibato dei sacerdoti e il culto delle immagini e delle reliquie. Col trascorrere del tempo l’apostasia distrusse quasi del tutto la religione cristiana, quantomeno ne offuscò lo splendore, corrompendone, purtroppo, la stessa essenza. La vera religione e la vera pietà furono sostituite con un seguito di numerose superstizioni. Molte furono le cause di quest’odiosa rivoluzione. Il ridicolo precipitarsi, ad accettare nuove teorie, il desiderio assurdo, d’imitare i riti pagani e di fonderli al culto cristiano, e infine, la propensione del genere umano a ricercare, per pigrizia, una religione semplice, comoda e superficiale. Tutto contribuì ad innalzare, sulle rovine del cristianesimo, il regno della superstizione -. Lo stesso autore, così continua: – Occorrerebbe un intero libro, per elencare le numerose frodi che astuti imbroglioni usarono con successo per ingannare i semplici e gli ignoranti; finché la vera religione non venne, quasi del tutto, sostituita dall’orribile superstizione -. Queste affermazioni descrivono il periodo indicato dal cavallo nero del terzo sigillo, e corrispondono esattamente alla profezia. Ci mostrano in che modo, durante quel periodo, il paganesimo si sia infiltrato nel cristianesimo, e in che modo, il falso sistema dell’istituzione papale, abbia assunto la sua definitiva configurazione. La storia ha, in seguito, confermato mediante quali inganni abbia sviluppato tutta la sua deprecabile statura di forza e di potere.
La bilancia: Quest’oggetto ribadisce come la religione e il potere civile si accingessero a riassumersi nella persona che avrebbe amministrato il potere esecutivo del governo, e che avrebbe preteso l’autorità giuridica, sia nella chiesa, sia nello stato. Questo si realizzò sotto il regno degli imperatori romani Costantino e Giustiniano che diedero al vescovo di Roma anche il potere giuridico.
Il grano e l’orzo: La quantità di grano e d’orzo che si vendono per un danaro, indica che i membri di chiesa si sarebbero interessati, con avidità, ai beni terreni, e che in loro avrebbe prevalso l’amore per le ricchezze. Infatti, essi avrebbero fatto qualunque cosa per i soldi.
L’olio e il vino: Simboleggiano “la grazia dello Spirito Santo”, la fede e l’amore, tanto era forte il pericolo che fossero soffocati dall’influenza di un tale spirito di mondanità.
Tutto ciò è abbondantemente testimoniato e messo in evidenza dagli storici. Essi affermano che durante quel periodo la chiesa manifestò quelle corruzioni che la condussero infine all’apostasia e all’istituzione delle abominazioni anticristiane.
È interessante osservare che la voce che limitava la quantità di grano e d’orzo che si poteva acquistare con un denaro, diceva “… e non danneggiare né l’olio né il vino” non proviene da un essere di questa terra, ma dal centro dei quattro esseri viventi. Questo significa che nonostante i pseudo-pastori, o presunti ministri di Cristo, non avessero cura del gregge, il Signore non l’avrebbe dimenticato neppure in quel periodo di tenebre. Una voce giunge dal cielo. Egli veglia perché lo spirito mondano non prevalga fino al punto d’annullare completamente il cristianesimo, o che “l’olio e il vino”, le grazie della vera pietà scompaiano dalla terra.
VERSETTI 7-8: E quando ebbe aperto il quarto suggello, io udii la voce della quarta creatura vivente che diceva: Vieni. E io vidi, ed ecco un cavallo giallastro; e colui che lo cavalcava avea nome la Morte; e gli teneva dietro l’Ades. E fu loro data potestà sopra la quarta parte della terra di uccidere con la spada, con la fame, con la mortalità e con le fiere della terra.
Il quarto sigillo: Il colore di questo cavallo è davvero indicativo. La parola originale indica il colore “giallo o giallognolo”, che si nota sulle piante malate o marce. Questo simbolo è usato per rappresentare una chiesa che pur dichiarando di appartenere a Dio vive una condizione strana e insolita. Il cavaliere di questo cavallo si chiama Morte; e l’Inferno (l’ade, il sepolcro) lo seguiva. In questo periodo la mortalità era così grande, che sembrava “che le pallide nazioni dei morti fossero tornate sulla terra, e seguissero la stella di questo potere distruttore”. È difficile sbagliarsi sul periodo cui questo sigillo si riferisce. È il tempo in cui il papato esercita tutta la sua tirannica persecuzione senza limiti e restrizioni. Periodo che ebbe inizio all’incirca nel 538, e che si protrasse fino al tempo in cui i Riformatori denunciarono la corruzione della chiesa romana.
“E fu data loro potestà”, in altre parole al potere simboleggiato dal cavallo: al papato. Per “quarta parte della terra”, s’intende il territorio sul quale questo potere esercitava l’autorità. Le parole “fame”, “spada”. “mortalità” (significano torture ed estremo disagio sociale, come povertà, malnutrizione ecc.) assieme alle belve della terra, sono i simboli dei mezzi usati per uccidere milioni e milioni di martiri.
VERSETTI 9-11: E quando ebbe aperto il quinto suggello, io vidi sotto l’altare le anime di quelli ch’erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che aveano resa; e gridavano con gran voce dicendo: Fino a quando, nostro Signore che sei Santo e Verace, non fai tu giudizio e non vendichi il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra? E a ciascuno d’essi fu data una veste bianca e fu detto loro che si riposassero ancora un po’ di tempo, finche non fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli, che hanno ad essere uccisi come loro.
Il quinto sigillo: Sotto il quinto sigillo i martiri chiedono vendetta, e ad essi sono consegnate delle vesti bianche. Le domande alle quali dobbiamo rispondere, sono: anche questo sigillo indica un determinato periodo? E in caso affermativo: quale? Dove si trova l’altare sotto il quale si vedono le anime? E chi sono e in quale situazione si trovano? Cosa rappresenta il loro desiderio di vendetta? E qual è il significato delle vesti bianche donate a ciascuna? Qual è il tempo in cui dovranno riposarsi ancora un po’? E chi sono i conservi che dovranno morire come loro? Siamo convinti di poter rispondere esaurientemente a ciascuna domanda. È logico supporre che questo sigillo debba abbracciare, così come gli altri, un determinato periodo, e che la data d’inizio, se i precedenti suggelli sono stati correttamente datati, sia facile da determinare. Siccome il periodo indicato da questo sigillo è un proseguimento del periodo di persecuzione papale, comincia nel periodo in cui la Riforma cominciò a minarne la struttura, e a contenere il potere persecutore della chiesa cattolica romana.
L’altare: Questo non è assolutamente un altare celeste, ma evidentemente il luogo dove le vittime conobbero il martirio, in altre parole l’altare del loro sacrificio. Su questa questione Adam Clarke dichiara: – A Giovanni fu mostrata una visione simbolica nella quale vide un altare sotto il quale stavano le anime di coloro che morirono per la parola di Dio e che sono rappresentate come vittime sacrificali dell’idolatria e della superstizione. L’altare è in terra, non in cielo. Quest’interpretazione trova conferma nel fatto che Giovanni osserva delle immagini che si svolgono sulla terra. Le anime stanno sotto l’altare per indicare che vi sono state uccise sopra, e il loro sangue, scorrendo dai corpi, è poi scivolato giù accumulandosi attorno al basamento.
Le anime sotto l’altare: Questa immagine è spesso citata come prova decisiva della sopravvivenza cosciente delle anime dei defunti. Molti sostengono che Giovanni vide queste anime disincarnate così coscienti di ciò che accade intorno a loro da chiedere d’essere vendicate dei loro persecutori. Ebbene, quest’interpretazione è assurda e inammissibile per molte ragioni. La teoria popolare situa queste anime nel cielo, ma l’altare del sacrificio, che le sovrasta, non può trovarsi lì. L’unico altare situato in cielo, di cui si fa menzione, è quello dei profumi. Non sarebbe corretto metterci sotto le anime-vittime, perché quest’altare non fu mai usato a questo scopo. Inoltre sarebbe ripugnante e contrario a tutte le nostre idee sulla condizione celestiale, immaginare le anime che sono in cielo “costrette” a stare sotto un altare. Possiamo poi immaginare che il loro desiderio di vendetta sia cosi grande, da lasciarle in uno stato di nervosa scontentezza, finche non saranno puniti i loro aguzzini? Nonostante esse dimorino nella gloria e nella gioia ineffabile del Paradiso? Non dovrebbero, anzi, gioire d’avere offerto la loro vita e d’avere quindi anticipato il loro incontro con il loro Salvatore, alla cui destra vi è la pienezza della gioia eterna? Ancora. La teoria popolare che mette queste anime nel cielo situa gli empi nel lago di fuoco, mentre si contorcono fra tormenti indicibili, empi che sono ben visibili dalla corte celeste. Quindi, se le anime del quinto sigillo sono i martiri del sigillo precedente, perciò di molti secoli prima, anche i loro persecutori devono essere ormai morti e già nel tormento eterno, dentro il lago di fuoco. Come potrebbero, allora, essere ancora insoddisfatte al punto da chiedere a Dio di vendicarle dei loro assassini? Quale altra vendetta più tremenda potrebbero desiderare? E se anche i loro persecutori fossero ancora vivi sulla terra, le anime dovrebbero sapere che, alla fine, anch’essi si sarebbero uniti alla grande moltitudine che giornalmente passa nel mondo dell’al di là. Questo pensiero, però, non le rende più amabili. E allora i casi sono due: o la teoria popolare sullo stato dei defunti è sbagliata, oppure l’interpretazione di questo passo non è quella. I due casi, infatti, s’escludono l’un l’altro. Intanto, però, si continua ad insegnare che queste anime, poiché gridano a Dio, devono essere coscienti. Questo motivo avrebbe valore se non esistesse un tipo di linguaggio che si chiama: personificazione, e poiché esiste, è stato ritenuto opportuno usarlo per dar voce, vita e azione pensante ad oggetti inanimati. Così, ad esempio, si ricorda che il sangue di Abele gridava a Dio dalla terra (Genesi 4: 9-10). La pietra grida dalla parete, e la trave le risponde (Habacuc 2: 11). Il salario frodato agli operai gridava, e il suo grido entrò nell’orecchio del Signore degli eserciti (Giacomo 5: 4). Allo stesso modo, anche le anime del nostro testo possono urlare, e non per questo essere coscienti.
L’incongruenza della teoria popolare basata su questo versetto è chiara; Albert Barnes, a questo proposito, dichiara: – Non dobbiamo credere che ciò accada letteralmente, né che Giovanni abbia realmente visto le anime dei martiri sotto l’altare, infatti, tutta la rappresentazione è simbolica, e neppure che i martiri che stanno in cielo preghino realmente per essere vendicati di coloro che furono la causa della loro sofferenza, e nemmeno che le vittime continueranno a pregare per le faccende umane. Da questo passo possiamo giustamente dedurre che le sofferenze degli oppressi è un ricordo così reale che è come se fosse una vera preghiera. I persecutori devono temere la vendetta divina come se, coloro ai quali è stato fatto il male, elevassero una preghiera a Dio per chiedere vendetta -.
Quando il lettore si trova davanti a testi simili, è indotto in errore dalla definizione che comunemente si dà alla parola “anima”. La parola “anima” gli fa credere che il testo si riferisca a quell’essenza incorporea, invisibile e immortale, che comunemente si crede che viva all’interno del corpo, e che, non appena quest’ultimo muore, svolazzi nella tanto agognata libertà. Ma nella lingua originale, sia greca sia ebraica, il significato di questo termine non ammette assolutamente quest’interpretazione. Il più delle volte essa significa vita e molto spesso persona. Si applica sia ai morti sia ai vivi, come possiamo vedere in Genesi 2: 7, dove la parola “vivente” non avrebbe bisogno d’essere accompagnata alla parola “anima”, se la vita fosse un attributo specifico, naturale, e inseparabile dell’anima. Da notare a questo proposito che in Numeri 19: 13 l’originale ebraico dice anima morta. Di più: queste anime chiedono che il loro sangue sia vendicato. Ma il sangue, secondo la teoria comune, è qualcosa che l’anima immortale non può possedere. Più semplicemente la parola “anima” in questo versetto allude ai martiri, a coloro che morirono; l’espressione “le anime di quelli che…”, è una semplice perifrasi usata per indicare quelle persone. Queste persone furono mostrate a Giovanni come vittime della chiesa romana sull’altare del sacrificio, sotto il quale giacciono, ancora, senza vita.
Non erano di certo vive quando Giovanni le vide nel quinto sigillo. Più avanti, infatti, le mostra ancora, assicurandoci che è la prima volta che gustano la vita dopo il martirio.
Questo accade in occasione della resurrezione dei giusti (Apocalisse 20: 4-6). Ma mentre giacevano sotto l’altare, vittime della sete di potere e della tirannia che il papato manifestò durante il Medioevo, le anime chiedono vendetta presso Dio, come il sangue d’Abele che, gridando dalla terra, reclamava la stessa vendetta.
Le vesti bianche: Tuttavia il loro grido “Fino a quando Signore, . . . non fai giudizio e non vendichi il nostro sangue?”, riceve una risposta parziale. Esse scesero nella tomba in modo ignominioso: i princìpi della loro vita furono falsati, la reputazione macchiata, il nome infamato, e le tombe coperte di vergogna e d’obbrobrio, come se contenessero le spoglie disonorate di persone vili e spregevoli. In realtà la chiesa di Roma, che in quei tempi controllava i sentimenti delle principali nazioni del mondo, non risparmiava le forze per fare delle sue vittime l’oggetto dell’odio di tutti. Ma, ad un certo momento, la Riforma cominciò la sua opera. Allora in tanti cominciarono a capire che la chiesa era corrotta e spregevole, e che i buoni, i puri, i fedeli, erano coloro contro i quali la chiesa romana sfogava la sua rabbia. L’opera avanzò e progredì all’interno delle nazioni più importanti del mondo, e la reputazione della chiesa di Roma cadde; mentre quella dei martiri salì, finche tutte le corruzioni e le abominazioni papali furono manifeste. Allora fu universalmente chiaro il gigantesco sistema d’iniquità, che si manifestò in tutta la sua nuda deformità, e i martiri furono vendicati di tutte le calunnie sotto le quali la chiesa persecutrice li aveva sepolti. Il mondo capì allora perché avevano sofferto il martirio: non perché fossero vili e criminali, ma perché testimoni della parola di Dio e “portatori della verità”. Si cantarono allora le loro lodi, si ammirarono le loro virtù, si applaudì il loro valore, si onorò il loro nome e si apprezzò la loro memoria. Finalmente a ciascuna di esse fu donata una veste bianca.
“Un po’ di tempo”: Ma l’opera crudele del cattolicesimo romano non cessò completamente, neppure quando la Riforma si diffuse e si stabilì fermamente. Non furono poche le esplosioni di odio e le terribili persecuzioni, che la vera chiesa avrebbe dovuto, ancora, sopportare. Sarebbero stati ancora tanti coloro che, accusati d’eresia, avrebbero patito sofferenze inumane e ingrossato il grande esercito dei martiri. La loro totale riabilitazione e la perfetta giustificazione, dovranno essere rimandate ancora per un po’. Durante questo tempo Roma aggiunse centinaia di migliaia di uomini e donne alla vasta moltitudine, di cui aveva già versato il sangue. Ma finalmente la persecuzione finì, la causa dei martiri fu vendicata, e giunse infine, “quel poco di tempo” del quinto sigillo.
VERSETTI 12-17: Poi vidi quand’ebbe aperto il sesto suggello: e si fece un gran terremoto; e il sole divenne nero come un cilicio di crine, e tutta la luna divenne come sangue, e le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi frutti immaturi. E il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola; e ogni montagna e ogni isola fu rimossa dal suo luogo. E i re della terra e i grandi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni servo e ogni libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti; e dicevano ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso, nascondeteci dal cospetto di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuta la sua ira, e chi può reggere in pie’.
Il sesto sigillo: Quando è aperto il sesto suggello sfilano scene solenni e terribili. La consapevolezza che noi viviamo, ora, il tempo degli eventi straordinari di questo sigillo, come vedremo fra poco, risveglia nei nostri cuori un intenso interesse alle cose divine.
Rispetto al quinto, il linguaggio del sesto sigillo cambia improvvisamente: da esclusivamente simbolico-figurativo, a concretamente letterale. Qualunque ne sia la causa, il cambiamento è innegabile. Nessun metodo interpretativo può rendere letterale il linguaggio precedente, né allo stesso modo è possibile spiegare quello attuale simbolicamente. Pertanto, anche se non riusciamo a spiegarcene il motivo, dobbiamo prenderne atto. Tuttavia vogliamo richiamare la vostra attenzione su una profezia dell’Antico Testamento, e sulla quale vogliamo fare insieme una breve considerazione. La parola di Dio, molti secoli fa, previde che le sue parti profetiche sarebbero state “aperte”, cioè capite, rese manifeste, durante il periodo indicato dal sesto suggello. In quel tempo molti le avrebbero lette, le avrebbero meditate attentamente, le avrebbero perfettamente capite, e la conoscenza della Bibbia sarebbe aumentata enormemente (Daniele 12: 4).
Riteniamo sia questa la ragione del cambiamento di linguaggio: per far si che al tempo stabilito questi fatti fossero perfettamente capiti, e non potessero esserci equivoci o dubbi di alcun genere. Con l’uso del linguaggio letterale ogni evento diventa chiaro e inequivocabile.
Il gran terremoto: Il primo evento del sesto sigillo, e che, in un certo senso, lo definisce, è un gran terremoto. La sorprendente realizzazione della profezia, cui ci riferiamo, è il grande terremoto del 1° Novembre 1755, più noto come “il terremoto di Lisbona”. Nel suo libro “Wonders of the World”, Robert Sears, citando questo spaventoso terremoto, scrisse: – Il grande terremoto del 1755 interessò una superficie di 11 milioni di Km/q. Nei luoghi in cui le scosse non furono avvertite, i suoi effetti si manifestarono sotto le acque. Colpì gran parte dell’Europa, dell’Africa e dell’America, ma colpì con estrema violenza soprattutto la zona sud-occidentale del Vecchio Continente… In Africa fu avvertito quasi con la stessa violenza che in Europa. La città di Algeri fu in gran parte distrutta. Molte abitazioni crollarono a Fez e a Maquinez, e molti furono coloro che perirono sotto le rovine. Anche Marrakech subì le stesse devastazioni. I suoi effetti colpirono Tangeri, Tetuan e Funchal nell’isola di Madera; è probabile… che tutta l’Africa sia stata scossa da quella spaventosa convulsione. A nord s’estese fino alla Norvegia e alla Svezia, ma anche la Germania, l’Olanda, la Francia, la Gran Bretagna e l’Irlanda, subirono più o meno gravemente la terribile violenza dello sconvolgimento degli elementi. La città di Lisbona, prima di questo cataclisma, contava circa 150.000 abitanti… Il signor Barretti sostiene che in quel giorno fatale siano morte 90.000 persone -.
Sir Charles Lyell di questo cataclisma fa un’accurata descrizione: – Mai, nei tempi moderni, nelle regioni vulcaniche dell’Europa del sud si era verificato un terremoto uguale a quello spaventoso che colpì Lisbona il 1° Novembre del 1755. Dapprima s’udì provenire dalle viscere della terra un rombo come di tuono, subito dopo una violenta scossa abbatté gran parte della città. Durante sei spaventosi minuti, morirono 60000 persone. Il mare prima si ritirò, lasciando il molo e la riva a secco, con tutte le navi e le barche che vi erano ormeggiate, quindi tornò rombando, sollevandosi di quindici metri oltre il suo solito livello. I monti Rabida, Estrella, Julio, Marao e Cintra tremarono selvaggiamente, come suol dirsi, fino alle fondamenta; alcuni subirono delle fratture sulla cima, in altri si formarono paurosi crepacci. Sulle vallate sottostanti caddero enormi massi. Alcuni affermano che da questi monti, fra i più importanti del Portogallo, uscì del fumo e che fu visto il balenio delle fiamme, che si suppone fosse d’origine elettrica; si dice anche che fumarono, ma alte nuvole di polvere possono aver dato quest’illusione…
L’estensione di questo terremoto fu la caratteristica più inverosimile. Il sommovimento fu più violento in Spagna, Portogallo e Africa del Nord, ma tremò quasi tutta l’Europa, e, in quel giorno, tremarono anche le Antille. Un porto chiamato Setubal, a trenta km da Lisbona, s’inabissò. Ad Algeri e a Fez, in Africa, la scossa fu così violenta, che un paese di ottomila abitanti, situato ad otto leghe da Marrakech, fu inghiottito dalla terra con tutto il suo bestiame; poi il suolo si richiuse sugli sventurati. Il sisma si sentì anche in mare. Sul ponte di una nave, in viaggio ad est di Lisbona, fu avvertita una vibrazione molto simile alla scossa avvertita a terra. Di fronte a Sanlucar il capitano della nave “Nancy” sentì che il natante era scosso così violentemente, che pensò d’avere urtato degli scogli e d’essersi incagliato, ma dopo aver calato la sonda scoprì di trovarsi in acque profonde. Il capitano Clarke, della “Denia”, mentre navigava a 36°24′ di latitudine nord, tra le nove e le dieci del mattino, sentì che la nave era scossa e trattenuta come se si fosse incagliata. Un’altra nave a 48 miglia ad est di St. Vicente subì un contraccolpo dal basso, così violento che gli uomini che si trovavano sovraccoperta furono lanciati verso l’alto di almeno mezzo metro. Alle Antille e alle Barbados, come anche in Svezia, Norvegia, Germania, Olanda, Svizzera, Italia e Corsica, si avvertirono dei tremori e leggere oscillazioni del suolo.
In Inghilterra l’agitazione di laghi, fiumi e sorgenti fu notevole. A Loch Lomond, in Scozia, l’acqua, senza la minima causa apparente, prima salì oltre gli argini, e poi scese sotto il normale livello, tale dislivello fu di circa 70 cm. Gli esperti sostengono che il movimento di questo sisma sia stato ondulatorio, e che si sia mosso alla velocità di 30 Km al minuto. Una grande onda si abbatté sulle coste Spagnole, e si dice, che a Cadice, abbia raggiunto i 18 mt d’altezza. A Funchal e a Madera, si alzò di 5 mt oltre il limite della marea, benché in quel momento la stessa fosse in fase calante. L’onda anomala, oltre ad avere invaso le città, causando danni ingenti, inondò altri porti dell’isola. A Kinsale, in Irlanda, un’ondata s’abbatté sul porto e dopo aver capovolto alcune navi e imbarcazioni, inondò e travolse la piazza del mercato -.
Se il lettore possiede un atlante, e vi cerca i paesi menzionati, vedrà quanto grande sia stata la superficie terrestre sconvolta da questa spaventosa convulsione. Vi possono essere stati altri terremoti in vari luoghi, come ve ne sono stati, e con moltissime vittime, ma nessuno mai, manifestò caratteristiche tali, da reputarlo idoneo di contrassegnare l’apertura del sesto suggello.
L’oscuramento del sole: Dopo il terremoto, secondo quanto annunciato, “il sole si fece nero come un sacco di cilicio”. Anche questa parte della profezia si è perfettamente compiuta.
Non abbiamo bisogno di parlare dettagliatamente dello straordinario oscuramento solare che si produsse il 19 maggio 1780. La maggior parte dei lettori avrà senz’altro letto gli articoli e i commenti di quel che accadde allora. Le dichiarazioni d’alcuni testimoni ci serviranno a farci un’idea della sua natura.
: – Giorno Oscuro, quello del 19 maggio del 1780, proprio a causa di un’insolita oscurità che durante quel giorno discese su tutta la Nuova Inghilterra… L’oscurità cominciò più o meno alle dieci del mattino e si protrasse fino alla mezzanotte seguente, anche se con accenti d’intensità e di durata diversi per i singoli luoghi… La vera causa, di questo fenomeno stupefacente, è sconosciuta -.
: – Nel mese di maggio, del 1780, si manifestò nella Nuova Inghilterra un giorno “oscuro” davvero terrificante, durante il quale tutti i visi sembrarono annerire, e tutta la gente fu presa dalla paura. Anche nel villaggio in cui viveva Edward Lee, vi fu grande angoscia. Tutti temettero che s’approssimasse il giorno del Giudizio. Tutti gli abitanti si riunirono attorno al santo, che trascorse le lugubri ore pregando ferventemente per la moltitudine atterrita -.
: – La data di queste tenebre straordinarie fu il 19 maggio del 1780. – dice il professor Williams – Scesero tra le dieci e le undici del mattino e si protrassero fino alla mezzanotte del giorno successivo… L’intensità che le tenebre raggiunsero era diversa da zona a zona. Nella maggior parte delle località era così intensa, che la gente non poteva leggere le comuni lettere di stampa, o leggere l’ora sui propri orologi, né mangiare o sbrigare le faccende domestiche, senza l’ausilio di candele o lampade. In alcuni luoghi le tenebre raggiunsero una tale intensità che, per molte ore, neppure all’aperto fu possibili leggere; anche se non credo che sia stato dappertutto così. L’ampiezza (cioè l’area interessata da questa oscurità) fu notevole. Le nostre informazioni al riguardo non sono complete come vorremmo, ma dai dati ricevuti pare abbia raggiunto tutti gli stati della Nuova Inghilterra. Fu osservata ad est fino a Falmouth (Portland- Maine). Ad ovest raggiunse i confini più lontani del Connecticut e Albany. Al sud si è potuto osservarla per la lunghezza dell’intera costa e, al nord, fin dove sono insediate le nostre popolazioni. E’ probabile che in alcune direzioni si sia estesa oltre i limiti accertati, anche se non possiamo determinane i limiti esatti per mancanza d’informazioni. Per quanto riguarda la sua durata, nei luoghi da cui abbiamo informazioni è stata di almeno quattordici ore, ma è probabile che sia stata diversa nei vari punti del Paese -.
L’aspetto e gli effetti furono, tali che diedero un’impressione veramente lugubre e deprimente. Nelle case s’accesero le lampade, i passeri, dopo aver cantato i canti serali, si nascosero ritirandosi nei nidi e tacquero; gli uccelli da cortile si ritirarono nei loro ricoveri, i galli tutt’intorno cantavano come se albeggiasse; gli oggetti non si potevano distinguere che da molto vicino, e tutto aveva l’aspetto spettrale della notte: – Il 19 maggio 1780 fu un giorno oscuro, straordinario. In tutte le case s’accesero le lampade, e gli uccelli tacquero e sparirono, gli uccelli e gli animali da cortile si ritirarono nei loro ricoveri. Era opinione comune che stava avvicinandosi l’ora del Giudizio -.
E la luna diventò come sangue: Le tenebre della notte successiva al 19 maggio furono straordinarie come quelle del giorno precedente: – Le tenebre della notte seguente, probabilmente, furono tanto dense, come le più dense che siano mai state osservate dacché la Volontà dell’Onnipotente fece brillare la luce… Non si sarebbe potuto fare a meno di pensare che, nell’istante in cui ogni corpo luminoso del cielo avesse cessato di esistere, le tenebre non avrebbero potuto essere più assolute. Un foglio di carta bianca messo a pochi centimetri dagli occhi era invisibile allo stesso modo di un velluto nero -.
: – Per quanto riguarda la notte… da quando i figlioli d’Israele uscirono dalla casa di servitù, non vi fu mai una notte più oscura. Queste dense tenebre si protrassero fino all’una di notte, sebbene quella precedente fosse una nottata di plenilunio -. Questa dichiarazione sulla fase lunare dimostra l’impossibilità che in quella data sia avvenuta un’eclissi di sole. Quando, infine, la luna apparve in quella notte memorabile, era come se fosse di sangue, proprio come la profezia aveva annunciato.
Le stelle caddero dal cielo: La voce della storia si alza di nuovo per gridare: – È COMPIUTO! -. Ci riferiamo alla grande pioggia meteorica del 13 novembre 1833, sulla quale saranno sufficienti alcune testimonianze.
: – Quando udii gridare “guarda alla finestra!”, saltai dal letto in cui dormivo profondamente, e con stupore vidi l’oriente illuminato dal bagliore delle meteore… Chiamai mia moglie perché anche lei contemplasse lo spettacolo, e mentre si vestiva esclamò: “Guarda come cadono le stelle!”, io gli risposi: – E’ un prodigio -.; e nei nostri cuori capimmo che era un segno degli ultimi giorni. Perché le stelle del cielo caddero “realmente” sulla terra, come quando un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi frutti immaturi (Apocalisse 6: 13).
In che modo cadevano? Né io né alcun membro della mia famiglia udimmo esplosioni. Se avessimo cercato nella natura un simbolo per rappresentarlo, non avremmo potuto trovare niente di più adatto del simbolo usato da Giovanni. Uno esclamò “Piove fuoco!”; un altro “Era come una pioggia di fuoco!”; un altro ancora “Era come i grandi fiocchi di neve, all’aprossimarsi della tormenta, o le grosse gocce di pioggia prima dell’acquazzone!”. In linea generale condivido la proprietà di questi paragoni, anche se sono molto distanti dalla esattezza del simbolo usato dal profeta “Le stelle caddero dal cielo sulla terra”. Non erano foglie, né fiocchi di neve, né gocce d’acqua o di fuoco: no semplicemente quelle che sono comunemente chiamate “stelle cadenti” -.
Un tale, mentre assisteva allo spettacolo, espresse agli altri il suo pensiero: – Guardate come cadono le stelle -. Nessuno corresse il grossolano errore astronomico, cosi come non si corregge chi afferma: – Sta uscendo il sole – precisando che il sole non si muove. Le stelle cadevano “come cadono i fichi immaturi quando il fico è scosso da un gran vento”. L’esattezza del profeta sta proprio qui. Le meteore che cadevano non pareva che provenissero da “molti alberi” scossi, ma da “uno soltanto”. Quelle che apparivano ad est cadevano ad est, quelle ad ovest verso ovest, da sud verso sud, da nord verso nord, (io intanto ero uscito nel parco) e non cadevano come i frutti maturi, no! Era molto più di questo. Più che volare davano l’impressione di essere lanciate come la frutta acerba che, dapprima resiste, rifiuta d’abbandonare il ramo, ma quando si stacca vola velocemente, con una traiettoria perpendicolare; e poiché erano un’infinità, alcune durante la caduta incrociavano le traiettorie delle altre, come se fossero lanciate con maggiore o minore forza -.
: – Il più sublime fenomeno di stelle cadenti mai visto nella storia del mondo, si è verificato sui cieli degli Stati Uniti la mattina del 13 novembre del 1833. Tuttavia l’ampiezza di questa straordinaria manifestazione non è stata ancora quantificata, anche se si presume che abbia interessato una parte notevole della superficie terrestre. Di primo acchito sembrava un fuoco d’artificio, d’impressionante vastità, che copriva tutta la volta celeste di miriadi di sfere infuocate simili a razzi volanti. I loro bagliori erano brillanti, risplendenti e incessanti. Cadevano con l’intensità dei fiocchi nelle prime nevicate di dicembre. In confronto allo splendore di questo fenomeno celeste i razzi volanti ed i fuochi d’artificio, sono paragonabili al debole scintillio della stella più piccola rispetto alla maestosità sfolgorante del sole. Pareva che i cieli stessi fossero in movimento. Alcuni ricordavano la grandiosa e terribile immagine usata nell’Apocalisse sotto il sesto suggello: quando “le stelle caddero dal cielo, come un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi” -.
: – Dopo aver raccolto e verificato gli articoli pubblicati in tutti i periodici del Paese e le numerose lettere spedite a me e ad altri scienziati amici miei, sembra che i fatti salienti relativi al fenomeno siano questi:
Lo spettacolo dev’essere stato sicuramente tra i più sublimi. L’apostolo Giovanni doveva averlo ben chiaro nella sua mente quando lo descrisse nel verso relativo al sesto suggello: – E le stelle dal cielo caddero sulla terra allo stesso modo che un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi -.
Il cielo si arrotolò come una pergamena: Questo evento spinge il nostro sguardo nel futuro. Dopo avere esaminato il passato, ed aver contemplato il compimento della parola di Dio, ci invita ora a guardare gli avvenimenti futuri che si realizzeranno con la stessa certezza. La nostra posizione è perfettamente indicata: noi ci troviamo fra i versetti 13 e 14 del 6° capitolo, e aspettiamo il momento in cui i cieli s’arrotoleranno come una pergamena che si avvolge.
Questi sono tempi di straordinaria importanza e solennità, perché non sappiamo
quanto sia vicino il compimento di quell’evento e degli altri che l’accompagneranno. L’arrotolamento dei cieli fa parte di quello che gli autori degli Evangeli chiamano “lo stravolgimento delle potestà dei cieli”. Ci sono altri passi che offrono maggiori dettagli in proposito.
In Ebrei 12: 25-27; Gioele 3: 16; Geremia 25: 30-33; Apocalisse 16: 17 , è detto che quando Dio parlerà dai cieli, la Sua voce sarà la causa di questo spaventoso stravolgimento della terra e dei cieli. In un’altra occasione Dio parlò ad alta voce, fu quando sul Sinai diede a Mosé la Sua legge Eterna, anche allora la terra tremò. Ora s’accinge nuovamente a parlare. Stavolta non tremerà solo la terra, ma tremeranno anche i cieli. Allora, “tremerà la terra vacillando come un ubriaco… Sarà rimossa… e cadrà” (Isaia 24).
Le montagne saranno rimosse dai loro fondamenti. Le isole in mezzo al mare fuggiranno. Dalla pianura sorgeranno scabrose montagne. Le rocce saranno scagliate dalla superficie devastata della terra. Mentre la voce di Dio percuote la terra, vi sarà sul pianeta una grande confusione, il caos assoluto.
Per convincersi che tutto questo non è il frutto della fantasia, basta leggere con attenzione le frasi precise che alcuni profeti hanno scritto riferendosi a questo tempo: Isaia, ad esempio, dice: – La terra si schianterà tutta; la terra si screpolerà interamente, la terra tremerà, traballerà la terra barcollerà come un ebbro, vacillerà come una capanna: Il suo peccato grava su di lei: essa cade e non si rialzerà mai più (24: 19-20) -. Geremia, con un linguaggio altrettanto emozionante, descrive la scena in questo modo: – Io guardo la terra, ed ecco è desolata e deserta; i cieli, e son senza luce. Guardo i monti, ed ecco tremano, e tutti i colli sono agitati. Guardo ed ecco non c’è uomo, e tutti gli uccelli del cielo son volati via. Guardo ed ecco il Carmelo è deserto, e tutte le sue città sono abbattute dinanzi all’Eterno, dinanzi all’ardente Sua ira. Poiché così parla l’Eterno: tutto il paese è desolato, ma Io non lo finirò del tutto (4: 23-27) -.
In quel giorno sarà definitivamente distrutto il sogno di sicurezza carnale che questo mondo sta elaborando. I re, storditi del loro potere terreno, mai avrebbero immaginato l’esistenza di un’Autorità superiore alla loro, capiranno all’improvviso che c’è un Re che regna al di sopra di tutti, il Re dei re. I grandi si renderanno conto della vana inutilità della pompa terrena. I ricchi getteranno ai topi il loro argento ed il loro oro, poiché neanche le loro ricchezze li potranno salvare in quei giorni. I capitani dimenticheranno la loro autorità, ed i potenti la loro forza. Ogni servo che si trova nella terribile condizione del peccato, e ogni libero, in altre parole tutte le classi degli empi dai più altolocati ai più umili, saranno insieme partecipi del lamento generale della costernazione e della disperazione.
Coloro che non elevarono mai una preghiera a Colui, il cui braccio avrebbe potuto salvarli, implorano ora le rocce e le montagne affinché li seppelliscano per sempre insieme con il loro agonizzante ed abietto terrore, nascondendoli così alla vista di Colui, la cui presenza li condanna alla distruzione. Come vorrebbero adesso evitare la sorte, coloro che seminarono la loro vita di concupiscenza e di peccato. Come vorrebbero sfuggire l’ira che si sono accumulati sulla testa per questo giorno. Come vorrebbero sprofondare nelle tenebre eterne insieme con il loro elenco di crimini. Per questo ora corrono a rifugiarsi nelle rocce, nelle tane, nelle grotte, nelle caverne, che la terra devastata mette a disposizione. Troppo tardi. Non possono nascondere la loro colpevolezza, né sfuggire alla vendetta.
Il giorno che essi pensavano non sarebbe mai giunto li ha sorpresi come una trappola, e l’istintivo pensiero del loro cuore angosciato è: – Il giorno della sua ira è giunto, e chi può reggere in piedi? -.
Lettore, ti preghiamo, prima che giunga quel giorno con tutte le spaventose implicazioni, preoccupati seriamente della tua salvezza. Molti ora si vantano di disprezzare la preghiera, ma alla fine tutti gli uomini dovranno pregare. Quelli che non vorranno pregare Dio ora, con pentimento, pregheranno un giorno le montagne e le rocce, con disperazione; sarà quella la più grande riunione di preghiera che mai sia stata celebrata.
VERSETTI 1-3: Dopo questo, io vidi quattro angeli che stavano in pie’ ai quattro canti della terra, ritenendo i quattro venti della terra affinché non soffiasse vento alcuno sulla terra, né sopra il mare, né sopra alcun albero. E io vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il suggello dell’Iddio Vivente; ed egli gridò con gran voce ai quattro angeli ai quali era dato di danneggiare la terra e il mare, dicendo: – Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché abbiate segnato in fronte col suggello i servi dell’Iddio nostro.
Il tempo in cui questa profezia vedrà compiuta l’opera ora annunciata, è indicato con chiarezza. Il capitolo sesto si è chiuso con gli eventi del sesto sigillo. Il settimo non è stato presentato, e non lo sarà che nell’ottavo capitolo. Tutto il settimo capitolo, perciò, possiamo considerarlo una parentesi. A quale scopo quest’intervallo? Evidentemente per offrire altri dettagli relativi al 6° sigillo. L’espressione “dopo questo” non vuol dire “dopo il compimento di tutti i fatti in precedenza citati”, ma solo che, dopo che il profeta giunse in visione sino alla fine del 6° sigillo, la sua attenzione fu richiamata sui particolari che compongono il 7° capitolo. Questo, per non interrompere l’ordine cronologico degli eventi profetizzati nel 6° (capitolo), lasciando così intendere, che i fatti raccontati, fanno sempre parte del 6° sigillo. La domanda è: a che punto si colloca, tra i fatti finora mostrati, l’opera che si va a realizzare? Riteniamo che quest’opera sarà felicemente conclusa, prima che i cieli s’arrotolino come un libro, dato che dopo non vi sarà più tempo. Si realizzerà dopo i segni del sole, della luna e delle stelle, anche perché, questi segni sono già apparsi. Tuttavia il suggellamento non è ancora terminato, esso si compie tra i versetti 13 e 14 di Apocalisse 6 che, come abbiamo visto, è il nostro tempo. In conclusione: la prima parte di Apocalisse 7, cioè il suggellamento, è un’opera che si va compiendo nel tempo presente.
I quattro angeli: Gli angeli sono degli agenti che sono sempre intervenuti nei fatti terreni. Perché non accettarlo? Dio ha dato a questi quattro esseri celesti l’incarico di trattenere i venti finché lo riterrà opportuno, e di liberarli quando giungerà il momento d’arrecare danno alla terra.
I quattro canti della terra: Questa espressione indica le quattro direzioni o punti cardinali. Significa che gli angeli hanno il controllo (esercitano il loro potere e la loro influenza) su tutta la terra.
I quattro venti: Nella Bibbia i venti rappresentano i mutamenti politici, le lotte e le guerre (Daniele 7: 2; Geremia 25: 32). I quattro venti, trattenuti dai quattro angeli, rappresentano tutti gli elementi di discordia, di lotta, e le rivoluzioni che si rincorrono nel mondo. Quando saranno liberati e soffieranno tutti insieme, formeranno il gran turbine, di cui parla anche il profeta Geremia.
Un altro angelo che saliva dal sol levante: Ecco presentarsi adesso un altro angelo, con un nuovo incarico. L’espressione “dal sol levante”, indica più il modo che il luogo. Dapprima, quando i raggi del sole nascente sono obliqui, hanno poca forza, poi, man mano che l’astro sale all’orizzonte, aumenta, finché a mezzogiorno i suoi raggi splendono con tutto il loro splendore. Anche l’opera dell’angelo comincia quasi in sordina, poi acquisterà sempre più vigore, e terminerà con forza e potenza.
Il suggello dell’Iddio vivente: La caratteristica dell’angelo che sale è d’avere il sigillo dell’Iddio Vivente. In base a questa caratteristica, e al periodo della sua opera, cercheremo di determinare quale sia il movimento simboleggiato dalla sua missione.
Per capire in cosa consiste la sua opera occorre innanzi tutto capire cosa sia il “sigillo dell’Iddio Vivente”.
Si dice sigillo lo strumento usato per imprimere un segno. Gli uomini, le corporazioni, le associazioni, gli stati adoperavano, e ancora usano, un timbro per la cera fusa o per l’inchiostro, allo scopo di evidenziare l’autenticità di un documento o di un atto. La parola originale usata in questo testo ha questa definizione: “Un suggello, cioè un anello con sigillo o distintivo; un marchio, una stampa, un’insegna o garanzia”. Il verbo significa: “Lasciare una caparra per qualcosa, assicurarla; mettere un suggello o un timbro su qualcosa per comprovarne la genuinità o l’approvazione; testimoniare, confermare, stabilire, distinguere con un segno”. Detto questo, e prendendolo come base del nostro ragionamento, confrontiamo Genesi 17: 11 con Romani 4: 11 e Apocalisse 7: 3 con Ezechiele 9: 4, e vedremo che le parole segno, suggello, timbro o sigillo, che sono i termini usati dalla Bibbia, sono sinonimi. Il suggello di Dio, presentato nel nostro testo, dev’essere applicato ai servi di Dio. In questo caso non si tratta di un segno letterale impresso nella carne, ma di qualche istituzione, od osservanza particolare, relativa a Dio, che servirà come “segno di riconoscimento” degli adoratori di Dio, per distinguerli da quelli che non sono suoi servi, come pretendono d’essere.
Un sigillo è usato per convalidare e autenticare una legge o un editto emanato da una persona o da un potere. Nelle Scritture vi sono numerose testimonianze in merito. In 1° Re 21: 8 leggiamo che Jezebel “scrisse delle lettere a nome di Achab, e le sigillò col sigillo di lui”. Queste lettere ebbero così l’autorità di re Achab. In Esther leggiamo che “lo scritto fu redatto in nome del re Assuero, e sigillato col sigillo reale”. E, in Esther 8: 8: “ciò che è scritto in nome del re, e sigillato con l’anello reale, è irrevocabile”.
Un sigillo è usato per rimarcare l’obbligatorietà di una legge o di un decreto, oppure su documenti che devono avere valore legale, oppure per sottomettersi ai provvedimenti di legislativi. Il concetto di legge e di sigillo sono inseparabili. Non dobbiamo pensare che i decreti e le leggi divine, che noi uomini siamo tenuti a rispettare, debbano avere un sigillo letterale, stampato con strumenti letterali. Dalla definizione del termine e dal suo significato, si evince che il sigillo è ciò che conferisce validità e autenticità alle leggi ed ai decreti. Il sigillo è costituito dal nome o dalla firma del potere legiferante, ed esprime chi, o cosa sia, rilevandone il diritto a legiferare e a pretendere obbedienza alle sue leggi.
Anche nel caso di un sigillo letterale si deve sempre indicare il nome dell’autorità. In Daniele 6: 8, abbiamo un esempio sull’uso del nome, infatti leggiamo: – Ora, o Re, promulga il divieto e firmane l’atto perché sia immutabile – e poi termina – … conformemente alla legge dei Medi e Persiani che è irrevocabile -. In altre parole, con la firma reale apposta sul documento, il suo contenuto assume la perentorietà e l’obbligo all’ubbidienza, e il divieto assoluto di eluderne la richiesta. Infine afferma la suprema autorità di chi deve farla osservare.
Nelle profezie d’Isaia leggiamo: – Chiudi questa testimonianza, suggella questa legge, fra i miei discepoli -.
Queste parole riaffermano la volontà e la necessità di ribadire nella coscienza dei discepoli le precise esigenze della legge, esigenze via via dimenticate e di cui si era frainteso il vero significato. Nella profezia questo si chiama: “Suggellare la legge”, restituendole l’autorità perduta.
Come leggeremo in questo capitolo, i 144000 sono suggellati sulla fronte col sigillo di Dio. Nel capitolo 14: 1, è scritto che hanno il nome del Padre scritto sulle loro fronti.
Qual è il sigillo do Dio? In base ai fatti e alle affermazioni bibliche precedenti possiamo concludere che:
1°) Il suggello di Dio si trova nella Sua Legge.
2°) Il suggello di Dio è quella parte della Sua Legge che contiene il Suo nome o titolo descrittivo, e che mostra quale sia l’estensione del Suo Regno e il Suo diritto a governare.
Tutte le principali denominazioni evangeliche ammettono che la Legge di Dio è contenuta riassuntivamente nel Decalogo. Ora non dobbiamo fare altro che esaminarli uno ad uno per vedere qual è quello che costituisce il sigillo della legge, o in altre parole, quello che fa conoscere il Vero Dio, il Potere legislatore.
I primi tre comandamenti usano la parola “Dio” che però non ci permette di discernere chi essa indichi, a chi si riferisca, perché i soggetti cui può riferirsi sono numerosi. L’apostolo Paolo ricorda che: – … vi sono molti dei e molti signori… (1° Corinzi 8: 5) -. Saltiamo per il momento il 4°. Le parole “Yahwhè” e “Dio” sono presenti nel 5°, che in ogni modo non li definisce, e i restanti precetti non nominano la parola “Dio”. Se dovessimo convincere l’idolatra del suo errore basandoci sui comandamenti che abbiamo preso in esame, la cosa si presenterebbe impossibile. Colui che adora le immagini potrebbe rispondere: – L’idolo che ho davanti a me, è il mio dio; e questi sono i suoi comandamenti -. E colui che adora gli astri potrebbe ribattere: – Il sole è il mio dio, ed io l’adoro secondo questa legge -. Abbiamo così accertato che senza il 4° comandamento, il Decalogo, per quanto concerne la definizione del Vero Dio al Quale rendere il culto, è nullo o quantomeno incompleto.
Analizziamo ora il 4° Comandamento. Restituiamo alla Legge questo precetto che in tanti considerano annullato. Leggendo questo Comandamento: – Perché in sei giorni l’Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutte le cose che sono contenute in essi – ci accorgiamo di leggere le “referenze” di Colui che ha creato tutte le cose. Infatti non è il sole il Vero Dio, ma è il Dio del Decalogo Colui che ha creato il sole. Nessun oggetto, dei cieli o della terra, è l’Essere che nel 4° Comandamento esige ubbidienza, perché Dio di questa Legge è Colui che fece tutte le cose che sono state create. Ora abbiamo un’arma contro l’idolatria. Eh si!, perché questa Legge non può essere stata concepita dai falsi dei “che non fecero né la terra, né i cieli”, come dichiara Geremia 10: 11. L’Autore dei Comandamenti si è presentato. Ha dichiarato Chi Egli sia. Ha rivelato i confini senza limiti del Suo Impero affermando cosi il diritto a governare. Ogni creatura, perciò, deve riconoscere che Lui è il Creatore di Tutto, e che pertanto ha il diritto di pretendere da tutti la completa sottomissione. Reintegriamo, allora, il 4° Comandamento in quel documento ammirevole che è il Decalogo, unico documento in mano agli uomini vergato dal dito di Dio. Il 4° Comandamento è il segno che lo certifica mediante la firma e la ragione della Sua Sovranità. Perciò e nel 4° Comandamento che la Legge trova il suo sigillo. Se ne è priva, essa si mostra incompleta e senza autorità. Le Scritture con la loro testimonianza concorrono a questa conclusione.
Abbiamo visto come nella Scrittura le parole “segno”, “sigillo”, e “timbro”, sono stati usati come sinonimi.
E’ significativo che il Signore consideri il sabato un segno tra Lui ed il Suo popolo: – Badate bene d’osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno tra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l’Eterno che vi santifica (Esodo 31: 13) -. La stessa prescrizione è ripetuta in Ezechiele 20: 12,20. Anche in quell’occasione il Signore riafferma che è con l’osservanza del sabato che il Suo popolo Lo riconosce come Unico Vero Dio. E’ come se Dio avesse detto: – Il sabato è un suggello, un segno. E’ il sigillo della mia autorità, il segno che voi m’accettate e mi riconoscete come vostro Dio -.
A chi pretende che questo precetto non sia più obbligatorio per i cristiani dei nostri giorni, quasi che il sabato non fosse altro che un segno tra Dio e i Giudei, basterebbe rispondere che i termini “giudei” e “Israele”, in senso biblico, non si riferiscono soltanto alla progenie letterale d’Abramo. Egli, il primo patriarca, fu chiamato amico di Dio, mentre i suoi avi e suo padre erano idolatri. I suoi discendenti furono scelti come figli di Dio, custodi della Sua Legge e depositari della Sua Verità, poiché tutti gli altri popoli avevano apostatato. I precetti inerenti il sabato furono rivelati quando la stirpe d’Abramo ebbe l’onore d’essere scelta fra tutti i popoli. Ma quando la parete divisoria fu abbattuta, e i gentili furono invitati a partecipare alle benedizioni di Abramo, tutti i figli di Dio, sia Giudei, sia gentili furono partecipi di un rapporto nuovo e più intimo con Dio per mezzo di Suo Figlio; sono, altresì, considerati uguali da frasi come queste: “Il Giudeo è colui che lo è internamente” oppure “ecco un vero israelita” (Romani 2: 29; Giovanni 1: 47).
Queste affermazioni indicano coloro che adempiono la volontà di Dio, perché in virtù di questo il Signore li riconosce fin dai tempi antichi come Suo popolo. E’ cosi che l’Eterno considera il sabato del 4° Comandamento: non solo un segno tra Lui e il Suo popolo, ma anche il suggello della Sua Legge eterna.
Osservando questo comandamento l’uomo dimostra d’adorare il Vero Dio. Nel 4° precetto Dio si presenta come Sovrano legittimo essendo il nostro Creatore. In armonia con questo concetto è significativo che gli scrittori sacri, ogniqualvolta vogliano distinguere il Vero Dio da qualunque altra divinità, ricordino il grande evento della Creazione proclamato nel 4° Comandamento. Confrontare 2° Re 19: 5; 2° Cronache 2: 12; Nehemia 9: 6; Salmo 96: 5; 115: 4-7,15; 121: 2; 124: 8; 134: 3; 146: 6; Isaia 37: 16; 42: 5; 44: 24; 45: 12; 51: 13; Giobbe 9: 8; Geremia 10: 10-12; 32: 17; 51: 15; Atti 4: 24; 14: 15; 17: 23-24.
Notiamo ancora che lo stesso gruppo, che in Apocalisse 7 ha il sigillo dell’Iddio Vivente sulla fronte, in Apocalisse 14: 1 ha il Nome di Dio impresso sulla fronte. Questo ci dimostra in maniera esauriente che i termini “il sigillo dell’Iddio Vivente” e “il nome del Padre” sono sinonimi. La serie delle prove si completa quando costatiamo che il Signore Stesso indica il 4° Comandamento come sigillo della legge perché contiene il Suo Nome. Ne abbiamo la prova in (Deuteronomio 16:16): – Anzi, immolerai la Pasqua, soltanto nel luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto per dimora del Suo Nome -. Cosa c’era nel luogo dove s’immolava la Pasqua? C’era il santuario che conteneva l’arca del patto, che a sua volta conteneva il Decalogo, il cui 4° Comandamento identificava il Vero Dio e ne rivela il Nome. Ovunque fosse presente il 4° Comandamento era presente anche il Suo Nome; il passo evidenzia questa verità.
Il suggellamento: Dopo aver verificato e dimostrato che il suggello dell’Iddio Vivente è il santo sabato, con cui il Suo nome s’identifica, siamo pronti per proseguire nell’interpretazione dei passi in esame. La scena presentata nei versetti, cioè i quattro venti che si preparano a soffiare per precipitare la terra nella guerra e nell’angoscia, ed il fatto che quest’opera distruttiva è trattenuta finche i servi di Dio non saranno suggellati, ricorda il tempo in cui le case degli Ebrei furono “segnate” dal sangue dell’agnello pasquale. Solo in virtù di quel sangue furono ignorate dall’angelo sterminatore che percorse il paese d’Egitto uccidendo i primogeniti. (Esodo 12). Ricordiamoci anche del segno lasciato dall’uomo col calamaio su tutti quelli che erano stati perdonati, segno che fungeva da indicazione per gli uomini armati che lo seguivano (Ezechiele 9). Per finire ricordiamo che il suggello di Dio posto sui Suoi servi è un distintivo, una caratteristica religiosa che li preserverà dai giudizi di Dio che cadranno sugli empi.
L’osservanza del 4° precetto ha un significato particolare riguardo alle pratiche religiose? Certamente! E molto importante. L’osservanza del 4° Comandamento è uno degli aspetti più esclusivi e singolari della storia religiosa che una persona possa accettare. In un’era in cui la luce dell’Evangelo non brilla così intensamente, e in cui l’influenza del cristianesimo non è così forte, una delle pratiche più peculiari, una delle croci più gravose di cui può farsi carico un uomo, è l’osservanza del 4° Comandamento della Legge Divina. Il 4° precetto impone l’osservanza del 7° giorno della settimana quale giorno di riposo del Signore. Mentre quasi tutta la cristianità, per l’influenza combinata del paganesimo e del papato, si è lasciata sedurre e osserva il 1° giorno, basta che una persona cominci ad osservare il giorno indicato dal comandamento perché sia immediatamente segnata come speciale, distinta da quanti professano d’appartenere al mondo religioso o a quello secolare.
Diciamo infine che l’angelo che sale dall’oriente, e che ha il suggello dell’Iddio Vivente, è un messaggero divino incaricato di una riforma da realizzare tra gli uomini, e che concerne la santificazione del sabato.
Perciò gli agenti umani di quest’opera sono ministri di Cristo: poiché è agli uomini che è stato affidato l’incarico d’istruire i loro simili nelle verità bibliche. Ma siccome l’ordine è sempre presente nell’esecuzione dei consigli divini, non si giudichi improbabile che un angelo letterale sia stato incaricato di questa riforma. Abbiamo già ricordato che la cronologia profetica situa quest’opera nel nostro tempo. Ciò è ancora più evidente quando, nell’immagine seguente, vedremo, dopo il suggellamento, i servi di Dio davanti al trono con in mano le palme della vittoria. Il suggellamento perciò, è l’ultima opera che si compie prima che siano liberati i venti distruttori che faranno soffrire il mondo in occasione del 2° Avvento.
Identità dell’angelo che suggella: In Apocalisse 14 la stessa opera è raffigurata da un angelo che vola in mezzo al cielo con gli ammonimenti più terribili che orecchio umano abbia mai udito. Anche se di questo parleremo più dettagliatamente quando vi arriveremo, ci riferiremo ora al contenuto del suo messaggio in quanto si tratta dell’ultima opera da compiere nel mondo prima del Ritorno di Cristo.
Anche in quella profezia il 2° Avvento non si è ancora realizzato, per cui quell’annuncio è contemporaneo dell’opera presentata nei versetti 1-3 del capitolo 7. Infatti l’angelo che ha in mano il suggello dell’Iddio Vivente è, egli stesso, il terzo di Apocalisse 14.
Questa nuova realtà rende più importanti le considerazioni fatte sul sigillo, infatti: in conseguenza del suggellamento di Apocalisse 7 un certo gruppo di persone è segnato col sigillo dell’Iddio Vivente mentre, in seguito al messaggio del terzo angelo di Apocalisse 14, un certo gruppo di persone obbedisce a tutti i “comandamenti di Dio” (Apocalisse 14: 12). Il 4° Comandamento è l’unico che il mondo cristiano viola apertamente, e che sfacciatamente insegna a violare. La questione centrale è questa; questo è il problema vitale che il messaggio mette a nudo. Lo è perché è scritto che l’osservanza dei comandamenti, incluso il giorno del Signore, è il segno che distingue i servi di Dio da coloro che adorano la bestia e ne prendono il marchio. Più avanti spiegheremo perché l’osservanza del falso giorno di riposo costituisce il marchio della bestia.
Dopo aver brevemente registrato i particolari più importanti dell’argomento, arriviamo ora al più sorprendente di tutti. In armonia con la cronologia degli avvenimenti, ci accorgiamo che quest’opera si sta già compiendo davanti a noi: il messaggio del 3° angelo si sta già proclamando. L’angelo che sale da oriente sta compiendo la sua missione. La riforma del giorno di riposo è già iniziata. E’ già cominciata in modo sicuro, certo. Anche senza clamori traccia la sua via sulla terra. La riforma del sabato è destinata a creare interesse ovunque splenda la luce dell’evangelo; e finalmente esprimerà un popolo preparato, pronto per l’improvviso avvento del Salvatore, suggellato per il Suo Regno Eterno. Infatti, il suggellamento dei servi di Dio da parte dell’angelo del versetto 3, si manifesta nella fedele osservanza della legge di Dio che, nel 4° comandamento, si presenta come Creatore dei cieli e della terra; come Colui che stabilì il settimo giorno di riposo, lo santificò e lo consacrò come memoriale di quell’opera straordinaria.
La trattenuta dei venti: Formuleremo ora una domanda, dopodiché lasceremo questi versetti sui quali ci siamo già abbastanza dilungati. Abbiamo notato tra le nazioni qualche movimento in risposta al grido dell’angelo: – Non arrecate danno – per il soffiar dei venti – finche non abbiamo segnato i servi del nostro Dio? -. È ovvio che il periodo durante il quale i venti sono trattenuti non può essere un tempo di pace totale. Non corrisponderebbe alla profezia. Perché sia manifesto che i venti sono trattenuti, bisogna che vi siano dei disordini, delle agitazioni. Bisogna che tra le nazioni nascano contrasti e gelosie che scatenino conflitti occasionali che, come raffiche di vento, sfuggono da una tempesta che qualcuno riuscisse ad imprigionare. Questi conflitti dovranno esaurirsi improvvisamente, in modo insperato. Solo così colui che guarda gli avvenimenti alla luce della profezia capisce che, per chissà quale motivo, la mano dell’Onnipotente controlla e frena gli elementi in lotta. Questo è stato il panorama del
nostro tempo. Improvvisamente si sono manifestati, uno dietro l’altro, conflitti d’interesse, dissidi, odii e rivalità che hanno minacciato di precipitare il mondo in una confusione apparentemente inestricabile, che sembrava affondarlo in una guerra improvvisa e spaventosa; quando, improvvisamente e senza alcuna spiegazione apparente, ogni tensione si è risolta e la pace è tornata. Nella seconda metà del 19° secolo vi sono stati chiari esempi di queste coincidenze nell’improvvisa fine della guerra franco-tedesca (1871); russo-turca (1878); e ispano-americana (1898).
Poi scoppiò la prima guerra mondiale durante la quale fu permesso che i quattro venti soffiassero su gran parte del mondo. Molti scrittori affermarono che era quella di Armaghedon. Col passare del tempo si temette che questo conflitto s’accingesse a consumare il mondo intero senza lasciargli né radici né rami. Ma improvvisamente l’angelo gridò “Tratteneteli!”, poiché il suggellamento non era ancora terminato. L’11 novembre 1918 i quattro angeli fermarono i venti, e la guerra finì. Un mondo ferito e malato a causa della guerra, annichilito dal terrore di quattro anni di carneficina, si rallegrò nuovamente di una breve e apparente stagione di pace e sicurezza. L’armistizio fu salutato come l’inizio di un’era di benessere, di pace e di prosperità tra gli uomini di buona volontà. Non era stata forse combattuta l’ultima guerra? Quella “guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre?”. Milioni di persone credettero che il genere umano avesse imparato la lezione, e che non vi sarebbero più state altre guerre. Questa pace era un dono del Signore. Egli interveniva nei fatti del mondo per facilitare la continuazione dell’opera finale, descritta nel versetto 3, dalle parole dell’angelo: – Finche non avremo segnato sulla fronte i servi di Dio -.
Il periodo compreso tra il 1918 e l’inizio della seconda guerra mondiale fu tutt’altro che un tempo di pace, tanto che l’Almanacco Mondiale appurò che furono almeno 17 i conflitti che colpirono i quattro continenti. Molti minacciarono di assumere dimensioni preoccupanti, ma ogni volta, inaspettatamente, i conflitti e le cause che li scatenavano si risolvevano pacificamente. Fu l’angelo che intervenne in favore della pace? Subito dopo, improvvisamente, i quattro angeli liberarono nuovamente i venti. Questi ripresero velocità riportando le nazioni in un impetuoso turbinio chiamato 2° Guerra Mondiale, e in cui furono coinvolte quasi tutte le nazioni del mondo. Per le sue dimensioni e le spaventose distruzioni, cui sottopose tutto ciò che l’Umanità stimava, questa guerra superò abbondantemente quella precedente.
Non possiamo capire né spiegare il flusso ed il riflusso di questi venti di guerra e di pace, se non attraverso la Rivelazione che Gesù Cristo diede per mezzo del profeta Giovanni, così com’è rivelata in questi versetti.
Quando la Sapienza Divina ritiene opportuno liberare i venti della lotta, allora la natura umana non rigenerata dalla Grazia di Dio si sente libera e senza leggi. Ma quando Egli dice “basta!”, l’angelo grida: – Trattenete, trattenete, trattenete! -, e la guerra cessa, per consentire che l’opera continui. Sarà così finche l’opera non sarà completa, e tutto il popolo di Dio non sarà suggellato.
Caro lettore, ti senti angosciato a causa della confusione e della mancanza di serenità che regna nelle nazioni? Vuoi sapere cosa significhi tutto questo? Troverai la risposta nel quadro rivelato in questi versetti: – L’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo da a chi vuole – (Daniele 4:32). Nel momento che Egli deciderà, farà: – cessar le guerre fino ai confini della terra – (Salmo 46:9).
VERSETTI 4-8: E udii il numero dei segnati: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figlioli d’Israele: della tribù di Giuda 12000 segnati; della tribù di Ruben 12000 segnati; della tribù di Gad 12000 segnati; della tribù di Aser 12000 segnati; della tribù di Neftali 12000 segnati; della tribù di Manasse 12000 segnati; della tribù di Simeone 12000 segnati; della tribù di Levi 12000 segnati; della tribù di Issacar 12000 segnati; della tribù di Zabulon 12000 segnati; della tribù di Giuseppe 12000 segnati; della tribù di Beniamino 12000 segnati.
Il numero di coloro che saranno suggellati: Viene ora rivelato il numero di coloro che riceveranno il suggello divino: 144000. In considerazione del fatto che i segnati sono 12000 per ciascuna tribù di Israele, alcuni credono che il suggellamento sia stato compiuto tempo fa, per lo meno all’inizio dell’era cristiana, quando queste tribù esistevano realmente. Non riescono a capire com’è possibile farlo oggi, quando è ormai scomparsa e dimenticata per sempre ogni traccia di distinzione fra queste dodici tribù. Raccomandiamo loro di tenere conto delle parole dell’apostolo Giacomo che all’inizio della sua lettera scrive: – Giacomo, servitore di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella dispersione, salute. Fratelli miei, considerate come argomento di completa allegrezza le prove svariate in cui venite a trovarvi -. Coloro cui Giacomo si riferisce, sono credenti cristiani, sono suoi fratelli nella fede. Alcuni si erano convertiti dal paganesimo altri ancora dal giudaismo, ed egli, senza indugio, li include tutti tra le dodici tribù: perché? Lo spiega Paolo in (Romani 11: 17-24), nella felice immagine dell’innesto, in cui l’olivo domestico rappresenta Israele.
Alcuni rami, discendenti naturali di Abramo, furono recisi per la loro incredulità in Cristo Gesù. Viceversa, per la fede in Lui, alcuni rami dell’olivo selvatico, i gentili, furono innestati in quello domestico: rinnovando così le dodici tribù d’Israele. In un’altra lettera di Paolo troviamo un’altra spiegazione: – Non tutti quelli che sono d’Israele, sono Israeliti -, e ancora: – Non è giudeo quello che lo è in modo apparente. . . ma giudeo è colui che lo è intimamente -.(Romani 9: 6-8; 2: 28-29). Nelle porte della Nuova Gerusalemme, la città di Dio annunciata nel nuovo Testamento, sono scritti i nomi delle dodici tribù d’Israele, mentre i nomi dei dodici apostoli sono scritti sui suoi fondamenti (Apocalisse 21: 12-14). Questi sono simbolismi che hanno identico significato. Se le dodici tribù appartenessero esclusivamente all’era giudaica, sarebbe stato logico che i loro nomi fossero scritti sui fondamenti e quelli dei dodici apostoli sulle porte della città; ma siccome è attraverso queste porte, così contrassegnate, che il popolo redento entrerà nella città, allora possiamo affermare che tutti i redenti saranno considerati, simbolicamente, appartenenti alle dodici tribù: senza considerare se essi siano stati giudei o gentili.
Notiamo, inoltre, che l’elenco delle tribù differisce da quello mostrato in altri brani della Scrittura. In quest’elenco sono stati omessi Efraim e Dan, e al loro posto sono stati inseriti Levi e Giuseppe. I commentatori spiegano che Dan sia stato omesso perché quella tribù manifestò una spiccata propensione all’idolatria (confr. Giudici 18), e al suo posto sia stata inserita quella di Levi, perché nella Nuova Gerusalemme non sussisteranno i motivi che le impedirono l’eredità. Giuseppe, invece, subentra ad Efraim perché pare che con questo nome si volesse indicare sia Efraim sia Manasse (Numeri 13: 11).
I suggellati di ciascuna tribù sono dodicimila. Questo dimostra che, nel periodo in cui ebbe inizio l’opera di suggellamento, non tutti avevano il nome scritto nei libri del cielo, e che non tutti resistettero sino alla fine e quindi furono salvati: poiché, se non si persevera sino alla fine, i nostri nomi saranno cancellati (Apocalisse 3: 5)
VERSETTI 9:12: Dopo queste cose vidi, ed ecco una gran folla che nessun uomo poteva noverare, di tutte le nazioni e tribù e popoli e lingue, che stava in pie’ davanti al trono e davanti all’Agnello. E tutti gli angeli stavano in pie’ attorno al trono e agli anziani e alle quattro creature viventi; e si prostrarono sulle loro facce davanti al trono, e adorarono Iddio dicendo: – Amen! All’Iddio nostro la benedizione e la gloria e la sapienza e le azioni di grazie e l’onore e la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen -.
Una volta portato a termine il suggellamento, Giovanni vede una numerosa moltitudine che, rapita in estasi, adora Dio davanti al Suo Trono. Questa numerosa moltitudine è, senza dubbio, costituita dai salvati d’ogni nazione, tribù e lingua che sono stati risuscitati al ritorno di Cristo. A dimostrazione che il suggellamento è l’ultima opera realizzata in favore del popolo di Dio prima della traslazione.
VERSETTI 13-17: E una degli anziani mi rivolse la parola dicendomi: Questi che son vestiti di vesti bianche chi son dessi, e donde son venuti? Io gli risposi: Signor mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Essi son quelli che vengono dalla gran tribolazione, e hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò son davanti al trono di Dio, e Gli servono giorno e notte nel suo tempio: e Colui che siede nel trono spiegherà su loro la sua tenda. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.
Un gruppo speciale: Dalla risposta di Giovanni ad uno degli anziani che gli chiede “chi siano e da dove vengano coloro che hanno le vesti bianche”, s’intuisce che l’apostolo non lo sappia. Questo sembrerebbe privo di logica, se i due si riferivano alla gran moltitudine che avevano davanti. Giovanni, infatti, sapeva chi erano e da dove venivano, in quanto aveva appena finito di annunciare che essi erano i redenti d’ogni nazione, e tribù, e lingua, e popolo. Giovanni avrebbe potuto rispondere che essi erano i redenti di tutta la terra. Non è stato mostrato nessun altro gruppo speciale cui si potesse ragionevolmente alludere, oltre quello presentato nella prima parte del capitolo: i 144000. In realtà Giovanni aveva già visto i membri di questa compagnia quando, nella condizione d’uomini mortali, ricevevano il sigillo dell’Iddio Vivente tra le scene d’angoscia degli ultimi giorni; ma quando si trovavano in mezzo alla gran moltitudine dei redenti, essi erano così diversi che l’apostolo non li riconosce più come il gruppo speciale che aveva visto suggellare sulla terra. A questo gruppo sembrano applicarsi in modo speciale le seguenti particolarità:
Vengono dalla gran tribolazione: Anche se in realtà tutti i cristiani entreranno “nel regno di Dio . . . per molte tribolazioni” (Atti 14: 22), ciò è ancor più vero per i 144000. Essi attraverseranno “le tribolazioni più grandi da quando esiston le nazioni” (Daniele 12: 1); “sperimenteranno l’angoscia mortale del tempo di distretta di Giacobbe” (Geremia 30:4-7); devono sussistere senza mediatore attraverso i terribili eventi delle sette ultime piaghe, che sono la manifestazione dell’ira di Dio versata pura sulla terra, come vedremo in Apocalisse 15 e 16. Vivranno l’epoca della più severa tribolazione che il mondo abbia mai conosciuto. Riusciranno però a trionfare e alla fine saranno liberati.
Hanno le vesti bianche: Hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. L’ultima generazione riceve molti accorati consigli sulla necessità d’ottenere queste vesti bianche (Apocalisse 3: 5,18): i 144000 si rifiutano di violare i Comandamenti di Dio (Apocalisse 14: 1-12), e sarà manifestato che hanno fondato la speranza della loro salvezza nei meriti del sangue sparso dal Divino Redentore, e che hanno fatto di Lui la Fonte della loro giustizia. Ha un significato particolare la dichiarazione che essi lavarono le loro vesti e le imbiancarono nel sangue dell’Agnello.
Sono chiamati “primizie”: Il versetto 15 descrive il posto che essi occupano nel Regno, e come siano vicini a Dio. In un altro passo è annunciato che essi sono “primizie per Dio e l’Agnello” (Apocalisse 14: 14).
Non avranno più fame: Questo dichiara il versetto 16, e vuole alludere alla fame e alla sete che, una volta, essi patirono. A che cosa si riferisce? Siccome è un’allusione ad una esperienza unica e speciale, non alluderà, forse, alla serie di privazioni patite durante il periodo di distretta, e in modo particolare durante le sette piaghe? Durante questo tempo i giusti saranno tormentati dalla mancanza di pane e d’acqua. Accadrà quando si seccheranno i pascoli, e gli alberi da frutto, insieme con tutta la vegetazione (Gioele 1: 18-20); e i fiumi e le fonti delle acque si tramuteranno in sangue (Apocalisse 16: 4-7). Allora i giusti saranno costretti, per separarsi completamente dalle cose terrene e per ridurre al minimo i loro rapporti col mondo, a soffrire la fame e la sete. Ma una volta ottenuto il Regno, “non avranno più fame né sete”.
Il profeta continua: “Ed il sole non li colpirà più, né calura alcuna”. Sappiamo che i 144000 vivranno nel tempo in cui al sole sarà dato il potere di “bruciare gli uomini” (Apocalisse16: 8-9). Quantunque protetti, dal calore mortale che colpirà gli empi, noi non crediamo che la loro sensibilità sarà attenuata, tanto da non avvertire il disagio di quel terrificante calore. Quando entreranno nella Canaan Celeste apprezzeranno maggiormente la promessa Divina che: non soffriranno più “calura alcuna e il sole non li colpirà più”.
L’Agnello li pasturerà: Ecco un’altra testimonianza riservata allo stesso gruppo di persone, che “Seguono l’Agnello ovunque vada” (Apocalisse 14: 4). Queste due espressioni indicano lo stretto e divino rapporto cui il Beato Redentore li ammette. Nel bellissimo passaggio che segue il salmista sembra alludere alla stessa promessa: – Son saziati dall’abbondanza della Tua casa, e Tu li abbeveri al torrente delle Tue delizie (Salmo 36: 8) -. Il contenuto della promessa fatta ai 144000, la troviamo, in parte, anche nella gloriosa penna di Isaia: – Annienterà per sempre la morte; il Signore, l’Eterno, asciugherà le lacrime da ogni viso, torrà via di su tutta la terra l’onta del Suo popolo, perché l’Eterno ha parlato – (25: 8).
VERSETTO 1°: E quando l’Agnello ebbe aperto il 7° suggello, si fece silenzio in cielo per circa lo spazio di mezz’ora.
Il primo versetto di questo capitolo si rapporta con i fatti menzionati nei capitoli precedenti, perciò non dovrebbe esserne separato come invece avviene. Questo versetto riprende e conclude la serie dei sette sigilli. Il sesto capitolo dell’Apocalisse termina con la presentazione degli eventi del 6° sigillo. Il capitolo otto comincia con l’apertura del 7°. Da ciò si capisce che il 7° capitolo è una parentesi tra il 6° ed il 7° sigillo, e che il suggellamento raccontato in Apocalisse sette, avviene sotto il 6° sigillo.
Silenzio in cielo: Anche se il 6° sigillo contiene avvenimenti intimamente collegati con il 2° Avvento, non ci accompagna fino a quel momento. Il penultimo suggello mostra gli spaventosi stravolgimenti degli elementi, durante i quali i cieli s’arrotoleranno, la superficie della terra si schianterà e gli empi confesseranno che è giunto il Gran Giorno dell’Ira di Dio.
Questi eventi preludono il ritorno del Re della Gloria; ma il sigillo non arriva sino a quest’evento. Perciò, l’Avvento Personale di Cristo deve avvenire nel sigillo successivo.
Quando il Signore verrà, sarà accompagnato da tutti i santi angeli (Matteo 25: 31). Quando i suonatori delle arpe celesti abbandoneranno le stanze di Dio per accompagnare il loro Signore, che discende per raccogliere i frutti della Sua Opera Redentrice, vi sarà allora silenzio in cielo? Calcolando questo tempo profeticamente, possiamo affermare che equivale, più o meno, ad una settimana.
VERSETTO 2: E io vidi i sette angeli che stanno in pie’ davanti a Dio, e furon date loro sette trombe.
La Parola di Dio, a questo punto, presenta una nuova serie d’avvenimenti che raccontano la storia della chiesa durante la cosiddetta “Era Cristiana”. Le sette trombe che si preparano a suonare introducono i principali eventi politici e militari che si realizzano durante lo stesso periodo.
VERSETTI 3-5: E un altro angelo venne e si fermò presso l’altare, avendo un turibolo d’oro; e gli furon dati molti profumi affinché li unisse alla preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro che era davanti al trono. E il fumo dei profumi, unendosi alle preghiere dei santi, salì al cospetto di Dio. Poi l’angelo prese il turibolo e l’empì del fuoco dell’altare e lo gettò sulla terra; e ne seguirono tuoni e voci e lampi e un gran terremoto.
Dopo aver presentato i sette angeli al versetto 2 Giovanni richiama, brevemente, la nostra attenzione verso una scena completamente diversa. L’angelo che s’avvicina all’altare non è uno dei sette che hanno ricevuto le trombe. L’altare è quello dei profumi, che nel santuario terreno si trovava nel primo vano. Abbiamo cosi un’altra prova dell’esistenza nel cielo di un Santuario con gli arredi utilizzati per il servizio. Quello terreno era una sua riproduzione. Giovanni è accompagnato nel suo interno, e assiste ad un servizio sacerdotale in favore dei santi, anche se non gli è mostrata tutta l’opera di mediazione che, fin dall’inizio dell’Era Evangelica, vi si svolge in favore del popolo di Dio. L’immagine dell’angelo che riempie il suo incensiere di fuoco e lo getta sulla terra, ci aiuta a capire che questa visione ci conduce al tempo della fine, e, con questo gesto, mostra che la sua opera è finita. Non saranno più offerte preghiere mescolate con l’incenso. Quest’atto simbolico sarà compiuto quando il ministero di Cristo, in favore dell’umanità, sarà finito per sempre. Dopo il gesto dall’angelo vi sono voci, tuoni, lampi e terremoti; esattamente quello che accadrà alla fine del tempo di grazia, com’è rivelato in un’altra sezione delle Scritture (confr. Apocalisse 11: 19; 16: 17-18).
Perché sono stati inseriti questi versetti? Perché per la chiesa sono un messaggio di speranza e di conforto.
Poco prima sono stati introdotti i sette angeli con le loro trombe di guerra. Ci saranno scene terribili quando queste trombe suoneranno, ma prima che comincino, al popolo di Dio viene mostrata l’opera di mediazione realizzata in suo favore nel Santuario celeste, e che lo induce a riguardare a Colui che in questo tempo è Fonte di coraggio e d’aiuto. Anche se sarà trascinato e travolto dalle impetuose onde della guerra e della contesa, deve ricordare che il suo Sommo Sacerdote continua ad amministrare per lui nel Santuario Celeste. Il suo popolo potrà inviare le sue preghiere con la certezza che saranno offerte, assieme al profumo dell’incenso, al Padre Celeste ottenendo in questo modo forza e sostegno durante tutta la tribolazione.
VERSETTO 6: E i sette angeli che avean le sette trombe si prepararono a suonare.
Le sette trombe: Riprende il tema delle sette trombe che occupa il resto di questo capitolo e tutto il successivo. Il simbolo delle trombe che sono suonate dagli angeli presenta in modo più particolareggiato ciò che la profezia dei capitoli 2 e 7 di Daniele annunciava circa la divisione dell’Impero Romano in dieci regni. Le prime quattro trombe ci offrono una descrizione dettagliata dei fatti più importanti che hanno segnato la caduta di Roma Imperiale.
VERSETTO 7: E il primo sonò, e vi fu grandine e fuoco, mescolati con sangue, che furono gettati sulla terra; e la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi fu arsa, ed ogni erba verde fu arsa.
Alexander Keith ha giustamente osservato: – Niente potrebbe spiegare meglio i testi, ed esporli più esaurientemente, del lavoro svolto dallo storico Gibbon. I capitoli del filosofo ascetico che trattano direttamente i fatti, hanno bisogno solo d’essere preceduti da un testo strettamente storico, in cui siano cancellate alcune parole profane. Poi formeranno una serie di esposizioni dei capitoli 8 e 9 della Rivelazione di Gesù Cristo. A chi volesse interpretarli non resterebbe altro da fare che segnare le pagine di Gibbon -.
Il primo castigo che colpì Roma dopo la sua caduta, fu la guerra con i Goti di Alarico, e che preparò la via per altre invasioni. L’Imperatore romano Teodosio morì nell’anno 395 e, prima della fine dell’inverno, i Goti combattevano contro l’Impero.
La prima invasione guidata da Alarico, devastò l’Impero Orientale. Egli conquistò le città più importanti, e molti degli abitanti diventarono schiavi. Conquistò anche le regioni della Tracia, la Macedonia, l’Attica ed il Peloponneso, ma non giunse fino a Roma. Più tardi il condottiero goto, dopo aver attraversato le Alpi e l’Appennino, arrivò davanti alle mura della città “eterna”, che cadde nelle loro mani nel 410.
“Grandine e fuoco, mischiati col sangue” furono lanciati sulla terra. I terribili effetti dell’invasione dei goti sono simboleggiati dalla grandine, per evidenziare l’origine nordica degli invasori, dal fuoco, usato strategicamente per distruggere città e campagne, e dal sangue, per il terribile massacro di cittadini dell’Impero compiuto da quei feroci ed intrepidi guerrieri.
La prima tromba: Il suo suono possiamo datarlo alla fine del IV secolo, ed annuncia le devastanti incursioni dei Goti subite dell’Impero Romano.
Dopo essersi dilungato sulle citazioni dell’opera di Edwuard Gibbon “STORIA DELLA DECADENZA E CADUTA DELL’IMPERO ROMANO”, capitoli 30 e 33, relativi alle conquiste dei Goti, Alexander Keith ci offre uno splendido riassunto delle parole con cui lo storico evidenzia il compimento della profezia:
: – Gli ampi stralci dimostrano abbondantemente quanto fedelmente Gibbon abbia esposto la storia, e con quale ampiezza l’abbia presentata in questo testo che è, sostanzialmente, relativo alla prima tromba, e perciò alla prima tempesta che sferzò il territorio romano. Usando le sue parole come un commento diretto, leggiamo quello che Gibbon ha scritto: – “La nazione Gota era già armata quando s’udì il primo suono di tromba. A causa dell’insolita inclemenza invernale fecero passare i loro pesanti carri sul fianco ampio e gelato del fiume. I fertili campi della Feocia e della Beozia furono ricoperti da un nugolo di barbari: gli uomini furono uccisi, e le donne e il bestiame rapiti. Le profonde e sanguinanti ferite causate dai Goti furono visibili anche dopo molti anni. L’intero territorio dell’Attica fu devastato dalla funesta presenza di Alarico. I Più fortunati furono gli abitanti di Corinto di Argo e di Sparta che, si salvarono dalla morte, ma assistettero alla devastazione della loro città. Durante una stagione che fu tanto calda al punto che i letti dei fiumi si prosciugarono, Alarico invase la parte occidentale. Un solitario “anziano di Verona” (il poeta Claudiano) pianse in modo commovente la sorte degli “alberi” del suo tempo, che furono bruciati dalla conflagrazione di tutto il paese. (si noti che la profezia dice esattamente che la terza parte degli alberi fu bruciata); l’imperatore romano, davanti ai Goti, fuggì.
Dalle popolazioni tedesche si levò una furiosa tempesta e, dall’estremo nord, i barbari scesero direttamente fino alle porte di Roma, e riuscirono in breve tempo a distruggere l’occidente. La nera nuvola, che si era addensata al largo delle coste del Baltico, scoppiò col fragore del tuono sui margini del Danubio Superiore. Le praterie della Gallia, in cui pascolavano greggi e mandrie, e le sponde del Reno, abbellite da case eleganti e da prati ben curati, formavano uno scenario di pace e d’oziosa opulenza che si trasformò improvvisamente in un deserto, che si distingueva dalla solitudine della natura solamente per le rovine fumanti. Molte città furono orribilmente saccheggiate e distrutte. Molte migliaia di persone morirono crudelmente. Le fiamme consumanti della guerra si propagarono sulla maggior parte delle diciassette province della Gallia.
Alarico, subito dopo, estese le sue stragi in Italia. Per quattro anni i Goti spadroneggiarono e saccheggiarono brutalmente. Durante il sacco e l’incendio di Roma i colli della città si riempirono di cadaveri, le fiamme incenerirono molti edifici pubblici e privati; le rovine di un palazzo rimasero per oltre un secolo e mezzo quale monumento di testimonianza della disastrosa invasione dei goti -.
Dopo questo riassunto Keith completa il quadro dicendo: – La parte finale del capitolo 33 della storia di Gibbon, è di per sé stessa un commento chiaro e conciso. Chiudendo la descrizione di questo periodo, breve ma ricchissimo d’avvenimenti, riassunse con affermazioni parallele il senso della storia e l’argomento della profezia -. Le parole che precedono tale affermazione non mancano di significato: – La devozione, fra la gente comune e quella importante, era, in quel tempo, impaziente di esaltare sugli altari di Diana ed Ercole, i santi e i martiri della chiesa cattolica. L’unità dell’impero romano si dissolse, il suo genio fu umiliato nella polvere. Eserciti di barbari sconosciuti, venuti dalle gelide terre del nord, stabilirono il loro potere vincente sulle province più belle dell’Europa e dell’Africa -.
L’ultima parola “Africa” è il segnale affinché la seconda tromba cominci a suonare. Lo scenario si sposta dalle rive del Baltico alle coste meridionali del Mediterraneo, e dalle regioni gelide del nord alle spiagge infuocate dell’Africa.
Al posto “della tempesta di grandine sulla terra”, una “gran montagna ardente fu gettata nel mare”.
VERSETTI 8-9: Poi sonò il secondo angelo e una massa simile ad una gran montagna ardente fu gettata nel mare; e la terza parte del mare divenne sangue, e la terza parte delle creature viventi che erano nel mare morì, e la terza parte delle navi perì.
La seconda tromba: L’Impero Romano, dopo Costantino il Grande, fu diviso in tre parti. Per questo motivo si usa spesso la frase “la terza parte degli uomini”, che indica appunto la terza parte dell’Impero che subì il flagello. Tale divisione fu attuata, alla morte di Costantino, dai suoi tre figli: Costanzo, Costantino II° e Costante. Costanzo prese l’Oriente e fissò la sua capitale a Costantinopoli, la metropoli dell’Impero; Costantino II ottenne la Gran Bretagna, la Gallia, e la Spagna; Costante, a sua volta, regnò sull’Illiria, l’Africa e l’Italia. Il suono della seconda tromba indica l’invasione e la conquista dell’Africa, e più tardi anche quella dell’Italia, da parte di Genserico re dei Vandali. Le sue conquiste furono prevalentemente navali e i suoi trionfi furono “come una grande montagna ardente gettata nel mare”. Infatti quale simbolo avrebbe potuto indicare più precisamente, gli scontri navali e la distruzione che le sue truppe, trasportate dalle navi, portarono sulle coste? Nell’analisi di questa tromba dobbiamo ricercare gli eventi che condizionarono il mondo commerciale. Il simbolo ci porta, per sua natura, a ricercare sommosse e rivoluzioni. Nient’altro, che non sia una grande lotta sul mare, può realizzare la profezia. Se il suono delle prime quattro trombe simboleggia i quattro eventi importanti che contribuirono alla caduta dell’Impero romano, e la prima tromba annunciava le stragi compiute dai Goti di Alarico, studiando e commentando la seconda tromba analizzeremo l’invasione successiva, che scosse il potere romano e ne preparò la caduta.
Questa seconda invasione fu capeggiata da Genserico capo dei Vandali. La sua carriera raggiunse l’apice tra il 428 e il 468. Questo valoroso condottiero Vandalo stabilì il suo quartiere generale in Africa; ma, come dice Gibbon: – … la scoperta e la conquista delle nazioni africane e la possibilità, quindi, d’abitare in quelle regioni non soddisfaceva la lucida ambizione di Genserico, che, perciò, diresse le sue mire verso il mare; decise, allora, di costruirsi una flotta navale e con solerte perseveranza portò a termine il suo audace progetto. Salpò ripetutamente del porto di Cartagine sia per compiere atti di pirateria, rapinando i carichi e le merci della flotta commerciale, sia per attaccare l’Impero. Per fronteggiare questo padrone del mare, l’imperatore Maiorano fece costruire un’adeguata forza navale. Si tagliarono i boschi dell’Appennino, si ripristinarono gli arsenali e le fabbriche di Ravenna e Messina. In Italia e in Gallia si rivaleggiò nel contribuire generosamente all’erario pubblico; la marina imperiale si radunò nel grande e sicuro porto di Cartagine, in Ispagna, forte di trecento magnifiche galere e di un adeguato numero di navi da trasporto più piccole… Ma Genserico si salvò, da questa rovina imminente e inevitabile, grazie al tradimento d’alcuni potenti sudditi dell’Impero che temevano e invidiavano il successo del loro sovrano. Avvertito da una spiata, sorprese la flotta imperiale completamente incustodita, nel porto di Cartagine. Alcune navi furono affondate, altre bruciate e altre rapite. In un solo giorno furono vanificati il lavoro e i sacrifici di tre anni.
Il Regno d’Italia, cui progressivamente si ridusse l’Impero Romano durante il regno di Ricimera, fu tormentato dalle incessanti ruberie dei pirati Vandali. Ogni anno, in primavera, nel porto di Cartagine essi approntavano una flotta poderosa; lo stesso Genserico, sebbene fosse già vecchio, comandava personalmente le scorrerie più importanti.
I Vandali assalirono ripetutamente le coste spagnole, italiane, dell’Epiro, greche, dalmate, dell’Istria e del Veneto… La rapidità permetteva loro d’attaccare gli obiettivi più lontani, era sufficiente che fossero considerati appetibili e desiderabili; imbarcavano ogni volta un numero sufficiente di cavalli, e in groppa ai loro veloci destrieri razziavano, in lungo e in largo, quelle regioni -.
Gibbon descrive così l’ultimo tentativo compiuto nel 486 da Leone 1° imperatore d’oriente, per togliergli il predominio sul mare: – Il costo complessivo della campagna d’Africa fu di 130000 libbre d’oro, circa 5200000 sterline… La flotta che salpò da Costantinopoli diretta a Cartagine era composta da 1113 navi; il numero dei soldati e dei marinai era superiore a 100000 unità… Gli eserciti di Eraclio e Marcellino s’unirono, e scortarono il luogotenente imperiale… Il vento favorì i piani di Genserico. Egli fece pilotare le navi più grandi dai comandanti più esperti, scelti tra i mori e i vandali che, astutamente, fecero rimorchiare dalle loro navi numerose barche cariche di materiale incendiario. Nell’oscurità della notte queste barche votate alla distruzione furono spinte contro la flotta romana che, non sospettando alcuna imboscata, si fece trovare impreparata e si rese conto del pericolo solo quando fu troppo tardi. La sua formazione a file serrate facilitò l’estendersi del fuoco che si propagò rapidamente anche alle navi della flotta imperiale.
Il rumore del vento, il crepitare delle fiamme, le urla disperate dei soldati e dei marinai che non potevano né impartire né ricevere ordini, accrescevano l’orrore del tumulto notturno. E mentre la flotta manovrava per sottrarsi, almeno in parte, al pericolo delle fiamme, le galere di Genserico attaccarono con fredda e feroce determinazione; e molti dei soldati romani che scamparono alle fiamme morirono o furono catturati dai vandali vittoriosi… Dopo il fallimento di questa spedizione, Genserico continuò ad essere il padrone assoluto del mare; le coste italiane, greche e asiatiche furono nuovamente vittime della sua avidità e del suo furore. La Sardegna e la Libia furono riconquistate e anche la Sicilia s’aggiunse al numero delle sue province. Prima di morire, nella pienezza degli anni e all’apogeo della gloria, assistette alla fine dell’Impero Occidentale -.
Per sottolineare la parte che questo audace corsaro recitò nella caduta di Roma, Gibbon dice: – Genserico, un nome che, nella distruzione dell’Impero Romano, ebbe la stessa importanza di Alarico e Attila -.
VERSETTI 10-11: E il terzo angelo sonò, e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia; e cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle fonti delle acque. Il nome della stella è assenzio; e la terza parte delle acque divenne assenzio; e molti uomini morirono a cagione delle acque, perché erano diventate amare.
La terza tromba: Con l’interpretazione e l’applicazione di questi versi, giungiamo al terzo importante evento che concorse alla caduta dell’Impero Romano. Per l’esposizione del compimento storico della terza tromba siamo riconoscenti alle note di Albert Barnes per alcune sue estrapolazioni. Come dice questo commentatore per spiegare il passo in esame, è necessario:
– Che vi sia qualche capitano o guerriero che possa essere paragonato ad una meteora ardente; la cui carriera sia stata particolarmente brillante; che appaia improvvisamente come una stella fugace, e che poco dopo, sparisca come una stella la cui luce si spenga nell’acqua. La cui opera devastante si svolga prevalentemente in quella parte del mondo, in cui siano numerose le sorgenti e i corsi d’acqua e che, in conseguenza di tutto ciò, sia come se le acque delle sorgenti e dei fiumi diventino amare, cioè che muoiano molte persone, e che nei pressi di questi fiumi e ruscelli vi sia grande desolazione: come se una stella amara e funerea cadesse dentro l’acqua, e la morte che da essa emana, si diffondesse ai margini adiacenti -.
Questa premessa vuole significare che questa tromba simboleggia le guerre devastanti e le furiose invasioni di Attila, re degli Unni, contro il potere romano. Parlando di questo guerriero, e in particolare del suo aspetto, Barnes così lo descrive: – Nell’aspetto assomigliava ad una meteora lucente che sfolgorasse nel cielo. Giunse dall’oriente assieme ai suoi Unni, e come vedremo, li lanciò fulmineamente sull’impero: con la stessa rapidità di una meteora incandescente. Si considerava sacro a Marte, dio della guerra, ed era solito vestirsi in modo particolarmente appariscente, tanto da apparire a chi lo guardava, come dicevano i suoi adulatori, semplicemente abbagliante -.
In quanto ai luoghi in cui questi fatti si svolsero, Albert Barnes così si esprime: – Si dice che la sua influenza doveva farsi sentire in modo particolare sui fiumi e sulle fonti delle acque. Sia, che questo abbia avuto un’applicazione letterale, come nel caso della seconda tromba, sia, che il linguaggio usato si riferisca a quella parte dell’impero, che si sarebbe rivelato adatto ad un’invasione nemica, in tutti i casi possiamo supporre che tale espressione si riferisca a quella parte dell’impero in cui abbondavano i fiumi e le sorgenti, dato che il suo nefando effetto sulle “fonti delle acque” era permanente.
In realtà i territori in cui Attila svolse prevalentemente la sua attività, furono quelli alpini: i fiumi che scorrono nella penisola giungono proprio da quelle regioni. Gibbon riassume brevemente l’invasione di Attila: – Tutta la larghezza dell’Europa, dall’Eusino all’Adriatico, fu invaso, occupato e devastato, in brevissimo tempo, dalle miriadi di barbari che Attila mise in campo -.
Il nome della stella è Assenzio: La parola “assenzio” vuol dire amare conseguenze. “Queste parole che hanno un più stretto legame col versetto precedente… ci ricordano… il carattere di Attila, l’amarezza di cui fu causa e il terrore che il suo nome ispirava”. “I termini che indicano più esattamente le calamità di cui fu causa, sono: SOPPRESSIONE e SRADICAMENTO TOTALE”. “Attila si vantava che l’erba non sarebbe più cresciuta dove fosse passato il suo cavallo”. “Il nome che s’attribuì fu CASTIGO DI DIO, e l’inserì in mezzo ai suoi nomi di nascita”. Attila fu il castigo dei suoi nemici, il terrore del mondo. L’imperatore occidentale, il senato ed il popolo di Roma, cercarono con timore e umiltà di placare la sua ira. Il paragrafo finale dei capitoli che parlano di lui s’intitola: “Sintomi della decadenza e della rovina del governo romano”. Il nome della stella era Assenzio.
VERSETTO 12: Poi sonò il quarto angelo, e la terza parte del sole fu colpito e la terza parte della luna e la terza parte delle stelle affinché la loro terza parte si oscurasse e il giorno non risplendesse per la terza parte e lo stesso avvenisse per la notte.
La quarta tromba: Riconosciamo in questa tromba il simbolo della carriera di Odoacre, il primo barbaro che governò l’Italia e che ebbe una parte importante nella caduta dell’impero Occidentale.
Il sole, la luna e le stelle sono solo dei simboli, lo s’intuisce chiaramente, e rappresentano i grandi luminari del governo romano: l’imperatore, i senatori e i consoli. L’ultimo imperatore occidentale fu Romolo cui, per derisione e disprezzo, fu aggiunto il nomignolo di Augustolo: il piccolo Augusto. Roma occidentale cadde nel 476. Nonostante il sole romano si fosse spento definitivamente, i suoi luminari: il senato ed il consolato brillavano ancora, seppure debolmente. Ma, dopo alcuni mutamenti politici e rovesci civili, tutte le antiche forme istituzionali furono rovesciate, e Roma stessa, una volta imperatrice del mondo, si ridusse alla condizione di un semplice ducato tributario dell’esarcato di Ravenna.
Gibbon annota così l’estinzione dell’Impero Romano: – Lo sfortunato Augustolo si rese strumento della propria disgrazia: infatti, presentò al senato la sua rinuncia, e quell’assemblea, come ultimo atto d’obbedienza ad un principe romano, riaffermò ancora una volta lo spirito di libertà e i principi costituzionali. Con decisione unanime inviò una lettera all’imperatore Zenone, genero e successore di Leone, da poco risalito sul trono dopo una breve ribellione. In quella lettera i senatori negarono solennemente la necessità, o anche il desiderio, di mantenere in Italia la successione imperiale, dato che ritenevano che un solo monarca era sufficiente per governare e proteggere sia l’oriente sia l’occidente. Si dichiararono d’accordo, anche in nome del popolo, che la sede dell’Impero fosse traslata da Roma a Costantinopoli; rinunciarono vilmente al diritto d’eleggere il loro sovrano, unico privilegio rimasto dell’antica Autorità che aveva dato le leggi al mondo -.
Alexander Keith così commenta la caduta di Roma: – Il potere e la gloria di Roma si spensero. Non dominava più su nessuna nazione. Alla regina delle nazioni rimaneva solo il nome. Dalla città imperiale sparì tutto il lustro della regalità. Colei che aveva dominato le nazioni, cadeva ora nella polvere come una seconda Babilonia, e dove prima avevano regnato i Cesari non c’era più nessun trono. L’ultimo atto d’ubbidienza di quell’augusta assemblea fu l’accettazione di rinuncia dell’ultimo imperatore occidentale, e l’abolizione (in Italia) della successione imperiale. Il sole di Roma era stato ferito…
L’Italia ebbe prontamente un nuovo conquistatore: Teodorico che, privo di scrupoli, assunse la porpora e regnò per diritto di conquista. La sovranità di Teodorico fu istituita dai Goti (5 marzo 493), con il consenso tardivo, ambiguo e ostile dell’imperatore d’oriente. Il potere imperiale romano, di cui Roma e Costantinopli, insieme o separatamente, erano state le sedi in oriente e occidente, in Italia non fu più riconosciuto; e la terza parte del sole fu ferita così gravemente, che non illuminava più, nemmeno debolmente. Il potere dei Cesari non fu più riconosciuto, e un re Goto regnò su Roma.
Ma, anche se la terza parte del sole era stata ferita, ed il potere imperiale di Roma era finito, nella città dei Cesari le stelle e la luna continuarono a brillare ancora per un po’ di tempo, sebbene fossero in mezzo alle tenebre dei Goti. Il consolato e il senato (la luna e le stelle) non furono aboliti da Teodorico. Uno storico Goto plaude il consolato di Teodorico come “il culmine di tutto il potere e della grandezza temporale”; allo stesso modo che la luna domina durante la notte, dopo il tramonto. Teodorico stesso, invece d’abolire queste istituzioni, “si rallegra con questi annali favoriti dalla fortuna che, liberati dagli impegni di governo, gioivano e godevano del suo splendore”.
Però secondo la volontà profetica anche il senato ed il consolato giunsero alla loro fine, anche se non fu a motivo dei vandali o dei goti. Questo avvenne perché Belisario, generale di Giustiniano imperatore d’oriente, non perdonò ciò che i barbari avevano salvato.
“Il consolato romano è soppresso da Giustiniano nel 541”, questo è il titolo dell’ultimo paragrafo del capitolo 40 del libro di Gibbon. Alexander Keith, nel suo libro “Segno dei Tempi”, così scrive: – La successione dei consoli cessò definitivamente il 13° anno di regno di Giustiniano cui, per il temperamento dispotico, era gradita la soppressione del titolo che ricordava ancora (ai romani) l’antica libertà. “Fu ferita la terza parte del sole della luna e delle stelle”. Nel firmamento politico del mondo antico, durante il dominio dell’Impero Romano: l’Imperatore, il consolato e il senato, brillavano come il sole, la luna e le stelle. La storia della decadenza e della caduta del senato giunge quando i primi due si sono spenti, così come si sono spente Roma e l’Italia che per tanto tempo erano state la prima delle città e la prima delle nazioni. E finalmente, mentre cessa il suono della quarta tromba, assistiamo alla fine di un’illustre assemblea: il senato romano. La città che aveva governato il mondo fu, quasi come una beffa fatta alla grandezza umana, conquistata dall’eunuco Narses, successore di Belisario. Nel 552, sconfitti i Goti, conseguì la conquista di Roma, e decretò la fine del Senato.
Nonostante questo, è bene ricordare che l’autorità del termine “romano” non era, fino a quel punto, dimenticata del tutto. Il senato di Roma continuava ancora a riunirsi come il solito. I consoli erano regolarmente nominati ogni anno: una volta, dall’Imperatore d’Oriente, e l’altra, dall’Italia e da Roma.
Odoacre stesso governò in Italia col titolo di patrizio concessogli dall’imperatore d’oriente. Anche se si riferiva alle province più lontane, oppure ad importanti porzioni di essa, il vincolo che le univa all’impero romano non si spezzò completamente. Sussisteva ancora, per quanto debole, un riconoscimento della suprema autorità imperiale. In occidente pareva che la luna e le stelle emanassero un po’ di luce. Ma si spensero anch’esse a causa di eventi, di fatti e di situazioni che interessarono anche i loro rapporti, durante i cinquant’anni successivi. L’ostrogoto Teodorico, dopo avere distrutto gli Eruli ed il loro regno a Roma e a Ravenna, regnò in Italia dal 493 al 528 come sovrano indipendente ma, dopo che Belisario e Narsete ebbero conquistato l’Italia, sconfiggendo gli Ostrogoti (conquiste precedute da guerre e devastazioni che lasciarono sia Roma sia il paese come un deserto), il senato romano fu dichiarato sciolto e il consolato abolito. Inoltre, i principi barbari delle province occidentali si ribellavano, e la loro indipendenza dal potere imperiale, si faceva sempre più netta e decisa. Dopo un secolo e mezzo di calamità senza uguali nella storia delle nazioni, come giustamente disse il dottor Robertson, la dichiarazione di Geronimo, che sembrava quasi ricopiata dal simbolo apocalittico in precedenza rivelato, fatta nel tempo in cui Alarico conquistò Roma per la prima volta, poteva dirsi compiuta: ” Clarissimum terrarum lumen extinctum est” (Il glorioso sole del mondo si è spento); o, come si è espresso un poeta moderno che, attenendosi ai simboli apocalittici, si è cosi espresso: – Stella dopo stella, vide morire la sua gloria, finche non rimase neppure una sola stella, a brillare nelle notte oscura e vuota -.
Le stragi compiute dalle orde barbariche furono veramente orrende; comandate da condottieri valorosi ma assolutamente crudeli e spietati. Ma le calamità che l’impero subì allora furono poca cosa, rispetto a quello che ancora doveva subire. Non erano che le gocce di un diluvio torrenziale che s’addensava sul mondo romano. Le tre trombe che dovevano ancora suonare erano oscurate da nubi di disgrazia, come vedremo nei versetti successivi.
VERSETTO 13: E guardai e udii un angelo che volava in mezzo al cielo e diceva con gran voce: Guai, guai, guai a quelli che abitano sulla terra a cagione degli altri suoni di tromba dei tre angeli che debbono ancora suonare.
Quest’angelo non appartiene al gruppo di quelli che hanno le sette trombe, è, semplicemente, un altro messaggero celeste, incaricato di proclamare solennemente che le ultime tre trombe, annunciano dei guai causati dai terribili avvenimenti che accadranno al loro suono. Perciò, la quinta tromba sarà il 1° guaio, la sesta il 2° e la settima il 3° guaio.
VERSETTO 1°: Poi il quinto angelo sonò, e io vidi una stella caduta dal cielo sulla terra; e ad essa fu data la chiave del pozzo dell’abisso.
La quinta tromba: Per interpretare questa tromba ricorriamo nuovamente agli scritti d’Alexander Keith, che scrive: – Vi sono poche parti dell’Apocalisse sulle quali tutti i commentatori sono d’accordo, una di queste è relativa all’interpretazione della 5° e della 6° tromba (il primo ed il secondo guaio), in cui gli studiosi scorgono i simboli dei saraceni e dei turchi. Il loro significato è talmente evidente che sarà davvero impossibile, sbagliarne l’interpretazione. Il capitolo 9 è interamente, ed equamente dedicato ai due eventi, e alla loro spiegazione.
L’Impero Romano decadde per lo stesso motivo grazie al quale sorse: la violenza della guerra. I saraceni e i turchi furono gli strumenti, mediante i quali, una falsa religione diventò il castigo di una chiesa apostata. Per questo la 5° e la 6° tromba sono chiamati “guai”…
Per la prima volta, dopo la fine dell’Impero Occidentale, Costantinopoli fu assediata da Cosroe II, re di Persia.
Il profeta aveva detto: – Vidi una stella che cadde dal cielo sulla terra, e le fu data la chiave dell’abisso -.
Lo storico, parlando di quel tempo, dice: – Mentre il monarca persiano Cosroe II si compiaceva della sua arte e del suo potere, ricevette da uno sconosciuto cittadino della Mecca una lettera che l’invitava a riconoscere Maometto quale apostolo di Dio; egli per tutta risposta respinse l’invito e ruppe la lettera.
Allora il profeta arabo esclamò: – Cosi Dio straccerà il regno di Cosroe e respingerà le sue suppliche -. Vissuto al limite dei grandi imperi dell’Oriente, Maometto sentì con intima gioia l’avvicinarsi della loro distruzione, e, proprio nel bel mezzo del periodo dei grandi trionfi persiani, osò predire che, entro breve tempo, la vittoria sarebbe andata agli stendardi romani. Al tempo in cui fece quest’asserzione, come ci dicono gli storici dell’epoca, nessuna profezia sembrava più lontana dal compiersi, dato che i primi dodici anni di Eraclio sembravano preannunciare la fine del suo impero.
Questa stella non cadde in un punto preciso, come quella che simboleggiava Attila, ma sulla terra intera.
Le province che l’ex impero ancora possedeva, in Asia e in Africa, furono conquistate da Cosroe II. L’impero romano si ridusse, allora, alle mura di Costantinopoli, più un residuo in Grecia, in Africa e in Italia, e alcune città marittime, da Tiro a Trebisonda, sulla costa Asiatica… L’esperienza di sei anni convinse finalmente il re persiano a rinunciare alla conquista di Costantinopoli, e a fissare il tributo annuale (riscatto) che l’Impero Romano avrebbe dovuto pagare: 1000 talenti d’oro, 1000 d’argento, 1000 manti di seta, 1000 cavalli e 1000 vergini. Eraclio accettò queste vergognose condizioni; ma il tempo di tregua ottenuto, per mettere insieme questi tesori in mezzo alla povertà dell’oriente, l’usò anche per prepararsi, faticosamente, ad un attacco ardito e disperato.
Il re persiano aveva disprezzato l’oscuro saraceno e s’era burlato del messaggio che il presunto profeta gli aveva mandato da “La Mecca”. La caduta dell’Impero Romano, non avrebbe aperto la via al maomettanesimo, e neppure all’avanzata dei saraceni, propagatori armati di un’impostura, se il re persiano e lo “chàgan” degli ‘Avari (successore di Attila), avessero diviso fra loro il regno dei Cesari. Cosroe stesso cadde. La monarchia persiana e romana si annullarono a vicenda e, prima che il falso profeta intentasse un’azione che gli consentisse di avere una spada in pugno, coloro che avrebbero potuto fermare la sua carriera e schiacciare completamente il suo potere, gliela consegnarono nelle mani. Dai tempi di Scipione e di Annibale non era mai stata tentata impresa più audace di quella tentata da Eraclio per liberare l’Impero… Percorse, esplorandola, la perigliosa via tra il mar Nero, e le montagne dell’Armenia, e penetrò nel cuore della Persia, convincendo gli eserciti del gran re ad allearsi nuovamente, per difendere il loro paese insanguinato…
Nella battaglia di Ninive, fieramente combattuta dall’alba fino all’undicesima ora, ventotto stendardi, oltre a quelli strappati e distrutti, furono rapiti ai persiani; la maggioranza del loro esercito fu annientata, e i vincitori passarono la notte sul campo a nascondere le loro perdite. Per la prima volta le città e i palazzi dell’Assiria furono alla mercé dei romani.
L’imperatore romano, da queste conquiste, non solo, non guadagnò in potenza, ma, a causa di ciò fu lasciata aperta la via alle moltitudini dei Saraceni che, come le cavallette di quella stessa regione, si catapultarono rapidamente sull’impero persiano e romano, spargendo nel loro percorso l’oscuro e ingannevole credo della religione musulmana. Per rappresentare quest’evento, non si sarebbe potuto trovare un’immagine più adatta, di quella mostrata dalle parole finali del capitolo di Gibbon, di cui abbiamo prima esposto alcuni commenti.
Anche se sotto lo stendardo di Eraclio, si era radunato un esercito invincibile, l’intensità dello sforzo compiuto aveva fiaccato, anziché rinvigorito, le sue forze. Mentre l’imperatore trionfava a Costantinopoli e a Gerusalemme, un’anonima città ai confini della Siria fu saccheggiata dai Saraceni, che sconfissero anche alcune truppe accorse in suo aiuto. Questo sarebbe stato in ogni modo ininfluente, se non si fosse dimostrato, in seguito, il preludio di una grande rivoluzione. Questi ladri erano gli apostoli di Maometto; il loro fanatico furore fuoriuscì dal deserto. Eraclio, negli ultimi anni del suo regno, cedette agli arabi le stesse province che aveva sottratto ai persiani.
Lo spirito di frode e di fanatismo, la cui dimora non è nei cieli, si liberò sulla terra. L’abisso per aprirsi aveva bisogno di una “chiave” che si rivelò essere: la capitolazione di Cosroe. Egli aveva stracciato indispettito la lettera di un oscuro cittadino di “La Mecca”, ma, quando il suo splendore di gloria sprofondò nella “torre tenebrosa” che nessuno poteva penetrare, il nome di Cosroe, al contrario di quello di Maometto, cadde nell’oblio. Sembrava che il salire di chi cresceva non aspettasse altro che la caduta di una stella. Nel 628, dopo la completa sconfitta e la perdita dell’impero, Cosroe fu assassinato. L’anno successivo fu caratterizzato dalla “conquista dell’Arabia”, e dalla “prima guerra dei maomettani contro l’Impero Romano”. “E il quinto angelo sonò la tromba, e vidi una stella cadere dal cielo sulla terra; e le fu data la chiave dell’abisso”. “Quando la stella cadde sulla terra”. “La chiave aprì il pozzo dell’abisso”: – Quando la forza dell’Impero Romano s’esaurì, e il gran re dell’oriente giaceva, senza vita, nella torre tenebrosa, il saccheggio di un’ignota città ai confini della Siria, fu il preludio di un’imponente rivoluzione -.
Gli apostoli di Maometto erano dei ladri, ed il loro fanatico valore usciva dal deserto.
L’abisso: La parola greca “abyssos”, dalla quale proviene quella italiana “abisso”, significa profondo, senza fondo, e può indicare qualsiasi luogo deserto, desolato e incolto. È stata usata per indicare la terra nel suo stato primordiale (Genesi 1: 2).
In questo caso può, più precisamente, riferirsi ai deserti inesplorati dell’Arabia, dai cui confini, simili a sciami di cavallette, uscivano le orde dei Saraceni. La caduta del re persiano Cosroe II, ebbe realmente, come conseguenza, l’apertura dell’abisso: poiché creò le premesse affinché i discepoli di Maometto uscissero da un oscuro paese, e divulgassero le loro ingannevoli dottrine con il fuoco e la spada, riuscendo a ricoprire di tenebre tutto l’Impero Orientale.
VERSETTO 2: Ed egli aprì il pozzo dell’abisso; e dal pozzo salì un fumo simile al fumo di una gran fornace; e il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo.
Come i vapori molesti, e talora mortali, che i venti del sud-est spandono sull’Arabia, il maomettanesimo diffuse da quel luogo la sua influenza pestilenziale. Si levò così, all’improvviso, diffondendosi anche nelle regioni lontane, come il fumo di una grande fornace aperta sull’abisso. Questo simbolo ha simboleggiato alla perfezione la religione maomettana, sia per ciò che essa è realmente, sia esaminandola alla luce dell’Evangelo di Gesù: infatti, non era certamente, come quest’ultimo, una luce proveniente dal cielo, ma un fumo “che saliva dall’abisso”.
VERSETTO 3: E dal fumo uscirono sulla terra delle locuste; e fu dato loro un potere pari al potere che hanno gli scorpioni sulla terra.
“Fu fondata una falsa religione che, essendo il castigo della trasgressione e dell’idolatria, riempì il mondo di tenebre e d’inganni. Sciami di saraceni si riversarono sulla terra, simili a cavallette, e colpirono l’impero Romano di stragi spaventose, dall’est all’ovest”. La grandine cadeva dalle gelide rive del Baltico; la montagna ardente che proveniva dall’Africa cadde nel mare; le cavallette (perfetto simbolo degli arabi), uscirono dall’Arabia, loro paese natale. Giunsero come distruttori e, intanto che diffondevano una nuova dottrina, incitarono alla rapina e alla violenza in nome della religione e dell’interesse.
Si poteva trovare un simbolo più adatto per rappresentarli? Il loro attacco non solo era rapido e potente ma, “l’esasperato senso dell’onore, che considera l’offesa maggiore del danno, sparge il suo mortale veleno sulle diatribe degli arabi: un’azione indecente, una parola offensiva devono essere riparate solo con il sangue di colui che ha offeso. Sono così tenacemente pazienti nell’attesa, che aspettano mesi interi, e a volte anni, l’opportunità di vendicarsi”.
VERSETTO 4: E fu loro detto di non danneggiare l’erba della terra, né alcuna verdura, né albero alcuno, ma soltanto gli uomini che non avevano il suggello di Dio in fronte.
Il successore di Maometto, che morì nel 632, fu Abubeker. Costui, appena stabilito nel comando e nell’autorità di governo, unì le tribù arabe per lanciarle alla battaglia e, dopo aver adunato il suo esercito, istruì i comandanti sui metodi di conquista:
– Quando combatterete le battaglie del Signore, comportatevi con virile coraggio, senza offrire la schiena; ma che la vostra vittoria non si macchi mai né del sangue dei bambini, né delle donne. Non distruggete gli alberi, e non bruciate i campi dei cereali. Non taglierete gli alberi da frutto, né danneggerete il bestiame; macellerete solo quello che vi serve per mangiare. Quando farete un patto, o un accordo, lo manterrete fedelmente e rispetterete sempre la vostra parola. Nelle vostre scorrerie incontrerete certe persone religiose, che vivono recluse dentro i monasteri, e che si ripromettono di servire Dio in questo modo: lasciateli in pace, non uccideteli, e non distruggete i loro monasteri; troverete un altro tipo di persone, che appartengono alla sinagoga di Satana, e che hanno la coroncina rasata: mozzate loro il cranio senza pietà, e non date loro scampo, finche non diventino maomettane o paghino un “tributo” -.
Né la profezia, né la storia, ci dicono se le raccomandazioni più umane, siano state eseguite con lo stesso scrupolo degli ordini più brutali: e, in ogni modo, questo fu loro raccomandato. Comunque sia, le raccomandazioni, di cui sopra, sono le uniche riportate da Gibbon e furono comunicate da Abubeker ai capi di tutti gli eserciti saraceni. Gli ordini sono così precisi nelle loro valutazioni quanto lo è la profezia: è come se il califfo stesso s’attenesse scrupolosamente più ad un ordine Superiore, che a quello di un mortale. Venendo a combattere la religione di Gesù, diffondendo al suo posto quella di Maometto, egli ripeté le parole che la Rivelazione di Gesù Cristo aveva annunciato tanto tempo prima.
Il sigillo di Dio sulle loro fronti: Nell’esegesi del capitolo 7, versetti 1-3, di Apocalisse, abbiamo visto che il sigillo di Dio è il sabato del 4° Comandamento. La storia conferma che durante l’intera dispensazione evangelica, ci sono state delle persone devastante dei saraceni; essi non si scagliarono contro gli osservatori del sabato, ma contro un’altra categoria di persone. Il problema è ora libero da ogni difficoltà, perché è questo in realtà tutto ciò che la profezia afferma. In questo passo è menzionata una sola categoria di persone: coloro che non hanno il sigillo di Dio in fronte. L’incolumità di coloro che hanno questo sigillo è, implicitamente, affermata e sottintesa. Proprio per questa ragione la storia non registra alcun episodio in cui essi siano stati vittime di quella violenza che, invece, ha colpito gli individui che erano l’oggetto del loro odio. I maomettani erano aizzati contro un determinato gruppo di persone. La distruzione di questi ultimi non è in opposizione con gli osservatori del sabato, ma con il rispetto per gli alberi da frutto e i prodotti della terra, in altre parole è come se fosse stato loro ordinato: – Non arrecate danno alle verdure, né agli alberi, né ad alcun prodotto verde della terra, ma solo ad un determinato gruppo di persone -. Alla luce degli eventi storici, assistiamo all’insolito spettacolo di un esercito che rispetta tutto ciò che normalmente è distrutto dagli invasori: i simboli della natura e dei suoi prodotti. Obbedienti all’ordine di perseguitare “gli uomini che non avevano il sigillo divino in fronte”, mozzavano il cranio a quel gruppo di religiosi che avevano la coroncina della testa rasata, e che “appartenevano alla sinagoga di Satana”. Pare si trattasse di monaci e di altri ordini religiosi della chiesa cattolica romana.
VERSETTO 5: E fu loro dato di non ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi, e il tormento che cagionavano era come quello prodotto da uno scorpione quando ferisce un uomo.
“Le continue incursioni in territorio romano, e i continui assalti contro la stessa Costantinopoli, erano un tormento incessante per tutto l’impero, tenendo conto del lungo periodo cui si fa riferimento nei prossimi versetti, impero che, in ogni caso, i maomettani non potevano certo sperare di sottomettere. Durante il lungo periodo dei loro continui attacchi, gli arabi continuarono a tormentare una chiesa idolatra, di cui il papa era il capo. . . Essi avevano l’incarico di tormentare (quindi di danneggiare), ma senza uccidere (distruggere completamente). Ciò che veramente stupisce è che i saraceni realizzarono esattamente la profezia” (in merito ai 5 mesi confr. comm. rel. vers. 10).
VERSETTO 6: E in quei giorni gli uomini cercheranno la morte ma non la troveranno, e desidereranno di morire, e la morte fuggirà da loro.
“Gli uomini si stancavano della vita: quando questa era risparmiata, accadeva che fosse aggravata da nuove disgrazie, e tutto ciò che avevano di prezioso era violato, e tutto il loro mondo affettivo era costantemente in pericolo. Quando la violenta oppressione saracena lasciava loro un breve periodo di riposo, era solo perché fosse interrotta violentemente e dolorosamente come la puntura d’uno scorpione”.
VERSETTO 7: E nella forma le locuste eran simili a cavalli pronti alla guerra; e sulle teste aveano come delle corone simili ad oro, e le loro facce eran come facce d’uomini.
Il cavallo arabo è ammirato in tutto il mondo, e l’abilità del fantino è un aspetto della cultura Araba. I barbuti arabi, veloci come cavallette, e armati come scorpioni sempre pronti alla rapina, e sempre pronti alla battaglia, “sulle loro teste aveano come delle corone simili ad oro”. Quando Maometto entrò in Medina (622) e, per la prima volta, fu ricevuto come principe, per supplire alla mancanza d’uno stendardo, sciolse davanti a sé un turbante. I turbanti dei saraceni simili a corone erano il loro ornamento, oltre che presuntuoso pretesto d’arrogante vanteria. Grazie alla ricchezza dei bottini ne erano abbondantemente provvisti, e li rinnovavano frequentemente. Prendere il turbante voleva dire diventare musulmano. Inoltre, anticamente, gli arabi si distinguevano per le mitrie che sfoggiavano in testa.
“E le loro facce eran come facce d’uomini”. La gravità e la fermezza del carattere dell’arabo si leggono nel suo aspetto… una delle sue caratteristiche è di farsi crescere la barba, simbolo venerabile di virilità… È molto facile… ferire l’onore della sua barba”.
VERSETTO 8: E aveano capelli come capelli di donne, e i denti eran come denti di leone.
Le donne considerano i capelli lunghi un ornamento. Gli arabi, contrariamente agli altri uomini, portavano la chioma lunga come le donne, non le accorciavano, come ci tramandano Plinio e altri. Ma non c’era nulla di effeminato nel loro carattere perché, quasi per indicare la ferocia e la forza usata per divorare, “aveano i denti come denti di leone”.
VERSETTO 9: E aveano degli usberghi come usberghi di ferro; e il rumore delle loro ali era come il rumore di carri, tirati da molti cavalli correnti alla battaglia.
Ai tempi di Maometto era comune tra gli arabi l’uso della corazza. Nella battaglia di Ohud (la seconda combattuta da Maometto) contro le truppe di Cosroe, e quella di “La Mecca” (624), 700 di loro erano armati di corazza. La carica degli arabi non era portata, come quella dei greci e dei romani, da una fanteria schierata e compatta. La sua forza militare era per lo più composta dagli arcieri e dalla cavalleria . . .
Al tocco di mano dei fantini, i cavalli arabi scattavano con la rapidità del vento. “E il rumore delle loro ali era come il rumore di carri, tirati da molti cavalli che corrono alla battaglia”. Le loro conquiste furono sbalorditive, vuoi per la rapidità che per le dimensioni, ed il loro attacco era fulmineo; quello che fu lanciato contro i romani non fu meno violento e rapido di quello lanciato contro i persiani.
VERSETTI 10-11: E aveano delle code come quelle degli scorpioni, e degli aculei; e nelle code stava il loro potere di danneggiare gli uomini per cinque mesi. E aveano come re sopra di loro l’angelo dell’abisso, il cui nome in ebraico è Abaddon, e in greco Apollion.
Far danno agli uomini per cinque mesi: Sorge la domanda: – Chi erano gli uomini che gli arabi dovevano tormentare per cinque mesi? -. Senz’altro gli stessi che più tardi (al versetto 15) avrebbero dovuto uccidere, cioè “la terza parte degli uomini”, ossia un terzo dell’impero romano: la parte greca. – Quando, avrebbero cominciato a tormentarli? -. Troviamo la risposta nel versetto successivo: “… e aveano come re sopra loro…”. Dalla morte di Maometto, sino alla fine del XIII secolo, i maomettani restarono divisi in numerose fazioni, ognuna con un proprio comandante, ma privi di un governo civico che li rappresentasse tutti. Verso la fine del XIII secolo Omàn fondò un governo, un impero che crebbe estendendosi su tutte le principali tribù maomettane, raccogliendole in una grande monarchia.
“Il loro re si chiama l’angelo dell’abisso”. Angelo significa messaggero o ministro, sia esso buono o malvagio; non sempre indica un essere spirituale. L’angelo dell’abisso sarebbe il principale ministro della religione che salì dal pozzo sull’abisso, quando fu aperto. Questa religione è il maomettanesimo, e il sultano era il suo primo ministro.
Il suo nome in ebraico è Abaddon che significa distruttore, e in greco è Apollion che vuol dire sterminatore, ma anche distruttore come in ebraico. Il fatto d’avere due nomi diversi, in due lingue diverse, significa che è il carattere, più che il nome, che si vuole rappresentare. In ogni caso è un distruttore, e tale il governo ottomano è sempre stato.
Quando, Omàn compì il primo attacco contro l’impero? Secondo Gibbon: – Fu il 27 luglio del 1299 che Omàn invase per la prima volta il territorio di Nicomedia; e la singolarità dell’esattezza della data, ci sembra preludere alla rapida e distruttiva crescita del mostro -. Von Hammen, storico tedesco della Turchia, e altri autori fissarono questa data nel 1301. Quale data indicano, le fonti storiche dell’epoca? Pachimeres era uno storico ecclesiastico e laico nato a Nicea, città della regione occupata da Omàn, e che scrisse proprio la storia di quel periodo (la ultimò, infatti nel 1307), era, quindi, contemporaneo di Omàn. Posino, nel 1699, elaborò una cronologia completa della storia di Pachimeres, riportando le date complete dell’eclissi di sole e di luna, e anche quelle d’altri avvenimenti che Pachimeres aveva registrato nella sua opera. Posino così scrive: – Dobbiamo, ora, fissare la data esatta della fondazione dell’Impero Ottomano.
Cercheremo di farlo confrontando attentamente le date che ci sono state tramandate dai grandi d’Arabia mediante la testimonianza di Pachimeres. Quest’ultimo, nella seconda parte del suo libro, al capitolo 25, narra che Atmàn (nome greco di Omàn) divenne ancora più forte quando assunse il comando di una banda di arditi e valorosi guerrieri della Paflagonia. Quando Muzalo, capo dell’esercito romano, tentò di sbarrargli il passo, egli lo sconfisse in una battaglia nei pressi di Nicomedia, capitale della Bitinia. Da quel momento il vincitore considerò la città sotto assedio. Inoltre Pachimeres afferma chiaramente che questi eventi accaddero nei dintorni di Bafeum, non lontana da Nicomedia, il 27 luglio. In quanto all’anno, come confermano le nostre ricerche, dopo aver confrontato e valutato i fatti, era quello corrispondente al 1299 dell’era cristiana.
La sinossi (riassunto) cui allude Posino è quella della data in cui i guerrieri della Paflagonia s’unirono alle forze di Omàn, unione avvenuta il 27 luglio del 1299 d.C., il 5° anno di pontificato di papa Bonifacio VIII, ed il sesto anno di regno di Michele Paleologo. Eccone la dichiarazione: – Atman (Omàn) il satrapo dei Persiani, chiamato anche Ottomano, fondatore dell’attuale dinastia turca, diventò più potente quando prese con se un gran numero di feroci banditi della Paflagonia. . . Questi ultimi, sudditi dei figli di Amurio, si misero sotto il comando di Omàn, durante l’attacco condotto il 27 luglio -. Pasino, nel fornirci la data dell’evento, conferma la data del 1299.
Anche Gregora, contemporaneo di Omàn, a proposito della data, conferma le tesi di Gibbon e di Pachimeres, indicando la data del 1299 nel suo racconto sulla divisione dell’Anatolia, che avvenne nel 1300 fra dieci emirati arabi, come attestano alcuni storici degni di fede. Gregora afferma che in questa divisione Omàn ebbe la regione di Olimpo e alcune zone della Bitinia, il che dimostra che Omàn aveva già combattuto la battaglia di Bafeum, e che aveva conquistato già, alcuni territori di questa regione greco-romana.
I calcoli di alcuni autori si basano sulla convinzione che la data debba riferirsi alla Fondazione dell’Impero Ottomano, ma questo è un errore evidente: perché la profezia non pone l’accento sul fatto che avessero un re a governarli, ma sul fatto che dovevano tormentare gli uomini per cinque mesi, e questo tormento non poteva cominciare prima del 1° attacco che, come abbiamo visto, fu portato il 27 luglio del 1299. Il calcolo che segue, e che tiene conto di questa data come punto di partenza, fu eseguito e pubblicato per la prima volta da Josiah Litch nel 1838, nell’opera intitolata “La seconda Venuta di Cristo”.
– Il suo potere era di danneggiare gli uomini per cinque mesi! Era questo il periodo che era stato concesso per tormentarli con continui assalti, ma senza ucciderli politicamente: cinque mesi (e calcolando 30 giorni per ogni mese diventano 150 giorni), cioè 150 anni. Iniziando dal 27 luglio 1299 e aggiungendo 150 anni arriviamo al 1449. Durante questo tempo i turchi furono impegnati in una guerra infinita con l’impero greco, pur senza riuscire a sopraffarlo. S’impadronirono di alcune province e le mantennero, ma l’indipendenza greca resistette. Ma nel 1449, alla fine dei 150 anni, si manifestò un cambiamento – … la cui storia troveremo sotto la tromba successiva.
VERSETTI 12-15: Il primo guaio è passato: ecco, vengono ancora due guai dopo queste cose. Poi il sesto angelo sonò, e io udii una voce dalle quattro corna dell’altare d’oro che era davanti a Dio, la quale diceva al sesto angelo che avea la tromba: Sciogli i quattro angeli che son legati sul gran fiume Eufrate. E furon sciolti i quattro angeli che erano stati preparati per quell’ora, per quel giorno e mese e anno, per uccidere la terza parte degli uomini.
La sesta tromba: Il primo guaio era destinato a durare dalla nascita del maomettanesimo sino alla fine dei cinque mesi. Allora sarebbe finito e in quel momento sarebbe iniziato il secondo guaio. Quando il 6° angelo suonò la tromba gli fu ordinato di togliere le limitazioni imposte alla nazione affinché si limitasse a “tormentare” gli uomini, e la sua missione giunse fino ad “uccidere la terza parte degli uomini”. Quest’ordine procedette dai quattro corni dell’altare d’oro.
I quattro angeli: Sono i quattro principali sultanati che componevano l’Impero Ottomano, e che erano situati nella regione attraversata dall’Eufrate. Questi sultanati avevano le loro sedi ad Aleppo, Iconio, Damasco e Baghdad. Prima erano trattenuti da precise restrizioni, ma Dio ordinò, e subito furono liberi. Verso la fine del 1448, con l’avvicinarsi della fine del periodo dei 150 anni, Giovanni Paleologo morì senza lasciare eredi legittimi al trono dell’Impero Orientale. Suo fratello Costantino, successore legittimo, non ardì di salire al trono senza il consenso del sultano turco. Furono perciò inviati ad Andrinopolis alcuni ambasciatori i quali, avuto del sultano il consenso ed alcuni doni, tornarono dal sovrano che, incoronato nel 1449, fu l’ultimo degli imperatori greci.
A tale proposito Gibbon, nella sua opera colossale, così scrive: – Alla morte di Giovanni Paleologo… a causa della morte di Andronico e della scelta monastica di Isidoro, la famiglia reale si vide ridotta a tre soli prìncipi: Costantino, Demetrio e Tommaso, i figli sopravvissuti all’Imperatore Emanuele. Il primo e l’ultimo si trovavano lontano, in Morea… L’imperatrice madre, il senato, e i militari assieme al clero e al popolo furono unanimemente d’accordo sul successore legittimo; ma il despota Tommaso, ignorando che la scelta fosse già stata fatta, tornò casualmente nella capitale e si mise a difendere con fervore la causa del fratello assente. Lo storico Franza sostiene che un ambasciatore fu prontamente inviato alla corte di Andrinopolis. Amurati lo ricevette con tutti gli onori e lo congedò con molti regali, ma la generosa approvazione del sultano turco significava anche la sua (del sultano) supremazia, e l’imminente caduta dell’Impero Orientale. Le mani degli illustri pretendenti incoronarono Costantino nella città di Sparta -.
Si analizzi ora attentamente questo fatto storico, confrontandolo con la profezia biblica. I greci persero il loro impero e l’indipendenza non per colpa di un violento attacco, no, tutto ciò avvenne semplicemente per la volontaria consegna della loro indipendenza nelle mani dei turchi. Fu come se il legittimo erede al trono avesse ammesso: – io non posso regnare, a meno che tu non me lo consenta -.
– Ma, nonostante i quattro angeli fossero stati in questo modo “liberati” dalla volontaria sottomissione greca, un’altra calamità gravava sulla sede dell’Impero. Amurati, il sultano che permise a Costantino di regnare, non ci mise molto a morire, e nel 1451 gli succedette sul trono Maometto II il quale, subito dopo, desiderò Costantinopoli, e decise di prendersela. A tale scopo preparò l’assedio della città, assedio che iniziò il 6 aprile 1453 e che terminò il 16 maggio successivo con la capitolazione della città, e la morte dell’ultimo dei Costantino. Fu così che la città orientale dei Cesari diventò la capitale dell’Impero Ottomano -.
Le armi e il modo di combattere, usati nell’assedio, e che avevano causato la caduta di Costantinopoli e che la sottomisero, erano stati, come vedremo, esattamente annunciati e descritti dal profeta.
VERSETTO 16: E il numero degli eserciti della cavalleria era di venti migliaia di decine di migliaia; io udii il loro numero.
– Innumerevoli orde di cavalli e di cavalieri! -. Gibbon descrive così la prima invasione in territorio romano, da parte dei turchi: – Miriadi di turchi coprivano un fronte di mille Km, dal Tauro all’Erzerum, e il sangue di 130000 cristiani fu un sacrificio gradito al profeta arabo. Il lettore giudicherà se il numero è adatto a rendere l’idea della cifra esatta. Alcuni credono si voglia dire 2 volte 200000 (in pratica 400000 n. del t.) per indicare il numero dei guerrieri turchi che parteciparono all’assedio di Costantinopoli. Altri pensano che 200 milioni sia il numero complessivo di tutti i guerrieri turchi impiegati durante i 391 anni e 15 giorni di vittorie sui greci -. Nessuno, può offrire certezze su questi punti, e, in ogni caso, non è neppure essenziale.
VERSETTO 17: Ed ecco come mi apparvero nella visione i cavalli e quelli che li cavalcavano: avevano degli usberghi di fuoco, di giacinto e di zolfo; e le teste dei cavalli erano come teste di leoni; e dalle loro bocche usciva fuoco, fumo e zolfo.
La prima parte della descrizione può riferirsi all’aspetto di questi cavalieri. In quanto ai colori: il fuoco è rosso, infatti si dice comunemente “rosso come il fuoco”, il giacinto è azzurro e lo zolfo è giallastro. Questi erano i colori dominanti delle divise dei guerrieri arabi, in particolare questa descrizione corrisponde esattamente all’uniforme dei turchi in cui prevalgono il rosso scarlatto, l’azzurro e il giallo. Le teste dei cavalli sono descritte come teste di leoni per metterne in evidenza la forza, il valore e la ferocia; mentre l’ultima parte del versetto indica, senza alcun dubbio, l’uso della polvere da sparo e delle armi da fuoco che, in quel periodo, cominciavano ad essere usate in guerra. Quando i turchi sparavano dalla groppa, chi guardava da lontano aveva l’impressione che il “fuoco, il fumo e lo zolfo”, uscisse dalla bocca dei cavalli. I commentatori concordano sul fatto che il fuoco, il fumo e lo zolfo rivelano l’uso che i turchi fecero delle armi da fuoco contro l’impero orientale. In particolare si riferiscono all’uso dei cannoni da parte della Turchia, mentre la profezia descrive dettagliatamente i cavalli “dalle cui bocche” uscivano “fuoco fumo e zolfo”, volendo descrivere l’uso delle armi da fuoco più piccole che erano usate dalla groppa dei cavalli.
Barnes propende per quest’ultima ipotesi; una dichiarazione di Gibbon conferma quest’opinione. Ecco cosa dice: – Le continue cariche con lance e frecce erano accompagnate dal fumo, dal rombo e dal fuoco dei loro moschetti e dei loro cannoni -. In questa citazione abbiamo una testimonianza importante che ci conferma l’uso dei moschetti da parte dei turchi: e non c’è dubbio che combattessero principalmente a cavallo. Abbiamo quindi la conferma che essi usavano i moschetti mentre cavalcavano, compiendo la profezia esattamente nell’immagine che essa descrive.
A proposito del fatto che i turchi avessero usato le armi da fuoco nelle campagne militari contro Costantinopoli, Gibbon fa questa precisazione: – Al fuoco, al fumo e allo zolfo dell’artiglieria pesante e leggera di Maometto II è da imputare il massacro della terza parte degli uomini, cioè la caduta di Costantinopoli e, di conseguenza, la caduta dell’Impero Romano d’Oriente. Dal momento della sua costituzione ad opera di Costantino erano trascorsi più di 1100 anni. Durante questo periodo i Goti, gli Unni, gli ‘Avari, i Persiani, i Bulgari, i Saraceni, i Russi e anche gli stessi Turchi Ottomani avevano lanciato contro la città le loro truppe, oppure l’avevano assediata; ma le fortificazioni l’avevano resa inespugnabile. Costantinopoli resistette, e con essa l’Impero Greco. Per questo motivo il Sultano Maometto II° cercò caparbiamente qualcosa che eliminasse quell’ostacolo. Corruppe allora il costruttore di cannoni, che passò dalla sua parte. – Puoi costruirmi un cannone che abbia la potenza d’abbattere le mura di Costantinopoli? -. Fu prontamente costruita la fonderia di Andrinopolis, venne fuso il cannone, si preparò l’artiglieria: e l’assedio ebbe inizio.
E’ rimarchevole il fatto che Gibbon, commentatore e storico che ha sempre ignorato le profezie apocalittiche, metta questo nuovo strumento di guerra al primo posto nella strategia generale che, nel suo racconto vivo ed esaustivo, narra la catastrofe finale dell’Impero Greco. Nell’esposizione dei fatti preparatori, quelli precedenti l’assedio, racconta la scoperta della polvere da sparo: – Di quella miscela di salnitro, zolfo e carbone da legna -. Ci racconta pure della fusione dei cannoni ad Andrinopolis, poi, descrivendoci l’assedio, ci mostra come: – Gli assalti con lance e frecce fossero seguiti dal rombo e dal fumo dei cannoni e dei moschetti -, e come – la lunga fila dell’artiglieria venne puntata contro le mura -, e che – quattordici batterie di cannoni tuonarono simultaneamente contro i punti più deboli -, e come – le fortificazioni che avevano resistito per secoli agli assalti dei nemici, furono abbattute da ogni lato, dai colpi dei cannoni ottomani… e, nei pressi della porta di San Romano, quattro torri furono rase al suolo… E dalle linee terrestri, e dal ponte delle navi ormeggiate, tuonò l’artiglieria ottomana. Da ogni lato: sia sul campo di battaglia, sia sulla città – e come – sia i greci sia i turchi furono avvolti in una grigia nube di fumo, che si sarebbe diradato solamente con la vittoria o con la sconfitta dell’Impero Romano d’Oriente, quando gli assedianti avessero invaso la città attraversando le brecce delle mura… Costantinopoli, alla fine, fu irrimediabilmente soggiogata, il suo Impero rovesciato e la sua religione calpestata nella polvere dai conquistatori mussulmani -.
Con questa testimonianza voglio far notare che Gibbon attribuisce, mettendolo in evidenza, la caduta della città e dell’Impero all’artiglieria ottomana: perché? Cosa fa Gibbon senza volerlo, se non un commento alle parole profetiche? “Da queste tre piaghe furono uccisi la terza parte degli uomini: dal fuoco, dal fumo, e dallo zolfo che uscivano dalle loro bocche”.
VERSETTI 18-19: Da queste tre piaghe: dal fuoco, dal fumo, e dallo zolfo fu uccisa la terza parte degli uomini. Perché il potere dei cavalli era nella loro bocca, e nelle loro code eran simili a serpenti e aveano delle teste e con esse danneggiavano.
Ecco visualizzato l’effetto mortale del nuovo metodo di combattimento. Costantinopoli venne conquistata e consegnata in mano turca per mezzo di tre “agenti”: polvere da sparo, moschetti e cannoni. Oltre al fuoco, al fumo e allo zolfo, che sembravano uscire dalle bocche dei cavalli, la profezia afferma che il potere (dei turchi) risiedeva anche nelle loro code. Il significato di quest’espressione sembra alludere al simbolo ottomano dell’autorità: la coda del cavallo. E’ davvero straordinario scoprire che lo stendardo turco, come tutti sanno, ha l’immagine di una coda di cavallo, simbolo di potere e autorità.
La scena che Giovanni vide era caratterizzata dai cavalli che emettevano fuoco e fumo, ma ciò che era veramente strano era che la loro capacità distruttiva risiedeva nelle code. Chiunque avesse visto un corpo di cavalleria con un simile stendardo ne sarebbe rimasto sorpreso, e descriverebbe la loro bandiera come l’oggetto che guidava e concentrava il loro potere, quasi ne fosse la sintesi.
Tale supremazia maomettana sui greci doveva protrarsi, come abbiamo visto, per 391 anni e 15 giorni.
– Questo periodo, essendo cominciato alla fine dei 150 anni: il 27 luglio del 1449, doveva terminare l’11 agosto del 1840. Se ripensiamo al modo in cui ebbe inizio la supremazia ottomana, cioè per un volontario e gratuito atto di sottomissione da parte dell’Imperatore greco che governò solo grazie al “permesso” del sultano turco, arriveremmo alla conclusione che la caduta e la fine dell’indipendenza turca avrebbe dovuto avere la stessa matrice, e che, alla fine del periodo fissato (cioè l’11 agosto 1840), il sultano avrebbe volontariamente consegnato la propria indipendenza nelle mani delle potenze cristiane. “Esattamente nel modo in cui, 391 anni e 15 giorni prima, l’aveva ricevuta dalle mani dell’imperatore cristiano Costantino XIII” -.
Questa fu la conclusione alla quale giunse nel 1838 Josiah Lictch, due anni prima che la profezia si compisse, esattamente come aveva previsto e sperato. Egli predisse che nel 1840 “la potenza turca sarebbe caduta in un giorno qualunque del mese d’agosto”. Ma, alcuni giorni prima del compimento profetico, indicò esattamente la data della resa: cioè l’11 agosto. Questo calcolò, che si rivelerà in seguito esatto, era fondato esclusivamente sui tempi profetici preannunciati dalla Scrittura.
È comprensibile chiedersi se i fatti si siano verificati con la stessa precisione delle date. I fatti li possiamo riassumere così:
– Quando finì l’indipendenza maomettana a Costantinopoli? Il sultano turco, da molti anni ormai, molto prima del 1840, era coinvolto in una disputa con Mehemet Alì, pascià d’Egitto. Senza l’intervento degli ambasciatori stranieri, già nel 1838, tra i due contendenti sarebbe scoppiata una guerra sanguinosa… Le ostilità ripresero nel 1839 e continuarono finche l’esercito del sultano fu sconfitto, e la sua flotta catturata e portata in Egitto. La sua flotta era così ridotta di numero che, quando ad agosto rincominciarono le ostilità, aveva solo tre navi da prima linea e tre fregate. Triste e misero retaggio di quella che una volta era stata la potente e invincibile flotta turca. Mehemet si rifiutò categoricamente di restituire la flotta al rivale, minacciando, piuttosto, di bruciarla, se le potenze straniere avessero cercato di costringerlo.
Era quella la situazione quando, nel 1840, l’Inghilterra, la Russia, l’Austria e la Prussia intervennero per dirimere le ostilità; giacche era evidente che, se l’avessero lasciato fare, Mehemet Alì avrebbe tentato d’impadronirsi del trono del sultano. Il sultano accettò questa “intromissione”, consegnando, in sostanza, il suo problema nelle loro mani. A questo scopo si celebrò a Londra una conferenza, alla quale partecipò, quale plenipotenziario turco, Effendi Rifat Bey Likgis. Fu stilato un’ipotesi di accordo da sottoporre al pascià egizio, in cui il sultano gli concedeva, in via ereditaria, il governo dell’Egitto e tutta la regione della Siria, che si estendeva dal golfo di Suez fino al lago di Tiberiade e, definitivamente, le province di Acre. Da parte sua il pascià doveva abbandonare le regioni che appartenevano al sultano, e restituirgli la flotta che gli aveva sottratto.
Nel caso che le offerte del sultano turco non fossero state accettate, le quattro potenze avrebbero preso nelle loro mani l’intera contesa, imponendo ogni decisione che avessero giudicato utile alla soluzione del problema.
È ovvio che non appena questo ultimatum fosse giunto nelle mani di Mehemet, pascià d’Egitto, il sultano non avrebbe avuto più possibilità d’intervento, e che il controllo degli eventi, da quel momento, sarebbe stato per sempre nelle mani delle potenze straniere. Il sultano inviò, con un vaporetto, Effendi Rifat Bey Likgis ad Alessandria d’Egitto, affinché comunicasse l’ultimatum a Mehemet Alì. Questo documento fu consegnato l’11 agosto del 1840. Nello stesso giorno, a Costantinopoli, il sultano inviò una nota agli ambasciatori delle quattro potenze per chiedere cosa si sarebbe dovuto fare, qualora il pascià avesse respinto l’ultimatum. Essi risposero che in tal caso sarebbero state prese le contromisure adatte, e che, “in ogni caso, egli non avrebbe più dovuto preoccuparsi di alcuna difficoltà, che avesse potuto presentarsi”.
– Abbiamo avuto dall’Egitto notizie del 16 agosto, che ci sono giunte con il vaporetto francese il 24. Esse non mostrano nessun cambiamento nella risoluzione del pascià. Rassicurato dal valore del suo esercito, e dalla sicurezza che gli offrono le fortificazioni della sua capitale, sembra deciso a resistere fino alle estreme conseguenze; pare perciò inevitabile il precipitare degli eventi verso una situazione di stallo, senza speranza che la situazione possa risolversi pacificamente.
Si dice che, dopo avere appreso la decisione delle quattro potenze, arrivata a bordo del vaporetto “Cyclops”, Mehemet abbia lasciato Alessandria e fatto una brave tappa verso il Basso Egitto. È opinione diffusa che sia servito ad evitare qualunque conferenza con i consoli europei, ma soprattutto per risvegliare, con la sua presenza, il fanatismo delle tribù dei beduini e facilitare il reclutamento di nuove forze. Durante la sua assenza, il vaporetto turco che era giunto ad Alessandria il giorno 11 con a bordo l’inviato Rifat Bey, rimase in stato di quarantena, secondo i suoi ordini, e non fu liberato che il giorno 16. Il sunnominato funzionario (Rifat Bey) consegnò il messaggio, ed ebbe udienza dal pascià comunicandogli l’ordine del sultano, relativo all’evacuazione delle province della Siria; udienza che si svolse certamente prima della partenza del battello. Per il giorno successivo fu richiesta un’altra udienza, affinché potessero parteciparvi anche i consoli delle nazioni europee. Ma la risposta è stata un no definitivo; allora il funzionario l’ha informato sulle spiacevoli conseguenze cui sarebbe andato incontro a causa del suo rifiuto, concedendogli, a nome della convenzione, dieci giorni, affinché potesse decidere in merito a ciò che gli era stato comunicato (dal Morning Chronicle di Londra 18 settembre 1840; estrapolato da un articolo del corrispondente, e datato Costantinopoli 27 agosto 1840)
Il corrispondente del Chroning di Londra, in una comunicazione da Costantinopoli datata 12 agosto 1840, così scrive: – Posso aggiungere ben poco al mio ultimo articolo, relativamente ai piani delle quattro potenze; e credo che le cose che vi ho scritto siano cambiate ben poco rispetto ad oggi -. Il territorio del pascià, come già scritto, non deve estendersi oltre le linee di Acre, e non comprende né l’Arabia, né la Caudia. In quanto all’eredità della famiglia, questa riguarda solo l’Egitto, ma la provincia di Acre dovrà essere considerata un pascialato che sarà governato da suo figlio per tutta la vita, ma che dopo di lui dovrà essere assegnato dalla volontà della Porta; e anche quest’ultimo dovrà accettare queste condizioni; Dovrà, inoltre, restituire la flotta ottomana entro dieci giorni. In caso contrario questo pascialato non gli sarà assegnato. A quel punto gli sarà offerto solo l’Egitto, e altri dieci giorni di tempo per decidere, prima che si risolva d’usare la forza contro di lui. Se poi rifiuterà ancora d’accettare le condizioni, non sappiamo come si agirà contro di lui: se si farà un blocco sulla costa, se si bombarderà la capitale oppure si attaccheranno le sue truppe nelle province della Siria: su questo non abbiamo ancora deciso. Tutto ciò non è chiarito nemmeno nella nota consegnata ieri dai quattro ambasciatori in risposta ad una domanda fatta dalla Porta. La nota afferma semplicemente che sono state adottate delle contromisure opportune, e che il Divan non deve preoccuparsi di nessuna contingenza che possa presentarsi in seguito -.
Analizziamo queste testimonianze:
1°) L’ultimatum giunge ad Alessandria d’Egitto l’11 agosto 1840;
2°) L’articolo del corrispondente del Chronicle di Londra è datato 12 agosto 1840; 3°) Il corrispondente dichiara che l’interrogativo della Suprema Porta fu sottoposto ai
rappresentanti delle quattro grandi potenze, e che la risposta fu resa “ieri”. Cosicché “ieri”, nella propria capitale, la Sublime Porta chiese ai quattro ambasciatori delle quattro nazioni cristiane se fossero state prese tutte le misure atte a sventare ogni pericolo che potesse arrivare dal pascià egizio; fu allora comunicato che tali misure erano state adottate, senza peraltro dare spiegazioni in merito. Perciò da quel giorno “ieri”, e cioè dall’11 agosto 1840, le quattro potenze occidentali, e non la Sublime Porta, avevano preso in mano gli avvenimenti riguardanti la sicurezza e il suo destino.
L’11 agosto 1840 finì il periodo dei 391 anni e 15 giorni concessi all’Impero Ottomano. Che ne sarà, ora, dell’indipendenza del sultano? TERMINA, SCOMPARE! In quali mani passa la supremazia dell’Impero Ottomano? In quelle delle quattro maggiori nazioni europee; da allora l’impero è sopravvissuto solo grazie alla tolleranza e alla pazienza di quelle potenze cristiane.
La profezia si è letteralmente realizzata. Da quando, per la prima volta nel 1838, fu pubblicato il calcolo relativo a questa profezia, come abbiamo già detto, migliaia di persone attesero con impazienza il giorno fissato per il suo compimento. Quando questo si compì, esattamente come si era sperato, e l’interpretazione si rivelò corretta, vi fu in seno al nascente movimento avventista, che già cominciava ad attirare l’attenzione del mondo, un nuovo, straordinario impulso di evangelizzazione.
VERSETTI 20-21: E il resto degli uomini che non furono uccisi da queste piaghe, non si ravvidero delle opere delle loro mani, sì da non adorar più i demoni e gli idoli d’oro, e d’argento e di rame e di pietra e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare; e non si ravvidero dei loro omicidi, né delle loro malìe, né della loro fornicazione, né dei loro furti.
Dio vuole che gli uomini rammentino i Suoi Giudizi, e che imparino le lezioni che Egli vuole insegnarci. Ma come sono duri e tardi ad imparare, gli uomini! E come sono ciechi alle indicazioni della Provvidenza. I fatti concernenti la sesta tromba costituiscono il secondo guaio, ma nemmeno questi hanno indotto gli uomini a cambiare, e a migliorare la loro condotta e la loro moralità.
Coloro che sfuggirono al secondo guaio, non trassero alcuna lezione da quella che fu la realizzazione terrena del castigo Divino.
Le orde dei saraceni e dei turchi furono lanciate, come un flagello, sulla cristianità apostata.
Gli uomini patirono e soffrirono a cagione di quel castigo, ma non impararono nulla.
VERSETTI 1-2: Poi vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nuvola; sopra il suo capo era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco; e aveva in mano un libretto aperto; ed egli pose il suo pie’ destro sul mare e il sinistro sulla terra.
Eccoci nuovamente di fronte ad un’interruzione della sequenza visiva. Il capitolo 9 si è chiuso con gli eventi relativi alla 6° tromba, ma lo squillo della 7° non è annunciato che al 15° versetto del capitolo 11: tutto il 10° e la prima parte del 11° è una parentesi tra le 6° e la 7° tromba. Volendo essere più chiari, diremo che tutto ciò che riguarda la 6° tromba, è raccontato nel 9° capitolo, ma il profeta, prima che la 7° cominci a suonare, deve raccontare altri eventi. Comincia a farlo qui e termina al 15° versetto del 10° capitolo, che s’inquadra, perciò, sotto questo segno. Consideriamo, innanzi tutto, l’accenno al “tempo” fatto dall’angelo.
Il libretto: “Aveva nelle sue mani un libretto aperto”. Dall’aggettivo ci pare di capire che, per un preciso lasso di tempo, è rimasto “chiuso”. Nel libro di Daniele leggiamo che, fino ad un certo momento, il suo libro resterebbe chiuso e sigillato: – E tu, Daniele, tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro sino al tempo della fine: molti lo leggeranno con cura e la conoscenza aumenterà (Daniele 12: 4). È plausibile dedurne che quando questo periodo fosse terminato, quando “il tempo della fine” fosse arrivato, allora il libretto sarebbe stato “aperto”, cioè “capito”; è anche logico attendersi che questa “apertura” sia menzionata nella lunga serie di eventi relativi al tempo della fine. In tutta la Sacra Scrittura, solo del libro di Daniele è predetto che resterà “chiuso”, e, solo nel capitolo 10° dell’Apocalisse, leggiamo che un libretto sarà aperto. Per di più, notiamo che il contenuto del libro, in entrambi i casi, è identico. Il libro che Daniele doveva sigillare riguardava un tempo preciso, infatti, l’ordine lo ricevette come risposta alla sua domanda: – Quando sarà la fine di queste meraviglie? (Daniele 12: 5) -. Quando l’angelo di questo capitolo discende, avendo tra le mani il libretto aperto su cui fonda l’avvertimento, fa un riferimento al tempo, come vedremo nel versetto 6. Non abbiamo bisogno di altro, per dimostrare che le due espressioni si riferiscono allo stesso libro, e per provare che il libretto, che l’angelo aveva nelle sue mani, è lo stesso di cui si parla nella profezia di Daniele.
Nel tentativo di stabilire il tempo dell’apparizione dell’angelo, abbiamo individuato un punto cruciale. Abbiamo visto che la profezia, e in particolare i periodi profetici di Daniele, non si sarebbero “aperti” (capiti) che nel tempo della fine. Per questa ragione, essendo questo il libro che l’angelo tiene tra le mani, crediamo di potere affermare che il messaggero celeste fa il suo annuncio dopo, che il libro è stato aperto. In altre parole: in un momento successivo a quello dell’inizio del tempo della fine. Non ci resta altro da fare, ora, che scoprire il momento “iniziale” del “tempo della fine”, utilizzando ancora il libro di Daniele che ci offre i dati per stabilirlo.
In Daniele 11: 30 è presentato il potere papale, nel versetto 35 leggiamo: – E di quei savi ne saranno abbattuti alcuni, per affinarli, per purificarli e per imbiancarli sino al tempo della fine, perché questa non avverrà che al tempo stabilito -. (al tempo della fine V. M.)
Il tempo di cui si parla è quello della supremazia del “piccolo corno”, durante il quale i santi, i tempi, e la legge sarebbero stati nelle sue mani e che egli (il papa) avrebbe crudelmente perseguitato. La Scrittura afferma che tutto ciò continuerà fino sl tempo della fine. Il periodo di persecuzione finì nel 1798, quando terminarono i 1260 anni della supremazia papale: in quel momento cominciò il tempo della fine, ed il libro fu “aperto”.
Da allora molti l’hanno letto e la conoscenza della profezia è straordinariamente aumentata (cfr. comm. Daniele 12: 4).
La cronologia dei fatti raccontati in Apocalisse 10, è ancora più chiara quando ci si accorge che quest’angelo è lo stesso di Apocalisse 14. I particolari di quest’identità sono abbastanza semplici da individuare. Entrambi hanno l’incarico di annunciare un messaggio speciale, ed entrambi lo fanno con voce forte. Entrambi usano un linguaggio molto simile, e si riferiscono all’Eterno come a Colui che ha fatto il cielo, la terra e il mare e tutto ciò che è in essi. Infine, entrambi si riferiscono ad un tempo ben preciso: infatti uno giura che non vi sarà più tempo, l’altro grida che l’ora del Suo giudizio è giunta.
Il messaggio di Apocalisse 14: 6, però, è cronologicamente successivo all’inizio del tempo della fine: siccome l’angelo annuncia che “l’ora del giudizio è giunta”, significa che queste parole sono indirizzate all’ultima generazione. Paolo non predicò mai in questo senso, cioè che fosse giunta l’ora del giudizio; nemmeno Lutero e i suoi aiutanti lo fecero mai. Paolo nelle sue lettere annunciò un giudizio ancora di là da venire, lontano, in un futuro indefinito; Lutero, a partire dal suo tempo, ipotizzò ancora 300 anni d’attesa. Paolo, nei suoi scritti, mette in guardia la chiesa da coloro che predicavano l’imminenza dell’ora del giudizio, infatti scrive: – Or fratelli, vi preghiamo, per ciò che riguarda la Venuta del nostro Signore Gesù Cristo, e al nostro adunamento con Lui, che non vi sviate facilmente dal vostro sentimento, né vi lasciate sviare lo spirito, né per parola, né per lettera data come nostra; quasi che il ritorno del Signore fosse vicino. Nessuno s’inganni, in alcuna maniera; perché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia, e non sia stato manifestato l’uomo del peccato (2° Tessalonicesi 2: 1- 2). In questa lettera Paolo ci presenta “l’uomo del peccato”, il piccolo corno: in altre parole il papato. Nella sua raccomandazione riassume tutto il periodo della supremazia papale che, come abbiamo detto, durerà 1260 anni, e finirà nel 1798. Terminò quell’anno la restrizione della predicazione circa la prossimità del giorno del Signore Gesù Cristo.
In altre parole, possiamo anche affermare che il tempo della fine è cominciato nel 1798, anno in cui al libretto fu tolto il sigillo al libretto. Da allora, l’angelo di Apocalisse 14 continua ad avvertire gli uomini che “l’ora del giudizio di Dio è giunta”.
Da quel momento anche l’angelo di Apocalisse 10, che ha un piede sulla terra e uno sul mare, giura che non vi sarà più tempo. Non si può dubitare della sua identità: tutti gli elementi che contribuiscono a determinare l’uno indicano anche l’altro.
Non c’è bisogno che ci dilunghiamo in lunghe argomentazioni per dimostrare che l’attuale generazione sta vivendo il compimento di queste due profezie. Con l’annuncio del 2° Avvento, particolarmente dal 1840 al 1844, iniziò il loro compimento pieno e circostanziato. La posizione assunta dall’angelo, che mette un piede sulla terra e uno sul mare, simboleggia il carattere universale dell’annuncio. Qualora fosse destinato ad un solo paese, sarebbe bastato che l’angelo poggiasse i piedi sulla terra, ma quel suo poggiare il piede nel mare vuole significare che il suo è un messaggio destinato ad attraversare gli oceani per raggiungere altri continenti e altre nazioni. Quest’ipotesi trova conferma nell’effettiva universalità del messaggio; torneremo sull’argomento commentando il 6° versetto del capitolo 14.
VERSETTI 3-4: E gridò con gran voce, nel modo che rugge il leone e quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci, io stavo per scrivere, ma udii una voce dal cielo che mi disse: – Suggella le cose che i sette tuoni hanno proferito, e non lo scrivere.
I sette tuoni: E’ inutile speculare sui sette tuoni con la speranza di immaginarne il contenuto. Evidentemente dissero qualcosa che alla chiesa non sarebbe stato utile sapere. Dobbiamo accettare le istruzioni che Giovanni ricevette in proposito, e accettare di lasciare le cose dove le lasciò lui tacendole, lasciandole sigillate e perciò a noi ignote.
VERSETTI 5-6: E l’angelo che io avea veduto stare in pie’ sul mare e sulla terra, levò la sua destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso, la terra e le cose che sono in essa, e il mare e le cose che sono in esso, che non ci sarebbe più tempo.
“Non ci sarà più tempo”: Qual è il significato di questa più che solenne affermazione? Non vuole certo annunciare che il tempo sarebbe finito con il suo messaggio, e nemmeno che non esisterebbe più come lo conosciamo noi, in rapporto col concetto dell’eternità. Il versetto successivo, inoltre, si riferisce ai giorni della voce del settimo angelo. Nel capitolo 11, versetti 15-19, sono indicati alcuni degli eventi che si compiranno sotto la settima tromba, eventi che ora sono appena accennati. Non può riferirsi nemmeno al tempo di grazia, giacché quest’ultimo non terminerà, finche Cristo non avrà ultimato la Sua opera di Sommo Sacerdote, la qual cosa avverrà soltanto dopo che il settimo angelo avrà suonato la sua tromba (Apocalisse 11:15-19; 15:5-8). Per cui deve necessariamente indicare il tempo profetico, perché non c’è altro cui possa riferirsi.
La parola “tempo” di questo versetto, che la Versione Moderna traduce con “indugio”, nell’originale greco è “ckronos” (tempo). La Versione Moderna, nella sua traduzione, copia la Versione Riveduta Americana che la traduce così solo in quest’occasione, in tutto il Nuovo Testamento. Evidentemente i traduttori non pensavano a nessun tempo profetico, e non vedevano altra traduzione possibile al di fuori di “indugio”. Anche se quest’interpretazione è, da un certo punto di vista, ammissibile, qualora il testo la giustifichi, pure, in questo caso, non c’è niente che possa giustificarlo. Di fatto, l’amara esperienza vissuta dopo aver “mangiato” il libretto (versetti 8-10), fu la conseguenza del mancato ritorno del Signore nel 1844, come invece speravano coloro che L’attendevano in quella data, anche perché l’opera della predicazione del Vangelo non era ancora terminata, com’è chiaramente rivelato nel versetto 11. Quel che è certo è: se in un messaggio fatto con tanta enfasi, come in questo caso, si voleva dire indugio anziché “tempo” (profetico), la parola usata sarebbe stata “anabolé”, così come in Atti 25:17, oppure “okuro”, come in Atti 9:38. È anche vero che il verbo derivato da “ckronos”, cioè ckronizo, è usato nel senso di “indugiare, dilatare”, come in Matteo 24:48, e Luca 12:15; il termine ckronizo si, che significa “passare il tempo”, o “lasciar passare il tempo”, perciò può significare indugiare, dilatare. Ma la parola kronos indica il “tempo” nel senso assoluto, e ci sono tutte le ragioni per credere che sia questo il significato (in senso profetico) che gli si vuol dare nel versetto 6; e dato che è usata in un’importante profezia, ci sentiamo autorizzati ad intenderla come “tempo profetico”. In altre parole: “Non vi sarà più tempo profetico”, e non che “il tempo ormai non sarà più usato in senso profetico”; perché “i giorni della voce del settimo angelo”, come leggiamo più avanti, rappresentano senza dubbio gli anni del settimo angelo. Più precisamente significa che nessun periodo profetico si sarebbe esteso nel tempo, più in là di questo messaggio. Nell’analisi su Daniele 8: 14 ci sono alcuni argomenti che si riferiscono ai periodi profetici, e che dimostrano che quelli più lunghi non superarono l’autunno del 1844.
VERSETTO 7: Ma che nei giorni della voce del 7° angelo, quand’egli sonerebbe, si compirebbe il mistero di Dio, secondo ch’Egli ha annunziato ai suoi servitori, i profeti.
La settima tromba: Questa 7° tromba non è quella menzionata in 1°Corinzi 15: 53, l’ultima tromba che risveglia i morti, ma la 7° della serie delle trombe; anch’essa, come le altre, comprende nel suo squillo un certo numero di giorni profetici (anni). Nei giorni in cui comincerà a suonare si consumerà il mistero di Dio. Non nel giorno né nello stesso istante in cui comincerà a suonare, ma dopo un tempo relativamente breve: allora il mistero di Dio sarà compiuto. Basandoci sugli eventi che devono compiersi durante lo squillo della 7° tromba possiamo, con sufficiente esattezza, fissare la data del suo inizio nel 1844, anno che, peraltro, segna la fine dei periodi profetici. Dopo questa data si compirà il mistero di Dio. Questo grandioso avvenimento, qualunque ne sia la natura, sta per sorprenderci. Una precisa opera finale e decisiva sta per compiersi, con tutta la solenne importanza che essa comporta. La fine di qualsivoglia Opera Divina è importante; un simile evento segna un’era solenne e decisiva. Quando il nostro Salvatore morì sulla croce, esclamò: compiuto (Giovanni 19: 20). Quando la misericordiosa opera, in favore dell’uomo caduto, finirà, sarà annunciato dalla voce che proviene dal trono di Dio, che esclamerà: È fatto! (Apocalisse 16: 17). Perciò non è inopportuna, la sollecitudine che ci spinge a chiederci quale relazione abbiano tali avvenimenti, con le nostre speranze e i nostri interessi eterni. Abbiamo appena letto che il mistero di Dio sta per compiersi: cos’è, e in cosa consiste il suo compimento.
“Il mistero di Dio”: Alcune testimonianze della parola di Dio, che c’è stata concessa perché ci sia luce nel nostro cammino, chiariranno questo mistero: – Col farci conoscere il mistero della Sua volontà, giusta il disegno benevolo ch’Egli avea già prima in se stesso formato, di raccogliere sotto un sol Capo, in Cristo, tutte le cose, alla pienezza dei tempi, sia quelle che sono nei cieli, come quelle che sono sulla terra (Efesini 1: 9-10). Il proposito di Dio di riunire tutte le cose in Cristo, è qui chiamato “il mistero della Sua Volontà”. Ciò si realizza tramite l’Evangelo. Ed anche per me (Paolo chiede che si preghi anche per lui), acciocché mi sia dato di parlare apertamente per far conoscere con franchezza il mistero dell’Evangelo (Efesini 6: 19). Il vangelo è qui chiamato: “Mistero”. In Colossesi 4: 3 è chiamato “il mistero di Cristo”. Leggiamo ancora: – Come per rivelazione mi sia stato fatto conoscere il mistero, di cui sopra vi ho scritto in breve… che i gentili sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante l’Evangelo (Efesini 3:3-6). Qui Paolo ci confida che il mistero gli fu comunicato mediante rivelazione, come aveva già scritto; egli si riferisce alla lettera ai Galati, in cui registrò ciò che gli era stato dato per rivelazione con queste parole: – E invero, cari fratelli, io vi dichiaro che l’Evangelo da me annunciato non è secondo l’uomo; poiché io stesso non l’ho ricevuto, né l’ho imparato da alcun uomo, ma l’ho ricevuto per Rivelazione di Gesù Cristo (Galati 1: 11-12).In questo modo Paolo ci spiega che ciò che ricevette mediante rivelazione fu l’Evangelo. In Efesini 3: 3 lo chiamò “il mistero che gli fu annunziato per rivelazione”, come aveva già scritto in precedenza. Egli scrisse la lettera ai Galati verso l’anno 54, quella agli Efesini più o meno nel 65.
Di fronte a queste testimonianze saranno pochi a negare che il mistero di Dio è il Vangelo. Quindi, è come se l’angelo avesse detto: – Nei giorni della voce del 7° angelo, quand’ei sonerebbe la tromba, l’Evangelo sarà compiuto -. In che cosa consiste il compimento del Vangelo? Prima però ci chiederemo a quale scopo sia stato rivelato. Fu rivelato per trarre di fra le nazioni, un popolo che portasse il nome di Dio (Atti 15: 14). Il suo compimento sarà la fine di quest’opera. Sarà compiuto quando il numero dei figli di Dio sarà completato, quando la misericordia non sarà più concessa, e il tempo di grazia sarà terminato. Il tema si apre a noi in tutta la sua grandezza. E’ questa l’opera portentosa che si realizzerà nei giorni in cui s’udrà il suono del 7° angelo, suono che riecheggia sul mondo dall’anno memorabile del 1844. Dio non ritarda l’esecuzione dei Suoi propositi, la Sua opera non è incerta. Siamo noi pronti per affrontarne le conseguenze?
VERSETTI 8-10: E la voce che io avevo udita dal cielo mi parlò di nuovo e mi disse: Va, prendi il libro che è aperto in mano all’angelo che sta in pie’ sul mare e sulla terra. E io andai dall’angelo, dicendogli di darmi il libretto. Ed egli mi disse: Prendilo, e divoralo: esso sarà amaro nelle tue viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele. Presi il libretto di mano all’angelo, e lo divorai; e mi fu dolce in bocca, come miele; ma quando l’ebbe divorato, le mie viscere sentirono amarezze.
Giovanni si mostra ora nell’atto di svolgere un compito in qualità di rappresentante della chiesa, probabilmente per rappresentare una specifica esperienza che essa avrebbe dovuto vivere più avanti, e che il Signore della profezia voleva che l’apostolo registrasse, anche se non faceva parte del simbolo dell’angelo. Quando si presenta semplicemente una proclamazione diretta, si possono usare gli angeli per simboleggiare i dirigenti religiosi che annunciano il messaggio, come nel caso di Apocalisse 14, ma, quando bisogna presentare una particolare esperienza che la chiesa deve affrontare, è preferibile usare un membro della famiglia umana. Perciò l’angelo che appare a Giovanni può certo simboleggiare il messaggero divino che ha questo compito, ma è utilizzato anche allo scopo di mostrare la natura del messaggio (la sua origine n. del t.).
Il dolce e l’amaro: L’angelo di questo capitolo ha in mano un “libretto aperto”. Nel commento del 2° versetto abbiamo visto come questo libretto sia quello di Daniele, quello che sarebbe rimasto “sigillato sino al tempo della fine” (Daniele 12: 9), e che avrebbe dovuto “aprirsi” quando si sarebbero capite le sue profezie. Analizzando Daniele 8: 24 abbiamo accertato che la purificazione del Santuario Celeste cominciò nell’autunno del 1844. Gli studiosi delle profezie che fecero questa scoperta, credettero che la terra fosse il Santuario. Sbagliando, pensarono che tale “purificazione” significasse che il Signore sarebbe venuto durante quell’anno per liberare la terra dalla contaminazione del peccato.
Tale convinzione si diffuse rapidamente in tutta l’America e in altre parti del mondo. Quest’annuncio turbò profondamente i cuori degli uomini e scosse le chiese protestanti di quel tempo. Decine e decine di migliaia di uomini e donne sperarono che il Signore sarebbe tornato davvero alla fine di quel periodo profetico, quello dei 2300 giorni-anni, cioè nel 1844 (ved. comm. Dan. 8: 14; 9:25-27). Tutti fecero ogni preparativo per riceverLo con gioia e allegrezza, ma subito dopo soffrirono tutta l’amarezza della delusione: perché il Signore non venne. Il loro errore fu nel non aver capito la natura dell’evento che doveva compiersi alla fine di quel periodo profetico, non nel calcolo del tempo.
Per questo al versetto 10 leggiamo: – Il libretto… era dolce come il miele nella mia bocca, ma dopo che l’ebbi divorato mi fu amaro nelle viscere -.
Un’opera ancora più grande da compiere: La delusione, in ogni caso, non voleva significare che il movimento non fosse di provenienza Divina, dato che in questo capitolo, Dio stesso preannuncia questa triste esperienza e, nell’ultimo versetto, assegna ai Suoi figli un compito da svolgere su scala mondiale. Compito che essi avrebbero portato a termine, prima della Sua gloriosa apparizione, ragion per cui, il loro compito non era ancora terminato.
Quest’opera si riassume, in tutta la sua solennità e importanza, nei messaggi dei tre angeli di Apocalisse 14. (confr. esperienze simili vissute dai profeti Geremia 15: 16-18; Ezechiele 3: 1-3,10)
VERSETTO 11: E mi fu detto: Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli e nazioni e lingue e re.
Giovanni, distinguendosi quale rappresentante della chiesa, riceve ora dall’angelo un altro incarico. Un altro messaggio deve essere annunciato al mondo assieme a quello del primo e del secondo angelo. In altre parole ci troviamo in presenza di una profezia relativa al messaggio del terzo angelo, profezia che si sta compiendo nel nostro tempo. Quest’opera non si svolgerà in un cantuccio, perché deve raggiungere molti “popoli e nazioni e lingue e re”, come vedremo, più particolarmente, nei nostri studi relativi ad Apocalisse 14: 6-12.
VERSETTI 1-2: Poi mi fu data una canna simile ad una verga; e mi fu detto: Levati e misura il tempio di Dio e l’altare e novera quelli che vi adorano; ma tralascia il cortile che è fuori dal tempio, e non lo misurare, perché esso è stato dato ai gentili, e questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi.
L’angelo continua a dare a Giovanni le istruzioni cominciate nel capitolo precedente, per cui è chiaro che in realtà questi versetti appartengono al capitolo 10 da cui non dovrebbero essere separati, come invece è stato fatto in questa versione. Nell’ultimo versetto di Apocalisse 10 l’angelo diede all’apostolo, in qualità di rappresentante della chiesa, un nuovo incarico. In altre parole, come abbiamo già dimostrato, questo versetto è una profezia del messaggio del terzo angelo. Il messaggio si rapporta con il Santuario Celeste, ed è destinato a far diventare una certa categoria di persone degli adoratori.
La verga per misurare: Il tempio in questo caso non può simboleggiare la chiesa perché essa è citata come “quelli che vi si recano (nel tempio) per adorare”. Questo è il tempio Celeste e gli adoratori che lo frequentano sono la vera chiesa che è in terra. “Noverare quelli che vi adorano” non significa calcolarne le dimensioni fisiche o contarne il numero ma valutarne il carattere. Essendo degli adoratori, il loro carattere sarà valutato esclusivamente da una specifica norma di giustizia, di principio, o di legge. Possiamo quindi affermare che il Decalogo, la regola stabilita da Dio per giudicare ogni uomo, costituisce la parte essenziale della “verga per misurare”, strumento che l’angelo da a Giovanni. Il Decalogo è la norma di giudizio mediante con il quale saranno giudicati gli autentici adoratori del Vero Dio; la conferma l’abbiamo nel contenuto di questo versetto, oltre che nell’insieme del messaggio di questo angelo.
Per capire il significato di “noverare quelli che adorano nel tempio” dobbiamo prima chiederci cosa vuol dire “misurare il tempio”. Per misurare qualcosa bisogna dedicarle una particolare attenzione. L’invito ad alzarsi e ad andare a misurare il tempio di Dio è un ordine profetico indirizzato alla chiesa, perché studi attentamente il tema del tempio e le verità relative al Santuario Celeste. Ma perché farlo con la verga? Perché non potremmo farlo solamente con il Decalogo, ma se accetteremo tutto il messaggio, allora, saremo indotti ad esaminare sia le verità relative al Santuario, sia il Ministero di Cristo. Perciò la verga, nel suo complesso, oltre ai dieci Comandamenti, simboleggia i particolari messaggi affidati alla chiesa, e le grandi verità specifiche per il nostro tempo. Questo messaggio riportò l’attenzione dei credenti al Tempio Celeste e alle cose che lo riguardavano: da lui scaturì, allora, la luce e la verità. E dal Tempio-Santuario, cioè dal ministero che vi si svolge, s’irradiò la manifestazione dell’opera e della missione del nostro Grande Sommo Sacerdote di Cui riconosciamo i veri adoratori per mezzo di quella parte della verga che giudica il carattere: il Decalogo.
“Tralascia il cortile che sta fuori del tempio”. Sta ad indicare che adesso l’attenzione si concentra all’interno del tempio ed al servizio che vi si svolge; i fatti che si compiono nel cortile sono per ora meno importanti, perciò è stato dato ai gentili. Il cortile simboleggia la terra; infatti, secondo la legge rituale ebraica, era proprio in quel luogo che si sacrificavano gli animali, il cui sangue dopo era portato all’interno del tempio. La Vittima antitipica doveva morire nell’atrio antitipico: ed Egli morì sul Calvario, in Giudea. Introducendo ora i gentili si vuole richiamare l’attenzione del profeta soprattutto sull’apostasia dei gentili, i quali avrebbero calpestata la città santa per 42 mesi. Facendoci tornare indietro nel passato, per mezzo di una semplice transizione, si richiama la nostra attenzione ad una nuova serie di eventi.
VERSETTO 3: E Io darò ai miei due testimoni di profetare, ed essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni vestiti di cilicio.
Nelle Scritture il periodo di 1260 giorni è indicato in vari modi. Esso si presenta in tre forme diverse:
Come 1260 giorni, in questo versetto, e in Apocalisse 12:6.
Come 42 mesi, in Apocalisse 11:2 e 13:5.
Come 3 tempi e 1/2, in Daniele 7: 25 e 12: 7; e in Apocalisse 12: 14.
Tutti questi passi si riferiscono allo stesso periodo, e si possono calcolare facilmente.
Un tempo equivale ad un anno, come abbiamo spiegato nella nota marginale su Daniele 11:13. Un anno è composto da dodici mesi biblici, e un mese biblico è composto di trenta giorni. Ecco spiegato quanto segue:
1 anno di 12 mesi di 30 giorni, da un totale di 360 giorni 3,5 tempi, o anni, di 360 giorni danno un totale di 1260 giorni.
42 mesi di 30 giorni l’uno, danno un totale di 1260 giorni.
Tutti riconosceremo che l’anno ha dodici mesi, ma occorre spiegare perché il mese biblico è composto da 30 giorni. A questo scopo ci aiuterà l’episodio del diluvio di Genesi 7 e 8. Infatti, afferma che:
1°) che il diluvio ebbe inizio il giorno 17 del 2° mese; (Genesi 7:11)
2°) che le acque cominciarono a calare il giorno 17 del 7° mese; (Genesi 8:4)
3°) che il diluvio durò 5 mesi: dal 2° al 7°.
La lettura di Genesi 7: 24 ci ricorda che: – le acque rimasero alte sulla terra per 150 giorni. Il nostro precedente calcolo ci dava 5 mesi. Il testo spiega che si tratta di 150 giorni, 30 per ogni mese.
Abbiamo così un mezzo preciso per stabilire i tempi profetici, tenendo conto che nella profezia un giorno equivale ad un anno letterale.
I due testimoni: Durante questo periodo i due testimoni saranno vestiti di sacco, cioè nell’umiliazione: è Dio che da loro il potere di sopravvivere, e di continuare a testimoniare in questo tempo difficile e tenebroso. Ma chi, o che cosa sono questi due testimoni?
VERSETTO 4: Questi sono i due ulivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signore della terra.
Il versetto allude in modo più che evidente a Zaccaria 4:11-14, dov’è simbolicamente espresso li concetto che i due ulivi rappresentano la Parola di Dio. Davide testimonia: – La dichiarazione delle Tue parole illumina – e – La Tua parola è una lampada al mio pie’, ed una luce sul mio sentiero -. (Salmo 119: 130, 105).
La testimonianza scritta ha più forza di quella orale. Circa questo, così Gesù si espresse nei confronti del Vecchio Testamento: – Esse son quelle che testimoniano di me – (Giovanni 5: 39).
George Croly così scrive: – I due testimoni sono il Vecchio e il Nuovo Testamento… Lo scopo essenziale delle Scritture è di testimoniare la verità e la misericordia di Dio. Nostro Signore ci ordina: “Investigate le Scritture… perché sono Esse che testimoniano di me”. Questo lo disse ai Giudei, descrivendo così il loro carattere e il fine dell’Antico Testamento. Ma anche il Nuovo Testamento è destinato a testimoniare: “… e quando questo Evangelo sarà predicato in tutto il mondo, onde ne sia resa testimonianza a tutte le genti… ” (Matteo 24: 14) -.
Queste considerazioni bastano per confermare che il Vecchio e il Nuovo Testamento sono i due testimoni di Cristo.
VERSETTO 5: E se alcuno li vuole offendere, esce dalla loro bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa maniera.
Danneggiare la Parola di Dio vuol dire opporsi alla Sua testimonianza, corromperla e pervertirla, sviare gli uomini da Essa. Dalla Sua bocca esce un fuoco che divora coloro che se ne rendono responsabili, cioè la Parola emette un giudizio di fuoco contro quei tali. Essa dichiara che costoro riceveranno il giusto castigo nel lago di fuoco e zolfo. (Malachia 4:1; Apocalisse 20:15; 22:18-19).
VERSETTO 6: Essi hanno il potere di chiudere il cielo onde non cada pioggia durante i giorni della loro profezia; e hanno potestà sulle acque di convertirle in sangue, potestà di percuotere la terra di qualunque piaga, quante volte vorranno.
In che senso questi due testimoni hanno il potere di chiudere il cielo, di mutare le acque in sangue e di non far cadere la pioggia sulla terra? Elia chiuse il cielo perché non piovesse per tre anni e mezzo, ma lo fece per ordine di Yahwe. Mosé, per effetto della Parola di Dio, mutò in sangue le acque del Nilo. Nello stesso modo in cui si sono compiuti questi giudizi scritti nella sua testimonianza, così si compirà ogni minaccia di giudizio pronunciato contro qualunque popolo.
“Quante volte vorranno”, il che vuol dire: ogniqualvolta le sue pagine indicheranno che dei giudizi stanno per abbattersi, essi cadranno. Un esempio di ciò si sperimenterà quando sulla terra cadranno le sette ultime piaghe.
VERSETTI 7-8: E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi giaceranno nella piazza della gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso.
“Quando essi avranno compiuto la loro testimonianza”, cioè coloro che andranno “vestiti di sacco”. Il tempo in cui essi dovevano vestire di sacco finì, o, com’è scritto da un’altra parte, “furono abbreviati i giorni della persecuzione”: prima della fine del tempo fissato. (Matteo 24:22). Nella profezia una bestia rappresenta un regno o una potenza (ved. Daniele 7: 17,23).
Sorge ora una domanda: quando i testimoni cessarono d’essere vestiti di sacco? E ancora: durante il tempo citato fece loro guerra un regno come quello descritto? Se è esatto, affermare che fu nel 538 che essi cominciarono a vestire di sacco, e che ciò fu per 42 mesi, ossia 1260 giorni-anni, questo ci porta al 1798. Chi li combattè, più o meno in quel tempo? Era veramente un regno come quello descritto?
Vediamo questa bestia salire dall’abisso; quindi essa non ha alcun fondamento religioso: cioè è un potere ateo: essa “spiritualmente è… l’Egitto”; (vedi Esodo 5:2; “Faraone rispose: chi è l’Eterno, perché io ascolti la sua voce e lasci libero Israele?”). Questo è ateismo: – Accadde che, circa nel 1798, qualche regno abbia manifestato lo stesso atteggiamento, lo stesso spirito? Si! La Francia, come nazione, negò l’esistenza di Dio e fece guerra contro la Monarchia del cielo – (George Storrs: MIDNIGHT CRY 4- maggio 1843). – Nell’anno 1793… con un solenne atto legislativo e popolare, in Francia fu abolito il Vangelo.
Gli oltraggi subiti dalle copie della Bibbia, anche se gravi, non hanno grande importanza; la sua vita è nelle sue dottrine, la fine della Bibbia è l’abolizione delle sue dottrine!
L’Antico e il Nuovo Testamento morirono, quando il governo francese dichiarò con un decreto-legge che la Nazione Francese non riconosceva più né Dio né la Sua Parola. Non mancarono quindi le ingiurie, né gli atti di disprezzo nei confronti del Sacro Libro, né il saccheggio perpetrato in ogni luogo di culto. Nella città di Lione i due testimoni furono portati in processione legati alla coda d’un asino, e trascinati nelle vie… Il 1° novembre 1793 Gobet, con i sacerdoti repubblicani di Parigi, aveva stracciato la veste e abiurato la religione. Al centro della chiesa fu innalzata una piramide incoronata da un tempio che portava l’iscrizione “Alla Filosofia”; la torcia della Verità sistemata sull’altare diffondeva la sua luce. La Convenzione Nazionale e tutte le autorità assistettero a questa empia ed irriverente cerimonia -.
Sodoma spirituale: “Spiritualmente questo potere si chiama Sodoma”. Qual era il peccato di Sodoma? Il libertinaggio. La Francia ebbe questa caratteristica? Si! L’ebbe. Durante questo periodo la fornicazione fu istituzionalizzata per legge. “Spiritualmente fu il luogo in cui anche nostro Signore fu crocifisso”. Possiamo applicare anche questo alla Francia? Si! E nel significato più profondo del termine. Prima perché nel 1572 organizzò la strage degli Ugonotti, e, in una notte, 50000 di loro furono assassinati a sangue freddo; nelle vie di Parigi il sangue scorse letteralmente a fiumi. Nostro Signore fu crocifisso così, spiritualmente, attraverso i Suoi seguaci. In seguito, la parola d’ordine degli increduli cittadini francesi fu: SCHIACCIATE L’INFAME, termine col quale volevano indicare Cristo; per questo si può proprio affermare che, realmente, fu “il luogo in cui nostro Signore fu crocifisso”. In quella nazione si manifestò in pieno tutto lo spirito dell’abisso.
Ma la Francia combatté anche contro la Bibbia? Si! Nel 1793 l’Assemblea Costituente emanò un decreto che vietava la Bibbia, e, in obbedienza alla legge, i Sacri Testi furono ammassati e bruciati fra lo schiamazzo e molteplici manifestazioni di disprezzo; furono anche abolite tutte le istituzioni bibliche. Il giorno di riposo fu abolito e sostituito con un “decimo” nel quale ci si abbandonava alla più sfrenata allegria, e ad ogni empietà. Il battesimo e la comunione furono aboliti; si negò l’esistenza di Dio e la morte fu dichiarata “sonno eterno”. Si esaltò la dea della Ragione impersonificata da una donna di facili costumi, che fu adorata pubblicamente. Questo potere compì esattamente la profezia. Lo comprenderemo meglio leggendo il verso successivo.
VERSETTO 9: E gli uomini dei vari popoli e tribù e lingue e nazioni vedranno i loro corpi morti per tre giorni e mezzo, e non lasceranno che i loro corpi morti siano posti in un sepolcro
Il linguaggio di questo versetto indica quali fossero i sentimenti delle altre nazioni, di certo più umani di coloro che oltraggiavano i due testimoni. Le nazioni videro che la Francia, atea e incredula, aveva dichiarato guerra alla Bibbia, ma non si fecero coinvolgere, in quanto nazioni, a diventare complici di questa empietà: non vollero dare sepoltura ai due testimoni assassinati, e non vollero nasconderli in mezzo a loro, anche se i loro corpi giacquero per tre giorni e mezzo, cioè tre anni e mezzo letterali, in terra di Francia. No, questo tentativo compiuto in Francia servì piuttosto a spronare e incoraggiare i cristiani d’ogni nazione ad agire nuovamente in favore della Bibbia, come vedremo in seguito.
VERSETTO 10: E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno Apocalisse festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati gli abitanti della terra.
Questo indica l’allegrezza provata da coloro che odiavano la Bibbia, o che ne erano tormentati. Grande fu la gioia degli increduli di quel tempo, ovunque si trovassero. Ma “l’allegria degli empi è breve”, e lo fu anche in Francia: perché la guerra, che i francesi mossero alla Bibbia e contro il cristianesimo, finì per travolgerla quasi irrimediabilmente. Avevano intrapreso la distruzione dei testimoni di Cristo, ma il sangue e il terrore che avevano causato fu tale, che provarono orrore della loro empietà, e fu con sollievo che tolsero le loro mani sacrileghe dal libro di Dio.
VERSETTO 11: E in capo ai tre giorni e mezzo uno spirito procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in pie’, e grande spavento cadde su quelli che li videro.
I testimoni riabilitati: “Nel 1793 l’Assemblea Costituente emanò un decreto che vietava la Bibbia. Esattamente tre anni dopo, l’Assemblea decise con una risoluzione d’abrogare quel decreto e di reintegrare le Scritture. Questa risoluzione rimase inapplicata per sei mesi, dopo di che, fu accettata e resa operante, senza che vi fosse un solo voto contrario. E così, esattamente tre anni e mezzo dopo, i due testimoni si rialzarono in piedi, e quelli che li videro furono presi da un gran timore. Fu soltanto a causa delle terribili conseguenze derivanti dalla rinuncia della Bibbia, che la Francia si vide costretta a smettere di accanirsi contro i due testimoni”.
“Il 17 giugno Camille Jordan presentò nel Consiglio dei Cinquecento una memorabile relazione su “La revisione delle leggi relative al culto religioso”. Essa consisteva in alcune proposte che abolivano insieme, sia le restrizioni repubblicane al culto papale, sia le restrizioni papali al culto protestante. Ecco i vari aspetti della proposta:
1°) Tutti i cittadini potranno acquistare o affittare degli edifici per il libero uso dell’esercizio religioso.
2°) Ogni congregazione potrà riunirsi al tocco delle campane.
3°) Nessuna prova o promessa d’alcun tipo, che non sia lecito chiedere ad un comune cittadino, può essere richiesta ai ministri di culto di quelle congregazioni.
4°) Che chiunque tentasse d’impedire, o, in altro modo interrompesse il pubblico culto, fosse multato fino a 500 libbre, e a non meno di 50; e che se l’interruzione fosse causata dall’autorità costituita, tale cifra fosse raddoppiata.
5°) Sarà permesso a qualunque cittadino il libero accesso alle assemblee dedicate al culto religioso.
6°) Tutte le ultime leggi relative al culto religioso sono abrogate.
Queste leggi che disciplinavano la normativa dei culti in Francia, furono, di fatto,
una particolare benedizione per il protestantesimo che, oppresso dalle leggi di Luigi XIV e, senza sostegno popolare, per riprendersi aveva bisogno dell’aiuto diretto dello Stato. La relazione aveva tenuto in debito conto delle necessità delle chiese: i vecchi divieti di celebrare il pubblico culto, di possedere gli edifici per celebrarlo, di potervi partecipare ecc… furono annullati. Da quel momento in Francia la chiesa fu libera…
La chiesa e la Bibbia furono “morte” dal novembre 1793 fino al giugno 1797. Erano trascorsi tre anni e mezzo; la Bibbia che per tanto tempo era stata combattuta assurse ad un posto onorato, e, ufficialmente e pubblicamente, diventò il Libro del libero Protestantesimo.
VERSETTO 12: Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua. Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro.
Salirono al cielo: Per capire quest’espressione leggete Daniele 4: 2; “la tua grandezza s’è cresciuta ed è giunta sino al cielo”. Rileviamo in questa frase una grande esaltazione. Hanno mai raggiunto, le Scritture, un tale stato di gloria dal tempo in cui la Francia le ha combattute? In verità si! Poco tempo dopo fu fondata la Società Biblica Britannica (1804), subito seguita dalla Società Biblica Americana (1816), le quali società sia direttamente, sia tramite le numerose succursali, diffondono ancor oggi la Bibbia in tutto il mondo.
Prima del 1804 la Bibbia era stampata e distribuita solo in cinquanta lingue e dialetti. “Alla fine del 1942 essa era stata tradotta integralmente, o parzialmente, in 1058 lingue e dialetti. Nessun altro libro può essere paragonato alla Sacra Scrittura: sia per il suo costo, che è minimo, sia per il numero d’esemplari in circolazione. La Società Biblica Americana ha annunciato d’averne stampato e messo in circolazione, nel 1940, 7.696.739 esemplari, sia completi sia parziali; 8.096.069 nel 1941 e 6.254.642 l’anno successivo. La Società Biblica Britannica e Forestiera aveva distribuito alla fine del 1941 ben 11.017.334 esemplari; nel 1942 ne distribuì 7.120.000 copie. Un calcolo contenuto afferma che sono 6.000.000 le copie che le società editrici distribuiscono annualmente, il che ci porta ragionevolmente a ritenere che ogni anno siano distribuiti nel mondo, in versione integrale o parziale, tra i 25 e 30 milioni di testi.
Dalla sua fondazione fino al 1942 compreso, la Società Biblica Americana aveva stampato 321.951.266 copie e la Società Biblica Britannica e Forestiera, aveva superato nel maggio del 1942 la cifra di 531 milioni di copie: in totale, queste due società, ne hanno distribuito da sole ben 851 milioni! Nel maggio del ’40 fecero quest’affermazione: – Calcoliamo che i 9/10 degli abitanti della terra (che allora erano due miliardi), potranno, se lo vorranno, leggere la Bibbia nella loro lingua -.
La Bibbia è stimata come la cosa più preziosa perché è, dopo Gesù, la benedizione più grande, che Dio abbia dato all’uomo, e che rende a Suo Figlio una gloriosa testimonianza.
Si, le Scritture sono state realmente esaltate, e rapite in cielo in una nube, simbolo del rapimento celeste.
VERSETTO 13: E in quell’ora si fece un gran terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila persone furono uccise nel terremoto; e il rimanente fu spaventato e dette gloria all’Iddio del cielo.
Quale città? Leggiamo Apocalisse 17: 18 “E la donna che hai veduto, è la gran città che impera sui re della terra”. Questa città è il potere del Papa di Roma. La Francia è una delle dieci corna che sorsero dall’Impero Occidentale (così com’è indicato anche nelle dieci dita dei piedi della statua vista in sogno da Nebucadnetsar), simboleggiato dalla bestia dalle dieci corna di Daniele 7: 24, e dal dragone con le dieci corna, visto da Giovanni (Apocalisse 12: 13).
Perciò la Francia era “la decima parte della città”. La Francia è stata la più spietata tra gli esecutori della vendetta papale ma, a causa della rivoluzione, “cadde”, e con lei, cadde l’ultimo braccio civile dell’ira del Papa.
E “settemila persone furono uccise dal terremoto (la versione originale dice “settemila nomi d’uomini”), “La Francia, con la sua rivoluzione del 1789, combatté tutta la nobiltà e tutti i titolati… E gli altri ne furono spaventati e dettero gloria al Dio del cielo”. Il suo tentativo di disonorare Dio e di sfidare il cielo riempì la Francia di tanto sangue, d’orribili carneficine e di tali crudeltà, da inorridire e spaventare gli stessi increduli. E coloro che sfuggirono alla violenza di quei giorni, “diedero gloria a Dio”, non volontariamente, ma nel senso che il Dio del cielo fece si che tutta quell’ira umana, diventò motivo di lode al Suo Nome, perché permise che tutto il mondo s’accorgesse che coloro che combattono contro il cielo, si scavano la tomba con le proprie mani. Fu così che gli stessi mezzi, che gli empi avevano impiegato per incatenare la Sua gloria, si rivelassero lo strumento per innalzarla ancora di più.
VERSETTO 14: Il secondo guaio è passato; ed ecco, il terzo verrà tosto.
Si riprende con le trombe: Si inserisce ora la settima tromba. Il secondo guaio finì con la sesta tromba l’11 agosto del 1840; il terzo si presenta ora al suono della settima, che cominciò a suonare nel 1844.
E ora, dove ci troviamo? “Ed ecco… “. cioè “Fate bene attenzione… “, perché “il terzo guaio arriverà presto”. Le spaventose immagini del 2° guaio sono passate, e ora siamo nel tempo in cui risuona la settima tromba che annuncia il terzo e ultimo guaio.
Cercheremo forse pace e sicurezza? O un millennio temporale, cioè mille anni di giustizia e di prosperità qui sulla terra? Preghiamo con più fervore il Signore, affinché risvegli un mondo che dorme!
VERSETTI 15-17: Ed il settimo angelo sonò, e si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: Il regno del mondo è venuto ad essere del Signor nostro e del Suo Cristo; ed Egli regnerà nei secoli dei secoli. E i ventiquattro anziani seduti nel cospetto di Dio sui loro troni si gettarono giù sulle loro facce e adorarono Iddio dicendo: Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio Onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo gran potere e hai assunto il regno.
Sembra che dal versetto 15, sino alla fine del capitolo, ci sia fatto percorrere, per tre volte, e in modo sempre diverso, il percorso del suono della tromba del settimo angelo. Nei versetti che andiamo ad esaminare, il profeta guarda avanti fino al pieno ristabilimento del regno di Dio. Anche se la settima tromba ha cominciato a suonare, può essere che le grandi voci del cielo, che devono annunciare che i regni del mondo sono venuti ad essere i regni di nostro Signore, non sono sentiti; a meno che non sia un anticipo del rapido compimento degli eventi. Infatti la settima tromba, come quelle che l’hanno preceduta, abbraccia un certo periodo di tempo, e può darsi che il trasferimento dei regni della terra a Colui che ha il diritto di governare, sia l’avvenimento più importante che si realizzerà durante i primi anni del periodo (indicato dalla 7° tromba). Perciò è questo evento che, escludendo tutti gli altri, richiama l’attenzione del profeta. (legg. oss. relat. vers. 19)
Nel versetto successivo Giovanni torna indietro e considera gli avvenimenti intercalati.
VERSETTO 18: Le nazioni si erano adirate ma l’ira tua è giunta, ed è giunto il tempo di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servitori, i profeti e ai santi e a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra.
“Le nazioni si erano adirate”: A cominciare dal 1848, con lo scoppio in Europa delle rivoluzioni, l’ira delle nazioni, l’una contro l’altra, è andata costantemente aumentando. La gelosia e l’odio reciproco sono stati, più che l’eccezione, la regola. Questa realtà è stata particolarmente evidente durante le due guerre mondiali del XX* secolo, quando parve che gli uomini, per il fuoco della loro ira, fossero disposti ad annientare intere nazioni.
Un professore dell’Università di Harvard ha espresso il suo pensiero con queste testuali parole: – Gli anni del XX secolo sono stati il periodo più sanguinoso e più turbolento, più crudele, sanguinoso ed inumano di tutta la storia della civiltà Occidentale, e forse dell’intero genere umano -.
“L’ira tua è giunta”: L’ira Divina nei confronti dell’attuale generazione raggiungerà il pieno compimento durante le sette ultime piaghe (Apocalisse 16) cui perciò dobbiamo riferirci, che saranno presto versate sulla terra.
“Il tempo di giudicare i morti”: La grande maggioranza dei morti, cioè gli empi, giaceranno nelle loro tombe anche dopo la caduta delle piaghe, cioè alla fine dell’era Evangelica. L’opera di giudizio, destinata ad assegnare a ciascuno il castigo meritato per i propri peccati, sarà realizzata da Cristo assieme ai santi durante i mille anni, di cui abbiamo già parlato; poiché il giudizio investigativo finirà prima della caduta delle piaghe.
“Di dare il tuo premio ai tuoi servitori, i profeti”:
Essi riceveranno la ricompensa al 2° avvento di Cristo, che porta con Se il loro premio (Matteo 16:27; Apocalisse 22:12). Ma i santi riceveranno la completa ricompensa quando entreranno in possesso della Nuova Terra.
Il castigo degli empi: “… e di distruggere quelli che distruggono la terra.”, si riferisce al tempo in cui tutti gli empi, che hanno letteralmente devastato intere regioni e distrutto numerose vite umane, saranno per sempre divorati da quel fuoco purificatore che Dio manderà dal cielo. (2° Pietro 3:7; Apocalisse 20:9). Si giunge così alla fine della 7° tromba e della fine dei mille anni. Questo è un pensiero che ci riempie di gioia, ma anche di timore. La tromba che sta ora suonando suonerà sino alla completa distruzione degli empi, e fino al momento in cui i santi, rivestiti di gloriosa immortalità, si ritroveranno stabili e al sicuro sulla terra rinnovata.
VERSETTO 19: E il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto, e si vide nel suo tempio l’arca del suo patto, e vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto ed una forte gragnuola.
Il tempio aperto: Ancora una volta, il profeta ci riporta all’inizio del suono della settima tromba. Da quando l’ha introdotta nel versetto 15, il primo grande avvenimento che si presenta al veggente è il passaggio dal dominio terreno al governo celeste. Dio assume il Suo gran potere su questa terra e schiaccia definitivamente la ribellione, stabilisce Cristo sul Suo medesimo trono e il potere supremo regna su ogni cosa. Subito dopo ci riporta al tempo delle nazioni, al giudizio che incombe su loro ed al destino finale, sia dei santi sia dei peccatori (vers. 18). Dopo aver percorso questa parte della visione, la nostra attenzione è riportata indietro nel tempo, a questo versetto, in altre parole alla fine del ministero di Cristo, ultima immagine dell’opera di misericordia in favore dell’uomo peccatore.
Il tempio è aperto e lo sguardo penetra nella seconda stanza del Santuario. Sappiamo che quello che si apre davanti a noi è il luogo Santissimo perché si vede l’arca, e tutti sanno che l’arca era situata esclusivamente in questo vano. Quest’apertura è avvenuta alla fine dei 2300 anni, quando il Santuario sarebbe stato purificato (Daniele 8: 14).
In quell’istante finirono i periodi profetici ed il 7° angelo cominciò a suonare la tromba. Dal 1844 il popolo di Dio, mediante la fede, ha visto la porta del Santuario Celeste aperta, ed al suo interno l’arca del Testamento di Dio. Dal 1844 ha capito l’obbligatorietà di obbedire ad ogni precetto della santa Legge, scritta sulle tavole di pietra che esso contiene. Che le tavole siano proprio lì, come nell’arca del santuario costruito da Mosé, si evince chiaramente nelle parole di Giovanni che dice: “L’arca del suo testamento”.
L’arca si chiamava “arca del patto”, o “arca del testamento”, perché fu costruita esclusivamente per contenere e custodire le tavole della Legge, o del Decalogo, o del Testamento, o dei dieci Comandamenti (Esodo 25: 16; 31: 18; Deuteronomio 10: 2, 5). Non aveva un altro uso: doveva il suo nome al fatto di contenere le tavole della Legge, se non le avesse contenute, non sarebbe stata l’arca del Testamento di Dio, e certamente non avrebbe questo nome. Non c’è dubbio che Giovanni, contemplando l’arca in cielo mentre suona l’ultima tromba, la chiami in questo modo, offrendoci la prova decisiva che il Decalogo è ancora lì. Nemmeno un apice o uno jota sono stati cambiati, rispetto alla copia che fu consegnata agli uomini e che fu custodita nell’arca tipica del Tabernacolo del tempio di Mosé.
I seguaci della parola profetica hanno ricevuto anche la verga con la quale misurano il tempio, l’altare, e quelli che vi adorano (Apocalisse 11: 1). Essi stanno annunciando alle nazioni e tribù e lingue e popoli l’ultima profezia (Apocalisse 10: 11). Il dramma non tarderà a concludersi con lampi voci e tuoni e un gran terremoto, e con la grandine che costituirà l’ultima convulsione della natura, prima che tutte le cose siano fatte nuove, alla fine del millennio. (Apocalisse 21: 5; leggere commenti relativi Apocalisse 16: 17-21).
VERSETTI 1-3: E vidi salir dal mare una bestia che aveva sette teste e dieci corna, e sulle corna dieci diademi, e sulle teste nomi di bestemmia. E la bestia ch’io vidi era simile a un leopardo, e i suoi piedi erano come di orso, e la sua bocca come bocca di leone; e il dragone le diede la propria potenza e grande potestà. E io vidi che una delle sue teste come ferita a morte; e la sua piaga mortale fu sanata; e tutta la terra meravigliata andò dietro alla bestia.
Per capire questa parte del capitolo è necessario poco più di una semplice definizione dei simboli presentati.
“Una donna” indica la vera chiesa (2° Corinzi 11: 2). “Una prostituta” indica una chiesa apostata e corrotta (Ezechiele 23:2-4; Apocalisse 17:3-6,15,18). Perciò la donna pura, come questa, indicherà la vera chiesa. Il “sole” vuole qui simboleggiare la luce e la gloria dell’era Evangelica. La “luna”, invece indica l’era Mosaica. Come la luna risplende per la luce inviata dal sole, così anche l’era precedente, brillò per la luce dell’era attuale. In quel tempo c’erano i “tipi” e le “ombre”; noi abbiamo “l’antitipo e la “realtà”.
La “corona di dodici stelle” simboleggia i 12 apostoli. Il “grande dragone rosso” rappresenta Roma pagana (leggi comm. versi 4-5). Il “cielo” è lo spazio dove l’apostolo vede questa rappresentazione. Non dobbiamo pensare che le scene qui descritte da Giovanni accadano nel cielo, dove Dio risiede, poiché sono avvenimenti che si realizzarono sulla terra. Questa visione del profeta pareva svilupparsi nella zona definita dal sole, dalla luna, e dalle stelle, che noi chiamiamo comunemente “cielo”. I versetti 1 e 2, comprendono un arco di tempo che inizia esattamente con l’era cristiana, e che arriva sino al pieno stabilimento della chiesa evangelica, con la sua corona di dodici apostoli (Luca 2: 25,26,28).
Non si sarebbero potuti trovare simboli più adatti e più efficaci di quelli impiegati. L’era mosaica brillò per la luce riflessa dall’era Cristiana, così come la luna splende per effetto del sole. Che felice intuizione, simboleggiare la prima con la luna e la seconda col sole! La donna, la chiesa, aveva la luna sotto i piedi: cioè l’era Mosaica terminava, ed essa era rivestita della luce del sole dell’era Evangelica che stava per nascere. Anche se, anticipando i tempi, la chiesa è presentata pienamente organizzata, con i dodici apostoli, prima che appaia sulla scena il Figlio maschio, cioè Cristo. La chiesa, invece, era destinata ad essere costruita dopo che Cristo avesse cominciato il Suo ministero, ed Egli è più strettamente collegato con questa che con l’altra precedente. È impossibile fraintendere questo passo, perciò quest’interpretazione non è in conflitto con nessun corretto sistema d’interpretazione.
VERSETTI 4-6: E la sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le gettò sulla terra. E il dragone si fermò davanti alla donna che stava per partorire, affin di divorarne il figliolo, quando l’avrebbe partorito. Ed ella partorì un figliolo maschio, che ha da reggere tutte le nazioni con verga di ferro; e il figliolo di lei fu rapito presso Dio ed al suo trono. E la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta giorni.
“La terza parte delle stelle del cielo”: Il dragone trascinava la terza parte delle stelle del cielo. Se le dodici stelle che formano la corona della donna indicano nel linguaggio simbolico i dodici apostoli, allora le stelle trascinate dal dragone, nel suo tentativo d’uccidere il figliolo maschio, ossia prima dell’era Cristiana, possono simboleggiare una parte dei dirigenti del popolo giudaico. In Apocalisse 8: 12 abbiamo già visto che il sole, la luna, e le stelle, si usano a volte simbolicamente. La Giudea diventò provincia romana circa sessanta anni prima della nascita del Messia. I giudei avevano tre classi dirigenziali: il sovrano, i sacerdoti, e il Sinedrio. Un terzo di queste classi, cioè il sovrano, fu soppresso dal potere romano. Philip Smith, dopo aver descritto l’assedio di Gerusalemme da parte dei romani, e raccontato di Erode e della sua capitolazione nella primavera del 37 A.C. dopo un’ostinata resistenza durata sei mesi, scrive: – Questa fu la fine della dinastia Osmonea, esattamente dopo 180 anni dalla prima vittoria di Giuda Maccabeo, e dal settimo anno dall’incoronazione di Aristobulo -.
L’allusione alle stelle ha un significato più ampio. È in rapporto con le verità evidenziate nei versetti 7 e 9 di questo capitolo. L’epilogo del conflitto, qui rappresentato, fu che la terza parte dell’esercito degli angeli, che s’unì a Satana contro il Governatore dell’Universo, fu scacciato dalla dimora celeste.
“Il dragone si fermò davanti alla donna”: È necessario identificare adesso il potere simboleggiato dal dragone, cosa abbastanza semplice. La testimonianza relativa al figliolo maschio, che il dragone tentò d’uccidere, può indicare solo un essere apparso sulla terra: cioè nostro Signore Gesù Cristo. Nessun altro fu rapito da Dio sul Suo trono. Solo Lui fu esaltato in questo modo (Efesini 1: 20; Ebrei 18: 1; Apocalisse 3: 21). Nessun altro ricevette da Dio il compito di reggere le nazioni con una verga di ferro: Lui solamente fu designato per quest’opera (Salmo 2: 7-9).
Non vi è il minimo dubbio che il figliolo maschio rappresenti Gesù Cristo. Anche il periodo cui si riferisce la profezia è indicativo al riguardo.
Fu il tempo in cui Cristo apparve nel mondo come il bambino di Bethlemme. Ora è fin troppo facile scoprire qual è il potere simboleggiato dal dragone, giacche indica un potere preciso che tentò di sopprimere Cristo appena nacque. Ci fu un simile tentativo? E chi lo fece? Chiunque abbia letto come Erode, nella sua determinazione d’uccidere il bambino Gesù, abbia fatto uccidere tutti i bambini di Bethlemme al di sotto di due anni, non ha bisogno di risposte. Chi era Erode? Era un governatore mandato da Roma, da cui gli veniva il potere. Roma in quel tempo regnava su tutto il mondo (Luca 2: 1), perciò ebbe in questo evento un ruolo decisivo. Per di più Roma era l’unico potere terreno che in quel tempo poteva essere rappresentato nella profezia, per la semplice ragione che il suo dominio era universale. I commentatori protestanti hanno ragione quando ritengono che il potere indicato dal dragone non può essere che l’Impero Romano.
Vale la pena ricordare che dal 2° al 5° secolo dell’era Cristiana, dopo l’aquila, l’insegna più importante delle legioni romane era il dragone, che era dipinto in rosso quasi per farlo corrispondere esattamente a quanto era stato mostrato al veggente di Pathmos: come per confermare che è Roma la nazione qui rappresentata. Come abbiamo visto Roma cercò di distruggere Cristo, servendosi delle macchinazioni d’Erode. Il piccolo giunse alla chiesa che attendeva, sperava e vegliava. È il nostro Redentore adorato, Colui che presto reggerà le nazioni con una verga di ferro. Erode non poté distruggerlo. Tutto il potere combinato della terra e dell’inferno, non poterono vincerlo. Anche se la tomba Lo ebbe per un momento in suo potere, Egli ruppe i crudeli legami, aprì all’umanità il cammino della salvezza, e fu rapito in cielo da Dio, sul Suo trono. Ascese al cielo davanti ai Suoi apostoli, promettendo a loro, e a noi, il Suo ritorno.
La chiesa fuggì nel deserto quando il papato fu istituzionalizzato nel 538, e fu sostenuta e nutrita dalla parola di Dio e dal ministero degli angeli, durante la lunga, oscura, e sanguinosa oppressione del potere papale durato 1260 anni.
VERSETTI 7-12: E vi fu battaglia in cielo: Michele e i suoi angeli combatterono col dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono, ma non vinsero, e il luogo loro non fu più trovato nel cielo. E il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato Diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati gli angeli suoi. Ed io udii una gran voce nel cielo che diceva: Ora è venuta la salvezza e la potenza ed il regno dell’Iddio nostro, e la potestà del Suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava dinanzi all’Iddio nostro, giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto a cagione del sangue dell’Agnello e a cagione della parola della loro testimonianza; e non hanno amata la loro vita anzi l’hanno esposta alla morte. Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi. Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è disceso a voi con gran furore, sapendo di non aver che breve tempo.
Guerra in cielo: Abbiamo visto che i primi 6 versetti di questo capitolo arrivano al 1798, anno in cui terminarono i 1260 anni, e che segnò la fine della supremazia papale. Ma il versetto 7 ci riporta indietro nel passato. Dove? Nel tempo presentato all’inizio del capitolo. Al tempo del 1° avvento, quando Satana utilizzando tutto il suo genio infernale, servendosi di Roma pagana, tentava d’uccidere il Salvatore degli uomini. Ci riporta anche più indietro: al momento iniziale della grande controversia tra la verità e l’errore, tra la giustizia e l’iniquità, quando nel cielo Michele (Cristo) ed i suoi angeli combattevano contro il dragone (Satana) ed i suoi angeli. Per avere le prove che Michele è Cristo, leggere Giuda 9; 1° Tessalonicesi 4: 16; Giovanni 5: 28.
“Non vinsero”: Siano rese grazie a Dio perché in questo remoto conflitto, il supremo ingannatore fu sconfitto. Poiché “Lucifero figlio dell’aurora”, con il cuore pieno d’odio e d’invidia, capeggiò presuntuosamente una schiera d’angeli ribelli in una rivolta contro il governo di Dio. Ma la Scrittura annuncia che “non riuscirono a prevalere, e fu gettato sulla terra e con lui furono gettati gli angeli suoi”.
Molti secoli dopo, quando Cristo venne per la prima volta sulla terra, “il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana” fece un supremo tentativo per distruggere il Redentore del mondo. Il nemico aspettava la nascita di Cristo sulla terra, come la sua ultima possibilità per riuscire a distruggere il piano della salvezza. Egli si presentò a Cristo con seducenti tentazioni, nella speranza di sopraffarlo. Durante il ministero di Gesù tentò continuamente d’ucciderlo, e quando riuscì a farlo scendere nella tomba tentò con maligna gioia di trattenercelo. Ma il Figlio di Dio uscì da questo scontro in modo trionfale e, anche ai Suoi fedeli, dona la Sua misericordiosa promessa: – A chi vince, io darò di seder meco sul mio trono come anch’io ho vinto e mi sono posto a sedere col Padre mio sul Suo trono (Apocalisse 3: 21) -.
Questo per confermare che, mentre era sulla terra, Gesù combatté e vinse. Satana vide fallire il suo ultimo sforzo, la sua ultima macchinazione. Egli s’era vantato di poter vincere il Figlio di Dio quando fosse venuto a compiere la sua missione in questo mondo, e fare fallire il piano della redenzione. Perché sapeva bene che se il suo ultimo sforzo fosse fallito avrebbe perso quanto possedeva; ma come dice il versetto 8, NON VINSE; perciò anche noi possiamo cantare: “Rallegratevi, o cieli e voi che abitate in esso… “.
Per lui non vi fu più posto in cielo: Satana e gli angeli caduti hanno subìto una terribile sconfitta, che Cristo descrive così: – Io vidi Satana che cadeva dal cielo in guisa di folgore -. (Luca 10: 18; Pietro, degli angeli caduti ci ricorda che Dio: – li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi, per esservi custoditi per il giudizio -. 2° Pietro 2: 4).
La speranza per tanto tempo accarezzata di sconfiggere il Figlio dell’uomo, quando avesse preso la nostra natura, morì per sempre. Il suo potere ne uscì limitato; non poté aspirare più ad una sfida personale col Figlio di Dio, perché Cristo lo sconfisse duramente. Da quel momento in poi la chiesa (la donna) è l’oggetto della sua astuta malizia, ed egli usa tutti i mezzi, anche i più nefandi, nella sua ira contro di lei. Ma nel cielo si sente cantare: “Ora è venuta la salvezza”. Come si spiega questo se queste immagini appartengono al passato? Sono già venute la salvezza, la fortezza, ed il regno di Dio, e la potestà del Suo Cristo? Ancora no, dobbiamo capire che questo canto è intonato guardando al futuro. Tutte quelle glorie erano già state assicurate. La grande vittoria era stata conseguita da Cristo, che con la Sua vittoria decideva per l’eternità il Suo stabilimento come Sovrano.
Il profeta getta una rapida occhiata all’opera di Satana dall’inizio dell’era Cristiana, fino alla fine (versetti 11-12), ossia al tempo in cui i “fratelli” fedeli vincono in virtù del sangue dell’Agnello, e per la parola della Sua testimonianza, mentre l’ira del nemico s’intensifica man mano che il tempo a sua disposizione diminuisce.
Fu lui ad indurre Erode a cercare d’uccidere il Salvatore, ma il principale agente di cui si servì per uccidere Cristo ed il Suo popolo, fu l’Impero Romano, la cui religione dominante era il paganesimo.
In conclusione possiamo affermare che, sebbene il dragone rappresenti in primo luogo Satana, simboleggia in secondo luogo Roma pagana.
VERSETTI 13-17 Ma alla donna furon date le due ali della grande aquila, affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dov’è nutrita un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lungi dalla presenza del serpente. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna, dell’acqua a guisa di fiume, per farla portar via dalla fiumana. Ma la terra soccorse la donna: e la terra aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il dragone avea gettato fuori dalla propria bocca. E il dragone si adirò contro la donna e andò a far guerra col rimanente della progenie d’essa, che serba i Comandamenti di Dio e ritiene la testimonianza di Gesù.
La chiesa nel deserto: Ecco che ora siamo riportati un’altra volta al tempo in cui Satana s’accorse d’aver fallito tutti i suoi tentativi contro il Signore della gloria, durante la Sua permanenza sulla terra. Da allora, come sappiamo, si è scagliato con tutto il suo furore contro la chiesa che Cristo aveva stabilito. La sua descrizione, poi, è talmente efficace, che ci pare di vederla fuggire nel deserto, che evidenzia un celarsi agli sguardi della gente, un nascondersi agli occhi dei propri nemici. La chiesa che durante tutto il medio evo strombazzò a tutta la cristianità le proprie direttive, e che sventolò i suoi stendardi davanti alle moltitudini spaventate e stupite, non era la chiesa di Cristo: era il corpo del mistero dell’iniquità.
“Il mistero della pietà” è Dio fatto uomo; “il mistero d’iniquità” è l’uomo che afferma d’essere Dio. Questa è stata la grande apostasia nata dall’unione del paganesimo con il cristianesimo. La vera chiesa restava nascosta. Adorava Dio nei luoghi segreti. Tali, infatti, erano le caverne e gli angoli nascosti delle valli del Piemonte, in cui la verità dell’Evangelo era considerata sacra e la si sottraeva all’ira dei nemici. Ma Dio era lì a sorvegliare sulla Sua chiesa, e in virtù della sua provvidenza la proteggeva e la sosteneva.
Il significato delle ali della grande aquila, che le “furono date”, è l’urgenza cui la chiesa si vide costretta nel cercarsi un rifugio, quando l’uomo del peccato s’insediò al potere. La Divina Provvidenza facilitò la sua fuga. Un’immagine simile è stata usata per descrivere il modo con cui l’Eterno si prese cura dell’antico Israele: – Voi avete veduto quello che ho fatto agli egiziani – dice Dio per bocca di Mosé – e come io v’ho portato sopra ali d’aquila, e v’ho menato a me – (Esodo 19: 4).
L’avere indicato il tempo, durante il quale la donna è nutrita nel deserto, “un tempo dei tempi e la metà di un tempo”, lo stesso usato da Daniele 7: 25, ci offre l’occasione per spiegare quest’ultimo passo. In Apocalisse 12: 6 è definito “milleduecentosessanta giorni”, il che dimostra che “un tempo” è composto da 360 giorni, “dei tempi” sono due tempi, e cioè 720 giorni, e la metà di un tempo equivale a 180 giorni, che sommati ci danno un totale di 1260 giorni, e siccome sono giorni profetici equivalgono ad anni letterali.
Il serpente gettò dalla sua bocca dell’acqua, a guisa di fiume, per rapire la chiesa. Il papato che, con le sue false dottrine aveva corrotto e assoggettato tutte le nazioni, aveva esercitato per molti secoli un controllo assoluto del potere. Satana che poteva, tramite il papato, scagliare dappertutto le distruttive inondazioni della persecuzione contro la chiesa, non esitò a farlo. (legg. nei comm. Daniele 7: 25, quanto è stato scritto riguardo alle terribili persecuzioni subite dalla chiesa). Milioni di fedeli credenti furono trascinati via dalla fiumana, ma la chiesa non ne fu completamente inghiottita. Infatti, quei giorni furono abbreviati “a cagione degli eletti” (Matteo 24: 22).
“La terra soccorse la donna “, aprendo la sua bocca e inghiottendo la fiumana. La Riforma protestante del XVI secolo, cominciò la sua opera. Dio suscitò Martino Lutero e i suoi collaboratori affinché mettessero a nudo il vero carattere del papato, e rompessero il sortilegio con cui la superstizione aveva schiavizzato le menti. Lutero inchiodò le sue tesi sulla porta della cappella del castello di Wittenburg, e la penna con cui le scrisse, secondo il sogno simbolico del buon elettore Federico di Sassonia, attraversò realmente il continente, facendo traballare la triplice tiara sulla testa del papa. I prìncipi sostennero la causa dei riformatori. Fu l’alba della luce e della libertà religiosa, Dio non poteva permettere che le tenebre soffocassero ancora il suo splendore.
Il sortilegio fu spezzato. Gli uomini scoprirono che le bolle e gli anatemi papali cadevano impotenti ai loro piedi. La loro consapevolezza cresceva nella misura in cui osavano esercitare il diritto, che Dio ha dato ad ogni uomo, di lasciarsi guidare soltanto dalla Sua parola. I difensori della vera fede si moltiplicarono. In breve tempo ci fu sufficiente territorio protestante in Europa, e nel Nuovo Mondo, per ingoiare la fiumana della furia papale, e per impedirgli di danneggiare ancora la chiesa di Dio.
Fu così che “la terra soccorse la donna”, e ha continuato a farlo per molto tempo, dato che le più importanti nazioni del mondo hanno fatto progredire lo spirito della Riforma e della libertà religiosa.
Guerra contro il rimanente: Ma il dragone non ha terminato la sua opera. Il versetto 17 ci presenta l’esplosione finale della sua ira. Stavolta è diretta contro l’ultima generazione di credenti che vive sulla terra. Diciamo “l’ultima generazione”, perché la guerra del Diavolo è diretta contro il “rimanente della progenie d’essa (della donna) “, ossia la vera chiesa, e nessuna generazione, se non l’ultima, può essere definita “il residuo” o “il rimanente”. Se è vero pensare che siamo giunti alla generazione che deve assistere alle scene finali della storia del mondo, questa guerra contro la verità può essere molto, molto vicina.
La caratteristica principale di questo rimanente è che serba i Comandamenti di Dio, e ritiene la testimonianza di Gesù Cristo. Significa che negli ultimi giorni si realizzerà una riforma relativa al giorno di riposo, perché è solo su questo giorno che esiste, all’interno dei Comandamenti, una differenza di fede e di pratica tra coloro che accettano il Decalogo come legge morale. Tutto ciò è sottolineato ed evidenziato più precisamente nel messaggio di Apocalisse 14: 9-12.
VERSETTI 1-4: E io mi fermai sulla riva del mare. E vidi salir dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci diademi, e sulle teste nomi di bestemmia. E la bestia ch’io vidi era simile a un leopardo, e i suoi piedi eran come di orso, e la sua bocca come bocca di leone; e il dragone le diede la propria potenza e il proprio trono e grande potestà. E io vidi una delle sue teste come ferita a morte; e la sua piaga mortale fu sanata; e tutta la terra maravigliata andò dietro alla bestia.
Il mare simboleggia popoli, moltitudini, nazioni e lingue (Apocalisse 17: 15). Nella Bibbia una belva è il simbolo di una nazione o di una potenza. A volte, rappresenta solo il potere civile, e a volte, quello ecclesiastico unito a quello civile. Ogni volta che si vede una bestia uscire dal mare, significa che questa potenza assume il potere in un territorio densamente popolato. Se i venti soffiano sul mare, come in Daniele 7: 2-3, allora indicano agitazioni politiche, lotte civili, rivoluzioni.
Attraverso il dragone del capitolo precedente, e la prima bestia che qui è ora introdotta, è indicata la potenza romana nel suo insieme, nelle sue due fasi: quella pagana e quella papale; per questo i due simboli hanno entrambi sette teste e dici corna (confr. comm. Apocalisse 17: 10).
“Simile a un leopardo”: La bestia con sette teste e dieci corna simile ad un leopardo, qui introdotta, simboleggia un potere che esercita sia l’autorità ecclesiastica, sia quella civile. Questo particolare è così importante da meritare alcune considerazioni.
La catena profetica che presenta questo simbolo, ha inizio con Apocalisse 12. I simboli dei governi terreni contenuti nella profezia sono: il dragone di Apocalisse 12, la bestia simile ad un leopardo e la bestia con due corna di Apocalisse 13. La stessa catena profetica continua, sempre uguale, nel capitolo 14; abbiamo così, da Apocalisse 12: 1 fino ad Apocalisse 14: 5 la medesima catena profetica, distinta e a se stante.
Ciascuna delle potenze, che vi sono state introdotte, sono descritte come crudeli persecutrici del popolo di Dio. La scena inizia con la chiesa, simboleggiata da una donna, che attende ansiosamente che si realizzi la promessa della manifestazione, tra gli uomini, del Signore della Gloria, il Figlio della donna.
Il dragone stava davanti alla donna per divorare il suo Figliolo. Ma il suo malvagio proposito è ostacolato, e il Figlio è rapito da Dio in cielo sul Suo trono.
Segue poi un tempo durante il quale la chiesa patisce una dura oppressione da parte del dragone, ossia dal potere che esso rappresenta. A questo punto della scena, il profeta guarda occasionalmente avanti nel tempo, addirittura quasi alla fine, perché vede che tutti i nemici della chiesa stavano per essere aizzati dallo spirito del dragone. Nel 1° versetto del capitolo 13, siamo riportati indietro al tempo in cui la bestia simile ad un leopardo, successore del dragone, inizia la sua attività.
La chiesa per ben 1260 anni subisce la persecuzione, e patisce le vessazioni di questa potenza. Alla fine di questo tempo d’aggressioni, la chiesa ha un altro conflitto, breve ma intenso, con la bestia con due corna; ma la liberazione arriva subito. La profezia si chiude con la chiesa finalmente libera da ogni persecuzione, vittoriosa, in piedi con l’Agnello sul monte Sion. Siano rese grazie a Dio per la sicura promessa della vittoria finale!
L’unico personaggio che sembra essere sempre lo stesso in tutte queste scene, e la cui vittoria è il tema principale in tutte le profezie, è la vera chiesa di Dio. Gli altri personaggi sono i suoi aguzzini, e sono inseriti nel Sacro Libro solo per questo motivo. A questo punto, come quesito introduttivo, invitiamo il lettore ad una riflessione: che o cosa, perseguita la vera chiesa? Facile: una chiesa falsa e apostata; chi ha sempre fatto guerra alla vera religione? Semplice: una falsa religione. Quando mai il potere civile, di qualunque nazione, ha mai perseguitato il popolo di Dio, semplicemente così per sua volontà? I governi possono far guerra agli altri governi per vendicare qualche torto o danno, concreto o fittizio che sia, o per impadronirsi di territori ed estendere così il proprio potere, ma non perseguitano (si noti le parole non perseguitano) le persone a causa della religione, a meno che non siano sotto il controllo di qualche sistema religioso opposto, ed ostile.
La bestia simile a un leopardo è una potenza persecutrice: Le potenze presentate in questa profezia: il dragone, la bestia simile ad un leopardo, e la bestia con due corna, dei versetti 11-17, sono tutte potenze persecutrici. Sono spinte dall’odio che nutrono nei confronti del popolo di Dio, della Sua chiesa. Questo fatto è, di per sé stesso, un elemento sufficientemente conclusivo, perciò, in ciascuna di queste potenze, il potere che ha il controllo è quello religioso ed ecclesiastico.
Consideriamo il dragone: che cosa simboleggia? La risposta è incontestabile, prima di tutto Satana, come abbiamo visto, in secondo luogo l’Impero Romano. Ma questo non basta. Nessuno concorderebbe con quest’unica e semplice risposta, bisogna essere più precisi: l’Impero Romano nella sua forma pagana. Ma non appena diciamo “pagana”, introduciamo un elemento religioso, infatti, il paganesimo è uno dei sistemi di falsa religione più subdoli, che Satana abbia mai ideato. Perciò il dragone è un potere ecclesiastico, e lo è a tal punto che la sua principale caratteristica è un falso sistema religioso. Perché il dragone perseguitò la chiesa di Cristo? Perché il Cristianesimo cominciava a prevalere sul paganesimo, smontandone le superstizioni, abbattendo i suoi idoli, smantellando i suoi templi. L’elemento religioso di quella potenza era smascherato e minato, la persecuzione ne fu la conseguenza.
Arriviamo ora alla bestia simile ad un leopardo, di Apocalisse 13. Cosa simboleggia? Questa è la risposta: l’Impero Romano. Ma non era il dragone a simboleggiare l’Impero Romano? Perché non si continua ad usare quel simbolo? Perché nel carattere religioso dell’Impero si è manifestato un cambiamento. Questo simbolo rappresenta Roma nella sua forma pseudo-cristiana. È questo mutamento religioso, e solo questo, ciò che rende necessario il cambiamento del simbolo. Questa bestia differisce dal dragone unicamente in questo: presenta una nuova e diversa (?) religione. Per questo non è esatto dire semplicemente che indica il potere civile romano.
Come simbolo del papato: È a questa bestia che il dragone concede il suo potere, il suo trono e grande autorità. Quale potenza subentrò a Roma pagana? Sappiamo tutti che fu quella papale. Ora, per il fine che perseguiamo, non è importante sapere né in che modo né con quali mezzi sia stato realizzato questo mutamento. Il fatto importante, che salta agli occhi di tutti e che fu determinante, è che nell’Impero Romano la fase successiva al paganesimo fu quella papale.
Infatti, non sarebbe esatto sostenere che Roma pagana abbia dato il suo potere, e il suo trono, ad una forma di governo semplicemente civile, privo di qualsiasi aspetto religioso. Per quanto sforziamo la nostra immaginazione, non riusciamo a vedere una simile transazione. A questo punto si riscontrano due fasi dell’impero; e bisogna aggiungere che nella profezia Roma è pagana finche non diventa papale. La dichiarazione quando annuncia che il dragone diede alla bestia simile ad un leopardo il suo potere e il suo trono, evidenzia, abbastanza chiaramente, che il dragone di Apocalisse 12: 3, simboleggia Roma pagana. Ripetiamo, però, che dietro le due potenze vi è comunque Satana che si serve di loro per la sua opera empia.
Però qualcuno può sostenere che per costituire il papato siano necessari sia la bestia simile a un leopardo, sia quella con due corna, e che perciò è a queste due potenze che il dragone dà il suo potere, il suo trono e la propria autorità. Ma questo la Bibbia non lo dice! Il dragone tratta solo con la bestia simile ad un leopardo; solo a lei concede il suo potere il suo trono e la propria autorità. È questa la bestia che sarà caratterizzata da una testa ferita a morte, in seguito sanata; è questa la bestia dietro la quale si stupì tutta la terra; ed è la bestia, la cui bocca, proferiva parole blasfeme, e che perseguitò i santi per 1260 anni. Tutto ciò lo compie prima che appaia il potere che viene dopo, quella con due corna simili ad un agnello! Perciò, solo la bestia simile ad un leopardo simboleggia l’Impero Romano, nella sua forma papale, la cui influenza controllatrice è di tipo ecclesiastico.
E’ uguale al piccolo corno: Per dimostrare, più ampiamente, tutto quanto abbiamo detto, non dobbiamo fare altro che paragonare questa potenza con il piccolo corno di Daniele 7: 8,20,24,25. Ci accorgeremo allora, che il piccolo corno e la bestia simile a un leopardo, simboleggiano la stessa potenza. Generalmente si riconosce che il piccolo corno è il simbolo del papato. Possiamo presentare sei punti che ne stabiliscono la stessa identità:
1°) Il piccolo corno era una potenza blasfema, infatti: “proferirà parole contro l’Altissimo” (Daniele 7:25); la bestia simile a un leopardo di Apocalisse 13:6 fa la stessa cosa, infatti: “aprì la bocca per bestemmiare contro Dio”
2°) Il piccolo corno combatteva i santi e li vinceva (Daniele 7:21); anche la bestia simile a un leopardo fa lo stesso: “… far la guerra ai santi e li vinceva” (Apocalisse 13:7)
3°) Il piccolo corno “aveva una bocca che proferiva cose grandi” (Daniele 7:8,20); a questo proposito circa questa bestia leggiamo: ” e le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie” (Apoc. 13:5)
4°) Il piccolo corno sorse quando finì la forma pagana dell’Impero Romano; la bestia di Apocalisse 13: 2, sorge nello stesso tempo: perché il dragone, ossia Roma pagana, le diede il suo potere il suo trono e grande autorità.
5°) Al piccolo corno fu concesso di sussistere “per un tempo dei tempi e la metà di
un tempo, cioè 1260 anni (Daniele 7:25); anche a questa bestia è concesso un potere che dovrà durare 42 mesi, cioè 1260 anni (Apocalisse 13:5)
6°) Alla fine di quel preciso periodo di 1260 anni, “i santi” e “i tempi” e “la legge”, sarebbero stati tolti dalle mani del piccolo corno (Daniele 7:25); alla fine dello stesso periodo, la bestia simile a un leopardo doveva essere “menata in cattività” (Apocalisse 13:9). Entrambe queste dichiarazioni si compirono nella prigionia e nel confino del papa, e nell’abbattimento provvisorio del papato, da parte della Francia nel 1798.
Questi sei punti provano in modo più che soddisfacente come il piccolo corno, e la bestia simile a un leopardo, indichino lo stesso potere. Quando, come in questo caso, nella profezia abbiamo due simboli, che rappresentano la stessa potenza, che entrano in scena nello stesso tempo, che occupano lo stesso territorio, che manifestano lo stesso carattere, che svolgono la stessa opera, e che sussistono nello stesso periodo di tempo, e che avranno infine la stessa sorte, allora significa che questi simboli indicano un’unica e identica potenza.
“Ricevette una ferita mortale”: La testa che fu ferita mortalmente, fu quella papale. A questa conclusione ci porta il principio evidente, per cui, quanto si dice profeticamente, nei riguardi del simbolo di qualunque governo, si applica a questo governo, esclusivamente mentre quel simbolo lo rappresenta. Or dunque, Roma è rappresentata da due simboli: il dragone e la bestia simile a un leopardo, giacche manifestò due fasi: quella pagana e quella papale; e qualunque cosa si dice del dragone si può applicarlo a Roma, solo nella sua forma pagana; e quanto si dice della bestia simile a un leopardo, si può applicare solo a Roma pseudo-cristiana. Giovanni afferma che una delle teste di quest’ultima bestia, simile ad un leopardo, fu ferita a morte. In altre parole, questa ferita, fu impartita alla forma di governo vigente nell’Impero Romano dopo che esso cambiò dal paganesimo al cristianesimo. Infatti è evidente che fu la testa papale, quella che rimase ferita a morte, e che poi fu guarita. Essere ferito corrisponde ad andare in prigionia (Apocalisse 13:9). Questa ferita fu inferta quando li papa fu fatto prigioniero dal generale francese Berthier, nel 1798, e il papato, per alcuni anni, fu abolito. Spogliato del suo potere civile ed ecclesiastico, Pio VI, il papa-prigioniero, morì in esilio a Valencia, nel delfinato francese, il 29 agosto del 1799. Ma la ferita mortale cominciò a guarire quando il papato fu ristabilito, anche se con un potere minore di prima, con l’elezione del nuovo papa il 14 marzo del 1800.
VERSETTI 5-10: E adorarono il dragone perché avea dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: Chi è simile alla bestia? e chi può guerreggiare con lei? E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie e le fu data potestà di agire per quarantadue mesi. Ed essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome e il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi e di vincerli; e le fu data potestà sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione. E tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, l’adoreranno. Se uno ha orecchio, ascolti. Se uno mena in cattività andrà in cattività; se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi.
“Proferiva bestemmie”: Questa bestia apre la bocca “per bestemmiare contro Dio, il Suo nome, il Suo Tabernacolo, e coloro che dimorano in cielo”. Abbiamo già spiegato nel commentare il libro di Daniele, il significato dell’espressione “Proferirà parole contro l’Altissimo” (Daniele 7: 25). Nel 5° versetto di questo capitolo, vi è una espressione, molto simile, che dice: “aveva una bocca che proferiva parole arroganti”; ma vi è aggiunta la parola “bestemmie”, che indica, abbastanza chiaramente, che “le grandi cose” sarebbero state delle dichiarazioni di bestemmia contro il Dio del cielo. Nei Vangeli abbiamo due spiegazioni su ciò che costituisce “bestemmia”: in Giovanni 10: 33, leggiamo che i Giudei accusarono falsamente Gesù di bestemmia, perché dissero: – Tu, essendo uomo, ti fai Dio -. Tale accusa verso il Salvatore era falsa, in quanto era il “Figlio di Dio”; era l’Emanuele, cioè “Dio con noi”. Ma quando l’uomo si assume le prerogative di Dio, e i diritti della divinità, ciò costituisce una bestemmia. In Luca 5:21, vediamo che i farisei, nel tentativo di sorprendere Gesù nelle sue parole, gli domandano: – Chi è costui che pronunzia bestemmie? Chi può rimettere i peccati se non Dio solo? Gesù poteva perdonare le trasgressioni perché era il Divino Salvatore; ma quando un uomo mortale afferma di avere tale autorità, bestemmia certamente.
Possiamo accertarci se la potenza, rappresentata in questo simbolo, abbia compiuto questo particolare profetico. Nei commenti su Daniele 7:25 abbiamo visto chiaramente che aveva proferito “cose arroganti” contro il Dio del cielo. Osserviamo ora ciò che si dice del sacerdozio, e di come il sacerdote pretenda di perdonare i peccati:
“Il sacerdote prende il posto del Salvatore stesso, quando dicendo ‘Ego te absolvo’ (io ti assolvo), assolve dal peccato… Per perdonare un solo peccato occorre tutta l’onnipotenza di Dio… Ma quello che solo Dio può fare mediante la Sua onnipotenza, anche il sacerdote può farlo, dicendo: ‘Ego te absolvo a peccatis tuis’ “. Innocenzo III scrisse: – In verità non è esagerato affermare che in virtù del carattere sublime del suo incarico, i sacerdoti sono altrettanti dei -.
Consideriamo ancora altre dichiarazioni blasfeme di quella potenza: – Ma la nostra ammirazione è ancora più grande, quando costatiamo che in obbedienza alle parole dei suoi sacerdoti: “HOC EST CORPUS MEUS” (questo è il mio corpo), Dio stesso scende sull’Altare, accorre ovunque lo si chiami, ed ogni volta lo si chiami, e si mette nelle loro mani, anche quando sono suoi nemici. Ed essendo accorso, rimane completamente a loro disposizione; lo trasportano da un luogo all’altro; possono, se lo desiderano, chiuderlo nel tabernacolo, o esporlo sull’Altare, o portarlo fuori della chiesa; possono, se lo desiderano, mangiare la sua carne e darlo ad altri come alimento. Oh! Quanto è grande il loro potere! -.
Così afferma S. Lorenzo Giustiniano, parlando dei sacerdoti: – Cade una parola sulle loro labbra, ed il corpo di Cristo è qui, sostanzialmente formato nella materia del pane, e il Verbo Incarnato, disceso dal cielo, si trova realmente presente sul tavolo dell’altare -. San Bernardino da Siena esprime così il suo pensiero: – … E così il sacerdote può, in un certo senso, essere chiamato creatore del suo Creatore… il potere del sacerdote è il potere della persona divina; perché la transustanziazione del pane necessita di tanto potere quanto la creazione del mondo -.
È così, in questo modo, che questa potenza blasfema, simboleggiata dalla bestia, bestemmia contro il Tempio Celeste; cosi opera: attirando l’attenzione dei suoi sudditi verso il proprio trono e il proprio palazzo, anziché verso il Tabernacolo di Dio; sviando la loro attenzione dal sacrificio del Figlio di Dio, al sacrificio blasfemo della messa.
Bestemmia contro coloro che abitano in cielo, arrogandosi il potere di perdonare i peccati, sviando così gli uomini dall’opera mediatrice di Cristo coadiuvato dai Suoi assistenti celesti, nel Santuario di sopra.
Il versetto 10 ci riporta ai fatti del 1798, all’anno in cui fu fatto prigioniero quello stesso potere che, per 1260 anni, aveva menato in cattività i santi di Dio.
VERSETTO 11: Poi vidi un’altra bestia, che saliva dalla terra, ed avea due corna come quelle d’un agnello, ma parlava come un dragone.
Questo versetto presenta il terzo simbolo importante della catena profetica che stiamo esaminando, e che possiamo chiamare: “la bestia con due corna”. Domandiamoci a cosa si riferisce. Il dragone (Roma pagana) e la bestia simile ad un leopardo (Roma del Papa), simboleggiano grandi organizzazioni, che hanno rappresentato due importanti sistemi di falsa religione. L’analogia vorrebbe che anche l’ultimo simbolo, la bestia con due corna, avesse un’applicazione simile, e avesse il suo compimento in un’altra nazione che rappresentasse un altro importante sistema religioso. L’unico che non è mai comparso, e che esercita un influente controllo nel mondo d’oggi è il protestantesimo. Se consideriamo il paganesimo in astratto, esso comprende tutti i paesi pagani che costituiscono più della metà della popolazione mondiale. Il cattolicesimo, nel quale possiamo considerare anche la religione ortodossa, comprende la maggior parte delle nazioni “cosiddette cristiane”. In altre profezie è stato mostrato l’Islamismo e la sua influenza (confr. comm. Daniele 11 e Apocalisse 9), ma il protestantesimo è la religione delle nazioni, che nel mondo, sono all’avanguardia in quanto a libertà, cultura, istruzione, progresso e potenza.
Simbolo degli Stati Uniti: Perciò se è il protestantesimo, la religione che dobbiamo cercare, qual è la nazione che più lo rappresenta, simboleggiata in questa profezia?
In Europa vi sono grandi nazioni protestanti, ma per le ragioni che esamineremo più avanti, non possiamo applicare a loro il simbolo. Un attento esame ci porta a ritenere che il simbolo indichi l’America protestante, più esattamente gli Stati Uniti d’America. Vediamo d’analizzare attentamente i motivi di tale attribuzione, e le prove a sostegno.
Abbiamo dei motivi per supporre che gli Stati Uniti sarebbero stati menzionati nella profezia? Qual era la condizione delle altre nazioni, e perché furono inserite nell’evento profetico? Prima di tutto perché recitarono una parte importante nella storia del mondo, poi soprattutto perché esercitarono il loro potere sul popolo di Dio, o perché ebbero un rapporto con lui. Negli annali della Bibbia e della storia secolare, abbiamo dei dati dai quali possiamo dedurre la regola relativa alla citazione dei governi umani nella profezia. Una nazione entra nella profezia quando, l’opera e il destino del popolo di Dio, sono ad essa legati in modo importante. Tutte queste condizioni si realizzano in modo assoluto nel caso degli Stati Uniti. È profondamente radicata nell’animo di molti, la convinzione, che la nascita ed il progresso di queste nazioni, siano state così influenti al punto che la Provvidenza ha ritenuto opportuno inserirli nella profezia. Il governatore Pownal, statista inglese, nel 1780, mentre si combatteva la rivoluzione americana, predisse che quel paese si sarebbe reso indipendente, che lo animava una tendenza civilizzatrice superiore a quella che l’Europa avesse mai avuto, e che la sua potenza navale e commerciale avrebbe raggiunto i confini del mondo. Egli ne prevede anche il rapido stabilimento, quale potenza libera e sovrana, e chiama tutto questo “una rivoluzione che ha i molteplici indizi dell’intervento divino, anziché il comune corso degli umani eventi e di qualunque altro avvenimento che il mondo avesse mai sperimentato”
George Alfred Townsend, parlando delle sventure che avevano segnato i governi dell’altro emisfero, disse: – La storia degli Stati Uniti, grazie alla divina provvidenza, restò separata da quella crudele e selvaggia del resto del continente -.
Considerazioni come questa, tendono a suscitare in ogni spirito la fondata convinzione che la nazione di cui ci occupiamo deve svolgere un ruolo importante nei progetti che Dio ha in mente per questo mondo, e che è senz’altro citata in qualche parte della profezia.
Cronologia di questa potenza: In quale epoca della storia del mondo, la profezia prevede la nascita della potenza in questione? Il punto di partenza dei nostri ragionamenti, è già stato determinato dagli eventi che riguardano la bestia simile al leopardo. Questa potenza sarebbe sorta quando la prima bestia fosse stata fatta prigioniera e condotta in esilio, o uccisa dalla spada (vers. 10), o una delle sue teste fosse stata ferita a morte (vers. 3). Fu allora che Giovanni vide la bestia con due corna uscire dalla terra. Se la bestia simile al leopardo è il papato, come abbiamo esaurientemente dimostrato, e la sua traduzione in prigionia si compì nel provvisorio rovesciamento da parte dei francesi nel 1798, allora abbiamo, perfettamente indicato, il tempo in cui ricercare la nascita della bestia con due corna. Il verbo “saliva” vuole significare che la potenza alla quale allude, si era recentemente organizzata, e che in quel tempo cominciava ad assumere prestigio e influenza. Può qualcuno esitare ad indicare quale fu la potenza che realmente “saliva” nel 1798? Si deve obiettivamente convenire che gli Stati Uniti sono l’unica potenza che soddisfi le specificità profetiche dal punto di vista cronologico.
Le lotte delle colonie americane per l’indipendenza, cominciarono nel 1755. L’anno successivo si dichiararono “nazione libera e indipendente”. Nel 1777 i delegati dei tredici stati originari si riunirono nel Congresso e approvarono gli articoli della loro Costituzione: New Hampshire, Massachusset, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord e del Sud, e Georgia. La guerra finì nel 1783, l’indipendenza fu ufficializzata da un trattato di pace con la Gran Bretagna, che riconobbe gli Stati Uniti, e che cedette ad essi più di 2 milioni di Km/q di territorio. Nel 1787 fu elaborata la Costituzione; il 26 luglio 1788 essa fu ratificata da undici dei tredici stati, ed entrò in vigore il 1° marzo 1789. Gli Stati Uniti quando nacquero avevano poco più di 2 milioni di Km/q di superficie, e meno di 4 milioni d’abitanti. Arriviamo ora al 1798, anno in cui la nazione del Nuovo Mondo è stata introdotta nella profezia. Jean Wesley, nelle sue note su Apocalisse 13 scritte nel 1754 in merito alla bestia con due corna, diceva: – Non è ancora giunta, sebbene non possa esser lontana. Perché ha da apparire alla fine dei 42 mesi della 1° bestia -.
L’età di questa potenza: Nelle profezie vi sono chiare evidenze che il governo, qui simboleggiato dalla bestia con due corna, è introdotto nella primissima parte della sua attività, cioè mentre è ancora una potenza giovane. Le parole di Giovanni sono: – Vidi un’altra bestia che saliva dalla terra; e che aveva due corna simili a quelle d’un agnello -, perché non dice semplicemente che “aveva due corna”? Perché aggiunge “simili a quelle d’un agnello”? Certo l’ha fatto con lo scopo di farci notare il carattere di questa bestia, e per dimostrare che, oltre a presentarsi in modo innocente e inoffensivo, era anche una potenza giovane, perché le corna di un agnello sono corna che hanno appena cominciato a crescere.
Teniamo presente che, in base all’argomento precedente relativo al tempo, il nostro sguardo si è fermato al 1798, quando la potenza simboleggiata era giovane. Quale nazione ebbe tanta importanza, ancorché giovane? Non certo l’Inghilterra, né la Francia, o la Russia, né nessun’altra nazione europea. Se cerchiamo una nazione giovane, che sorga in quell’epoca, dobbiamo guardare verso il Nuovo Mondo; e appena lo facciamo, inevitabilmente riconosciamo negli Stati Uniti la nazione che compie la profezia. Nessun’altra nazione ad est dell’Atlantico soddisfa le peculiarità profetiche.
Localizzazione della bestia con due corna: È sufficiente una sola dichiarazione della profezia per interpretare correttamente quest’importante particolare. Giovanni la chiama “l’altra bestia”: perciò non fa parte della 1°, e la potenza che essa simboleggia non fa parte assolutamente di ciò che la 1° (bestia) rappresenta. Questo è un dato di fatto assoluto, che nega autorevolmente le interpretazioni di coloro che, negando che la bestia con due corna sono gli Stati Uniti, affermano che essa simboleggi una certa fase del papato; poiché allora farebbe parte della 1° bestia, quella simile al leopardo.
Dato che è un’altra la “bestia” che “saliva dalla terra”, deve trovarsi in un territorio che non è mai stato indicato da altri simboli.
Babilonia e Medo-Persia occupano tutta la parte civilizzata dell’Asia, la Grecia comprende la parte orientale dell’Europa, Roma compresa, che, a sua volta, con i dieci regni in cui si divise, secondo il simbolo delle dieci dita dei piedi della statua di Daniele 2, le dieci corna della 4° bestia di Daniele 7, le dieci corna del dragone d’Apocalisse 12, e le dieci corna della bestia simile ad un leopardo, comprende tutta l’Europa occidentale. In altre parole, tutto l’emisfero orientale conosciuto dalla storia della civiltà, è rappresentato dai simboli profetici sulla cui applicazione non esiste il minimo dubbio.
Ma, nell’emisfero occidentale, vi è un’altra nazione potente che, come abbiamo visto, merita d’essere menzionata nella profezia, ma che non vi è stata ancora introdotta. Ci rimane anche un simbolo che non ha ancora trovato applicazione. L’hanno trovato tutti, tranne uno; e tutti i territori dell’emisfero orientale sono già stati definiti dalle attribuzioni. Di tutti i simboli menzionati ne avanza uno: la bestia con due corna d’Apocalisse 13; di tutti i paesi del mondo che hanno buoni motivi per essere menzionati dalla profezia ne resta solo uno: gli Stati Uniti d’America. La bestia con due corna simboleggia gli Stati Uniti? Se la risposta è affermativa, allora tutti i simboli hanno trovato la loro applicazione, e tutto il territorio è determinato. Se invece la risposta è negativa, gli Stati Uniti non sono rappresentati nella profezia, e il simbolo della bestia con due corna non ha trovato una nazione cui è potuto essere attribuita. Ma la prima ipotesi non è probabile, la seconda non è possibile.
Un’altra considerazione che ci aiuterà a localizzare questa potenza, viene dal fatto che Giovanni la vide nascere dalla terra. Se il mare, da cui uscì la bestia simile ad un leopardo (Apocalisse 13:1), indica popoli, moltitudini e nazioni (Apocalisse 17:15), per contrasto la terra indicherà un territorio nuovo e non ancora occupato. Escludendo i continenti dell’emisfero orientale, nel cercare territori vergini da civilizzare, dovremo per forza rivolgere la nostra attenzione all’emisfero occidentale.
Come nacque: Il modo con cui la bestia con due corna uscì dalla terra, considerando il luogo l’età e il tempo, dimostra di rappresentare gli Stati Uniti. Giovanni vide che la bestia “saliva dalla terra”. Quest’espressione è stata di certo usata per indicare la differenza tra la nascita di questa bestia e quella degli altri simboli che indicano le altre nazioni.
Le quattro bestie di Daniele 7, e la bestia simile ad un leopardo di Apocalisse 13, uscirono tutte dal mare. In genere le nuove nazioni sorgono dalle ceneri d’altre nazioni, alle quali poi si sostituiscono, ma non fu così per gli Stati Uniti, e, appena quindici anni dopo aver conquistato la propria indipendenza li troviamo rappresentati nella profezia. Il profeta vide solo uno scenario di pace.
Il termine usato per descrivere il modo in cui questa bestia “sale” è molto espressivo: “anabaion”, che significa “crescere” o “spuntare come una pianta”. È significativo che alcuni scrittori politici, pur senza alludere alla profezia, per esprimere efficacemente la nascita degli Stati Uniti, abbiano usato la stessa immagine biblica. George Alfred Townsend, disse: – La vita delle due Americhe ebbe inizio nell’arcipelago delle Antille. Lì approdò Colombo, lì la Spagna diede inizio al suo brillante e funesto impero occidentale; da lì Cortes partì per il Messico, de Soto per il Mississippi, Balboa per il Pacifico e Pizarro per il Perù.
La storia degli Stati Uniti, grazie ad una benevola Provvidenza, restò separata dalla storia crudele e selvaggia del resto del continente, e, come un seme silenzioso, crescemmo fino a diventare un impero; mentre quello che sorgeva al sud, fu sconvolto da una serie interminabile di uragani, e la cui storia, almeno fin dove ci è nota, è illuminata dagli stessi raggi che la devastarono. La crescita dell’America di lingua inglese, può essere paragonata ad una serie di canti lirici cantati da solisti che unendosi formano infine un coro potente, che attira quanti sono lontani e, in questo modo, s’allarga fino ad assumere le dimensioni e la maestosità di un canto epico -. Ne “La Nazione di Dublino”, uno scrittore parlò degli Stati Uniti, come di un impero ammirevole che “sorgeva” e aumentava ogni giorno il suo potere e la sua forza “in mezzo al silenzio della terra”. In un discorso tenuto agli esiliati inglesi che fondarono quel governo, Edward Scott disse: – Ecco le poderose regioni, quelle che con una pacifica conquista, victoria sine clade (senza lotta), hanno elevato l’insegna della croce -.
Vuole il lettore ora confrontare queste espressioni: “saliva dalla terra”, “sorgeva in mezzo al silenzio della terra”, “cresciamo come un seme silenzioso, fino a diventare un impero”, “poderose regioni” – annesse con -“conquista pacifica”. La prima è quella del profeta che ci informa sul modo in cui sarebbe sorta la bestia con due corna, le altre sono di scrittori e di politici che raccontano come nacquero e crebbero gli Stati Uniti d’America.
Può qualcuno rifiutarsi di notare che le ultime tre frasi sono le copie esatte della prima? Vediamo. L’emisfero occidentale fu scoperto più di quattrocento anni fa, poco prima della Riforma Luterana. La Riforma liberò le nazioni prigioniere degli amari legami della superstizione e dell’oppressione, facendo loro conoscere una grande verità, cioè che il cielo da ad ogni uomo il diritto d’adorare Dio secondo i dettami della propria coscienza. Ma i governanti non erano disposti a perdere il loro potere, e l’intolleranza religiosa continuò ad opprimere i popoli. Questa era la situazione, quando un gruppo d’eroi religiosi decise di fare dei luoghi deserti dell’America la meta della loro libertà civile e religiosa, che avevano tanto desiderato. Cento di questi esiliati volontari, per realizzare il loro nobile proposito, sbarcarono dalla Mayflower sulle coste della Nuova Inghilterra; era l’11 febbraio 1620.
:- In quel luogo – dice Martyn – nacque la Nuova Inghilterra, e il suo primo vagito fu una preghiera di ringraziamento al Signore -.
Un’altra colonia inglese s’era stabilita nel 1607 a James Town, in Virginia. Col tempo altre colonie vi si stabilirono, e s’organizzarono, anche se erano sempre soggette alla corona inglese, fino alla dichiarazione d’indipendenza, nel 1776.
La popolazione di questa colonia era nel 1701 di 262000 anime, 1046000 nel 1749, e di 2803000 nel 1775. Ci fu poi la lotta per l’indipendenza, l’istituzione di un governo costituzionalmente unito, che dichiarò al mondo che vi avrebbero trovato asilo, tutti coloro che lottavano contro l’oppressione e l’intolleranza. Gli immigranti accorsero a migliaia dal Vecchio Mondo. La nuova nazione incrementò pacificamente di popolazione e di prosperità. Furono quindi acquisiti nuovi territori, affinché potessero trovarvi spazio i nuovi venuti.
Ora spicchiamo un salto di 150 anni, arriviamo al secondo quarto del XX° secolo, e vediamo che il territorio degli Stati Uniti si è ingrandito sino ad occupare 8 milioni di Km/q. La sua popolazione intanto ha raggiunto i 140 milioni di abitanti.
Lo sviluppo degli Stati Uniti nel campo della cultura e del benessere stupisce il mondo, e conforta assolutamente l’applicazione profetica in esame.
Il carattere del suo governo com’è simboleggiato: Su questo nuovo aspetto dell’analisi abbiamo nuove prove da aggiungere, a sostegno della nostra tesi. Nel descrivere questo potere, Giovanni afferma che “aveva due corna simili a quelle di un agnello”. Le corna di un agnello indicano giovinezza, innocenza e mansuetudine. Per il fatto d’essere una nazione di recente formazione, solo gli Stati Uniti rispecchiano fedelmente il simbolo in quanto all’età, nessun’altra nazione. Se consideriamo le corna come indice del potere e del carattere, ci accorgeremo che esse sono in rapporto al governo di cui ci stiamo occupando, se riusciremo a determinare qual è il segreto della sua forza, cosa rivela il suo carattere, e / o, quello che manifesta apertamente.
Non abbiamo bisogno d’argomenti per dimostrare che questo è esattamente ciò che dichiarano il governo e la Costituzione nordamericana. Il comma 4 dell’articolo IV° della Costituzione, fra l’altro dice: gli Stati Uniti garantiranno ad ogni Stato dell’Unione, un governo di forma repubblicana . . . Negli Stati Uniti non sarà richiesto nessun esame religioso quale requisito necessario per qualsiasi incarico o commissione pubblica”. Il primo emendamento della Costituzione inizia così: “Il Congresso non approverà nessuna legge relativa all’istituzione della religione, o che ne vieti il libero esercizio”. Tali articoli assicurano la più ampia libertà civile e religiosa, la totale separazione tra Stato e Chiesa. Quali simboli più adatti si sarebbero potuti trovare, delle “corna simili a quelle di un agnello”? In quale altro paese si potrebbe trovare una situazione capace di rappresentare perfettamente questa caratteristica del simbolo di Apocalisse 13?
La sua forma repubblicana: La bestia dalle due corna non ha corone sulle corna, infatti, è il simbolo di una nazione retta da un governo repubblicano. La corona è il simbolo della monarchia e della dittatura, perciò la loro mancanza suggerisce un governo i cui poteri non sono accentrati nelle mani di un uomo, ma nelle mani del popolo. Non è in ogni caso questa l’unica prova che la nazione, qui simboleggiata, è amministrata da un governo di tipo repubblicano. Il versetto 14 dice che, quando si tratta dell’esecuzione di un progetto nazionale, il potere s’appella al popolo, “Dicendo a coloro che abitano sulla terra che facciano un’immagine della bestia”, questo è notoriamente il caso degli Stati Uniti d’America.
La Costituzione sulla quale essi sono fondati, garantisce, come abbiamo visto, “una forma di governo repubblicano”. Abbiamo così trovato un altro anello della catena di prove che confermano la nostra tesi: non esiste un altro governo cui ci si possa razionalmente riferire.
Una nazione protestante: La bestia con le due corna, è il simbolo di una nazione che non può essere di religione cattolica. Il papato è fondamentalmente l’unione tra la Chiesa e lo Stato; la Costituzione degli Stati Uniti, all’articolo 6 afferma che: “Nessun esame religioso sarà richiesto come condizione necessaria per qualunque carica o incarico pubblico”, stabilendo così una netta separazione tra chiesa e Stato. La libertà civile e religiosa è un principio fondamentale del protestantesimo. Coloro che per primi fondarono quello che sarebbe diventato il grande paese, avendo vissuto in precedenza nei loro paesi d’origine, la triste e dolorosa esperienza dell’unione tra Chiesa e Stato, si mostrarono gelosi di quelle libertà che consideravano e affermavano essere un diritto di tutti, manifestarono con sollecitudine quanto, tali libertà, fossero preferibili a quell’alleanza. Perciò, essendo gli Stati Uniti una nazione protestante, soddisfano la profezia anche dal punto di vista religioso.
Prima di passare ad esaminare e a discutere gli altri aspetti di questo simbolo profetico, ci sia permesso di riassumere i punti già stabiliti: La potenza simboleggiata dalla bestia con due corna, dev’essere una nazione diversa dai poteri civili ed ecclesiastici del vecchio continente.
Dev’essere nell’emisfero occidentale.
Si deve riscontrare che assume importanza e influenza verso il 1798.
Deve nascere in modo pacifico e “silenzioso”, e non deve aumentare il proprio territorio e il proprio potere, mediante guerre d’aggressione e di conquista, come fecero le altre nazioni.
Il suo progresso deve essere così evidente da stupire lo spettatore, come accadrebbe per la crescita percettibile di un animale davanti ai nostri occhi.
Nella sua forma di governo dev’essere repubblicana.
Deve appartenere alla religione protestante.
Quale indice del suo carattere e della democraticità del suo governo, deve presentare al mondo dei principi che sono per loro natura giusti, innocenti, “simili ad un agnello”. Deve cominciare la sua opera nel 1798.
Abbiamo appurato che, per quanto riguarda queste specificità, le troviamo nella storia sin qui trascorsa degli Stati Uniti d’America, e che nessun’altra nazione soddisfa queste esigenze profetiche. Terminiamo riaffermando che è impossibile applicare il simbolo di Apocalisse 13: 11, a qualunque altro Stato.
Parlò come un dragone: Dopo aver identificato con certezza la potenza simboleggiata dalla bestia con due corna, possiamo, senza paura di cadere nei pregiudizi, investigare il corso degli eventi di questa nazione, secondo quanto è stato indicato dalla profezia stessa. Nel farlo scopriremo una volta di più che il dragone, il primo dei simboli della catena profetica in esame, perseguitò implacabilmente la chiesa di Dio. La bestia che viene dopo, quella simile ad un leopardo, è stata anch’essa una potenza persecutrice, tanto che durante 1260 anni uccise milioni di credenti. Quando arriviamo alla terza bestia, “che aveva due corna come quelle di un agnello”, la profezia aggiunge che “parlerà come un dragone”. Tale espressione non può che significare che, ad un certo momento della sua esistenza, la sua natura muta: da quella d’agnello a quella di dragone, tanto che parla e agisce come aveva parlato ed agito il dragone, prima di lei. Ci sia concesso dire, a questo proposito, quanto sia doloroso per noi sapere che una nazione, nata pacificamente e consacrata a nobili princìpi di governo, si degraderà fino al punto di perseguitare il popolo di Dio. Non ci resta, però, altro da fare che di farci guidare nel nostro studio dal disegno divinamente ispirato, che la profezia ci ha mostrato. Dato che gli Stati Uniti, sono la potenza rappresentata dal simbolo che parla come un dragone, sappiamo che promulgheranno leggi oppressive ed inique contro la fede religiosa, e le forme di culto dei suoi cittadini, fino al punto da meritare l’appellativo di potenza persecutrice.
VERSETTO 12: Ed esercitava tutta la potestà della prima bestia, alla sua presenza; e facea si che la terra e quelli che abitano in essa adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata sanata.
Eserciterà un potere persecutore: Questa nazione, non solo parla come un dragone, ma è anche scritto che “esercita tutto il potere della prima bestia in presenza di lei”. Dai commenti precedenti sappiamo che la prima bestia, quella simile al leopardo, è il simbolo del papato. L’unica soluzione che se ne può trarre è che una nazione prettamente protestante eserciterà il potere persecutore del papato, diventando perciò pseudo-protestante, cioè il falso profeta menzionato in Apocalisse 19: 20, e di cui si può leggere nella rispettiva nota.
Questa potenza esercita il suo potere costringendo le persone sottoposte alla sua giurisdizione ad “adorare la prima bestia”, il papato. La parola greca qui tradotta con “adorare”, è assai indicativa; deriva dal verbo naturale “Kuneo”, “io bacio”, con una preposizione che indica che il bacio è diretto a qualcuno, in questo caso il papato, o il suo capo: il papa. Solitamente è tradotto con “rendere omaggio a… prostrarsi davanti a… “, cosi come lo rende la Versione dei 70 nel decreto di Nebucadnetsar che: “Ordinava a tutti i popoli, nazione e lingue” – “Voi vi prostrerete e adorerete la statua d’oro”, che era stata eretta nella pianura di Dura (Daniele 3: 4,5). Quest’adorazione consiste nel sottomettersi all’autorità di coloro che hanno emesso il decreto. Questo è il quadro che la profezia ci presenta, in merito all’adorazione resa al papato, da un popolo che si dice protestante.
VERSETTI 13-14: E operava grandi segni, fino a far scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva quelli che abitavano sulla terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare un’immagine della bestia che avea ricevuta la ferita della spada ed era tornata in vita.
“Fa grandi segni”: Nella parte della profezia, che anticipa l’opera della bestia con due corna, leggiamo che: “fa grandi segni, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini”. Questa dichiarazione è un’ulteriore conferma che la potenza rappresentata dalla bestia con due corna sono gli Stati Uniti d’America. Nessuno può negare che stiamo vivendo un’epoca di meraviglie; rimandiamo il lettore alle nostre osservazioni su Daniele 12: 24, per rileggere le stupefacenti scoperte della nostra epoca, e alcune descrizioni delle grandi conquiste della scienza e della ricerca. Ma la profezia non si compiace né del grande balzo della conoscenza, né, per quanto importanti siano, delle scoperte e delle invenzioni, perché i segni ai quali si riferisce furono realizzati con il manifesto proposito d’ingannare gli uomini, infatti al versetto 14 leggiamo che: “Ingannerà gli abitanti della terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia”. Ora non ci resta che capire attraverso quali mezzi si realizzano i miracoli in questione, perché in Apocalisse 16: 13-14, si parla di “spiriti di demoni, che fanno dei segni, per condurre i re della terra e di tutto il mondo”. Predicendo gli avvenimenti che si realizzeranno immediatamente prima della Sua venuta, il Salvatore disse: – Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti (Matteo 24: 24) -. Anche in questo passo sono stati predetti dei segni di seduzione così potenti che, se fosse possibile, sarebbero in grado di sedurre anche gli eletti. In questo modo, qui come in altri brani, si preannuncia che negli ultimi tempi si svilupperà una potenza operatrice di prodigi che si manifesterà in modo inaspettato e sorprendente, con lo scopo di diffondere l’errore e la menzogna. Gli “spiriti di demoni” appariranno a tutto il mondo, ma la nazione, che nonostante tutto ha un rapporto del tutto speciale, è quella rappresentata in Apocalisse 13, la bestia con due corna simili a quelle di un agnello, detto anche “falso profeta”. Dobbiamo quindi aspettarci che negli Stati Uniti si realizzerà anche quest’aspetto della profezia.
A che cosa ci fa pensare questo particolare? C’è qualcosa che ha a che fare con quanto abbiamo appena letto?
In tutte le classi sociali c’è un credo comune, un convincimento, che insegna che quando una persona muore, ed il suo corpo scende nella fossa, si distacca da lui “uno spirito”, “un’anima immortale”, per andare al luogo del castigo o della ricompensa. Questa convinzione logicamente induce uno a chiedersi: – se gli spiriti disincarnati sono vivi, perché non potrebbero comunicare con noi? -. Sono migliaia quelli che credendo di riuscirci, ci provano, e sono in tanti quelli che sostengono di comunicare con i parenti e gli amici defunti. Ma la Bibbia dichiara esplicitamente che i morti sono del tutto incoscienti, e inattivi, fino alla risurrezione; che i morti non sanno nulla (Ecclesiaste 9: 5); che in essi cessa ogni pensiero (Salmo 146: 6); che non vi è in essi alcuna emozione (Ecclesiaste 9: 6); che non vi è alcuna opera, né pensiero, né conoscenza, né sapienza, nel sepolcro in cui giacciono (Ecclesiaste 9: 10); perciò qualunque essere, o spirito che si presenti a noi asserendo d’essere uno dei nostri amici defunti, afferma ciò che la parola di Dio dichiara impossibile. Che i nostri parenti o amici defunti non ritornino a noi è sufficientemente ed esplicitamente dimostrato in Samuele 12: 23, in cui Davide, parlando del suo figliolo ucciso, dice: – Già egli è morto, io me ne andrò a lui, ma egli non tornerà a me -. Qualunque essere o spirito che si presenti a noi, non può essere un angelo buono, perché gli angeli di Dio non mentono. Gli spiriti dei demoni, mentono, loro si. Quest’inganno è stato la prima menzogna che il loro principe pronunciò in Eden quando, a proposito della morte, disse: “Non morrete”, mentre il Signore aveva chiaramente affermato: “MORRETE” (Genesi 3: 4; 2: 17).
Dove nacque lo spiritismo: Lo spiritismo moderno compie la profezia anche per quanto riguarda il luogo. Ebbe origine, infatti, negli Stati Uniti, e i suoi prodigi sono da mettere in relazione con l’opera della bestia con due corna. Lo spiritismo si manifestò per la prima volta a Hydesville, nello Stato di New York, in casa della famiglia di Jean D. Fox, alla fine di marzo 1848, e da quel momento si è diffuso con incredibile rapidità in tutto il mondo.
Queste presunte «rivelazioni” causarono molta agitazione, e alcuni personaggi si misero addirittura a studiare “l’inganno dei colpi”, com’erano chiamati, allora i fenomeni spiritistici. Da allora lo spiritismo moderno ha assunto una forma e un’importanza, sempre maggiore. È difficile quantificare il numero dei suoi adepti, perché moltissimi di coloro che ci credono e ne praticano gli insegnamenti, dichiarano di non appartenere a nessun’organizzazione ma, d’altra parte, sono tanti quelli che l’accettano, e che pur appartenendo a diverse denominazioni religiose, tentano di comunicare con i defunti.
E’ stato calcolato che nel Nordamerica, vi siano 16 milioni di spiritisti, e che nel resto del mondo, se includiamo gli aderenti alle religioni pagane nelle quali lo spiritismo svolge una parte importante, siano centinaia di milioni.
Lo confermò Sir Arthur Conan Doyle, alcuni anni fa: – Le semplici manifestazioni di Hydesville sono cresciute, riuscendo ad attrarre, negli ultimi vent’anni, il gruppo d’intellettuali più colto di questo paese; credo che stiamo per produrre il più grande sviluppo dell’esperienza umana che il mondo abbia mai conosciuto. Se un tale concetto del cristianesimo, fosse accettato dalle persone e fosse provata e confermata la certezza della nuova rivelazione, che come io credo ci giunge dall’al di là, sono certo che diffonderemo un credo che potrebbe unire le chiese, essere conciliato con la scienza, sfidare tutti gli attacchi, e sostenere la fede cristiana per un tempo indefinito -.
Gli insegnamenti dello spiritismo: Le dottrine che gli spiriti insegnano contraddicono apertamente la parola di Dio. Circa il loro atteggiamento verso la Bibbia, considerate questa loro dichiarazione:
– Non desideriamo nascondere la verità, e cioè che vi sono delle parti della Bibbia che non coincidono col nostro insegnamento, e sono quindi, in verità, una mescolanza d’errore che giunse per mezzo della mente del medium eletto. In nessun caso i libri sono, nella loro attuale condizione, l’opera dell’autore al quale sono attribuiti. Sono la raccolta fatta da Esdra e dai suoi scrivani, che non hanno fatto altro che inserirvi i concetti delle leggende dell’epoca. . . Diciamo questo allo scopo d’evitare di rispondere in seguito, ai passi di questi libri che si possono citare come testimonianza -.
Leggiamo ora quello che gli spiriti pensano di Cristo:
– Essi (gli spiriti) testimoniano inoltre che Gesù Cristo non ha niente a che vedere col problema della vita e della morte, ed essi non sanno nulla della “mediazione del nostro Salvatore Gesù Cristo”-.
Nel credo dello spiritismo non trova spazio nemmeno il 2° Avvento di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo: – Gesù Cristo sta ora mettendo a punto i suoi piani per raccogliere il suo popolo, per rivelare più chiaramente la verità, e purificare le convinzioni errate, che si sono accumulate nel passato. Ho saputo questo da altre fonti. Allora è questo il ritorno di Cristo? È un ritorno spirituale. Non vi sarà alcun ritorno fisico, come lo sogna l’uomo. Il ritorno al suo popolo sarà perciò nel comunicare, attraverso la voce dei suoi messaggeri, con coloro i cui orecchi sono bene aperti -.
I fenomeni dello spiritismo: Come sono indicative questa parola! Secoli fa, il veggente di Patmo dichiarò che negli Stati Uniti sarebbe nata una potenza che avrebbe fatto “gran segni”, ed ecco che si presenta lo spiritismo che sostiene di fare le stesse cose.
Lo spiritismo, nella manifestazione di grandi segni e prodigi, compie esattamente la profezia. Tra le cose che ha già compiuto possiamo ricordare: lo spostamento d’oggetti da un luogo all’altro senza una causa fisica apparente; musiche affascinanti prodotte senza l’intervento umano, con o senza strumenti musicali visibili; numerosi casi di guarigione, sostenute da numerose testimonianze; alcune persone sono state fatte levitare nell’aria dinanzi a numerosi testimoni; levitazione di tavole che restavano sospese nell’aria anche se appesantite da numerose persone; spiriti che si sono manifestati in forma corporea e che hanno parlato con voce percettibile.
La potenza di questa profezia deve “far scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini”. Ma anche questa, come le altre manifestazioni, ha lo scopo di sedurre, d’ingannare “gli abitanti della terra”. Gli avvertimenti che la parola di Dio ci da, ammonendoci a non avere alcun rapporto con loro, sono molto numerosi. Per questo motivo, al tempo della chiesa primitiva furono fatti ai fedeli solenni ammonimenti. – Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire, alcuni apostateranno dalla fede dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni (I° Timoteo 4:1). Il consiglio e l’avvertimento che Dio dà al Suo popolo degli ultimi tempi è: – Se vi si dice: ‘Consultate quelli che evocano gli spiriti e gl’indovini, quelli che sussurrano e bisbigliano’, rispondete: un popolo non dev’egli consultare il suo Dio? Si rivolgerà egli ai morti a pro de’ vivi? Alla Legge! alla testimonianza. Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui alcuna aurora! Se non parla così è perché non è stato avvertito!
VERSETTI 15-17: E le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia, onde l’immagine della bestia parlasse e facesse si che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi. E faceva si che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome.
Crea un’immagine della bestia: La creazione dell’immagine della bestia è in stretto rapporto con l’opera miracolistica. Il profeta, nel versetto 14, collega così le due cose: “E seduceva gli abitanti della terra, con i segni che le era dato di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare un’immagine della bestia che avea ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita”. L’inganno compiuto con i miracoli prepara la strada perché si senta la necessità che si faccia un’immagine della bestia.
Per capire cosa sarà l’immagine della bestia papale, dobbiamo prima avere un’idea precisa di cosa sia il papato stesso. Il pieno sviluppo della bestia, o l’istituzionalizzazione della supremazia papale, concessa dalla famosa carta di Giustiniano, ebbe inizio nel 538, e costituì il papa “capo della chiesa” e “il correttore di tutti gli eretici”. Il papato diventò, in questo modo, una chiesa investita del potere civile, un corpo ecclesiastico che aveva l’autorità di punire tutti i dissidenti, sia con la confisca dei beni, il carcere, la tortura, e la morte. Cosa sarà l’immagine della bestia? Un’altra istituzione ecclesiastica investita del potere civile: in poche parole l’unione della chiesa con lo stato. Come si potrebbe negli Stati Uniti realizzare un’immagine simile? S’investano le chiese protestanti del potere per giudicare e punire l’eresia, per imporre i suoi dogmi sotto la minaccia delle pene imposte dal potere civile, e allora ci accorgeremo se non abbiamo fatto la riproduzione esatta di quello che fu una volta il papato durante la sua supremazia. Certo! L’avremmo fatta. È possibile questa eventualità in un paese le cui pietre fondamentali sono la libertà civile e religiosa? E dov’è il diritto d’ognuno “alla vita, alla libertà, e alla ricerca della felicità”? Dato che tutto questo è stato riconosciuto per anni senza che sia mai stato messo in discussione? Andiamo ad analizzare le evidenze.
Una nazione fondata sulla libertà: La mano di Dio accompagnò quegli uomini nobili e timorati di Dio, che gettarono le basi della nuova nazione. Parlando davanti alla Associazione degli Avvocati del Connecticut, il deputato Enrich D. Estabrook disse: – In questo grande continente, che Dio ha tenuto nascosto in un piccolo mondo, in questo luogo con un nuovo cielo e una nuova terra, dove le cose vecchie sono passate, venne gente da molte nazioni, con diverse necessità, e di vari credi, ma unite nel cuore, nell’anima e nello spirito da uno stesso proposito. Il nostro popolo edificò un altare alla libertà, il primo che sia mai stato costruito e che si potesse costruire, e la chiamò: – la Costituzione degli Stati Uniti d’America -.
Questo avvenne nel 1787. Il profeta vide la bestia simile ad un agnello, salire dalla terra nel 1798. Non si trattava certo di una coincidenza. George Washington, il primo presidente degli Stati Uniti, nel suo discorso inaugurale disse: – Nessun popolo può sentirsi, più degli Stati Uniti, obbligato a riconoscere la Mano Invisibile che dirige gli avvenimenti umani. Ogni passo compiuto per avere una nazione dal carattere indipendente, sembra essere stato segnato da un provvidenziale intervento -.
Nella sua risposta a questo solenne discorso, il senato dichiarò: – Quando consideriamo la coincidenza delle circostanze, e la meravigliosa serie di eventi che hanno preparato il popolo di questa nazione all’indipendenza; quando consideriamo l’origine, lo sviluppo e la conclusione della recente guerra, che le ha assegnato un nome fra le nazioni del mondo, ci sentiamo come Voi indotti, inevitabilmente, a riconoscere ed a adorare il Grande Arbitro dell’Universo. Per la Cui Volontà gli imperi sorgono e cadono -.
La lotta contro la tirannia religiosa: Quegli uomini non solo erano pii, ma anche saggi e previdenti. Quando alcuni gruppi religiosi chiesero che: “Fosse incluso nella Costituzione il riconoscimento esplicito dell’Unico Vero Dio”, essi rifiutarono.
A proposito di quella contesa, Thomas Jefferson scrisse: – Questa pretesa fu respinta a grande maggioranza, a riprova che essi volevano tutelare con il loro manto protettivo sia il giudeo, sia il gentile, sia il cristiano, sia il maomettano, sia l’indù, sia l’infedele d’ogni denominazione -.
Il 18 febbraio 1874, la Commissione degli Affari Giudiziali della Camera, come risposta alla stessa richiesta, fece questa relazione:- Poiché questo paese, del cui governo si stanno ora gettando le fondamenta, dovrà essere la patria degli oppressi d’ogni nazione della terra, siano cristiani o pagani, e conoscendo pienamente i pericoli causati dall’unione tra chiesa e stato in tante nazioni del vecchio continente, concordammo all’unanimità che non sia conveniente inserire nella Costituzione del governo, alcuna clausola che possa riferirsi ad un qualunque credo religioso o dottrinale -.
La storia ha testimoniato che questi grandi uomini che posero le pietre fondamentali della grandezza degli Stati Uniti, guardarono nel futuro con un presentimento quasi profetico, prevedendo i pericoli che la libertà personale avrebbe dovuto un giorno affrontare.
I loro timori furono chiaramente espressi da Thomas Jefferson: – Lo spirito dei tempi può cambiare. E un giorno cambierà. I nostri governanti si corromperanno, e il nostro popolo diventerà negligente. Un solo fanatico può dare inizio alla persecuzione, e gli uomini migliori esserne le prime vittime. Non potremo mai ripetere abbastanza che il momento di fissare su base legale ogni diritto essenziale, è quando i governanti sono uomini d’onore, e tutti dello stesso pensiero come siamo noi. La possibilità di decadere dipenderà dalla conclusione di questa guerra. Dopo non sarà più necessario ricorrere in ogni momento al sostegno popolare. Lo stesso accadrà se dimenticheremo e disprezzeremo i suoi diritti. Il popolo stesso dimenticherà ogni cosa, tranne una: la possibilità d’arricchirsi, e non penserà più ad unirsi per ottenere il dovuto rispetto dei propri diritti. Se non spezzeremo tali catene in questa guerra, esse si faranno sempre più pesanti, e le avremo con noi per molto tempo: finche in una sommossa i nostri diritti rivivano o muoiano per sempre -.
Il 4 luglio 1788 il giudice Jacque Wilson in un discorso indicò in che modo i nemici della libertà fossero già all’opera. Egli così espresse la sua convinzione: – I nemici della libertà sono astuti e ingannevoli. Una contraffazione la deruba (la libertà) dei suoi abiti, imita le sue maniere, plagia la sua firma, prende il suo nome. Ma il suo vero nome è “abuso”. La sua insolenza è tale da accusare la libertà d’essere una finzione, e con audace sfacciataggine continuerà a sostenere che solo lui possiede il vero carattere, e che solo lui ha diritto al rispetto dovuto al personaggio di riguardo. Le sue pretese spesso prevalgono fra coloro che sono confusi, privi di discernimento, e che si lasciano troppo impressionare più dalla sua spudoratezza, che dal suo valore. L’abuso, la sfrenatezza e la licenziosità, ricevono allora gli onori che spetterebbero alla libertà, ed essa stessa è, a quel punto, trattata come una traditrice e un’usurpatrice. Ma generalmente quest’ardita falsità svolge solo un ruolo di secondo piano. Sebbene solo essa appaia sulla scena, i suoi gesti sono diretti dalla più oscura ambizione, che però rimane sullo sfondo, perché sa che il dispotismo, altro suo favorito, segue sempre il successo dell’abuso. Contro questi nemici della libertà che lavorano di concerto, quantunque appaiano contrapposti, il patriota deve rimanere sempre vigile e attento -.
Minacciati dal dominio ecclesiastico: La bestia “che è stata ferita di spada e guarì”, è il papato. Quella romana era una chiesa che dominava il potere civile. In altre parole, la chiesa imponeva i suoi dogmi religiosi servendosi del potere civile che, a sua volta, impartiva ai “trasgressori” le sanzioni quali: la confisca dei beni, il carcere, la morte; sanzioni che erano state decise di comune accordo con l’autorità ecclesiastica. Un’immagine della bestia sarebbe un’altra organizzazione ecclesiastica, investita dal potere civile; un’altra unione tra Chiesa e Stato, fatta per imporre leggi e dogmi religiosi. Abbiamo la prova che tutto questo si ripeterà, nel fatto che grandi e influenti organizzazioni protestanti stanno operando, oggi come in passato, allo scopo d’istituire ed imporre per legge, alcune norme religiose. Ecco i nomi di tali organizzazioni: NATIONAL REFORM ASSOCIATION; INTERNATIONAL REFORM BUREAU; LORD’S DAY ALLIANCE; FEDERAL COUNCIL OF THE CHURCHES OF CHRIST IN AMERICA. Inoltre, le società cattoliche degli Stati Uniti d’accordo con la loro tradizione secolare, perseguono lo stesso obiettivo. Alla fine queste due forze uniranno i loro sforzi sostenendosi l’una con l’altra.
La National Reform Association ammette che il suo obiettivo è: – Ottenere un emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti . . . che dichiari che essi sono una nazione cristiana, e d’inserire nella legge fondamentale del Paese, in forma assolutamente legale, tutte le leggi, le istituzioni e gli usi cristiani -. Il vescovo Earl Cranston, dottore di teologia della chiesa metodista-episcopale, circa il problema di fare degli Stati Uniti “una nazione cristiana”, durante un discorso fatto a Washington il 13 marzo 1910, fece queste osservazioni: – Supponiamo che questa nazione sia dichiarata cristiana in seguito ad un’interpretazione costituzionale. Che cosa significherebbe? Quali, delle due definizioni disputanti del cristianesimo, sarebbe quella indicata dalla parola “cristiana”? Certamente l’ideale protestante, perché nel nostro sistema la maggioranza governa, e la maggior parte degli statunitensi, è di fede evangelica. Molto bene! Ma supponiamo che per l’aggiunta d’alcuni territori limitrofi, con oltre 12 milioni di cattolici, l’annessione d’alcune isole con più di 6 milioni, e la stessa quantità di emigrati, portino i cattolici ad essere, nel giro di pochi anni, la maggioranza. Chi può dubitare, per un solo istante, che il papa successivo non assumerebbe il controllo legislativo e governativo? Si direbbe: – Questa è una nazione cristiana. Tale è stata definita fin dall’inizio, e così è stato per molti anni. Una maggioranza definì allora ciò che era il cristianesimo, la maggioranza (l’oratore gioca sul significato della parola che in lingua inglese indica anche “preminenza, superiorità”), definisce, ora, ciò che il cristianesimo è, e sarà -. Questa maggioranza sarebbe il papa…
L’Associazione, che è organizzata allo scopo di realizzare una cosi detta: “Riforma Nazionale”, e che non ha problemi ad unirsi col papato per raggiungere il suo fine, che è quello di istituzionalizzare una religione nazionale, dichiara: – Con fraterna gioia prendiamo atto che, nelle repubbliche del sud-America, in Francia e in altri paesi europei, i cattolici romani sono i difensori riconosciuti del cristianesimo nazionale, che si oppongono a tutte le proposte tendenti a secolarizzarlo… Sempre che siano disposti a cooperare per resistere all’avanzata dell’ateismo politico, ci troveranno sempre ben disposti ad aiutarli. In una Conferenza Mondiale per promuovere il cristianesimo nazionale, che si dovrebbe tenere al più presto, molti Paesi potrebbero essere rappresentati solo dai cattolici romani.
Vogliamo ora prendere nota dell’obiettivo, che le altre organizzazioni dichiarano di perseguire? In una relazione dell’International Reform Bureau, si può leggere: – L’Ufficio per la Riforma è il primo gruppo politico-cristiano fondato nella nostra capitale nazionale per dialogare col Governo, in favore di tutte le denominazioni -. Nelle pagine 61e 65 di questa relazione è scritto che il conseguimento di leggi che rendano obbligatoria l’osservanza della domenica, è uno degli obiettivi principali di questa, e d’altre organizzazioni. Parlando davanti alla Commissione Giudiziaria del Senato degli Stati Uniti contro il progetto della Corte Suprema, il prof.Theodore Graebuer, del Collegio di Concordia, St. Louis, fece questa interessante osservazione: – Più di cinquanta anni fa, la National Reform Association, cercò… di rendere cristiana tutta l’educazione pubblica, e così facendo, di fare di Gesù Cristo il Re della nazione… tale movimento esiste ancora oggi, e sta pubblicando un’enorme quantità di libri e riviste, allo scopo d’ottenere un emendamento in senso cristiano -.
Il vero obiettivo di queste organizzazioni è d’imporre, attraverso una legislazione legale, la religione alla gente; ottenere una legge domenicale, e disciplinare il cristianesimo delle persone. Un opuscolo pubblicato negli Stati Uniti dalla Lord’s Day Alliance, ci mostra i loro obiettivi:
1°) Preservare negli Stati Uniti il giorno del Signore. (la domenica)
2°) Ottenere in ogni stato, dove ancora non sia stato possibile, un’attiva intesa in tal senso.
3°) Indurre il Governo affinché dove sia possibile, dia egli stesso il buon esempio sull’osservanza del giorno di riposo.
Ottenere tutto questo vuol dire: leggi statali e nazionali che impongano l’osservanza della domenica attraverso lo stesso mezzo: vale a dire il controllo dello Stato da parte della Chiesa, cosa che avvenne nel IV° e nel V° secolo dell’era cristiana.
Il Concilio Federale delle Chiese di Cristo degli Stati Uniti, che per molti è il raggruppamento più potente e rappresentativa delle chiese protestanti statunitensi, al punto che già agli inizi rappresentava 18 organizzazioni e oltre 50 milioni di membri, esponendo i motivi della sua nascita, dichiarò: – Le grandi organizzazioni cristiane del nostro Paese devono restare unite… (nel trattare) problemi come quelli che si riferiscono al matrimonio, al divorzio, alla profanazione del giorno di riposo, ai problemi sociali, ecc.-.
Nel precisare come intendesse agire in merito alla profanazione del giorno di riposo, il Concilio dichiarava che: – Ci si opponga energicamente ad ogni violazione dei precetti e della santità del giorno del Signore, attraverso la stampa, l’alleanza delle associazioni in favore della domenica, ed a tutta la legislazione che si possa ottenere, allo scopo di proteggere e conservare questo baluardo del nostro cristianesimo americano -.
Si noti come, nei loro sforzi per “cristianizzare la nazione”, l’ottenimento di leggi per imporre l’osservanza della domenica, sia la costante attività di tutte queste organizzazioni. Molti però non si rendono conto che partecipando a questi tentativi, stanno ripudiando i princìpi del vero cristianesimo, del protestantesimo, e del Governo degli Stati Uniti. Essi stanno mettendosi nelle mani di quel potere che inventò il riposo domenicale, per mezzo del quale s’impadronì del potere civile: il papato.
Questo pericolo fu perfettamente individuato, più di un secolo fa, dai legislatori degli Stati Uniti.
Nel 1830 furono esaminate alcune petizioni per proibire nel giorno di domenica la consegna della corrispondenza e l’apertura degli uffici postali. Tali petizioni furono inviate alla Commissione delle Poste, nominata dal Congresso. La Commissione le respinse con una relazione sfavorevole, che fu poi accettata e ufficializzata per ordine del Senato degli Stati Uniti. La Commissione, che fu in seguito esonerata da ogni successiva considerazione inerente alla petizione, in merito alla pretesa costituzionalità della petizione, affermò:
– La Commissione ha cercato invano, in questo strumento, una delega di potere che autorizzasse questo organismo ad indagare ed a determinare quale parte di tempo l’Onnipotente avesse riservato per gli esercizi religiosi, e anche, se l’avesse mai fatto… La Costituzione considera la coscienza del giudeo sacra quanto quella del cristiano, e non da alcuna autorità perché si adottino mezzi che affliggano la coscienza di una singola persona, o di un’intera comunità. Il rappresentante che volesse violare questo principio perderebbe il suo carattere di delegato, e la fiducia dei suoi colleghi. Anche se il Congresso dichiarasse santo il primo giorno della settimana, non convincerebbe né il giudeo né il sabatista. Li lascerebbe entrambi contrariati, e conseguentemente non li convertirebbe . . . Se mediante un solenne atto legislativo, si definisce in “un” punto la Legge di Dio, o si indica al cittadino un dovere religioso, con lo stesso mezzo e per lo stesso principio si può procedere e definire “ogni” parte della rivelazione divina; imponendo l’obbligo religioso, anche nelle forme e nelle cerimonie di culto, si dà la dote alla chiesa, e si sostiene il clero. Coloro che elaborarono la Costituzione conoscevano il principio eterno del rapporto dell’uomo col suo Dio. Rapporto che sta sopra ogni legislazione umana. Quegli uomini sapevano che le libertà delle coscienze, sono diritti inalienabili -.
Cercano di stabilire la giustizia mediante la legge: È un vero peccato che i dirigenti religiosi del nostro tempo, non siano più così sensibili ai pericoli che, nella preccettazione legale dei dogmi religiosi, tendono insidie e pericoli alle persone semplici.
Non disprezziamo i nobili servigi che le chiese protestanti hanno offerto all’umanità e al mondo con l’introduzione della difesa dei grandi princìpi del protestantesimo, con la predicazione del Vangelo, e la difesa della libertà. Nessuno pensi che desideriamo gettare delle ombre sul carattere degli uomini impegnati nell’opera che stiamo esaminando. Essi sono uomini delle più alte qualità morali, sinceramente solleciti al benessere della nazione, persone che cercano con sincerità di frenare ed eliminare i mali che angosciano la società. Nessuno può dubitare che i loro sforzi sotto molti aspetti daranno buoni frutti. Auguriamo ad essi ogni successo, nella loro opera di diffondere la temperanza, la messa al bando della guerra, la salvaguardia della gioventù, e altri simili e nobili propositi. Tutti i credenti devono pregare e lavorare in favore di questi obiettivi. Ma perché si lasciano allora sviare, al punto di commettere un atto contro il quale la Bibbia lancia un solenne ammonimento? Il motivo è che si sono allontanati dal consiglio che Dio dà nella Sua Parola, e stanno cercando di stabilire a modo loro, su questa terra la giustizia e il regno di Dio. Hanno disprezzato le parti profetiche della Bibbia studiando le quali si può conoscere a che punto è il conflitto tra il regno di Satana e quello di Cristo, tenendo conto del tempo in cui viviamo, e come si può attivamente cooperare nel nostro tempo con la Divina Provvidenza. Hanno rotto la loro relazione con il Condottiero Divino, e con i mezzi da Lui impiegati per fare avanzare il Suo Regno sulla terra. Per di più hanno un concetto errato del Regno a venire. Sperano in un regno, frammisto d’elementi terreni, che dovrebbe stabilirsi col concorso di strumenti umani, attraverso l’uso di leggi terrene, quali il voto, l’educazione e la legislazione politica e sociale.
Con queste premesse non è poi strano che operino in contrasto con la Provvidenza di Dio. Non lasciandosi guidare dalla Parola di Dio, essi commettono un errore fatale. Quanto maggiore è l’ostinazione di una chiesa apostata, e che si conduce nell’errore, tanto maggiore è il danno arrecato.
L’apostolo Paolo parla di un tempo in cui gli uomini “avranno l’apparenza della pietà, ma avendone negata l’efficacia”.
Ci dispiace molto vedere le chiese protestanti agire attivamente al compimento di questo quadro profetico. Anche se hanno perso la potenza di Dio, conservano le forme esterne del culto cristiano. Avendo perso il potere Divino ricorrono sempre di più all’autorità dello Stato. Credono così di compensare le loro deficienze. Tutta la storia testifica che quando un’organizzazione ecclesiastica, che voglia dominare, perde lo Spirito e la Potenza Divina e sollecita il sostegno del braccio secolare, trasforma la religione in un affare di Stato. Accadrà così quando sarà creata l’immagine della bestia; infatti il profeta dichiara: “Le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia, affinché l’immagine della bestia parlasse; e faceva in modo che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi (Apocalisse 13:15).
Se si da vita ad un’organizzazione ecclesiastica, ed il governo la legalizza, concedendole il potere d’imporre al popolo i dogmi che le varie denominazioni possono adottare come comune base d’unione, cosa avremo? Esattamente ciò che la profezia esprime nel simbolo: l’immagine della bestia papale, resa viva dalla bestia con due corna, perché parli, e agisca con arrogante potere.
Il marchio della bestia: La bestia con due corna impone ai suoi sudditi il marchio della 1° bestia. Nella profezia sono stati introdotti tre agenti, e per evitare ogni confusione dobbiamo distinguerli attentamente.
La bestia papale è il potere indicato come “la bestia”, “la prima bestia”, “la bestia che era stata ferita di spada, e visse”, e “la bestia la cui paga mortale era stata sanata”. Tutte queste espressioni si riferiscono allo stesso potere, e ogniqualvolta si presentano nella profezia si riferiscono al papato.
La bestia con due corna è la potenza presentata e introdotta in Apocalisse 13:11, e nel resto della profezia è rappresentata dal pronome sott’inteso nei verbi “Fa”, “Inganna”, “Farà”, ecc, fino al versetto 17 con la possibile eccezione del verso 16, dove il verbo “faceva” può essere attribuito all’immagine della bestia. Negli altri verbi che implicano un pronome, questi si riferiscono inevitabilmente alla bestia con due corna.
In seguito l’immagine della bestia è comunemente chiamata “l’immagine”, in modo da non confonderla con un altro agente. L’azione attribuita all’immagine della bestia consiste nel parlare come un dragone, e d’imporre l’adorazione di sé stessa sotto pena di morte. È questo l’unico decreto rivelato dalla profezia che sarà imposto sotto pena di morte. Il marchio della bestia è imposto dalla bestia con due corna, o direttamente, o mediante il concorso “dell’immagine”. La pena per chi rifiuta di riceverlo è la perdita d’ogni diritto civile, il divieto assoluto di comprare e di vendere.
Il marchio è quello della bestia papale. Il messaggio del 3° angelo di Apocalisse 14: 9-12, costituisce un preciso, solenne e accorato ammonimento a non riceverlo, ed a non adorare la bestia. È questa infatti, secondo la profezia, la crisi che presto dovremo affrontare.
Alcune organizzazioni umane, guidate e soggiogate dallo spirito del dragone, ordineranno agli uomini di fare determinate cose, che in realtà sono l’adorazione di quella potenza religiosa apostata. La prima di tutte è l’accettazione del marchio. Coloro che rifiutano, perdono il diritto di cittadinanza, e diventano dei “paria” della terra. (emarginati, respinti, schiavi, rigettati ecc. N.d.T.). O accettano di tributare un culto all’immagine della bestia, o perdono la vita. D’altra parte Dio, poco prima che il Suo popolo affronti questa terribile crisi, invia, come vedremo in Apocalisse 14: 9-12, un messaggio in cui promette che chiunque accetterà di soddisfare quelle pretese, “berrà il vino dell’ira di Dio versato puro nel calice della Sua ira”. Chi si rifiuta di adempiere alle pretese dei governi umani, dovrà affrontare le pene più severe che gli uomini possano infliggere, chi, invece, obbedisce alle leggi terrene, affronterà le minacce più terribili della collera Divina. Il dilemma se obbedire a Dio o agli uomini, sarà risolto dagli abitanti della terra, sotto la pressione di due poteri. Sarà la prova più terribile che il mondo mai abbia conosciuto.
L’adorazione della bestia e della sua immagine, e il ricevimento del suo marchio devono costituire l’affronto più grande che si possa fare a Dio, per meritare una denuncia così severa.
Quest’opera si realizzerà, come abbiamo visto, negli ultimi giorni. Siccome Dio ci ha offerto nella Sua Parola tantissime prove che noi, oggi, viviamo negli ultimi giorni, nessuno sarà sorpreso dal giorno del Signore che “giunge come un ladro”. Allo stesso modo Egli ci ha fornito le testimonianze più chiare da cui possiamo capire cosa significhi ricevere il marchio della bestia, per evitare la terribile condanna che cadrà su quanti l’accetteranno. Dio non gioca con la speranza e i destini degli uomini, pronunciando una terribile condanna, contro un determinato peccato, per poi lasciarci nell’impossibilità di cautelarci non conoscendo questo peccato.
Quindi richiamiamo la vostra attenzione su questa importantissima domanda: – Cosa è il marchio della bestia? -. L’uso del marchio risale all’antichità. Thomas Newton dice: – Tra gli antichi c’era l’uso che i servi avessero il marchio del loro padrone, e i soldati quello del loro generale, ed i credenti in una divinità quello della divinità. Questi segni si mettevano generalmente sulla fronte o sulla mano destra, e consistevano in alcuni geroglifici, o nel nome del padrone espresso in lettere o in cifre, secondo la fantasia di chi l’imprimeva -.
Prideaux ricorda che Tolomeo Filopatore, ordinò che a tutti i giudei che avessero espresso la volontà d’essere registrati come cittadini d’Alessandria (l’alternativa era la pena di morte), fosse impresso un marchio con un ferro rovente, segno che consisteva in una foglia d’edera (simbolo del dio Bacco).
La parola greca tradotta con “marchio”, è “charagma”, e il significato è cosi definito: “Una scultura, qualcosa cesellata, un segno scolpito o stampato”. Nel Nuovo Testamento appare nove volte, e ad eccezione di Atti 17:29, si riferisce sempre al marchio della bestia. Non dobbiamo certo pensare che anche in questo caso si tratti di un marchio letterale. Stavolta è usata simbolicamente, per illustrare una situazione che si verrà a creare, e che realizzerà la profezia. Dal marchio letterale usato anticamente, apprendiamo alcuni particolari che sono presenti nel significato profetico, poiché tra la realtà e il simbolo che la rappresenta, vi è sempre una certa rassomiglianza. Nel suo uso letterale il marchio significava che la persona che lo riceveva, diventava serva di colui che era indicato nel simbolo; ne riconosceva l’autorità, e gli prometteva fedeltà. Perciò il marchio della bestia, o del papato, dev’essere qualcosa che si accetta di fare, e in cui si crede, e mediante il quale si riconosce l’autorità di quel potere di cui ha il nome. Cos’è?
Caratteristiche del potere papale: La cosa più logica sarebbe cercarlo fra le caratteristiche del potere del papa. Descrivendo questo potere col simbolo del piccolo corno, Daniele afferma che sarà lui a far la guerra a Dio, ad infrangere i santi dell’Altissimo, e che penserà di mutare i tempi e la legge. Il profeta chiarisce puntigliosamente questo punto: “Penserà di mutare i tempi e la Legge (Daniele 7:25)”, certo riferendosi alla Legge dell’Altissimo. Sostenere che quest’espressione alluda alla legge umana, significa stravolgere la profezia; rendendola cosi: “Dirà grandi cose contro l’Altissimo, e spezzerà i santi dell’Altissimo, e penserà di mutare la legge umana”. Sarebbe far violenza al linguaggio del profeta; ma se al termine “umana”, sostituiamo le parole: “Dell’Altissimo”, allora tutta la frase sarebbe logica e coerente. Il termine ebraico tradotto con “legge” è dath, e nella versione dei Settanta è nomos, e questa forma al singolare suggerisce chiaramente la Legge di Dio. Se si tratta di leggi umane, il papato può far di più che “pensare di cambiarle”, l’ha fatto ogni volta che ne ha tratto vantaggio. Ha annullato leggi di re e d’imperatori, e ha sciolto i sudditi dal giuramento di fedeltà reso ai legittimi sovrani. Col suo lungo braccio ha interferito negli avvenimenti delle Nazioni, e ha trascinato ai suoi piedi dei prìncipi che si prostravano nel più abietto servilismo. Ma il profeta ha visto atti di presunzione ancora più grandi. Lo vede tentare qualcosa che nessun uomo né organizzazione umana può compiere: cambiare la Legge dell’Altissimo. Ricordiamoci di questo intanto che esaminiamo la testimonianza d’altri autori sacri, relativi a quest’argomento.
L’apostolo Paolo parla dello stesso potere in 2° Tessalonicesi 2. Descrive la persona del papa come “l’uomo del peccato”, che s’innalza sopra “tutto ciò che si chiama Dio ed è oggetto di culto”, fino al punto “di sedersi nel tempio di Dio”, in altre parole la chiesa. In questo modo il papa esalta se stesso, come colui al quale la chiesa deve riguardare come autorità, al posto di Dio. Chiediamo al lettore di valutare attentamente questa domanda: come ci si può esaltare più in alto di Dio? Ripercorriamo tutta la strada dei disegni umani, arriviamo al tentativo estremo dell’uomo, e vediamo in che modo, con quale progetto, quale affermazione, quest’usurpatore avrebbe potuto compiere per porsi al di sopra di Dio.
Avrebbe potuto istituire tutte le cerimonie che avesse voluto, prescrivere qualunque forma di culto, ostentare tutta la potenza posseduta… ma poiché le persone ubbidirebbero, in ogni caso ai precetti di Dio, anziché ai suoi, non sarebbe “più in alto di Dio”. Potrebbe promulgare una legge, ed insegnare alla gente ad avere per essa lo stesso rispetto che ha per la Legge di Dio… ed anche così sarebbe solo “uguale” a Dio. Ma aveva in mente di fare più di questo. Voleva porsi “più in alto” di Dio. Con questo proposito si preparava a promulgare una legge che contrastasse la Legge di Dio, pretendendo che si rispettasse la sua legge, anziché quella dell’Onnipotente. Intuì che il modo più efficace per occupare la posizione che la profezia gli assegna, era di cambiare la Legge del Creatore del cielo e della terra. Pretendendo che le persone accettassero il cambiamento e gli ubbidissero, anziché ubbidire alla Legge originale, allora lui, che adulterò quella Legge, si sarebbe sentito più in alto del Dio Legislatore. Questa è l’opera che Daniele vide compiuta dalla potenza indicata nel piccolo corno.
Secondo la profezia il papato s’accingeva a quest’opera, e noi sappiamo che nessuno può impedire che la profezia si compia.
Ma quando accadrà tutto ciò? Cosa hanno gli abitanti del mondo? Hanno due leggi che esigono obbedienza. Una è la Legge Divina, così come fu rivelata in origine dall’Eterno, e che esprime la Sua Volontà e tutto ciò che Egli richiede alle Sue creature; l’altra è un’edizione riveduta della stessa legge presentata dal papa di Roma; espressione della sua volontà.
In che modo sarà reso manifesta la volonta degli abitanti della terra? Quale dei due poteri onoreranno e adoreranno? Scegliendo quale delle due leggi vorranno rispettare e onorare. Chi rispetta la Legge di Dio, come Lui ce la diede, è a Lui che obbedisce, è Lui che onora; se invece obbedisce alla legge modificata dal papato, allora è al papa che obbedisce, è il papa che onora.
La profezia, inoltre, non sostiene che il piccolo corno avrebbe messo da parte la Legge di Dio, né che ne avrebbe data un’altra completamente diversa. Questo non sarebbe stato cambiare la legge, ma semplicemente darne una nuova. Egli doveva “modificarla”. La Legge espressa da Dio e quella di provenienza papale, sono quasi uguali, tranne che nella “variazione” operata dal papato. Ma l’osservanza dei decreti in comune non distingue a quale dei due poteri si obbedisce, né chi si onora. La Legge di Dio dice: “Non uccidere.”, ma lo stesso divieto è imposto dalla legge modificata dal papato. Nessuno può stabilire se con l’osservanza di questo comandamento si vuole ubbidire a Dio o al papa. Ma se prendiamo in esame un precetto modificato, allora si! Quello ci fa capire che chiunque l’osservi nel modo che Dio lo ha espresso in principio, allora quello è un adoratore di Dio, e chiunque l’osservi nella “versione” modificata dal papato allora è segnato come un adoratore del potere che ha compiuto il cambiamento. Non vi è nessun altro modo per distinguere le due classi d’adoratori.
Nessuna persona sincera può dissentire da questa conclusione; essa, inoltre, da indirettamente una risposta, sia pure generale, alla domanda: – Cos’è il marchio della bestia? La risposta è molto semplice: – Il marchio della bestia non è altro che “il cambiamento che la chiesa di Roma ha tentato d’apportare nella Legge di Dio”.
I cambiamenti nella Legge di Dio: Vediamo in cosa consiste questo cambiamento. Per Legge di Dio intendiamo la Legge morale, l’unica Legge dell’Universo il cui impegno è immutabile ed eterno. A proposito del suo significato, cosi com’è conosciuto da quasi tutta la cristianità, Webster dice: – La Legge morale è perfettamente contenuta riassuntivamente nel Decalogo scritto da Dio col suo dito su due tavole di pietra, e consegnate a Mosé sul monte Sinai.
Nel nostro commento su Daniele 7: 25 relativo all’espressione: “Penserà di mutare i tempi e la legge”, abbiamo tratto dal Catechismo Romano, redatto sull’indiscussa autorità del Concilio di Trento e pubblicato per ordine di papa Pio V° nelle stamperie Vaticane a Roma, prove esaurienti tendenti a dimostrare che la chiesa ha cambiato il giorno del riposo settimanale dal 7°, al 1° giorno.
Anche se questo catechismo pubblica per intero il 4° comandamento, così com’è scritto nella Bibbia, e com’è riportato integralmente nella Versione Ufficiale della Bibbia in latino nella Vulgata e nelle Versioni Ufficiali in altre lingue, i catechismi che si usano ora per l’insegnamento in italiano omettono tutto il comandamento e al suo posto ordinano di: “Santificare le feste”. In francese raccomandano di: “Osservare le domeniche servendo Dio devotamente”, mentre in inglese sono soliti citare la prima frase del comandamento divino: “Ricordati del giorno di riposo” cui fa seguito una lunga testimonianza circa il cambiamento del giorno di riposo dal sabato alla domenica, che fu compiuto” per l’autorità della chiesa cattolica, e della tradizione apostolica”. Si dica pure ciò che si vuole del testo del catechismo del Concilio di Trento e della Bibbia Cattolica Romana, che conservano tutto il comandamento così com’è scritto nella Scrittura, questo non impedisce che l’esercizio costante dei prelati e dei sacerdoti, sia quello d’insegnare tutt’al più “l’istituzione” del giorno di riposo, e di fissarlo nel I° giorno anziché nel 7°, in “virtù” dell’autorità della chiesa romana.
Occorre ricordare che, d’accordo con la profezia, il papato avrebbe “pensato” di cambiare i tempi e la Legge. Questo implica “l’intenzione”, “il progetto”, e fa si che questi dettagli siano essenziali nel cambiamento in esame. Per quanto riguarda l’omissione del 2° comandamento, i cattolici argomentano che esso è incluso nel I°, e che perciò non lo si deve considerare un comandamento separato; in quanto al 10°, sostengono che vi sia una distinzione cosi chiara nelle finalità per cui occorrono due comandamenti, e lo dividono facendo del divieto di desiderare la sposa del prossimo il 9 ° comandamento, e del divieto di desiderare i beni del prossimo il 10°.
Nonostante le variazioni apportate il clero cattolico assicura che la Legge è esattamente come Dio vuole che si comprenda: e perciò, anche se consideriamo tali atti degli errori d’interpretazione, non possiamo considerarli dei “cambiamenti intenzionali”. Non si può, però, dire lo stesso per il 4° comandamento.
In quanto al 4° comandamento, la chiesa romana non pretende che la loro versione sia uguale a quella rivelata a Dio, anzi, affermano espressamente che in quel caso un cambiamento vi è stato; e che tale cambiamento è stato voluto dalla chiesa. Qui di seguito presentiamo alcuni esempi tratti dai catechismi posteriori a quello di Trento, e che sono ufficializzati dall’Imprimatur ecclesiastico.
Alcuni catechismi più economici non menzioniamo nessun cambiamento del giorno di riposo, ma dichiarano tassativamente che il giorno indicato nel comandamento è la domenica:
D.) Ripeti il 3° comandamento.
R.) Ricordati del giorno di riposo.
D.) Cosa ordina il 3° comandamento.
R.) Che si santifichi la domenica.
Altri dichiarano che fu la chiesa cattolica a cambiare il giorno di culto. In un “Catechismo di dottrina e pratica Cristiana”, per quanto riguarda il 4° comandamento, leggiamo:
D.) “Qual era il giorno di riposo?
R.) Il settimo giorno, il nostro sabato
D.) Voi osservate il sabato?
R.) No, osserviamo il giorno del Signore
D.) Qual è?
R.) Il primo giorno: la domenica
D.) Chi lo cambiò?
La chiesa cattolica”.
Nel notissimo catechismo di Baltimora, troviamo questa spiegazione:
D.) “Qual è il terzo comandamento?
R.) Il terzo comandamento è: ricordati che devi santificare il giorno di riposo.
D.) Cosa ci ordina il terzo comandamento?
R.) Il terzo comandamento ci ordina di santificare il giorno del Signore.
D.) Il giorno di riposo e la domenica, sono la stessa cosa?
R.) Il giorno di riposo e la domenica non sono la stessa cosa. Il giorno di riposo è il 7° giorno della settimana, ed è il giorno santificato sotto la legge antica; La domenica è il 1° giorno della settimana, ed è il giorno che si santifica sotto la legge nuova.
D.) Perché la chiesa ci ordina di santificare la domenica invece del sabato?
R.) La chiesa ci ordina di santificare la domenica invece del sabato, perché Cristo risuscitò dai morti di domenica, e di domenica inviò lo Spirito Santo agli apostoli”.
In un altro libro d’insegnamenti religiosi leggiamo:
D.) “Quale giustificazione abbiamo per osservare la domenica, piuttosto che l’antico giorno di riposo che era il sabato?.
R.) Abbiamo l’autorità della chiesa cattolica e della tradizione apostolica.
D.) Vi è qualche passo della Scrittura che insegni ad osservare la domenica come giorno di riposo, anziché il sabato?
R.) La Scrittura ci ordina d’obbedire alla chiesa (Matteo 18:17; Luca 10:16), e che ci atteniamo alla tradizione degli apostoli (2° Tessalonicesi 2:15), ma le Scritture non dicono niente riguardo al cambiamento del giorno di riposo”.
In un catechismo dottrinale, abbiamo al riguardo un’altra testimonianza:
D.) “Avete qualche altro modo per provare che la chiesa ha il potere d’istituire feste di precetto?
R.) Se non avesse tale potere, non avrebbe potuto fare quello che tutti gli autori moderni le riconoscono: non avrebbe potuto sostituire con l’osservanza della domenica, 1° giorno della settimana, quella del sabato, 7° giorno; cambiamento che non è autorizzato dalle Scritture”.
In un riassunto di dottrine cristiane, troviamo questa testimonianza:
D.) “Quale prova avete che la chiesa ha il potere di stabilire feste e giorni santi?
R.) Per il fatto stesso d’aver cambiato il sabato con la domenica. Cambiamento che anche i protestanti accettano, e osservando strettamente la domenica si contraddicono, perché violano nel frattempo la maggior parte delle altre feste stabilite dalla stessa chiesa.
D.) Come potete provarlo?
R.) Perché osservando la domenica riconoscono il potere che la chiesa ha d’istituire delle feste, e di comandare che siano santificate sotto pena di peccato”.
In un catechismo spiegato in modo semplice, abbiamo queste domande e risposte:
D.) “Qual è il terzo comandamento?
R.) Il terzo comandamento è: ricordati di santificare il giorno di riposo
D.) Cosa ci ordina il terzo comandamento?
R.) Il terzo comandamento ci ordina di santificare la domenica.
D.) Il giorno di riposo dei giudei era il sabato, perché noi cristiani santifichiamo la domenica?
R.) Perché la chiesa, in base al potere che nostro Signore le ha conferito, ha mutato l’osservanza dal sabato alla domenica”.
Questo è quello che il potere romano afferma d’aver compiuto sul 4° comandamento. I cattolici ci tengono a mettere in evidenza che non esiste nessuna disposizione biblica che autorizzi tale cambiamento, che esso si basa unicamente sull’autorità della chiesa. Indicano come segno dell’autorità della loro chiesa, il “fatto stesso d’aver mutato il sabato con la domenica”, e lo presentano come prova del loro potere.
Qualcuno può fare questa riflessione: – Io credevo che fosse stato Cristo ad aver cambiato il giorno di riposo -. Sono tanti quelli che lo credono, perché così è stato loro insegnato. Vogliamo solo ricordare ad essi che, in armonia con la profezia, l’unico cambiamento che si sarebbe compiuto nella Legge di Dio, sarebbe stato compiuto dal piccolo corno di Daniele 7, dall’uomo del peccato di 2° Tessalonicesi 2. E che l’unico cambiamento compiuto è quello che concerne il giorno di riposo. Per assurdo possiamo affermare che se fosse stato Cristo a fare questo cambiamento, allora Egli avrebbe avocato a Sé la responsabilità della potenza blasfema di Daniele e Paolo, e questa conclusione è inaccettabile per ogni cristiano.
Perché alcuni tentano di dimostrare che sia stato Cristo a mutare il sabato? Chiunque ci provi, compie una fatica inutile. Il papa stesso non lo gradisce. Se si riuscisse a dimostrarlo, egli sarebbe privato della sua signoria, della sua autorità, e del suo potere. Inoltre, a nessun protestante veramente illuminato sarebbe gradito compiere questa fatica, perché ammettendo che ci riuscisse, non avrebbe fatto altro che dimostrare che: 1°) il papato non ha compiuto l’opera predetta, 2°) la profezia ha fallito, perciò non è attendibile, e non si può avere fiducia nelle Scritture. È meglio lasciare il fatto così come lo presenta la profezia. Quando s’accusa qualcuno d’aver fatto qualcosa, ed egli s’affretta a riconoscerlo e si vanta d’averlo fatto, è perché ritiene d’avere sufficiente autorità per decidere in merito. Così, quando la profezia afferma che un determinato potere s’appresta a cambiare la Legge di Dio, e col tempo questo potere sorge, compie l’opera predetta, e immediatamente dopo si vanta di questa, di che cosa abbiamo bisogno per riconoscere che la profezia si è compiuta? Il mondo non deve dimenticare che la grande apostasia predetta da Paolo si è compiuta. Che “l’uomo del peccato” per lunghi secoli ha mantenuto ed esercitato sul mondo il monopolio degli insegnamenti cristiani. Che il “mistero dell’iniquità” ha ammantato con le tenebre della sua ombra e con gli errori delle sue dottrine quasi tutta l’umanità, e che la cosiddetta “teologia moderna” è il retaggio degli errori, delle tenebre e della corruzione del nostro tempo. Non è strano che sussistano ancora alcune reliquie del papismo, prima di poter affermare che la Riforma è completa? Alexander Campbell, fondatore della chiesa dei Discepoli di Cristo, parlando delle varie sette religiose, dice: – Tutte conservano nel loro seno, nelle loro organizzazioni ecclesiastiche, nei culti, nelle dottrine e nei riti, varie reliquie del papismo. Nel migliore dei casi sono modifiche del papismo, o riforme solo parziali. Le dottrine e le tradizioni umane, impediscono ancora la potenza e l’avanzamento del Vangelo tra gli uomini -.
La natura del cambiamento che il piccolo corno tentato d’apportare nella Legge di Dio è tale, da meritare un’attenta analisi.
Fedele al suo proposito di porsi al di sopra di Dio, volle cambiare il solo comandamento che, tra tutti, è quello fondamentale, perché fa conoscere il Legislatore, e contiene la Sua firma di regalità.
Il 4° comandamento è tutto questo, mentre nessun altro lo è. E’ vero che altri quattro contengono la parola “Dio”, e che tre di essi hanno la parola Yahwé; ma chi è il “Dio Yahwé”, di cui si parla? È impossibile definirlo senza il 4° comandamento, perché tutti gli idolatri usano rivolgersi ai molteplici oggetti della loro adorazione con i termini “dio” e “signore”. Ma quando si considera il 4° comandamento, che nomina l’Autore del Decalogo (e di tutto il Creato), si cancellano con un solo tratto di penna tutte le false e pretestuose affermazioni degli “dei” falsi. Il Dio che nel 4° comandamento chiede il nostro culto, non è un essere creato, ma Colui che creò tutte le cose. Il Creatore della terra, del mare, del sole, della luna, e di tutto l’esercito di stelle; il Sostentatore e il Governatore dell’Universo; è Colui che vuole, e dalla Sua Suprema posizione ha il diritto di farlo, la nostra totale considerazione, e il nostro rispetto ad ogni Sua Volontà. Il 4° è il comandamento che ci fa conoscere questi fatti e perciò quello che qualsiasi potere, che volesse elevarsi più in alto di Dio, avrebbe logicamente tentato di cambiare. Dio ci diede il sabato affinché ogni settimana ci ricordiamo di Lui, e lo fece anche come istituzione commemorativa dell’Opera che Egli compì creando i cieli e la terra, e infine come potente ostacolo al paganesimo e alla idolatria. Il 4° comandamento è la firma e il sigillo della Legge. Il papato, con la sua pratica e i suoi insegnamenti, lo ha tolto dal suo luogo e lo ha sostituito con un’altra istituzione che la chiesa romana presenta come segno della sua autorità.
La risoluzione fra il sabato e la domenica: Questa sostituzione del 4° comandamento, dev’essere perciò, il mutamento che la profezia indica, e la domenica quale giorno di riposo dev’essere il marchio della bestia. Può darsi che vedendosi di fronte a questa conclusione, alcuni di quelli ai quali è stato da tanto tempo insegnato a considerare questa istituzione con rispetto, si ritraggano quasi terrorizzati. Lo spazio non ci permette, e comunque non è il caso, di inoltrarci in un’ampia e dettagliata discussione sulla questione del sabato, o di esporre l’origine e la natura dell’osservanza del 1° giorno della settimana. Ci sia solo consentita questa considerazione: se l’osservanza del 1° giorno della settimana non ha alcun fondamento scritturale, e se questo insegnamento è stato introdotto come istituzione cristiana, e quindi intenzionalmente messo al posto del sabato del Decalogo, dalla potenza simboleggiata dalla bestia, che lo fece a conferma del suo potere di legiferare in seno alla chiesa, non è inevitabile che: il cambiamento dal sabato alla domenica è il marchio della bestia? La risposta è certamente affermativa. Le ipotesi che abbiamo esposte poc’anzi sono tutte certezze!
Chi riceve il marchio della bestia?: Si dirà anche:- Allora tutti gli osservatori della domenica hanno il marchio della bestia allora tutte le buone persone dei secoli passati che osservarono questo giorno ricevettero il marchio della bestia; allora Lutero, Withefield, Wesley, e tutti coloro che fecero una nobile e grande opera di riforma, ricevettero il marchio della bestia; allora tutte le benedizioni riversate sulla chiesa riformata, caddero su quelli che avevano il marchio della bestia; e tutti i credenti dei nostri giorni, che osservano la domenica come giorno di riposo, hanno il marchio della bestia -. No! Non è così. Ci dispiace dover ricordare che, alcuni di quelli che si vantano di insegnare religione, nonostante siano stati da noi corretti molte altre volte, insistono a calunniarci su questo punto. Non abbiamo mai sostenuto quella tesi, né mai l’abbiamo insegnata. Le nostre premesse non portano a quella conclusione.
Vi preghiamo di prestarci la vostra attenzione. Il marchio e l’adorazione della bestia sono imposti dalla bestia con due corna. Il ricevimento del marchio è un atto specifico, e sarà la bestia con due corna che lo farà imprimere. Il messaggio del 3° angelo di Apocalisse 14, è un ammonimento misericordioso, fatto in anticipo, che ha lo scopo di preparare le persone sul pericolo che si avvicina. Non ci può essere né marchio, né adorazione della bastia, nel significato profetico, se non sono “imposti” dalla bestia con due corna, e se non sono deliberatamente accettati dagli individui.
Abbiamo visto che “la volontà” era essenziale per il cambiamento che il papato operò nella Legge di Dio, affinché tale cambiamento costituisse il marchio del suo potere; allo stesso modo è necessaria “la volontaria accettazione” del segno papale, perché l’individuo riceva il marchio. In altre parole, una persona deve adottare il cambiamento, sapendo che è opera della bestia, e riceverlo in segno di accettazione dell’autorità di quel potere, in opposizione alle intimazioni e ai precetti di Dio, prima che si possa affermare che ha ricevuto il marchio della bestia. Che diremo allora di quelli dei quali abbiamo parlato prima, che hanno, quando erano in vita, osservato la domenica? E della maggioranza di quelli che la osservano oggi? La osservano forse come istituzione papale? No! Hanno deciso tra la domenica e il sabato del Signore, comprendendo le esigenze dei due poteri? No! In base a quale ragionamento la osservarono e la osservano tuttora? Essi supponevano e suppongono ancora di obbedire a un comandamento Divino. Hanno essi il marchio della bestia? Assolutamente no! La loro condotta si può attribuire ad un errore recepito inconsapevolmente dalla chiesa cattolica, e non come un atto di volontaria obbedienza. Ma nel futuro che accadrà? La chiesa che si prepara per la seconda venuta di Cristo dev’essere completamente pura dagli errori e dalle corruzioni papali. Per questo deve compiere una riforma riguardo al giorno di riposo. Il terzo angelo di Apocalisse 14 annuncia i comandamenti di Dio, e richiama gli uomini al vero giorno di riposo. Il dragone si adira; egli controlla così strettamente gli empi governi della terra, fino ad indurli ad esercitare tutta la loro autorità, perché si obbedisca ai precetti dell’uomo del peccato. Allora sarà chiaramente esposto all’umanità il quesito sul quale deve decidere. La Legge Divina comanda che si osservi il vero giorno di riposo; la legge della chiesa cattolica, delle chiese pseudo-protestanti, e della nazione pretende che si osservi il falso giorno di riposo. Per coloro che rifiutano di osservare quello vero, è diretta la minaccia dell’ira di Dio versata pura; per quelli che rifiutano il falso c’è la minaccia di persecuzione e di morte da parte dei governi umani.
Di fronte a questo dilemma, come si comporta colui che cede alle pretese umane? In pratica dice a Dio: – Io conosco i Tuoi precetti, ma non li osserverò. So che il potere cui mi si ordina di obbedire non è cristiano, ma cedo per salvarmi la vita. Rinuncio a esserti fedele e mi piego davanti all’usurpatore. D’ora in avanti la bestia è l’oggetto della mia adorazione; d’ora in poi, in opposizione alla Tua Autorità, mi allineo sotto la sua bandiera, e ad essa, sfidando i Tuoi avvertimenti, da questo momento, consegno obbediente il mio cuore e la mia vita -.
Sarà questo lo spirito di quelli che adorano la bestia; uno spirito d’insulto al Signore dell’Universo, uno spirito pronto ad abbattere il Suo governo e ad annullare la Sua autorità e il Suo Trono, se solo ne avessero la possibilità. È quindi strano che l’Eterno pronunci contro un comportamento cosi sfrontato verso il cielo, la minaccia più terribile contenuta nella Sua Parola?
L’opera finale: Abbiamo visto cosa sia esattamente l’immagine della bestia, che la bestia con due corna creerà. Abbiamo anche provato che negli Stati Uniti ci sono le condizioni perché tutto questo succeda. Abbiamo anche visto cosa è il marchio della bestia, che si cercherà d’imporre a tutti. Un’organizzazione ecclesiastica, composta da varie sette nazionali, coalizzate con il cattolicesimo romano, quando riuscirà ad ottenere dal governo federale una legge civile che imponga l’osservanza della domenica, compirà ciò che la profezia predice in merito all’immagine della bestia e al suo marchio. Questi movimenti, o il loro esatto equivalente, sono ciò di cui la profezia abbisogna per realizzarsi. La serie delle prove che conduce a queste conclusioni è così precisa, e diretta, che diventa impossibile ignorarle: sono la chiara conseguenza delle premesse che ci sono state mostrate
Quando, nel 1850, si applicò per la prima volta Apocalisse 13: 11-17 agli Stati Uniti, e furono accettate le ipotesi relative all’unione tra la chiesa e un movimento favorevole alle leggi domenicali, non esistevano ancora degli indizi che facessero dubitare che questo problema sarebbe sorto, eppure la profezia era lì. Gli Stati Uniti avevano offerto molte prove della loro situazione, sia per le modalità e per il periodo in cui si formarono, sia per il loro carattere. La potenza rappresentata dalla bestia con due corna erano loro. Non era sbagliato considerarli tali, né poteva esserlo. Esistevano delle predizioni profetiche che prefiguravano l’unione tra Chiesa e Stato, e l’imposizione del giorno di riposo come marchio della bastia. In quel tempo accettare l’idea che gli Stati Uniti avrebbero finito per avere quest’atteggiamento, non era un semplice atto di fede, dato che ancora non c’era alcuna prova concreta in merito. I fondatori della repubblica americana, nell’elaborare le leggi fondamentali, erano intenzionati a fare in modo che una simile eventualità non si verificasse, né che si manifestasse mai un conflitto di coscienza. La Costituzione Federale e la maggior parte delle costituzioni degli stati, hanno delle clausole che garantiscono la piena libertà religiosa. Ma dal 1850 la crescita del movimento a sostegno delle leggi domenicali, dimostra ampiamente che la profezia si compirà, e questo a prescindere dalle garanzie volute dai padri fondatori della nazione contro l’intolleranza.
La profezia non spiega esattamente in che modo si svilupperà la tirannia; in che modo essa agirà sulle coscienze, sugli animi e sui corpi degli uomini. Potrebbe arrivare da un uomo, o da gruppi politici, religiosi, o d’altro genere. Ma dominerà tutti: piccoli e grandi. Controllerà la finanza, perché i ricchi e i poveri ne saranno condizionati. Guiderà l’economia, nessuno infatti potrà comprare e vendere senza il suo permesso, cioè senza il marchio. Imporrà la religione, perché costringerà tutti, sotto pena di morte, a adorare nel modo che le sue leggi imporranno.
E’ doloroso credere che la persecuzione religiosa possa macchiare la storia di una nazione fondata sulla libertà di tutti, e per tutti. Dalla sua stessa fondazione gli statisti più accorti riconobbero che la tendenza ad imporre per mezzo di decreti civili i dogmi religiosi, è una cosa troppo comune nel cuore dell’uomo; e che essa conduce alla persecuzione più feroce, ed alle più tragiche conseguenze. Onore alla nazione che nella sua storia ebbe nobili patrizi che tennero in scacco questa tendenza, di cui i fondatori previdero la manifestazione. Nessuno può chiudere gli occhi da non accorgersi che, alla pari con questi nobili sforzi, ci sono state le intenzioni di certi dirigenti religiosi, decisi a percorrere la strada che porta ad imporre con la forza i loro credi e i loro dogmi.
La profezia preannuncia che il tempo della persecuzione arriverà. La bestia con due corna costringerà tutti a ricevere un marchio, e cercherà d’uccidere tutti quelli che rifiuteranno d’adorare l’immagine; in altre parole farà volontariamente la prima e tenderà con ogni mezzo a perseguire l’altra. Promulgherà la legge per punire i ribelli, ma questo non significa che tutti saranno uccisi. Crediamo che le vittime non saranno molte, perché Dio interverrà in favore del Suo popolo. Coloro che serberanno le parole della costanza di Cristo, saranno guardati da ogni rovina, in quell’ora di tentazione (Apocalisse 3: 10). Coloro che faranno di Dio un rifugio sicuro, saranno protetti da ogni male (Salmo 91:9- 10). Tutti quelli che saranno trovati scritti nel libro, saranno liberati (Daniele 12:1). Saranno redenti essendo vincitori di-fra gli uomini, sulla bestia e sulla sua immagine, ed innalzeranno davanti al Trono di Dio un canto di trionfo.
VERSETTO 18: Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero della bestia, poiché è numero d’uomo; e il suo numero è 666.
Il numero del suo nome: Il numero della bestia è “numero d’uomo”, dice la profezia. Dovendo provenire da un nome o da un titolo, è naturale che sia il suo nome o il titolo di qualche uomo particolare o rappresentativo. L’espressione più plausibile che abbiamo e che contiene il numero della bestia è uno dei titoli onorifici del papa di Roma. Questo titolo è “VICARIUS FILII DEI”, vicario del Figlio di Dio. È molto interessante il fatto che la Versione Cattolica della Bibbia in inglese, la Donay, a proposito di questo versetto faccia questo commento: – Le lettere numeriche del suo nome formeranno questo numero -. Scegliendo in questo titolo le lettere che erano usate come numeri romani, abbiamo: V=5; I=1; C=100; I=1; U (che anticamente era scritta come la V) =5; I=1; L=50; I=1; I=1; D=500; I=1. Sommando queste cifre otteniamo 666.
Si è pensato che il valore numerico del titolo del papa dovesse essere calcolato secondo il valore che i greci davano alle lettere, dato che Giovanni scrisse in greco; ma siccome il titolo è in latino, ed il latino è la lingua ufficiale della chiesa di Roma, e della Bibbia che essa ha adottato, La Vulgata, un tale procedimento annullerebbe il valore numerico di quel titolo che è in lingua latina. È più che ragionevole che un titolo latino esprima i suoi valori numerici in latino, piuttosto che i valori che tali lettere hanno in un’altra lingua: in altre parole in greco. In quanto all’uso d’indicare con i numeri corrispondenti i nomi degli uomini, Thomas Newton e Adam Clarke, nei loro libri: “DISSERTAZIONE SULLE PROFEZIE” e “COMMENTO AL NUOVO TESTAMENTO”, così scrivono: – Era assai comune fra gli antichi, indicare i nomi con dei numeri. L’uso di rappresentare i numeri con le lettere dell’alfabeto diede origine, fra gli antichi, alla consuetudine d’indicare i nomi con dei numeri. Fra gli scrittori pagani, giudei e cristiani, ci sono molti esempi di questo tipo. Era un metodo usato dagli antichi, indicare il nome con dei numeri. Per esempio il nome di TOT, o Mercurio degli Egizi, era indicato col numero 1218… È stata la regola seguita in tutta la dispensazione divina, che lo Spirito Santo adatti le Sue espressioni agli usi, ai costumi, e agli stili in vigore nelle varie epoche. Perciò, siccome questa strana pratica numerica era assai comune fra gli antichi, non è poi così strano che anche la bestia ne abbia uno: che è 666 -.
Questo titolo “VICARIUS FILII DEI”, o in qualche altra forma equivalente, è apparso così frequentemente nella letteratura cattolica romana, che non sembrano quasi necessarie altre prove a sostegno della sua importanza e veridicità. Ecco alcune delle sue varianti: Vicario di Cristo, Vicario di Gesù Cristo, Vicario di Dio. Una citazione del cardinale Manning spiega il perché delle diverse forme dello stesso titolo: – Allo stesso modo anche ora dicono: “Si guardi questa chiesa cattolica, questa chiesa di Dio, debole e respinta anche dalle nazioni che si ritengono cattoliche. Sono lì: la cattolica Francia, la cattolica Germania, la cattolica Italia, che rifiutano e contestano l’idea del potere temporale del Vicario di Cristo. Così, poiché la chiesa appare debole, e il Vicario del Figlio di Dio sta rivivendo la passione del Suo Maestro sulla terra, tutti ci scandalizziamo e ci voltiamo dall’altra parte -. (il grassetto è nostro). Anche in altre parti del libro da cui è stato tratto questo brano, sono usate diverse variazioni dello stesso titolo.
A proposito dell’importanza della posizione che il papa ha, secondo il significato del titolo che stiamo esaminando e delle sue varianti, citiamo J. A. Wylie, che nel suo commentario de “L’apologia di Enodio”, scritta in difesa di papa Simmaco, scrisse: – Riteniamo che il Concilio (di Roma del 502 o del 503), convocato da Teodorico, abbia trascurato d’investigare sulle accuse, mosse a papa Simmaco, per le ragioni presentate dal difensore Enodio, in altre parole che il papa in qualità di Vicario di Dio era giudice d’ogni cosa, ed egli stesso non poteva essere giudicato da nessuno -.
: – In quest’apologia – osserva Mosheim – il lettore avvertirà che si sono già gettate le basi fondamentali di quell’enorme potere che i papi di Roma acquisiranno sempre di più -.
Negli ultimi anni la validità del titolo è stata oggetto di disputa. Esistono numerose prove storiche che questo titolo, che il vescovo di Roma acquisì, servì per sostenere l’autorità dei papi, mentre istituzionalizzavano la loro supremazia temporale. Questo soprattutto durante l’apogeo del romanesimo medioevale, ma poi se ne servirono per conservare la loro autorità spirituale fino ai nostri giorni.
Questo specifico titolo “Vicarius filii Dei“, si ritrova già in un documento conosciuto storicamente come la “Donazione di Costantino”, e risalente al periodo compreso fra il 752 e il 754. Anche se più tardi fu provato che tale documento fu scritto da un’altra persona, e che fu firmato col nome di Costantino per dargli il peso della sua autorità, com’erano soliti fare nel medioevo. Questa cosiddetta “Donazione di Costantino”, fu utilizzata per almeno sette secoli da nove papi per ufficializzare e legalizzare la supremazia temporale e spirituale dei vescovi di Roma.
Il titolo stesso fu ovviamente un’invenzione per definire l’incarico di Pietro quale primo papa, in armonia della ben nota pretesa della chiesa cattolica romana, che le parole di Gesù riportate in Matteo 16:18-19, conferissero a Pietro il primo episcopato della chiesa, pretesa che i protestanti non hanno mai accettato (meglio dire “ancora”); e che questo primato episcopale si trasmetteva ai suoi successori nella sede papale, come ancora oggi la chiesa romana sostiene.
: – Il documento che presenta il titolo, fu ufficializzato da un concilio ecclesiastico – dice Bivio, alto dignitario cattolico-romano di Colonia, citato da Robbé e Cossart – e fu poi incorporato nella legge canonica cattolico-romana da Graziano, e quando essa fu riveduta e pubblicata, con l’approvazione di papa Gregorio XIII, il titolo fu conservato -. Quando Lucio Ferraris scrisse il suo elaborato teologico verso il 1755. Sotto il nome “Papa” scrisse il titolo VICARIUS FILII DEI, e come autorità a sostegno citò la legge canonica riveduta. E poi di nuovo, quando l’opera del Ferraris venne riveduta, ampliata e pubblicata a Roma nel 1890, si mantenne in essa sia il documento, sia il titolo.
A proposito dell’opera teologica del Ferraris, che abbiamo appena citato, l’Enciclopedia Cattolica, afferma che: – Sarà sempre una preziosa miniera d’informazioni -.
Per continuare, e completare, citiamo in latino la “Donazione di Costantino”, ufficializzata da un concilio ecclesiale, incorporata nella legge canonica romana, e citata dal Ferraris: – Ut sicut Petrus in terris VICARIUS FILII DEI fuit constitutus, ita et Pontifices eius successores in terris principatus potestatem amplius, quam terrenae imperialis nostrae serenitatis mansuetudo habere videtur -.
Cristophe Coleman traduce questo paragrafo della legge canonica di Graziano così: – Cosi come il beato Pietro fu costituito Vicario del Figlio di Dio in terra, cosi anche i pontefici, che sono i successori di quello stesso principe degli apostoli, devono ottenere da noi e dal nostro impero il potere di una supremazia più grande della clemenza della nostra serenità imperiale terrena -.
Una traduzione più libera fatta da Edwin Lee Johnson, professore di latino e greco dell’Università di Vanderbilt, dice: – Esattamente come il beato Pietro fu nominato in terra Vicario del Figlio di Dio, allo stesso modo ci sembra che i pontefici suoi successori, abbiano sulla terra il potere del governo principale, più di Sua Eccellenza e Sua Imperiale Serena Altezza in terra -.
Termina così il capitolo 13 dell’Apocalisse, lasciando il popolo di Dio di fronte ai decreti di morte e all’ostracismo che gli si getta contro, perché s’adegua ai Comandamenti di Dio. Nel tempo fissato lo spiritismo realizzerà i suoi prodigi più stupefacenti ingannando tutto il mondo, fuorché gli eletti (Matteo 26: 24; 2° Tessalonicesi 2: 8-12). Sarà l’ora della tentazione che sorprenderà tutto il mondo, per provare tutti quelli che abitano sulla terra, com’è scritto in Apocalisse 3: 10. Cosa c’è in gioco in questo conflitto? Questa importante domanda non resterà senza risposta. I primi cinque versetti del capitolo successivo completano la catena di questa profezia, e preannunciano il glorioso trionfo dei campioni della verità.
VERSETTI 1-5: Poi vidi, ed ecco l’Agnello che stava in pie’ sul monte Sion, e con lui erano centoquarantaquattromila persone che aveano il loro nome e il nome di suo Padre scritto sulle loro fronti. E udii una voce dal cielo come rumore di molte acque e come rumore di gran tuono; e la voce che udii era come il suono prodotto da arpisti che suonano le loro arpe. E cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti alle quattro creature viventi ed agli anziani; e nessuno poteva imparare il cantico se non quei centoquarantaquattromila, i quali sono stati riscattati dalla terra. Essi son quelli che non si sono contaminati con donne, poiché son vergini. Essi son quelli che seguono l’Agnello dovunque vada. Essi sono stati riscattati di fra gli uomini per esser primizie a Dio e all’agnello. E nella bocca loro non è stata trovata menzogna: sono irreprensibili.
Una caratteristica consolante della parola profetica è che il popolo di Dio, durante le prove e le difficoltà, non appare mai in condizioni disperate. Dopo avergli mostrato le immagini del pericolo futuro, la voce della profezia non l’abbandona nelle difficoltà, e neppure nel dubbio di non ricevere soccorso, o della sconfitta. Lo conduce sino alla fine, e gli anticipa il trionfo dei fedeli.
I primi cinque versetti di Apocalisse 14 ne sono un esempio. Il capitolo tredici termina presentandoci il popolo di Dio come un piccolo gruppo, apparentemente debole e indifeso, in mezzo a un mortale conflitto con le potenze più potenti della terra, e che il dragone è riuscito a mobilitare al suo servizio. Con l’appoggio della suprema autorità del paese, si approva una legge che ordina che tutti adorino l’immagine della bestia e ne prendano il marchio, minacciando di morte tutti coloro che si rifiutano d’obbedire.
Che cosa possono fare i figli di Dio in un tale conflitto, in una simile necessità? Che ne sarà di loro?
Seguiamo l’apostolo nella scena successiva allo sviluppo del dramma, cosa vediamo? Lo stesso gruppo, in piedi sul monte Sion in compagnia dell’Agnello. Adesso quella è una compagnia vittoriosa, che suona sinfonie celesti, accompagnandosi con arpe tutte d’oro. In questo modo vuole confortarci, rivelandoci che, quando sopraggiungerà il conflitto contro le potestà delle tenebre, non solo ci è assicurata la vittoria e la liberazione, ma che saranno immediate.
I 144000: Crediamo che i 144000, che sono ora sul monte Sion, siano i santi che in Apocalisse 13, siano stati l’oggetto dell’ira della bestia e della sua immagine.
Riconosciamo in loro i suggellati descritti in Apocalisse 7, che sono stati presentati come i giusti viventi al momento del 2° Avvento di Cristo. Sono stati “acquistati di tra gli uomini” (versetto 4), espressione con la quale si possono indicare solamente coloro che sono traslati di-tra i viventi. Paolo operò con la speranza di prendere parte alla risurrezione dei morti (Filippesi 3: 11). Questa, è la speranza di coloro che dormono in Gesù Cristo: la risurrezione dei morti. Una redenzione di tra gli uomini dev’essere qualcosa di diverso, e può significare solo una cosa: la traslazione. Perciò i 144000 sono i santi viventi, che saranno traslati quando Cristo ritornerà (vedi comm. sul vers. 13).
Su quale monte Sion Giovanni vede questa compagnia? Sul monte Sion, il monte celeste; poiché il canto dei suonatori d’arpa, che proviene da questo gruppo, sembra provenire dal cielo.
È lo stesso Sion da cui il Signore farà udire la sua voce, quando annuncerà al popolo la venuta del Figlio dell’uomo (Gioele 3: 6; Ebrei 12: 25-28; Apocalisse 16: 17). Accettare la dottrina dell’esistenza, nel cielo, sia del monte Sion sia della Gerusalemme celeste, è una verità che smentisce la falsa dottrina di un ulteriore tempo di grazia, e di un millennio di pace sulla terra.
Ci sono ancora un paio di dettagli sui 144000, che completano quelli d’Apocalisse 7, e che meritano la nostra attenzione.
Essi hanno il nome del Padre e dell’Agnello scritto sulle loro fronti. In Apocalisse 7 è scritto che hanno il sigillo di Dio in fronte. Queste parole ci aiutano a capire cos’è il sigillo di Dio, perché dichiarano che il Padre considera il Suo Nome come un sigillo. Possiamo anche affermare che il sigillo della Legge è quel comandamento che contiene il Nome di Dio. Il comandamento del sabato è l’unico che contiene il titolo descrittivo che distingue il Vero Dio da tutti gli altri dei (Deuteronomio 12:5, 14, 21; 14:23; 16:2,6 ecc.). Perciò, chiunque osservi questo comandamento ha sulla sua fronte il sigillo del Dio Vivente.
Cantano un canto nuovo che nessun altro gruppo può imparare; in Apocalisse 15:3 è chiamato “il cantico di Mosé e dell’Agnello”. Il cantico di Mosé, come si legge in Esodo 15, celebra una liberazione; pertanto il canto dei 144000 è il canto della liberazione. Nessuno può più parteciparvi. Nessun altro gruppo può ripetere l’esperienza dei 144000.
“Sono quelli che non si sono mai contaminati con donne”. Nelle Scritture la donna simboleggia la chiesa. Una donna virtuosa indica la chiesa pura; una donna di cattivi costumi indica la chiesa apostata. Una particolarità di questo gruppo è che, al momento della sua liberazione, i suoi membri non si sono contaminati con le chiese cadute, e non hanno con esse nessun rapporto. Non sostiene che non hanno MAI, avuto rapporti con loro, è solo ad un certo punto che le persone si contaminano con le chiese. In Apocalisse 18 leggiamo un richiamo diretto al popolo di Dio, che si trova ancora in Babilonia, perché esca affinché non sia partecipe dei suoi peccati.
Siccome hanno ascoltato quest’ammonimento e ne sono usciti, sono sfuggiti alla contaminazione dei suoi peccati. Così anche i 144000. Anche se alcuni di loro, in passato, hanno avuto relazioni con queste chiese corrotte, ad un certo momento hanno rotto i loro rapporti. L’hanno fatto quando mantenerli sarebbe stato peccato.
Essi seguono l’Agnello ovunque vada; questo accadrà quando saranno nella condizione di redenti. Formano la compagnia speciale del loro Signore glorificato nel Regno. Sempre riferendosi alla stessa compagnia e allo stesso periodo, leggiamo: “L’Agnello che sta in mezzo al trono li sazierà, e li guiderà alle fonti d’acqua viva” (Apocalisse 7: 17).
“Sono primizie per Dio e per l’Agnello”. Questi termini sembrano indicare altre persone per indicarne la speciale condizione. Cristo è la primizia del “covone scosso”. I primi che ricevettero il Vangelo sono chiamati da Giacomo “primizie” di un altro tipo (Giacomo 1:18). Così i 144000 preparati per i granai celesti dalle esperienze angoscianti vissute sulla terra durante gli ultimi giorni, traslati in cielo senza passare per la morte, ed elevati ad una condizione preminente, in questo senso sono chiamati “primizie di Dio e dell’Agnello”. La catena profetica cominciata con Apocalisse 12 termina con la descrizione trionfale dei 144000.
VERSETTI 6-7: Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo recante l’evangelo eterno per annunciarlo a quelli che abitano sulla terra, e ad ogni nazione e tribù e lingua e popolo; e diceva con gran voce: temete Iddio e dategli gloria poiché l’ora del suo giudizio è venuta; e adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra e il mare e le fonti delle acque.
Il messaggio del 1° angelo: Questi versetti introducono una nuova sequenza d’immagini, e una nuova catena d’avvenimenti profetici. Questo perché i versetti precedenti descrivono una categoria di redenti allo stato d’immortalità. Pertanto si tratta di una scena che fa parte della catena profetica iniziata col 1° versetto di Apocalisse 12, e che la chiude: perché nessuna profezia si spinge oltre lo stato d’immortalità. Vogliamo ricordare che una catena profetica termina nel punto in cui ci accompagna sino alla fine del mondo: tutto quello che è introdotto in seguito fa parte di una nuova serie d’eventi. Il libro dell’Apocalisse presenta soprattutto tutta una serie di catene profetiche indipendenti, come abbiamo già dimostrato.
Il messaggio descritto in questi due versetti è il primo di quelli, comunemente noti come “i tre messaggi di Apocalisse 14”. La profezia stessa giustifica che li indichiamo come 1°, 2°, e 3°. In uno dei versetti che seguono, l’ultimo angelo che si presenta con un messaggio è chiamato esplicitamente “il 3° angelo”, perciò l’altro che lo precede è il 2°, e quello ancora antecedente è il 1°. È chiaro che questi sono angeli simbolici: infatti, l’opera loro assegnata è di predicare all’uomo l’Evangelo Eterno. Questo compito non è assegnato agli angeli letterali, ma agli uomini che, di conseguenza, ne sono i responsabili. Perciò, ognuno di questi tre angeli simboleggia coloro che hanno l’incarico di far conoscere ai loro simili le verità speciali contenute in questi messaggi.
D’altra parte gli angeli letterali s’interessano attivamente all’opera della grazia che si compie fra gli uomini, e sono inviati per servire coloro “che hanno da eredare la salvezza”. Dato che l’ordine regola ogni movimento del mondo celeste, non è poi così fantastico, ritenere che un angelo letterale sia responsabile del messaggio (Ebrei 1: 4; Apocalisse 1: 1; 22: 16).
Vediamo in questo simbolo lo stridente contrasto fra le cose terrene e le cose celesti, come le presenta la Bibbia. Tutte le volte che si devono rappresentare i governi umani, anche i migliori, il simbolo più adatto a simboleggiarli è una bestia, ma quando l’opera da compiere proviene da Dio, allora è simboleggiata da un angelo rivestito di bellezza e insignito di potenza.
L’importanza di Apocalisse 14:6-12 apparirà chiara a chiunque la studi attentamente. Tutte le volte che i messaggi saranno annunciati, data la loro natura, saranno il tema di maggiore interesse per la generazione cui sono diretti. Con questo non vogliamo sostenere che la maggioranza dell’umanità presterà ascolto, perché in ogni epoca dell’umanità sono stati troppi quelli che hanno trascurato la verità per il loro tempo. Ma i messaggi sono il tema cui presteranno attenzione coloro che capiranno quanto siano importanti per i loro interessi.
Quando Dio manda i Suoi ministri ad annunciare al mondo che l’ora del Suo giudizio è venuta, che Babilonia è caduta, e che chiunque adorerà la bestia e la sua immagine dovrà bere l’ira Sua, versata senza misericordia nel calice della Sua indignazione, pronuncia la minaccia più terribile delle Scritture. Nessuno può sottovalutare tali ammonimenti, considerarli con negligenza e disprezzo, e non rischiare i terribili castighi divini. Per questo è necessario compiere in ogni epoca gli sforzi più ferventi per capire l’opera del Signore, per non perdere i benefici della verità presente. In modo particolare nel nostro tempo, quando tante prove e tante evidenze ci avvisano che la crisi finale sta per caderci addosso.
L’angelo di Apocalisse 14: 6, è chiamato “l’altro angelo”, perché Giovanni ne aveva visto prima un altro, che volava in mezzo al cielo nello stesso modo, com’è scritto in Apocalisse 13: 13, mentre ammoniva che le ultime tre trombe sarebbero state altrettanti guai (Legg. comm. Apoc. 8:13)
Il tempo del messaggio: La prima cosa da fare è stabilire il tempo in cui è annunciato questo messaggio. In che tempo ci si può aspettare d’udire che “l’ora del Suo giudizio è venuta”? La possibilità che sia nel nostro, fa sì che sia essenziale che noi consideriamo questo quesito con seria attenzione. In ogni caso, man mano che avanzeremo nello studio, troveremo sempre nuove prove che ci confermeranno che noi viviamo proprio in quel periodo. Questo dovrebbe accelerare i nostri cuori, e far palpitare ogni cuore che senta la sublime solennità dell’ora in cui viviamo.
Sono possibili solo tre ipotesi, riguardo al tempo in cui si compie questa profezia. La prima è che questo massaggio appartenga al passato, o ai giorni degli apostoli, o al periodo della Riforma; la seconda ipotesi è che esso si debba situare nel futuro; la terza è che sia diretto alla generazione attuale.
Verificheremo innanzi tutto la 1° possibilità. La natura stessa del messaggio elimina l’ipotesi che possa riguardare il periodo apostolico, gli apostoli infatti non hanno mai annunciato che l’ora del Suo giudizio fosse giunta. Se l’avessero fatto avrebbero mentito, e il loro messaggio avrebbe avuto il marchio infamante della menzogna. Qualcosa riguardo al giudizio l’hanno detta, aggiungendo però che sarebbe avvenuto in un futuro indefinito. Così come disse lo stesso Gesù, il giudizio finale di Sodoma e Gomorra, di Tiro e Sidone, di Corazin e Cafarnao, era a quei tempi, ancora in un futuro lontano e indefinibile (Matteo 10:15; 11:21-24).
Paolo, agli ateniesi che erano pagani e superstiziosi, ricordò che Dio aveva fissato un giorno in cui avrebbe giudicato il mondo (Atti 17:31). Davanti a Felice parlò “della giustizia e della continenza, e del giudizio venturo” (Atti 24:25). Ai romani scrisse di un giorno in cui “Dio per mezzo di Gesù Cristo giudicherà i segreti degli uomini” (Romani 2:16). Ammonì i Corinzi che riguardassero al tempo in cui accadrà “che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo” (2° Corinzi 5:12). Anche Pietro e Giuda ci parlano degli angeli ribelli come di “quelli che sono destinati al giudizio del gran giorno, in quel tempo ancora lontano, per il quale sono destinati anche gli empi di questo mondo” (2° Pietro 2:4,9; Giuda 6).
Tutto ciò è molto differente dal solenne annuncio fatto al mondo che “l’ora del Suo giudizio è venuta”, che è il presupposto per la diffusione del messaggio che consideriamo.
Dal periodo apostolico alla Riforma del XVI secolo, non è accaduto nulla che possa interpretarsi come il compimento di questo primo messaggio. Alcuni affermano che Lutero e i suoi collaboratori diedero il primo messaggio, e che gli altri due successivi sono stati annunciati in seguito. La storia, e gli eventi s’incaricheranno di risolvere il quesito e di smentirli. Dove sono le prove che i Riformatori fecero tale annuncio? I loro insegnamenti sono stati tutti registrati, e i loro scritti conservati. Dove e quando allertarono il mondo, proclamando che l’ora del giudizio era giunta? Non ci siamo accorti che l’abbiano fatto. Guglielmo Cunningham esprime la sua opinione in proposito: – Alcuni interpreti credono che il passaggio citato (Apocalisse 14: 6-11), si riferisca al tempo della Riforma, e che si compì nella predicazione di Lutero e degli altri eminenti personaggi che furono suscitati in quel periodo, proprio per denunciare gli errori della chiesa romana… Mi pare però che queste interpretazioni sollevino obiezioni insuperabili. Il primo angelo ha la missione di predicare l’Evangelo in modo più ampio di come poterono fare i Riformatori. Lungi dal predicarlo a tutti gli abitanti della terra, non lo predicarono neppure in tutta l’Europa cristiana. La Riforma non poté penetrare in nessuno degli Stati più grandi della giurisdizione romana. La Spagna, il Portogallo e l’Italia ne furono totalmente escluse. In verità nemmeno al tempo della Riforma si poteva razionalmente affermare che fosse giunta “l’ora del giudizio di Dio”… L’ora del giudizio di Dio è un tempo preciso, definito esattamente nelle profezie di Daniele e di Giovanni -. :- Io spero – dice Lutero – che l’ultimo giorno del giudizio non sia lontano, e ho la convinzione che non tarderà più di trecento anni; perché la parola di Dio, a causa di pastori e servi infedeli, perderà la sua forza e la sua luce. Tra poco s’udrà la voce: “Ecco lo Sposo viene”. Dio non potrà, e non vorrà tollerare ancora per molto questo mondo empio, Egli deve mostrarsi nel giorno terribile e punire tutti coloro che disprezzano la Sua Parola -. Queste testimonianze sono decisive per quel che riguarda i Riformatori, e dato che le precedenti considerazioni sono sufficienti ad impedire di datare nel passato il messaggio del giudizio, dedicheremo ora la nostra attenzione alla tesi che lo situa nel futuro, dopo il secondo Avvento.
Il motivo che fa datare il messaggio in quel periodo, è che Giovanni vide l’angelo volare in mezzo al cielo, immediatamente dopo aver visto l’Agnello sul monte Sion con i 144000, avvenimento che riguarda il futuro. Se il libro dell’Apocalisse fosse una profezia consecutiva (cronologicamente successiva nelle sue visioni N.d.T.), questo sarebbe un motivo decisivo, ma siccome l’Apocalisse consiste in una serie di catene profetiche indipendenti, e abbiamo dimostrato che una di queste catene termina al verso 5 di questo capitolo, e ne inizia una nuova al verso 6, non si può assolutamente e razionalmente sostenere questa tesi. Per dimostrare che il messaggio non può trovare compimento in un’epoca posteriore al secondo Avvento, saranno sufficienti alcuni ragionamenti.
Il mandato apostolico arrivava sino alla mietitura, in altre parole la fine del mondo (Matteo 13:39). Perciò se questo angelo arriva “col Vangelo Eterno”, dopo quell’avvenimento, predica un altro vangelo, esponendosi all’anatema di Paolo in Galati 1:8. Inoltre: è chiaro che il secondo messaggio non può essere annunciato che dopo il primo, ma il secondo annuncia la caduta di Babilonia, cui fa seguito una gran voce nel cielo che ammonisce: “Uscite da essa, o popolo mio”. È davvero assurdo situare questo messaggio dopo il secondo Avvento di Cristo, dato che tutti i figli di Dio, sia i viventi, sia quelli che erano defunti, sono stati rapiti ad incontrare il loro Signore nell’aria, per restare sempre con Lui! (1° Tessalonicesi 4: 17); dopo un simile avvenimento non si può invitarli ad uscire da Babilonia. Cristo non li condurrà in Babilonia, ma nella casa del Padre, “dove vi sono molte dimore” (Giovanni 14: 2-3). Se il primo messaggio è annunciato nel futuro, lo sarà anche il terzo. Un breve ragionamento sul contenuto del terzo messaggio dimostrerà quanto sia assurda quest’ipotesi. Il terzo messaggio è un avvertimento contro l’adorazione della bestia, che è senza dubbio la bestia papale. Ma essa sarà distrutta e gettata nelle fiamme al ritorno di Cristo (Daniele 7: 11; 2° Tessalonicesi 2: 8). In quel giorno sarà gettata nel lago di fuoco, perché non possa più turbare più i santi dell’Altissimo (Apocalisse 19: 20). Perché vogliamo ingarbugliarci nell’incongruenza nel voler situare un messaggio contro la bestia, nel tempo in cui la bestia non esisterà più, e perciò non si potrà più adorarla?
Apocalisse 14:13 pronuncia una beatitudine su coloro che muoiono nel Signore “da ora in poi”, cioè dal momento in cui si comincia ad annunciare il triplice messaggio; questo è la dimostra definitivamente che il messaggio è annunciato prima della prima risurrezione, perché chi vi prenderà parte non morrà più. In conclusione, riteniamo che situare nel futuro il triplice messaggio sia sbagliato e antibiblico.
L’ora del giudizio offre un segno distintivo: Siamo ora pronti ad esaminare la terza ipotesi, quella che afferma che questo messaggio è diretto alla generazione dei nostri giorni. L’esame delle precedenti proposte ha contribuito efficacemente ad avvalorare quest’ultima opinione.
Se il messaggio non può essere stato dato nel passato, ed è impossibile datarlo dopo il ritorno di Cristo, in quale altro tempo lo si può datare se non nel nostro tempo, negli ultimi giorni che precedono il prossimo ritorno di Cristo? In realtà per sua stessa natura esso è diretto all’ultima generazione umana: perché annuncia che è giunta l’ora del Giudizio di Dio. Il giudizio è il momento finale dell’opera di salvezza in favore del mondo, ragion per cui, l’ammonimento sulla fine che s’avvicina, non può che avvenire in prossimità di quest’evento straordinario. Questo è dimostrato anche dal fatto che questo è lo stesso angelo di Apocalisse 10, che annuncia il suo messaggio a questa generazione. Per accertarsi che il primo angelo di Apocalisse 14 è lo stesso di Apocalisse 10, si rileggano le spiegazioni del capitolo 10.
L’apostolo Paolo davanti al governatore romano Felice parlò “del giudizio che deve venire”; ai suoi uditori nell’Areopago di Atene affermò che Dio “ha fissato un giorno, nel quale ha da giudicare il mondo con giustizia, per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito” (Atti 17:31).
La profezia dei 2300 giorni, di Daniele 8 e 9, fissa il giudizio nel nostro tempo, in modo assolutamente preciso. Questo periodo profetico, il più lungo delle Scritture, va dal 457 A.C., al 1844 della nostra epoca. In quel tempo, come abbiamo già visto studiando le profezie di Daniele, “il Santuario sarà purificato”.
La purificazione del Santuario, secondo il significato del servizio tipico di Levitico 16, era l’opera conclusiva d’espiazione. L’opera svolta nell’ultimo giorno dell’anno del servizio tipico altro non era che il simbolo del giorno del Giudizio, verità che sapremo comprendere meglio leggendo le citazioni che seguono:
– Il Gran Giorno d’Espiazione, con i suoi servizi così particolari e cosi impressionanti, cadeva il 10° giorno del 7° mese… Era un giorno in cui ogni uomo era chiamato a digiunare e ad affliggere l’anima sua; a riflettere tristemente sul suo cammino di peccati e di trasgressioni, portato a pentirsi… Chi non si pentiva sinceramente, era minacciato di morte, del castigo, direttamente dalla mano dell’Eterno. Consideriamo attentamente la data esatta del giorno d’espiazione. Cadeva il 10° giorno del 7° mese. Anche il Giubileo aveva inizio lo stesso giorno. Era annunciato dal suono solenne della tromba, simbolo dell’imminenza del Giudizio Divino. Si credeva che nel giorno del Nuovo Anno (1° di Tishri) si scrivessero i giudizi Divini, e che nel Giorno d’Espiazione (10 di Tishri) fossero sigillati, per tale motivo questa decade era chiamata “quella dei Giorni Terribili”, o “i dieci giorni di Penitenza”. Il Giorno d’Espiazione incuteva tanta paura che un libro del rituale Giudeo sostiene che gli angeli stessi si muovessero con timore, e che tremanti dicevano: “Ecco che è giunto il Giorno del Giudizio”… Dio, seduto sul Suo Trono, sta per giudicare il mondo… Apre il libro degli Annali; lo legge, vi sono i nomi e i cognomi d’ogni uomo. La grande tromba suona; si ode una vocina sommessa, gli angeli tremanti sussurrano: “Questo è il Giorno del Giudizio”… Nel Giorno del Nuovo Anno si scrive il Giudizio. Nel Giorno d’Espiazione il Giudizio è ufficializzato: è deciso per sempre chi dovrà vivere e chi dovrà morire –
È vero che un simile messaggio è mai stato annunciato al mondo, oppure se lo si sta annunciando ora. Crediamo che il grande movimento del Secondo Avvento del secolo scorso, corrisponda esattamente alla profezia.
Il Secondo Avvento di Cristo è un altro segno di distinzione: Già nel 1831 Guglielmo Miller, nel Low Hampton, nello Stato di New York, dopo uno studio fervente e perseverante delle profezie, concluse che l’era Evangelica s’avvicinava alla fine. Credeva che questo termine scadesse alla fine dei periodi profetici, verso il 1843. Posticipò, poi, questa data all’autunno del 1844. Le sue ricerche furono il frutto dello studio profetico attuato seguendo una corretta e razionale regola interpretativa. Tutta la riforma religiosa e tutto il progresso della conoscenza profetica si basa sullo studio razionale e analitico delle Scritture. Questa regola consiste nel considerare tutto il linguaggio biblico, come avviene per altro per qualsiasi altro libro, nel suo significato letterale, a meno che, o il contesto, o le leggi del linguaggio, richiedano un’interpretazione figurativa, e nel lasciare che i passi delle Scritture si chiariscano l’uno con l’altro. Vero è, che su un punto fondamentale egli si sbagliò, come spiegheremo più avanti, ma è anche vero che su un gran numero di particolari, aveva perfettamente ragione. Seguiva la strada giusta e ottenne grandi progressi, se li paragoniamo agli altri sistemi d’interpretazione biblica del suo tempo. Quando cominciò a diffonderle, le sue opinioni furono accolte favorevolmente e in molti paesi si ebbero grandi risvegli religiosi.
Un gran numero di collaboratori si riunì subito sotto il suo stendardo. Tra essi si possono annoverare uomini come F. G. Brown, Charles Fitch, Josiah Litch, J.V. Himes e altri che a quei tempi erano apprezzati per la loro pietà, e per l’influenza che esercitarono nel mondo religioso. Il quinquennio tra il 1840 e il 1844, fu un’epoca d’intensa attività, e di grande avanzamento dell’opera. Fu allora annunciato al mondo un messaggio che aveva tutte le caratteristiche d’essere il compimento della proclamazione di Apocalisse 14:6,7. Era veramente la predicazione dell”Evangelo del regno, che Cristo dichiarò che si sarebbe predicato al mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora sarebbe venuta la fine (Matteo 24:14). Il compimento di uno qualunque di questi due passaggi implica la predicazione dell’imminenza della fine. Non si potrebbe annunciare l’Evangelo a tutte le nazioni come un segno della fine, senza riconoscerlo come tale, e la prossimità della fine era per lo meno uno dei suoi temi principali. L’Advent Herald, espresse abbastanza chiaramente questa verità: – Come segno della prossimità della fine si doveva vedere ancora “un altro angelo che volava in mezzo al cielo, e che aveva l’Evangelo eterno per annunziarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, e tribù, e lingua e popolo” (Apocalisse 14:6). La missione di questo angelo era di predicare lo stesso Vangelo che era stato annunciato prima, ma questa predicazione era motivata dall’approssimarsi del regno, infatti a gran voce aggiungeva: “Temete Iddio e dategli gloria perché l’ora del suo giudizio è venuta, e adorate Colui che ha fatto il cielo, la terra, e il mare e le fonti delle acque” (vers. 7). Nessuna predicazione del Vangelo, che non annunziasse anche la fine, potrebbe realizzare questo messaggio -.
Le persone che si dedicavano a questo movimento, credevano fosse il compimento di una profezia, e dichiaravano di dare il messaggio di Apocalisse 14: 6-7.
: – Vorremmo poter dire stanotte, in senso strettamente letterale: “Temete Dio e dategli onore, perché l’ora del suo giudizio è giunta”. Stiamo vivendo ora la fine di quell’ultimo giorno, di cui l’apostolo Paolo dice: “… dal quale sappiamo che è l’ultimo tempo…”. Ci troviamo sul far della notte di quel giorno, siamo nella sua ultima ora; (la fine) è molto vicina, molto vicina, quasi alla porta. Miei cari uditori, vi prego di considerare che è molto vicina, che è già alla porta, secondo quel che dicono tutti quelli che hanno studiato quest’argomento, e hanno investigato gli insegnamenti di Dio, e che dichiarano all’unanimità che il regno di Cristo è vicino -.
: – Apocalisse 14 mostra l’angelo che vola in mezzo al cielo, avendo il Vangelo eterno, per predicarlo a quelli che abitano sulla terra, e ad ogni nazione, e tribù, e lingua e popolo. Quando si realizzerà l’evento indicato da questo simbolo, il giorno del Giudizio Divino sarà imminente. Infatti l’angelo esorta cosi gli uomini: “temete Iddio e dategli gloria, perché l’ora del suo giudizio è venuta”-.
: – Abbiamo tutti il dovere d’esortare ogni uomo a temere Iddio e a dargli gloria, perché l’ora del suo giudizio è giunta, ma in modo particolare questo è il dovere dei ministri di Dio -.
Ma il movimento generale relativo al 2° avvento di Cristo e alla proclamazione che “l’ora del suo giudizio è giunta”, non si limitò all’emisfero occidentale. Diventò mondiale. Realizzò l’annuncio dell’angelo “a ogni nazione, e tribù, e lingua e popolo”. Mourant Brock, chierico anglicano che guidò energicamente il movimento avventista nelle isole Britanniche, dice: – La speranza che il Redentore torni presto, non alberga solo in Gran Bretagna. La voce ammonitrice si leva anche in America, nelle Indie, e nel continente europeo. Uno dei nostri missionari tedeschi ha da poco raccontato che a Wurtemberg c’è una colonia cristiana, composta da un centinaio di persone che si distinguono in modo particolare per la speranza nel 2° avvento. Un ministro cristiano, originario di una località nei pressi delle rive del Mar Caspio, mi ha assicurato che è la speranza che anche i suoi connazionali cristiani vivono giornalmente. Essi parlano costantemente di quel giorno, e lo chiamano “il giorno della consolazione”. In una piccola pubblicazione dal titolo “Il Millennio”, il redattore afferma che in America 300 ministri della Parola stanno predicando “questo Vangelo del regno” nell’attesa del Messia, e aggiunge che: “Nel nostro Paese stanno compiendo la stessa opera 700 ministri della chiesa anglicana”-.
Il dott. Joseph Wolf, che ha attraversato l’Arabia visitando i luoghi abitati dai discendenti di Hobab cognato di Mosé, ci parla di un libro che ha trovato nello Yemen: – Gli arabi di questi luoghi hanno un libro chiamato “Seera” che tratta del 2° avvento di Cristo, e del Suo Regno nella gloria. Passai nello Yemen sei giorni tra i figli dei recabiti… non bevono vino, non piantano vigneti, non seminano, vivono in tende, e ricordano le parole di Jonadab, figlio di Recab. Tra di loro v’erano degli israeliti della tribù di Dan che vivono in Yerim, nell’Hadramaut, i quali, come i figli di Recab, aspettano il prossimo Avvento del Messia sulle nuvole del cielo -.
D.T. Taylor parla così della diffusione della grande speranza avventista: – A Wurtemberg c’è una colonia cristiana con centinaia di membri, che sperano nel prossimo avvento di Cristo; ce n’è poi un’altra con lo stesso credo sulle rive del Mar Caspio. I Molocani, un numeroso gruppo di dissidenti della chiesa greco-russa che abitano sulle rive del Baltico, e che sono un popolo molto pio, di cui si ricorda che “considerano la Bibbia come unica regola di fede”, si distingue per “la speranza nel regno immediato e visibile di Cristo sulla terra”. In Russia la dottrina del ritorno di Cristo e del Suo regno, si predica con difficoltà, ma molti, tra le classi più umili, l’accettano. In Germania è stata annunciata in molte zone, specie nel sud, tra i Moravi. In Norvegia l’evento è stato annunciato con libri e carteggi, e in tanti ne hanno accettato la dottrina. Fra i Tartari è assai diffusa la convinzione che il Ritorno di Cristo stia per realizzarsi più o meno in questo periodo. Pubblicazioni inglesi e americane che presentano questa dottrina sono state inviate in Olanda, Germania, India, Irlanda, Turchia, a Roma, e in quasi tutte le stazioni missionarie del globo.
Il dott. Joseph Wolf, secondo quanto scrisse sul suo diario tra il 1821 e il 1845, annunciò il prossimo evento del Signore in Palestina e in Egitto, sulle rive del Mar Morto, in Mesopotamia, in Crimea, in Persia, nella Georgia, in alcune zone dell’Impero Ottomano, in Grecia, in Arabia, nel Turkistan, nella Bokara, in Afganistan, nel Cachemire, nell’Indostan, e nel Tibet. E ancora, in Olanda, Scozia, Irlanda, a Costantinopoli, a Gerusalemme, nell’isola di Sant’Elena, e a bordo della sua nave, in giro nel Mediterraneo, e nella città di New York, a tutte le denominazioni. Egli afferma d’avere predicato anche tra i giudei, turchi, maomettani, persiani, indù, caldei, siriani, e sabei; e d’aver predicato davanti a pascià, sceicchi, capi, re, e davanti alla regina di Grecia. Per questa sua straordinaria attività di predicatore, L’Investigator scrive che: – Probabilmente nessuno al mondo ha dato maggiore pubblicità alla dottrina del 2° Avvento, di questo notissimo missionario. Ovunque egli vada proclama l’imminente avvento in gloria del Messia -.
Un altro eminente scrittore del grande movimento avventista, scrive: – Vedo che l’avvertimento del Signore è stato udito realmente, ed è innegabile che, contemporaneamente, si sia levata la voce della chiesa. Si può affermare, senza paura d’esagerare, che dal 1828 fino al 1833… un gran numero d’opuscoli e di studi sull’argomento hanno raggiunto la maggioranza del pubblico; l’argomento e stato trattato anche sui periodici religiosi ed ha avuto un successo tale, come non si vide mai dai tempi apostolici -.
L’errore commesso dagli avventisti nel 1844 non concerneva il tempo, come hanno abbondantemente dimostrato gli studi relativi alle 70 settimane, e ai 2300 giorni di Daniele 8 e 9. L’errore riguardava la natura dell’evento che si sarebbe compiuto alla fine di quel periodo, come già dimostrato dallo studio relativo al Santuario di Daniele 8. Essi infatti avevano commesso l’errore di credere che la terra fosse il santuario, e che la purificazione avvenisse col fuoco distruttore del ritorno di Cristo; per questo aspettavano il Messia alla fine di quei giorni. A causa di quest’errore soffrirono una terribile delusione, che era stata comunque predetta dalle Scritture, ma per il resto tutto si compì come la profezia aveva previsto. Iniziò si la purificazione del Santuario, ma poiché la terra non è il santuario, Cristo ritornò; la purificazione del santuario non significa la distruzione della terra, perché (la purificazione) si realizza col sangue di un’offerta sacrificale, non col fuoco. Questa fu, per la chiesa, l’amarezza simboleggiata nell’immagine del libretto divorato (Apocalisse 10:10). Questa fu la venuta di “Uno come il Figlio dell’uomo”, ma non su questa terra, ma al cospetto “dell’Anziano di giorni” (Daniele 7:13,14). Questo è l’arrivo dello sposo, nella parabola delle dieci vergini di Matteo 25.
“Le vergini sciocche dissero allora alle prudenti: – Dateci del vostro olio; perché le nostre lampade si spengono -. Le prudenti risposero: – Andate piuttosto dai venditori e compratevene -. E mentre esse andavano a comprarne, arrivò lo sposo”. Questo non è l’avvento di Cristo su questa terra, perché è un ritorno che precede le nozze; ma le nozze, cioè il ricevimento del regno (leggere comm. Apocalisse 21), devono precedere il Suo ritorno su questa terra, quando verrà a prendere i suoi figli, che sono invitati alla cena delle nozze (Luca 19:12; Apocalisse 19:7-9). Quindi, questo arrivo espresso nella parabola dev’essere quello presso l’Anziano di giorni di Daniele 7:13-14.
“Quelle che erano pronte entrarono con Lui nella sala delle nozze, e l’uscio fu chiuso”. Dopo che lo sposo giunge alle nozze si compie l’esame dei convitati per stabilire chi è pronto a partecipare alla cerimonia, secondo la parabola di Matteo 22:1-13. Come ultimo atto, prima delle nozze, il Re entra a vedere i convitati per accertarsi che tutti abbiano l’abito delle nozze; tutti coloro che, dopo il dovuto esame, sono trovati con l’abito richiesto, sono accettati: essi non perdono più il loro vestito, ma è assicurata loro l’immortalità. L’idoneità ad entrare nel regno è determinata unicamente dal giudizio investigativo del Santuario.
L’opera finale del Santuario, che è la sua stessa purificazione, altro non è che l’esame degli invitati per stabilire chi ha l’abito delle nozze. Di conseguenza, finche quest’opera non sarà terminata, ancora non sarà deciso chi è pronto per partecipare alle nozze. “Quelle che eran pronte, entrarono con Lui nella sala delle nozze”. Quest’espressione ci porta dal momento in cui giunge lo sposo al momento delle nozze, attraverso tutto il periodo della purificazione del Santuario, che si può considerare come “l’esame dei convitati”. Quando quest’esame finirà, terminerà anche il tempo di grazia, e la porta sarà chiusa.
Appare ora chiara la relazione tra la parabola e il messaggio che stiamo esaminando. Esso stabilisce il periodo durante il quale si preparano i convitati alle nozze dell’Agnello, che è l’opera di giudizio, cui ci conduce quando dichiara: “L’ora del Suo giudizio è giunta”.
Questo messaggio dev’essere annunciato a gran voce. Così fu annunciato tra il 1840 e il 1844; specialmente nell’autunno del 1844, quando, nel momento in cui cominciava l’opera del Giudizio, giunse la fine dei 2300 anni; che è anche il momento stesso in cui Cristo iniziò la purificazione del Santuario.
Era nostra intenzione dimostrare che l’opera non ci ha condotti alla fine del tempo di grazia ma all’inizio del periodo del giudizio investigativo, nel nostro tempo. Oggi come ieri si sta annunciando a tutta la terra il messaggio del giudizio. Anche oggi l’angelo continua a diffondere lo stesso solenne monito a “tutte le nazioni, tribù, lingue e popoli, gridando ad alta voce: temete Iddio e dategli gloria, perché l’ora del Suo giudizio è venuta; e adorate Colui che ha fatto la terra, il cielo, il mare, e le fonti delle acque”.
Prima di passare a considerare il messaggio del secondo angelo, soffermiamoci a meditare per un momento sull’importanza e sulla solenne e straordinaria verità che ci è stata rivelata. Ci troviamo sulla soglia del mondo eterno. L’ultimo messaggio della misericordia di Dio è annunciato ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo. Nel Santuario celeste si stanno sviluppando le scene finali del piano della salvezza. Riflettiamo su questo: l’ora del giudizio di Dio è giunta. Il giudizio investigativo che riguarda ogni anima, e che precede di pochissimo il ritorno del Signore, si sta ora compiendo nel cielo. Un abito nuziale, il manto immacolato della giustizia di Cristo, è stato acquistato, ad un prezzo infinitamente alto, per tutti coloro che vorranno accettarlo. Che faremo tu ed io, quando verrà il Re? – Figlioletti miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate, e se alcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo il Giusto -. (1° Giovanni 2:1).
VERSETTO 8: Poi un altro, un secondo angelo, seguì dicendo: Caduta, caduta è Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni del vino dell’ira della sua fornicazione.
Il messaggio del secondo angelo: L’epoca di questo messaggio è determinato più esattamente del primo. Perché il secondo dev’essere proclamato prima della fine, dato che nessun movimento del tipo descritto è più possibile dopo quell’evento. Esso è, perciò, parte di quel movimento religioso che si sviluppa negli ultimi giorni, in vista del ritorno di Cristo.
Dobbiamo perciò chiederci: cosa significa il termine Babilonia? Cosa indica la sua caduta? Come avviene? Alla prima domanda rispondono le note marginali che hanno alcune Bibbie, e che si riferiscono a Genesi 10:10 e Genesi 11:9.
La nascita del regno di Nimrod fu Babele, o Babilonia. Il suo significato è “confusione”, poiché Dio in quell’occasione confuse le lingue dei costruttori della torre. Il nome è qui usato figurativamente, per indicare la grande città simbolica dell’Apocalisse, probabilmente proprio per il significato del suo nome e per le circostanze della sua nascita. Questo termine è applicabile a qualunque oggetto la cui caratteristica principale sia la confusione.
Vi sono solamente tre soggetti cui si possa applicare questo termine: il mondo apostata in genere, la chiesa papale in particolare, e la città di Roma.
Nell’esaminare questi termini indicheremo innanzitutto cosa non è Babilonia. Essa non si limita alla chiesa cattolica romana; anche se non possiamo negare che questa chiesa ne è una parte importante, tanto che le descrizioni del capitolo 17° sembrano adattarsi ad essa particolarmente. Il nome che ha sulla fronte “Mistero, Babilonia la grande, la madre di tutte le fornicazioni e delle abominazioni della terra”, rivela che ha altre relazioni “familiari”. Se questa chiesa è “la madre”, chi sono “le figlie”? Il fatto che si parli di figlie dimostra che oltre alla chiesa romana, esistono altri corpi religiosi sotto questa definizione. Dobbiamo anche fare una precisazione in merito a questo messaggio: “Uscite da essa o popolo mio” (Apocalisse 18:1-4). Siccome questo messaggio è destinato alla generazione attuale, si può pensare che, se in Babilonia non si riconosce altra chiesa che quella romana, allora il popolo di Dio è in comunione con quella chiesa, ed è esortato ad uscirne fuori.
Nessun protestante sarebbe d’accordo con questa conclusione. Babilonia non è la città di Roma.
L’argomento con cui alcuni sostengono questa tesi è: l’angelo dice a Giovanni che la donna che aveva visto era la gran città che regnava sui re della terra, e che le sette teste che aveva veduto erano sette monti sui quali siede la donna. Per cui, dando ai sette monti un significato letterale, e dato che Roma è veramente edificata su sette colli, attribuiscono la dichiarazione dell’angelo a Roma.
Il principio su cui si basa quest’interpretazione presuppone che la spiegazione di un simbolo sia sempre letterale. Così cadono nell’errore, in quanto si può dimostrare che i simboli a volte si spiegano con altri simboli, e poi spiegando questi ultimi. Possiamo facilmente spiegarci con un esempio: nel capitolo 11:3 dell’Apocalisse è introdotto il simbolo dei due testimoni. Il verso successivo dice: – Questi sono i due ulivi, e i due candelabri che sono davanti al Signore della terra -. In quel caso si sostiene che il primo simbolo è uguale al secondo, la spiegazione finale è data più avanti in un altro versetto. Accade la stessa cosa nel caso che stiamo esaminando. “Le sette teste sono sette monti”, e “la donna è la gran città”, non sarà difficile dimostrare che i monti e la città sono usati simbolicamente. Invitiamo il lettore a prestare la sua attenzione su quello che diremo ora:
_In Apocalisse 13 è detto che una delle sette teste è stata ferita a morte, non può essere perciò un monte letterale, perché sarebbe veramente insensato parlare di un monte “ferito a morte”.
_Ciascuna delle sette teste ha una corona. Chi ha mai visto una montagna letterale incoronata?
_Le sette teste sono sette diverse forme di governo che si susseguono nel tempo, infatti leggiamo: “Cinque sono caduti, uno è, l’altro non è ancora venuto”. (Apocalisse 17:10). Ma i sette colli sui quali è stata fondata Roma, non sono successivi, e sarebbe assurdo indicarli con questo linguaggio.
D’accordo con Daniele 7:6, rapportato a Daniele 8: 8,22, le teste indicano governi, e secondo Daniele 2: 35,44 e Geremia 51: 25, i monti indicano regni.
In armonia con questi testi una traduzione letterale di Apocalisse 17:9,10 elimina ogni difficoltà: “Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede, e sono sette re”. Apprendiamo così che l’angelo rappresenta le teste come monti, e poi spiega che i monti sono regni che si susseguono uno dopo l’altro.
Il significato si trasferisce da un simbolo all’altro, per poi dare la spiegazione finale del secondo.
In base al ragionamento precedente s’intuisce che anche la “donna” non può essere una città letterale: infatti i monti sui quali siede, sono monti simbolici, e una città letterale non potrà mai essere edificata su monti simbolici. Inoltre, Roma era il trono del dragone di Apocalisse 12, che poi lo diede alla bestia, cosicché Roma diventò il trono della bestia. In questo modo si mischierebbero le figure in modo davvero singolare: sarebbe infatti straordinario fare un’unica cosa sia del trono, sul quale siede la bestia, sia della donna che siede sopra la bestia.
Se la città di Roma fosse Babilonia avremmo questa incongruenza: in Apocalisse 18:1-4 abbiamo la caduta e la distruzione di Babilonia e conseguentemente la caduta di Roma, di fatto la sua consumazione col fuoco (versetto 8); notiamo ora cosa succede dopo la sua caduta. Babilonia diventa “albergo di demoni, e ricetto di ogni spirito immondo e abominevole”. Come può avvenire questo ad una città, dopo che è stata distrutta e consumata dal fuoco? Inoltre dopo tutto questo si ode una voce che dice: “Uscite da essa, o popolo mio”. I figli di Dio sono forse tutti a Roma? Assolutamente no! Quanti potrebbero uscire da una città che è stata completamente distrutta dal fuoco? Riteniamo che non sia necessario dilungarci oltre sull’argomento.
Che cosa significa Babilonia? Babilonia simboleggia la chiesa universale del mondo. Dopo avere appurato che non può essere nessuno degli altri due soggetti esaminati, dobbiamo necessariamente indicare questo, ma non perché ne siamo costretti.
Babilonia è definita una “donna”; la donna indica una chiesa. Abbiamo sostenuto che la “donna” di Apocalisse 12 è una chiesa. Anche la “donna” di Apocalisse 17 indica senz’altro una chiesa.
Il carattere della donna determina il carattere della chiesa rappresentata. Una donna casta simboleggia la chiesa pura, una donna oscena simboleggia una chiesa impura e apostata. La “donna” Babilonia è essa stessa una prostituta, ed è madre di figlie che le assomigliano. Questa circostanza, come il nome stesso, dimostra che Babilonia non è limitata ad un solo corpo ecclesiastico, ma che ne comprende molti.
Essa contiene tutti quelli che s’assomigliano, e rappresenta tutte le chiesa apostate e corrotte della terra. Questo spiega perché Dio la ritenga responsabile del sangue “dei profeti e dei santi, e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra”, che è stato trovato in essa (Apocalisse 18:24).
Attraverso i secoli quasi ogni Paese d’Europa ha avuto la sua chiesa ufficiale: la chiesa di Stato; anche oggi queste nazioni hanno le loro religioni istituzionalizzate che si oppongono tenacemente ai dissidenti. Babilonia ha ubriacato tutte le nazioni “con il vino della sua fornicazione”, cioè con le sue false dottrine. Per questo non può simboleggiare altro, se non la chiesa mondana universale.
Babilonia la grande è composta da tre gruppi, così come le grandi religioni del mondo possono essere individuate in tre grandi raggruppamenti. La prima, la più antica e diffusa, è il paganesimo simboleggiato a sua volta da un dragone. La seconda è la grande apostasia papale, simboleggiata dalla bestia. La terza è formata dalle figlie, le discendenti di quella chiesa, ed è simboleggiata dalla bestia con due corna, anche se non le comprende tutte. Le guerre, l’oppressione, la conformità al mondo, il formalismo religioso, il culto di Mammona, la ricerca dei piaceri, e il mantenimento dei tantissimi errori della chiesa romana, identificano con triste e fedele esattezza, la gran massa delle chiese protestanti come un’entità importante della grande Babilonia, cui è rivolta la minaccia Divina. L’analisi del comportamento avuto spesso dalle chiese protestanti, lo confermerà. Quando Roma ebbe il potere, massacrò grandi moltitudini di coloro che chiamava “eretici”. Anche le chiese protestanti hanno manifestato lo stesso spirito. Lo testimonia il rogo nel quale i protestanti di Ginevra, con a capo Giovanni Calvino, uccisero Michele Servato. Lo testimonia la lunga oppressione esercitata contro i dissidenti dalla chiesa anglicana. Ne è testimone il fatto che anche i padri puritani della Nuova Inghilterra, impiccavano quaccheri e battisti, dimenticandosi che anch’essi avevano subito la stessa persecuzione da parte della chiesa anglicana, e che aveva motivato la loro fuga. Alcuni sosterranno che queste cose appartengono al passato. E’ vero, ma dimostrano che quando le persone sono guidate da forti pregiudizi religiosi esercitano sui dissidenti il loro potere coercitivo, senza poi riuscire a frenarsi, e questa tendenza si manifesterà negli Stati Uniti, e che sarà il compimento finale della profezia di Apocalisse 13.
Cristo volle che la Sua chiesa fosse una. Pregò perché i suoi discepoli fossero uno con Lui, come Egli è Uno col Padre, perché questo avrebbe dato potenza al Suo Vangelo, e avrebbe indotto il mondo a credere in Lui. Invece . . . Pensiamo alla confusione nel mondo protestante, le molteplici pareti divisorie che lo dividono in un mosaico di confessioni, e di credi, discordanti fra loro come le lingue di coloro che furono dispersi mentre costruivano la torre di Babele. Dio non è l’Autore di questo che è lo stato delle cose, che l’appellativo “Babilonia” definisce esattamente. Il termine è usato proprio per indicare questa situazione, non come un termine infamante. Invece di risentirsi per questo termine, gli uomini dovrebbero meditare attentamente la loro situazione. Capire se con la loro fede e la loro pratica religiosa si siano in qualche modo resi colpevoli di far parte della confusione di questa grande città, e nel caso cosi fosse dovrebbero immediatamente separarsene.
La vera chiesa è una vergine pura (2° Corinzi 11:2). La chiesa che ha fatto amicizia
col mondo è una prostituta. E’ questa sua relazione con i re della terra ciò che qualifica la gran meretrice dell’Apocalisse (cap. 17). Così come fu per la chiesa giudea che inizialmente era la sposa del Signore (Geremia 2:3; 31:32), e che in seguito divenne una prostituta (Ezechiele 16), e che quando apostatò da Dio fu chiamata Sodoma (Isaia 1). Così, in Apocalisse 11, anche la gran città è chiamata Babilonia.
L’unione illecita col mondo, di cui Babilonia è colpevole, è un’altra prova che questo nome non indica il potere civile. Il fatto che vi siano al suo interno dei figli di Dio, immediatamente prima della sua distruzione, è la prova che essa è un potere religioso. Per tutti questi motivi è del tutto evidente che Babilonia è la chiesa ufficiale che si è unita al mondo.
Babilonia è caduta: Rivolgeremo ora la nostra attenzione alla sua caduta. Dopo aver constatato cosa è Babilonia, non sarà difficile capire il significato della sua caduta. Siccome non è una città letterale, non lo sarà neppure la sua caduta, abbiamo visto che ciò sarebbe assurdo. Inoltre la profezia distingue esattamente la sua caduta dalla sua distruzione. Babilonia “cade” prima d’essere violentemente “distrutta”, come una macina da mulino gettata in mare, e d’essere completamente consumata dal fuoco. La sua caduta è spirituale, perché poco dopo la voce si rivolge ai figli di Dio che hanno ancora rapporti con essa: “Uscite da essa, o popolo mio”; spiegandone poi i motivi: “affinché non partecipiate ai suoi peccati, e non abbiate parte alle sue piaghe”. Perciò Babilonia continua ad esistere ed a peccare; le piaghe la colpiranno in un tempo futuro, dopo la caduta. Quelli che applicano il termine “Babilonia” esclusivamente al papato, sostengono che la sua caduta è la perdita del potere civile da parte della chiesa cattolica. In seguito alla sua caduta Babilonia diviene il “ricetto di spiriti immondi e d’uccelli abominevoli”, ma per quanto riguarda Roma non è stata questa la conseguenza della sua perdita di potere. I figli di Dio sono invitati ad uscirne a causa dell’aumento della corruzione e del peccato che derivano dalla sua caduta. Non è a motivo dalla perdita di potere da parte del papa, che il popolo di Dio è ammonito ad abbandonare questa chiesa.
Babilonia soffre questa caduta spirituale “perché ha fatto bere a tutte le nazioni, il vino del furore (inteso come passione, non ira) della sua fornicazione”. Questo non può riferirsi che ad una sola cosa: alle false dottrine. Essa ha corrotto le pure verità della Parola di Dio, ed ha ubriacato le nazioni con favole piacevoli. Sotto le spoglie del papato ha finito per sostituirsi al Vangelo; prima di tutto con falsi e “nuovi” strumenti di salvezza. Con la dottrina della “Immacolata concezione” nega che in Cristo abitò Dio in carne umana. Sostituì la mediazione di Cristo, insegnando al suo posto un altro sistema d’intercessione. Procurò d’annullare il sacerdozio di Cristo Gesù, sostituendolo con un sacerdozio terreno. Fece dipendere la salvezza dalla confessione resa ad un uomo mortale, separando così il peccatore da Gesù, l’Unico che, grazie ai Suoi meriti, può perdonare i peccatori. Respinse la salvezza per fede come “eresia da condannare”, e la sostituì con la salvezza per opere. Il suo capolavoro blasfemo è la dottrina della transustanziazione, in altre parole il sacrificio idolatrico della messa, cui riconosce lo stesso valore “del sacrificio della croce”, sostenendo che per certi versi ha più valore del Calvario, perché per suo mezzo “si realizza l’opera della nostra redenzione”. Tra le dottrine che essa insegna, e che contraddicono la Parola di Dio, si possono elencare le seguenti:
_L’istituzione della tradizione e della voce della chiesa, come guida infallibile, al posto della Bibbia.
_Il cambiamento del giorno di riposo del 4° comandamento, o settimo giorno, con la festa domenicale come riposo del Signore, in ricordo della Sua risurrezione, cosa che mai è stata istituita da Dio, e che non può commemorare convenientemente quell’evento. Proveniente dal paganesimo come “la scatenante festa solare dei tempi pagani”, la domenica fu adottata dal papa, e dichiarata istituzione cristiana dalla chiesa evangelica. Si compì, in tal modo, il tentativo di distruggere il monumento commemorativo, che il Sommo Dio, aveva innalzato per ricordare la grandiosa opera della creazione, e si tentò d’erigerne al suo posto un altro, per commemorare la risurrezione di Cristo, senza alcuna ragione, dato che Cristo stesso vi aveva già provveduto con l’istituzione del battesimo per immersione.
_La dottrina dell’immortalità naturale dell’anima. Anch’essa proviene dal mondo pagano, e furono “i padri della chiesa” ad introdurre questa deleteria dottrina, come parte della divina Verità. Quest’errore annulla la dottrina biblica della risurrezione e del Giudizio Universale, e spalanca le porte allo spiritismo moderno. Da quest’errore scaturirono altre funeste dottrine: quali lo stato cosciente dei morti, il culto dei santi, la mariologia, il purgatorio, la ricompensa al momento della morte, le preghiere e i battesimi in suffragio dei defunti, i tormenti eterni e la salvezza universale.
_La dottrina secondo la quale i santi si trovano, nello stato di spiriti disincarnati, in regioni lontane e indefinibili: “Più lontano dei limiti del tempo e dello spazio, in cui ricevono la loro eterna eredità”, ha sviato moltitudini di persone dall’insegnamento biblico che afferma che questa terra sarà distrutta col fuoco nel giorno del giudizio, quando anche gli empi andranno in perdizione, e che dalle sue ceneri, la voce dell’Onnipotente, ricostituirà una terra rinnovata che sarà il futuro regno di gloria che i santi possederanno come loro eterna eredità.
_Il battesimo per aspersione anziché per immersione, che invece è l’unica forma biblica battesimale, e che commemora adeguatamente la morte e la risurrezione di Cristo, e che era stato introdotto a tale scopo. Corrompendo questo rito, e distruggendolo come ricordo del più importante evento cristiano, si è preparato il terreno per sostituirlo con un altro: il riposo domenicale.
_L’insegnamento che il ritorno di Cristo è un evento spirituale e non letterale, che si compì in occasione della distruzione di Gerusalemme, o che si compie in occasione della conversione, o della morte, o per mezzo dello spiritismo. Sono moltissimi coloro che, essendo stati sedotti da questi insegnamenti, si oppongono decisamente alla dottrina biblica del 2° Avvento letterale, personale, glorioso e visibile di Gesù Cristo, che eseguirà la condanna di tutti i Suoi nemici, ma che recherà in dono ai Suoi figli la vita eterna.
_La dottrina di un millennio temporale di pace, prosperità e giustizia per tutta la terra, prima del ritorno di Cristo. Dottrina destinata a chiudere le orecchie alla gente perché non sentano gli avvertimenti. Che intorpidisce le anime degli uomini, procurando loro uno stato di carnale sicurezza che li trascina alla rovina finale, come fanno, del resto, tutte le eresie erette dal gran nemico della verità.
Significato della caduta di Babilonia: Analizzeremo ora più dettagliatamente i particolari profetici che si riferiscono alla caduta di Babilonia, e verificheremo la situazione del mondo religioso nel 1844. Valuteremo se, al suo interno, vi fossero le condizioni per un cambiamento, nel tempo in cui unitamente al 1°, si cominciò a proclamare il 2° messaggio. Il paganesimo altro non è, se non corruzione e apostasia, ieri come oggi. Il paganesimo non può cadere spiritualmente. Il cattolicesimo romano era stato in una condizione di caduta già molti secoli fa. Ma le chiese protestanti avevano dato vita alla grande Riforma della corruzione cattolico-romana, e avevano compiuto una nobile missione. In una parola, erano nella condizione dalla quale sarebbero potuti cadere spiritualmente. Perciò è inevitabile che il messaggio riguardi quasi esclusivamente le chiese protestanti.
Qualcuno si chiederà come mai quest’annuncio non fu dato prima, dato che una parte importante di Babilonia era caduta ormai da molti secoli. La risposta è semplice: non si poteva ancora affermare che Babilonia, nel suo insieme, fosse caduta, se un elemento importante era ancora in piedi. Non si poteva annunciarlo prima che la condizione del mondo protestante si deteriorasse, sacrificando la verità, unica via di perfezionamento. Quando questo accadde, il protestantesimo sperimentò la caduta spirituale; allora poté essere annunciato che Babilonia era caduta rovinosamente e definitivamente, dicendo: “Babilonia è caduta”, prima non si sarebbe potuto dirlo.
Forse converrà verificare, ancora più attentamente, se sia pertinente imputare alle chiese protestanti dei nostri giorni, la responsabilità d’attribuire a loro la caduta di Babilonia. Se è vero, cioè, che fecero bere a tutte le nazioni, il vino dell’ira della loro fornicazione. La risposta è una: è veramente pertinente. La colpa di Babilonia sta nell’aver confuso la verità, e di conseguenza sta nelle sue false dottrine. È dovuto al fatto che le diffonde attivamente, e che vi persiste, anche quando le è offerta la luce e la verità che potrebbero correggerla. Da ciò la sua condizione di caduta. Per le chiese protestanti era giunto il tempo di raggiungere un livello religioso più alto. Potevano accettare la luce e la verità che erano state loro offerte ed elevarsi ad un grado superiore, oppure respingerle, e perdere così la loro spiritualità ed il favore di Dio; in altre parole sperimentare la caduta spirituale.
La verità che Dio considerò la più adatta per quest’opera, è stato il messaggio del primo angelo. La verità annunciava che l’ora del giudizio Divino era giunta, e che s’approssimava il 2° avvento di Cristo. Dopo averla ascoltata, quanto bastava per accorgersi delle benedizioni che accompagnavano questa dottrina, e dei buoni frutti che essa produceva, le chiese nel loro insieme la respinsero con disprezzo. Furono così palesemente provati i cuori di coloro che erano col mondo, e che preferivano rimanerci.
Il messaggio avrebbe guarito i mali che, già da allora, erano presenti nel mondo religioso. Il profeta esclama, riferendosi anche a questo tempo: “Noi abbiam voluto guarire Babilonia, ma essa non è guarita” (Geremia 51: 9)
Come sappiamo che l’accettazione di questo messaggio avrebbe dato questo risultato? Perché ebbe quest’effetto in tutti quelli che l’accettarono. Uscirono dalle varie denominazioni, e le barriere che li dividevano furono abbattute; i credi in conflitto con le Scritture furono respinti; abbandonarono l’illusione antibiblica del millennio temporale; corressero le loro opinioni errate sul 2° avvento; l’orgoglio e la conformità al mondo svanirono; le offese furono perdonate, i cuori s’unirono in dolce comunione, l’amore e la gioia regnarono sovrani. La dottrina realizzò tutto questo nei cuori di quei pochi che la ricevettero, avrebbe fatto lo stesso per tutti coloro che l’avessero accettata, ma essi, non accettando il messaggio, la respinsero.
Da ogni parte del paese si levò il grido “Babilonia è caduta”, e, anticipando il movimento indicato in Apocalisse 18: 1-4, quelli che annunciavano il messaggio aggiungevano: “Uscite da essa, o popolo mio”. Il risultato fu che migliaia di persone interruppero i loro rapporti con le varie denominazioni. Un notevole deterioramento spirituale si manifestò allora nelle varie chiese. Quando una persona respinge la luce, si colloca necessariamente nelle tenebre; quando respinge la verità, mette inevitabilmente le mani e i piedi nei ceppi dell’errore. A tutto questo seguì una perdita di spiritualità. Le chiese lo sperimentarono quando decisero di restare unite ai loro vecchi errori, e a continuare a propagandare tra la gente le false dottrine: allora la Luce della Verità le abbandonò. Alcune s’accorsero del cambiamento e lo deplorarono. Alcune testimonianze dei loro scrittori ci offrono un quadro della condizione in cui caddero in quel periodo:
Nel 1844 il Cristian Palladium espresse queste lamentele: – In ogni direzione sentiamo voci lamentose portate da gelide brezze, che s’insinuano come lastroni di ghiaccio nei petti dei timidi, e, assorbendo l’energia dei deboli, ci mostrano che la tiepidezza, la divisione, l’anarchia e la desolazione stanno angosciando i confini di Sion -.
Anche il Religiosus Telescope usò lo stesso linguaggio: – Mai abbiamo assistito ad una decadenza religiosa, così generalizzata, come ora. . . Quando pensiamo a come scarseggino i casi di vera conversione, e alla durezza e all’impenitenza senza pari dei peccatori, esclamiamo quasi senza volerlo (col salmista): “Ha dimenticato Dio d’aver misericordia? Ha chiuso con ira la Sua pietà?” -.
Più o meno in quel tempo, si pubblicarono nei periodici religiosi inviti al digiuno e alla preghiera, per il ritorno dello Spirito Santo. Persino il “Sun” di Filadelfia pubblicò nel novembre del 1844 quest’articolo:
– I sottoscritti ministri e i membri delle diverse denominazioni di Filadelfia, e la cittadinanza, credono veramente che, quelli attuali, siano segni dei tempi: vale a dire la povertà spirituale delle nostre chiese e in generale la malvagità estrema che regna nel mondo. Perciò vogliamo invitare con voce forte tutti i cristiani a tenere momenti di preghiere speciali; e decidiamo, se Dio lo consente, di riunirci in una speciale settimana di preghiera a Dio Onnipotente, affinché riversi il Suo Santo Spirito sulla nostra città, sul nostro Paese, sul mondo -.
Charles G. Finney, evangelista molto noto, nel febbraio del 1844 scrisse: -Abbiamo ricordato che in genere le chiese protestanti del nostro Paese hanno dimostrato ostilità ed apatia verso tutte le riforme morali dell’epoca. Vi sono state alcune eccezioni, che però non sono sufficienti ad impedire che questo sia l’indirizzo generale. C’è qualcos’altro che lo sostiene: l’assenza quasi universale d’influenza vivificatrice nella chiesa. L’apatia spirituale domina ovunque ed è terribilmente profonda, come testimonia la stampa religiosa di tutto il Paese… Le chiese in genere stanno tristemente degenerando. Si stanno allontanando molto dal Signore, ed Egli si è ritirato da loro -.
Nel novembre del 1844 l’Oberlin Evangelist in un editoriale osservò: – Alcuni dei nostri periodici lamentano che nelle nostre chiese le conversioni sono cessate quasi del tutto, come tutti possono testimoniare. È da tanto tempo che non si conosceva una povertà spirituale cosi generalizzata. Esiste un grande spirito di rinnovamento politico e d’interessi in tutti i settori degli affari commerciali, ma ahimè! La decadenza e la morte dilagano come incubi sull’attività cristiana e sul santo amore verso Dio e verso le anime. Si mantengono le forme esteriori della religione; si continua con la routine dei doveri domenicali, ma in quanto ai momenti di “refrigerio dalla presenza del Signore”, nei quali il timore coglie di sorpresa l’ipocrita, il convincimento rapisce i sensi del peccatore, e i cuori umili s’afferrano alle promesse e lottano prepotentemente per la conversione delle anime, questi momenti si trovano solamente nel ricordo di giorni che furono, e che non esistono più -.Le chiese non patirono questa perdita spirituale solo nel 1844, ma da allora la decadenza ha continuato ad agire in modo sempre più sensibile. Nel dicembre del 1858 il Congregazionalist, ha scritto: – Nella nostra chiesa non si è risvegliata la pietà che ci permetterebbe di sperare d’ottenere i frutti legittimi, che solo essa è capace di dare. Per esempio: dovremmo avere la certezza che, in seguito alla manifestazione di una grazia, si riempirebbero le tesorerie delle nostre istituzioni di beneficenza, così come dopo una pioggia abbondante, i ruscelli riempiono gli alvei. Ma gli amministratori delle nostre istituzioni lamentano la pochezza degli aiuti dati alla chiesa. La stessa situazione generale offre un’analisi ancora più triste. Il Watchman and Reflector, ha recentemente affermato che nelle chiese battiste non s’era mai verificato una diffusione così disdicevole del dissenso, come quello che prevale ora… Basterà guardare i seminari della nostra stessa denominazione, per convincersi che il male non è circoscritto ai soli battisti -.
Il principale periodico metodista, il Christian Advocate, di New York, nel 1883, pubblicò un articolo da cui riportiamo la seguente dichiarazione:
1°) Si può mascherarlo quanto si vuole, ma rimane il fatto che la chiesa nel suo insieme si trova in una rapida decadenza spirituale. Anche se cresce di numero e di mezzi finanziari, sta diventando sempre più debole e limitata nella spiritualità: sia nel pulpito, sia fra i membri di chiesa. Essa sta assumendo il carattere e la forma della chiesa di Laodicea.
2°) Migliaia di ministri, sia delle chiese locali sia delle associazioni, insieme con migliaia di membri laici sono morti (spiritualmente N. del T.), e sono di cosi poco valore come i fichi sterili. Nessun valore temporale o spirituale contribuisce all’avanzamento e ai trionfi del vangelo, sulla terra. Se tutti questi “fichi secchi” delle nostre chiese e delle sue congregazioni potessero rinascere ed essere disponibili per un attivo e fedele servizio, assisteremmo chissà a quante manifestazioni gloriose del potere Divino! -.
Nel 1893, il redattore del Western Christian Advocate, così scrisse della loro chiesa: – Alla chiesa dei metodisti, scrivi: la grande difficoltà, nella quale oggi ci dibattiamo, è, che per noi, la salvezza delle anime in pericolo, è l’ultima, e la più piccola delle preoccupazioni. Molte delle nostre congregazioni si comportano come club’s mondani. Si cerca di diventarne membri per migliorare lo stato sociale, politico e commerciale. S’invitano solo i predicatori che sanno “addolcire” i testi, che lusingano “soavemente” gli ascoltatori, e che nascondono accuratamente la condanna. I culti domenicali sono diventate le occasioni per ostentare l’eleganza degli abiti all’ultima moda. Anche i bambini sono adornati come se fossero i chierici dell’orgoglio. Si leggono i Comandamenti per compiere con la lettera il cui spirito è fuggito tanto tempo fa. I registri delle scuole sono piene di nomi di persone non convertite. È facile incontrare i membri ufficiali sui palchi dei teatri, o in altri simili luoghi; lussuosamente vestiti. Coloro che ricevono la comunione s’affannano e lottano tenacemente per la carriera, organizzano balli e partite a carte, oppure vi assistono. La differenza fra quelli che sono dentro la chiesa e quelli che ne sono fuori, è così incerta, che le persone sorridono quando sono invitate a farne parte, e a volte ci assicurano che al di fuori si trovano uomini migliori. Quando ci dedichiamo alle masse lo facciamo troppo spesso in un modo così ostentato che scappano via. Tanti di noi sono diventati così ricchi ed empi, da essere ormai completamente inutili. Se applicassimo alla lettera il rigore della disciplina il numero dei nostri membri, si ridurrebbe in un anno della metà, portando alla bancarotta le nostre società missionarie, e dovremmo chiudere le nostre lussuose chiese paralizzandone le attività, e i nostri pastori e i nostri vescovi sarebbero nell’angoscia per la precarietà dei loro emolumenti. Ma una cosa certa è che dovrà verificarsi una delle due: o la disciplina dovrà purificare la chiesa, o lo Spirito Santo di Dio troverà altre organizzazioni. L’accetta è stata posta alla radice dell’albero. Siamo invitati al ravvedimento. L’opera di Dio dev’essere compiuta: se saremo d’ostacolo al suo procedere Egli, ci eliminerà -.
L’Indipendent di New York del 3 dicembre 1896, pubblicò un articolo di D. L. Moody da cui abbiamo estrapolato quanto segue: – In un recente numero del giornale, l’articolo di un corrispondente dichiarava che tremila chiese delle organizzazioni congregazioniste e presbiteriane di questo Paese, durante l’anno precedente, non hanno potuto vantare l’aggiunta d’alcun nuovo membro mediante la professione di fede. Sarà vero?. Questo pensiero si è impadronito di me, a tal punto, che non riesco a levarmelo dalla mente: perché è sufficiente a terrorizzare l’anima d’ogni vero cristiano.
Se questo accade a due grandi denominazioni, quale sarà la condizione delle altre chiese? Vogliamo forse restarcene seduti tranquillamente, e permettere che questo continui? I nostri periodici religiosi e i nostri pulpiti continueranno a tacere come “cani muti” che non riescono ad abbaiare, invece d’avvisare al popolo del pericolo che s’avvicina? Non alzeremo tutti assieme la nostra voce, come uno squillo di tromba, su questo fatto? Che penserà di questo triste risultato della nostra opera, il Figlio di Dio? Non ci preoccupa che, mentre noi restiamo a guardare, intere moltitudini vanno in perdizione? Se noi non ci svegliamo, dove andrà a finire il nostro Paese, nei prossimi dieci anni? -.
La condizione di decadenza spirituale, in cui le chiese sono cadute, è la conseguenza d’avere respinto il messaggio del primo angelo, che poi le ha spinte sempre di più ad accettare dottrine errate e corrotte. Durante l’ultima parte del XIX secolo si doveva assistere ad un notevole cambiamento delle attitudini dei dirigenti e dei membri delle chiese protestanti, riguardo alle dottrine fondamentali delle Scritture. Avendo respinto il vero, accettavano il falso. La teoria dell’evoluzionismo, accettata da molti dei loro dirigenti, stavano, come disse un grande scrittore religioso, “espellendo il Creatore”. Un noto difensore di questa teoria, dichiarò che “la preghiera è la comunione con il mio io razziale”. Gli effetti che la teoria “dell’evoluzione della specie”, ebbe sulla fede delle chiese, sono così chiari, che le discussioni pubbliche sulla situazione, sono molto comuni. Il professore di filosofia d’una prestigiosa università, osserva: – Oggi sembra che la grande tradizione morale giudaico-cristiana, che è la parte più antica della nostra eredità, si stia sgretolando davanti ai nostri occhi… La fede nella scienza si è consolidata a tal punto, e ha acquisito tale legittima sufficienza, da realizzarsi nei nostri progressi sociali; tanto che molti di coloro che la possiedono, hanno perso ogni desiderio di mischiarla con qualcos’altro… L’uomo che confida nella scienza fisica per descrivere il mondo, non ha posto per la divinità… Le filosofie che oggi rappresentano i loro (degli uomini) interessi basilari, non si preoccupano più, come nel XIX secolo, di giustificare il credo in Dio, e l’immortalità. Questi argomenti sono definitivamente scomparsi da qualunque tentativo di capire il mondo . . . L’attuale conflitto tra la fede religiosa e la scienza non si rifà più ad una spiegazione scientifica del mondo, ma ad una spiegazione scientifica della religione. Ciò che è veramente rivoluzionario oggi, a causa della fede nella scienza, non è una nuova visione dell’universo, ma una nuova visione della religione -.
Qual è questa nuova visione della religione? Lo spiega con franchezza un portavoce del liberalismo moderno: – I protestanti liberali hanno abbandonato il credo nell’infallibilità verbale della Bibbia (?!). Noi crediamo che Gesù sia stato un essere umano, e non un essere soprannaturale diverso nella sua qualità dagli altri uomini. Crediamo che nacque come nascono tutti, e che abbia affrontato le difficoltà della vita senza il sostegno segreto di un potere miracoloso… Per noi la morte di Gesù non è essenzialmente diversa dalla morte d’altri eroi… Oggi l’antico convincimento che Gesù tornerà ad apparire nel cielo per eseguire un drammatico giudizio sul mondo, condannare Satana e i demoni all’inferno e condurre i cristiani presso gli angeli in Paradiso, è diventata la dottrina esoterica di una minoranza, anziché il credo universale che ha influenzato grandemente l’antico mondo cristiano. Una volta che un modernista abbia accettato ciò che gli uomini di scienza affermano sul processo evolutivo, non crederà mai che una soluzione così spettacolare, dei fatti del mondo, possa verificarsi; contrariamente a quello che speravano gli antichi cristiani. È nostra intenzione prendere dal cristianesimo antico gli elementi che ci sembrano avere un valore permanente, combinarli con le convinzioni religiose e le nuove etiche dei tempi moderni, ed elaborare, con questo materiale composito, una nuova formula del messaggio cristiano. Ammettiamo francamente che il nostro vangelo non è il vecchio vangelo; nemmeno una versione modificata del vecchio vangelo che si continua ad annunciare dai pulpiti conservatori. Confessiamolo, il nostro, è un nuovo vangelo -.
Se il protestantesimo avesse accettato il messaggio del primo angelo, sarebbe diventato una luce per tutte le nazioni, ma respingendo il messaggio tradì il suo compito. Lasciarono le nazioni prive della testimonianza della verità presente, ed esse vagano tentoni nelle tenebre dell’errore e della superstizione che sono il risultato delle mortali influenze del sistema delle false dottrine che le chiese edificarono e che non vollero più abbandonare.
Robert M. Hutchinson, rettore dell’Università di Chicago, parlando della nostra condizione spirituale disse: – Non sappiamo dove andiamo, e neppure perché. Abbiamo quasi rinunciato al tentativo di scoprirlo. Siamo disperati perché le chiavi che avrebbero dovuto aprire le porte del cielo, ci hanno fatto entrare in un carcere ancora più grande e più oppressivo. Credevamo che quelle chiavi fossero la scienza e la libera intelligenza umana. Hanno fallito. È già ormai molto tempo che ci siamo allontanati da Dio. A chi possiamo rivolgerci ora? -.
Nel suo numero del 24 maggio 1941, l’Indurire di Filadelfia, ha riassunto così, in un editoriale, le nostre condizioni: – Sembra che siamo giunti al momento più straordinario della storia. Quello in cui, la modernizzazione si ferma stupita di fronte a forze troppo complesse e terribili, nella loro potenzialità, per essere comprese esattamente. Messi di fronte a problemi che non possono essere accantonati, è come se fossimo giunti ad un incrocio dove ogni segnale d’indicazione ci lascia perplessi, quasi che avessimo il giudizio superficiale di bambini che non sanno riflettere. Per anni contro la religione sono stati lanciati attacchi, ogni volta sempre più aspri. Non ci sembrava il caso di preoccuparci se le antiche credenze s’affievolivano, e cadevano. Ci sentivamo troppo al sicuro in questa civiltà scientifica, com’è accaduto sempre, anche nel passato. Noi, e con questo termine indichiamo l’intera umanità, ci siamo sentiti sempre troppo sicuri di noi stessi…
Abbiamo osservato, e molti di noi senza il minimo sospetto, lo sviluppo di culti bizzarri, e alla recrudescenza di filosofie pagane. Abbiamo assistito tranquillamente alla nascita del moderno umanesimo che ha negato un potere più grande di lui e di noi. Che ha esaltato l’uomo, sino a renderlo uguale al suo Creatore. Ora, mentre la civiltà sta morendo in piedi, anche le sferiche barriere della nostra stessa sufficienza stanno scoppiando nel vuoto. Finalmente gli esseri umani cominciano ad accorgersi di non essere “piccoli dei” ma solo “piccoli uomini” -.
Ma le chiese popolari, a forza d’allontanarsi da Dio, giungeranno ad un punto tale che, i veri cristiani, non potranno più continuare ad avere rapporti con loro, e saranno invitati ad uscirne. Tutto questo lo vedremo nel futuro, e sarà il compimento d’Apocalisse 18: 1-4. Crediamo che giungerà quando, oltre alle loro corruzioni, le chiese cominceranno ad alzare le armi dell’oppressione contro i santi. (Vedi comm. Apo 18).
VERSETTI 9-12: E un altro, un terzo angelo, tenne dietro a quelli, dicendo
con gran voce: Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano, beverà anch’egli del vino dell’ira di Dio mesciuto puro nel calice della sua ira: E sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell’Agnello.
E il fumo del loro tormento sale ne’ secoli dei secoli; e non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome.
Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù.
Il messaggio del terzo angelo: Questo è un messaggio dal contenuto terribile. In tutta la Bibbia non si trova, da parte dell’ira Divina, una minaccia più severa. Il peccato contro il quale ci mette in guardia, dev’essere veramente terribile e anche ben definito, così che tutti possano comprenderlo, ed evitare i castighi minacciati contro i trasgressori.
Occorre notare che questi messaggi si cumulano e si sommano uno all’altro, cioè il primo non termina quando inizia il secondo, quindi per un certo tempo il primo messaggio era l’unico ad essere annunciato. Poi fu annunciato il secondo, ma il primo non cessò. Da quel momento ci furono due messaggi. Poi toccò al terzo, che non li sostituì ma si unì agli altri due; così ora abbiamo tre messaggi annunciati simultaneamente, o, più esattamente, il triplice messaggio, che contiene le verità di tutti e tre, anche se l’ultimo è certamente quello culminante. Finche l’opera non sarà terminata, sarà annunciato ancora che “l’ora del giudizio di Dio è venuta”, e che “Babilonia è caduta”. Si è ora reso necessario proclamare gli eventi relativi alle verità contenute nel terzo messaggio.
È inoltre abbastanza chiaro il rapporto logico esistente fra i tre messaggi. Se consideriamo la situazione immediatamente precedente alla presentazione del primo, ci rendiamo conto che il mondo religioso protestante aveva un gran bisogno di riformarsi. Nel suo interno esistevano divisioni e confusione. Le varie denominazioni si trascinavano barricate negli errori, nelle corruzioni, e nelle superstizioni papali. Il Vangelo nelle loro mani aveva perso la sua potenza, invece le dottrine del 2° Avvento erano state presentate e annunciate con potenza. Avrebbero dovuto accettarle, ne avrebbero ricevuto nuova vita e nuova luce. Invece le respinsero, e ne subirono le conseguenze spirituali. Poi venne il nuovo messaggio che annunciava le conseguenze di quel rifiuto, e che oltre al suo contenuto specifico, manifestava il verdetto giuridico di Dio sulle chiese, a causa della loro ribellione al messaggio: cioè che Dio le aveva abbandonate, e che erano cadute spiritualmente.
Tutto questo, però, non ebbe l’effetto di risvegliarle e d’indurle a correggere gli errori, ciò che sarebbe accaduto se fossero state disposte ad essere ammaestrate e corrette. Cosa accadrà ancora? È stata preparata la strada per un movimento ancora più reazionario, per un’apostasia più grande, e brutture ancora peggiori. Le potestà delle tenebre proseguono nella loro opera e, se le chiese persevereranno nella loro condotta di rifuggire la luce e respingere la verità, si ritroveranno a adorare la bestia e a prenderne il marchio. Sarà questa la logica conseguenza del loro atteggiamento, cominciato col rifiuto del primo messaggio. Ecco il nuovo messaggio, che annuncia solennemente che se qualcuno farà questo, berrà il vino dell’ira di Dio, versato puro nel calice della Sua indignazione; che in poche parole vuole dire: – Avete respinto il primo messaggio, e avete subito una caduta spirituale. Se continuerete a respingere le verità, disprezzando gli ammonimenti che vi sono stati inviati, disprezzerete le ultime occasioni della misericordia di Dio. Ciò vi condurrà inevitabilmente al castigo della distruzione eterna -. Questa minaccia è l’ultimo avvertimento, ed è severa come solo Dio può esserlo.
Pochi l’ascolteranno e si salveranno, ma la moltitudine resterà insensibile al suo richiamo e perirà!
L’annuncio del terzo angelo è l’ultimo specifico movimento che si produrrà prima del ritorno del Signore, perché subito dopo Giovanni vede Uno simile ad un Figliol d’uomo, che viene in una nube bianca a prendersi la messe dalla terra, che simboleggia il 2° Avvento di Cristo. Essendo Cristo alla porta, significa che è giunto il tempo d’annunciare questo 3° ed ultimo messaggio. Sono tanti coloro che a viva voce o per iscritto insegnano ferventemente che viviamo gli ultimi giorni, e che il ritorno di Cristo è alle porte, ma quando ricordiamo loro questa profezia, si trovano improvvisamente come persi nel mare, senza àncora né bussola. Non sanno che farsene, che dire. Anche loro possono accorgersi, che se ciò che stanno insegnando riguardo al ritorno di Cristo è vero, e il Signore è davvero vicino, le note ammonitrici di questo terzo ed ultimo messaggio, devono sentirsi su tutta la terra.
I temi dei due messaggi precedenti fissano il periodo in cui dovrà essere annunciato il terzo, e indicano che il tempo è questo; ma sono soprattutto gli avvenimenti che si realizzano davanti a noi ad esserne la prova decisiva. Abbiamo identificato il 1° messaggio come il proclama più importante del grande movimento avventista del 1840-1844. Abbiamo assistito nel 1844, al compimento del 2° messaggio relativo a questo movimento. Vediamo, ora ciò che è accaduto in quel tempo:
Quando Cristo, nel 1844 non venne, ogni membro del movimento avventista si ritrovò, più o meno, in uno stato di grande confusione. Molti abbandonarono il movimento. Più numerosi furono quelli che credettero che l’argomento relativo al tempo fosse sbagliato, e subito tentarono di ricombinare i tempi profetici per fissare una nuova data del ritorno del Signore, impresa che non hanno ancora terminato, tanto che fissano una nuova data ogni volta che la precedente trascorre invano. Ma alcuni, pochi per la verità, cercarono devotamente e sinceramente la causa dell’errore, e si sentirono confortati dal pensiero che il Movimento Avventista era stato provvidenziale, e che lo studio del periodo profetico era stato corretto; scoprirono anche la causa della loro delusione: l’equivoco relativo al Santuario. S’accorsero che il Santuario di Daniele 8:14, non era, come avevano creduto, la terra; e che la purificazione non sarebbe avvenuta col fuoco. Scoprirono anche che la profezia relativa a quest’evento celeste non significava il ritorno del Signore. Nelle Scritture trovarono chiare testimonianze da cui capirono che il Santuario era il Tempio Celeste, che Paolo chiama “Santuario”, “il vero tabernacolo che il Signore stesso ha edificato, non l’uomo”. Appresero pure che la sua purificazione, secondo la figura, consisteva nel ministero finale del sacerdote all’interno della seconda stanza, o luogo Santissimo. Capirono allora che era giunto il momento che si compisse Apocalisse 11:10, “E il tempio di Dio fu aperto in cielo, e al suo interno fu vista l’arca della Sua Testimonianza”.
Siccome la loro attenzione era stata attirata sull’arca, intuirono di dover esaminare la Legge che essa custodisce. Infatti l’arca conteneva la Legge, anche il nome che le era stato dato lo confermava: arca della Sua testimonianza, e non sarebbe potuto essere chiamata cosi, se non avesse contenuto la Legge. L’arca celeste, l’antitipo dell’arca che durante i tempi delle ombre, esistette qui sulla terra. La Legge che vi era custodita doveva quindi essere l’originale, di cui le tavole custodite nell’arca terrena, non erano che una copia. Queste due Leggi devono essere, necessariamente, perfettamente uguali: parola per parola, virgola per virgola. Immaginare diversamente, significa mentire. Questa Legge è la Legge del Governo di Dio, ed il suo quarto comandamento, oggi come in origine, ordina che si osservi il 7° giorno della settimana come giorno di riposo. Nessuno che riconosca le verità relative al Santuario, potrà contestarlo.
Fu messo in evidenza, così, la riforma del giorno di riposo, e ci si rese conto che tutto ciò che si oppone a questa Legge, in modo particolare l’introduzione di un falso giorno di riposo e di un culto che distrugge il sabato di Yahwé, è opera della bestia papale: il potere che si oppone a Dio tentando di cambiarne le leggi, nel tentativo d’innalzarsi “al di sopra di Dio”. È appunto nei confronti di questo tentativo che il messaggio del terzo angelo ci mette in guardia. Da tutto ciò, i veri credenti di Dio del 1844, capirono che l’opera del messaggio del terzo angelo ha attinenza con la purificazione del Santuario che ebbe inizio alla fine dei 2300 giorni-anni, nel 1844, e che l’annuncio si basa sulle verità assolute che si sviluppano da questo tema.
La luce del messaggio del 3° angelo, risplendette così sulla chiesa. I suoi membri si resero conto che era loro dovere spiegare al mondo il significato dei vari simboli: la bestia, l’immagine, il culto, e il marchio. Allora approfondirono gli studi su questi temi. Scoprirono che le testimonianze della Scritture erano chiare e numerose, e in poco tempo fornirono, basandosi sulle verità rivelate, precise dichiarazioni e spiegazioni che chiarivano ogni punto.
Un messaggio di ammonimento: Gli argomenti che spiegano il significato della bestia, dell’immagine e del marchio, sono già stati presentati nel capitolo dedicato ad Apocalisse 13; dove abbiamo anche dimostrato che la bestia con due corna che fa un’immagine della bestia, e che impone il suo marchio, sono gli Stati Uniti d’America. Questa opera e questi agenti contro i quali grida il suo ammonimento il messaggio del terzo angelo, sono un’altra prova dell’attualità del messaggio, e rivelano sempre più esaurientemente l’armonia di questa profezia. No c’è bisogno di riprendere ora gli argomenti, basterà ricapitolare i punti più rilevanti:
_La bestia è la potenza cattolico-romana
_Il marchio della bestia è quell’istituzione che tale potenza esibisce come prova della sua autorità di legiferare sulle questioni ecclesiastiche, e di dominare la coscienza degli uomini, per mantenerli nel peccato. Manifesta quest’arrogante pretesa operando un mutamento nella Legge di Dio che la priva della firma Reale. Il sabato, o 7° giorno della settimana, il memoriale della meravigliosa opera creatrice di Dio, è strappato dal Decalogo, ed è sostituito da un falso giorno di riposo, il 1° della settimana.
_L’immagine della bestia è una concertazione ecclesiastica che somiglia alla bestia, nel senso che è investita dell’autorità d’imporre i suoi decreti sotto la minaccia dei castighi inflitti dal potere civile.
_”La bestia con due corna” che da all’immagine il potere di parlare e d’agire, rappresenta gli Stati Uniti d’America, che s’apprestano a fare l’immagine della bestia.
_La bestia con due corna impone il marchio della bestia, ossia stabilisce per legge l’osservanza del 1° giorno della settimana, o domenica, come giorno di riposo.
Abbiamo già verificato ciò che si sta facendo in questo senso:
_Molte persone e molti gruppi organizzati, tramano attivamente per ottenere leggi religiose.
Ma le persone non possono, e non devono essere lasciate nelle tenebre. Il messaggio
del terzo angelo lancia una solenne protesta contro questa empietà. Smaschera l’opera della bestia, rivela la natura della sua ribellione alla Legge di Dio, ammonisce gli uomini a non aderire alle sue pretese, ed indica a tutti il cammino verso la verità. Questo naturalmente suscita opposizione, le chiese si sentono, perciò, autorizzate a ricercare l’aiuto del potere umano per sostenere i loro dogmi, quasi per supplire alla mancanza d’autorità Divina.
Cos’ha ottenuto questo messaggio, e quale avanzamento ha avuto nel mondo, finora? Rispondendo a questa domanda possiamo presentare alcuni fatti sorprendenti. La prima pubblicazione che si fece a tale scopo, vide la luce nel 1849. Oggi questo messaggio è annunciato tramite libri, opuscoli e periodici pubblicati in 200 idiomi da 83 case editrici disseminate nei due emisferi, che pubblicano anche 313 periodici.
Il valore delle pubblicazioni vendute nel 1942 ha raggiunto la somma di $5.467.654,99 (in oro). L’opera di evangelizzazione si sta realizzando in 413 Paesi, in più di 810 idiomi.
Di un simile movimento si può dire quantomeno che è un fenomeno che occorre almeno spiegare.
Abbiamo parlato dei movimenti che realizzarono in pieno i messaggi del primo e del secondo angelo. Ora ne abbiamo un altro, che è il compimento del terzo messaggio, su cui si concentra l’attenzione del mondo. Afferma d’esserne la realizzazione, e chiede che il mondo esamini le credenziali sulle quali basa il diritto di tale affermazione. Esaminiamole anche noi:
“Il terzo angelo seguì”, anche questo movimento “segue” i due di cui abbiamo parlato prima. Ricorda e continua a proclamare le verità che i primi due proclamavano, aggiungendovi il messaggio del terzo angelo. Questo messaggio è caratterizzato dall’ammonimento contro la bestia. Anche questo movimento, tra l’altro, offre una chiara spiegazione del simbolo, mostrando alle persone chi è, cosa fa e rivelandone le azioni blasfeme.
Il terzo messaggio ammonisce il mondo contro l’adorazione della bestia. Allo stesso modo, anche questo movimento spiega in quale maniera questo potere ha innalzato, all’interno del cristianesimo, delle istituzioni che si oppongono al volere dell’Altissimo, ammonendoci, che se le accettiamo, adoriamo la bestia. – Non sapete voi che se vi date a uno come servi, per ubbidirgli – dice Paolo – siete servi di colui a cui obbedite (Romani 6: 16).
Il terzo messaggio ammonisce tutti contro l’accettazione del marchio della bestia. Anche questo movimento nella sua opera dedica ampio spazio a dimostrare cos’è il marchio della bestia, e ad ammonire le persone a non riceverlo. È grande la sollecitudine impiegata in quest’opera, in quanto la potenza anticristiana ha agito cosi astutamente che la maggioranza si è lasciata sedurre, e si sottomette inconsciamente alla sua autorità. Questo movimento dimostra che il marchio della bestia è un’istituzione che ha ricevuto il manto cristiano, che è stata introdotta con la menzogna nella chiesa cristiana allo scopo d’annullare l’autorità di Yahwé e d’intronizzare la bestia. Essa innalza un falso giorno di riposo, il 1° della settimana, al posto del riposo di Yahwé che invece è il 7°. Questa, però, è un’usurpazione che l’Onnipotente non può tollerare. Da questo deve allontanarsi la chiesa del rimanente affinché sia pronta per il Ritorno di Cristo. Da ciò l’urgenza dell’avvertimento: “Nessuno adori la bestia, e ne prenda il marchio”.
Il terzo messaggio ha un avvertimento contro l’adorazione dell’immagine della bestia. Anche questo movimento tratta questo tema e spiega cosa sarà l’immagine della bestia, o per lo meno spiega la profezia della bestia con due corna. Rivela dove si costruirà l’immagine. La profezia riguarda questa generazione, e sta evidentemente per compiersi.
Oltre agli Avventisti del 7° giorno non esiste nessun altro gruppo religioso che affermi d’essere il compimento del messaggio del terzo angelo, non esiste nessun altro gruppo che faccia suoi, evidenziandoli come gli argomenti più importanti, i temi trattati in questo libro. Come useremo queste puntualizzazioni? È questo il compimento? Occorre riconoscerlo come tale, a meno di non smentire le affermazioni; a meno che non si possa dimostrare che i messaggi del 1° e del 2° angelo non sono stati uditi; che le interpretazioni della bestia, della sua immagine e della sua adorazione non sono corrette; e che si possano respingere tutte le profezie, i segni e le prove che dimostrano l’imminenza del ritorno di Cristo, e di conseguenza l’urgente necessità d’annunciare il messaggio. La persona che studia con intelligenza la Bibbia, scoprirà che tutto ciò è impossibile.
Il risultato della proclamazione presentata al versetto 12 dimostra ancora di più l’esattezza delle interpretazioni che abbiamo presentato. Al versetto 12 è menzionata una compagnia della quale si dice: “Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù”. Quest’opera si sta svolgendo nel cuore stesso della cristianità, e quelli che accettano il messaggio si distinguono per il loro comportamento nei confronti dei Comandamenti di Dio. Qual è la differenza esistente su questo punto tra i cristiani? Solo questa: alcuni pensano che il quarto comandamento sia osservato dedicando il 1° giorno della settimana al riposo ed al culto. Altri sostengono che a tali doveri è stato destinato il 7° giorno, perciò santificano le sue ore e riprendono le loro attività nel 1° giorno. Non si sarebbe potuto tracciare tra questi due gruppi una linea di demarcazione più netta. Il giorno che un gruppo considera sacro e destinato ai culti religiosi, l’altro lo considera secolare, e lo dedica al lavoro ordinario. Un gruppo riposa piamente, mentre l’altro lavora attivamente. Mentre un gruppo soddisfa le sue attività mondane, l’altro per contro, s’allontana da tutte queste attività; ciò impedisce certamente che vi sia fra di loro qualsiasi trattativa commerciale. Per due giorni la settimana questi due gruppi sono separati dalla loro differente dottrina e dal loro comportamento nei confronti del 4° comandamento; nessun altro fattore avrebbe potuto creare una differenza così sensibile.
Il sabato è messo in risalto dal messaggio: Il messaggio del terzo angelo induce coloro che l’accettano ad osservare il 7° giorno. Solo così potranno distinguersi, in quanto l’osservanza del 1° non distinguerebbe una persona dalla massa che già al tempo in cui questo messaggio fu proclamato osservava tale giorno. Questa considerazione dimostra ulteriormente come l’osservanza della domenica sia il marchio della bestia, poiché il messaggio mette in evidenza soprattutto il pericolo di riceverlo. L’avvertimento contenuto nel 3° messaggio indurrà coloro che l’accetteranno ad abbandonare questa pratica, che costituisce il marchio, inducendoli ad osservare il sabato. Il messaggio li induce ad abbandonare l’osservanza del 1° giorno settimanale e a adottare il 7°; da tutto ciò risulta chiaramente che, l’osservanza della domenica è il marchio della bestia, contro cui siamo ammoniti, e che, contemporaneamente, l’osservanza del 7° giorno, è il segno, “il sigillo” di Dio.
Queste verità si armonizzano con gli argomenti che si riferiscono al sigillo di Dio che abbiamo sviluppato commentando Apocalisse 7. In quelle pagine abbiamo dimostrato che le parole “segno”, “sigillo” e “marchio”, sono sinonimi, e che Dio ci indica che il sabato è il Suo “segno”, o sigillo, cui si riferisce il Suo popolo; possiamo quindi affermare che Dio ha un Suo “segno”, che è il Suo sabato; ma anche la bestia ha un suo “segno”: la domenica, falso giorno di riposo. Uno è il 7° giorno, l’altro è il 1°.
La cristianità sarà alla fine divisa in due soli gruppi:
1° Gruppo: sono quelli che saranno suggellati col sigillo dell’Iddio Vivente, che avranno cioè il Suo segno in conseguenza dell’osservanza del sabato.
2° Gruppo: sono quelli che riceveranno il marchio della bestia, che avranno cioè il suo segno a causa dell’osservanza del falso giorno di riposo.
Il messaggio del terzo angelo, che si riferisce a questo tema, ci illumina e ci ammonisce.
Perciò, siccome il 7° giorno, in qualità di giorno di riposo ha tanta importanza, conviene ora presentare i fatti più significativi, relativi all’istituzione del sabato.
Il sabato fu istituito in principio, al termine della prima settimana (Genesi 2:1-3). Era il 7° giorno di quella settimana, e fu stabilito su atti immutabili e inseparabilmente legati con il suo stesso nome, e la sua stessa esistenza.
Essendosi Dio riposato nel 7° giorno, ne fece il Suo giorno di riposo, o sabato: cioè riposo dell’Eterno, e non smetterà mai di esserlo, dato che non potrà mai essere cambiato. In quella occasione Dio lo santificò, rendendolo diverso dagli altri sei, come ci informa il racconto, e tale santificazione non cambierà mai, a meno che non sia Yahwé stesso a farlo con un atto diretto ed esplicito, come fu quello alla creazione. Nessuno può affermare che un simile atto sia stato compiuto, e chi l’affermasse non sarebbe mai in grado di provarlo.
D’altra parte non c’è niente che possa far credere che il sabato sia di natura tipica o cerimoniale, perché fu istituito prima che l’uomo peccasse, e quindi appartiene al tempo in cui non potevano ancora esserci ombre, figure, e tipi. Le leggi e le istituzioni esistenti prima della caduta dell’uomo erano per loro natura primarie, perché provenivano dal rapporto tra Dio e l’uomo ed erano alla base del rapporto che gli uomini dovevano avere l’uno con l’altro. Avrebbero conservato per sempre il loro carattere, se l’uomo non fosse caduto, e non fosse stato gravato dal peccato. In altre parole erano per loro stessa natura, immutabili ed eterne.
Le leggi cerimoniali o tipiche, al contrario, ebbero origine proprio dal fatto che l’uomo aveva peccato. Erano destinate a cambiare con il passaggio da una dispensazione all’altra. Infatti esse soltanto furono abolite sulla croce, alla morte di Gesù. La Legge del sabato, al contrario, era una Legge primaria e perciò immutabile ed eterna. La santificazione del sabato in Eden dimostra la sua esistenza e validità fin dalla creazione, e sul Sinai tale santificazione inserita proprio all’interno del Decalogo, quando Dio lo pronunciò ad alta voce, e lo scrisse con il Suo dito su tavole di pietra. Tali circostanze lo separano per sempre dalle leggi cerimoniali, e lo collocano tra le Leggi morali ed eterne. Il sabato non è indefinito: non è un qualunque settimo giorno dopo sei lavorativi. La Legge sul Sinai (Esodo 20: 8-11) l’indica precisamente, quanto lo consente il linguaggio. I fatti che furono alla base della sua istituzione (Genesi 2:1-3) lo circoscrivono ad un 7° giorno definito. I 6240 miracoli, fatti in occasione del sabato mentre Israele vagava nel deserto, con una frequenza di tre alla settimana per quarant’anni, quando Dio forniva una quantità doppia di manna il 6° giorno e che era conservata fino al 7°, in cui non cadeva (Esodo 16), dimostrano che è un giorno speciale, diverso dagli altri sei Affermare il contrario sarebbe come sostenere che l’anniversario di Washington o dell’Indipendenza sono solo 1/365° di un anno, e che festeggiarli nei giorni esatti in cui avvennero è la stessa cosa che festeggiarli in un giorno qualunque.
Il sabato fa parte di quella Legge che il Signore dichiarò apertamente non essere venuto a distruggere; d’altra parte affermò solennemente che sarebbe stata valida, con tutte le sue jota e i suoi apici, finche fosse esistita la terra. (Matteo 5: 17-20).
Fa parte di quella Legge che Paolo dichiarò non annullata, bensì confermata dalla fede in Cristo (Romani 3:31). La legge cerimoniale o tipica che mirava a Cristo, e che cessò la sua funzione quando fu crocifisso, è annullata dalla fede in Lui (Efesini 2: 15). Il sabato fa parte di quella Legge regale, la Legge che appartiene a Yahwé, che Giacomo definisce “Legge di libertà”, mediante la quale saremo giudicati negli ultimi giorni. Dio non stabilisce norme di giudizio diverse per epoche diverse (Giacomo 2: 11-12). È “il giorno del Signore” di Apocalisse 1:10 (legg. comm. relat.). Si presenta a noi come l’istituzione di cui si annuncia che, negli ultimi giorni, vi sarà una grande riforma (Isaia 56: 1,2; confr. 1° Pietro 1: 5); tale riforma comprende anche il messaggio che stiamo considerando.
Nella nuova creazione il sabato, fedele alla sua origine e natura, riappare, e comincerà a spargere le sue eterne benedizioni sul popolo di Dio per tutta l’eternità (Isaia 66: 22,23).
Questo è un breve riepilogo degli argomenti che dimostrano che la Legge del sabato non è stata né abrogata, né cambiata; dimostra anche che nessuno può affermare d’ubbidire ai comandamenti di Dio se non osserva e non santifica questo giorno. È un grande onore essere rapportato ad un’istituzione regale. L’obbedienza ai suoi precetti significherà una benedizione infinita.
Il castigo di coloro che adorano la bestia: “Saranno tormentati con fuoco e zolfo in presenza dei santi angeli e dell’Agnello”. Quando sarà impartita questa condanna? In Apocalisse 19: 20 è mostrato che, quando tornerà Cristo, ci saranno dei castighi di fuoco chiamati “laghi di fuoco e zolfo”. La bestia e il falso profeta, vi saranno gettati dentro, vivi. Questo castigo può riferirsi unicamente alla distruzione, cui sono destinati, all’inizio, e non alla fine dei mille anni. In Isaia 34: 8-10 vi è un passo molto interessante, cui dobbiamo riferirci per chiarire le minacce del terzo angelo, e che descrive le immagini che occorreranno inesorabilmente in occasione del 2° avvento, allorquando la terra resterà desolata, anche per i mille anni che seguiranno. Si è quasi costretti a riconoscere che il linguaggio dell’Apocalisse ripete parte di quella profezia. Dopo aver descritto l’ira di Yahwé verso le nazioni, il grande massacro fatto dai Suoi eserciti e l’arrotolamento dei cieli, come un libro che si arrotola, il profeta dice: – Poiché è il giorno della vendetta dell’Eterno, l’anno della retribuzione per la causa di Sion. I torrenti di Edom saranno mutati in pece, e la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né giorno né notte, il fuoco ne salirà in perpetuo; d’età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà più -. In considerazione del fatto che rivela espressamente che ci sarà un lago di fuoco, nel quale periranno tutti i peccatori alla fine dei mille anni, non possiamo che concludere: sia la distruzione degli empi viventi, all’inizio dei mille anni, sia la condanna finale di tutti gli empi, alla fine dei mille anni, sono simili.
L’espressione “nei secoli dei secoli”, del 3° messaggio (Apocalisse 14: 11), non può significare l’eternità. Questo s’intuisce dal fatto che il castigo è impartito sulla terra dove il tempo si misura in giorni e notti. E’ dimostrato più chiaramente nel passo di Isaia che abbiamo considerato, che ha ispirato la stessa espressione, e che ha lo stesso significato temporale. Isaia si riferisce alla terra di Idumea. Ma, sia che l’espressione indichi letteralmente la terra di Idumea, che si trova a sud della Giudea, sia che rappresenti, come in realtà vuol fare, tutta la terra nel momento in cui il Signore Gesù si manifesterà in cielo con fiamme di fuoco, quando giungerà l’anno della retribuzione per la causa di Sion, in ogni caso l’avvenimento avrà una conclusione.
Questa terra dev’essere rinnovata, purificata da ogni macchia di peccato, da ogni residuo di sofferenza e di decadenza perché possa diventare dimora di giustizia e di gioia per l’eternità. La parola aion, qui tradotta “nei secoli dei secoli”, è cosi definita da G. Abbot Smith, nel suo Piccolo Dizionario Greco del Nuovo Testamento: “Un lasso di tempo, come una vita, una generazione, un periodo storico, un periodo indefinitamente lungo”. Per cui, senza far violenza al significato della parola greca, possiamo interpretarla allo steso modo di altre categoriche dichiarazioni delle Scritture.
Il periodo del messaggio del terzo angelo è un tempo di sopportazione per il popolo di Dio. Paolo e Giacomo ci istruiscono a questo riguardo, mettendoci in guardia (Ebrei 10: 36; Giacomo 5: 7-8). Nel frattempo, la compagnia in attesa, osserva i Comandamenti divini del Decalogo e conserva la fede in Gesù. Compie, cioè, tutti gli insegnamenti di Cristo e dei Suoi apostoli come sono contenuti nel Nuovo Testamento. Il vero sabato, come lo presenta il Decalogo, brilla di luce divina, in contrasto col falso giorno di riposo, il marchio della bestia, che alla fine contraddistinguerà coloro che respingono il messaggio del terzo angelo.
VERSETTI 13-16: E udii una voce dal cielo che diceva: Scrivi: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Si, dice lo Spirito, essendo che si riposano dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono.
E vidi ed ecco una nuvola bianca; e sulla nuvola assiso uno simile a un figliuol d’uomo, che avea sul capo una corona d’oro, e in mano una falce tagliente. E un altro angelo uscì dal tempio, gridando con gran voce a colui che sedeva sulla nuvola: Metti mano alla tua falce, e mieti; poiché l’ora di mietere è giunta, perché la messe della terra è ben matura. E colui che sedeva sulla nuvola lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta.
Una crisi solenne: Gli avvenimenti, man mano che s’avvicinano alla fine, acquistano solennità, e questo conferisce al messaggio del terzo angelo una solennità e un’importanza veramente speciali. È l’ultimo avvertimento dato al mondo prima del ritorno di Cristo, che ora è rappresentato come seduto su una nuvola bianca con una corona sul capo e una falce tra le mani, mentre sta per tagliare la messe della terra.
Stiamo percorrendo rapidamente il tempo profetico che culminerà nella manifestazione di Gesù Cristo in cielo tra lingue di fuoco, per fare vendetta sui suoi nemici, e ricompensare i Suoi santi. Ma non solo questo. Ci siamo, infatti, tanto avvicinati al suo compimento, che il successivo anello della catena è quest’evento prossimo, prodigioso e meraviglioso. Il tempo non torna mai indietro. Come il fiume non tentenna nell’avvicinarsi al precipizio, ma trascina inesorabilmente con se ogni oggetto che vi galleggia sopra, e come le stagioni non mutano il loro corso, ma l’estate segue la maturazione delle gemme del fico, e l’inverno segue la caduta delle foglie, anche noi siamo trascinati avanti, che ci piaccia o no, che siamo pronti o no, verso la crisi finale, inevitabile ed irreversibile.
Ah! Come sono lontani dall’immaginare quale sorte dovranno affrontare quelli che professano orgogliosamente la loro religione, e i peccatori impenitenti. Com’è difficile capire questo anche per coloro che conoscono la verità e che affermano di seguirla!
Una benedizione promessa: Una voce dal cielo ordina a Giovanni di scrivere: “beati i morti che d’ora in avanti muoiono nel Signore”, e lo Spirito risponde: “Si… perché si riposano delle loro fatiche; poiché le loro opere li seguono”. Con “d’ora in avanti” si vuole indicare un particolare momento. Quale? Evidentemente l’inizio del messaggio cui ci si riferisce. Perché sono beati quelli che muoiono da questo momento? Quale sarà il motivo di tale beatitudine? Sarà forse perché sfuggiranno il periodo di terribili pericoli che i santi dovranno affrontare con l’avvicinarsi della fine della loro peregrinazione? Sebbene siano beati allo stesso modo degli altri che sono morti, hanno dalla loro il vantaggio d’appartenere a quella compagnia che risusciterà alla vita eterna, nella risurrezione speciale di Daniele 12: 2.
È importante notare che in questa catena profetica tre angeli precedono il Figlio dell’uomo che viene sulla nuvola bianca, e tre sopraggiungono dopo di Lui. Abbiamo già ricordato che gli angeli letterali partecipano alle immagini qui descritte. I primi tre hanno l’incarico dei tre messaggi speciali. Il messaggio del 4° evidentemente sarà annunciato dopo che il Messia avrà terminato la Sua opera sacerdotale, e sarà assiso sulla nuvola bianca, ma prima che appaia in cielo tra le nuvole. Siccome le parole sono dirette a Colui che siede sulla nuvola bianca, e che ha nelle mani la falce tagliente per la mietitura, ci vediamo un messaggio in preghiera della chiesa, dopo che avrà finito la sua missione in favore del mondo, quando sarà terminato il tempo di grazia e non aspetta altro che il ritorno del Signore, che la porti con Se. Questa preghiera è sicuramente il grido del popolo di Dio nell’attesa del suo Salvatore, di cui parla nostro Signore in Luca 18: 7. Questa preghiera sarà accolta. Gli eletti saranno vendicati. Forse che la parola del Signore non assicura che: “Dio non farà Egli giustizia ai Suoi eletti che giorno e notte gridano a Lui?”. Colui che sta seduto sulla nube lancerà la Sua falce e i santi, rappresentati dal grano della terra, saranno raccolti per essere conservati nei granai celesti.
La raccolta del grano: “E Colui che sedeva sulla nuvola lanciò la sua falce sulla terra, e la terra fu mietuta”. Questa parole ci conducono al 2° Avvento di Cristo, con le immagini della distruzione degli empi, e della salvezza dei giusti. Dobbiamo ora cercare più avanti, nei versetti che seguono, l’applicazione di queste scene.
VERSETTI 17-20: E un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, avendo anch’egli una falce tagliente. E un altro angelo, che avea potestà sul fuoco, uscì dall’altare, e gridò con gran voce a quello che avea la falce tagliente, dicendo: Metti mano alla tua falce tagliente, e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve son mature. E l’angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna della terra e gettò le uve nel gran tino dell’ira di Dio. E il tino fu calcato fuori della città, e dal tino uscì del sangue che giungeva sino ai freni dei cavalli, per una distesa di milleseicento stadi
Il tino dell’ira di Dio: Gli ultimi due angeli hanno qualcosa di cui chiedere conto agli empi, simboleggiati dai rossi grappoli della vigna della terra. Non potrebbe essere che è qui rappresentata la sorte finale di quel gruppo di persone alla fine del millennio, e che la profezia ci vuole mostrare, in sintesi, solo ciò accadrà alla fine sia ai giusti, sia agli empi? I giusti sono rivestiti d’immortalità, portati in salvo nel regno, mentre gli empi muoiono “fuori della città”. E’ difficile adattare tutto questo al tempo del 2° avvento, perché gli avvenimenti sono presentati in ordine cronologico e la distruzione degli empi avverrebbe contemporaneamente all’adunamento dei giusti. Oltre tutto, gli empi che saranno vivi al Suo ritorno berranno la coppa della Sua ira. Ma questo passaggio ci presenta il momento in cui periscono nel tino della Sua ira. Questo tino è calcato “fuori della città”, che corrisponde perfettamente alla descrizione di Apocalisse 20: 9, dov’è annunciata la distruzione degli empi, definitiva e totale.
L’angelo esce dal tempio, dove si consultano i registri, e si sentenziano i castighi. L’altro angelo ha potere sul fuoco. Questo si può riferire al fatto che l’agente distruttore sarà il fuoco che alla fine distruggerà gli empi, anche se, per continuare col simbolismo, sono paragonati ai grappoli della vigna della terra, e la profezia afferma che saranno gettati e calcati nel gran tino fuori della città. Dal tino esce il sangue che arriva ai freni dei cavalli. Sappiamo che gli empi sono condannati ad essere consumati da un fuoco divorante che scenderà dal cielo, ma non sappiamo quale massacro sarà compiuto, prima, nell’esercito dei condannati. Non è improbabile che queste siano immagini che si realizzeranno letteralmente, dato che i quattro angeli di questa serie indicano un movimento importante da parte del popolo di Dio, anche gli ultimi due possono indicare lo stesso soggetto, anche perché i santi hanno un incarico da compiere nell’individuazione e nell’esecuzione del castigo finale degli empi (1° Corinzi 6: 2; Salmo 149: 9).
I santi trionfanti: La profezia termina come le altre col trionfo di Dio, di Cristo e dei redenti.
Questo capitolo introduce le sette ultime piaghe, manifestazione dell’ira Divina, non mitigata dalla misericordia, versata abbondantemente sull’ultima generazione degli empi. In quel momento l’opera della misericordia Divina sarà terminata per sempre.
VERSETTI 1-8: Poi vidi nel cielo un altro segno grande e meraviglioso:
sette angeli che aveano sette piaghe, le ultime; poiché con esse si compie l’ira di Dio. E vidi come un mare di vetro e di fuoco e quelli che aveano ottenuta vittoria sulla bestia e sulla sua immagine e sul numero del suo nome, i quali stavano in pie’ sul mare di vetro avendo delle arpe di Dio. E cantavano il cantico di Mosè, servitore di Dio, e il cantico dell’Agnello, dicendo: Grandi e maravigliose sono le tue opere, o Signore Iddio Onnipotente; giuste e veraci sono le tue vie, o Re delle nazioni. Chi non temerà, il Signore, e che non glorificherà il Tuo nome? Poiché Tu solo sei Santo; e tutte la nazioni verranno e adoreranno nel Tuo cospetto, poiché i Tuoi giudici sono stati manifestati. E dopo queste cose vidi, e il tempio del tabernacolo della testimonianza fu aperto nel cielo; e i sette angeli che recavano le sette piaghe usciron dal tempio, vestiti di lino puro e risplendente, e col petto cinto di cinture d’oro. E una delle quattro creature viventi diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio, il Quale vive nei secoli dei secoli. E il tempio fu ripieno di fumo a cagione della gloria di Dio e della Sua potenza; e nessuno poteva entrare nel tempio finche fosser compiute le sette piaghe dei sette angeli.
Una scena introduttiva: Questo è ciò che dice il capitolo 15°. Ci fa percorrere una nuova serie d’avvenimenti. Tutto il capitolo è un’introduzione per i giudizi più terribili che l’Onnipotente abbia mai fatto cadere sulla terra: le sette ultime piaghe. Ciò cui ora assistiamo è il solenne preparativo per il versamento di queste coppe, che non sono mitigate dalla misericordia Divina. Il versetto 5 ci fa capire che le piaghe cadranno dopo che il ministero del Santuario sarà terminato, poiché il tempio è aperto prima che le coppe siano versate. Esse sono consegnate a sette angeli vestiti di lino bianco risplendente e puro, simbolo adeguato della purezza della giustizia Divina che è manifestata in questi castighi. Gli angeli le ricevono dalle mani di una delle quattro creature viventi. Nei commenti di Apocalisse 4 abbiamo dimostrato che queste creature servono Gesù Cristo nell’opera che si realizza nel Santuario. E’ veramente giusto che spetti ad essi di consegnare agli agenti della vendetta, le coppe dell’ira da versare su coloro che hanno abusato della pazienza di Dio, che hanno disonorato il Suo Santo Nome, e che L’hanno nuovamente crocifisso, perseguitando i Suoi discepoli. Intanto che i sette angeli compiono la loro terribile missione, il tempio si riempie della gloria di Dio, e nessuno (oudéis = nessun essere), può entrarvi. Significa che l’opera misericordiosa d’intercessione è terminata, dato che durante la caduta delle piaghe non vi si svolge più nessun ministero. Per questo motivi esse sono versate pure, prive della misericordia Divina.
Il popolo di Dio non è dimenticato: I figli di Dio non sono dimenticati nemmeno in questa circostanza. Nei versetti 2-4 si permette al profeta di vederli in anticipo, come vincitori sul mare che sembra di vetro mischiato col fuoco. Cantano il cantico di Mosé e dell’Agnello, mentre stanno su quella sfavillante manifestazione di gloria. Il mare di vetro, sul quale stanno i vincitori, è lo stesso di quello presentato in Apocalisse 4:6, e che ora sta davanti al trono celeste. In considerazione del fatto che non vi è nessuna prova che abbia cambiato di posto, e dato che vi si vedono sopra i santi, abbiamo una prova irrefutabile, suffragata da Apocalisse 14: 1-6, che i santi, per ricevere la loro ricompensa, sono portati in cielo. In questo modo, come se un sole abbagliante attraversasse improvvisamente una nuvola a mezzanotte, agli umili discepoli dell’Agnello, sempre esposti alla tentazione e al biasimo, è fatta la promessa, attraverso un’immagine, per rassicurarli dell’amore di Dio, e della certezza della ricompensa finale” – Ditelo che il giusto avrà del bene… ma guai all’empio! Male gl’incoglierà” -, scrisse anticamente (Isaia 3: 10-11).
L’inno che i vincitori cantano, il cantico di Mosé e dell’Agnello, è mostrato in modo riassuntivo: “Grandi e maravigliose sono le Tue opere, o Signore Iddio Onnipotente, giusti e veraci sono i Tuoi giudizi, Re dei santi”. È un canto d’infinita grandezza. Come ci coinvolgono le sue parole! Com’è sublime il suo tema! Evoca le opere di Dio che sono la manifestazione della Sua gloria. Nella loro nuova condizione d’immortalità, i santi potranno capirle più di quanto possono fare oggi da comuni mortali, anche se l’astronomia ci rivela abbastanza da riempire ogni cuore d’ammirazione. Dal nostro piccolo mondo spostiamoci al nostro sole, a 155 milioni di Km di distanza, poi al sole più vicino al nostro, a 40 mila miliardi di Km, poi alla doppia stella polare, la cui luce impiega 400 anni per giungere fino a noi, quindi, attraversando tanti sistemi, gruppi, e costellazioni, arriviamo a Rigel, nella costellazione d’Orione, che brilla con una potenza luminosa di 15000 soli. Che cosa sarà mai il gran centro attorno al quale girano miriadi di questi corpi sfavillanti?! Si può davvero cantare: “Grandi e meravigliose sono le opere Tue”. ma il cantico dice anche altre cose, allude alla provvidenza e alla grazia di Dio: “Giusti e veraci sono i Tuoi giudizi, Re dei santi”. Tutto il disegno Divino, con tutte le Sue creature, sarà vendicato per sempre agli occhi dei redenti, ed agli occhi di tutti i mondi. Alla fine d’ogni nostra perplessità, d’ogni nostra cecità, d’ogni nostra incomprensione, alla fine di tutte le prove, possiamo finalmente esclamare con l’esuberanza di una gioia infinita: “Giusti e veraci sono i Tuoi giudizi, o Re dei santi”.
VERSETTI 1-2: E udii una gran voce dal tempio che diceva ai sette angeli: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio. E il primo andò e versò la sua coppa sulla terra; e un’ulcera maligna e dolorosa colpì gli uomini che aveano il marchio della bestia e che adoravano la sua immagine.
Questo capitolo descrive le sette coppe dell’ira di Dio, che non è mitigata dalla misericordia, e gli effetti che esse produrranno sulla terra. Innanzi tutto ci chiederemo quale sia l’esatta interpretazione: se siano simboliche, se sono state versate nel passato o, se sono letterali, e appartengano al futuro.
Il tempo delle piaghe: La descrizione della prima piaga rivela, subito e chiaramente, il tempo in cui cadrà sulla terra, perché è versata su quelli che hanno il marchio della bestia, e ne adorano l’immagine, esattamente le cose contro le quali ci ha ammonito il 3° angelo.
Questa è la prova conclusiva che questi giudizi non cadranno finche il 3° angelo non avrà terminato la sua opera, e sarà quel gruppo di persone che ode la sua voce e la respinge, a subire le prime gocce della indignazione Divina, quando i calici traboccheranno. Se queste piaghe appartenessero al passato, bisognerebbe situare nel passato anche l’immagine della bestia e la sua adorazione. Se fossero cose passate, anche la bestia con due corna che fa l’immagine, e ogni sua opera, appartengono al passato, così anche il messaggio del 3° angelo che ci ammonisce circa quest’opera; e se si tratta di fatti accaduti secoli fa, anche i messaggi del 1° e del 2° angelo appartengono al passato. Allora i periodi profetici sui quali si fondano i messaggi, specialmente i 2300 giorni, si sono conclusi secoli fa; e anche le settanta settimane di Daniele 9 appartengono all’era giudaica, e perciò è distrutta la prova fondamentale che Cristo è il Messia. Ma nell’analisi di Apocalisse 7: 13-14, è stato dimostrato che il 1° e il 2° messaggio furono annunciati nella nostra epoca, e che il terzo si sta proclamando ora; ma è nel nostro tempo che la bestia con due corna è entrata in scena, preparandosi a compiere l’opera che le è stata assegnata, e che l’immagine della bestia, e l’obbligatorietà del suo culto, stanno per realizzarsi in quest’ultimo periodo.
A meno di non poter confutare queste considerazioni, le sette ultime piaghe vanno datate nel futuro.
Vi sono però altri motivi per situarle nel futuro, anziché nel passato.
Sotto la quinta piaga, gli uomini bestemmiano Dio a causa delle sofferenze causate dalle piaghe, cioè da quelle piaghe o ulcere causate dal versamento della 1° coppa. Questo particolare dimostra che queste piaghe cadranno tutte sulla stessa generazioni d’uomini, di cui, alcuni saranno abbattuti dalle singole piaghe, ma altri sopravvivranno agli scenari terrificanti che seguiranno.
Queste piaghe sono il vino dell’ira di Dio versato senza misericordia, con cui il 3° angelo minacciò il mondo (Apocalisse 14: 10; 15: 1). Le espressioni usate non possono applicarsi a nessun altro giudizio che colpisca la terra, mentre Cristo intercede presso il Padre in favore della famiglia umana. Perciò dobbiamo datare queste piaghe nel futuro, vale a dire quando sarà concluso il tempo di grazia.
Un’altra testimonianza più precisa, rispetto all’inizio e alla durata di queste piaghe, si trova in questa frase: “E il tempio fu ripieno di fumo a cagione della gloria di Dio, e della Sua potenza; e nessuno poteva entrare nel tempio finche fossero compiute le sette piaghe dei sette angeli (Apocalisse 15: 8). Il tempio in oggetto è, evidentemente lo stesso d’Apocalisse 11: 19 “E il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto, e si vide nel suo interno l’arca del patto”. In altre parole, abbiamo davanti a noi il Santuario Celeste. Quando i sette angeli che hanno le sette coppe d’oro, ricevono gli ordini, il tempio si riempie di fumo a causa della gloria di Dio, e nessuno può entrarvi, finche gli angeli non hanno compiuto la loro opera. Pertanto all’interno del Tempio non potrà svolgersi alcun ministero sacerdotale, di conseguenza le coppe non saranno versate, prima che sia finita l’opera d’intercessione di Cristo nel tabernacolo celeste, ma subito dopo. La misericordia che per tanto tempo trattenne la mano della vendetta, ormai non intercede più. I servi di Dio sono stati tutti suggellati. Cosa potrebbe attendersi di diverso la terra, se non castigo e distruzione?
Dato che questi giudizi cadranno in un futuro molto vicino, in pratica quando si manifesterà il giorno dell’ira, andiamo a verificarne la natura; ed a scoprirne gli effetti. Quando dal tempio sarà dato ai sette angeli l’ordine terribile e solenne: – Andate, e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio -.
Ora siamo invitati a dare uno sguardo alla terribile “armeria” dell’Eterno, e ad ammirare “le armi della Sua indignazione” (Geremia 50:25 VM). Ecco che vediamo i depositi della grandine che sono riservati per il tempo d’agonia, per il giorno della battaglia e della guerra (Giobbe 38:22-23).
La prima piaga: “E venne il primo, e versò la sua coppa sulla terra; e venne un’ulcera maligna e dolorosa agli uomini che avevano il marchio della bestia e su quelli che adoravano la sua immagine” (Ved. Zaccaria 14: 12).
Apparentemente non c’è nessun motivo, per non considerarla strettamente letterale. Queste piaghe sono quasi uguali a quelle che Dio mandò agli egizi, quando stava per liberare il Suo popolo dal giogo di schiavitù, e della loro realtà nessuno può dubitare. Dio sta per ricompensare il Suo popolo con la liberazione finale, e con la redenzione, e i Suoi giudizi si manifesteranno in modo non meno letterale e terribile.
Non c’è dato di sapere di più sulla natura delle piaghe ulcerose. Può darsi che siano simili alle “ulcere germoglianti pustole” che caddero sull’Egitto.
VERSETTO 3: Poi il secondo angelo versò la sua coppa nel mare; ed esso divenne sangue come di morto; ed ogni essere vivente che si trovava nel mare morì.
La seconda piaga: È difficile immaginare una sostanza più infettiva e mortale del sangue d’un cadavere, ed è veramente spaventoso sapere che un giorno i grandi depositi d’acqua della terra si trasformeranno in questa raccapricciante sostanza. Consideriamo ora il termine “anima vivente”: sono indicati così le creature non razionali del mare, come i pesci e gli altri animali marini. Forse è l’unica volta che nelle nostre traduzioni si usa in questo modo, ma nelle lingue originali si presenta spesso, e ciò dimostra che tale espressione indica il primo uomo (Genesi 2: 7); queste due parole non ci suggeriscono assolutamente l’idea che l’uomo sia dotato di un’anima “immortale”, o, per dirla più chiaramente, che sia dotato di un’essenza incorporea e immortale che noi chiamiamo “anima”.
VERSETTI 4-7: Poi il terzo angelo versò la sua coppa nei fiumi e nelle fonti delle acque; e le acque diventarono sangue. E udii l’angelo delle acque che diceva: Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, per aver così giudicato. Hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e tu hai dato loro a bere del sangue; essi ne son degni! E udii l’altare che diceva: Sì, o Signore Iddio Onnipotente, i tuoi giudici sono veraci e giusti.
La terza piaga: Questa è la descrizione della tremenda retribuzione richiesta per il “sangue dei santi” versato da mani violente, e che cade su quanti hanno commesso o hanno desiderato commettere tali azioni. Anche se gli orrori di quelle ore ci sono, adesso, incomprensibili, quando le fonti d’acqua e i fiumi diventeranno sangue, la giustizia di Dio sarà vendicata e i Suoi giudizi saranno approvati. Infatti gli angeli esclamano: “Sei giusto… per aver cosi giudicato: Hanno sparso il sangue dei profeti e dei santi…”. Certamente, Signore Iddio Onnipotente, i Tuoi giudizi sono giusti e veraci.
Qualcuno si chiederà come si possa affermare che l’ultima generazione d’uomini empi ha versato il sangue dei profeti e dei santi, dato che la morte non li colpirà nella loro ultima generazione. Leggendo Matteo 23: 34-35 e Giovanni 3: 15, troveremo la spiegazione. Questi passi affermano che la colpevolezza si realizza sia nel gesto concreto, sia nell’intenzionalità di compierlo. Mai nessuna generazione è stata così spietata, nella sua decisione di condurre indiscriminatamente i santi al massacro, come lo sarà quella del tempo delle piaghe (legg. comm. Apocalisse 12: 17, 13: 15). Con le loro intenzioni, nel perseguimento dei loro progetti, “versano” il sangue dei profeti e dei santi, rendendosi colpevoli come se fossero riusciti realmente a portare a compimento i loro propositi criminali.
Crediamo che nessun membro della famiglia umana sopravvivrebbe, se questa piaga terribile colpirà gli uomini per troppo tempo, per questo motivo crediamo che sia di breve durata, come lo fu quella che colpì l’Egitto molti secoli fa. (Esodo 7:17-21,25)
VERSETTI 8-9: Poi il quarto angelo versò la sua coppa sul sole; ed al sole fu dato di bruciare gli uomini col fuoco. E gli uomini furon arsi dal gran calore; e bestemmiarono il nome di Dio che ha la potestà su queste piaghe, e non si ravvidero per darGli gloria.
La quarta piaga: Noteremo che ogni piaga successiva tende ad aumentare le calamità delle precedenti. Ecco una piaga penosa che causa un tormento che fa soffrire gli uomini, accalora il loro sangue, e rende le loro vene febbricitanti.; oltretutto non hanno che sangue per placare l’arsura che li divora. E poi, come se non bastasse, è concesso al sole una potenza insolita: e il sole spande su essi un torrente di fuoco, ed essi si sentono ardere per il gran calore. Ma, secondo il racconto, le sofferenze non ottengono che di strappare dalle loro labbra bestemmie terribili.
VERSETTI 10-11: Poi il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia; e il regno d’essa divenne tenebroso, e gli uomini si mordevano la lingua per il dolore, e bestemmiarono l’Iddio del cielo a motivo de’ loro dolori e delle loro ulceri; e non si ravvidero delle loro opere.
La quinta piaga: Questa testimonianza chiarisce un fatto importante. Le piaghe non uccidono subito tutte le loro vittime, perché alcuni di quelli che sono stati afflitti dalle ulcere, sono ancora vivi nel momento del versamento della quinta coppa, infatti si mordono la lingua per il dolore. In Esodo 10:20-21 abbiamo una descrizione di questa quinta piaga. Essa è versata sul trono della bestia: il papato. Il suo trono si trova dove sta la sede del Papa, che finora è, e siamo convinti continuerà ad essere, nella città di Roma. Il “suo regno” comprende probabilmente tutti coloro che sono sudditi del papa, ovunque siano.
Siccome quelli che datano la piaghe nel passato, considerano le prime cinque già completamente compiute, vogliamo sapere in quale anno del passato, siano caduti i castighi visti finora. Ma se nessuno se n’è accorto, possiamo ritenerli giudizi cosi terribili?, e in quale momento caddero sulla terra?, quando cadde, e dove colpì l’ulcera “dolorosa e maligna”?, quand’è che il mare è diventato “come sangue di morto”, facendo morire tutte le creature che vi abitavano?, quando è che le fonti delle acque e i fiumi diventarono sangue, e la gente non ebbe altro da bere che sangue?, quando è che il sole ha bruciato gli uomini al punto da indurli a bestemmiare e a maledire?, quando è che i sudditi della bestia si morsero la lingua per il gran dolore, e bestemmiarono Iddio a motivo della sofferenza della piaga?. La Parola di Dio afferma che con queste piaghe si compie l’ira di Dio: possibile che tutto questo avvenga, senza che nessuno se ne accorga? Chi considererà la Sua ira così terribile, d’ora innanzi? E chi cercherà di sfuggire i Suoi giudizi, quando ne sarà minacciato?
VERSETTI 12-16: Poi il sesto angelo versò la sua coppa sul gran fiume Eufrate, e l’acqua ne fu asciugata affinché fosse preparata la via ai re che vengono dal sol levante. E vidi uscir dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi, simili a rane; perché sono spiriti di demoni che fan de’ segni e si recano dai re di tutto il mondo per radunarli per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente. (Ecco, io vengo come un ladro; beato colui che veglia e serba le sue vesti onde non cammini ignudo e non si veggano le sue vergogne). Ed essi li radunarono nel luogo che si chiama in ebraico Harmaghedon.
La sesta piaga: Cosa è il gran fiume Eufrate su cui si versa questa coppa? Alcuni pensano sia quello letterale, che scorre in Asia. Altri, che sia il simbolo della nazione che occupa il territorio sul quale scorre il fiume. Quest’ultima opinione è quella più plausibile per molte ragioni. Sarebbe difficile capire di quale utilità sarebbe il prosciugamento letterale del fiume, dato che non può costituire un serio ostacolo all’avanzata di un esercito in marcia. Occorre considerare che il prosciugamento avviene per permettere l’invasione dei re dell’oriente, in altre parole si tratta di organismi militari equipaggiati, e non una moltitudine eterogenea priva di mezzi, composta di uomini, donne e bambini, com’erano stati i figlioli d’Israele, di fronte al mar Morto e al Giordano.
L’Eufrate ha una lunghezza di circa 2200 Km, ossia la terza parte del Mississippi. Ciro, in occasione dell’assedio di Babilonia, non ebbe alcuna difficoltà a deviarne le acque dal loro alveo. Durante le numerose guerre che si sono combattute nei pressi delle sue sponde, molti eserciti hanno attraversato a più riprese le sue sponde, senza che mai sia stato necessario prosciugarlo per lasciarli passare.
Altrimenti sarebbe necessario prosciugare anche il Tigri, perché sono della stessa grandezza. Le loro origini sono molto vicine, circa 25 Km l’una dall’altra, e si trovano sulle montagne dell’Armenia, il Tigri inoltre ha un percorso quasi parallelo a quello dell’Eufrate, e scorrono vicini per quasi tutta la loro lunghezza. La Bibbia però non dice assolutamente nulla del Tigri.
Il prosciugamento letterale dei fiumi avviene sotto la quarta piaga, quando al sole sarà concesso di bruciare gli uomini con il fuoco. Durante questa piaga si manifesteranno certamente le scene di carestia e di siccità cosi ben descritte da Gioele, che afferma. – I fiumi e le acque si sono seccati -. (Gioele 1:14-20). Difficilmente l’Eufrate sfuggirà a questo castigo, e l’acqua che le resterà sarà troppo poca per poter affermare che non si è prosciugato. Queste piaghe, per loro stessa natura, devono essere la manifestazione dell’ira di Dio contro gli uomini; ma se tutto ciò che questa sesta coppa causerà sarà il prosciugamento letterale di un fiume, allora non è poi così spaventosa, e non è della stessa natura delle altre.
Quindi, in seguito a queste considerazioni, non ci resta che considerare il termine Eufrate, in senso simbolico, vedendovi la potenza il cui territorio è bagnato da quel fiume.
Tutti sono concordi nel vedervi la Turchia. Partendo da questa conclusione, possiamo ricercare il compimento di questa profezia, in qualcosa che riguardi in modo particolare il territorio Turco (confr. Isaia 8: 7; Apocalisse 9: 14). Dall’analisi di questo testo tutti devono convenire che l’Eufrate indichi la Turchia; e siccome è la prima ed unica volta che questa parola compare nell’Apocalisse, è interessante notare che conserva lo stesso significato in tutto il libro. Il prosciugamento dell’Eufrate, perciò, non sarebbe altro che la diminuzione del potere turco, la riduzione graduale delle sue frontiere. Questo è ciò che è successo realmente.
Nel suo apogeo, l’Impero Ottomano si estendeva ad est sino al Tigri e al mar Caspio, a sud fino ad Aden, e comprendeva l’Arabia, la Palestina, l’Egitto, l’Algeria; a nord comprendeva il regno d’Ungheria, i paesi balcanici, la Crimea. La Turchia combatté ripetutamente contro gli eserciti più agguerriti d’Europa: con la Germania, la Russia, e con altre nazioni. Giunse con le sue conquiste perfino nei territori interni dell’Asia, e ricevette richieste d’aiuto anche dall’India. Ma questo potente fustigatore della cristianità non superò i suoi limiti. A causa degli avvenimenti che sfociarono nella crisi del 1840, finì con l’essere quasi distrutto, e da quel momento cominciò il suo rapido declino. Consideriamo alcune delle sue perdite:
La Turchia nel 1718 perse il Regno d’Ungheria; la Crimea nel 1774; la Grecia nel 1832; la Romania, il Montenegro e la Bulgaria nel 1878; il territorio di Tripoli nel 1912, l’Egitto nel 1914, la Mesopotamia, che le fu sottratta dall’Inghilterra, nel 1917. Nello stesso anno perse la Palestina, la Siria in quello successivo, il pascialato lo perse più o meno nello stesso periodo. Alla fine della seconda guerra mondiale, i Dardanelli e Costantinopoli, furono internazionalizzati, e la capitale turca fu traslata ad Angora. La Turchia riebbe dai greci l’Anatolia occidentale, compreso Smirne, e recuperò la parte occidentale dell’Armenia e le fonti che danno origine all’Eufrate, e infine l’antica capitale: Costantinopoli, e la parte europea della Tracia. Anche così, in ogni modo, le resta pochissimo di quel grande territorio che un tempo la rendeva una nazione potente. Il suo dominio si ridusse provincia dopo provincia, finche non le rimase che una piccolissima parte dei suoi antichi possedimenti.
Vero è che la nazione simboleggiata dall’Eufrate, si sta “prosciugando”!
Si può, però, obiettare che mentre noi discutiamo in favore del carattere letterale delle piaghe, ne troviamo una che giudichiamo in modo simbolico. Rispondiamo che non è così. La verità è che sotto la sesta piaga, è introdotta una nazione nel suo simbolo, come accade per la quinta piaga, dove si menziona il trono della bestia, che è un simbolo molto usato; e così anche nella prima piaga, dove vi troviamo un accenno al marchio della bestia, alla sua immagine e alla sua adorazione, che sono anch’essi simboli.
Tutto quello che vogliamo mettere in evidenza è che i castighi di ciascuna coppa sono castighi letterali; nel caso della sesta piaga, essa è come tutte le altre, anche se le organizzazioni che patiscono questi castighi possono essere presentati simbolicamente.
La battaglia di Harmaghedon: Ci si può chiedere: In che modo sarà preparata la via ai re che vengono dall’oriente? Dal prosciugamento, o dall’esaurimento del potere ottomano? La risposta è ovvia. Perché si deve preparare il cammino a questi re? Non è perché si rechino “alla battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”? Dove si deve combattere questa battaglia? La risposta del profeta è che coloro che dovranno combattere questa battaglia, saranno radunati “in un luogo che si chiama in ebraico Harmagedon”. Questo nome deriva dall’antica valle di Meghiddo, dove, ai tempi dell’Antico Testamento, si combatterono numerose e decisive battaglie, come ci informa la storia. Circa il nome di Harmagedon, Lyman Abbott, in un dizionario di informazione religiosa, dice: – Si da questo nome alla grande pianura della Palestina centrale, che si estende dal Mediterraneo, fino al Giordano, e che separa le catene montuose del Carmelo e della Samaria, da quelle della Galilea… È l’antica pianura di Meghiddo, l’Harmagheddon di Apocalisse 16:16-.
Per quanto concerne l’importanza di questo campo di battaglia, George Cormack, dice: – Meghiddo era la chiave militare della Siria. Un tempo dominava la via verso nord, verso la Fenicia e la Celeseria, e la via che attraversava la Galilea verso Damasco e la valle dell’Eufrate… La valle di Kishon e la regione di Meghiddo erano inevitabilmente dei campi di battaglia. Conservarono questa caratteristica lungo tutta la storia; In quel luogo si decisero molte delle grandi contese del sud-est asiatico -.
Dato che Meghiddo “era la chiave militare della Siria”, che dominava la via del medio oriente, il lettore sarà senz’altro interessato a sapere perché, oltre che dalla dichiarazione biblica che vi prevede la battaglia finale, questa regione sarà scelta dalle nazioni della terra, come teatro del conflitto finale e definitivo. Per rispondere a questa domanda, vogliamo sottoporre al lettore le conclusioni di alcuni scrittori, che si sono meritati la nostra stima per i loro anni d’indagini, di studi e di ricerche sulle cause sociali, politiche ed economiche, che spingono le nazioni alla guerra.
J.B.Firth, nel suo libro “The Fortnightly Review”, del maggio 1915, a pag. 795, scrive: – Con la caduta della supremazia ottomana… tornerà in ballo la questione irrisolta della posizione dell’Asia Minore. Questa terra è il corridoio tra l’Europa e l’Asia, lungo la quale sono passati la maggior parte dei conquistatori europei che invasero l’Asia, con la sola eccezione dei russi; e la maggior parte dei conquistatori asiatici che hanno invaso l’Europa -.
Sentiamo ora l’opinione a proposito di Costantinopoli e del suo territorio, che ha tanto sostenuto H. Huntington Powers: – Costantinopoli con il suo stretto tributario, è il sito più strategico del mondo… Quando Napoleone e lo Zar Alessandro si incontrarono a Tilsit per dividersi il mondo, Alessandro, così si racconta, disse a Napoleone: “Dateci o levateci qualsiasi cosa, ma dateci Costantinopoli”. Napoleone, che era da lungo tempo chino sulle carte geografiche, si rialzò tutto ad un tratto, e immediatamente rispose: “Costantinopoli? Mai! Significa dominare il mondo… Sia i mercanti che gli strateghi la considerano la più preziosa delle posizioni territoriali”-.
Leggiamo ancora come l’interesse del mondo si sia trasferito da Costantinopoli alla Turchia asiatica:
– Il problema di Costantinopoli ha lasciato il mondo perplesso e angosciato per tanti secoli. Le nazioni hanno combattuto numerose guerre, e sacrificato innumerevoli vite umane, per possedere o controllare questa gloriosa città, e gli invidiabili stretti che separano l’Europa dall’Asia, e che mettono in comunicazione il mar Nero col Mediterraneo, l’Oriente con l’Occidente, il mondo Slavo con quello Latino-Anglosassone. In genere si era finora creduto, che qualsiasi tentativo di dirimere la questione di Costantinopoli, avrebbe inevitabilmente scatenato una guerra fra gli Stati che ci avessero provato, e che tale conflitto sarebbe poi diventato mondiale, data l’impossibilità di un simile accordo. È per questa ragione che i diplomatici guardano con timore “l’affaire” di Costantinopoli, e la considerano irrisolvibile…
Pur tuttavia, anche se possiamo essere soddisfatti che questo spinoso problema sia stato in qualche modo risolto, ci sembra possibile che al suo posto possa nascerne un altro più grande e più spinoso. La questione della Turchia asiatica sta ora passando in primo piano -.
Questo perché il territorio che fu per tanto tempo occupato dai turchi, domina le grandi strade commerciali di tre continenti, ed è sempre stato conteso da tutti coloro che hanno cercato di raggiungere il dominio del mondo. La scoperta di grandi giacimenti petroliferi nel vicino medio oriente, ha aumentato enormemente il desiderio delle nazioni di possedere l’Asia Minore e la regione bagnata dall’Eufrate. La scoperta che le parole di Giobbe “e dalla roccia mi fluivano ruscelli d’olio” non era un’iperbole, ma la pura verità, ha indotto le nazioni più ricche e potenti a riconoscere che questi giacimenti di petrolio erano sicuramente più ricchi di quelli dell’emisfero occidentale, e che avrebbero costituito nelle mani di coloro che avessero avuto intenzione di dominare il mondo, una ricchezza commerciale e militare.
Ma perché i re dell’oriente dovrebbero interessarsi a questo problema, che riguarda particolarmente il medio oriente? Non dimentichiamoci che la storia ci racconta che esso è già stato invaso dai conquistatori orientali tre volte, e che queste invasioni fornirono molte ricchezze agli invasori. Considerando che tutto l’oriente è nell’attesa della propria rinascita, non appaia strano che anche i loro re desiderino l’oro liquido della valle dell’Eufrate.
In un’intervista concessa dal generale britannico Sir Ian Hamilton a Kingsbury Smith, corrispondente dell’agenzia giornalistica International News Service, mentre il generale parlava della minaccia rappresentata dalla penetrazione asiatica, per la società occidentale, predisse che:- Il luogo dove l’Europa intende fermare la penetrazione asiatica, diventerà l’ultimo campo di battaglia di tutti i tempi, e segnerà la fine della civiltà – poi aggiunse – Ho studiato attentamente le carte geografiche, e il luogo più adatto all’Europa per fronteggiare e respingere l’Asia si chiama Meghiddo, o, in alcune carte Harmagedon -.
Da tutto quello che questi scrittori dicono, ci pare di capire che, se degli eserciti potenti, come quelli che potrebbero essere mobilitati dai “re della terra”, dovessero riunirsi in un luogo compreso fra l’antica valle di Meghiddo e le ampie distese della valle dell’Eufrate e dell’Asia Minore, per combattere “la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”, la profezia si compirebbe per quel che riguarda il territorio che essa indica col termine “Harmaghedon”.
Per lunghi secoli i territori della Palestina e dell’Eufrate sono stati sotto il dominio di governanti musulmani, responsabili davanti alla nazione turca, è logico, perciò, ritenere che la Turchia giungerà alla sua fine prima che i re della terra facciano accampare i loro eserciti in quel territorio.
La fine della Turchia prepara il terreno per la battaglia di Harmaghedon.
I tre spiriti immondi: Un particolare molto importante relativo a questa piaga, è l’apparizione di tre spiriti immondi che spingono le nazioni alla battaglia finale.
Lo spiritismo, che si è già diffuso nel mondo, è davvero l’agente più adatto per compiere quest’opera. Qualcuno si chiederà se è possibile che un fenomeno, che è già oggi in pieno sviluppo, possa essere definito dall’espressione che stiamo considerando, in conseguenza del fatto che la profezia non introduce gli spiriti che alla sesta piaga, che, pur tuttavia, è ancora futura. Rispondiamo che in questo come del resto in altri casi, gli strumenti che il cielo ci avverte che saranno impiegati per il raggiungimento di determinati obiettivi, passano per un processo preliminare di preparazione, per potere poi svolgere l’incarico al quale sono destinati. Perciò, prima che gli spiriti maturino un ascendente così forte sulla specie umana, tale da radunare le nazioni per la grande battaglia contro il Re dei re e Signore dei signori, devono prima consolidare la loro influenza tra le nazioni della terra, ed ottenere che i loro insegnamenti siano accettati, e considerati provenienti dall’autorità divina, e che la loro parola sia considerata legge.
Quest’opera si sta realizzando ora, e dopo che lo spiritismo avrà acquisito la completa influenza sulle nazioni, quale strumento più adatto ci sarebbe per spingerle in un’impresa così temeraria e disperatamente scellerata? A molti può sembrare incredibile che le nazioni siano disposte ad impegnarsi in una guerra così impari come è quella contro il Signore degli eserciti, ma l’inganno è una delle specialità di questi spiriti di demoni, poiché essi con i miracoli che compiono riescono a sedurre i re della terra, affinché credano nella menzogna.
Una dichiarazione di Sir Edward Grey, fatta mentre parlava alla Camera dei Comuni, dimostra che alcuni grandi statisti riconoscono che gli spiriti demoniaci esercitano la loro influenza sulle nazioni, onde spingerle alla guerra. Descrivendo l’azione di queste forze, il Ministro degli Esteri Britannico disse: – E’ come se nell’atmosfera del mondo operasse realmente un’influenza maligna, che turba ed eccita ciascuna delle parti -.
Ramsey Mac Donald, per due volte primo ministro inglese, disse: – Sembrava che fossero tutti eccitati, o che agissero sotto qualche influsso demoniaco… I popoli cominciarono ad intuire che c’era qualcosa di demoniaco negli atti che si compiono per rafforzare gli eserciti e le forze navali ed aeree -.
L’origine di questi spiriti ci insegna che opereranno sui tre grandi gruppi religiosi dell’umanità, che sono rappresentati dal dragone, dalla bestia e dal falso profeta, cioè dal paganesimo, dal cattolicesimo romano e dal protestantesimo apostata.
Quale è il significato della raccomandazione fatta nel versetto 15? Il tempo di grazia è già terminato, e prima che comincino a cadere le piaghe, Cristo ha già terminato la Sua opera di mediazione; esiste il rischio che qualche credente possa cadere dopo la fine del tempo di grazia? Avrete notato che quest’avvertimento è relativo all’opera dello spiritismo; e da questo s’intuisce che l’avvertimento è retroattivo, e si deve intendere dal momento in cui questi spiriti cominciano ad agire, fino al tempo di grazia. Con l’uso del presente al posto del passato nel tempo grammaticale dei verbi, cosa permessa dalla lingua greca, il passo corrisponde a questa frase: “E’ beato colui che avrà vegliato e che avrà serbato le sue vesti, dato che la vergogna e la nudità di quanti non l’avranno fatto, si vedrà particolarmente in questo tempo”.
“Li radunò”, chi sono quelli di cui si dice che saranno “radunati”? E qual è lo strumento usato per farlo? La parola “li” è riferita ai re del verso 14, e lo strumento che li “radunerà” è uno strumento malvagio; ma se il soggetto del verbo “radunare” sono gli spiriti, perché il verbo è al singolare? Il carattere tutto particolare della costruzione di questa frase ha indotto alcuni a leggerla così: “E lui (Cristo) li radunò (ai santi) in un luogo che si chiama in ebraico Harmaghedon (la città illustre, o Nuova Gerusalemme). Questa interpretazione è del tutto insostenibile. Vediamo cosa afferma esattamente la frase. La parola tradotta con “spiriti” è pneumata, sostantivo plurale. Secondo una regola della lingua greca, quando un sostantivo plurale è di genere neutro, come pneumata, vuole il verbo al singolare. Perciò quando la narrazione riprende dopo la parentesi esortativa del versetto 15, anche il verbo “li radunò” è al singolare per concordare col verbo “uscire” del verso 14, dato che i due verbi hanno lo stesso soggetto, cioè “spiriti”. Quindi è più esatto e logico tradurre il verso 16 in questo modo: “Essi (gli spiriti) li radunarono (ai re) in un luogo che in ebraico Harmaghedon”. Questa è l’interpretazione usata anche da altre versioni.
“E li radunarono in un luogo che si chiama in ebraico Harmaghedon”, dice la Versione Moderna, così anche la Versione Riveduta Americana, e la traduzione letterale di Young. Quindi è logico e razionale concludere che le persone radunate saranno i seguaci di Satana, e non i santi di Cristo, e che il luogo del raduno non sarà la Nuova Gerusalemme, per le nozze dell’Agnello, ma l’Harmaghedon (o monte di Meghiddo), per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente.
VERSETTI 17-21: Poi il settimo angelo versò la sua coppa nell’aria; e una gran voce uscì dal tempio, dal trono, dicendo: È fatto. E si fecero lampi e voci e tuoni; e ci fu un gran terremoto, tale, che da quando gli uomini sono stati sulla terra, non si ebbe mai terremoto così grande e così forte. E la gran città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò di Babilonia la grande per darle il calice del vino del furor dell’ira sua. Ed ogni isola fuggì e i monti non furon più trovati. E cadde dal cielo sugli uomini una gragnuola grossa dal peso di circa un talento; e gli uomini bestemmiarono Iddio a motivo della piaga della gragnuola; perché la piaga d’essa era grandissima.
La settima piaga: L’ispirazione descrisse così l’ultimo castigo che ha da colpire coloro che sono stati incorregibilmente ribelli a Dio. Alcune delle piaghe precedenti hanno una diffusione locale, ma questa è versata nell’aria. L’atmosfera avvolge tutta la terra, da ciò s’intuisce che questa piaga interessa in eguale misura tutto il globo abitabile: sarà universale. L’aria stessa diventerà mortifera. L’adunamento delle nazioni è avvenuta sotto la sesta piaga, ma la battaglia finirà per essere combattuta sotto la settima. Ora ci sono mostrati gli strumenti che Dio impiegherà per uccidere gli empi. A questo punto della storia umana si dirà: “L’Eterno ha aperto le Sue armerie, e ha tratto fuori le armi della Sua indignazione” (Geremia 50:25).
La Scrittura afferma che si udranno “voci”; si udrà soprattutto la voce di Dio. “L’Eterno ruggirà da Sion, farà risonar la Sua voce da Gerusalemme, e i cieli e la terra saranno scossi; ma l’Eterno sarà in rifugio per il Suo popolo, una fortezza per i figlioli d’Israele” (Gioele 3:16; legg. anche Geremia 25:30; Ebrei 12:20). La voce di Dio produrrà un gran terremoto quale non fu mai sulla terra, da quando esistono gli uomini.
“Tuoni e fulmini”. Queste sono altre allusioni ai giudizi dell’Egitto (Esodo 9:23).
La gran città è divisa in tre parti; che rappresentano le tre grandi divisioni delle religioni false e apostate del mondo, (la gran città): il paganesimo, il cattolicesimo romano, e il protestantesimo apostata, che a quanto pare saranno divisi, affinché ognuno di loro riceva la giusta condanna. Le nazioni cadono; la desolazione universale si estende su tutta la terra; ogni isola fugge, e i monti non si trovano più. Dio si ricorda allora di Babilonia. In Apocalisse 18 leggiamo una descrizione più completa dei giudizi divini.
“E cadde dal cielo sugli uomini una gragnuola grossa dal peso di circa un talento”. È l’ultimo strumento usato per castigare gli empi. È l’amaro fondo dell’ultima coppa. Dio si era rivolto ad essi ammonendoli solennemente: “Io prenderò il diritto per livello, e la giustizia per piombino, la grandine spazzerà via il rifugio di menzogna e le acque inonderanno il vostro ricetto (Isaia 28:17; legg. Isaia 30:30. Il Signore domandò a Giobbe se avesse visto i depositi di grandine che aveva “per i tempi della distretta, per il giorno della battaglia e della guerra” (Giobbe 38:23).
La Bibbia afferma che ogni “chicco” peserà un talento. Secondo alcuni esperti un talento equivale a 26 Kg circa (La versione Luzzi c’informa che un talento equivale a 45 Kg N. del T.).
Cosa potrà resistere all’urto di una grandine di questo peso, quando cadrà dal cielo? In quel momento per l’umanità non vi sarà nessun rifugio. Le città saranno distrutte dal terremoto, le isole fuggiranno e le montagne non si troveranno più. Gli empi daranno nuovamente libero sfogo alle loro angosce ed al loro terrore, con le bestemmie perché “la piaga d’essa era grandissima”.
La descrizione di una tempesta di grandine abbattutasi sul Bosforo, del commodoro
Porter, ci permetterà d’avere un’idea, seppure insufficiente, dei terribili effetti distruttivi della grandine.
:- Avevamo percorso circa due Km, quando apparvero dei neri nuvoloni che ci fecero capire che s’avvicinava la pioggia. Dopo pochi minuti ci accorgemmo che dal cielo cadeva qualcosa dall’aspetto biancastro che produceva sul mare dei grossi spruzzi. Non riuscii a capire subito di che cosa si trattasse, notai che i gabbiani che volavano cercavano d’evitarli; prima pensai che fossero loro, i gabbiani, a tuffarsi in mare in cerca di cibo, ma subito mi accorsi che a cadere dal cielo erano grosse sfere di ghiaccio. Immediatamente udimmo un rombo sordo, come un tuono o come dieci mila carri che corressero furiosamente sul pavimento. Tutto il Bosforo era coperto di schiuma, come se l’artiglieria del cielo si stesse scaricando su di noi e sul nostro fragile mezzo. La nostra sorte sembrava inevitabilmente segnata; aprimmo i nostri ombrelli per proteggerci, ma i proiettili di ghiaccio li distrussero. Per fortuna avevamo sulla barca una pelle di bue, e ci trascinammo sotto di essa, evitando così danni maggiori. Ad uno dei tre rematori la grandine schiacciò letteralmente una mano; un altro fu gravemente ferito ad una spalla; il Sig. H. fu colpito duramente ad una gamba; la mia mano destra restò parzialmente paralizzata, e tutti fummo feriti più o meno gravemente.
Fu quella l’esperienza più spaventosa della mia vita, e spero proprio di non doverla rivivere più. Sulla barca caddero delle sfere di ghiaccio grandi come due dei miei pugni, e alcune caddero con tale violenza che se ci avessero colpiti ci avrebbero senz’altro spezzato un braccio o una gamba. Una di esse colpì la parte grossa di un remo e lo spezzò in due.
In tutto durò circa cinque minuti, ma durante quel breve lasso di tempo, sperimentammo tutti il vero terrore. Quando tutto finì vedemmo le colline, intorno a noi, coperte di uno strato di ghiaccio, non si poteva infatti chiamarlo grandine; gli alberi avevano perso le foglie, e tutto intorno a noi era desolazione.
La scena era indescrivibile. Ho vissuto molti terremoti, il fulmine, per cosi dire, ha giocato intorno alla mia teste; ho udito il ruggire del vento; molte volte mi sono sentito sollevare verso il cielo dalle onde che poi mi precipitavano nell’abisso. Ho partecipato ad azioni di guerra, e attorno a me ho visto la morte e la distruzione, nelle sue forme più orribili; ma mai ho avuto dentro di me la sensazione di paura che ho provato in quell’occasione, e che temo, mi ossessiona sempre…
Il mio portinaio, il più coraggioso di tutti, s’affacciò un istante alla porta, e ne fu colpito, e se non si fosse precipitato dentro, la grandine l’avrebbe ucciso… Nella parte più alta del villaggio, due barcaioli furono uccisi, e vi furono parecchie ossa rotte… Immaginate che i cieli gelassero all’improvviso, e sempre all’improvviso si frantumassero in tanti pezzi irregolari dal peso di circa mezzo chilo ciascuno, che fossero poi scagliati sulla terra -. Lettore, se questi furono gli effetti distruttivi di una grandinata che lasciò cadere pezzi di ghiaccio grossi come due pugni, e dal peso di circa mezzo chilo, chi potrà descrivere le conseguenze di quella futura tempesta, in cui ogni proiettile peserà 25 Kg? Così come è certa la Sua Parola, Iddio si accinge a castigare molto presto, e allo stesso modo, un mondo colpevole. Voglia il cielo che secondo la Sua promessa, possiamo avere “un soggiorno di pace… e una dimora sicura, in quell’ora terribile” (Isaia 32:18,19).
“E una gran voce uscì dal tempio, dal trono, dicendo: ‘È fatto’ “.
Tutto si è compiuto; tutto è finito. La coppa della colpevolezza umana era colma. Anche l’ultima anima si è servita del piano della salvezza. I libri sono stati chiusi. Il numero dei salvati è stato completato.
Sulla storia di questo mondo è stato messo il punto finale. Le coppe dell’ira di Dio sono state versate sopra una generazione iniqua e corrotta. Gli empi le hanno bevute sino alla feccia, e sono stati sprofondati per mille anni nel regno dei morti.
Lettore, dove vuoi trovarti dopo aver preso la più importante decisione della tua vita?
In quale situazione si trovano i santi mentre “la frusta passa roteando”? Essi sono l’oggetto della speciale protezione dell’Onnipotente, che non lascia che un solo uccellino cada, senza che Egli lo sappia. Le promesse che ci consolano sono tante. Esse sono contenute riassuntivamente nel più affascinante ed espressivo linguaggio del salmista:
“Chi dimora nel ritiro dell’Altissimo alberga all’ombra dell’Onnipotente;
io dico all’Eterno: Tu sei il mio Rifugio e la mia Fortezza il mio Dio, in cui confido! Certo Egli ti libererà dal laccio dell’uccellatore e dalla peste mortifera. Egli ti coprirà con le Sue penne e sotto le Sue ali troverai rifugio. La Sua fedeltà ti è scudo e targa. Tu non temerai lo spavento notturno, né la saetta che vola di giorno, né la peste che va attorno nelle tenebre, né lo sterminio che infierisce in pien mezzodì. Mille te ne cadranno al fianco, e diecimila alla destra; ma tu non ne sarai colpito.
Solo contemplerai coi tuoi occhi e vedrai la retribuzione degli empi.
Poiché tu hai detto: O Eterno, Tu sei il mio rifugio; tu hai preso l’Altissimo per il tuo asilo male alcuno non ti coglierà, né piaga alcuna s’accosterà alla tua tenda…” (Salmo 91: 1-10).
VERSETTI 1-5: E uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne, e mi parlò dicendo: Vieni; io ti mostrerò il giudicio della gran meretrice, che siede su molte acque e con la quale hanno fornicato i re della terra; e gli abitanti della terra sono stati inebriati del vino della sua fornicazione. Ed egli, nello Spirito mi trasportò in un deserto; e io vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia e avente sette teste e dieci corna. E la donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle; aveva in mano un calice d’oro pieno di abominazioni e delle immondizie della sua fornicazione, e sulla fronte avea scritto un nome: Mistero Babilonia la grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra.
Nel versetto 19 del capitolo precedente, siamo stati informati che “Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle il calice del furor dell’ira Sua”. Ora il profeta considera più dettagliatamente il tema di questa “gran Babilonia”. Per presentarla in modo più completo, torna indietro e racconta alcuni episodi della sua storia. In genere i protestanti credono che questa donna apostata, presentata in questo capitolo sia il simbolo della chiesa cattolico-romana. Tra questa chiesa e i re della terra vi sono sempre state delle relazioni illecite. Gli abitanti della terra sono stati ubriacati col vino della sua fornicazione, cioè delle sue false dottrine.
La Chiesa e lo Stato: Questa profezia, più di altre, è più direttamente applicabile al potere romano, per la ragione che fa una distinzione fra la Chiesa e lo Stato. Infatti vediamo la donna, la Chiesa, assisa su di una bestia scarlatta, il potere civile che la sostiene e che essa, a sua volta guida e controlla a suo piacimento, come un fantino controlla l’animale su cui è seduto.
Le vesti e i gioielli della donna, come ci sono presentati al verso 4, concordano in modo sorprendente con l’interpretazione di questo simbolo. I colori principali che caratterizzano i mantelli dei papi e dei cardinali, sono esattamente la porpora e lo scarlatto. Secondo testimoni oculari, tra le miriadi di pietre preziose che adornano i loro abiti cerimoniali, l’argento è quasi assente, e l’oro stesso si nota meno delle gemme preziose.
Dalla coppa d’oro che ha in mano, e che per essere simbolo della purezza delle dottrine, e della professione di fede, dovrebbe contenere solamente qualcosa di puro, che sappia di verità, escono solo abominazioni, e il vino della sua fornicazione, e pratiche e riti ancor più abominevoli.
Si dice che in occasione di un giubileo cattolico, sia stato usato il simbolo di una donna con una coppa in mano. “Nel 1825, in occasione del giubileo, papa Leone XII fece coniare una medaglia che da un lato aveva la propria immagine, e dall’altro lato quella della chiesa di Roma, raffigurata da una “donna” che nella mano sinistra aveva una croce, e nella destra una coppa, e che tutto attorno aveva la scritta: SEDET SUPER UNIVERSUM, il mondo intero è la sua sede” (di Alexander Hislop – “The Two Babylons” Pag 5).
La donna è chiamata in modo esplicito Babilonia. Possiamo ritenere che sia Roma, con l’esclusione degli altri gruppi religiosi? No. Non può esserlo, perché, come abbiamo visto, è chiamata la madre delle meretrici, e questo c’insegna che vi sono altre organizzazioni religiose indipendenti, che sono le figlie apostate e che appartengono alla stessa grande famiglia.
VERSETTI 6-7: E vidi la donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E quando l’ebbi veduta, mi maravigliai di gran maraviglia.
E l’angelo mi disse: Perché ti maravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, la quale ha le sette teste e le dieci corna.
Il motivo dello stupore: Per quale motivo Giovanni si meraviglia così tanto, “di gran maraviglia”, come dice l’originale, quando vede la donna ubriaca del sangue dei martiri? Forse che era strano che in quel tempo il popolo di Dio fosse perseguitato? Non aveva egli stesso visto il potere romano lanciare i suoi fieri anatemi contro la chiesa? E non era lui stesso, nei giorni in cui scriveva, in esilio per colpa di quello stesso potere? Perché allora si meravigliò mentre guardava nel futuro, e nel vedere Roma perseguitare ancora i santi?
Il motivo della sua meraviglia era questo: tutte le persecuzioni che aveva visto, erano scatenate da Roma pagana che era, dichiaratamente, nemica di Cristo. Non era strano che i pagani perseguitassero i discepoli di Cristo, ma quando Giovanni, guardando nel futuro, vide una chiesa che si diceva cristiana perseguitare i discepoli dell’Agnello, e ubriacarsi del loro sangue, non poté fare a meno di sentirsi imbarazzato dallo stupore.
VERSETTI 8-11: La bestia che hai veduta era, e non è, e deve salire dall’abisso e andare in perdizione. E quelli che abitano sulla terra i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, si maraviglieranno, vedendo che la bestia era, e non è, e verrà di nuovo. Qui sta la mente che ha sapienza.
Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede; e sono anche sette re: cinque son caduti, uno è, e l’altro non è ancora venuto; e quando sarà venuto ha da durar poco. E la bestia che era e non è, anch’essa un ottavo re, e viene dai sette e se ne va in perdizione.
Le tre fasi di Roma: La bestia di cui parla l’angelo è evidentemente la bestia scarlatta. Una fiera, come quella qui presentata, simboleggia una potenza oppressiva e persecutrice.
Anche se la potenza romana ebbe, come nazione, un’esistenza lunga e ininterrotta, attraversò in ogni modo delle fasi durante le quali questo simbolo non le dovrebbe essere applicato, e durante tali fasi si può dire che una profezia, come questa, dovrebbe considerare la bestia come inesistente. Con questo intendiamo dire che: quando Roma era, nella sua condizione pagana, una potenza persecutrice del popolo di Dio, allora durante quel periodo costituiva la bestia che “era”. Ma quando l’impero fu, almeno di nome, convertito al cristianesimo, avvenne un passaggio dal paganesimo ad un’altra situazione religiosa che era solo di nome cristiana. Durante un breve periodo, mentre avveniva questo cambiamento, perse il suo carattere feroce e persecutore, perciò si può affermare che la bestia “non era”. Col tempo si trasformò in papato, e riprese il suo carattere oppressivo e assetato di sangue.
Le sette teste: Prima è spiegato che le sette teste sono sette monti, e poi che sono sette re: “Le sette teste sono sette monti… e sono sette re”, identificando così le sette teste, con i monti e i re.
L’angelo aggiunge: “Cinque (re) sono caduti” o scomparsi. Poi aggiunge: “Uno (re) è”, in altre parole il sesto che regnava in quel tempo. “l’altro non è ancora venuto e quando verrà è necessario che duri per breve tempo”. Conclude infine affermando che: “La bestia che era e non è, è anch’essa un ottavo re, e viene dai sette”. In base alla spiegazione di questi sette regni, deduciamo che quando colui che “ancora non è venuto” (relativamente al tempo in cui Giovanni scriveva), apparirà sulla scena, sarà chiamato l’ottavo, anche se in realtà è uno dei sette; nel senso che attingerà ed eserciterà il loro potere. È lui che c’interessa seguire. Di lui è anche detto che il suo destino è: “Di andare in perdizione”, in altre parole che dovrà perire definitivamente. È ripetuta l’affermazione fatta al versetto 8, circa la “bestia che hai veduto”, che è “la bestia scarlatta” sulla quale la donna è seduta. Abbiamo dimostrato che questa bestia simboleggia il potere civile che, secondo la narrazione in esame, attraversa sette fasi, rappresentate anche nella bestia simile ad un leopardo d’Apocalisse 13, finche non appare l’ottavo che si protrae sino alla fine.
Dato che abbiamo già dimostrato che Roma papale sorse da Roma pagana, della quale, successivamente, occupa il territorio, da questo riteniamo che l’ottava testa, che deriva dalle sette e che eserciterà alla fine il loro potere, rappresenterà il papato e la sua mescolanza di dottrine “cosiddette cristiane” e di superstizioni e di riti popolari.
VERSETTI 12-14: E le dieci corna che hai vedute sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia per un’ora. Costoro hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia. Costoro guerreggeranno contro l’Agnello, e l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signor dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con Lui, i chiamati, gli eletti e fedeli.
Le dieci corna: Su questo argomento si leggano i commenti su Daniele 7: 7, in cui riconosciamo che le dieci corna rappresentano i dieci regni che sono sorti dall’Impero Romano.
Essi detengono il potere per un’ora (ossia per un breve periodo) assieme alla bestia; il che vuol dire che per un preciso lasso di tempo, regneranno contemporaneamente con la bestia, cedendole il loro potere e la loro autorità.
Crolli sul versetto 12 ci presenta questa riflessione: – La profezia ricordando i dieci regni dell’impero Occidentale, determina il periodo papale. “ma riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia per un’ora”. La traduzione dovrebbe essere: “Nella stessa ora” (mian horan). I dieci regni saranno contemporanei, in contrasto con le sette teste che sono successive -.
Queste parole si riferiscono senza dubbio al passato, al tempo in cui i regni d’Europa sostenevano il papato. Il trattamento che in fine questi re riserveranno al papato è spiegato nel versetto 16, in cui si afferma che odieranno la prostituta, la lasceranno desolata e nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco. Le nazioni d’Europa per anni hanno fatto questo, in parte. La conclusione di quest’opera, cioè di bruciarla col fuoco, si realizzerà al compimento d’Apocalisse 18: 8. “Costoro guerreggeranno con l’Agnello”, versetto 14. Siamo ora guidati nel futuro e trasportati al tempo della grande battaglia finale, sarà in quel momento, infatti, che l’Agnello prenderà il titolo di Re dei re e Signore dei signori, titoli che assumerà alla fine del tempo di grazia, quando la Sua opera sacerdotale d’intercessione sarà terminata (Luca 19: 11,16).
VERSETTI 15-18: Poi mi disse: Le acque che hai vedute e sulle quali siede la meretrice, son popoli e moltitudini e nazioni e lingue. E le dieci corna che hai vedute e la bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco. Poiché Iddio ha messo in cuor loro di eseguire il Suo disegno e di avere un medesimo pensiero e di dare il loro regno alla bestia finche le parole di Dio siano adempite. E la donna che hai veduto è la gran città che impera sui re della terra.
Il destino della prostituta: Nel versetto 15 abbiamo una chiara spiegazione del significato del simbolo biblico delle “acque”, che indicano popoli, moltitudini, nazioni e lingue. L’angelo disse a Giovanni, mentre richiamava la sua attenzione sul tema, che gli avrebbe mostrato il giudizio della gran meretrice: questo giudizio è spiegato nel versetto 16. Naturalmente questo capitolo si riferisce in modo particolare alla madre, cioè alla Babilonia cattolica. Il capitolo successivo, se non andiamo errati, tratta il carattere e il destino di un’altra importante diramazione di Babilonia: le figlie cadute.
VERSETTI 1-3: E dopo queste cose vidi un altro angelo che scendeva dal cielo, il quale aveva gran potestà: e la terra fu illuminata della sua gloria. Ed egli gridò con voce potente dicendo: Caduta caduta è Babilonia la grande, ed è diventata albergo di demoni e ricetto d’ogni spirito immondo e ricetto d’ogni uccello immondo e abominevole. Poiché tutte le nazioni han bevuto del vino dell’ira della sua fornicazione, e i re della terra han fornicato con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con la sua sfrenata lussuria.
In questi versetti è simboleggiato un determinato movimento di gran potere. (Legg. Apocalisse comm. del vers. 4).
L’analisi di alcuni fatti ci guiderà con sicurezza verso la giusta interpretazione.
In Apocalisse 14 abbiamo un messaggio che annuncia la caduta di Babilonia.
“Babilonia” è una parola che non indica solo il paganesimo e la chiesa cattolica romana, ma anche altri gruppi religiosi che sono usciti da questa chiesa, benché abbiano conservato molti dei suoi errori e delle sue tradizioni.
Una caduta spirituale: La caduta di Babilonia, qui descritta, non può essere la sua distruzione letterale; in quanto che, dopo la sua caduta, devono ancora verificarsi all’interno di lei importanti avvenimenti. Non possiamo quindi accettare quest’ipotesi. Ad esempio: dopo la sua caduta vi sono ancora dei figli di Dio, che sono esortati ad uscirne affinché non patiscano anch’essi le piaghe che la colpiranno, e che ne causeranno la distruzione letterale. La caduta è quindi spirituale, e a causa di ciò Babilonia “è diventata albergo di demoni, ricetto d’ogni spirito immondo, e ricetto d’ogni uccello immondo e abominevole”. Queste parole descrivono una terribile condizione d’apostasia, e dimostrano che in conseguenza della sua caduta, Babilonia accumula i suoi peccati fino al cielo, rendendosi oggetto degli improrogabili giudizi di Dio
Dato che questa caduta è spirituale, dobbiamo ritenere che a cadere sia stato un suo elemento, che non è né quella pagana né quella papale, perché il paganesimo è stato, fin dall’inizio della sua storia, una falsa religione e il papato è stato, immediatamente, una religione apostata. Inoltre è detto che tale caduta si manifesta poco prima della distruzione finale di Babilonia, ma molto tempo dopo la nascita e lo sviluppo, peraltro annunciato, della chiesa cattolica; questa testimonianza non si può, quindi, applicare ad altre denominazioni religiose, che non siano quelle che hanno avuto origine da quella chiesa.
Questa denominazioni religiose hanno avuto origine dalla Riforma del XVI secolo. Per un po’ di tempo avanzarono nella verità, ed ebbero l’approvazione Divina; ma avendo mantenuto alcune delle false dottrine di Roma, ed essendosi chiuse nei loro credi, non avanzarono con la luce progressiva della verità profetica. Questo comportamento alla fine produrrà in loro un carattere che sarà così odioso agli occhi della Provvidenza, da renderle simili alla chiesa da cui uscirono.
Alexander Campbell, fondatore della “Chiesa dei Discepoli di Cristo”, dice: – Tre secoli fa si tentò in Europa di riformare il papato. Questo tentativo sfociò in una gerarchia protestante, e in un nugolo di dissidenti. Il protestantesimo a sua volta si riformò nel presbiterianesimo, che si trasformò nel congregazionalismo, da cui uscì la chiesa battista, ecc. Il metodismo tentò di riformare tutti, ma si coagulò in varie forme di wesleyrismo… Tutte conservarono nel seno delle loro organizzazioni ecclesiastiche, varie reliquie del papato. Nel migliore dei casi sono una riforma del papato, e solamente parziali. Le dottrine e le tradizioni umane continuano ad ostacolare il potere ed il progresso Evangelico -.
Potremmo presentare tante testimoniane di persone che occupano alte cariche all’interno delle suddette denominazioni, e che scrissero, non col proposito di censurare, ma perché conoscevano perfettamente la spaventosa condizione in cui queste chiese erano cadute. Il termine con il quale sono chiamate, “Babilonia”, non è usato come termine dispregiativo o infamante, ma semplicemente perché esprime la confusione e la diversità di sentimenti esistenti fra esse. Babilonia non aveva l’obbligo di cadere. Avrebbe potuto essere guarita (Geremia 51: 9) se avesse accettato la verità. Essa, però, la respinse.
Non avendo accettato le verità relative al secondo Avvento di Cristo, e avendo respinto il messaggio del primo angelo, le chiese non seguirono la luce progressiva che brillava sul sentiero, e che procedeva dal Trono di Dio. Per questo tra i loro confini regnarono il dissenso e la confusione. La mondanità e l’orgoglio soffocano prontamente ogni piantina di provenienza celeste.
In questo capitolo si parla nuovamente della caduta di Babilonia. Nel capitolo 14 la sua caduta era successiva all’annuncio del messaggio del primo angelo, e in quell’occasione si diceva che: “Un altro angelo lo seguì dicendo “Caduta, caduta è Babilonia”. Stavolta l’ultima dichiarazione celeste è “Ed egli gridò con voce potente, dicendo “Caduta, caduta è Babilonia la grande, ed è diventata albergo di demoni”. Si nota qui un successivo degrado, un peggioramento dell’apostasia, e le pagine che seguono riveleranno le dimensioni della caduta di Babilonia.
L’epoca di questa caduta: A quale momento si applicano questi versetti?
Quando troviamo il movimento simboleggiato da questo angelo? Se la nostra ipotesi è corretta, e cioè che queste chiese che formano una parte di Babilonia hanno subito una caduta spirituale perché hanno respinto il messaggio del primo angelo, allora l’annuncio di questo capitolo non può essere precedente a quello d’Apocalisse 14, e nemmeno contemporaneo, perché il primo si limita semplicemente ad annunciare la caduta della “gran città”, mentre quest’ultimo contiene dei dettagli che, al tempo del primo annuncio, non si erano ancora neppure manifestati.
Allora dobbiamo ricercare questo annuncio in un periodo successivo al 1844, anno del precedente messaggio. Possiamo allora chiederci: si sta proclamando adesso questo messaggio? La risposta è affermativa; stiamo ora ascoltando il messaggio del terzo angelo, che è l’ultimo prima del ritorno di Cristo. Man mano che la decadenza nel mondo religioso aumenta, il messaggio si rafforza degli ammonimenti d’Apocalisse 18: 1-4 che ne sono, quasi, un’ulteriore chiarificazione, che ne rivelano nuovi dettagli e che apportano nuove motivazioni al messaggio del terzo angelo che si sta, ora, proclamando con potenza e che illumina il mondo della sua gloria.
L’opera dello spiritismo: L’ultima fase dell’opera, mostrata nel 2° versetto, si sta compiendo e sarà presto portata a compimento dallo spiritismo. Gli agenti che in Apocalisse 16: 14 sono chiamati “spiriti di demoni che fanno de’ segni”, stanno penetrando segretamente e rapidamente nelle denominazioni religiose alle quali ci siamo prima riferiti. I loro credi sono stati formulati sotto l’azione del vino (l’errore) di Babilonia, tra cui vi è quello di credere che gli spiriti dei defunti siano attorno a noi, coscienti, intelligenti e attivi. Una caratteristica indicativa dello spiritismo moderno è esattamente il carattere religioso di cui si ammanta. Ora tiene ben nascosti i grossolani princìpi, che all’inizio pubblicizzava; ora assume un aspetto religioso, come quello di un’altra denominazione. Parla del peccato, del pentimento, dell’espiazione, della salvezza in Cristo, e ne parla con lo stesso linguaggio ortodosso dei cristiani genuini. Chi può impedirgli di trincerarsi in quasi tutte le denominazioni della cristianità, quando si presenta sotto questa maschera? Abbiamo dimostrato che il fondamento dello spiritismo, vale a dire l’immortalità dell’anima, è un dogma fondamentale del credo di quasi tutte le chiese. Chi potrà quindi salvare la cristianità dalla sua influenza nefanda e seduttrice? Anche in questo caso vediamo qual è stata la triste conseguenza d’avere respinto le verità che erano state offerte al mondo dai messaggi di Apocalisse 14. Se le chiese li avessero ascoltati sarebbero state protette da questo inganno, perché tra le grandi verità, messe in luce dal movimento religioso che si concretizzò, in quel tempo, nel grande risveglio Avventista, vi era quella fondamentale che dice che l’anima non è immortale, per sua natura e che la vita eterna è un dono di Dio in Cristo Gesù, che si può ottenere unicamente per mezzo di Lui, e che i morti sono in uno stato di completa incoscienza, che la ricompensa o il castigo dell’al di là, in realtà, saranno resi dopo la risurrezione, nel Giorno del Giudizio.
Queste verità assestano un colpo mortale all’affermazione centrale e vitale dello spiritismo. Può questa dottrina penetrare in una mente fortificata dalla verità? Uno spirito si presenta affermando di essere l’anima disincarnata, o lo spirito di un morto. Se lo si fronteggia con la verità che l’anima o lo spirito dell’uomo non è di questo tipo, che i “morti non sanno nulla”, che la loro più importante asserzione è una menzogna, che le credenziali con cui si presenta dimostrano che appartiene alla sinagoga di Satana, allora lo si respinge con efficacia e si evita il danno che potrebbe causare. Ma la grande massa dei membri delle altre varie religioni, si oppone alla verità che così validamente potrebbe proteggerla, esponendosi perciò a questa ultima manifestazione dell’astuzia satanica.
Il liberalismo moderno: Mentre da una parte, lo spiritismo opera in questo modo, nelle alte sfere d’alcune denominazioni, stanno avvenendo alcuni sorprendenti cambiamenti. L’incredulità del nostro tempo, mascherata con i nomi ingannevoli di “scienza”, “alta critica”, “evoluzione” e “liberalismo moderno”, ha compenetrato la maggioranza dei collegi teologici del nostro Paese, e sta facendo gravi incursioni nelle chiese protestanti.
Nel Cosmopolitan Magazin, del maggio 1909, uno scrittore il sig. Harold
Bolce, richiamò l’attenzione del pubblico su questa situazione. Dopo aver investigato il carattere dell’insegnamento impartito in alcune fra le più importanti Università del Paese, pubblicò i risultati sul giornale, che strapparono al redattore questo commento: – Quel che il sig. Bolce ci presenta, ci riempie di stupore. In base alle materie insegnate nei college americani, un attivo movimento sta minando gli antichi fondamenti, e promette di creare un modo di pensare e di vivere completamente rivoluzionario. Chi non ha rapporti con i grandi college della Nazione, resterà sbalordito nel conoscere i nuovi credi divulgati dai corpi docenti delle nostre grandi Università. In centinaia di aule si insegna ogni giorno che il Decalogo non è più sacro d’un sillabario, che la famiglia è un’istituzione destinata a scomparire, che non vi sono peccati assoluti e che l’immoralità è, semplicemente, una contravvenzione alle norme accettate dalla società… Sono questi alcuni degli insegnamenti rivoluzionari e sensazionali, rivestiti dell’autorità accademica, incisi nell’animo di centinaia di migliaia di studenti statunitensi -.
I risultati del liberalismo moderno sono stati più evidenti nell’opera delle chiese protestanti. Alcuni scrittori, appartenenti alle diverse denominazioni, hanno denunciato coraggiosamente la mancanza d’interesse a predicare il Vangelo, e in particolare, della decadenza delle missioni. Uno di loro così prospetta la situazione: – Ho il sospetto che la maggior parte delle nostre chiese si siano indebolite e siano diventate incerte e inerti nei loro propositi, e che ciò che più le caratterizza sia una mortifera rispettabilità, e la mancanza di interesse per la loro missione. Mediamente, le congregazioni si preoccupano, soprattutto, d’avere denaro sufficiente per pagare i loro pastori e mantenere efficienti le proprietà. Quel che era il profondo convincimento che “abbiamo una storia da raccontare alle nazioni”, è oramai divenuto un labile sentimento. Il Vangelo della Salvezza, e l’evangelizzazione nel mondo, si sono diluiti in un’etica soddisfatta d’autocompiacimento irresponsabile, e la chiesa è una società di “brave persone” che vogliono che le benedizioni religiose le accompagnino nei momenti di esaltazione e di dolore ma, con il loro comportamento, sono assenti dalla chiesa e dalla sua missione divina, e approfittano dell’aura di rispettabilità che accompagna i membri di chiesa. Chi potrebbe contestare, che queste accuse contro la chiesa, siano troppo brucianti e ingiuste? -.
Un altro scrittore presenta così, l’atteggiamento della chiesa verso le missioni: – I membri di chiesa che offrono coscienziosamente, non solo rappresentano una minoranza, ma la chiesa stessa ha mutato il proprio convincimento nei riguardi delle missioni. I Comitati per le Missioni devono convincersi che il calo delle loro entrate è dovuto alle alte tasse e alla diminuzione delle rendite, ma i pastori che trattano con i donatori, riconoscono che è notevolmente aumentata la resistenza a fare donazioni destinate ad estendere l’Evangelo fuori delle nostre frontiere. Sono in aumento i fedeli che, pur essendo leali in altre questioni, affermano con convinzione di non credere nelle missioni. Il numero di questi oppositori ci deve far riflettere.
Il ricavato medio a persona in 22 comunioni protestanti, è di $11,28 per le spese della congregazione, e di $2,19 per tutte quelle attività che non siano locali.
La media delle donazioni, che non sono destinate alle opere nel territorio Nazionale, varia tra il 29,69% sul totale delle entrate della Chiesa Presbiteriana Unita, fino al 12,30, al 11,14 e al 10,02% delle ultime tre chiese dell’elenco. Non appaia strano, perciò, che non s’insista “a voler ripensare alle missioni” -.
Ecco qual è la situazione, secondo alcune autorevoli dichiarazioni:
– Mentre lo zelo missionario va scomparendo, la situazione si complica sempre di più perché ora è di dominio pubblico che gli ultimi missionari che gli evangelici avevano mandato nei campi stranieri, non erano altro che “avventurieri” di una “nuova civilizzazione”, i “creatori” di un “nuovo mondo”, spinti soprattutto da motivazioni sociali…
L’evangelizzazione mondiale ricevette nuovamente un duro colpo nelle considerazioni critiche di un rapporto d’inchiesta, presentato da una commissione di laici, che studiò le missioni estere. Anche se l’obiettivo di questo studio che ebbe inizio nel 1930 e durò sino al 1931, era di “aiutare i laici a capire quale debba essere il loro impegno nelle missioni straniere, per un nuovo esame delle finalità di tali missioni nel mondo moderno”, il vero obiettivo era di riformare non solo le missioni straniere, ma d’aumentare le loro entrate finanziarie; ma l’unico risultato che si ottenne fu quello d’avere suscitato controversie maggiori, e d’avere impoverito le donazioni -.
Il risultato dell’apostasia: Con una prospettiva cosi deplorevole, e sotto la guida d’uomini simili, quanto tempo passerà prima che Babilonia sia ripiena di spiriti immondi, e di uccelli immondi e abominevoli?
Se i padri pii, della generazione che visse poco prima del messaggio del primo angelo, potessero udire gli insegnamenti e vedere le consuetudini dell’attuale mondo religioso, quale non sarebbe il loro stupore davanti alla sostanziale differenza tra il loro tempo e il nostro! No; il cielo non potrà, e non vorrà, lasciar passare in silenzio tutto questo. Oggi il popolo avventista sta gridando al mondo intero questo solenne messaggio, per richiamare la sua attenzione sui terribili particolari delle accuse fatte alle organizzazioni religiose infedeli, affinché appaia chiaramente la giustizia dei castighi.
Il versetto 3 dimostra quanto grande sia l’influenza di Babilonia, e quanto male abbia già causato e causerà ancora la sua condotta, e perciò quanto sarà giusto il suo castigo. I mercanti della terra si sono arricchiti per l’abbondanza delle sue ricchezze. Chi sono coloro che si distinguono per il lusso? Chi sono coloro che riempiono le loro tavole con i piatti più succulenti e scelti? Chi sono coloro che si distinguono per il lusso dei loro abiti costosi? Chi sono coloro che personificano l’orgoglio e l’arroganza? Non sono forse membri di chiesa coloro che anticipano tutti nella ricerca di quei beni materiali che eccitano l’orgoglio della vita? In questo quadro desolante vi è però un particolare capace di redimerlo.
Per quanto Babilonia si sia, nel suo insieme, degenerata, pure, a questa regola, vi sono delle eccezioni; Dio, infatti, ha un popolo in essa, e a motivo d’esso deve prestarle ancora una certa considerazione, finche non ne siano usciti tutti coloro che vorranno rispondere al Suo invito. Non sarà necessario attendere molto questo compimento. Presto Babilonia sarà così corrotta dalla negativa influenza degli spiriti malvagi, che la sua condizione sarà completamente messa a nudo di fronte ad ogni anima sincera, e la via per l’opera che il profeta ora introduce, sarà pronta.
VERSETTI 4-8: Poi udii un’altra voce dal cielo che diceva: Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe; poiché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato di lei. Rendetele il contraccambio di quello ch’ella vi ha fatto, e rendetele al doppio la retribuzione delle sue opere; nel calice in cui ha mesciuto ad altri, mescetele il doppio. Quanto ella ha glorificato sé stessa ed ha lussureggiato, tanto datele di tormento e di cordoglio. Poiché ella dice in cor suo: Io seggo regina e non son vedova e non vedrò mai cordoglio, perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, mortalità e cordoglio e fame, e sarà consumata dal fuoco; poiché potente è il Signore Iddio che l’ha giudicata.
Il fatto che la voce provenga dal cielo indica che quello che è stato appena dato, è un messaggio potente accompagnato dalla gloria celeste. Come diventa pressante l’esortazione divina, man mano che la grande crisi s’avvicina, e come si moltiplicano gli agenti destinati a compiere l’opera divina. Questa è chiamata “un’altra voce”, il che significa che a questo punto è introdotto un nuovo strumento.
In quest’ultima riforma religiosa sono già stati utilizzati e dettagliatamente menzionati cinque messaggeri celesti. Sono il 1°, il 2° e il 3° angelo di Apocalissi 14; poi ne abbiamo un 4° nel primo verso di questo capitolo, ed infine il 5° che è indicato con “un’altra voce” nel versetto che stiamo considerando. I primi tre sono già all’opera: il secondo si è aggiunto al primo, ed il terzo agli altri due. Ma il primo e il secondo non hanno terminato. Tutti e tre stanno quindi annunciando insieme il triplice messaggio. Il 4° angelo, quello del primo versetto di questo capitolo, inizia ora la sua missione perché le condizioni prevalenti richiedono il suo intervento. L’appello divino ad uscire da Babilonia è annunciato in prospettiva di quest’opera.
“Uscite da essa o popolo mio”: Abbiamo poc’anzi dimostrato che il messaggio dei primi due versetti di questo capitolo è annunciato in correlazione del triplice messaggio. Un’idea della sua estensione e della sua potenza la possiamo avere dalla descrizione che è stata fatta di questo angelo. Infatti è detto che il messaggio del primo angelo è proclamato “con gran voce”. Anche del 3° angelo è detto che proclamava il suo messaggio “con gran voce”, ma quest’altro, anziché vederlo semplicemente volare “in mezzo al cielo”, come gli altri, lo vediamo “discendere dal cielo”. Perciò egli arriva con un messaggio più diretto. Ha “grande potestà”, e la terra stessa “è illuminata dalla sua gloria”. In nessun’altra parte della Bibbia si trova una simile descrizione di un messaggio del cielo all’uomo. Questo è l’ultimo, ed è logico e appropriato che giunga illuminato da una gloria insuperabile, ed un potere inusitato. Il momento in cui si deve decidere la storia del mondo, è un’ora spaventosa, perché sta per sopraggiungere una crisi solenne e terribile, il tempo in cui tutta la famiglia umana passerà oltre il limite estremo del tempo di grazia, ecco perché è tempo che si senta l’ultimo segno della misericordia divina.
In un tale momento, il mondo non deve essere lasciato senza ammonimenti. Con quale forza devono essere annunciati i grandi fatti in modo che nessuno possa ragionevolmente contestare che ignorava l’imminenza e l’ineluttabilità della condanna. Ogni scusa dev’essere eliminata. La giustizia, la longanimità e la tolleranza di Dio devono essere soddisfatte, Iddio ritarda la sua vendetta finche tutti abbiano avuto la possibilità di conoscere la Sua volontà, e abbiano avuto il tempo di pentirsi. Un angelo, dotato della potenza celeste, è inviato sulla terra. Nessuno che non sia spiritualmente morto, si, “doppiamente morto e indifferente” potrà fare a meno di notare la sua presenza. La luce sfolgora ovunque. Ogni luogo oscuro è illuminato. Mentre la sua presenza dissipa le ombre, la sua voce potente come un tuono, fa udire l’ammonimento divino: “Gridò con potenza”. Non è un proclama fatto in segreto: è un grido, un grido potente, un grido fatto a gran voce.
Sono nuovamente denunciate le fatali mancanze di una chiesa mondanizzata. I suoi errori sono nuovamente resi manifesti, per l’ultima volta. Si pone l’accento in modo inequivocabile di come sia insufficiente il carattere dell’attuale modello di pietà, per far fronte alla grave crisi finale che ci sovrasta. L’inevitabile rapporto esistente fra gli errori che le chiese ospitarono, e la distruzione eterna è irrevocabile, questo rapporto è denunciato con tale potenza che farà riecheggiare il suo grido su tutta la terra.
E nel frattempo i peccati di Babilonia la grande salgono fino al cielo, e Dio si ricorda delle sue iniquità. Le nere nubi della vendetta s’addensano. Presto sulla gran città della confusione scoppierà la tempesta, e l’orgogliosa Babilonia sprofonderà come una pietra di mulino negli abissi marini. Ad un tratto si ode dal cielo un’altra voce: “Uscite da essa, o popolo mio”. Gli umili, sinceri e devoti figli di Dio, che ancora rimangono, e che sospirano e piangono per le abominazioni che si commettono sulla terra, ascoltano la voce, e si lavano le mani dei peccati di Babilonia, interrompono con essa ogni rapporto, fuggono e si salvano; mentre Babilonia cade vittima dei giusti castighi di Dio. Per la chiesa questi sono momenti di grande commozione. Prepariamoci per la crisi. Il fatto che i figli di Dio siano invitati ad uscirne per non essere complici dei suoi peccati, dimostra che fino ad un certo punto avere dei rapporti con essa non è considerata una colpa.
I versetti 6 e 7 sono una dichiarazione profetica di come essa sarà punita o ricompensata secondo le sue opere. Bisogna tener conto che questa testimonianza è diretta alla parte di Babilonia destinata alla caduta spirituale.
Come abbiamo già detto, questa testimonianza è destinata in modo speciale alle figlie, “le denominazioni che insistono a tenersi legate alle “fattezze” materne”, e a conservare le similitudini della famiglia. Come abbiamo già visto, organizzeranno una totale persecuzione contro la verità e contro il popolo di Dio. Saranno esse, le figlie, cioè le chiese protestanti, che creeranno “un’immagine della bestia”. Faranno un’esperienza per loro sostanzialmente nuova: l’uso del braccio civile per imporre i loro dogmi.
Sarà certamente questa nuova sbornia di potere che spingerà questo elemento di Babilonia a vantarsi, e a dire in cuor suo: “Io siedo regina, e non sono vedova”, cioè “non porto il lutto”, non sono priva di potere com’era prima. Dichiara ancora: “Ora governo come una regina e non conoscerò la sofferenza”. Con espressioni blasfeme si vanterà che Dio è nella Costituzione, e che la chiesa è intronizzata; da quel momento in poi, dominerà.
L’espressione “Rendetele quanto essa vi ha dato”, sembra voler dimostrare che nel momento in cui questo messaggio raggiungerà il culmine, e i santi saranno finalmente chiamati ad uscirne, sarà quando essa comincerà ad alzare contro di loro il braccio dell’oppressione.
Nel momento in cui essa alzerà il suo braccio contro i santi mediante la persecuzione, avrà colmato la coppa dell’indignazione Divina, e l’Angelo dell’Eterno la perseguiterà (Salmo 35: 6). I giudizi provenienti dal cielo faranno cadere su di essa una quantità doppia (rendetele il doppio) della sofferenza che aveva escogitato di infliggere agli umili servi del Signore.
Il giorno in cui cadranno le piaghe, di cui si parla nel versetto 8, dev’essere un giorno profetico; quanto meno non può essere un giorno letterale, giacche sarebbe impossibile che si possa causare la fame in così breve tempo. Le piaghe di Babilonia sono senz’altro gli ultimi flagelli che abbiamo già commentato. Dal linguaggio di questo versetto si capisce molto chiaramente che, anche per quanto sta scritto in Isaia 34: 8, questi terribili castighi dureranno un anno.
VERSETTI 9-11: E i re della terra che fornicavano e lussureggiavano con lei la piangeranno e faran cordoglio per lei quando vedranno il fumo del suo incendio; e standosene da lungi per tema del suo tormento diranno: Ahi! ahi! Babilonia, la gran città, la potente città! Il tuo giudicio è venuto in un momento! I mercanti della terra piangeranno e faranno cordoglio per lei, perché nessuno comprerà più le loro mercanzie.
Una retribuzione meritata: La caduta della prima piaga causerà una completa sospensione del commercio degli articoli di lusso che erano una prerogativa di Babilonia.
Quando coloro che commerciavano questi beni, e che sono stati in un modo tutto particolare i cittadini di questa città simbolica, che si sono arricchiti con i loro traffici, si ritrovano ora, essi stessi, assieme ai suoi abitanti, colpiti da queste ulcere purulente; ogni commercio sarà sospeso, essi hanno grandi quantità di merci dentro i depositi, e sapendo che non troveranno nessuno disposte ad acquistarle, piangono amaramente per la sorte di quella città. Se esiste qualcosa capace di strappare un genuino grido d’angoscia agli uomini di questa generazione, è la preoccupazione dei loro tesori. Questa è veramente una punizione idonea. Coloro che poco tempo prima fecero un decreto che impedisse ai santi di comprare e vendere, si ritrovano ora sotto la stessa restrizione, ma in modo più efficace.
Qualcuno forse si chiederà in che modo le persone colpite dalla stessa calamità, potranno starne lontani e lamentarsi. Bisogna considerare e capire che questa desolazione si presenta sotto il simbolo di una città punita dalla distruzione. Se una città letterale fosse colpita da una calamità, sarebbe normale che i suoi abitanti se potessero farlo, fuggissero da e se ne stessero lontani, pur continuando a piangere sulla sua caduta. La distanza che metterebbero tra essi e la loro amata città sarebbe proporzionale al terrore e allo stupore per il disastro appena accaduto. La figura usata dall’apostolo non sarebbe completa senza questo particolare, e l’aggiunge non per voler affermare che le persone fuggiranno letteralmente da una città simbolica, cosa che sarebbe impossibile, quanto per mettere in evidenza il loro terrore e la loro meraviglia, per i castighi che cadono dal cielo.
VERSETTI 12-13: Mercanzie d’oro, d’argento, di pietre preziose, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto; e d’ogni sorta di legno odoroso, e ogni sorta d’oggetti d’avorio e ogni sorta d’oggetti di legno preziosissimo e di rame, di ferro e di marmo, e la cannella e le essenze, e i profumi, e gli unguenti, e l’incenso, e il vino, e l’olio, e il fior di farina, e il grano, e i buoi, e le pecore, e i cavalli, e i carri, e i corpi e le anime d’uomini.
La mercanzia di Babilonia: In questi versetti sono elencate le merci di Babilonia la grande, e che include tutto ciò che è attinente ad una vita di lusso, di magnificenza e d’ostentazione mondana. Vi è inclusa ogni articolo del traffico commerciale. La dichiarazione che allude ai “servi… e alle anime d’uomini”, si riferisce in modo particolare al dominio spirituale, in altre parole alla schiavitù delle coscienze mediante i credi di queste organizzazioni, schiavitù che, in alcuni casi, è più opprimente di quella fisica.
VERSETTO 14: E i frutti che l’anima tua appetiva se ne sono andati lungi da te; e tutte le cose delicate e sontuose son perdute per te e non si troveranno mai più.
La ghiottoneria è punita: I frutti che sono qui menzionati, secondo l’originale sono “frutti autunnali”. In questo ritroviamo una profezia in cui “le delicatezze della stagione”, che sono l’obiettivo dell’appetito raffinato del goloso, spariranno improvvisamente. Ciò accadrà certamente a causa della carestia causata dalla quarta coppa (Apocalisse 16: 8).
VERSETTI 15-19: I mercanti di queste cose che sono stati arricchiti da lei se ne staranno da lungi per tema del suo tormento, piangendo e facendo cordoglio, e dicendo: Ahi! ahi! La gran città ch’era vestito di lino fino e di porpora, e di scarlatto, e adorna d’oro e di pietre preziose e di perle! Una cotanta ricchezza è stata devastata in un momento. E tutti i piloti e tutti i naviganti e i marinari e quanti trafficano sul mare se ne staranno da lungi; e vedendo il fumo dell’incendio d’essa esclameranno dicendo: Qual città era simile a questa gran città? E si getteranno della polvere sul capo e grideranno, piangendo e facendo cordoglio e dicendo: Ahi! ahi! La gran città nella quale tutti coloro che aveano navi in mare si erano arricchiti con la sua magnificenza! In un momento è stata ridotta in un deserto.
Le emozioni degli empi: Il lettore può facilmente immaginarsi la causa di questa lamentosa afflizione generale. Immagini il susseguirsi delle piaghe che consumano gli uomini: l’ulcera purulenta, i fiumi trasformati in sangue, il mare che diviene come sangue di morto, il sole che brucia gli uomini con il fuoco, la fine del traffico commerciale, ed essi che non possono ottenere, pur con tutto il loro oro ed il loro argento, la tanta sospirata liberazione; e non dobbiamo stupirci per le loro esclamazioni d’angoscia, né del fatto che i marinai e i padroni delle navi si uniscono al lamento generale. Assai diversa è l’emozione dei santi, come lo rivela il resto della testimonianza.
VERSETTI 20-24: Rallegrati essa, o cielo, e voi santi, ed apostoli e profeti, rallegratevi poiché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia. Poi un potente angelo sollevò una pietra grossa come una macina, e la gettò nel mare dicendo: Cosi sarà con impeto precipitata Babilonia, la gran città, e non sarà più ritrovata. E in te non sarà più udito suono di arpisti né di musici né di flautisti né di sonatori di tromba; né sarà più trovato in te artefice alcuno d’arte qualsiasi, né s’udrà più in te rumor di macina. E non rilucerà più in te lume di lampada, e non s’udrà più in te voce di sposo e di sposa; perché i tuoi mercanti erano i principi della terra, perché tutte le nazioni sono state sedotte dalle tue malie, e in lei è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sopra la terra.
Le emozioni dei giusti: Gli apostoli e i profeti sono ora invitati a rallegrarsi della caduta di Babilonia, perché la sua distruzione è direttamente collegata con la loro liberazione dal potere della morte e del sepolcro, per mezzo della prima risurrezione.
Come una grande macina gettata nel mare, Babilonia affonda per non riemergere più. Le arti e i mestieri che sono stati esercitati all’interno delle sue mura simboliche, per soddisfarne le voglie, non si esercitano più. La musica sontuosa che s’udiva nei suoi servizi maestosi, ma formali e privi di vita, tace per sempre. Non si assisterà più alle scene di festa e d’allegria, cui si assisteva quando i futuri sposi comparivano davanti ai suoi altari.
Le sue seducenti malie costituiscono il crimine più grave, e la stregoneria è una pratica che si ritrova nello spiritismo moderno.
“In essa fu trovato il sangue” di “tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra”. Questo vuol dire che Babilonia esistette dal momento che fu introdotta nel mondo una falsa religione.
In essa esistette sempre sia l’opposizione all’opera di Dio, che la persecuzione del Suo popolo.
Per quanto riguarda la colpevolezza dell’ultima generazione, si leggano i commenti d’Apocalisse 16: 16.
CAPITOLO 19
RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI
VERSETTI 1-3: Dopo queste cose udii come una gran voce d’una immensa moltitudine nel cielo, che diceva: Alleluia! La salvazione e la gloria e la potenza appartengono al nostro Dio; perché veraci e giusti sono i tuoi giudici; perché Egli ha giudicata la gran meretrice che corrompeva la terra con la sua fornicazione e ha vendicato il sangue de’ suoi servitori, ridomandandolo alla mano di lei. E dissero una seconda volta: Alleluia! Il suo fumo sale per i secoli dei secoli.
L’apostolo continua a trattare l’argomento di Apocalisse 18, e ora introduce il canto di trionfo cantato dai redenti che si accompagnano con le loro arpe, mentre contemplano la distruzione totale del sistema di Babilonia, che si oppose a Dio e al suo vero culto. Ma per lei arriva la distruzione, e quest’inno s’eleva in onore della seconda venuta di Cristo,
Nei secoli dei secoli: Questa frase può far sorgere una domanda. In che senso si può affermare che il fumo sale nei secoli dei secoli? Vuol forse affermare il concetto di una sofferenza eterna? Conviene ricordare che questa espressione deriva dall’Antico Testamento, e per comprenderla correttamente dobbiamo ritornare là dove è stata introdotta per la prima volta, e analizzare quel significato. In Isaia troviamo le frasi dalle quali con ogni probabilità ha avuto origine questa espressione; in quei versi infatti è mostrata la distruzione di Edom, ossia la terra di Idumea, e sotto quel simbolo è rappresentata la distruzione del giorno del giudizio. Tra l’altro è anche predetto che i suoi ruscelli saranno trasformati in pece, la sua polvere in zolfo, e che la sua terra sarà come pece bollente, che non si spegnerà né di giorno né di notte e il cui fumo salirà nei secoli dei secoli. Tutti concorderanno che queste parole significano una delle due: o si tratta del paese letterale chiamato Idumea, oppure con questo nome è indicata tutta la terra. In ogni caso è evidente che la frase “nei secoli dei secoli”, esprime, nell’interpretazione, un significato, dal punto di vista temporale, limitato.
Probabilmente in questo caso si allude a tutta la terra, anche perché il capitolo comincia riferendosi a lei, e “a tutto ciò che la riempie”, poiché l’Eterno è indignato contro tutte le nazioni”.
Sia che si riferisca allo spopolamento e alla desolazione del nostro pianeta al ritorno di Cristo, o ai fuochi purificatori che lo monderanno degli effetti della maledizione del peccato alla fine dei mille anni, bisogna interpretare queste parole in senso limitato. Non dimentichiamoci che dopo tutto ciò la terra sarà rinnovata, affinché sia la dimora dei salvati per tutta l’eternità. Nella Bibbia si parla tre volte del “fumo che sale nei secoli dei secoli”: la prima in Isaia 34, una seconda In Apocalisse 14 (confr.), a proposito di coloro che adorano la bestia e la sua immagine, infine nel capitolo che stiamo commentando e che concerne Babilonia. Ogni volta l’espressione indica lo stesso periodo, e le stesse scene, cioè la distruzione che colpirà la terra. Gli adoratori della bestia, e tutti i tesori di Babilonia, durante il secondo Avvento del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.
VERSETTI 4-8: E i ventiquattro anziani e le quattro creature viventi si gettarono giù e adorarono Iddio che siede sul trono, dicendo: Amen! Alleluia! E una voce partì dal trono dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servitori, voi che lo temete, piccoli e grandi.
Poi udii come la voce di una gran moltitudine e come il suono di molte acque e come il rumore di forti tuoni, che diceva: Alleluia! poiché il Signore Iddio nostro, l’Onnipotente ha preso a regnare. Rallegriamoci e giubiliamo e diamo a Lui la gloria, poiché son giunte le nozze dell’Agnello, e la Sua sposa s’è preparata; e le è stato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro; poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi.
Un canto di trionfo: “Venne il regno del nostro Signore Dio Onnipotente”, così canta quest’inno. Egli regna anche ora, e in realtà ha sempre regnato, anche quando non ha sempre colpito con giustizia ogni opera malvagia. Ora regna nella piena manifestazione del Suo potere, dopo aver soggiogato tutti i Suoi nemici.
“Rallegriamoci… perché son giunte le nozze dell’Agnello, e la Sua sposa s’è preparata”. Chi è la sposa, moglie dell’Agnello? E che significato ha questo matrimonio? La sposa dell’Agnello è la Nuova Gerusalemme Celeste; ne parleremo più diffusamente in Apocalisse 21. Le nozze dell’Agnello significano che Gesù riceve dal Padre questa città; la riceve come la metropoli e la gloria del Suo Regno. Ricevendo questa città riceve il Regno e il trono di Davide, Suo padre. Si può giustamente affermare che questo evento indica “le nozze dell’Agnello”. Tutti sappiamo che nella Bibbia il rapporto matrimoniale è usato di frequente per illustrare l’unione esistente fra Dio e il Suo popolo, ma le nozze dell’Agnello, che sono qui menzionate, costituiscono un avvenimento preciso. Se la dichiarazione che Cristo è il capo della chiesa, allo stesso modo che lo sposo lo è della sposa (Efesini 5:23), prova che la chiesa è ora la sposa dell’Agnello, allora queste nozze sono avvenute molto tempo fa.
Ma questo non può essere, perché il passo le situa nel futuro. Paolo ai suoi fratelli di Corinto, scrisse che li aveva sposati ad uno sposo, cioè a Cristo. Questo vale per tutti i convertiti. Ma sebbene questa figura sia usata per indicare la relazione che essi avevano instaurato con Cristo, possiamo affermare che le nozze dell’Agnello avvennero a Corinto, al tempo di Paolo? Oppure che si stanno man mano celebrando ad ogni conversione negli ultimi 1900 anni? Trascureremo ogni altra considerazione in merito, finche non commenteremo Apocalisse 21.
Ma se la sposa è la città, cosa significa affermare che si sta preparando? Risponderemo che il simbolo, che la rappresenta, da vita e movimento agli oggetti inanimati (confr. Salmo 114). Nello stesso modo possiamo interrogarci circa il versetto 8: come può una città rivestirsi della giustizia dei santi? Se consideriamo che una città priva d’abitanti, è solamente un posto morto, ci renderemo conto di come possa avvenire questo. La dichiarazione allude alla moltitudine dei suoi abitanti glorificati, vestiti dei loro abiti risplendenti. A lei fu concessa la veste. In che modo? I brani d’Isaia 54, e Galati 4: 21,31 ce lo spiegheranno. Alla città del nuovo patto furono concessi molti più figli di quelli che ebbe la città del vecchio patto. Essi saranno la sua gioia e allegria. L’abito risplendente e puro di questa città consiste, per così dire, nelle vesti dei redenti che cammineranno per l’eternità sulle sue strade lastricate d’oro.
VERSETTI 9-10: E l’angelo mi disse: Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’agnello. E mi disse: Queste sono le varaci parole di Dio. E io mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ed egli mi disse: Guardati dal farlo; io sono conservo tuo e de’ tuoi fratelli che serbano la testimonianza di Gesù; adora Iddio! Perché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.
La cena delle nozze: Nel Nuovo Testamento s’allude spesso alla cena delle nozze. Se ne parla nella parabola delle nozze del figlio del re (Matteo 22: 1-14), e in Luca 14: 16-24. È il tempo in cui mangeremo il pane nel Regno di Dio che riceveremo nella risurrezione dei giusti (Luca 14: 12-15). È il tempo in cui berremo il frutto della vite assieme al nostro Redentore nel Suo Regno Celeste (Matteo 26: 29; Marco 14: 25; Luca 22: 18). È il tempo in cui i giusti sederanno alla tavola nel Regno (Luca 22: 30), ed Egli si cingerà per servirci (Luca 12: 37). Saranno veramente beati coloro che avranno il privilegio di partecipare a questo glorioso ricevimento.
Il conservo di Giovanni: Ci sia concessa una parola sul versetto 10, a proposito di coloro che ritengono di trovarvi una prova a sostegno dello stato cosciente dei morti. L’errore che commettono, in questo passo, è quello di credere che l’angelo dichiari, a Giovanni, d’essere uno degli antichi profeti, venuto a dargli una comunicazione. L’essere incaricato di portare la rivelazione all’apostolo è chiamato “angelo”, e gli angeli non sono le anime disincarnate dei defunti. Chiunque lo crede appartiene in realtà alla fila degli spiritisti, perché tale convincimento è la pietra fondamentale dello spiritismo. L’angelo però non dice questo. Dice semplicemente d’essere conservo di Giovanni, così com’era stato conservo dei suoi fratelli, i profeti. L’espressione “conservo”, significa che erano tutti uguali, tutti servi del Signore; per questo motivo Giovanni non doveva adorarlo. Nel chiamare i profeti “i suoi fratelli”, l’angelo vuole affermare che appartengono tutti, quando servono il Signore, alla stessa categoria. (Legg. comm. Apoc. 1: 1 dal titolo “L’angelo”).
VERSETTI 11-21: Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e colui che lo cavalcava si chiama il Fedele e il Verace; ed Egli giudica e guerreggia con giustizia. E i suoi occhi erano una fiamma di fuoco, e sul Suo capo v’eran molti diademi; e portava un nome che nessuno conosce fuorché Lui. Era vestito d’una tinta di sangue, e il Suo nome è: la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi, ed eran vestiti di lino fino bianco e puro. E dalla bocca gli usciva una spada affilata per percuoter con essa le nazioni; ed Egli le reggerà con una verga di ferro, e calcherà il tino del vino dell’ardente ira dell’Onnipotente Iddio. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE, SIGNORE DEI SIGNORI.
Poi vidi un angelo che stava in pie’ nel sole, ed egli gridò con gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: Venite adunatevi per il convitto di Dio, per mangiar carni di re e carni di capitani e carni di prodi e carni di cavalli e di cavalieri, e carni d’ogni sorta d’uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi.
E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per muover guerra a Colui che cavalcava il cavallo e all’esercito Suo.
E la bestia fu presa e con lei fu preso il falso profeta che avea fatto i miracoli davanti a lei, coi quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Ambedue furon gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. E il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di Colui che cavalcava il cavallo; e tutti gli uccelli si satollarono delle loro carni.
Il secondo avvento di Cristo: Nel versetto 11, è mostrata una nuova scena. Essa ci porta al secondo Avvento di Cristo, che stavolta è indicato nel simbolo di un guerriero che va alla battaglia. Perché è indicato in questo modo? Perché si appresta a combattere “i re della terra e i loro eserciti”, e questa è l’interpretazione più adatta, l’unica con la quale rappresentarLo per una simile missione. Il Suo abito è macchiato di sangue (confr. stessa immagine in Isaia 63:1-4). L’accompagnano gli eserciti celesti, cioè gli angeli di Dio. Il versetto 15 ci mostra in che modo Egli reggerà le nazioni con una verga di ferro quando le riceverà in eredità, come racconta il Salmo 2, cui invece, la teologia popolare, dà il significato della conversione del mondo. Non sarebbe alquanto singolare, descrivere un’opera di grazia sui cuori dei pagani per convertirli, con un’espressione come questa: “Calcherà il tino del vino dell’ardente ira dell’Onnipotente Dio”?
La straordinaria manifestazione finale del “tino dell’ira di Dio”, cosi come “il lago di fuoco” si compiranno alla fine dei mille anni, come ci dice Apocalisse 20; e ad essa sembra riferirsi la descrizione precisa ed esauriente d’Apocalisse 14: 18-20. Ma la distruzione degli empi viventi al secondo Avvento di Cristo, all’inizio dei mille anni, presenta in scala minore una scena simile nei due aspetti (il tino calcato e il lago di fuoco) a quel che succede al termine di questo periodo (i mille anni), ed è per questo motivo che questi versetti menzionano sia “il tino dell’ira” sia “il lago di fuoco”.
Quando questo momento arriverà Cristo avrà già deposto le Sue vesti sacerdotali, e avrà già indossato quelle regali, poiché sulla Sua veste e sulla coscia ha scritto un nome “Re dei re, Signore dei signori”, che rispecchia il carattere con cui si manifesta: era usanza tra gli antichi guerrieri avere sui loro vestiti l’iscrizione della categoria d’appartenenza (vers. 16).
Chi è l’angelo che sta in piedi nel sole? In Apocalisse 16: 17, leggiamo che la settima coppa fu versata nell’aria, e siccome l’aria avvolge tutta la terra, ne deduciamo che la sua piaga sarebbe stata universale. Anche in questo caso possiamo fare lo stesso ragionamento, e quindi si capisce che l’invito che l’angelo fa agli uccelli, per venire a mangiare la cena che Dio ha loro preparato, arriverà fin dove arrivano i raggi del sole.
Gli uccelli accorreranno al suo richiamo, e si sazieranno con la carne di cavalli, di re, di capitani e d’uomini valorosi. Così, mentre i santi stanno partecipando alla cena delle nozze dell’Agnello, gli empi offrono il loro corpo in pasto agli uccelli del cielo.
La bestia e il falso profeta sono presi. Il falso profeta è quello che compie i prodigi in presenza della bestia, ed è la stessa bestia con due corna d’Apocalisse 13, cui si attribuisce la stessa opera e lo stesso proposito. Il fatto che siano gettati vivi nel lago di fuoco conferma che questi poteri non spariranno, per lasciare il loro posto ad altri, ma che esisteranno fino al tempo del ritorno di Cristo.
E’ già molto tempo ormai che il papato sta manovrando sul campo, ed è giunto ormai all’ultima battaglia della sua storia. La sua distruzione è stata predetta con grande enfasi da altre profezie, oltre che da quelle che stiamo commentando, specialmente in Daniele 7: 11, dove il profeta afferma d’avere osservato fino alla morte della bestia, il cui corpo è gettato nelle fiamme di fuoco per esservi distrutto. Questo potere pur essendo ormai prossimo alla fine, non perirà che al ritorno di Cristo: è al Suo ritorno, infatti, che sarà gettato vivo nel lago di fuoco.
In quanto all’altro potere, che con lui si è associato, la bestia con due corna, la vediamo avvicinarsi rapidamente al culmine del suo disegno, che sarà portato a compimento, dopodiché, anch’essa, sarà gettata viva nel lago di fuoco.
Che emozione pensare che abbiamo davanti ai nostri occhi due dei grandi strumenti profetici che, in base alle tante prove che abbiamo, s’avviano alla fine della loro storia, e che non mancheranno d’agire e d’operare finche non apparirà il Signore con tutta la Sua Gloria.
Dal versetto 21 s’intuisce che vi è un residuo di empi che non sono annoverati con la bestia e il falso profeta. Questi ultimi sono uccisi dalla spada di Colui che siede a cavallo, e dalla cui bocca fuoriesce la spada. Altrove questa spada è chiamata “il soffio della Sua bocca” e “il respiro delle Sue labbra ” (V.M.), per mezzo del quale il Signore ucciderà gli empi quando verrà a prendere il Suo Regno (confr. 2° Tess. 2: 8; Isaia 11: 4).
VERSETTI 1-3: Poi vidi un angelo che scendeva dal cielo e avea la chiave dell’abisso e una gran catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico che è il Diavolo e Satana e lo legò per mille anni, lo gettò nell’abisso che chiuse e suggellò sopra di lui onde non seducesse più le nazioni finche fossero compiti i mille anni; dopo di che egli ha da essere sciolto per un po’ di tempo.
L’avvenimento con cui comincia questo capitolo sembra seguire cronologicamente i fatti del precedente.
Le domande che ora si pongono sono: Chi è l’angelo che scende dal cielo? Cosa rappresentano la chiave e la catena che tiene fra le mani?, cosa è l’abisso?, cosa significa legare Satana per mille anni?, quest’angelo è forse Cristo, come credono alcuni?, evidentemente no. L’antico servizio tipico getta su questo passo un luminoso raggio di luce.
Satana è il capro espiatorio: Cristo è il Grande e Sommo Sacerdote dell’era Evangelica. Anticamente nel giorno delle espiazioni il sacerdote prendeva due capri, e su di essi gettava le sorti. Uno era per Yahwé, l’altro era destinato ad essere il capro espiatorio. Il capro sul quale cadeva la sorte di Yahwé, era subito ucciso e il suo sangue era portato all’interno del Santuario, per fare l’espiazione in favore dei figli d’Israele. Dopo di questo, i peccati del popolo erano confessati sul capo dell’altro capro, quello espiatorio, che in seguito era portato nel deserto, in un luogo disabitato, da un uomo incaricato di questo servizio. Alcune riflessioni dimostreranno che, come Cristo è il sommo sacerdote dell’era Evangelica, così Satana è l’antitipo del capro espiatorio.
Il termine ebraico usato per designare il capro espiatorio, in Levitico 16: 8, è Azazel. G. Jenks, a questo proposito, osserva: – Capro espiatorio: si vedano le contrastanti opinioni nell’opera di Bochart. Spencer, seguendo le più antiche opinioni ebree e cristiane, ritiene che Azazel sia il nome del diavolo; come lui la pensa Roseum, al quale ci si può riferire. In lingua Siriana abbiamo Azzail, l’angelo (il forte) che si ribellò -.
Queste testimonianze indicano in maniera indiscutibile il diavolo, abbiamo anche la definizione del termine biblico in due lingue antiche, che sostengono l’opinione dei primi cristiani che riconoscevano Satana nella figura del capro espiatorio.
Charles Beecher dice: – Ciò che più contribuisce a confermarlo è che le traduzioni più antiche, con le loro circonlocuzioni, considerano il termine Azazel come nome proprio. La circonlocuzione caldea e le raccolte di Ankelos e Jonathan l’avrebbero certamente fatto, se non fosse un nome proprio, cosa che invece non hanno fatto. La più antica versione greca, quella dei Settanta, traduce questo termine con apopompaìos, parola che indica una divinità malvagia, che a volte è placata con un sacrificio. Un’altra conferma si trova nel libro di Enoc, dove il nome Azazel, è attribuito ad uno degli angeli caduti, il che dimostra molto chiaramente in che modo i giudei di quel periodo, interpretassero comunemente questa parola. Ancora una conferma la troviamo nella lingua araba, dove Azazel è usato per indicare uno spirito malvagio -.
L’interpretazione giudea è questa:
– Lungi dal significare che si riconosceva Azazel come una divinità, l’allontanamento del capro nel deserto – come ci dice Nehmanide – era un gesto che significava che i peccati del popolo, e le sue disastrose conseguenze, dovevano essere caricate allo spirito di desolazione e di rovina, origine d’ogni impurità -.Tutte le opinioni che abbiamo visto armonizzano sorprendentemente con gli avvenimenti che si realizzeranno, e che sono relativi alla purificazione del Santuario Celeste, cosi come c’è stato rivelato nelle Scritture di Verità. Abbiamo visto che nella figura, il peccato del trasgressore era trasferito alla vittima. Abbiamo anche visto che il ministero del sacerdote consisteva nel portare il peccato all’interno del santuario assieme al sangue dell’offerta. Tale ministero si svolgeva nel decimo giorno del settimo mese; in quel giorno vediamo il sacerdote purificare, con il sangue della vittima offerta per i peccati del popolo, il santuario di tutti i peccati accumulati durante tutto l’anno, e caricarli tutti sulla testa del capro espiatorio, immediatamente dopo il capro era condotto in un luogo deserto (Levitico 1: 1-4; 4: 3-6; 16: 5-10,15,16,20-22). Il riscontro di questi atti realizzati nel simbolo, vediamo l’antitipo, l’infinita offerta compiuta sul Calvario in favore del mondo. I peccati di tutti coloro che, per la fede in Cristo, si appropriano dei meriti del Suo sangue versato, sono portati da Cristo nel Santuario del Nuovo Patto. Dopo che Cristo, Ministro del vero Tabernacolo (Ebrei 8: 2), avrà terminato il Suo ministero, eliminerà dal Santuario i peccati del Suo popolo. Li caricherà, quindi, sulla testa di colui che è la causa prima del peccato, il capro dell’antitipo, e cioè il diavolo, che sarà allora cacciato lontano, perché se li porti con se in una terra disabitata.
Immaginiamo la scena che si svolgerà quando Cristo tornerà sulla terra:
La chiesa è stata giudicata; Israele è stato giudicato; anche le nazioni dei gentili sono state giudicate . . . Ora tocca a Satana d’essere anche lui giudicato; vediamo il nostro Sommo Sacerdote caricare la colpevolezza morale dove legittimamente va messa; Egli giudica il grande istigatore e corruttore, e lo costringe in esilio in un luogo da cui non potrà esercitare la sua nefanda influenza sugli uomini.
Nessuno può affermare che in questo modo collochiamo Satana su di un piano d’uguaglianza con Dio, come affermano alcuni che si oppongono alla nostra interpretazione, dato che i due capri, che appartengono a Yahwé, Gli sono condotti dinanzi; l’atto stesso di gettare le sorti, solenne simbolo di dipendenza divina, dimostra che l’Eterno ha la facoltà di disporre di essi. Non si può nemmeno obiettare che, da un certo punto di vista, sia un sacrificio a Satana, perché in realtà non gli si fa nessun sacrificio, anzi l’animale che lo rappresentava era cacciato via nel deserto, dopo che gli erano stati caricati i peccati che Dio aveva perdonato. La frase “capro espiatorio” o “capro maschio”, con le quali s’allude ad Azazel in alcune versioni, proviene dalla “Vulgata”, che lo definisce “hircus emissarius”, cioè capro espiatorio. Il termine Azazel può forse significare “apostata”, giusto appellativo di Satana, e che pare sia d’origine giudea. Fu lui infatti ad introdurre il peccato nel mondo; l’inganno che esercita continuamente sull’uomo, aumenta la sua colpa, e di conseguenza il suo castigo. Il peccato era perdonato dalla misericordia di Dio, uno dei capri ora era sacrificato come offerta per il peccato; il suo sangue era portato all’interno del luogo santo (il santissimo), e con esso si bagnava il propiziatorio. La colpa era così cancellata: la remissione proveniva dal versamento del sangue. Ma il peccato, anche se perdonato, è sempre in abominio a Dio, e non può stare davanti ai Suoi occhi, per questi motivi era allontanato nel deserto, separato dal popolo di Dio e mandato lontano assieme al seduttore dell’uomo. I peccati erano in tal modo tolti ai credenti e gettati su Satana, il loro primo autore e istigatore. Ai redenti è condonata la pena dei loro peccati, ma questi stessi peccati non saranno perdonati a colui che ne fu la causa, e che fece cadere gli uomini nell’apostasia e nella rovina. I tentati sono mondati, e quindi tutto il castigo è riservato all’autore primo d’ogni tentazione. L’inferno è pronto per Satana e i suoi angeli.
Pensiamo che sia questo l’avvenimento descritto nei versetti in esame. Il momento che la scena descrive è quello della conclusione del servizio del santuario. Cristo carica sul capo del diavolo i peccati che erano stati trasferiti al Santuario, e che non sono più imputati ai santi. Il diavolo è mandato lontano, non per mano del Sommo Sacerdote ma di un’altra persona, secondo la figura, in un luogo che è chiamato “abisso”.
La chiave e la catena: Non possiamo credere che la chiave e la catena siano letterali, sono soltanto il simbolo del potere e dell’autorità della quale l’angelo, cui è affidato questo compito, è rivestito.
L’abisso: Il termine originale indica un precipizio senza fondo. L’uso sembra dimostrare che la parola indichi un luogo di tenebre, di desolazione e di morte, come in Apocalisse 9:1-2, dove indica le deserte distese d’Arabia, e in Romani 10:7 in cui indica il sepolcro. Ma l’uso che più c’illumina sul significato della parola si trova nella Genesi 1: 2 dove leggiamo che “le tenebre coprivano la faccia dell’abisso”. Sappiamo che in quel caso la parola “abisso” indica la terra nello stato primordiale, caotico; ed è appunto questo il significato del termine nel 3° versetto del capitolo 20. Occorre aver presente che nel momento in cui l’angelo compie quest’opera, la terra è un’estensione desolata e coperta di morti. La voce di Dio l’ha sconvolta fin nelle fondamenta, le isole e le montagne sono state spostate dai loro siti, e il gran terremoto ha distrutto anche le opere più imponenti costruite dagli uomini.
Le sette ultime piaghe hanno lasciato sulla terra il loro segno; l’ardente manifestazione di gloria che ha accompagnato l’Avvento del Figlio dell’uomo, ha compiuto la sua parte, nella generale devastazione; gli empi sono stati consegnati al massacro, e le loro carcasse putrefatte con le ossa imbiancate non hanno avuto sepoltura, né pianto alcuno, e ora giacciono da un capo all’atro della terra.
Così la terra è nuovamente vuota, desolata e sconvolta (Isaia 24:1), dato che almeno in parte è tornata al suo stato originale di confusione e caos (si legga Geremia 4:19-25, in particolare il versetto 23).
Quale termine più adatto di “abisso” si sarebbe potuto trovare per descrivere il nostro pianeta in quei mille anni di tenebre e desolazione? Ecco dove per tutto questo tempo sarà rinchiuso Satana, tra le rovine che lui stesso ha causato; da cui non avrà alcuna possibilità di fuga, né di poter ricostruire quelle spaventose rovine.
Satana è legato: Sappiamo bene che Satana, per operare, ha bisogno di sudditi: senza di loro non può far nulla. Ma durante i mille anni della sua prigionia sulla terra, tutti i santi brilleranno in cielo, che è inaccessibile al potere delle sue seduzioni, e tutti gli empi saranno ormai cadaveri e gli sarà perciò impossibile tentarli e sedurli. Il suo raggio d’influenza è drasticamente ridotto, si può quindi affermare che è “legato”.
Durante tutto quel periodo è condannato ad un disperato stato d’inattività. Quest’inattività gli sarà insopportabile: lui è sempre stato uno spirito attivo, sempre in azione, negli ultimi sei mila anni, quando, generazione dopo generazione, seduceva gli abitanti della terra, non si è mai concesso un attimo di sosta. Per questi motivi legare Satana significa semplicemente mettere i suoi sudditi fuori della sua influenza. L’atto di slegarlo, al contrario, significa che essi, per mezzo di una risurrezione parziale, sono riportati in una condizione che gli consente di esercitare nuovamente il suo potere. Potrebbe darsi che su questo punto alcuni obiettino che ci stiamo sbagliando, e che dovremmo considerare legati non Satana, ma gli empi. Ci sembra sia sufficiente rispondere cosi: talvolta, nei discorsi di tutti i giorni sentiamo frasi come questa: “Mi sono sentito prigioniero”, “avevo le mani legate”, e quando accade che i nostri simili usino tali espressioni, immaginiamo forse che qualche ostacolo insormontabile abbia realmente attraversato e bloccato il sentiero sul quale viaggiavano, oppure che le loro mani furono veramente legate? No, comprendiamo che una serie di circostanze ha impedito loro d’agire. Dobbiamo interpretare allo stesso modo anche questo passo. Perché non concediamo la stessa libertà d’espressione anche alla Bibbia?
Ma c’è ancora un altro motivo per cui si può affermare che Satana è legato: il suo potere è stato così drasticamente limitato, che non ha più la possibilità d’attraversare lo spazio per visitare altri mondi; sarà per lui come per l’uomo che è costretto su questa terra nell’impossibilità d’allontanarsene. Il luogo dove causò tante rovine diventa il lugubre carcere in cui resterà legato, finche allo scadere dei mille anni, sarà liberato per l’esecuzione finale.
VERSETTI 4-6: Poi vidi dei troni; e a coloro che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decollati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non aveano adorata la bestia né la sua immagine, e non avevano preso il marchio sulla loro fronte e sulla loro mano; ed essi tornarono in vita, e regnarono con Cristo mille anni. Il rimanente dei morti non tornò in vita prima che fosser compiti i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su loro non ha potestà la morte seconda ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con Lui quei mille anni.
Esaltazione dei santi: Dopo averci mostrato il diavolo nel suo lugubre carcere, Giovanni attira la nostra attenzione sui santi che hanno raggiunto la gloria, ai santi che regneranno con Cristo. Il loro compito consiste nell’assegnare agli empi defunti il castigo che meritano per le loro cattive azioni. In quest’assemblea generale, Giovanni sceglie due categorie particolari che sono meritevoli di una particolare attenzione: i martiri che furono decapitati per la loro testimonianza di Gesù, e quelli che non adorarono la bestia né la sua immagine. Questi ultimi, che rifiutarono di prendere il marchio della bestia e della sua immagine, sono senza dubbio coloro che accettarono il messaggio di Apocalisse 14, anche se non sono quelli che furono decapitati per la testimonianza di Gesù, come vorrebbero farci credere quelli che sostengono che tutti i membri dell’ultima generazione soffriranno il martirio dei santi.
Il vocabolo originale tradotto con le parole “e di quelli”, nell’espressione “e di quelli che non avevano adorato la bestia”, dimostra che in quel punto è introdotta un’altra categoria di persone. Il vocabolo originale è il relativo composto hostis che equivale a “quelli che”, e non il relativo semplice hos “che”; Liddell e Scott fanno questa puntualizzazione: – “Quelli che, chiunque che, qualsivoglia che”. Giovanni vide i martiri come membri di un gruppo, e come membri di un altro gruppo vide “quelli che” non avevano adorato la bestia, né la sua immagine -.
È vero che hostis a volte è usato come relativo semplice, come in 2° Corinzi 3:14; Efesini 1:23, ma mai nella costruzione di frasi come questa, in cui la parola è preceduta dalla congiunzione kay, “e”.
Alcuni potrebbero affermare che siccome noi traduciamo il passo così: “e quelli che non avevano adorato la bestia”, includiamo in questo gruppo anche quei milioni di pagani peccatori che non hanno adorato la bestia, permettendo loro di regnare con Cristo per mille anni. Per dimostrare che non è assolutamente vero, richiamiamo l’attenzione alla dichiarazione del capitolo precedente, in cui si afferma che gli empi sono stati tutti uccisi, e che devono restare nel sepolcro per mille anni. Giovanni vede qui solo la compagnia dei giusti che partecipano alla prima risurrezione.
Per evitare la dottrina delle due risurrezioni, alcuni sostengono che la frase “Il rimanente dei morti non tornò in vita prima che fossero compiti i mille anni”, sia stato aggiunto, cioè che non esista nell’originale, e che quindi non sia genuino. Anche se così fosse ciò non infirmerebbe il concetto centrale che i giusti defunti risuscitano a parte, nella prima risurrezione, e che mille anni dopo vi è una seconda risurrezione nella quale escono dalle loro tombe tutti gli empi.
Ma la critica non è opportuna, perché gli esperti la contraddicono. La Versione Inglese Riveduta non afferma che la frase in questione non si trova nei manoscritti antichi, neppure la Versione Riveduta Americana fa il minimo accenno a questo fatto. La traduzione di Rotheram che postilla alcuni passi come “dubbi”, non mette in “dubbio” questo passo. Invece lo troviamo nelle otto edizioni del Nuovo Testamento pubblicate da Tischendorf, e nel testo greco di Wescott e Hort. La frase appare anche in tutti i “Nuovo Testamento” pubblicati da critici di valore mondiale come Ceriesbach, Wordsworth, Lachmann, Tregelles, e Alford. Solo tre o quattro manoscritti greci non la riportano, ma dal 1697 la riportano tutti, quando riportano l’Apocalisse.
Due risurrezioni: “Ma gli altri morti non tornarono in vita finche fossero compiti i mille anni”. Per quante obiezioni si facciano, non si potrebbe richiedere al linguaggio d’affermare più chiaramente che vi saranno due risurrezioni. La prima, è quella dei giusti all’inizio dei mille anni, la seconda, è quella degli empi alla fine del millennio. La morte seconda non avrà potestà su coloro che avranno preso parte alla prima risurrezione. Essi non avranno danno dagli elementi che distruggeranno gli empi come fossero paglia. Potranno sopravvivere nonostante il fuoco divorante, le cui conseguenze saranno eterne (Isaia 33: 14-15). Potranno uscire e vedere i cadaveri di quelli che peccarono contro Yahwé, essi saranno divorati dal fuoco inestinguibile e dal verme che non muore (Isaia 66: 24). La differenza esistente tra i giusti e gli empi, si riscontra nel fatto che, mentre Dio è per questi ultimi un fuoco divorante, per il Suo popolo è luce e protezione.
Gli empi tornano in vita: Gli empi che risuscitano alla fine dei mille anni, ritornano in vita nella stessa condizione di prima. Negare questo è fare violenza a questo passo. Non abbiamo nessun’informazione circa la condizione fisica in cui risorgeranno. Spesso si afferma che ciò che perdemmo incondizionatamente in Adamo, ci sarà restituito incondizionatamente in Cristo. Ma, per quanto riguarda la condizione fisica, non dev’essere intesa ogni volta in senso illimitato, perché la forza vitale e la statura, che è stata persa dal genere umano, non sarà restituirla agli empi al loro risveglio. È sufficiente restituire loro la condizione fisica e mentale che ebbero in vita, durante il loro tempo di grazia, perché possano ricevere pienamente il castigo definitivo per le malvagità commesse nella loro esistenza passata.
VERSETTI 7-10: E quando i mille anni saranno compiti, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro canti della terra, Gog e Magog, per radunarle per la battaglia: il loro numero è come la rena del mare. E salirono sulla distesa della terra e attorniarono il campo dei santi e la città diletta; ma dal cielo discese del fuoco e le divorò. E il diavolo che le avea sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saran tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli.
La perdizione degli empi: Alla fine dei mille anni, la santa città, la Nuova Gerusalemme, in cui hanno dimorato i santi nel cielo, scende e si posa sulla terra. Diventa allora il campo dei santi, attorno al quale si radunano gli empi risuscitati, che sono numerosi come la sabbia del mare. Il diavolo li seduce, e li raduna per questa battaglia. Gli empi sono spinti a combattere un’empia guerra contro la santa città, con l’illusione d’avere qualche vantaggio sui santi, e di poterne approfittare. Satana li convince che possono vincere i santi, privarli della loro città, ed impadronirsi della terra. Ma dal cielo scende un fuoco Divino che li divora.
Moses Stuart dichiara che la parola greca tradotta con “divorò”, esprime un’azione “intensa”, e significa “mangiare, divorare, e indica una completa soppressione”. È questo il tempo della perdizione finale degli empi, il tempo in cui “gli elementi infiammati si dissolveranno per il gran calore, e la terra e le opere che sono in essa saranno arse” (2° Pietro 3: 7,10). Leggendo questi passi possiamo vedere che sarà su questa terra che i malvagi riceveranno la loro giusta punizione (Proverbi 11:31). Vediamo anche che tale sentenza non è di una vita eterna e miseranda, ma una “completa soppressione”, una distruzione assoluta e definitiva.
Gli empi non calpesteranno la nuova terra: Due opinioni meritano d’essere esaminate. La prima è che la terra sia già rinnovata al ritorno di Cristo, e che sia per mille anni la dimora dei santi. La seconda sostiene che quando Cristo tornerà per la seconda volta, stabilirà il Suo Regno in Palestina, e assieme ai santi conquisterà le nazioni che sono rimaste sulla terra, e le sottometterà.
Una delle tante obiezioni che si possono fare alla prima opinione è che in questo modo si permette agli empi, capeggiati dal diavolo, di calpestare, profanandola, la nuova terra purificata e santa; mentre i santi che l’hanno abitata per i mille anni, sarebbero costretti a cedere il loro territorio, e a rifugiarsi nella città. Non possiamo credere che l’eredità dei santi sia contaminata, e che le meravigliose distese di una terra rinnovata saranno contaminate dai passi degli empi risuscitati; è impossibile portare un solo passo biblico a sostegno di tale ipotesi. In quanto alla seconda, che fra tante assurdità è la più incredibile, come si fa a credere che Cristo e i Suoi santi conquistino la terra durante i mille anni, e che poi gli empi trionfino, annullando cosi un’opera durata mille anni, dato che Cristo e i Suoi perderebbero i territori conquistati, e sarebbero costretti ad una fuga ignominiosa verso la città per cercarvi rifugio, lasciando perciò la terra sotto il dominio assoluto dei suoi nemici?
Mille anni in cielo: In opposizione a queste fantasiose teorie, presenteremo ora una spiegazione precisa e ragionevole. I santi stanno in cielo con Cristo mille anni, durante i quali la terra resta desolata e vuota. Allo scadere dei mille anni i santi e la città scendono dal cielo; gli empi defunti tornano in vita e le marciano contro. In quel preciso momento ricevono il loro castigo. Dalle fiamme purificatrici che li distruggono, appaiono i nuovi cieli e la nuova terra, perché sia per l’eternità la dimora dei giusti.
Quelli sottoposti al tormento: Basandosi sul verso 10, alcuni ne hanno dedotto che solamente il diavolo sarà tormentato giorno e notte. Ma la testimonianza di questo passo dice di più. La frase “saranno tormentati” è al plurale, e fa una dichiarazione circa la bestia e il falso profeta, mentre se si riferisse solo al diavolo sarebbe al singolare. Bisogna aver presente che nell’espressione “dove sono anche la bestia e il falso profeta”, la parola “sono” nell’originale non c’è. Se dobbiamo aggiungere qualcosa che dia un significato alla frase, sarebbe più esatto aggiungervi le parole “furono gettati”, per razionalizzarlo con quanto abbiamo prima detto del diavolo. Una traduzione più precisa aggiunge la parola “anche” dopo “dove”. Il periodo allora si presenta così: “Il diavolo fu gettato nel lago di fuoco, dove furono gettati anche la bestia e il falso profeta”. Questi ultimi infatti furono gettati nel lago di fuoco e distrutti, all’inizio dei mille anni (Apocalisse 19:20). I singoli membri delle sue organizzazioni sorgono nella seconda risurrezione, e una distruzione completa e finale cade loro addosso, essi sono indicati dalle parole Gog e Magog.
Il lago di fuoco: Può darsi che qualche lettore desideri una definizione del lago di fuoco. Sarebbe giusto definirlo “il simbolo dei mezzi che Dio impiega per mettere fine alla Sua controversia con gli empi che saranno vivi all’inizio dei mille anni, e con tutti gli eserciti degli empi alla fine del millennio”? Certo, perché l’elemento più usato per compiere quest’opera è il fuoco letterale. È più facile descriverne gli effetti, che il fuoco stesso. In occasione del 2° Avvento di Cristo, sarà con le fiamme di fuoco che Egli si rivela; sarà il soffio della Sua bocca, e lo splendore della Sua venuta, che consumerà l’uomo del peccato; sarà il fuoco che incenerirà Babilonia la grande (Apocalisse 18:8). Alla fine dei mille anni, cosa distruggerà tutti gli impenitenti? Sarà il fuoco ardente come una fornace (Malachia 4:1); sarà il tremendo calore che fonderà gli elementi della terra, e che consumerà le opere che essa contiene; è il fuoco per il Tophet preparato e pronto per il re (il diavolo e i suoi angeli; Matteo 25:41), e che sarà profondo e grande, e che il soffio dell’Eterno sta per accendere come un torrente di zolfo (Isaia 30:33). Infine sarà il fuoco di Dio che scenderà dal cielo. (circa le parole “nei scoli dei secoli” legg. comm. Apocalisse 14: 11).
VERSETTI 11-15: Poi vidi un gran trono bianco e Colui che vi sedeva sopra, dalla cui presenza fuggiron terra e cielo; e non fu più trovato posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli, che stavan ritti davanti al trono; ed i libri furono aperti; e un altro libro fu aperto, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro. E il mare rese i morti ch’erano in esso; e la morte e l’Ades resero o loro morti, ed essi furon giudicati, ciascuno secondo le sue opere. E la morte e l’Ades furon gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè, lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco.
Il trono del giudizio: Nel versetto 11 è mostrata a Giovanni un’altra scena che si riferisce alla condanna finale degli empi. È il grande trono bianco del giudizio, davanti al quale essi sono radunati per ricevere la spaventosa sentenza della loro condanna a morte. Davanti a questo trono anche il cielo e la terra fuggono, tanto che il loro posto non fu più ritrovato.
Se ci concediamoci un istante di riflessione sui cambiamenti che si produrranno in quel tempo sul nostro mondo, percepiremo la grande potenza del linguaggio usato. L’immagine è la stessa usata da Pietro nella sua seconda lettera cap 3: 7-13, “il giorno ardente che trascina alla perdizione gli uomini empi” e in cui anche “gli elementi si scioglieranno per il terribile calore”.
Il fuoco di Dio scende dal cielo. Le opere che sono sulla terra sono consumate, e gli empi sono distrutti. È il fuoco della Geenna, che ha in se tutti gli elementi necessari a consumare completamente ogni uomo mortale che cada sotto il suo potere (Marco 9: 43- 48). Si compirà allora Isaia 66: 24: “E quando gli adoratori usciranno, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati a me; perché il loro verme non morrà, e il loro fuoco non si estinguerà e saranno in orrore ad ogni carne”.
Si compie allora Isaia 33: 14: “Chi di noi potrà resistere alle fiamme eterne?”. Le risposte che seguono dimostrano che saranno i giusti. Dev’essere quello il momento cui si riferiscono le domande e le risposte d’Isaia.
Nella conflagrazione totale che seguirà, gli elementi non saranno distrutti, ma saranno liquefatti e purificati dalla contaminazione del peccato, e da ogni traccia di maledizione. Allora sarà resa manifesta la volontà dell’Onnipotente; Ecco, io faccio nuove tutte le cose… È fatto. (Apocalisse 21: 5-6).
In occasione della Creazione, “tutte le stelle del mattino cantavano insieme, e tutti i figli di Dio davan gridi di giubilo” (Giobbe 38: 7).
Quando Dio realizzerà questa nuova creazione, quel canto e quelle grida di gioia, saranno arricchite delle gioiose voci dei redenti. Anche la terra, che il peccato aveva strappato dalla gioia e dalla pace cui era destinata, sarà nuovamente reintegrata nell’armonia di un Universo della giustizia, affinché sia la dimora dei salvati.
I libri del cielo: Gli uomini sono giudicati in base alle cose scritte sui libri. Questa frase c’insegna una solenne verità: cioè che in cielo vi sono dei libri sui quali si registrano tutte le nostre azioni. I segretari angelici hanno un registro fedele ed infallibile. Gli empi non potranno nascondere nessuna loro malvagità; né potranno corromperli perché omettano i loro atti illeciti. Quel giorno li avranno davanti, e saranno giudicati in base ad essi.
L’esecuzione della sentenza: I malvagi saranno puniti secondo le loro opere. Le Scritture dichiarano che saranno ricompensati secondo i loro atti. Appare evidente che il grado di sofferenza che ciascuno dovrà sopportare, sarà relativa alla severità del castigo cui sarà condannato, ed è di questo che si terrà conto nell’emettere la condanna: “Perché il servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone, e non ha preparato né fatto nulla per compiere la volontà di lui, sarà battuto di molti colpi; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, sarà battuto di pochi colpi”. E a chi molto è stato dato, molto sarà ridomandato, e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà” (Luca 12: 47-48).
Il libro della vita: Qualcuno potrà chiedersi perché ora si parli del libro della vita, ora che, quelli che prendono parte alla seconda risurrezione, sono già stati giudicati e condannati alla morte seconda, scena questa che si svolge prima di quella che presenta il libro della vita.
Vediamo almeno una ragione apparente, in sostanza perché tutti possano vedere che nessuno, dei nomi di coloro che muoiono per la seconda volta, si trova nel libro della vita, e perché non ci sono più, e inoltre sarà spiegato perché i nomi, che un tempo vi erano scritti, non vi sono rimasti. In questo modo, tutti gli esseri dell’Universo potranno costatare che Dio agisce con imparzialità e giustizia.
Si afferma che anche “l’inferno e la morte furono gettati nel lago di fuoco, questa è la morte seconda”. Questa frase è l’epitaffio finale di tutte quelle forze che, dal principio alla fine, si sono levate contro la volontà e l’opera del Signore. Satana diede inizio a quest’opera nefasta. A lui si unì, in quest’opera di ribellione all’Eterno, la terza parte degli angeli del cielo, e anche per loro è stato preparato il fuoco eterno (Matteo 5: 41). Gli uomini patiscono gli effetti di questo fuoco perché si sono uniti a Satana nella loro ribellione. Ma qui, ora, la controversia ha fine. Il fuoco per loro è “eterno” perché non permette loro di sfuggire, e non si spegne, finche loro stessi non saranno stati consumati. La morte seconda è il loro castigo e il loro “tormento eterno” (Matteo 25: 46), poiché non potranno mai liberarsi dal suo abbraccio spaventoso. “Il salario del peccato è la morte”, non il tormento eterno (Romani 6: 23).
Per riassumere l’argomento leggiamo: “E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco”. Lettore, il tuo nome è scritto nel libro della vita? Cosa stai facendo per evitare la terribile condanna che attende gli empi? Non darti pace fino a che non avrai motivi sufficienti per ritenere che il tuo nome sia scritto tra quelli che, alla fine, avranno parte alla vita eterna.
A cominciare dal 2° versetto l’argomento di questo capitolo è la Nuova Gerusalemme, ma prima d’introdurla, Giovanni ci dice come spariranno i cieli, la terra e i mari che sono adesso.
VERSETTO 1°: Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c’era più.
I nuovi cieli e la nuova terra: Giovanni parlando dei primi cieli e della prima terra, si riferisce indubbiamente a quelli attuali, “i cieli di adesso, e la terra” (2° Pietro 3: 7). Alcuni hanno creduto che quando la Bibbia parla del terzo cielo, in cui si trovano il Paradiso e l’albero della vita (2° Corinzi 12: 2; e Apocalisse 2: 7), si riferisca al cielo ancora a venire, e che non vi siano prove che esistano ora un Paradiso e un albero della vita. Essi fondano la loro opinione nel fatto che Pietro parlò di tre cieli e terre: quelli che furono prima del diluvio, quelli attuali e quelli futuri. Questa teoria è completamente smentita dal 1° versetto di Apocalisse 21, proprio perché Giovanni parla di due cieli e di due terre solamente. Egli chiama quelli che esistono ora i primi, perciò quelli che seguiranno saranno secondi, e non terzi, come si vuole far dire a Pietro. Risulta, quindi, abbastanza chiaramente che Pietro non si propone di stabilire un ordine numerico. Perciò, d’accordo con quanto detto da Pietro, parleremo di un cielo come del primo, di un altro come secondo, e dell’ultimo come terzo. L’obiettivo del suo ragionamento era di dimostrare semplicemente che un cielo e una terra letterali succedettero alla distruzione della terra, compiuta dal diluvio, e allo stesso modo un cielo e una terra letterali subentreranno a quelli attuali, a motivo del rinnovamento operato dal fuoco. Non vi è quindi alcuna prova che la Bibbia, quando parla del terzo cielo, si riferisca semplicemente al terzo stato dei cieli e della terra attuali, poiché allora tutti gli scrittori biblici avrebbero usato la stessa terminologia. Cadono così le argomentazioni di quelli che tentano di dimostrare che in questo momento non esistono né il Paradiso né l’albero della vita.
La Bibbia riconosce con certezza, nell’attuale costituzione delle cose, tre cieli: cioè il primo, o cielo atmosferico, dove abitano gli uccelli dell’aria; il secondo è il cielo planetario, che è la regione del sole della luna e delle stelle; e il terzo, il più in alto di tutti, dove si trovano il Paradiso e l’albero della vita (Apocalisse 2:7), dove Dio ha la Sua residenza e il Suo trono (Apocalisse 221,2), dove Paolo fu rapito in visione (2° Corinzi 12:2). E’ il cielo cui ascese Gesù quando lasciò la terra (Apocalisse 12: 5), e dove si trova ora, come Sacerdote e Re, seduto sul trono del Padre Suo (Zaccaria 5: 13), e dove c’è la gloriosa città, che aspetta i santi, quando saranno entrati nella vita eterna (Apocalisse 21: 2). Dio sia lodato perché da quel luogo risplendente ha concesso comprensione a questo nostro mondo lontano! Gli siano rese grazie perché ha aperto una strada che conduce come un sentiero diritto e risplendente di luce, fino a quelle beate e desiderabili dimore!
Il mare non è più: Leggendo le parole di Giovanni: “il mare non era più”, ci si chiede: – Non vi sarà alcun mare nella nuova terra? -. La frase non dice questo, perché il profeta si riferisce alla terra, al cielo, e al mare che sono adesso, e che conosciamo noi. Si potrebbe tradurre così: “Poiché sparirono il primo cielo e la prima terra, allo stesso modo anche il mare ouk est in eti (non è più), sparì”; cioè il vecchio mare non si vedeva più, come non si vedevano più né i vecchi cieli né, la vecchia terra. Vi potrà essere certo un nuovo mare nella nuova terra.
A questo proposito Adam Clarke dice: – Il mare non appariva più, come non apparivano più i primi cieli e la prima terra. Tutto era stato fatto nuovo; e probabilmente il mare aveva una sistemazione diversa, ed era distribuito diversamente dal vecchio mare -. Il fiume della vita, di cui leggiamo la descrizione nel capitolo successivo, procedente dal trono di Dio, e che scorre lungo l’ampia via della città, deve necessariamente avere un luogo in cui scaricare le sue acque, e dove potrebbe essere se non nel mare della nuova terra? Che vi sia un nuovo mare, si deduce anche dalla profezia che, circa il futuro Regno di Cristo, dichiara: “… e il Suo dominio si estenderà da un mare all’altro, e da un fiume sino alle estremità della terra” (Isaia 9: 12). Del resto è comunque difficile, credere che i tre quarti del globo saranno, come ora, sacrificati alle acque. Il nuovo mondo, in cui vivranno i fedeli figli di Dio, sarà sistemato in modo razionale e proporzionale, tutto sarà fatto in modo da trarre il massimo dal rapporto bellezza-utilità.
VERSETTI 2-4: E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo d’appresso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno Suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e la morte non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate.
La dimora del Padre: In riferimento alla santa città vista da Giovanni, che discende dal cielo, si ode una voce che dice: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; ed Egli abiterà con loro”. Iddio Onnipotente stabilisce la Sua dimora su questa terra, ma non dobbiamo credere che Dio sia limitato al nostro mondo o ad un altro degli infiniti pianeti della Sua creazione. Ha un trono qui, e la terra gioisce a tal punto della Sua presenza, che si può affermare che Egli dimori con gli uomini, e tutto ciò implica un significato diverso da quello che mai si sarebbe potuto dare alla Sua presenza, in qualunque altro periodo antecedente. Perché considerarlo strano? L’Unigenito Figlio di Dio è Colui che governa questo Suo Regno particolare; la santa città è anch’essa qui. Gli eserciti celesti hanno per questo mondo un interesse tutto particolare, più che per qualunque altro; parafrasando una delle parabole del Signore: “Vi sarà più gioia in cielo per un mondo redento, che per novantanove che non sono mai caduti”.
Non vi saranno motivi per piangere: “E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. Non vuole significare che asciugherà letteralmente le lacrime dagli occhi del Suo popolo, perché non vi saranno lacrime da asciugare, nel Suo Regno. Vuole solo assicurare che eliminerà tutte le cause che potrebbero causarle.
VERSETTI 5-6: E Colui che siede sul trono disse: Ecco io fo ogni cosa nuova, ed aggiunse: Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci. Poi mi disse: È compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita.
La nuova creazione: Colui che siede sul trono è lo stesso di cui si parla nei versetti 11 e 12 del capitolo precedente. Egli dice: “Io faccio nuove tutte le cose”. Non afferma che farà cose nuove. La terra non sarà né distrutta, né annichilita, perché si renda necessario crearne una nuova; ma tutte le cose saranno fatte nuove. Rallegriamoci per queste parole di verità. Quando si compiranno, allora tutto sarà pronto perché si pronunci quella frase sublime: “E’ compiuto”. Allora l’oscura ombra del peccato sarà svanita per sempre. Gli empi, radice e ramo, saranno stati eliminati dalla terra dei viventi, e un canto universale di lode e di gaudio (Apocalisse 5: 13) salirà dal mondo redento, e da un Universo puro, verso Dio, verso Colui che ha mantenuto la Sua promessa ed il Suo patto.
VERSETTI 7-8: Chi vince erediterà queste cose; e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo; ma quanto ai codardi, agl’increduli, agli abominevoli, agli omicidi, ai fornicatori, agli stregoni, agli idolatri, e a tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda.
La grande eredità: I vincitori sono: “la progenie d’Abramo, eredi secondo la promessa” (Galati 3: 29). La promessa contiene il mondo (Romani 4: 13), e i santi usciranno e cammineranno nella nuova terra, non come servi o stranieri, ma in qualità d’eredi legittimi dello stato celeste, e proprietari del territorio.
Timore e tormento: Ma i codardi e gli increduli riceveranno la loro mercede nel lago di fuoco e di zolfo. La parola “codardi” ha lasciato perplesse alcune persone coscienziose, che durante tutta la loro esperienza cristiana hanno avuto più o meno grandi timori. Non è il timore della nostra debolezza, quella insita in noi, né quella nei confronti del potere e dell’aggressività del tentatore. Non è il timore di peccare, o di cadere durante il cammino, né d’essere, alla fine, trovato mancante. Questo tipo di timore ci fa accorrere presso il Signore a cercare il Suo aiuto. Il timore di cui qui si parla è in rapporto con l’incredulità; è la paura del ridicolo, dell’inimicizia e dell’opposizione del mondo, è la mancanza di fiducia in Dio e nelle Sue promesse, il timore che Egli non compia quello che ha promesso e dichiarato, e che di conseguenza saremo svergognati nella fiducia riposta in Lui, e che a causa di ciò subiremo delle perdite. Se si ha in cuore un simile sentimento, non si può che servire Dio a metà. Questo Lo disonora. Questo è il tipo di timore che ci è ordinato di non avere (Isaia 51: 7). È questo tipo di timorosa vigliaccheria che ci conduce alla condanna, secondo questo passo; e che condurrà al lago di fuoco, che è la morte seconda, tutti coloro che se ne lasceranno dominare.
VERSETTI 9-14: E venne uno dei sette angeli che aveano le sette coppe piene delle sette ultime piaghe; e parlò meco, dicendo: Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello. E mi trasportò in ispirito su di una grande ed alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo d’appresso a Dio, avendo la gloria di Dio. Il suo luminare era simile a una pietra preziosissima, a guisa d’una pietra di diaspro cristallino. Avea un muro grande ed alto; avea dodici porte, e sulle porte dodici angeli, e sulle porte erano scritti dei nomi, che sono quelli delle dodici tribù d’Israele. A oriente c’eran tre porte; à settentrione tre porte; à mezzogiorno tre porte, e ad occidente tre porte.
E il muro della città aveva dodici fondamenti, e su quelli stavano i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
La sposa dell’Agnello: Abbiamo ora la testimonianza decisiva che la Nuova Gerusalemme è la sposa dell’Agnello. L’angelo infatti ha detto chiaramente a Giovanni che gli avrebbe mostrato “la sposa, la moglie dell’Agnello”. Possiamo essere sicuri che non lo ingannò, ma che compì la sua promessa alla lettera. Tutto ciò che gli mostrò fu la Nuova Gerusalemme, che è pertanto la sposa di Cristo. Non vi sarebbe alcun bisogno di dimostrare che questa città non è la chiesa, se non fosse che la teologia popolare ha distorto a tal punto le Scritture fino a darle questa interpretazione. La città non può essere la chiesa, poiché sarebbe assurdo affermare che ha la forma quadrangolare, con un lato rivolto a nord, uno a sud, uno a levante e l’altro a ponente. Che senso avrebbe annunciare che la chiesa ha delle mura di cinta grandi e alte, che ha dodici porte, tre per ogni lato. In realtà tutta questa descrizione sarebbe incomprensibile e senza senso, se simboleggiasse la chiesa.
Scrivendo ai Galati, Paolo parla della stessa città, e ricorda che è la madre di tutti noi, ma si riferisce alla chiesa. La chiesa non è la città stessa ma i figli della città. Il verso 24 del capitolo che stiamo commentando, parla delle nazioni dei salvati, che camminano nella luce di questa città. Tali nazioni, che sono i salvati, e che formano la chiesa sulla terra, sono qualcosa di diverso dalla città nella cui luce camminano. Anche da questo si capisce che è una città letterale, costruita con tutti i preziosi materiali che sono descritti. Ma, come può allora essere la sposa dell’Agnello? L’ispirazione ha ritenuto opportuno descriverla sotto questo simbolo, e questo dovrebbe bastare, anche a quelli che credono nella Bibbia. La figura si presenta per la prima volta in Isaia 54, dove si mostra la città del nuovo patto. La si descrive desolata, mentre era in vigore il vecchio patto, e i giudei e la vecchia Gerusalemme erano l’oggetto di una cura speciale, da parte di Dio. E’ detto che “i figliuoli della derelitta” saranno più numerosi “dei figliuoli di colei che ha marito”. È detto ancora: “perché il tuo Creatore è il tuo sposo”. E la promessa finale che il Signore fa a questa città, contiene una descrizione simile a quella che abbiamo qui nell’Apocalisse, cioè: “ecco io incasserò le tue pietre nell’antimonio, e ti fonderò senza zaffiri. Farò i tuoi merli di rubini, le tue porte di carbonchi, e tutto il tuo recinto di pietre preziose. Tutti i tuoi figliuoli saran discepoli dell’Eterno, e grande sarà la pace dei tuoi figlioli” (Isaia 54:11-13).
E’ a questa stessa promessa che Paolo si riferisce, e che commenta nella sua lettera ai Galati, quando dice: “Ma la Gerusalemme di sopra è libera, ed essa è nostra madre” (Galati 4:26), perché per sostenere la sua dichiarazione, cita, nel concetto, la stessa profezia d’Isaia. Inoltre Paolo da alla profezia d’isaia un’applicazione ispirata, sul cui significato non ci si può confondere, e dimostra che sotto la figura di una “donna” o “sposa”, i cui “figli” dovevano essere più numerosi, il Signore alludeva, per mezzo del profeta, alla Nuova Gerusalemme, la città celeste, in opposizione alla città di Gerusalemme che è in terra di Palestina. Parlando di quella città il Signore dichiara d’essere suo “sposo”. Per di più su questo fatto, abbiamo ancora l’esplicita testimonianza di Apocalisse 21.
Tutto armonizza con questa interpretazione: Cristo è chiamato il Padre del Suo popolo (Isaia 9: 6); la Gerusalemme Celeste è chiamata nostra madre, e noi suoi figli. Continuando col simbolo del matrimonio, si definisce Cristo come lo sposo, e la città come la sposa, e noi, la chiesa, i convitati. Non vi è nessuna confusione di personalità. Ma l’opinione popolare, che fa della città la chiesa, e della chiesa la sposa, fa si che la città sia contemporaneamente la madre, i figli, la sposa e gli invitati.
L’opinione che le nozze dell’Agnello siano l’incoronazione di Cristo, come Re, sul trono di Davide, secondo le parabole di Matteo 22:1-4; 25: 1-13; Luca 12: 35-37; 19: 12- 27, e che si riferiscono a questo avvenimento, è confermata anche da un’antica usanza. Quando una personalità assumeva l’incarico di governare il popolo, il momento in cui era investito di tale potere, era festeggiato con una cena di nozze, perché tale era considerato. Adam Clarke in un suo commento su Marco 22:2, dice così:
Le nozze di Suo Figlio: -“Una festa di nozze”, questo è esattamente il significato della parola “gamous”, che si può anche definire una festa d’inaugurazione, quando il Suo Figliolo prese possesso del governo, unendosi così con i suoi sudditi (legg. I° Re 1: 5-9,19,25 ecc., dove si parla di una festa simile) -. Molti altri critici famosi interpretano questa parabola come il momento in cui il Padre offre al Suo Figliolo il Regno Messianico.
La città cristiana: Il fatto che i nomi dei dodici apostoli siano scritti sulle fondamenta, dimostra che è una città cristiana, e non giudea. Il fatto che sulle porte siano scritti i nomi delle dodici tribù, dimostra che tutti i salvati di tutte le epoche, sono riconosciuti appartenenti ad una delle tribù, poiché tutti devono, per entrare nella città, passare da una delle dodici porte. Questo spiega perché, alcune volte, i cristiani sono chiamati Israele, o sono chiamati come le dodici tribù, come in Romani 2:28; 9:6-8; Galati 3:29; Efesini 2:12,13; Giacomo 1:1; Apocalisse 7:4:
VERSETTI 15-18: E colui che parlava meco aveva una misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e il suo muro. E la città era quadrangolare, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi; la sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza erano uguali. Ne misurò anche il muro, ed era di centoquaranta quattro cubiti, a misura d’uomo, cioè d’angelo. Il muro era costruito di diaspro e la città era d’oro puro, simile a vetro puro.
Le dimensioni della città: Secondo questa testimonianza, la città è costruita su di un quadrato perfetto, che ha la stessa lunghezza su ciascun lato. La lunghezza della città, come dichiara Giovanni, è di 12000 stadi; 12000 per 185 mt = 2220 Km. Questa è la lunghezza totale della città, il perimetro, non un solo lato. Secondo Kitto pare che anticamente fosse questo il metodo di misurare la città. Secondo questa regola, la Nuova Gerusalemme misura 555 Km per lato. Viene anche detto che la sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza sono uguali. Quest’ultima affermazione c’induce a chiederci se la città mostrata a Giovanni sia alta allo stesso modo che è lunga e larga. La parola tradotta con “uguale” è isos. Dalle dichiarazioni di Liddell e Scott, sappiamo che si può usare per esprimere un concetto di proporzionalità; in questo modo appare chiaro che la sua altezza è proporzionale alla larghezza e alla sua lunghezza. Greenfield, nel definire una delle sue parole composte isotes, le dà il significato di “uguale proporzione”, e fa riferimento a 2° Corinzi 8:13-14 come esempio di un passo in cui si può ammettere questa definizione. Questa convinzione è suffragata dalle dimensioni delle sue mura che hanno 144 cubiti d’altezza, circa 72 mt. Se la città fosse alta 555 Km, un muro di cinta di 72 mt. sarebbe insignificante. Perciò è probabile che gli edifici della città debbano essere proporzionali all’altezza delle mura, che peraltro è chiaramente definita.
Il muro è in diaspro, questa pietra preziosa è generalmente descritta come un “bel verde brillante” che a tratti presenta delle ombreggiature bianche e delle chiazze giallognole. Ci pare di capire che questo sia il materiale della struttura principale del muro, che è costruito su dodici fondamenti, come vedremo più avanti. E’ bene ricordare che questo muro di diaspro “è trasparente come cristallo” (verso 11), permette cioè di vedere tutte le glorie che vi sono all’interno.
VERSETTI 19-21: I fondamenti del muro della città erano adorni d’ogni maniera di pietre preziose. Il primo fondamento era di diaspro; il secondo di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo; il quinto di sardonico; il sesto di sardio; il settimo di crisolito; l’ottavo di berillo; il nono di topazio; il decimo di crisopazio; l’undicesimo di giacinto; il dodicesimo di ametista.
Una città letterale: Se consideriamo questa descrizione esclusivamente metaforica, come molti di quelli che pretendono d’insegnare la Bibbia, e gli diamo un significato spirituale, tanto da farne una città eterea e inesistente, come sono inutili allora tutte queste descrizioni! Ma se ammettiamo che il suo significato è quello che vuole essere, cioè naturale e ovvio, e consideriamo la città come il profeta voleva che la considerassimo, cioè come la dimora celeste letterale e concreta, nostra gloriosa eredità, di cui ammireremo le meraviglie con i nostri occhi, come ci appare reale questa splendida descrizione!
Anche se non spetta all’uomo mortale concepire la grandezza delle cose che Dio ha preparato per quelli che Lo amano, se si riconosce la realtà di ciò che ci è mostrato, allora potremo deliziarci contemplando le glorie della nostra dimora futura. Ci è di diletto spaziare e dilungarci descrivendo tutti quei particolari che ci danno un’idea della bellezza che caratterizzerà la nostra patria eterna. Quando ci lasciamo attrarre dalla contemplazione di una sicura e tangibile eredità, riprendiamo coraggio, la nostra speranza rivive, e la nostra fede mette le ali. Ripieni di gratitudine verso Dio, che ci permette d’accedere alla dimora dei redenti, si fortifica la nostra decisione di soffrire a causa del mondo, alfin d’essere annoverati fra coloro che parteciperanno alle gioie che ci sono state promesse.
Allora vediamo le pietre preziose che sono state usate per le fondamenta della città, per le cui porte di perle, passeranno presto i figli di Dio.
Anche se famosi esperti di gemme affermano che è difficile identificare le pietre preziose della Bibbia, la descrizione fatta da Moses Stuart, ci da un’idea abbastanza precisa della bellezza e della varietà dei colori presenti nelle fondamenta della città.
Le gloriose fondamenta: La parola “adornata” può far sorgere il dubbio se l’autore abbia voluto dire che nei diversi strati delle fondamenta sono state inserite alcune pietre preziose ornamentali: una qui, un paio la ecc. Ma dall’insieme della descrizione, l’ipotesi avanzata non ci sembra che sia quella giusta.
_Il diaspro, come abbiamo già visto, è una pietra verde e trasparente, con venature rosse. Ma vi sono anche altri tipi.
_Lo zaffiro è di un bel celeste risplendente e trasparente, quasi come il diamante.
_Il calcedonio pare sia una specie di agata, o per essere più precisi, di onice. L’onice degli antichi probabilmente era di un bianco azzurrino e trasparente.
_Lo smeraldo è di un verde intenso, e per durezza viene dopo il rubino.
_Il sardonico è una miscela di calcedonio e cornalina, ed è di colore rosso-cupo.
_Il sardio probabilmente è la cornalina, che a volte si presenta con un colore rosso-vivace.
_Il crisolito, come dice il suo nome, è giallognolo, tendente all’oro, trasparente. Da questa pietra ha origine forse il concetto dell’oro trasparente di cui è costituita la città.
_Il berillio è di colore verdemare.
_ topazio dei nostri giorni è giallo, ma pare che quello degli antichi fosse verde-pallido.
_Il crisopazio era di un giallo pallido e verdastro, come certe cipolle; attualmente lo si classifica come topazio.
_Il giacinto ha un colore rosso profondo, o violetto.
_L’ametista è una gemma molto dura e brillante di colore viola, che si trova solitamente in India.
Riconsiderando nuovamente queste classificazioni, notiamo che: le prime quattro sono di un verde azzurro; la quinta e la sesta sono rosse o scarlatte; la settima giallognola; l’ottava, la nona e la decima sono di colore verde chiaro con diverse tonalità; l’undicesima e la dodicesima sono di colore scarlatto o di un rosso acceso. Ci accorgiamo adesso che c’è una particolarità in quest’ordine: non è molto diverso dai colori dell’iride, quantunque sia più completa.
VERSETTO 21: E le dodici porte eran dodici perle, e ognuna delle porte era fatta d’una perla; e la piazza della città era d’oro puro simile a vetro trasparente.
Porte di perle: La bellissima città di Dio, costruita con i materiali più preziosi esistenti sulla terra, non poteva avere delle porte qualsiasi, e quindi ci sono descritte delle porte fatte di perla, anzi la Scrittura afferma che ogni porta è costituita da una singola perla. Messi in risalto dai riflessi iridescenti e dallo splendore dei colori che costituiscono le fondamenta, questi portoni si aprono per dare il benvenuto ai redenti nel loro focolare eterno.
Vie d’oro risplendente: In questo versetto, come nel 18°, è detto che la città è costituita d’oro, puro come cristallo lucente, cioè trasparente. Pensiamo per un momento che aspetto avrebbe una città che fosse pavimentata cosi. Gli splendidi palazzi che si levano sui due lati della strada, si rifletterebbero insieme con l’infinita magnificenza dei cieli, dando la sensazione a chi passeggiasse su quelle vie d’oro, di camminare tra altezze infinite e insondabili profondità, mentre le case ai due lati della strada, con i loro riflessi, moltiplicherebbero meravigliosamente i palazzi e le persone, dando all’insieme un aspetto mutevole, gradevole e affascinante, la cui grandiosità supera ogni immaginazione.
VERSETTO 22: E non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Iddio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.
Il tempio vivente: Ci è naturale associare al tempio il concetto di sacrificio, e l’opera di mediazione, ma quando la città sarà sulla nuova terra, tutto questo sarà finito per sempre. I sacrifici, le offerte, l’opera di mediazione apparterranno per sempre al passato. Non vi sarà più bisogno del simbolo esteriore di tale opera. Il tempio dell’antica Gerusalemme, però, oltre ad essere un luogo di culto e di sacrificio, era anche la sua gloria e il suo ornamento. Quasi per anticipare la domanda circa la gloria e l’ornamento della Nuova Gerusalemme, il profeta afferma che “Il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio”.
VERSETTI 23-27: E la città non ha bisogno di sole, né di luna, che risplendano in lei, perché la illumina la gloria di Dio, e l’Agnello è il suo luminare. E le nazioni cammineranno alla sua luce; e i re della terra vi porteranno la loro gloria. E le sue porte non saranno mai chiuse di giorno (la notte quivi non sarà più); e in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni. E niente d’immondo e nessuno che commetta abominazione o falsità, v’entreranno; ma quelli soltanto che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello.
In quel luogo non vi sarà notte: Probabilmente solo la città non avrà la notte. Sul resto della terra invece vi saranno le successioni del giorno e della notte, ma avranno uno splendore insuperabile. Parlando di quel tempo, il profeta ci informa che: “La luce della luna sarà come quella del sole, e la luce del sole sarà sette volte più intensa, come la luce di sette giorni assieme, nel giorno che l’Eterno fascerà la ferita del suo popolo, e guarirà la piaga da Lui fatta con le Sue percosse” (Isaia 30: 26). Ma se in quella situazione la luce della luna sarà come quella del sole, come si potrà chiamare “notte”? Dato che la luce del sole sarà sette volte più luminosa, la notte sarà come il nostro giorno, e il giorno sarà sette volte più luminoso, in questo modo vi sarà una notevole differenza, così come nel nostro tempo. Entrambi però saranno incredibilmente splendidi.
Il versetto 24 ci parla di nazioni e re. Le nazioni sono quelle dei salvati, e data la condizione in cui ci troveremo sulla nuova terra saremo tutti, in un certo senso, dei re. Avremo un regno e regneremo in perpetuo.
Ma da alcune parole del nostro Salvatore, come in Matteo 25: 21, ci sembra di capire che alcuni avranno, per così dire, l’incarico di governanti, e di questi si può dire che saranno i re delle nazioni dei salvati. Essi porteranno la loro gloria ed il loro onore alla città, quando “di novilunio in novilunio, e di sabato in sabato, andranno davanti a Dio per adorarLo” Isaia 66: 23.
Lettore, vuoi partecipare alle glorie eterne di questa città celeste? Allora fai in modo che il tuo nome rimanga scritto nel libro della vita dell’Agnello, perché solo coloro i cui nomi sono scritti in questo “elenco d’onore” celeste, potranno entrarvi.
VERSETTI 1-2: Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che procedeva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e d’ambo i lati del fiume stava l’albero della vita, che da dodici raccolti, e porta il suo frutto ogni mese, e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni.
L’angelo continua a mostrare a Giovanni le cose straordinarie della città di Dio. In mezzo alla piazza, o ampia via, della città si trova l’albero della vita.
L’ampia via: La parola che in lingua italiana è tradotta con piazza, è plateias, che in greco significa “via larga”. Anche se la parola è al singolare, ed è preceduta dall’articolo “la”, non bisogna credere che la città abbia una sola via, infatti, vi sono dodici porte e perciò devono esserci delle vie che conducono alle porte. Ma quella che è menzionata è la via più importante, la principale, il corso o il viale.
Il fiume della vita: L’albero della vita si trova in mezzo a questa via, ma a ciascun lato del fiume della vita. Anche il fiume che procede dal trono di Dio, si trova perciò in mezzo alla via. Il quadro che si offre alla nostra immaginazione è questo: Il glorioso trono di Dio è situato all’inizio dell’ampio viale; dal trono sgorga il fiume della vita che fluisce lungo il centro della via, e l’albero della vita che cresce su entrambe le sponde del fiume, forma un alto e magnifico arco su quella maestosa corrente, allungando su entrambi i lati del fiume, i suoi rami carichi di frutti e foglie vivificanti. Non sappiamo quanto sia ampia questa strada, ma intuiamo che una città che ha un perimetro di 2220 Km, non lesinerà lo spazio per il suo viale principale.
L’albero della vita: come può l’albero della vita essere un solo albero, e tuttavia stare su entrambe le sponde del fiume? È evidente che vi è un solo albero della vita. Dalla Genesi all’Apocalisse si parla solo di uno: l’albero della vita. Per stare su entrambi i lati del fiume, deve avere più di un tronco, e in questo caso per essere un solo albero si unirà nella parte superiore. Giovanni, rapito in visione dallo Spirito, ha avuto modo di guardare attentamente quest’oggetto meraviglioso, e ci assicura che stava su entrambi i lati del fiume. L’albero della vita fruttifica dodici volte l’anno, egli da quindi il suo frutto ogni mese. Questo particolare illumina la dichiarazione di Isaia 66: 23, che profetizza che “ogni carne verrà di sabato in sabato” per adorare l’Eterno degli eserciti. In greco la frase di Isaia è: katà mena kékaston, “ogni mese”. La Versione dei Settanta riporta: men ek menos, “di mese in mese”. I redenti, di mese in mese si recheranno alla santa città per mangiare il frutto dell’albero della vita. Le sue foglie sono per la salute delle nazioni; letteralmente il servizio delle nazioni. Non dobbiamo però credere che nella città entreranno persone afflitte da malattie e infermità, che hanno bisogno d’essere curate, perché allora saremmo portati a dubitare che vi saranno sempre persone in quelle condizioni, quando non c’è nessun motivo per pensare che l’utilizzo delle foglie sarà eterno come quello dei frutti, perché l’idea che nello stato d’immortalità vi siano ancora malattie e infermità contraddirebbe l’affermazione della Bibbia: “Nessun abitante dirà: io sono malato” (Isaia 33: 24).
VERSETTO 3: E non ci sarà alcuna cosa maledetta; e in essa sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servitori Gli ubbidiranno.
Quest’espressione vuole significare che ora si allude a Dio Onnipotente: il Padre e anche il Figlio. I segni della maledizione, i miasmi mortali e le scene spaventose di desolazione e di decadenza, non si vedranno mai più. Ogni brezza sarà soave, ogni scena gradevole e ogni suono musicale.
VERSETTO 4: Ed essi vedranno la Sua faccia e avranno in fronte il Suo nome.
Le parole: “vedranno la Sua faccia”, si riferiscono al Padre, perché è il Suo nome che avranno sulla fronte. Questo ce l’ha già detto Apocalisse 14:1. Sarà il compimento della promessa fatta in Matteo 5:8: “beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”.
VERSETTI 5-7: E non ci sarà più notte; ed essi non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché li illuminerà il Signore Iddio, ed essi regneranno nei secoli dei secoli.
Poi mi disse: Queste parole sono fedeli e veraci; ed il Signore, l’Iddio degli spiriti dei profeti, ha mandato il Suo angelo per mostrare ai suoi servitori le cose che debbono avvenire in breve. Ecco, io vengo tosto. Beato chi serba le parole della profezia di questo libro.
Ritroviamo l’affermazione che nella città non vi sarà più notte perché Dio stesso la illuminerà. Cristo stesso, per mezzo del Quale sono giunte a noi tutte queste testimonianze, ripete la promessa che per lunghi secoli è stata la speranza degli uomini: “Ecco, io vengo presto”. Osservare le parole della profezia di questo libro vuol dire obbedire agli ordini dati nella profezia, come, ad esempio, quelle di Apocalisse 14:9-12.
VERSETTI 8-12: E io, Giovanni, son quello che udii e vidi queste cose. E quando le ebbi udite e vedute, mi prostrai per adorare ai piedi dell’angelo che mi avea mostrate queste cose. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono tuo conservo e de’ tuoi fratelli, i profeti, e di quelli che serbano le parole di questo libro. Adora Dio.
Poi mi disse: Non suggellare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; chi è giusto pratichi ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora. Ecco, io vengo tosto, e il mio premio è meco per rendere a ciascuno secondo che sarà l’opera sua.
Per conoscere i commenti del versetto 9, si leggano quelli relativi ad Apocalisse 19:10.
A Giovanni è raccomandato di non sigillare le parole profetiche di questo libro. La teologia popolare della nostra epoca invece afferma che questo libro è sigillato. Delle due l’una: o Giovanni ha disobbedito alle istruzioni ricevute, oppure la teologia ha gli occhi chiusi da uno “spirito di torpore”. (Isaia 29:10-14).
Il verso 11 è la conferma che il tempo di grazia finirà prima del ritorno di Cristo, quando ogni caso sarà stato deciso per l’eternità; infatti nel verso successivo dice: “Ecco io vengo tosto”.
Quant’è presuntuosa la convinzione di quelli che affermano che dopo che Cristo sarà tornato vi sarà ancora un periodo di prova! Cristo al Suo ritorno avrà con se la ricompensa da dare a ciascuno secondo le opere che avremo compiuto. Questa è la prova conclusiva che dopo il Suo ritorno non vi sarà più nessun periodo di grazia. Tutti gli empi viventi, coloro che “non conobbero Dio”, i pagani e quelli che “non vollero obbedire all’Evangelo di nostro Signore Gesù Cristo” (2° Tessalonicesi 1:8), i peccatori, gli oppositori del Cristianesimo, saranno puniti e immediatamente distrutti da Colui che verrà come un fuoco divorante per vendicarsi dei suoi nemici.
La dichiarazione del verso 11, indica che il tempo di grazia finirà nel momento stesso in cui Cristo finirà la Sua opera di mediazione. Il tema del Santuario ci rivela che quest’opera si concluderà con l’esame degli uomini, che saranno in vita, nel tempo in cui si realizza il giudizio investigativo. Non appena sarà terminato, sarà emesso un decreto irrevocabile.
VERSETTI 13-14: Io sono l’Alfa e l’Omega. Il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città!
Cristo definisce Sé stesso l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo. È Lui che parla, anche nel versetto 14; i Comandamenti di cui parla sono quelli del Padre.
L’osservanza dei Comandamenti: Certo si riferisce ai dieci Comandamenti dati sul Sinai: Egli pronuncia una benedizione su coloro che li osservano. Così, nel capitolo finale della Parola di Dio, quasi alla fine della testimonianza lasciata al Suo popolo, il Testimone Fedele e Verace, pronuncia una solenne benedizione su coloro che osservano i Comandamenti di Dio. Tutti quelli che credono che la Legge sia stata abolita, meditino con cuore sincero la decisiva importanza di questa esortazione.
Alcune traduzioni, tra le quali la Versione Moderna, invece di dire: “Beati coloro che osservano i Suoi Comandamenti”, dicono: “Beati coloro che lavano le loro vesti”. Circa questa diversità, Alford fa questo commento: “La differenza nei testi è curiosa. Nell’originale vi è la stessa differenza che vi è tra: poiountes tas entolas autou, e plumontes tas stolas auton; frasi che si possono confondere facilmente l’una con l’altra”.
Dato che le lettere e le parole delle due frasi s’assomigliano in modo così sorprendente, non è poi così strano che vi sia questa differenza. In ogni caso sono tante le prove che la frase originale è la prima, mentre la seconda è una variante causata dai copisti. Il Nuovo Testamento in lingua Siriana, che è una delle prime traduzioni fatte dal testo originale, traduce la frase come il testo di Valera. Cipriano, i cui scritti sono più antichi di qualunque manoscritto greco oggi esistente, la riporta così: “Beati quelli che eseguono i Suoi Comandamenti. Possiamo quindi essere certi che l’espressione originale è questa.
VERSETTO 15: Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna.
Il cane, nella Bibbia, è simbolo di un individuo insolente e spudorato. Chi desidererebbe la compagnia di quelli che dovranno stare fuori dalla città di Dio? Quanti, saranno condannati come idolatri! Quanti, saranno condannati per essere stati annoverati fra coloro che mentivano, e quanti per avere amato la menzogna e per averla propagata!
VERSETTO 16: Io Gesù ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io son la radice e la progenie di Davide, la stella lucente e mattutina.
Gesù attesta queste cose in seno alle chiese, e questo è un’ulteriore dimostrazione che tutto il libro dell’Apocalisse è destinato alle sette chiese, dandoci così un’altra prova che esse rappresentano la chiesa nel suo insieme, attraverso tutta l’era Evangelica. Cristo è la progenie di Davide, perché apparve sulla terra come discendente dell’antico re d’Israele; ma è anche la radice di Davide, in quanto è il grande prototipo di Davide, Egli è il Creatore e il Sostentatore di tutte le cose.
VERSETTO 17: E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ode dica: Vieni. E a chi ha sete venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita.
L’invito a venire: Tutti sono invitati a venire. L’amore del Signore per l’umanità non si sente soddisfatto solo dall’aver preparato le benedizioni della vita eterna, dall’avere aperto il sentiero che conduce ad essa. Egli desidera che tutti accettino il Suo invito. Tutti possono venire; ecco perché rivolge ad ogni uomo un accorato appello al pentimento e alla conversione. Egli fa anche capire che gli invitati, accettando il Suo invito ad essere partecipi delle Sue infinite benedizioni, elargite dal Suo amore infinito, Gli faranno un favore. Quanto è misericordioso, grande e gratuito il Suo invito. Nessuno di coloro che alla fine si perderanno, avrà motivo di lamentarsi che i mezzi impiegati per la sua salvezza, siano stati insufficienti. Mai si potrà ragionevolmente obiettare che non sia stata concessa abbastanza luce per distinguere chiaramente il sentiero della salvezza e della vita. Mai potranno discolparsi affermando che gli inviti e le suppliche che la misericordia divina aveva inviato, affinché si convertissero e vivessero, non furono sufficienti e disponibili. Dio esercitò subito tutto il potere che Gli era possibile senza togliere all’uomo la libertà della sua coscienza morale, per attirarlo verso il cielo, togliendolo dall’abisso in cui era caduto. “Venite!”, è sempre stata questa la supplica dello Spirito Santo, che è proceduta dalle stesse labbra di Dio, dei profeti, e degli apostoli, e dalle labbra del Suo Figliolo anche mentre, con infinito amore, pagava la pena delle nostre trasgressioni.
L’ultimo messaggio di misericordia si sta proclamando ora, ultimo segno della longanimità divina. “Venite!” è il Suo invito. “Venite!”, perché è tutto pronto. L’ultima espressione che cadrà dalle labbra della Misericordia nelle orecchie del peccatore, prima che su di lui scoppino i tuoni della vendetta, sarà l’invito divino: “Venite!”. Tale è la grandezza dell’amore e della bontà di un Dio misericordioso verso l’uomo ribelle.
Non c’è dubbio, gli uomini non vogliono venire. Agiscono in modo indipendente e deliberato, e rifiutano di venire. Così, quando vedranno Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno di Dio, e saranno respinti, non potranno accusare nessuno, tranne se stessi. In quel giorno ne avranno la piena e amara consapevolezza, quando arriverà il tempo in cui la descrizione della condanna dei perduti, si compirà alla lettera.
Anche la sposa dice: Venite. Se la sposa è la città, come può essere che dica “venite”. Se avessimo forze sufficienti per contemplare la grandiosa magnificenza di quella città, e poi sopravvivere, e ci garantisse il diritto d’entrarvi e di gioire per sempre della sua gloria, non sarebbe allora come se ci dicesse “venite”, con irresistibile persuasione? Chi di noi, vedendola, potrebbe allontanarsene dicendo: “non desidero avervi eredità”?
Anche se non possiamo ammirare questa città, il fatto che sia stata promessa dalla Parola infallibile di Dio, basta per ispirarci una fede viva sincera e coinvolgente. Per mezzo di questa fede ci dice: “Venite se volete ereditare le dimore dove non entreranno mai infermità, dolore, sofferenza e morte; se volete avere accesso all’albero della vita, per prenderne il frutto immortale, mangiarlo e vivere; se volete bere dell’acqua del fiume della vita, che scorre dal trono di Dio, trasparente come cristallo”.
“Venite, se volete entrare trionfanti nella città, attraverso le sue porte risplendenti, che sono costituite da una singola perla; se volete camminare per le sue vie d’oro trasparente; se volete ammirare lo splendore delle pietre preziose delle sue fondamenta; se volete vedere il Re, in tutta la Sua magnificenza, sul Suo trono”. “Venite, se volete cantare l’inno di giubilo di milioni di redenti, e partecipare alla loro gioia”. “Venite, se volete unirvi alla sinfonia che i salvati suonano con le loro arpe melodiose, consapevoli che il vostro esilio è finito per sempre, e che questa è la vostra patria eterna”. “Venite, se volete ricevere le palme della vittoria, in altre parole se volete sentirvi per sempre liberi”. “Venite, se volete sostituire le rughe della vostra fronte affaticata con una corona piena di gioielli”. Venite, se volete assistere alla salvezza di miriadi di credenti, la gloriosa moltitudine che nessuno può contare. “Venite, se volete bere alla pura fonte della beatitudine celeste, se volete risplendere per sempre come le stelle nel firmamento della gloria, se volete essere partecipi dell’indicibile estasi che rapirà le coorti trionfanti quando vedranno davanti a sé interminabili secoli di gloria e di gioia, che si rinnoveranno per l’eternità”.
La sposa dice: “Vieni!”. Chi potrà resistere ad un simile invito? La parola della verità ci assicura che se osserveremo i Comandamenti di Dio e la fede di Gesù, avremo diritto all’albero della vita, ed entreremo per le porte nella città. Sentiremo di essere in casa di nostro Padre; nella dimora che ha preparato per noi, e comprenderemo tutta la verità racchiusa in queste parole incoraggianti: “Beati coloro che sono chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello” (Apocalisse 19:9).
“E chi ode dica: “Vieni, abbiamo sentito parlare della gloria, della bellezza e delle benedizioni di quella terra dilettevole, e diciamo: Vieni. Abbiamo sentito parlare del fiume e delle sue vie verdeggianti, dell’albero con le sue foglie guaritrici, delle infiorescenze che fioriscono nel Paradiso di Dio, e diciamo: Vieni. Vengano tutti quelli che lo vogliono, e prendano gratuitamente l’acqua della vita”.
VERSETTI 18-19: Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: Se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro; e se alcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Iddio gli torrà la sua parte dell’albero della vita e della santa città, delle cose scritte in questo libro.
Cosa significa aggiungere o togliere qualcosa dal libro di questa profezia? Si ricordi che l’oggetto della conservazione è il libro di questa profezia o l’Apocalisse. Per questo l’avvertimento relativo a togliere o aggiungere parole, si riferisce esclusivamente a questo libro. Questo avvertimento non può che riferirsi ai tentativi d’aggiungere delle cose e di farle considerare integrali. Togliere significa eliminare dal libro alcune parti. Così come il libro dell’Apocalisse non può essere definito un supplemento del libro di Daniele, così se Dio volesse tramite il Suo Spirito darci altre Rivelazioni, queste ultime non sarebbero un supplemento dell’Apocalisse, a meno che non le presentasse come parti di questo libro.
VERSETTI 20-21: Colui che attesta queste cose, dice: Si; vengo tosto! Amen! Vieni, Signor Gesù!
La grazia del Signor Gesù sia con tutti.
La Parola di Dio ci è stata data per istruirci in merito al piano della salvezza. Il Ritorno di Cristo è il momento culminante di questo piano. Perciò è veramente giusto che il libro termini con quest’annuncio: “Si, vengo tosto!”. A noi non ci resta che d’unirci con cuore fervente alla risposta dell’Apocalisse: “Amen, cosi sia. Vieni Signore Gesù.”
Si chiude cosi il libro ispirato. Si chiude con quella che è la più bella di tutte le promesse, e l’essenza dell’esperienza Cristiana: la seconda venuta di Cristo. Allora gli eletti saranno radunati, e daranno l’addio a tutte le sofferenze di questa vita mortale. Com’è preziosa per il credente questa promessa! Mentre vaga in esilio su questo mondo malvagio, separato da quei pochi che condividono la sua fede preziosa, egli desidera la compagnia dei giusti, la comunione dei santi. Le otterrà in quel momento, perché tutti i credenti saranno radunati, non da un solo paese, ma da ogni paese, e da ogni epoca. Sarà la grande moltitudine dei giusti, che in lunga e gloriosa processione salirà, accompagnata dagli angeli che cantano, al suo focolare; mentre sulle volte celesti riecheggia il gioioso concerto.
Un canto che sino ad allora l’Universo non ha mai udito; il canto dei redenti, che essi intonano per gioire reciprocamente della propria presenza, per l’eternità, mentre la Gloria di Dio, come un mare di luce immarcescibile, avvolge la moltitudine immortale.
Quest’assemblea non ha che espressioni di felicità. I santi non possono che desiderarla e pregare per essa. Come Giobbe invocano la presenza di Dio. Come Davide, non possono sentirsi soddisfatti, finche non si risveglino simili a Lui. In questa condizione mortale gemiamo, siamo gravati, non perché desideriamo “d’essere spogliati, ma rivestiti”. Non bramiamo altro che l’adozione, cioè la redenzione del corpo. I nostri occhi cercano le Sue visioni, i nostri orecchi sono attenti per sentire gli accordi della musica celeste, i nostri cuori palpitano al pensiero delle felicità infinite. Il nostro appetito s’acuisce pensando alla cena delle nozze. Invochiamo il Dio Vivente, e aneliamo di raggiungere la Sua presenza. Vieni Signor Gesù, vieni presto. Non ci sono notizie più desiderabili e confortanti dell’annuncio che il Signore ha ordinato ai Suoi angeli di radunare “i Suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli”.
Il luogo di riunione è attraente in ogni particolare.
Lì vi è Gesù, il più bello tra diecimila. Vi è il trono di Dio e dell’Agnello, di fronte alla cui Gloria, il sole scompare come scompaiono le stelle alla luce del giorno. Vi è la città fatta d’oro e di diaspro, il cui Architetto e Creatore è Dio. Vi è il fiume della vita, sulle cui onde risplende la Gloria di Dio, mentre scorre dal Suo trono di purezza e pace infinite. Vi è l’albero della vita, con le foglie che guariscono, e i suoi frutti vivificanti. Vi saranno Abramo, Isacco, Giacobbe, Noé, Giobbe e Daniele, i profeti, gli apostoli e i martiri, l’eccellenza della società celeste. Vi saranno visioni di una bellezza incomparabile: campi sempre verdi, fiori che non appassiscono, fiumi inesauribili, corone che non s’offuscano mai, arpe che non stonano, e tutte quelle cose che uno spirito purificato dall’influenza del peccato, ed elevato al livello d’immortalità, possa desiderare; si, vi saranno tutte queste cose.
La benedizione: Dobbiamo esserci. Dobbiamo rallegrarci nel misericordioso sorriso di Dio, col Quale siamo stati riconciliati, e non peccare più. Dobbiamo avere accesso a quella fonte inesauribile di vitalità: l’albero della vita, e non morire mai. Dobbiamo fare in modo di poter riposare all’ombra delle sue foglie, che sono per la guarigione delle nazioni, e non stancarci mai. Dobbiamo bere l’acqua della sorgente, e non avere più sete; dobbiamo bagnarci nella sua schiuma d’argento, per trovarvi refrigerio; dobbiamo passeggiare sulle sue sabbie d’oro, e non sentirci più come degli esiliati. Dobbiamo scambiare la croce con la corona, significa che i giorni della nostra umiliazione sono finiti. Dobbiamo deporre il bastone da pellegrino, e impugnare lo scettro del trionfo, significa che il nostro pellegrinare è finito. Dobbiamo deporre i vestiti della nostra guerra, e indossare le vesti bianche del nostro trionfo, e cioè che il conflitto è finito e noi abbiamo conseguito la vittoria. Dobbiamo cambiare gli abiti logori e polverosi del nostro pellegrinaggio con la gloriosa veste immortale, e sentire che il peccato e la maledizione non potranno più contaminarci.
Oh giorno di riposo, e trionfo di tutto ciò che è buono, non tardare ad albeggiare! Siano presto inviati gli angeli, per radunare gli eletti. Si compia la promessa che porta in sé queste beatitudini senza pari.
Così sia! Vieni Signore Gesù. AMEN
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