Progresso di Lettura:
Mille cadranno – Susi Hasel Mundy
La elettrizzante storia di un soldato e della sua famiglia che osarono professare la loro fede nella Germania di Hitler
Titolo originale: A Thousand Shall Fall, 2004.
Traduzione all’italiano: Gretzel F. Joffre D.
Impaginazione: Emanuele Bernava
Copertina: Gretzel F. Joffre D. MINISTERO EVENTI FINALI
In collaborazione con: Associazione Raw Truth Aps
Questa è la storia della mia famiglia durante la seconda guerra mondiale. Il resoconto è basato sui ricordi dei partecipanti, per iscritto e su nastro magnetico, i miei genitori registrarono gli eventi in modo meticoloso. I miei fratelli e le mie sorelle mi raccontarono i loro ricordi.
Devo dire, comunque, che mi sono presa alcune libertà nel raccontare la storia, in particolare per quanto riguarda la precisa sequenza degli eventi e chi può aver detto cosa a chi. Inoltre, a volte ho unito due o più persone in una sola quando l’ho ritenuto necessario per chiarire e semplificare gli eventi. Tuttavia, la mia intenzione è sempre stata quella di illuminare più chiaramente la verità.
La mia speranza è che questo libro sia un incoraggiamento per il popolo di Dio durante il tempo della fine.
-Nessuno, nessuno, può sconfiggerci!
A testa alta, il maestro guardava i volti solenni dei suoi alunni di terza elementare.
Era il 1939, e la maggior parte dei concittadini di Francoforte condividevano la fiducia dell’insegnante. Dopo tutto, la loro Patria e il loro Fuehrer (titolo dato a Hitler) non l’avevano dimostrato negli ultimi due decenni? Il duro lavoro tedesco, il controllo di qualità tedesco e la testardaggine tedesca li avevano sollevati da poveri distrutti dalla guerra alla nazione più energica d’Europa. Il futuro apparteneva al Reich “Regno, Impero” con riferimento alla Germania.
-Siamo il popolo più forte della terra-, disse alla sua classe-. E soprattutto, bambini, se qualcuno dovesse osare invadere il nostro spazio aereo, abbiamo i cannoni Flak.
Kurt Hasel, nove anni, si sedette più dritto. Strinse le labbra e prese un respiro dal naso.
-Questi cannoni si trovano in tutta la Germania-, disse l’insegnante-. Sono calibrati in modo così preciso che possono abbattere un aereo in volo. Ecco perché la Germania sarà vittoriosa!
Lo sguardo di Kurt vagò orgoglioso verso la finestra. Attraverso di essa poteva vedere il sole brillare sui robusti alberi verdi di Francoforte. Questa era la sua Germania, la sua Patria, il più grande paese del mondo.
-Mutti (mamma), -disse a sua madre quella sera-, non sarà meraviglioso vincere la guerra?
La madre le strinse le mani sulle sue spalle e lo girò verso di lei.
-Kurt. -Cosa? La sua voce era seria. -Voglio che tu ricordi una cosa. Lui cercò di allontanarsi, ma lei lo trattenne saldamente. -Kurt, se vinciamo la guerra, significa che abbiamo tolto agli
altri i loro paesi. -E quindi?
-Milioni di persone perderanno le loro case e le loro vite-. La mano di lei si sciolse dalle sue spalle, le sue braccia lo circondarono, e la sua voce parlò da appena sopra la sua testa scura-. I bambini saranno separati dai loro genitori e dai loro fratelli e sorelle. Potresti non rivedere mai più Gerd e Lotte-. Lei lo strinse e gli diede una piccola scossa-. La guerra è sbagliata, Kurt. Uccidere è sbagliato. Dio vuole che gli Hasel siano operatori di pace.
-Eppure-, disse Kurt ostinatamente con voce ovattata-, sarebbe eccitante vedere gli aerei colpiti in cielo.
Nel 1939 Franz, Helene Hasel e i loro vicini sapevano che Adolf Hitler si stava davvero preparando alla guerra. E come tutti gli altri, la piccola famiglia Avventista del Settimo Giorno si chiedeva cosa avrebbe riservato loro il futuro.
Presto l’avrebbero scoperto.
Un caldo Sabato dopo il culto, entrarono nell’ingresso del loro condominio di periferia.
Lotte, sei anni, si precipitò verso la cassetta della posta degli Hasel e guardò attraverso la fessura.
-Posta, papà-, disse.
Franz aprì la cassetta e tirò fuori un fascio di lettere. Sfogliandole, disse:
-Solo posta commerciale. Può aspettare fino a dopo il tramonto.
Helene riscaldò rapidamente il consueto pasto del Sabato, che consisteva in pane scuro e zuppa di lenticchie che aveva preparato il giorno prima.
-Per favore, possiamo andare al Paradiso degli Uccelli? -Kurt implorò-. È così bello oggi.
Lotte e Gerhard (Gerd) di quattro anni, intervennero. -Per favore? Per favore, papà! Franz diede un’occhiata ansiosa a una pila di libri sulla sua scrivania. Gli piaceva studiare la Bibbia e gli scritti di Ellen White e non vedeva l’ora di passare un tranquillo pomeriggio a casa. Sospirò e annuì.
La passeggiata li portò presto lontano dalla civiltà e nell’ampia distesa di campi aperti che si estendeva dietro il loro grande complesso di appartamenti. I bambini si dilettavano a camminare sugli stretti sentieri attraverso i campi in maturazione. Fiordalisi blu cielo e papaveri scarlatti facevano capolino tra i fusti di grano ancora verde, che erano più alti delle loro teste.
-Facciamo finta di essere i figli di Israele-, disse Kurt-. Stiamo camminando nel mare. Quei fiori sono i pesci.
Alla fine, la famiglia raggiunse un terrapieno ferroviario. Attraversando con cautela la stretta passerella che la attraversava, ascoltarono il debole ronzio delle rotaie. Dall’altra parte si riposarono sull’erba calda.
-Un treno! -Lotte chiamò.
Mentre i vagoni passeggeri rombavano e si facevano strada lungo i binari sottostanti, il piccolo Gerd si aggrappava alla gonna della mamma mentre Kurt e Lotte salutavano il macchinista e i passeggeri sorridenti. Questa volta il simpatico macchinista suonò persino il fischio del treno per loro. Era un giorno memorabile, che i bambini avrebbero ricordato come l’ultimo giorno di felicità serena per molti anni.
Quando il treno scomparve, la famiglia vagò lungo un sentiero sabbioso che seguiva i binari fino a raggiungere il luogo che chiamarono il Paradiso degli Uccelli. Era come un giardino segreto circondato da una fitta e alta siepe. Non c’era un cancello, e nessun occhio poteva penetrare il boschetto verde. Ma i più melodiosi canti di uccelli fluttuavano da quel luogo misterioso.
Helene e Franz si sedettero all’ombra della siepe e discussero tranquillamente del minaccioso clima politico. Lotte si mise a raccogliere fiori selvatici, mentre Kurt e Gerd raccoglievano bei sassolini e gusci di lumaca. Quando una fresca brezza serale iniziò a soffiare, si incamminarono verso casa.
Dopo la cena e l’adorazione al tramonto, Franz prese la pila di posta.
-Bene, vediamo chi ci manda le lettere-, disse. Le distribuì sul tavolo della cucina in pile.
Improvvisamente si fermò, scrutando attentamente una busta dall’aspetto ufficiale.
-Helene. Non può essere. Ma penso…
Tagliò un’estremità della busta e ne estrasse un rigido pezzo di carta piegato. Helene guardò oltre la sua spalla.
-È impossibile-, disse lei-. Tu hai 40 anni. Deve esserci un errore.
La voce di Franz, di solito così sicura, ora suonava stordita e densa.
-Invece è così. È una lettera della commissione di leva. Sono stato convocato al centro di reclutamento dell’esercito a Francoforte lunedì alle 8 del mattino.
-Questo lunedì? -Questo lunedì. Tra due giorni. Helene e Franz si fissarono. -Pensavo di essere troppo vecchio. Invece sembra che io sia uno dei primi ad essere chiamato. Radunò i bambini in salotto e disse loro di sedersi. Poi spiegò che era stato chiamato a fare il soldato. Lotte si mise a piangere. -I soldati vengono uccisi in guerra-, singhiozzò-. Tu morirai? Franz aprì la bocca per rispondere, ma prima che avesse la possibilità di dire qualcosa, Kurt disse sprezzante: -Non essere sciocca, Lotte. La Germania è il paese più forte del mondo. Saranno gli altri soldati a morire, non i nostri. -Papà non morirà? -Chiese Lotte speranzosa.
-Certo che no-, rispose Kurt-. Abbiamo armi potenti che nessuno può sconfiggere. E abbiamo l’artiglieria antiaerea Flak che può sparare agli aerei al cielo se ci attaccano. Vinceremo la guerra, e papà sarà un eroe, e la Germania dominerà il mondo intero.
Il volto di Franz divenne bianco. Devoto Avventista del Settimo Giorno, era fermamente pacifista. Non aveva sospettato quanto pienamente il suo primogenito, a 9 anni, si fosse bevuto l’obiettivo di Hitler di fare della Germania il centro di una superpotenza millenaria, il “Terzo Reich” in espansione.
-Kurt, bambini. Ascoltatemi.
Gerd salì sulle ginocchia di papà e cominciò a succhiarsi il pollice. Franz cercò di spiegare perché la guerra era sbagliata e che Hitler era un uomo cattivo che non amava Dio. Kurt ascoltava, ma la sporgenza della sua piccola mascella mostrava che pensava ancora che essere un soldato sarebbe stata una bella avventura.
Lunedì al centro di reclutamento Franz superò l’esame fisico. Poi compilò un lungo foglio informativo e lo consegnò all’ufficiale responsabile.
-Signore-, disse educatamente-, sono un cristiano Avventista del Settimo Giorno e un obiettore di coscienza. Vorrei servire come assistente medico.
L’ufficiale lo squadrò dalla testa ai piedi.
-Avventista del Settimo Giorno -ripeté-. Non ne ho mai sentito parlare.
Chiamò un collega dall’altra parte della stanza. -Ehi, Hans. Sai qualcosa sugli Avventisti del Settimo Giorno? -Sono come gli ebrei-, urlò Hans-. Osservano il Sabato. L’ufficiale lanciò a Franz uno sguardo malevolo. -Allora -disse infine-, cosa faresti se ti prendessi cura di un soldato ferito e il nemico lanciasse un attacco? -Mi stenderei sopra l’uomo e gli farei da scudo con il mio corpo, signore. -Davvero! -L’ufficiale roteò gli occhi, poi disse dispettosamente:
-Beh, non c’è posto per i codardi nell’esercito tedesco. Sfogliò alcune carte, poi scrisse la nomina di Franz sul modulo di assunzione. Franz era stato assegnato a servire come soldato semplice nella Compagnia degli Zappatori Parco 699. Franz deglutì. Conosceva bene gli Zappatori: all’età di 18 anni aveva servito con loro nella prima guerra mondiale. Gli Zappatori erano l’unità di ingegneria che preparavano la strada all’esercito che li seguiva. Sapeva anche che alla prestigiosa Compagnia 699 era stato assegnato il compito di costruire ponti ovunque Hitler avesse pianificato la sua prossima avanzata.
“Questo significa”-, pensò Franz-, “che i soldati della 699 saranno sempre tra i primi tedeschi in territorio nemico”. Senza dubbio, l’ufficiale lo aveva messo in prima linea perché odiava gli uomini che non sostenevano lo sforzo bellico di Hitler.
-Non stare lì impalato, soldato -scattò l’ufficiale-. Vada avanti. Abbiamo altre persone da registrare.
Franz si recò alla caserma dell’abbigliamento, dove gli fu consegnata l’uniforme completa grigio-verde dell’esercito tedesco. Ricevette un paio di pantaloni e una casacca da combattimento con quattro tasche applicate, trecce dorate sul colletto e l’emblema dell’aquila nazista che stringe la svastica cucito sopra il taschino destro. Ricevette anche una larga cintura di pelle nera, alla quale poteva appendere la sua borsa del pane con le provviste. Gli furono dati un paio di scarpe, un paio di stivali alti, un basco, un casco d’acciaio, biancheria e calzini.
Gli fu detto di presentarsi in servizio il mercoledì mattina.
Tornato a casa, i bambini esplorarono l’uniforme. A Lotte piaceva portare la sua bambola nella borsa del pane. I vari scomparti erano giusti per un biberon di riserva e per i pannolini.
Gerd si mise il basco con il punto rosso colorato davanti, circondato da un anello bianco e nero.
Kurt armò il dito e lo puntò verso Gerd-. Bang! Ti ho colpito dritto in fronte. Sei morto!
Gerd si mise prontamente a piangere.
Ma il preferito di Kurt era l’elmetto d’acciaio. Gli piaceva l’odore della nuova fettuccia di pelle che ne foderava la corona. Imbottendolo con carta di giornale per evitare che gli scivolasse sugli occhi, sfilava orgogliosamente per la casa proclamando che nessuno poteva fargli del male.
Nei due giorni successivi Franz aveva molto da fare. Per anni era stato colportore e segretario editoriale in Austria e Germania. Così ora contattò la casa editrice di Amburgo e il presidente della Conferenza per informarli che era stato arruolato. Lavorando metodicamente, finì i rapporti e rispose alle lettere in modo che quando sarebbe partito, il suo lavoro sarebbe stato tutto in ordine.
Il mercoledì mattina Franz indossò l’uniforme, poi riunì la famiglia. Lotte lo guardò con stupore e sussurrò:
-Oh, papà, sei così bello!
Kurt studiò la fibbia della cintura: l’aquila nazista circondata dalle parole Gott mit Uns, che significa “Dio con noi”.
-Papà-, disse pensieroso-, se Hitler vuole che Dio sia con noi, non può essere così cattivo.
-Kurt-, disse Franz con intensità-. Hitler è un uomo malvagio. Non fidarti mai di quello che dice. Resta fedele a Dio e solo a Dio! Ma ora vieni, facciamo il culto prima che io debba andarmene.
Franz lesse dai Salmi 91 “Tu non temerai lo spavento notturno, né la freccia che vola di giorno, né la peste che vaga nelle tenebre, né lo sterminio che imperversa a mezzodì. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma a te non si accosterà… Poiché egli comanderà ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie…“.
Poi la famiglia cantò il loro inno preferito, “Forte rocca è il nostro Dio”. Poi si inginocchiarono in cerchio tenendosi per mano mentre Franz pregava.
“Padre nostro“, disse, “sono stato arruolato come soldato. Tu sai che non mi interessa la guerra e il combattimento. Tu sai che non ho trovato alcuna gioia nella battaglia e neanche nella Grande Guerra, anche quando non ero ancora cristiano. Molto meno ora. Ti prego, sii con noi, Padre, mentre le nostre strade si separano. Aiutami ad essere fedele alla mia fede persino nell’esercito. Aiutami affinché non debba uccidere nessuno. Per favore riportami sano e salvo e proteggi la mia famiglia qua a casa da tutti i pericoli della guerra. Amen”.
Si stava facendo tardi. Si salutarono rapidamente e Franz se ne andò, desiderando nel suo cuore che un giorno sarebbero stati di nuovo tutti insieme.
Un’atmosfera quasi di carnevale regnava nella stazione centrale di Francoforte. Duecento soldati in eleganti uniformi nuove erano inviati al campo di addestramento a Nierstein, sulle rive del fiume Reno. Ben rasati, con un nuovo taglio di capelli, ostentavano le loro uniformi, sembravano forti e sicuri di sé.
Mogli e fidanzate abbracciavano i loro uomini. Alcuni piangevano, ma la maggior parte era in vena di feste, sventolando svastiche rosso sangue e spargendo coriandoli di carta. Un gruppo al centro della folla beveva champagne e cantava canzoni di vittoria.
I soldati tenevano goffamente in mano mazzi di fiori e scatole di cioccolatini incartati in modo fantasioso, regalati dalle donne. Una giovane donna che Franz non aveva mai visto prima lo baciò su entrambe le guance e gli augurò buona fortuna. Finalmente il treno uscì dalla stazione al rombo fragoroso del grido di battaglia dei tedeschi: “Ein Volk, ein Reich, ein Führer! Sieg Heil! Sieg Heil!” (Un popolo, un impero, un leader! Evviva! Evviva!).
Uno shock sommesso attraversò Franz. Il potere demoniaco di suggestione di Hitler ha catturato le masse-, pensò-. Sono convinti che la guerra sarà finita entro Natale, e che la Germania governerà presto un mondo migliore.
Mentre il treno si allontanava dalla stazione, iniziò a chiacchierare con alcuni degli altri. Andava particolarmente d’accordo con un certo Karl Hoffmann, e i due uomini iniziarono un’amicizia.
Tre ore dopo arrivarono a Nierstein, dove le nuove reclute si sistemarono nei loro alloggi mentre il resto del loro battaglione arrivava, 1.200 uomini in tutto. La Compagnia degli Zappatori Parco 699 per la costruzione di ponti era una delle truppe d’elite di Hitler che prendeva ordini direttamente dal quartier generale di Berlino. Molti degli uomini erano abili artigiani e meccanici.
Venerdì Franz cercò l’Hauptmann (capitano) della sua unità, un uomo di nome Brandt. Lo trovò in una stanza mentre parlava con il suo contabile e un impiegato. Aveva un’espressione piacevole sul viso.
-Herr Hauptmann -disse Franz-, posso avere il permesso di presentare due richieste?
-Parla, amico. Quali sono?
-Come lei sa, signore, io sono un Avventista del Settimo Giorno. Adoro Dio il Sabato come la Bibbia ci insegna a fare. Vorrei essere esonerato dal presentarmi in servizio nel mio giorno di riposo. Inoltre, non mangio maiale o qualsiasi altra cosa che provenga dal maiale. Chiedo rispettosamente il permesso di ricevere un cibo diverso ogni volta che verranno serviti prodotti di maiale.
Colto di sorpresa, l’Hauptmann non sapeva come rispondere. Dietro di lui, il contabile e l’impiegato si guardarono, alzarono gli occhi al soffitto e si batterono la fronte.
Alla fine, l’Hauptmann Brandt alzò le spalle. -Se può risolvere i dettagli con il tenente, sono d’accordo.
Franz cercò il tenente Peter Gutschalk, un uomo scontroso che si era già guadagnato il soprannome di “Seltenfroehlich” (raramente felice).
Salutando elegantemente, Franz ripeté le sue richieste. La faccia di Gutschalk diventò rossa come la barbabietola. -Deve essere pazzo, soldato!-, urlò-. Questo è l’esercito tedesco!
Questo battaglione sta andando in guerra, e lei vuole il Sabato libero?
Sottovoce sputò-: E’ solo la mia sfortuna di essere capitato con un pazzo religioso!
-Voglio solo il permesso-, disse Franz con mitezza-, di scambiare il lavoro con altri soldati in modo che il mio giorno libero cada di Sabato.
Respirando come un pesce rosso, il tenente ruggì: -Sparisci dalla mia vista! Franz cominciò a indietreggiare. -Faccia quello che vuole-, continuò l’ufficiale-. Ma lasci che le
dica questo, Hasel. Una volta iniziata l’avanzata, la guerra non si fermerà solo perché lei possa osservare il suo Sabbath! Inoltre, se lo vedo sottrarsi al suo dovere in qualsiasi modo, farò personalmente in modo che lei viva per pentirsene! Si ricordi, la terrò d’occhio!
Quando Franz tornò alla caserma, chiese agli uomini se volevano scambiare il turno di domenica con lui. Il suo nuovo amico, Karl Hoffman, accettò immediatamente, e ci furono anche altri partecipanti.
Le domeniche erano previste animazioni e balli speciali, e dato che le ragazze del posto ammiravano gli uomini in uniforme, chissà quali storie d’amore potevano nascere?
Incoraggiato dal suo successo, Franz si diresse verso la cucina. Lì spiegò i suoi principi dietetici al capo cuoco e chiese se poteva avere un prodotto diverso ogni volta che venisse servita la carne di maiale.
Il cuoco mise le mani sui fianchi e guardò Franz dall’alto in basso.
-Soldato Hasel-, disse teso, con un rossore simile a quello del tenente Gutschalk che cominciava a salire sul collo sopra il colletto-, lasci che la istruisca sulla nostra dieta. A colazione serviamo pane, marmellata e caffè. A pranzo serviamo stufato. Per cena serviamo pane e salsiccia o altra carne, e a volte formaggio. Inoltre, quattro volte alla settimana lei riceverà due once (60 grami circa) di burro alla sera, e tre volte alla settimana due once di lardo.
Mentre parlava, il cuoco diventava sempre più infuriato.
-Sa, Hasel, lei ha davvero una bella faccia tosta! Questo è l’esercito, non una cucina gourmet che soddisfa desideri speciali.
Batté le nocche su una pentola gigante, che emise un suono rimbombante.
-Vede questo? Ho una sola pentola. Tutto il cibo viene cucinato lì dentro. Lei mangerà quello che mangiano tutti o, per quanto mi riguarda, puoi morire di fame! Maiale, davvero! -Fissò attentamente il volto di Franz.
-Credo che lei sia un ebreo sotto mentite spoglie. Aspetti e la scopriremo!
Più tardi, mentre Franz faceva la fila per la cena, il cuoco gettò insolentemente nel piatto una porzione extra large di salsiccia.
Franz fissò la carne ricca e grassa. Doveva mangiare ciò che il Signore aveva proibito o doveva mangiare solo il pane e morire di fame? Più tardi, tornato in caserma, si rivolse al libro biblico di Daniele e rilesse la storia dei tre giovani fedeli che decisero di non toccare il cibo del re.
Allora si impegnò ad essere fedele alle direttive alimentari del Signore.
Ma aveva bisogno di nutrirsi, quindi bisognava fare qualcosa.
A quel tempo Franz, insieme ad altri 30 soldati, era alloggiato in una casa situata di fronte a un negozio di latticini. Il lunedì mattina fece visita alla proprietaria.
-Sarò di stanza qui per un po’ di tempo e vorrei instaurare un sistema di baratto con lei-, disse-. Sarebbe interessata a scambiare prodotti lattiero-caseari con carne di maiale?
-Certo-, rispose la donna, felice di avere accesso ad alcune delle prelibatezze del Zappatore. Barattarono un po’ e alla fine lei disse-: Ti darò un litro di latte al giorno e un quarto di libbra di burro ogni tre giorni in cambio delle tue porzioni di maiale, lardo e salsiccia.
Ogni mattina Franz rompeva il suo pane militare grossolano in piccoli pezzi, li metteva nella sua ciotola, inzuppava tutto con latte fresco e lo mangiava con un cucchiaio. Gli altri soldati cominciarono ad essere gelosi della sua fornitura apparentemente illimitata di latte e burro.
-Ehi, “Mangiacarote”-, dissero-. Sembra che stai volando troppo alto, vero?
Franz sorrise bonariamente.
-Voi continuate pure a mangiare i vostri maiali. Io preferisco questo.
-Va tutto bene-, risposero-, ma cosa farai quando arriveremo al fronte e non potremo più barattare?
-Non me ne preoccupo. Dio si prenderà cura di me.
E infatti la compagnia era in duro addestramento per l’azione in prima linea. Oltre a seguire l’istruzione di base dell’esercito, gli zappatori costruirono diversi ponti sul fiume Reno. Era un lavoro duro e spaccaschiena. A mezzogiorno, la cucina da campo portava il cibo al cantiere. Quando Franz guardò nella pentola e vide del maiale, non prese alcun cibo.
Portava sempre con sé pane e formaggio extra e mangiava quello al loro posto.
Una volta un soldato di un’altra compagnia lo notò. -Ehi-, disse-, ho notato che non mangi carne. C’è una ragione? Franz spiegò le sue convinzioni. -Beh, nella nostra compagnia c’è un ragazzo che non mangia
neanche lui il maiale. -Davvero? Dove si trova? Come si chiama?. -Michel. Non ricordo il suo cognome. -Non sarà Michel Schroedel? -Si, è il suo nome!- Il soldato indicò-. Lavora in quell’edificio
laggiù. Franz corse verso l’edificio e salì i gradini. All’interno ritrovò il suo vecchio amico, Michel Schroedel, il direttore della tipografia del seminario Avventista di Marienhoehe. I due uomini si conoscevano da 15 anni. Durante le quattro settimane prima che le loro compagnie si separassero, Franz e Michel adoravano insieme e si incoraggiavano a vicenda ogni Sabato.
Così, per il momento, due problemi erano stati risolti: l’osservanza del Sabato e la dieta. Ne rimaneva ancora un altro però. Franz era diventato Avventista a 20 anni e da allora aveva preso l’abitudine di leggere la Bibbia per intero una volta all’anno. Anche se sapeva che non sarebbe stato facile, decise di continuare questa pratica nell’esercito. Ogni mattina e sera si sedeva sulla sua branda leggendo la Bibbia e pregando.
I soldati facevano di tutto per disturbare le sue devozioni raccontando barzellette seguite da risate fragorose, o lanciandogli scarpe e cuscini. Ben presto si guadagnò il soprannome di “Lettore Biblico” e di “Mangiacarote“.
Di tutti gli uomini, il tenente Gutschalk era il più spietato nel ridicolizzarlo. Non perdeva occasione per umiliare Franz davanti ai suoi compagni. Franz capì che se voleva mantenere il rispetto degli uomini, avrebbe dovuto riuscire a cambiare l’atteggiamento dell’ufficiale. Così cominciò a formulare un piano.
Una mattina, mentre si riunivano per l’appello, il tenente chiese:
-Allora, Hasel, hai già fatto il tuo culto? Franz lo salutò elegantemente. -Sì, signore. -Come puoi credere a queste favole nei nostri tempi illuminati? Devi essere rammollito nella testa! -È interessante, tenente, ma ho appena letto di persone come lei nella Seconda lettera di Pietro capitolo 3, versetto 3-. Franz tirò fuori la sua Bibbia tascabile, la aprì e lesse:
-”Sappiate questo, prima di tutto: che negli ultimi giorni verranno schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo i propri desideri peccaminosi”.
-Questo versetto-, disse Franz-, è stato scritto più di 1900 anni fa. Grazie, signore, per aver confermato che la Bibbia è vera e per aver rafforzato la mia fede.
Durante la cena, alcuni giorni dopo, il tenente Gutschalk stava camminando sul lato opposto della sala pranzo.
-Ebbene, signor Sant’uomo-, chiamò attraverso le teste dei soldati-, hai letto qualcosa di utile nella tua Bibbia oggi?
-Sì, signore-, gridò Franz-, infatti ho letto su di lei. -Su di me? Franz uscì la sua piccola Bibbia. -Ascoltate Ecclesiaste 12:13-14, “Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi DIO e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo”, anche del tenente Gutschalk.
I soldati fischiarono e applaudirono mentre Gutschalk si ritirava in fretta. Non chiese mai più delle devozioni di Franz. Ma rimase il nemico di Franz e continuò a cercare occasioni per metterlo nei guai.
Alla fine di settembre gli Zappatori ricevettero l’ordine di costruire un ponte di pontoni sul fiume Reno a Oppenheim. Era la loro prima opportunità di mettere all’opera il loro addestramento. Loro presero possesso di un certo numero di chiatte sul fiume, rimborsando i proprietari. Le chiatte furono ancorate insieme e il ponte fu costruito su di esse. Fu un enorme successo. In onore del loro Hauptmann, il ponte fu chiamato “Brandtbruecke” (Ponte di Brandt).
Quando fu finito, ci fu una grande festa. Le bandiere ondeggiavano al vento, la banda dell’esercito suonava e l’Hauptmann Brandt fece un discorso entusiasmante sugli alti ideali tedeschi, che presto sarebbero stati lo standard per il mondo intero. Le rive del fiume Reno risuonavano degli urli della folla “Ein Volk, ein Reich, ein Führer! Sieg Heil! Sieg Heil!”
Poi soldati e cittadini attraversarono il Reno sul nuovo ponte, le cui assi di legno odoravano di pino e trasudavano ancora resina. Su ogni estremità del ponte, troneggiava un’aquila tedesca che stringeva una svastica. Questo ponte sopravvisse a tutta la guerra, e fu usato nell’autunno del 1944 durante la prima invasione americana contro la Germania.
Mentre il campo di addestramento continuava, divenne presto evidente che Franz era particolarmente bravo nel tiro a segno e colpiva il segno la maggior parte delle volte. Presto conquistò l’ammirazione degli altri e divenne noto come il miglior tiratore a segno della compagnia.
Un giorno, al poligono, il suo amico Karl Hoffman gli chiese: -Franz, qual è il segreto della tua buona mira? Franz alzò le spalle. -Non so se faccio qualcosa di veramente speciale. Guardo semplicemente il bersaglio attraverso il mirino, poi punto il fucile un po’ più in basso e premo il grilletto.
-Metterò in pratica il tuo trucco. Probabilmente un giorno mi salverà la vita.
In un certo senso, naturalmente, quello che Karl diceva era vero. Ma la conversazione spaventò Franz. Quando era da solo, si chiedeva spesso cosa avrebbe fatto se un nemico lo avesse attaccato. Avrebbe istintivamente preso la pistola e ucciso per proteggersi? Ricordava la sua promessa a Dio di non togliere la vita a nessuna persona, ma a questo punto non si fidava di se stesso se messo alla prova.
La Compagnia degli Zappatori Parco 699 celebrò il suo primo Natale nell’esercito con una cerimonia a lume di candela nella maestosa vecchia cattedrale di Oppenheim, lungo il fiume Reno. I soldati erano delusi dal fatto che la guerra non fosse ancora finita, ma l’entusiasmante discorso alla radio della vigilia di Natale di Hitler ripristinò la loro fiducia. Ancora una volta la sua personalità ipnotica influenzò le masse: “Tutto va bene… il Terzo Reich sarà presto stabilito… La Germania regnerà suprema per mille anni”.
Una grande festa era stata organizzata per la tarda serata. Franz chiese se poteva rimanere nel suo alloggio. Non fu possibile, la partecipazione era obbligatoria. Quando raggiunse la sala delle riunioni, il tenente Gutschalk era alla porta.
-Hasel, cosa stai portando lì?
-Come lei sa, tenente, non bevo alcolici. Ho qui una bottiglia di succo d’uva per avere qualcosa da bere.
-Entra, allora-, grugnì il tenente lasciando passare Franz.
All’interno della sala, lunghi tavoli a cavalletto erano coperti da lenzuola bianche e decorati con rami di abete fresco e candele. La fragranza dei sempreverdi si mescolava con l’odore speziato dei dolci natalizi marroni disposti dinanzi il posto a sedere di ogni soldato.
I festeggiamenti iniziarono con il canto di alcuni dei vecchi canti natalizi tedeschi: “Es ist ein Ros’ entsprungen”, “O Tannenbaum” e naturalmente “Stille Nacht”.
Ma presto la birra e il brandy fecero effetto, e l’umore si alleggerì. Uno dei soldati aveva composto una poesia sulle caratteristiche degli uomini della compagnia. Franz aspettava con curiosità di sapere cosa sarebbe stato detto di lui. Finalmente arrivò:
“Hasel legge volentieri la sua Bibbia, pieno di zelo come abbiamo visto tutti.
Mangia verdure fresche e patate bollite, cetrioli e carote crude.
E predica a tutta la gente la buona parola sulla temperanza, Non mangia carne, non fuma, non beve: è così che dovrebbe essere un cristiano”.
Seppe allora che, nonostante le loro prese in giro, lo avevano accettato.
Dopo due ore, Franz era l’unico uomo sobrio di tutta la compagnia. Mentre la festa diventava più rumorosa e le battute più grossolane, lasciò la sala e passò il resto della serata nel suo alloggio a leggere la sua Bibbia.
Il giorno dopo, mentre eseguiva un ordine, incontrò il Maggiore e l’Hauptmann. Salutando elegantemente, cercò di passare, ma loro lo fermarono.
-Hasel -disse il Maggiore-, abbiamo notato che lei è rimasto sobrio ieri sera. Vogliamo che sappia che apprezziamo molto questo.
Qualche giorno dopo, Franz fu promosso a soldato di Prima Classe. Con grande sorpresa, ricevette anche una medaglia, la “Kriegsverdienstkreuz 2. Klasse mit Schwertern”, la Croce al Merito di Guerra di Seconda Classe con Spade. Curiosamente fissò la scatola foderata di raso. In essa brillava la Croce di Malta con la svastica al centro e due spade incrociate diagonalmente, il tutto appeso alla barra del nastro con le sue strisce rosse, bianche e nere e un altro paio di spade incrociate.
Non aveva idea di cosa avesse fatto per guadagnarsi questo onore. In un esercito saturo di alcol, la sobrietà da sola non avrebbe meritato questo premio.
Insieme alla promozione arrivò un nuovo e inaspettato beneficio. Franz fu sollevato da tutti i lavori all’aperto e fu nominato guardia notturna nell’ufficio della compagnia. Una notte si incuriosì di nuovo della sua medaglia e decise di controllare il suo fascicolo.
La trovò in uno schedario, si rivolse alla documentazione sulla medaglia e scoprì il perché aveva ricevuto l’encomio “Per la buona influenza morale sugli uomini dell’intera compagnia”. Ripensò alle molte volte che aveva detto: “Camerati, smettetela con i vostri discorsi immorali e le vostre battute sporche. Non prendete alla leggera il sesso; il sesso è qualcosa di sacro. Ricordatevi delle vostre mogli e figlie a casa. Come si sentirebbero se sentissero i vostri discorsi osceni?”. Franz aveva pensato che le sue ammonizioni fossero state dette al vento. Ora si rendeva conto di essere stato ascoltato e apprezzato.
A quel punto, gli uomini della Compagnia 699 del Parco degli Zappatori erano diventati un gruppo coeso e si erano abituati a una confortevole routine. Ma non sarebbe durata a lungo.
A Francoforte, le cose peggiorarono per Helene e i bambini. Il cibo e i vestiti di cui avevano bisogno erano strettamente razionati e potevano essere comprati solo se Helene consegnava le apposite tessere annonarie. Tutti ricevevano una patata e due fette di pane al giorno, e i bambini una pinta di latte. Più tardi, a Natale, ricevettero un’arancia, e a Pasqua tutti avevano diritto a un uovo. Ogni sei mesi veniva fornito un barattolo di prosciutto, e ogni primavera ogni bambino riceveva un paio di scarpe.
Tuttavia, il morale rimase alto. Hitler aveva iniziato a invadere i paesi vicini senza molta opposizione, e i tedeschi speravano ottimisticamente che la guerra sarebbe presto finita.
Kurt e Lotte frequentavano entrambi la scuola “Ludwig Richter”. Kurt amava la scuola, soprattutto perché era lì che sentiva ogni giorno notizie entusiasmanti sui progressi di Hitler. Il suo insegnante raccontava della flotta tedesca di sottomarini e navi da guerra, degli aerei, delle bombe, dei carri armati e di una nuova meravigliosa “arma segreta” che Hitler stava sviluppando.
Helene, tuttavia, dovette presto affrontare minacce alle sue convinzioni che erano molto più serie del lavaggio del cervello che Lotte e Kurt ricevevano a scuola.
Il “Nazionalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei”, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, era diventato molto forte e ora dominava la politica tedesca. La gente considerava un onore essere un Nazista (come venivano chiamati i membri). E ai membri del partito venivano dati molti privilegi, incluso maggiori razioni e lavori se li volevano. Eppure Helene sapeva che non avrebbe mai potuto abbracciare gli ideali nazisti.
Tuttavia, non era facile stare dalla parte opposta. Nei negozi e nei luoghi pubblici la gente sapeva immediatamente a chi eri fedele se usavi il nuovo saluto tedesco, “Heil Hitler” alzando il braccio destro. Se si continuava ad usare il tradizionale “Guten Morgen” o “Guten Tag“, si veniva considerati sleali verso il proprio paese. Helene rifiutò di cedere sotto la pressione.
Una sera rispose a una bussata alla porta. C’era Herr Doering, un vicino che era diventato un funzionario del partito.
-Heil Hitler-, la salutò con il braccio teso. -Buona sera-, rispose Helene con cautela. -Posso entrare un momento?
In silenzio, Helene aprì la porta e lo condusse nel soggiorno.
-Frau Hasel-, iniziò-, abbiamo notato che lei non è ancora un membro del nostro partito. Nel corso degli anni ho osservato che lei e suo marito siete stati cittadini esemplari. Siete il tipo di persone che vogliamo come nazisti. Sono stato mandato qui per estendervi l’invito a unirvi al partito.
Helene lo guardò con i suoi chiari occhi azzurri mentre lui le spiegava i benefici a cui avrebbe avuto diritto come membro del partito.
-Le razioni saranno raddoppiate-, disse-. I vostri figli riceveranno non uno ma due paia di scarpe all’anno, due set di vestiti e un cappotto caldo per l’inverno. Lei e i suoi figli avrete una vacanza di sei settimane in una località estiva in montagna o al mare, con cibo non razionato. Potrete mangiare tutto quello che volete.
“Signore”, pregava silenziosamente, “cosa devo fare? Se non mi unisco, mi inimicherò quest’uomo e metterò in pericolo la vita dei miei figli e la mia. Forse questo è un momento in cui dovrei far finta di accettare come la regina Ester e rimanere fedele alla mia fede nel mio cuore. Dammi saggezza”.
Herr Doering finì il suo appello, le mise in mano una domanda d’iscrizione e una penna, e la guardò con aspettativa.
Helene gliela restituì.
-Herr Doering-, disse-, mio marito è sul fronte di guerra sin dal primo giorno. Ho notato che gli uomini che sono membri del partito sono ancora qui. Non voglio unirmi a un partito come quello. Inoltre, io appartengo già a un partito.
-Quale partito sarebbe?-, chiese con sdegno.
-È il partito di Gesù Cristo. Non ho bisogno di altro!-. Rispose Helene.
Herr Doering sembrò stordito dalla sua audacia. Poi il colore dell’umiliazione gli salì sulle guance.
-Lo vedremo! -sibilò a denti stretti. Uscendo dalla stanza, sbatté la porta dell’appartamento dietro di sé.
Da quel giorno, divenne il nemico di Helene. Sebbene sapesse che lei era Avventista del Settimo Giorno, cominciò a diffondere la voce che lei era un’ebrea, cosa che le avrebbe causato molte difficoltà nel corso della guerra. Spesso suonava il campanello a mezzanotte mentre batteva con i pugni sulla porta. Con il cuore che batteva, Helene apriva, pensando che fosse la Gestapo uscita per un raid di mezzanotte per arrestarla. Ma li c’era Herr Doering.
-Domani sera-, ringhiava-, i suoi bambini le saranno portati via se non si unisce al partito.
A volte Helene e i bambini si nascondevano nell’appartamento di un vicino finché non fosse stata sicura di poter tornare a casa. Altre volte ignorava il baccano di mezzanotte mentre i bambini terrorizzati si nascondevano sotto i loro letti.
Passarono i mesi. Disillusi, i tedeschi furono costretti a riconoscere che il conflitto avrebbe richiesto più tempo del previsto. Eppure, sentivano che la vittoria era certa.
Le condizioni di vita peggiorarono. Poiché sempre più uomini venivano arruolati, le fattorie diventavano meno produttive e il cibo scarseggiava anche con le tessere annonarie.
In pubblico, ad ogni ebreo era ora richiesto di indossare una stella gialla brillante appuntata al suo abbigliamento o esposta su una fascia nera al braccio. Non erano più ammessi nei cinema, nelle sale da concerto e nemmeno nei parchi pubblici. Nei negozi di alimentari venivano serviti per ultimi, se mai lo fossero stati. E i tedeschi che erano amichevoli con gli ebrei erano denunciati come antipatriottici.
Frau Holling era una vicina che viveva da anni nello stesso condominio degli Hasel. Suo marito era un soldato e lei era ben voluta e rispettata. Una mattina, quando Helene uscì di casa per andare a fare la spesa, vide Frau Holling con una borsa della spesa e la aspettò. Con sgomento notò la stella gialla appuntata al suo cappotto. Helene non si era accorta fino a quel momento che Frau Holling fosse ebrea.
-Buongiorno-, Helene la salutò allegramente-. Vedo che anche lei va a fare la spesa. Andiamo insieme.
Quando i due passarono davanti alla finestra del salotto della casa di Herr Doering, Helene vide la tenda di pizzo aprirsi di uno spiraglio e poi richiudersi. Il suo fraternizzare con un ebreo era stato debitamente osservato.
-Oh, Frau Hasel-, cominciò Frau Holling-, non so come le cose possano continuare. I vicini che sono stati amichevoli con me per anni non mi salutano più, tanto meno mi parlano. Nel negozio alimentare non mi attendono finché tutti gli ariani non se ne sono andati. A volte devo aspettare fuori per ore, e poi mi danno il peggio dei prodotti. Spesso non mi vendono niente.
-Ascolti-, disse Helene-, ho un piano. Lei mi dice di cosa ha bisogno e mi dà le sue tessere annonarie, e io comprerò la spesa per lei, nel frattempo mi aspetterà dietro l’angolo, così nessuno la vedrà.
Frau Holling deglutì.
-Frau Hasel, non può farlo. È pericoloso, ancora peggio se la vedono parlare con me. Se la scoprono, sarà la sua rovina.
-Sono una credente-, disse Helene semplicemente-. Dio è in grado di proteggere i suoi figli. Questo include sia lei che me.
-Non dimenticherò mai la sua generosità-, disse Frau Holling con fervore-. Ora so chi sono i miei veri amici.
Da allora in poi, Helene comprò la propria spesa e quella di Frau Holling.
Una sera di qualche settimana dopo, Helene sentì un leggero tocco alla porta. Frau Holling era lì in lacrime. Rapidamente, Helene la tirò dentro.
-Che cosa è successo? Ha avuto notizie di suo marito?
-Oh, Frau Hasel-, singhiozzò la donna-. Una mia amica ha saputo che presto mi arresteranno e mi manderanno in un campo di concentramento. Ho conservato i miei mobili a casa di amici. Se verrò presa, e se mio marito tornerà, la prego di dirgli cosa mi è successo.
Piangendo, le due donne si abbracciarono. Poi Frau Holling uscì dall’appartamento.
La mattina dopo, mentre Helene puliva le scale di pietra davanti al suo appartamento, sentì parlare alcune vicine.
-La Gestapo è venuta ieri sera e ha arrestato Frau Holling-, disse una di loro-. È stata inviata a “Theresienstadt” (un campo di concentramento nella città di Terezin).
-Meglio così-, disse un’altra-. Non vogliamo nemici del paese in giro.
Poi abbassarono la voce, e sottovoce continuarono la loro conversazione. Helene li guardò e vide che lanciavano sguardi significativi nella sua direzione.
Dopo la guerra, Frau Holling ritornò a casa. Il campo di Theresienstadt era stato liberato pochi giorni prima della sua esecuzione. Una volta tornata nel suo vecchio quartiere, i suoi vicini (timorosi che li denunciasse) fecero di tutto per essere amichevoli con lei. Ma lei rifiutò di avere a che fare con loro.
Francoforte cominciò a sentire ancora più dolorosamente il pizzico della povertà. In autunno, dopo che i contadini avevano raccolto le loro patate, Helene ottenne il permesso di raccogliere nei campi ciò che era rimasto. Ogni giorno, dopo la scuola, prendeva i bambini e il piccolo carretto e andava nei campi a raccogliere le piccole patate, della misura di ciliegie. Lentamente riempirono i sacchi di iuta, cinquanta chili ognuno. Non si fermarono finché la terra non fu totalmente ghiacciata. Fu un lavoro estenuante e massacrante, ma il loro seminterrato ora conteneva 30 sacchi pieni, abbastanza cibo per l’inverno.
Una notte durante quei mesi amari, Helene sentì bussare timidamente alla porta. Aprì uno spiraglio. Una vicina si infilò in casa sfregandosi nervosamente le mani.
-Frau Hasel, per l’amor di Dio, deve aiutarmi! -ansimò-. Non c’è nessuno di cui mi possa fidare. La prego, abbia pietà di me!
Helene portò la donna sconvolta in salotto. Frau Neumann di solito se ne stava per conto suo. Helene sapeva solo che suo marito era stato ucciso in battaglia diversi mesi fa.
-Per favore, si calmi. Qual è il problema? -Chiese Helene.
Sottovoce, la storia si svelò. Frau Neumann era legata al movimento di resistenza. Aveva nascosto degli ebrei fino a quando i clandestini non erano stati in grado di trasferirli presso famiglie di fiducia in campagna. In quel momento stava ospitando un ragazzo di 13 anni. Qualcuno l’aveva avvisata che la Gestapo, la temuta polizia segreta, stava per perquisire il suo appartamento.
-Frau Hasel, la prego, nasconda questo ragazzo-, supplicava-. Nessuno sospetterà di lei. Se non mi aiuta, saremo entrambi perduti!
Frau Neumann non sapeva che Helene era già sospettata a causa della sua posizione sul rispetto del Sabato e del suo rifiuto di unirsi al partito. Helene pensò ai suoi tre figli piccoli che sarebbero stati messi in pericolo da questa azione. Ma non poteva mandare questo ragazzo verso la morte. Rapidamente, accettò.
Nel cuore della notte, il ragazzo arrivò. Aspettando vicino alla porta, Helene la aprì in silenzio e lo fece entrare. Ai bambini fu dato l’ordine preciso di non dire a nessuno del loro ospite segreto.
Per diversi giorni tutti rimasero in silenzio. Poi un pomeriggio Helene rispose al campanello a tre uomini vestiti con lunghi cappotti di pelle nera: la Gestapo.
-Frau Hasel-, iniziarono senza preliminari-, lei è sospettata di nascondere un ebreo nel suo appartamento. Abbiamo un mandato di perquisizione. Lei sa cosa accadrà a lei e alla sua famiglia se lo troviamo.
Era un’affermazione, non una domanda. -Ora le chiediamo: Sta lei nascondendo un ebreo?
Pensieri confusi attraversarono la mente di Helene. “Dio perdonerà una bugia, se è per salvare il ragazzo e noi? Se dico la verità, siamo tutti persi. Signore, aiutami!”
Togliendosi di mezzo, alla fine balbettò: -Se volete, potete perquisire il mio appartamento. -Frau Hasel-, chiesero ancora gli uomini-, sta lei nascondendo un ebreo? Di nuovo Helene li invitò a perquisire l’appartamento. Una terza volta chiesero-: Ci dica, nasconde lei un ebreo? Spalancando la porta, Helene fece cenno agli uomini. -Sentitevi liberi di perquisire l’appartamento. Gli uomini si guardarono a vicenda. Poi, senza un’altra parola, si voltarono e se ne andarono. Qualche giorno dopo, i clandestini raccolsero il ragazzo e lo portarono al sicuro in campagna dove sopravvisse alla guerra. A scuola, Kurt e Lotte avevano subito un lavaggio del cervello quotidiano sulla supremazia ariana e sull’inevitabile vittoria della Germania. Ogni volta che un gran numero di uomini di Francoforte venivano arruolati e trasportati al fronte, i bambini venivano radunati nel cortile della scuola dove dovevano restare in piede con il braccio destro alzato nel saluto a Hitler mentre ascoltavano lunghi discorsi politici. Col tempo i bambini svilupparono una strategia per affrontare la loro stanchezza. Ad un segnale prestabilito, una lotta sarebbe scoppiata in un angolo del cortile della scuola. Mentre l’attenzione del personale veniva distratta, l’intero corpo studentesco cambiava di braccio. Gli insegnanti infastiditi non si accorsero mai che il raduno si concludeva con il saluto dei bambini con il braccio sinistro.
Ma la preoccupazione più immediata del lavaggio del cervello era il problema dell’osservanza del Sabato. La scuola si effettuava sei giorni alla settimana. Tradizionalmente, gli avventisti avevano ottenuto il permesso di esentare i loro figli dalla frequenza del Sabato. Ora le cose erano diverse. Tenere i propri figli a casa il Sabato significava essere sospettati di essere ebrei.
Dopo aver deliberato, il presidente della Conferenza degli Avventisti del Settimo Giorno dell’Assia raccomandò ai membri della chiesa che, a causa della pericolosa situazione politica, avrebbero dovuto mandare i loro figli a scuola di Sabato fino alla fine della guerra. “Dio capirà le nostre circostanze estreme”, assicurò al suo gregge.
Helene considerò attentamente il suo consiglio. Era già sospettata di essere ebrea. Perché provocare ancora di più i funzionari del partito? Ma poi si ricordò della preghiera di addio di suo marito prima di partire per la guerra: “Aiutaci ad essere fedeli a ciò in cui crediamo”. Quindi lei decise di essere fedele nell’osservanza del Sabato e chiese a Dio una forza speciale di fronte a questa tentazione. La mattina del Sabato lei e i bambini lasciavano silenziosamente la casa per prendere il tram per andare in chiesa.
Ben presto ricevette una lettera del preside che la invitava nel suo ufficio.
-Frau Hasel-, disse-, gli insegnanti mi riferiscono che i suoi figli non vanno a scuola il Sabato. Siete ebrei?
-No-, disse Helene-. Siamo ariani. Ma siamo anche Avventisti del Settimo Giorno.
-Per favore, mi spieghi cosa sta succedendo.
-Secondo la Bibbia-, disse Helene-, il settimo giorno, il Sabato, è il Sabbath in cui dobbiamo adorare Dio. Finora i miei figli sono sempre stati esonerati dalla frequenza del Sabato. So che questa è una decisione importante per lei, ma vorrei il suo permesso di tenerli a casa il Sabato.
Il preside guardò per un po’ fuori dalla finestra, poi sospirò e scosse la testa.
-Frau Hasel-, disse-, non posso aiutarla. Ammiro i suoi principi, ma non posso sostenerla. Sono stato accusato dai funzionari del partito di ospitare ebrei nella mia scuola.
Si alzò in piedi-. Devo insistere che i suoi figli vadano a scuola di Sabato. Le assicuro che controllerò personalmente che siano presenti. Mi è stato detto che perderò il mio lavoro se non impongo il rispetto della frequenza del Sabato.
Helene sapeva che diceva la verità. Solo pochi anni prima, una famiglia ebrea di nome Frank, con le loro giovani figlie Anne e Margot, si era trasferita nel quartiere degli Hasel e aveva iscritto Margot a questa stessa scuola “Ludwig Richter”. All’epoca era stata appena promulgata una legge denominata “Riforma del Servizio Civile”, che decretava che tutte le istituzioni del Reich, comprese le scuole e le università, dovevano essere “ripulite” dagli ebrei. Quando Walter Hoesken, il preside della scuola di Margot, permise loro di rimanere, sia lui che l’insegnante di Margot furono licenziati dai nazisti.
Helene pensò: “Vale davvero la pena creare un tale trambusto per due ore di scuola di Sabato mattina? Dopo tutto, abbiamo ancora il resto della giornata per osservare il Sabato e adorare Dio. Ho il diritto di mettere in pericolo il lavoro di quest’uomo? Dio è così schizzinoso?”.
Poi sentì Dio parlare al suo cuore: “Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi”.
Parlò con calma e rispetto-. Io devo rendere conto a Dio, non a lei-, disse-. Non manderò i miei figli a scuola di Sabato.
-Molto bene-, rispose il preside-. Non sono responsabile delle conseguenze. Cosa vuole che dica quando sarò interrogato?
-Mandi pure da me i funzionari del partito e i membri del consiglio scolastico. Dio combatterà per me se sono fedele.
Helene tornò a casa, raccolse i bambini intorno a sé e pregò:
“Signore, questi sono tempi pericolosi per noi. Dammi la saggezza per sapere come agire. Dammi il coraggio di difendere la verità. Proteggici dai nemici del nostro stesso paese”.
Si fermò, tenendo stretti i suoi figli. “Signore”, sussurrò con fervore, “non permettere mai che i miei figli diventino per me più importanti di Te. Non permettere che diventino i miei idoli”.
Qualche giorno dopo, i bambini portarono una notizia. Il loro preside era stato sollevato dalle sue responsabilità per un altro motivo: era stato arruolato nell’esercito. Qualche settimana dopo Helene lesse sul giornale che era stato ucciso in azione.
Herr Doering, rendendosi conto che le sue molestie non erano riuscite ad intimidire Helene, scelse altre tattiche. Un giorno alcune donne ben vestite si presentarono alla sua porta.
-Frau Hasel-, dissero-, forse lei non conosce i molti modi in cui il Fuehrer sostiene le donne e i bambini della Germania. Vorremmo invitarla a unirsi alla Lega Nazista delle Donne. Se lo fa, le vostre razioni saranno aumentate e le vostre indennità di vestiario saranno aumentate. Lei e i suoi figli sarete mandati in vacanza in campagna e il governo pagherà per questo; Kurt, Lotte e Gerd potranno frequentare il campo estivo.
“Stanno dicendo la verità”, pensò Helene. “Ho visto i miei vicini nazisti tornare dalle loro vacanze riposati e abbronzati, i loro figli paffuti e ben vestiti. Tuttavia non voglio avere niente a che fare con il sistema di Hitler, perché se accetto i loro benefici, non potrò rifiutare le loro richieste”.
Le donne fecero diverse visite. -Mi dispiace-, continuava a dire Helene-. Non posso aderire alla
Lega. Loro però continuarono a provare. Una fredda sera di inizio primavera Kurt aprì la porta a queste donne insistenti. -Possiamo vedere tua madre?-, chiesero. -Mia madre sta riposando. Ha la febbre-, disse lui. -Si tratta di qualcosa di importante-, dissero, e Kurt le accompagnò nella sua camera da letto. Le donne si informarono educatamente sulla salute di Helene, e poi i loro volti divennero molto seri. -Poiché la Germania è ora attaccata dai bombardieri nemici-,
disse la loro portavoce-, il Fuhrer ha ordinato che per ragioni di sicurezza i bambini vengano evacuati in campagna.
Helene sembrava allarmata.
-E la Lega delle donne naziste è stata incaricata di eseguire questo ordine-, continuarono-. Abbiamo i documenti pronti per lei. Deve solo firmarli.
Helene prese le carte e cominciò a studiarle attentamente.
-Oh, non c’è bisogno di leggere le scritte in piccolo-, disse una donna-. Sa quant’è tedioso! È solo una formalità. In sintesi, dice solo che accetta di far sistemare i suoi figli in un bel ritiro in Baviera dove riceveranno buon cibo e si prenderanno cura di loro. Ora, se firma, non la disturberemo più. Ci occuperemo noi di tutti i dettagli.
Helene, con la febbre alta, dice-: Mi sembra una follia. I bambini appartengono alle loro madri. Nonostante le loro proteste, lesse il documento e apprese che con la sua firma avrebbe accettato di consegnare i suoi figli al governo per essere messi nei campi di concentramento.
Restituendo i documenti disse-: Non li firmerò!
Abbandonando la loro cortese facciata, le donne si alzarono con rabbia.
-La denunceremo-, disse la portavoce-. Ci saranno delle conseguenze! Avrà notizie da noi!
Quando la porta si chiuse dietro di loro, Helene ricadde esausta sui cuscini. Quella notte i bambini notarono che le preghiere della madre erano più urgenti e agghiaccianti. “Padre nostro, ti chiedo protezione dal male e dal pericolo. Ti prego, fa’ che io non sia mai separata dai miei figli. Se viviamo, lasciaci vivere insieme; e se moriamo, lasciaci morire insieme“.
Le conseguenze ci furono, ma in modi che né le donne né Helene potevano conoscere in quel momento. Dopo la guerra, quando arrivarono gli americani, Helene vide queste stesse donne cacciate dalle loro case dai soldati, senza poter portare con sé altro che le loro borse.
Mentre Helene combatteva le proprie battaglie con i nazisti, Franz e gli Zappatori costruivano ponti a 80 chilometri dal confine francese. Il piano di Hitler era quello di invadere la Francia.
I francesi, naturalmente, avevano previsto da tempo qualcosa del genere. Negli ultimi 11 anni avevano rinforzato le loro zone di confine con una serie di fortificazioni che si estendevano per 140 km circa.
Questa era la famosa Linea Maginot, la più costosa ed elaborata rete di fortificazioni mai costruita. L’intera rete era dotata di aria condizionata, e treni elettrici a centinaia di metri sotto terra trasportavano il mezzo milione di soldati dalla caserma al carro armato, dall’arsenale alla mensa, al cinema e alle sale di raggi di sole artificiali. I francesi pensavano che la Linea Maginot fosse inespugnabile. Ma nella loro compiacenza non avevano tenuto conto della potente forza aerea tedesca, la Luftwaffe.
Il 10 maggio 1940, Hitler attaccò la Linea Maginot con un numero enorme di bombardieri in picchiata. Il giorno dopo, 50 divisioni corazzate e di fanteria la sfondarono.
L’esercito francese, sotto shock, offrì poca resistenza. Nel giro di cinque settimane la loro forza fu ridotta, e la Wehrmacht tedesca (esercito tedesco) dopo aver raggiunto Parigi realizzò una parata della vittoria lungo gli Campi Elisi, alla quale Hitler stesso partecipò.
Quello stesso maggio, gli Zappatori ricevettero l’ordine di lasciare Nierstein, dove erano stati assegnati per gli ultimi nove mesi. Cio nonostante, quando attraversarono per l’ultima volta il loro ponte di barche e salirono su un treno, non sapevano quale fosse la loro destinazione.
Con curiosità, Franz guardava attentamente fuori dai finestrini per carpire i nomi sui cartelli delle stazioni: Scheid, Blittersdorf, Saaralben.
“Saaralben”.
Ora sapeva che si trovavano nella zona della Saar, molto vicino alla frontiera francese. Ma il treno non si fermò lì, alla fine si fermò a Saargemuend, a 80 chilometri dentro la Francia.
Anche se erano solo a un giorno di viaggio da casa, gli uomini si trovavano ora in territorio nemico e si sentivano un milione di miglia lontani da casa.
I cittadini di Saargemuend erano stati evacuati.
“Padre celeste”, pregò Franz, “siccome la gente del posto se n’è andata, ora non ho modo di scambiare il cibo. Tu sai che mi sono impegnato a mangiare solo ciò che è puro ai tuoi occhi. Ti prego, mostrami cosa fare”.
Quella sera, in fila per la cena con Karl Hoffman, Franz notò un uomo alto e magro che distribuiva le porzioni.
-Chi è quello?-, chiese.
-È il nuovo aiuto cuoco-, disse Karl-. Quello abituale si è ammalato e ha dovuto essere sostituito. Si chiama Willi Fischer. Pare sia un ragazzo molto simpatico.
-È magro-, annuì Karl.
-Sembra uno spilungone. Ma guardalo così: è più difficile che i proiettili lo colpiscano.
Quando fu il turno di Franz, rifiutò la sua razione di salumi e prese solo il pane. Willi lo guardò con lieve sorpresa, ma non disse nulla.
Tuttavia, giorno dopo giorno, mentre Franz rifiutava il maiale e il lardo, Willi divenne curioso. Alla fine, mentre gettava una porzione di purè di patate nel piatto di Franz, Willi sussurrò,
-Passa a trovarmi più tardi, quando avrò finito di servire il cibo. Chiedendosi cosa potesse volere Willi, Franz gli andò incontro.
-Ehi, soldato-, disse Willi-. Ho notato che non mangi maiale. Hai qualche problema di salute?
-No, sono un Avventista del Settimo Giorno e seguo le leggi sanitarie che Dio ci ha dato nella Bibbia.
-Willi alzò le sopracciglia. Fissò Franz per un momento.
-Beh-, disse infine-, mai sentito parlare. Ma non voglio che tu debba soffrire la fame. Guardò a destra e a sinistra e abbassò la voce-. Ti darò una mano. Tutto quello che devi fare è organizzarti per essere l’ultimo alla fila. E ogni volta che avremo carne di maiale o lardo, ti darò qualcos’altro in sostituzione, se posso.
Fedele alla sua parola, invece di due once (60 gr circa) di burro due volte alla settimana, Willi ne diede a Franz quattro once ogni sera. Quando venivano servite salsicce o salumi, Franz riceveva una doppia porzione di formaggio, od occasionalmente una scatola di sardine. Evidentemente Dio aveva scelto Willi per prendersi cura della sua dieta.
Agli Zappatori fu ordinato di costruire ponti attraverso i fiumi Blies, Saar e Moder, così come molti dei più piccoli affluenti e canali della zona. Il coraggio era alto e dopo aver attraversato il Reno, questi piccoli fiumi erano un gioco da bambini.
Tuttavia, presto scoprirono nuove sfide. Mentre sondavano il fondo del Blies per trovare la posizione migliore per il posizionamento dei ponti a cavalletto, furono storditi da un rombo assordante seguito da una fontana d’acqua che schizzò in alto nell’aria. I soldati francesi durante la loro frettolosa ritirata avevano ancora avuto il tempo di piantare delle mine d’acqua nei corsi d’acqua francesi. Ora gli Zappatori dovevano impiegare i dragamine prima che qualsiasi costruzione potesse iniziare, e le guardie tedesche pattugliavano le rive del fiume di notte per prevenire ulteriori problemi.
Come parte delle forze di occupazione in Francia, gli Zappatori dovevano ispezionare e pattugliare tutte le abitazioni per assicurarsi che nessun soldato francese si stesse nascondendo. Il saccheggio era vietato, ma quando nessuno guardava, i soldati si riempivano le tasche con qualsiasi cosa potessero portare via.
Di notte Franz rimase scioccato quando vide i gioielli, gli orologi e altri gingilli che i suoi camerati avevano rubato.
Orgogliosamente confrontavano il loro bottino mentre si vantavano di aver scoperto i nascondigli segreti dei proprietari di casa. Franz sentì di dover dire qualcosa.
-Voi siete uomini onesti a casa-, disse-. Avete mogli e figli. A casa non rubereste. Non lasciate che la guerra cambi i vostri valori e vi faccia diventare ladri qui. Cosa penserebbero di voi le vostre famiglie?
Gli uomini si voltarono con vergogna e cominciarono a spogliarsi per andare a letto in silenzio nella tesa atmosfera.
Mentre si spogliava, Franz sentì una piccola forma sconosciuta nella sua tasca. Cosa poteva essere? Mise la mano nella tasca e tirò fuori un rocchetto di filo.
Dove l’aveva preso?
Improvvisamente Franz si ricordò, e il suo viso arrossì dall’imbarazzo. Quella mattina era entrato in una piccola casa grigia. Aveva cercato in cucina e nelle camere da letto e non aveva trovato nulla, solo una pagnotta ammuffita e mezza mangiata, cassetti della scrivania aperti, letti sfatti. Tutti segni di una partenza affrettata.
Era salito su una scala stretta e scricchiolante e stava perlustrando la soffitta quando scoprì in una macchina da cucire il vestito mezzo finito di una bambina. un rocchetto di filo era ancora infilato sulla macchina da cucire. Il filo scarseggiava in Germania; sapeva che Helene avrebbe potuto farne buon uso in casa. Se lo mise in tasca e se ne dimenticò.
Fino ad ora.
Franz era colpevole dello stesso peccato che aveva appena condannato agli altri. Il lettore della Bibbia e Mangiacarote era anche un ipocrita. Cadde in ginocchio, sopraffatto dal rimorso.
“Oh, Dio, ho sbagliato“, pregò. “Non ci ho pensato. Non ci ho pensato. Signore, non sono migliore di loro. Ti prego, perdonami. Sistemerò tutto”.
Quella notte riposò molto poco.
Il mattino seguente Franz cercò la piccola casa grigia, salì in soffitta e infilò il rocchetto di filo sulla macchina da cucire. Se ne andò con il sollievo nel cuore. Sapeva, naturalmente, che un altro saccheggiatore sarebbe arrivato e molto probabilmente avrebbe preso l’intera macchina da cucire e il filo con essa. Sapeva anche che quando i proprietari sarebbero tornati non avrebbero trovato più nulla. Ma quando Franz andò via da quella soffitta la seconda volta, si era lasciato alle spalle ogni desiderio di ciò che non era suo. Si era allontanato dai fili neri della cupidigia che legano l’anima.
Nel giugno 1940 arrivò l’ordine di trasferire gli Zappatori in Polonia. Treni militari con la svastica rosso sangue e lo slogan “Raeder Rollen Fuer den Sieg” (Le ruote girano verso la vittoria) li trasportarono nel sud-est della Polonia.
Di stanza nelle città di Lublino, Terespol e Trawniki, gli uomini godevano di un moderato comfort. Non potevano fare a meno di notare però, che i contadini di campagna vivevano in una povertà abissale. Le loro case erano capanne di fango con tetti di paglia e senza elettricità. L’acqua veniva attinta da un pozzo comune nella tipica maniera orientale, abbassando un lungo palo finché il contenitore all’estremità toccava l’acqua. Con un giogo di legno sulle spalle, le donne portavano due secchi d’acqua alla volta fino alle loro capanne.
Sia gli adulti che i bambini erano scalzi. Solo la domenica, per il loro viaggio in chiesa, prendevano le scarpe, e anche allora legavano i lacci insieme e le appendevano al collo fino a quando non erano a 100 metri dalla chiesa prima di indossarli.
In Polonia, Hauptmann Brandt decise di sfruttare maggiormente l’esperienza di Franz Hasel nella dattilografia, nel lavoro d’ufficio e nelle capacità organizzative acquisite durante anni di lavoro sia come colportore che nell’area di pubblicazione. Così ora Franz si trovò promosso a “Obergefreiter” (primo segretario della compagnia).
Con il nuovo incarico arrivarono i privilegi. Come altri ufficiali dell’esercito tedesco, non era più obbligato a portare il fucile standard in dotazione all’esercito, ma poteva scegliere un’arma da fuoco di sua scelta. Per l’invidia dei suoi commilitoni, Franz consegnò immediatamente il suo fucile in favore di una pistola leggera, che inserì nella cintura dei pantaloni.
Ora il suo lavoro era ancora più esclusivamente al chiuso. Nel freddo pungente dell’inverno, il suo ufficio era sempre caldo e confortevole. Ma il privilegio che apprezzava di più era che poteva organizzare il suo orario di lavoro in modo tale da avere sempre il Sabato libero.
Il secondo Natale della guerra arrivò mentre gli Zappatori erano di stanza a Krasnystaw. Di nuovo vennero allestiti tavoli a cavalletto per la celebrazione. Ogni soldato ricevette un dolce di Natale tempestato di uva passa e una bottiglia di vino. Questa volta, però, Franz non doveva portare la sua bevanda: al suo posto c’era una bottiglia di succo d’uva.
Tuttavia, l’umore dei militari non era ottimista. L’ultimo Natale, tutti erano stati leggermente sorpresi che la guerra non fosse finita. Questa volta c’erano chiari segnali che la fine non era in vista. Anche se la Germania e la Russia avevano firmato un patto di non aggressione, voci oscure filtravano nei ranghi: Hitler stava pianificando un attacco a quel paese.
E c’erano prove fin troppo evidenti a sostegno di ciò. Per prima cosa, gli Zappatori avevano ricevuto l’ordine preciso di evacuare tutti i civili polacchi dalle città situate sulle rive del fiume Bug (pronunciato “boog“), che faceva parte del confine tra Polonia e Russia.
Inoltre, agli Zappatori fu ordinato di raccogliere segretamente materiali per la costruzione di ponti e di ammassarli dietro le case sul lungofiume, mentre gli ignari soldati russi dall’altra parte del fiume facevano il loro dovere di guardia. Il ragionamento era ovvio: se la Germania avesse dichiarato guerra alla Russia e i russi avessero fatto saltare i ponti, gli Zappatori avrebbero potuto immediatamente ricostruirli in modo che l’avanzata potesse continuare.
Alle tre del mattino del 22 giugno 1941, le voci si avverarono. Hitler lanciò l’invasione della Russia lungo il suo confine polacco. I russi, cullati in una falsa sicurezza dal trattato di pace russo-tedesco, non offrirono alcuna resistenza. Totalmente sorpresi dall’attacco, non ebbero nemmeno il tempo di dinamitare i ponti.
Eppure, nonostante questo inizio di buon auspicio, Franz aveva il presentimento che, a differenza delle precedenti e più facili conquiste dell’ovest, questa battaglia sarebbe stata lunga e sanguinosa. Dedicò nuovamente la sua vita a Dio e sentì la certezza che Dio si sarebbe preso cura di lui.
“Ora c’è ancora una cosa da fare“, si disse Franz. “Ho rimandato abbastanza a lungo. Ora non c’è tempo da perdere.”
Si affrettò in città verso la falegnameria.
-Mi daresti un pezzo di carta?- chiese al proprietario. Su di essa disegnò attentamente una forma, che sembrava una staffa per sostenere una mensola a muro.
-Potrebbe tagliarmi un pezzo di legno di questa forma? E prenderesti questo sapone e questa cioccolata in cambio?
Gli occhi dell’artigiano si incresparono di gioia. -Certo -disse lui.
Mentre l’uomo cominciava a lavorare, Franz si mise alla finestra e guardò la gente che passava sul marciapiede. Aveva pianificato questo momento da molto tempo, e non poteva permettersi di essere scoperto ora.
“Presto, presto, presto”… Si ritrovò a ripetere mentalmente le parole ancora e ancora.
-Eccolo -disse finalmente il falegname.
Franz lo ringraziò e si infilò l’aggeggio fatto in modo grossolano nella tasca interna. Dopo aver dato un’occhiata da entrambe le parti, lasciò il negozio.
Tornato nel suo ufficio, tirò fuori il suo coltellino e cominciò ad intagliare il pezzo di legno fino a quando gli angoli furono arrotondati. Poi aprì un barattolo di lucido da scarpe e lo annerì fino a farlo brillare. Aprì il cassetto della sua scrivania, seppellì l’oggetto sotto una pila di carte e si diresse verso il calzolaio della compagnia.
-Walter -disse-, ho la sensazione che presto ci verrà ordinato di entrare in Russia. Trovo un po’ scomodo portare la mia pistola nella cintura. Pensi di potermi fare una fondina standard?
-Nessun problema, Franz-, disse Walter-. Torna domani. L’avrò pronto per te.
Il giorno dopo Franz ritirò la sua fondina per pistola fatta a regola d’arte in pelle nera. Rimaneva solo un compito. Quella sera tardi, sotto la copertura dell’oscurità, infilò la sua pistola militare nella fondina e si diresse verso il confine della città, dove aveva notato un piccolo lago. Una volta lì, allungò la mano nella fondina e tirò fuori la pistola.
In quel preciso momento sentì delle voci tedesche, soldati di guardia. In tutta la sua attenta pianificazione si era dimenticato delle guardie. Perle di sudore gli scorsero sul viso mentre si accovacciava dietro alcuni cespugli.
I suoi pensieri e le sue preghiere si mescolarono. “Signore, non lasciare che mi scoprano. Perché ci stanno mettendo così tanto ad arrivare? Eccoli che arrivano. Stai fermo, smetti di respirare. Signore, sii con me ora. Si stanno fermando. Mi hanno individuato. No, uno di loro si sta solo accendendo una sigaretta”.
-Wolfgang -disse uno dei soldati-. Hai appena sentito qualcosa?
-Ah, è solo un coniglio. Non essere così pauroso, amico!
Dopodiché continuarono a camminare. Franz aspettò qualche minuto, poi si alzò. Afferrò saldamente la canna della vera pistola e con un poderoso movimento del braccio la lanciò lontano dal lago. Il tonfo fu assordante.
-Wolfgang. Cos’è quel rumore? -Non lo so. È nell’acqua, credo. Le guardie tornarono indietro di corsa, i raggi delle loro torce
illuminavano il terreno. “Se mi trovano ora, sono perduto”. Mentre Franz era sdraiato a pancia in giù e non osava respirare,
le guardie camminarono a un passo da lui. Wolfgang gridò: -C’è qualcuno?
Aspettarono in silenzio per un po’. Poi l’altra guardia ridacchiò. -Dev’essere stato un pesce che saltava. -Non lo so-, disse Wolfgang dubbioso-. Mi sembra di aver visto
qualcosa muoversi. Un’eternità dopo, gli uomini proseguirono nel proprio
percorso, e finalmente scomparvero in lontananza. Tremando e sussurrando preghiere di gratitudine, Franz corse
indietro verso il suo ufficio. Lì tirò fuori dal cassetto la “pistola” lucidata di nero, la infilò nella fondina e abbottonò la linguetta. Questa sarebbe stata l’unica arma che avrebbe portato con sé in guerra.
“Signore”, pregò, “questo è il mio modo di dimostrarti che sono serio nel non voler uccidere nessuno. Evidentemente ho delle doti naturali di tiratore, quindi non mi fido di me stesso con un’arma. Eppure ora, con questo pezzo di legno, se sarò attaccato non avrò modo di difendermi. Devo confidare che Tu sia il mio protettore. La mia vita è nelle tue mani”.
Inquieto, Franz si sdraiò sulla sua branda. La paura non lo lasciò dormire: non la paura di affrontare un potenziale nemico, ma la paura delle rappresaglie.
Si ricordò di una notizia sconvolgente che aveva sentito alcuni giorni prima. Ludwig Klein, un soldato di un’altra compagnia, era entrato nella cucina della sua unità portando un fagotto avvolto in una tela di iuta.
-Cos’hai lì? -chiese il cuoco. -Un panetto di burro. -Un panetto di burro! Quanto? -Venticinque chili.
Il cuoco lo fissò.
-Sono mesi che non ricevo razioni di burro. Come hai potuto procurarti venticinque chili di burro in un paese che muore di fame? Non conosci gli ordini contro il saccheggio? Sei pazzo a correre un rischio del genere!
-Non si preoccupi-, ridacchiò Ludwig-. Non l’ho rubato. È tutto in regola. L’ho barattato.
-Scambiato cosa? -Una pistola. -Gott im Himmel! (oddio) Un’arma? -Non si preoccupi. La gente del posto è brava gente. Sparano
solo ai bersagli dei poligoni di tiro. Ma non finì qui. Il maggiore lo venne a sapere, e Ludwig Klein
fu giustiziato proprio la sera stessa. Dare un’arma al nemico era un tradimento contro la patria e punibile con la morte. Che cosa terribile che un soldato tedesco dovesse perire per mano di altri tedeschi! Franz sapeva che se fosse stato scoperto, avrebbe subito la stessa sorte. Invocando di nuovo a Dio, finalmente si addormentò.
Il 30 giugno arrivò l’ordine atteso: gli Zappatori dovevano entrare in Russia il giorno seguente.
“Caro Dio”, pregò Helene con fervore, “comincio a sentire che è troppo pericoloso rimanere in città. Da un giorno all’altro potrei essere arrestata per aver sfidato il partito nazista. Ti prego di provedere un rifugio sicuro a me e ai miei figli”.
Si ricordò che in un angolo remoto della Foresta Nera della Germania meridionale viveva la signora Fischer, affettuosamente conosciuta come “Tante Fischer” (zia Fisher). Era una vedova e una fedele credente avventista.
“Tante Fischer”, scrisse rapidamente, “possiamo io e i miei figli venire e stare con lei? Faremo il possibile per aiutare con le spese”.
“Certamente”, rispose Tante Fischer in una lettera calda e incoraggiante. “Se potete aiutarmi a far fronte alle spese con 25 marchi al mese, più un piccolo extra per la legna da ardere, posso fornirvi una stanza con due letti. Basta che portiate una culla per Gerd, della biancheria da letto e delle stoviglie. Manderò Mack, il mio bracciante, alla stazione ogni giorno finché non arrivate. Vi aiuterà con i bagagli.”
Helene tirò un sospiro di sollievo. Alcuni rapidi calcoli le assicurarono che i soldi che riceveva dal governo per il mantenimento dei figli e del coniuge mentre suo marito era nell’esercito sarebbero stati sufficienti per pagare l’affitto dell’appartamento di Francoforte più le spese della Foresta Nera.
Con preghiere di gratitudine, preparò i bagagli con alcune cose essenziali per la nuova casa e le caricò insieme ai bambini sul treno.
Per Kurt, Lotte e Gerd, il viaggio di sei ore fu rapido e incredibilmente eccitante. Erano entusiasti di andare in campagna; salutavano i pedoni agli incroci ferroviari e guardavano i pali del telegrafo sfrecciare. Nonostante il suo fastidioso senso di preoccupazione, anche Helene si sentì incoraggiata. Era l’inizio della primavera, e gli agnelli primaverili giocavano nei prati sotto gli alberi appena sbocciati.
-È lei Frau Hasel?
Lì alla piccola stazione c’era Mack, che li aspettava con il suo carro di buoi. Abilmente caricò i loro bagagli, fece salire i bambini e invitò Helene a sedersi accanto a lui.
Presto lasciarono il villaggio alle spalle. I buoi ora avanzavano lungo strade di campagna non asfaltate.
-Mutti-, chiese Kurt-, cosa sono quelle cose sul lato della strada?
-Quelli sono santuari, disse lei-. La gente di questa parte della Germania è fortemente cattolica e si ferma a pregare in questi piccoli altari lungo la strada.
Incuriositi, i bambini li studiavano da vicino mentre passavano. Molti dei santuari avevano davanti mazzi di fiori freschi, messi lì dai devoti per dare maggior peso alle loro suppliche o forse per ringraziare di un favore speciale.
-Guarda- disse Lotte a bassa voce-, c’è un’immagine di Gesù Bambino. E ce n’è uno di Maria!
Helene, non volendo smorzare il loro entusiasmo, disse poco. Ma in cuor suo pregava che Dio conceda loro la sua speciale protezione. Sapeva fin troppo bene che la stessa devozione che rendeva i cattolici così fedeli all’osservanza della loro religione li spingeva anche a perseguitare aspramente i non cattolici. Come avrebbe fatto la sua famiglia in questa regione così intrisa di pregiudizi e superstizioni?
-Lassù c’è la casa di Frau Fischer-. Mack indicò con la frusta una casa annidata contro il fianco della montagna, e presto il carro di buoi si fermò nel cortile.
Tante Fischer viveva in una tipica fattoria della Foresta Nera. La parte inferiore era di stucco imbiancato, mentre il secondo piano e il tetto erano coperti di scandole rovinate dal tempo. Tende di mussola arricciate decoravano le finestre, e gerani rossi uscivano dai vasi di legno delle finestre. Il piano terra conteneva le stalle per gli animali, mentre il secondo piano aveva gli alloggi per la famiglia. In inverno questa disposizione permetteva al contadino di prendersi cura degli animali senza dover uscire nella neve. Allo stesso tempo, il calore corporeo degli animali si aggiungeva al calore degli alloggi.
Tante Fischer che li aveva già visti da lontano, corse a incontrarli a braccia aperte.
-Sorella Hasel-, salutò Helene-, sono così felice che siate qui. Non preoccupatevi di nulla. Ora sarete al sicuro!
Mentre Mack iniziava a scaricare il carro, Tante Fischer li condusse su per le scale esterne fino alla loro camera da letto. La stanza era grande e ariosa, con una vista meravigliosa sui prati fino alle montagne scure, ondulate e coperte di abeti in lontananza. Lotte divideva il letto con la mamma, Kurt aveva l’altro letto e Gerd avrebbe dormito nella sua culla.
Rapidamente si cambiarono i vestiti da viaggio e corsero giù per le scale. Si precipitarono sul lato e trovarono un abbeveratoio fatto da un tronco cavo con l’acqua chiara e fredda della sorgente che sgorgava, un po’ come una fontana.
Dietro la casa c’erano gli antichi abeti neri che frusciavano nel vento. Uno scoiattolo rosso guardava giù dai rami e chiacchierava verso di loro. Dall’altra parte scoprirono la stalla con una mucca e due capre. Le galline grattavano nel fango, sorvegliate da un gallo maestoso con le piume della coda iridescenti.
-Tante Fischer-, disse Helene mentre si riunivano per la loro cena di pane e latte, intorno al tavolo di legno intagliato a mano-, ci sono persone che si occupano dell’estrazione mineraria nella zona? Mi pare di aver sentito esplodere della dinamite.
-Non è dinamite, disse Tante Fischer-. Quelli sono spari di un enorme cannone che hanno piazzato sul crinale del villaggio. Da lì attaccano le fortificazioni lungo il confine francese. Hanno già distrutto parte di quelle fortificazioni.
“Quindi la guerra è presente anche in questa foresta idilliaca”, pensò tristemente Helene.
Esausti per il viaggio e l’eccitazione, cullati dagli spruzzi della fontana dell’abbeveratoio e dal fruscio degli abeti, dormirono come orsi in letargo.
Il giorno dopo, con una preghiera nel cuore, Helene si mise in cammino per iscrivere Kurt e Lotte a scuola. In queste remote zone di montagna, il maestro di scuola era la seconda persona più influente del villaggio; il primo era il prete. In questa regione solidamente cattolica, come poteva Helene persuaderlo a dispensare i suoi figli dalla frequenza del Sabato?
Quando arrivò alla scuola malconcia, i piccoli vetri delle finestre scintillavano al sole del pomeriggio. Il maestro era un gentile uomo dai capelli bianchi e dagli occhiali con la montatura di ferro.
-Abbiamo evacuato qui da Francoforte-, gli spiegò Helene-. Vorrei iscrivere mio figlio e mia figlia alla vostra scuola.
-Frau Hasel, sarò felice di averli. Lasci che li aggiunga all’elenco. A che classe vanno i suoi figli?
Dopo aver espletato le formalità d’iscrizione, Helene fece una preghiera silenziosa e disse:
-Ho una richiesta speciale. Siamo Avventisti del Settimo Giorno. Noi adoriamo Dio il settimo giorno, il Sabato, come dice la Bibbia. Vorrei che i bambini fossero esonerati dal frequentare la scuola il Sabato.
L’insegnante, sorpreso, si tolse gli occhiali e la fissò costernato:
-Frau Hasel-, disse-, non ho mai sentito parlare degli Avventisti del Settimo Giorno. Rispetto naturalmente la sua preferenza religiosa, ma non posso in alcun modo accettare la sua richiesta. Se lo facessi, metterebbe in pericolo la mia posizione.
Helene aprì la bocca per rispondere, ma l’insegnante la interruppe:
-Inoltre-, disse-, se gli altri giovani vengono a sapere che i vostri figli non vengono a scuola il Sabato, vorranno mancare anche loro quel giorno. Ho già abbastanza difficoltà a motivare questi bambini contadini a venire a scuola. Non c’è modo di aiutarla.
-Per favore, signore-, disse Helene rispettosamente-, mi sembra che tutto dipenda da come lei lo spiega ai bambini.
Lui la guardò pensieroso per qualche istante. Poi si alzò in piedi e la accompagnò alla porta.
Kurt e Lotte rimasero a casa quel primo Sabato e tutti i Sabati successivi. Ogni lunedì Helene si preparava a una convocazione da parte del sindaco o peggio ancora, del prete. Ma non accadde nulla. Helene continuava a pregare e chiedendosi cosa sarebbe successo.
-Sorella Hasel-, disse un giorno a cena Tante Fischer-, il mistero del perché non disturbano i suoi figli per mancare a scuola ogni Sabato è risolto.
-Cosa intende dire?
-Questo pomeriggio, mentre ero in città per fare la spesa, mi è capitato di camminare dietro un gruppo di bambini. -Kurt e Lotte alzarono gli occhi sopra le loro tazze di latte.
Tante Fischer ridacchiò.
-I ragazzi e le ragazze si dicevano l’un l’altro che il maestro aveva annunciato che questi stranieri dalla grande città erano così intelligenti che non avevano bisogno di andare a scuola il Sabato!
Tutti scoppiarono a ridere. Ancora una volta, Dio aveva trovato una via d’uscita dalle difficoltà.
Ora che la questione del Sabato era risolta, la famiglia si rilassò in una routine regolare. Tranne le ore di scuola, la maggior parte della giornata veniva trascorsa all’aperto, dove tutti raccoglievano legna e pigne da bruciare. Portavano a casa bracciate di rami freschi per portare il profumo della foresta nella loro camera da letto. Affamati di cose fresche dopo il loro “inverno di patate”, passavano ore nei pascoli a raccogliere i teneri nuovi germogli di dente di leone, acetosa e ortiche, che Helene mescolava in deliziose insalate.
Mentre si rotolavano nei rigogliosi prati di montagna, sentivano il mormorio dell’acqua e scoprivano piccoli ruscelli che attraversavano i pascoli, non più larghi della mano di un uomo e completamente nascosti dall’erba alta. Ogni giorno era una delizia.
Nei giorni di pioggia giocavano e si nascondevano nella stalla o nel fienile e si dondolavano su una corda che Mack aveva fissato a una trave. Kurt scoprì una crepa nel muro in un angolo buio e nascose una catena. Sfidò Gerd e Lotte a trovare il suo nascondiglio. Anche se cercarono diligentemente, non ci riuscirono mai. (Trent’anni dopo Kurt tornò a visitare Tante Fischer. Trovò la catena, ormai completamente arrugginita, ancora nel suo nascondiglio nel muro).
Quando il tempo era piacevole, la piccola famiglia faceva lunghe passeggiate attraverso la foresta fino alle cime delle montagne circostanti. Ai bordi della strada raccoglievano la menta selvatica e i fiori di camomilla, che Helene asciugava per usarli per il tè in inverno. Quando arrivò l’estate, aiutarono nella raccolta del fieno. Poi c’erano ciliegie e prugne da raccogliere, e più tardi mele e pere. Dopo la loro ridotta dieta invernale, questo era come il paradiso.
I bambini impararono ad ascoltare il cuculo. La leggenda dice che se conti i richiami del cuculo, ti dirà quanto tempo vivrai. Contavano avidamente finché il richiamo del cuculo si perdeva in lontananza. Non arrivarono mai alla fine. Gerd, che non andava ancora a scuola, confondeva i numeri. Eins, zwei, sieben, tausend, zehn (uno, due, sette, mille, dieci), infine si arrese!
Ogni venerdì, come regalo speciale per il Sabbath, Helene andava in città a comprare il dolce preferito dai bambini, la torta Linzer, una torta di nocciole ripiena di marmellata di lamponi.
Il Sabato mattina il gruppo di credenti si riuniva nel salotto di Tante Fischer per una Scuola del Sabato casalinga e un servizio di preghiera.
Un pomeriggio di fine autunno Kurt salì le scale chiamando a gran voce:
-Lotte, Gerd, guardate cosa ho!
Aveva in mano un piccolo gattino nero che uno dei contadini gli aveva dato.
Kurt lo chiamò Peter e ben presto Peter seguiva Kurt ovunque e la notte dormiva sul suo letto. I tre bambini non si stancavano mai delle sue buffonate, e passavano ore ad indurlo a rincorrere una piccola pigna legata ad un lungo spago. Quando Helene faceva latte montato, Peter poteva leccare un po’ di panna fino a che i suoi piccoli fianchi non si gonfiavano e lui crollava in un angolo facendo le fusa.
In questo idillio, un giono il postino consegnò una lettera.
-Tante Fischer-, disse Helene a bassa voce per non farsi sentire dai bambini-. Ascolti questo. È una lettera del sindaco. Ha scritto a tutti noi sfollati del villaggio e ci ordina di tornare immediatamente a casa.
-Chissa’ cosa sta macchinando quest’uomo? -Tante Fischer balbettò:
-Ho letto e riletto questa lettera, e non riesco a capirla.
-Non c’è né logica né ragione per questo ordine-, disse Tante Fischer-. Nessuno di voi ha causato disturbi. E non ho sentito lamentele dagli altri abitanti del villaggio che hanno ospitato gli sfollati.
-Non possiamo andarcene, Tante Fischer. Gerd ha ancora la febbre alta che ha preso ieri; non può viaggiare. E non credo che sia la volontà di Dio che torniamo adesso in città con le sue persecuzioni e i suoi pericoli.
Radunò quindi i suoi figli. Senza dire loro cosa diceva la lettera del sindaco, li guidò in una preghiera speciale per la protezione di Dio. Poi si recò a casa del sindaco, fiduciosa che Dio avrebbe risolto le cose.
Con suo sgomento, lui fu irremovibile.
-Mi dispiace, Frau Hasel-, disse-. Tutti devono andarsene. Non ci saranno eccezioni.
Tornando a casa con il cuore spezzato, Helene disse ai bambini che avrebbero dovuto aiutarla a fare le valigie, perché il giorno dopo dovevano tornare a Francoforte. Tutti e tre i bambini cominciarono a singhiozzare come se i loro cuoricini si spezzassero:
-Che ne sarà del nostro piccolo Peter? -Lotte singhiozzò-. Oh, Mutti, non possiamo abbandonarlo!
Helene pensò per un momento.
-Portiamolo con noi.
Questa piccola buona notizia asciugò per il momento le loro lacrime, e Kurt e Lotte raccolsero rapidamente le loro cose. Nel frattempo, Tante Fischer si affrettò a prendere accordi con il lattaio per dare loro un passaggio alla stazione il giorno dopo. La sera tutti i fagotti della famiglia erano pronti.
-Tante Fischer, ha un vecchio cestino della fattoria che non lei serve? -chiese Helene.
-Certamente.
Tante Fischer si affrettò ad andare nella dispensa e tornò con un cesto.
Helene prese un lungo pezzo di stoffa e cucì un collare attorno al bordo del cesto, poi infilò una corda nella parte superiore della stoffa. Quando lo tirò stretto, la stoffa si unì e fece una specie di coperchio per il cestino.
-Sai cos’è questo? -chiese a Lotte.
Sua figlia aveva osservato il processo con grandi occhi.
-È un trasportino per il nostro piccolo Peter- rispose lei, indovinando.
La mattina seguente, dopo una rapida colazione, misero le lenzuola in un sacco. Il lattaio arrivò con il suo elegante carro trainato da una cavalla castana. Li aiutò a caricare le loro cose, e pose la cesta di Peter proprio accanto al suo sedile.
-Arrivederci, Tante Fischer! -dissero i bambini in coro.
-Arrivederci! -rispose lei, asciugandosi gli occhi con il bordo del grembiule.
-Grazie per la sua gentilezza e generosità nei nostri confronti-, disse Helene con fervore.
-Pregherò per lei, sorella Hasel-. Dio sia con voi.
Non appena il vagone si mise in moto, il gattino Peter andò su tutte le furie nella sua cesta. Strillò. Strappò il panno con frenesia. Potevano sentire i suoi piccoli artigli sbattere contro le pareti di vimini.
Alla fine il lattaio ne ebbe abbastanza.
-Frau Hasel-, disse severamente-. Non può tenere quell’animale rinchiuso lì dentro. È spaventato. Lo tiri fuori e lo tenga tra le braccia.
Helene seguì il suo consiglio e Peter si calmò immediatamente e si accontentò di guardarsi intorno. Alla stazione ferroviaria, Helene lo infilò nella parte anteriore del suo cappotto, dove prontamente si addormentò.
La stazione era affollata di gente. I bombardamenti erano diventati molto pesanti e il viaggio in treno era pericoloso. Si diceva che quello era l’ultimo treno in partenza dalla Foresta Nera, e non solo tutti gli sfollati erano in partenza, ma la gente del posto da molte miglia intorno voleva cogliere quest’ultima opportunità per occuparsi dei propri affari in altri posti. Così, quando il treno finalmente arrivò, era già pieno:
-Restate qui sulla banchina-, disse Helene ai bambini.
-Lotte, tieni d’occhio Gerd-. Portandosi dietro tutte le loro cose, Helene salì sul treno e si affrettò disperatamente da un vagone all’altro in cerca di spazio. Individuato un angolo vuoto, gettò le sue cose, poi corse di nuovo verso il luogo in cui si trovano i bambini.
-Kurt, Lotte. Salite!
Li spinse a bordo, poi prese Gerd, ancora febbricitante, e salì, proprio mentre il treno cominciava a muoversi.
Mentre si facevano strada nel treno, Helene notò che tutti gli scompartimenti erano pieni, e nei corridoi c’erano solo posti in
piedi. Helene posò Gerd nel loro angolo e appoggiò la sua testolina su uno zaino di tela grezza. Lui era troppo malato per lamentarsi.
Gli altri passeggeri le lanciarono sguardi ostili:
-Questa donna si porta dietro tutte le sue cose-, mormorò qualcuno-. ciò rende più scomodo il viaggio per il resto di noi.
Proprio in quel momento Peter sporse la testa fuori dal suo cappotto. Helene rabbrividì, aspettandosi altri commenti seccati. Invece, un uomo in piedi accanto a lei fece un ampio sorriso: -Guarda un po-, disse-. Ha un gattino lì dentro. Quel gatto è fortunato. Se potessi appoggiare la testa sul suo petto, sarei contento anch’io.
Imbarazzata, Helene si girò mentre il resto dei passeggeri scoppiava a ridere. La tensione era stata rotta.
Un raid aereo era in corso quando il treno arrivò a Francoforte. Con le sirene che le risuonavano nelle orecchie, Helene caricò i suoi figli e le sue cose nel tram 23 per il viaggio verso casa.
“Perché abbiamo dovuto lasciare la sicurezza della Foresta Nera” si chiedeva in silenzio. “Perché siamo dovuti tornare alle bombe e alla distruzione?“
Solo diversi anni dopo, quando lei e i suoi due figli più piccoli andarono in vacanza nella Foresta Nera, scoprì cosa era successo dopo la loro partenza.
-Vi ricordate che siete stati costretti ad andarvene così in fretta? -disse Tante Fischer-. Il giorno stesso della vostra partenza, i marocchini invasero il nostro villaggio. Erano dei maniaci, pieni di rabbia. Saccheggiavano, distruggevano, appiccavano incendi. Sistematicamente, andavano di casa in casa, trovavano le ragazze e le donne e le violentavano, dalle bambine di 5 anni alle settantenni. Per loro era tutto uguale.
Helene rimase paralizzata dall’orrore.
-E lei?
-Mi sono vestita di stracci e mi sono annerita la faccia con la fuliggine, appena ho sentito le urla delle donne. Il contadino sulla collina sopra di me aveva iniziato una lotta con una banda di marocchini in modo di dare alle sue due figlie la possibilità di fuggire e nascondersi nel bosco. A quel punto gli uomini erano infuriati e scendevano giù per la collina urlando come demoni. Uscii dalla mia porta con una clava in mano, urlando a squarciagola e comportandomi come una pazza. Quegli uomini superstiziosi devono aver pensato che fossi una strega, perché sono fuggiti senza voltarsi. Così sono fuggita. Ma per molti mesi dopo ciò, l’ospedale della città offrì aborti gratuiti a donne e bambine che erano state stuprate. È stato un bene che lei e Lotte foste al sicuro.
Ora Helene aveva capito che Dio conoscendo le ragioni, li aveva davvero coperte con le sue ali.
Così come la Francia, la Russia si stava preparando alla guerra. Ma a differenza della Francia, la Russia era pronta. Quando Hitler lanciò il suo attacco, l’Armata Rossa era diventata la più grande del mondo, i suoi aerei da guerra eguagliavano il resto delle forze aeree del mondo messe insieme, i suoi carri armati superavano in numero il resto dei carri armati del mondo.
Eppure, nonostante questa formidabile forza, la Wehrmacht tedesca ebbe un successo fenomenale all’inizio della campagna di Russia. Stalin, rassicurato dal patto di non aggressione con la Germania, aveva lasciato il confine occidentale per lo più indifeso. Così quando la Germania colpì, ci fu poca resistenza.
Poiché l’intento di Hitler era quello di sconfiggere le forze russe in tre o quattro mesi, inviò le sue truppe in Russia ad un ritmo rapido. E nei primi due giorni dell’offensiva, questo obiettivo sembrava realistico. La Luftwaffe (forza aerea tedesca), attaccò e distrusse duemila aerei russi prima che avessero la possibilità di decollare, quasi sradicando la più grande forza aerea del mondo.
In una settimana i tedeschi erano già a metà strada per Mosca. In due settimane, mezzo milione di russi erano stati uccisi e un milione di soldati fatti prigionieri. Nel primo mese, le forze di Hitler avevano conquistato un’area grande il doppio del loro stesso paese. In soli due scontri, i russi avevano perso 6.000 carri armati.
Alle 5:00 del 1 luglio 1941, solo otto giorni dopo l’assalto iniziale alla Russia, gli Zappatori ebbero l’ordine di attraversare il confine polacco ed entrare in Ucraina a Sokal. Un senso elettrico di pericolo riempiva l’aria mentre mettevano piede sul suolo sovietico. Franz lo avvertì acutamente.
“Ora facciamo parte del fronte orientale”, disse a se stesso. “Non siamo più solo costruttori di ponti come in Polonia. Dovremo combattere per farci strada in un nuovo territorio”.
Nervosamente lucidava la parte superiore della fondina nera scintillante. Sotto lo sportello sentì la massa della sua inutile pistola di legno. “Signore Dio del cielo e della terra, ti prego, preservami”, pregò.
Giorno dopo giorno, gli Zappatori sviluppavano nuove routine. Poiché l’attività nemica poteva esplodere ovunque, prima di rilassarsi dopo ogni giorno di marcia, dovevano cercare attentamente nella loro area di accampamento i soldati russi in agguato.
Ovunque vedevano segni di combattimento in atto. Passarono davanti a un cimitero dove una precedente unità tedesca aveva frettolosamente allestito un campo di prigionieri di guerra, e dal quale i prigionieri russi fissavano gli Zappatori di passaggio con occhi pieni di odio. Carri armati, aerei e camion russi contorti si stendevano sul paesaggio, con i cadaveri degli autisti che giacevano all’interno coperti di mosche. Un raccapricciante campo pieno di tombe fresche segnava il punto in cui un’intera unità di soldati tedeschi era stata spazzata via dai russi.
Con l’avvicinarsi del venerdì, qualcos’altro cominciò a pesare sulla mente di Franz: “Caro Signore”, sussurrò timorosamente tra le labbra secche, “Tu sai che tengo molto al Tuo Sabato. È importante per Te, e poiché è importante per Te, è importante per me. Fino ad ora è stato abbastanza facile per me mantenere il rispetto del Tuo santo giorno, scambiando il giorno di lavoro con altri. Ma ora siamo al fronte e le regole sono cambiate. Ti prego, aiutami”.
E settimana dopo settimana, l’aiuto arrivò.
-Le truppe sono esauste-, annunciò improvvisamente l’Hauptmann quel primo venerdì-. Domani avremo un giorno di riposo.
Il venerdì successivo forti acquazzoni impantanarono l’esercito nel fango.
-Dobbiamo aspettare un paio di giorni fino a quando queste strade non asfaltate saranno abbastanza asciutte per procedere-, dichiarò l’Hauptmann Brandt.
Con il passare delle settimane, Franz notò che Dio organizzava gli eventi in modo che le ore del Sabato fossero protette. Fino alla fine della guerra (ad eccezione di un periodo di ritirata frenetica finale in cui perse la cognizione del tempo), Franz rispettò tutti i Sabati.
Sempre più verso est gli Zappatori avanzavano. Druzkopol, Berestecko, Katerinovka, Jampol, Belogorodka, erano nomi sconosciuti in un paese sconosciuto. I loro veicoli motorizzati erano stati mandati avanti, quindi gli uomini erano a piedi. Eppure, portando i loro fucili e gli zaini da campo, spesso percorrevano 30 miglia al giorno. Erano scoraggiantemente soli (tagliati fuori da ogni comunicazione con le altre forze tedesche), e le loro provviste erano così scarse che alla fine avevano solo pane vecchio da mangiare, verde e peloso di muffa.
Gli Zappatori non erano abituati a marce prolungate, e lo sforzo alla fine cominciò a far sentire le conseguenze. Quando gli uomini cadevano sul ciglio della strada per un colpo di calore, i loro compagni li portavano all’ombra di un albero, gli avvolgevano dei fazzoletti umidi intorno alla testa e li lasciavano al loro destino. La compagnia doveva andare avanti.
Alcuni uomini svilupparono tali vesciche ai piedi che non potevano più tollerare gli stivali. Se li toglievano e zoppicavano a piedi nudi per alcune miglia, finché i loro piedi sanguinanti non potevano più portarli avanti. Nessuna supplica da parte dei loro compagni o di rimproveri da parte dei loro comandanti faceva differenza.
-Siamo esausti-, dicevano-. Non possiamo continuare. Per favore, lasciateci e andate via.
I più fortunati divennero prigionieri di guerra. Ma la maggior parte dei soldati furono uccisi direttamente dai russi vendicativi.
Anche Franz era esausto. Dopo pochi giorni i suoi calzini erano a brandelli, e vesciche enormi gli coprirono presto i piedi. Quando la compagnia si fermò per una breve pausa pranzo, cercò nel suo zaino uno straccio pulito. Era tutto sporco, inzuppato di sudore e coperto dalla polvere della strada.
Alla fine prese una delle sue magliette sporche, la strappò a strisce e le avvolse intorno ai piedi prima di rimettersi gli stivali. Non fu d’aiuto. Le vesciche si aprirono e si infettarono. Franz riuscì a malapena a trascinarsi fino a quando la Compagnia 699 si accampò per la notte. Aveva la febbre e gemeva sulla sua stuoia.
Willi si fermò accanto a lui. -Franz, hai mangiato qualcosa? -Non ho fame-, borbottò Franz.
-Devi bere qualcosa. Dai, siediti-. Willi avvicinò la tazza di latta alle labbra screpolate del suo amico-. Ti ho portato dell’acqua bollita.
Franz si sentì soffocare e tossì, ma riuscì a mandar giù il liquido caldo.
-Ora, mangia un po’ di pane. Devi preservare la tua forza.
Franz si sforzò di ingoiare qualche boccone.
Poi Willi tolse gli stivali del suo amico. Quando vide le ferite incancrenite grandi come un pugno, sospirò profondamente.
-Franz, c’è un piccolo ruscello non troppo lontano da qui. Appoggiati a me e ti aiuterò ad arrivarci. Ti darà un po’ di sollievo se ti rinfreschi i piedi.
Con il braccio intorno alla spalla di Willi, Franz zoppicò per qualche metro fino all’acqua. Quando raggiunse il ruscello, i suoi piedi si erano gonfiati fino al doppio della loro dimensione. Quando
infilò le sue membra torturate nell’acqua torbida e inquinata, provò sollievo.
-Non posso muovermi-, gemette-. Sono troppo stanco.
-Ok-, disse Willi-. Resta qui per un po’. Ti porterò le tue cose. Tutto ciò di cui hai bisogno è un buon riposo.
“Ho bisogno di più di questo, Willi”, pensò Franz. “Il mio corpo è consumato e brucia per la febbre. I miei piedi pulsano per l’infezione. Ho bisogno di giorni, Willi. Giorni di riposo. Ma non è possibile. Non c’è più niente che io possa fare. Domani sarò lasciato indietro come gli altri. Sapevo che la vita nell’esercito sarebbe stata pericolosa, ma non avrei mai pensato di soccombere all’infezione”.
Tirò i piedi fuori dall’acqua e li asciugò con cautela. Troppo stanco per seguire la sua regolare routine di lettura della Bibbia, tirò fuori la sua Bibbia per leggere un testo prima della preghiera. Aprì proprio sul Salmo 118:17 “Io non morirò, anzi vivrò, e racconterò le opere del SIGNORE”.
Stordito, si avvolse nella sua coperta militare grigia. Poi, steso sull’umido suolo straniero, con il corpo che tremava per la febbre, Franz pregò:
“Caro Signore, Tu sai che la mia vita è consacrata a Te. Quando partì da casa, ero sicuro che mi avresti riportato sano e salvo dalla mia famiglia. Ora mi hai fatto un’altra promessa. Ma eccomi qui, malato e incapace di continuare. Se Tu non mi aiuti, sono perduto. So che Tu sei un Dio che mantiene le promesse. Mi affido nelle Tue mani”.
Finalmente Franz si addormentò.
La sveglia suonò alle 3:15. Stordito, Franz si strofinò il sonno dagli occhi. Il suo mal di testa e il tremore erano spariti. “Bene, ho riposato bene. Se riesco a mettere i piedi negli stivali, forse posso fare un altro tentativo di camminare”.
Si sedette, tirò fuori i piedi da sotto la coperta grigia e li guardò. Nella luce fioca brillavano di bianco.
-Aspetta un attimo-, mormorò, sbattendo le palpebre e strizzando gli occhi-. Non può essere.
Allungò la mano e li tastò con le dita. Poi li strofinò sempre più forte.
“Sono guariti”. Si rizzarono i suoi capelli. “I miei piedi sono completamente guariti. Neanche coperti da spesse croste fresche, ma con una pelle completamente nuova e intatta”.
Scuotendo la testa per lo stupore, si infilò i calzini insanguinati, si mise gli stivali e marciò robustamente per augurare il buongiorno a uno stupito Willi. Per i restanti anni della guerra, Franz non ebbe mai più problemi ai piedi.
I camion della compagnia degli Zappatori si unirono a loro, e gradualmente il battaglione si ricongiunse. La vita si stabilizzò in una routine: svegliarsi tra le 3 e le 5 del mattino e mettersi in movimento. Avanzare tutto il giorno, a volte in camion, spesso a piedi. Passare le brevi notti in accampamenti improvvisati: granai, chiese, sinagoghe, scuole. Di solito questi erano infestati da pulci che lasciavano gli uomini coperti di pruriginosi e pungenti bozzi. Ormai la maggior parte degli Zappatori aveva anche i pidocchi. Semplicemente non c’era la possibilità di fare un bagno completo.
Gli uomini erano stupiti di vedere in prima persona l’effetto del comunismo sul paese. Decenni prima, i comunisti avevano confiscato tutte le terre di proprietà privata e le avevano riunite in enormi fattorie collettive, chiamate kolkhoz. Ogni kolkhoz consisteva in campi che si estendevano da un orizzonte all’altro. Gli ex proprietari dovevano lavorare la loro terra come schiavi, senza ricevere alcuna paga tranne il cibo necessario. Il bestiame era tenuto in un’unica enorme stalla.
Dato che lavorare di più non li avrebbe fatto guadagnare più profitti, gli ucraini non avevano alcun incentivo a essere orgogliosi di queste fattorie, e tutto era sporco e in cattivo stato. Solo le donne erano autorizzate ad allevare privatamente polli, anatre e oche; e su di essi dedicavano tutta l’attenzione che trascuravano di dare alle proprietà del governo.
Quando arrivavano i tedeschi affamati, non ci pensavano due volte a rubare i polli e ad arrostirli su fuochi all’aperto durante la notte.
-Hasel-, chiamavano-, vieni e unisciti a noi!
-No, camerati, non potrei godermi del cibo che avete rubato alla gente affamata.
-Beh, signor sant’uomo, non sai che non c’è onore nella guerra? “Prendi quello che puoi ottenere e goditelo finché sei ancora vivo”, questo è il motto! Inoltre, Seltenfroehlich (Raramente felice) ha preso delle oche lui stesso. Se può farlo lui, possiamo farlo anche noi!
-Franz alzò le spalle-. Non importa cosa fa il tenente, è sempre un furto-, disse.
-Ed è sempre sbagliato. E se la situazione fosse invertita e i soldati russi rubassero il cibo ai vostri bambini affamati?
Uno dei soldati sputò con rabbia.
-Questo tipo di discorsi mi rende furioso-, scattò-. Sei così stupido! Sai perfettamente che la Germania non sarà mai invasa. Parli sempre come se non ci credessi. Se non la smetti con le tue idee sovversive, ti pesterò a sangue!
Senza una risposta Franz tornò nel suo ufficio. Due giorni dopo arrivarono ordini dal generale che tutti i saccheggi erano severamente proibiti e che chiunque fosse stato sorpreso con merce rubata sarebbe stato trasferito ad un battaglione di correzione dove gli sarebbero stati assegnati compiti ardui e pericolosi. Così i furti cessarono.
Franz non riuscì a trattenersi-. Ecco-, disse agli uomini-. Cosa vi avevo detto?
Qualche settimana dopo questo incidente, Franz fu promosso di nuovo, questa volta a Caporale. Fu anche nominato contabile e incaricato delle buste paga della Compagnia 699 del Parco degli Zappatori. Come tale, teneva la contabilità della sua unità e gestiva tutti i soldi.
Ogni 10 giorni dava ai soldati la loro paga di servizio. Poiché facevano parte del fronte orientale, avevano diritto alla compensazione per il servizio nell’area di combattimento. Era pari a un Reichsmark in più, circa un dollaro ogni giorno di paga. A quanto pare, il costante pericolo per le loro vite non era valutato molto bene.
Franz faceva anche gli ordini di cibo, abbigliamento e altre provviste dalla Germania. Quando non erano in marcia, allestiva un piccolo negozio dove gli uomini potevano comprare sapone, rasoi e altre necessità. I suoi superiori non si preoccupavano di controllare i suoi registri: sapevano di potersi fidare ciecamente di lui.
Progressivamente la compagnia avanzava verso est. Spesso passavano davanti a carri armati russi distrutti; una volta passarono davanti a 2.300 prigionieri di guerra russi che marciavano a ovest verso un campo di prigionia tedesco, sorvegliati da soli 12 soldati tedeschi. Quando pioveva, gli uomini si inzuppavano fino alle ossa. Quando c’era un acquazzone, le strade non asfaltate diventavano impercorribili, e la Compagnia 699 otteneva un giorno o due di riposo. Franz approfittava di questa opportunità per stendere le carte d’ufficio bagnate sui tetti delle case per farle asciugare.
Un venerdì il sergente Erich Neuhaus venne da Franz.
-Hasel, voglio che tu scriva domani il rapporto degli ultimi 10 giorni, così posso mandarlo al quartier generale.
-Sì, signore-. Franz salutò doverosamente:
-Non salutarmi, Hasel. Non sono un ufficiale incaricato. Sono un sergente.
-Sì, sergente. A proposito, voglio farle sapere che tutta la carta è bagnata.
-E allora?
-Se la metto nella macchina da scrivere, si strapperà.
-Oh-. Il sergente fece una pausa-. Bene, quando pensa che si asciugheranno?
-Entro domenica. -Va bene, lo faccia allora.
Arrivò un altro venerdì.
-Hasel, domani devi fare la chiusura di fine mese dei registri contabili.
-Sì, signore. Ma c’è solo un problema.
-Qual è?
-Il Sabato sera c’è un bel po’ di lavoro in negozio. Dato che il primo del mese è domenica, penso che davvero dobbiamo includerlo nelle cifre contabile.
-Ha ragione. Meglio aspettare fino a domenica.
Senza sembrare insubordinato, Franz li convinceva sempre che il compito poteva essere svolto meglio se veniva fatto di domenica.
A volte, di Sabato, i suoi commilitoni si avvicinavano a lui-. Franz, puoi vendermi del sapone?
-Non so se ce n’è ancora. Non ne ho avuto nell’ultimo carico. Ma se aspetti fino a stasera, farò del mio meglio per trovartene un po.
-Oh, certo, questo è il tuo Sabbath. L’avevo dimenticato.
I soldati avevano accettato da tempo di non poter ottenere alcun lavoro da Franz di Sabato.
In agosto le piogge si fecero più frequenti, trasformando la campagna in un gigantesco lago di fango. I tedeschi tuttavia, non volevano essere trattenuti. Continuarono caparbiamente ad andare avanti. Quando i loro camion affondavano nel fango fino agli assi, gli uomini li tiravano fuori. Alla fine però, il fango diventava abbastanza profondo da arrivare alla parte superiore degli stivali dei soldati, e ci volevano diverse ore per percorrere solo poche centinaia di metri.
-Siamo così impantanati che dovremo fermarci per ora-, dissero gli ufficiali, scuotendo la testa.
Neppure la determinazione tedesca poteva sconfiggere le forze della natura.
Quando finalmente il sole tornava a splendere, gli Zappatori impiegavano altri due giorni per sistemarsi e rimettere in ordine il loro equipaggiamento. Durante il successivo forte acquazzone, rimanevano saggiamente nei loro alloggi. Anche se allora non lo sapevano, le forti piogge portarono l’intera guerra sul fronte orientale a un punto morto. La potente Wehrmacht tedesca fu immobilizzata, non dal nemico, ma dal fango.
Finalmente, gli Zappatori raggiunsero Cherkassy sulla riva occidentale del fiume Dnepr. Qui, dove il possente fiume era largo otto chilometri, loro ricevettero l’ordine di costruire un ponte per attraversarlo. Furono raggiunti da altri quattro battaglioni, 6.000 uomini in totale, per aiutarli nel formidabile compito.
Una parte della compagnia andò nelle foreste per tagliare gli alberi: 21 uomini gestivano una segheria ucraina; altri 25 una fabbrica di chiodi, che produceva non solo chiodi ma anche tutori e cavalletti metallici. I tronchi venivano trasportati alla segheria, tagliati nelle misure esatte calcolate dagli ingegneri, e trasportati direttamente dove il resto degli uomini stava costruendo il ponte.
I tedeschi incontrarono una crescente opposizione da parte dell’Armata Rossa, e l’avanzata rallentò. Spesso le battaglie oscillavano avanti e indietro. Squadroni di aerei russi lanciavano bombe, e i cannoni della contraerea tedesca li abbattevano. Poi, mentre gli aerei giacevano in fiamme nei campi, i famosi bombardieri in picchiata tedeschi Stukas, abbreviazione di “Sturzkampfflugzeug”, piombavano e distruggevano l’ultima resistenza. Ma non appena i tedeschi si rilassavano un pò, i russi lanciavano un contrattacco con i carri armati, dopo di che la Wehrmacht circondava prontamente i russi e li spazzava via con mortai e obici. E così via, con pesanti perdite da entrambe le parti.
Un Sabato gli Zappatori furono circondati dai russi. Rapidamente il tenente Gutschalk li mobilitò:
-Hasel, tu e Weber andate nel caseificio vuoto e difendete la nostra posizione a sud! -gli urlò.
“Ecco che arriva”, pensò Franz. Si schiarì la gola e cercò di parlare con calma.
-Tenente, oggi è il mio Sabbath. Non posso partecipare. -Che cosa, Hasel?
-Non posso partecipare. Mi dispiace, signore.
Gutschalk era sbalordito.
-Questa è la guerra, soldato! Stiamo combattendo per le nostre vite!
-Mi dispiace, signore-, ripeté Franz. -Hasel, stai rifiutando un ordine? -Sì signore-, rispose Franz, sull’attenti.
-Ne ho abbastanza di te! -ruggì-. Questa volta, avrai la tua ricompensa, e nessuno potrà salvarti! Me ne occuperò personalmente!
Dopo aver respinto con successo ai russi, il tenente annotò nel Wehrpass (Libretto di servizio militare) a Franz, in modo che alla fine della guerra doveva essere sottoposto alla corte marziale per aver rifiutato di obbedire agli ordini di un ufficiale superiore.
Gli Zappatori, anche se erano un’unità di ingegneria, venivano spesso catturati nella zona di combattimento. Un pomeriggio Franz e Karl fecero la guardia mentre gli altri uomini erano impegnati a fortificare una barriera anticarro che circondava un villaggio. Improvvisamente, ci fu un lampo di fuoco e un’esplosione stridente. Corsero sul posto e trovarono un soldato di nome Heinrich Korbmacher con la metà del viso distrutto e le viscere esposte: aveva calpestato una mina. Tutto quello che potevano fare era tenergli la testa e confortarlo mentre le sue urla fendevano l’aria.
-Mamma, aiutami! Oh mamma, ho bisogno di te! Dove sei, mamma?
Per fortuna, la sua sofferenza finì presto, e lo seppellirono la sera stessa. Non c’era molto da dire. Questa perdita fu particolarmente triste, perché la primavera precedente la casa di Heinrich in Germania era stata distrutta da un bombardiere inglese.
Lasciò una moglie e quattro figli. Come segretario della compagnia, Franz ebbe il compito di avvisare la vedova e di rispedirle i pochi averi di Heinrich. Tristemente si chiese se un giorno qualcun altro avrebbe dovuto svolgere questo compito per lui.
Per i successivi quattro anni, questo fu il modello di vita per l’esercito tedesco.
Il tram 23, che trasportava Helene e i bambini dalla stazione ferroviaria alla loro casa, scattava e rimbombava per le strade di Francoforte mentre le sirene ululavano avvisando di un raid aereo.
-Mutti, guarda-. Kurt indicò un palazzo di appartamenti mentre passavano.
-Dove? -Le finestre. Tutte le finestre sono rotte. Il cuore di Helene sprofondò. -Sono state le bombe-, disse tristemente.
Quando esplodono, la pressione dell’aria rompe le finestre.
-Pensi che le nostre finestre siano rotte? -Chiese Lotte.
-Lo scopriremo presto.
-Finalmente il tram si fermò. A mezzo isolato di distanza videro le tende della loro casa che si agitavano al vento.
-Oh, no-, si lamentò Helene, e pensò tra sé: “Il nostro appartamento è al piano terra. Nessuno è stato lì a proteggerlo. Probabilmente è sparito tutto”.
Preparandosi all’inevitabile, condusse i bambini fuori dal tram e camminarono verso l’edificio. Quando aprì la porta dell’appartamento, i bambini si precipitarono dentro:
-È polveroso-, sentì dire a Lotte.
Con il cuore in gola, Helene si sforzò di entrare. La polvere spessa e la sabbia coprivano tutto. I suoi occhi sfrecciarono avanti e indietro, su e giù.
-Bambini-, disse debolmente. Penso che nessuna cosa sia stata presa.
-Qui c’è il mio castello-, disse Kurt-, e i soldatini di piombo.
-E guardate-, disse Helene-, le pentole e le padelle, la biancheria da tavola e il letto di bambola di Lotte. È tutto qui. Nessuno ha toccato niente.
Mentre Kurt e Lotte correvano eccitati da una stanza all’altra, Helene preparò rapidamente il letto di Gerd e gli rimboccò le coperte. Aveva ancora la febbre alta. Poi radunò i bambini e insieme si inginocchiarono in preghiera. “Grazie, Dio, per la Tua protezione su di noi e sulle nostre cose”.
Kurt e Lotte aprirono i fagotti, e misero le cose al loro posto.
Nel frattempo, Helene andò al magazzino nel seminterrato e tornò con grandi fogli di cartone. Questi furono rapidamente inchiodati sopra le finestre aperte.
-Ora è buio qui dentro-, si lamentò Lotte.
-Ma almeno il vento freddo non soffia dentro-, le ricordò Helene. Dovrà bastare finché non riuscirò a far sostituire il vetro. Ora bambini-, disse con fermezza-, abbiamo fatto un lungo viaggio e siamo stanchi.
Dopo qualche giorno Gerd si riprese e ricominciarono la loro vecchia routine, con una terrificante eccezione. I bambini andavano a scuola e Helene faceva le sue faccende domestiche, ma ora ogni notte le bombe cadevano su Francoforte. Ogni giorno pregavano che Dio li proteggesse e risparmiasse le loro vite. Gerd, che ora aveva 7 anni, non si preoccupava mai della loro sicurezza:
-Le bombe non possono mai colpirci-, diceva con sicurezza.
-Come fai a saperlo? -Kurt chiese:
-Perché siamo sotto la protezione di Dio.
Poi la vicina città di Darmstadt fu bombardata. In una notte furono uccise migliaia di persone. La fede di Gerd nel potere di Dio era ancora incrollabile. Era sicuro che i membri della chiesa fossero al salvo.
Erano felici di vedere il Sabato in chiesa tutti i loro vecchi amici e i loro cugini Anneliese e Herbert. Anni, la sorella di Franz, abbracciò calorosamente Helene. Dopo la chiesa, Tante Anni li invitò a casa per il pranzo:
-Avete sentito le notizie? -chiese con tono serio.
-Notizie?
-La maggior parte degli avventisti di Darmstadt sono stati uccisi. Un’ottantina della nostra gente.
-Helene guardò di sbieco a Gerd. Il suo giovane viso era diventato pallido, e i suoi occhi fissavano senza vedere. Per il giovane Gerd fu uno shock terribile. Tutto il pomeriggio, mentre Kurt e Lotte giocavano allegramente con i loro cugini, e Helene e Tante Anni si scambiavano notizie degli ultimi mesi; Gerd era seduto in un angolo cercando di dare un senso al disastro di Darmstadt.
Quella sera al culto non riuscì più a trattenere i suoi sentimenti:
-Mutti.
-Sì, Gerd?
-Mutti-, riuscì a far uscire ogni parola tra le sue labbra tremanti-, la Bibbia è tutta una bugia!
-Ascolta, Gerd…
-Dio non ci protegge-, singhiozzò-. Non gli interessa quello che ci succede. Potremmo anche non pregare più!
-Gerd. Gerd. Ascoltami-. La voce di Helene era soave, per corrispondere al suo dolore-. Oggi hai imparato una lezione importante. Il dolore e la tragedia possono arrivare a chiunque,
buoni o cattivi che siano. L’importante è credere che Dio ci ama qualunque cosa accada. Finché siamo suoi figli, non importa se viviamo o moriamo perché alla fine vivremo con Lui in cielo.
Silenziosamente cercò di assimilare ciò che lei diceva.
Il lunedì mattina Helene incontrò Herr Doering mentre andava a fare la spesa:
-Ah, vedo che siete tornati-, la salutò gelidamente.
-Mi chiedo se ha riconsiderato l’adesione al partito nazista?
-Herr Doering-, rispose lei-, non ho alcuna ammirazione per il partito e non ho alcuna intenzione di aderire. Non voglio più essere disturbata! Buongiorno-. Si voltò e continuò per la sua strada, lasciandolo senza parole.
-Lei è simpatizzante degli ebrei-, sibilò la voce di lui alle sue spalle-. Se ne pentirà.
-Alla fine del mese lei scoprì cosa voleva dire. L’assegno dell’esercito per il servizio di Franz non arrivò.
Aspettò qualche giorno, pensando che potesse essere stata ritardata nella posta. Ma l’assegno non arrivò. Con suo marito nell’esercito, era il suo unico mezzo di sostentamento. Cosa poteva fare?
Il Sabato parlò dei suoi problemi in chiesa e i membri fecero una colletta per lei. Se riusciva a risparmiare qualcosa, il denaro le avrebbe permesso di farcela fino all’arrivo del prossimo assegno. Quando arrivò la fine del mese, corse avidamente alla porta, e così via ogni volta che arrivava il postino. Ma non c’era nessun assegno per lei.
Disperata ora, Helene prese il tram per una città periferica dove una vecchia amica viveva con suo figlio adulto in un piccolo ma creativo vagone zingaro dipinto di giallo con le persiane verdi.
-Sorella Geiser-, disse-, cosa devo fare? Non ho soldi. Il partito sta trattenendo i miei assegni di sostegno. Non abbiamo cibo. Sono al limite della disperazione.
-Sorella Hasel-, rispose con fermezza-, la prima cosa che dobbiamo fare è pregare e presentare le sue necessità a Dio. Egli ci mostrerà una via. Le due donne si inginocchiarono nella casetta su ruote.
Quando si alzarono, la sorella Geiser disse:
-Guardi, ho soldi da parte, glieli presterò, e quando arriverà l’assegno di sostegno per i suoi bambini, potrà restituirmeli.
Helene scosse la testa.- Non posso accettarli. E se succede qualcosa e ne ha bisogno?
-Sorella Hasel, domani potremmo essere tutti morti. È meglio che i suoi figli abbiano da mangiare piuttosto che io accumuli i soldi.
Detto questo, entrò nella piccola camera da letto del vagone e tornò con il suo cappotto e un cappello.
-Andiamo in banca-, disse. La signora Geiser ritirò dalla banca tutti i risparmi di una vita.
-Sorella Geiser-, disse Helene debolmente-. Come potrò mai ringraziarla per la sua generosità? Questo ci terrà in vita per sei mesi.
Il suo cuore cantava di gioia. Helene corse a casa a comprare del cibo. Nei giorni seguenti scrisse lettere alle agenzie governative e assistenziali spiegando la sua situazione e pregando di ricevere il suo assegno di sostentamento. Ma non ottenne alcuna risposta.
Infine scrisse a suo marito in Russia, raccontandogli la situazione e chiedendogli un consiglio. Attese con ansia una risposta, senza sapere se Franz fosse ancora vivo o se la lettera gli sarebbe mai arrivata.
Qualche giorno dopo ricevette una lettera dall’ufficio locale del partito. Aprendola, scoprì che la lettera proveniva dal capo del distretto, chiedendole di presentarsi al suo ufficio:
“Finalmente rispondono alle mie lettere”, pensò. “Ora avrò i miei soldi”.
Velocemente si infilò il cappotto e percorse i pochi isolati fino all’edificio occupato dai nazisti.
Quando mostrò la lettera all’ingresso, la ragazza dell’ufficio le lanciò uno sguardo strano e pietoso, e sparì in un altro ufficio. Un momento dopo tornò fuori:
-Prego-, disse-, indicando la porta aperta.
Helene entrò. Dietro una scrivania piena di carte, sedeva un uomo con la faccia rossa e il tipico naso blu di un forte bevitore.
-Frau Hasel-. Alzò un pezzo di carta-. Riconosce questo?
Helene si avvicinò con curiosità.
-Sì, è una lettera che ho scritto a mio marito qualche giorno fa. Come mai è arrivata a lei?
Lui la guardò acidamente-. Ci prendiamo la libertà di intercettare e censurare la posta scritta e ricevuta da persone sospette. Lei ammette liberamente di averla scritta?
-Sì-, disse Helene.
-Bene, desidero informarla che è vietato scrivere cattive notizie ai soldati che combattono al fronte. È vietato dire loro qualcosa di negativo su quello che succede a casa. Questo mina il loro morale e li trattiene dal dare il meglio per la Patria.
Sbatté la lettera sulla scrivania e la spostò fuori dalla sua portata.
-Questo tipo di attività sovversiva-, ringhiò-, è tradimento ed è punibile con la morte!
Helene fissò incredula.
-Sono mesi che non riceviamo denaro-, balbettò.
-Come possiamo vivere? Non è mio diritto scrivere a mio marito e sollecitare il suo aiuto?
-Lei ha commesso un crimine-, disse lui con freddezza-. Dovrà affrontare le conseguenze, presto avrà notizie da noi.
Fece un gesto sprezzante con la mano e alzò la voce verso la segretaria nella stanza accanto.
-Il prossimo per favore!
Helene tornò a casa con le gambe tremanti. Di nuovo chiese a Dio aiuto e saggezza. Passarono diverse settimane, ma non ricevette nessun assegno ancora. Continuò ostinatamente la sua campagna di telefonate e lettere alle agenzie locali chiedendo gli assegni mancanti per il mantenimento dei suoi figli.
Finalmente arrivò una lettera dal quartier generale del partito nazista nel centro di Francoforte. Le ordinavano di presentarsi davanti a Herr Springer, capo del partito nella Germania centrale, il lunedì mattina alle 10:00.
Sentendosi completamente impotente, Helene sprofondò su una sedia al tavolo della cucina e rilesse la lettera. Aveva sentito parlare di Herr Springer. Aveva la reputazione di essere il più spietato e crudele dei funzionari del partito locale.
La sede centrale! La gente la chiamava la Casa Bruna a causa del suo esterno in stucco marrone. All’inizio della guerra, i nazisti avevano preso possesso dell’edificio, e ora tutti evitavano la sua presenza minacciosa. “Dietro quelle porte”, si sussurravano l’un l’altro, “i nazisti commettono atrocità indicibili. Di molti tedeschi che entrano in quell’edificio non si sente più parlare”.
Alcuni avevano sentito dire che un passaggio segreto sotterraneo portava dalla Casa Bruna al quartier generale della Gestapo, e che gli indesiderabili venivano portati lì e poi trasportati nei temuti campi di concentramento. Altri sapevano di persone che erano state torturate nella Casa Bruna e costrette a confessare.
E ora Helene doveva andare in quel posto!
Cosa doveva fare? Forse poteva prendere i bambini e nascondersi. Ma anche in clandestinità, avrebbero avuto bisogno di soldi per il cibo. D’altra parte, se andasse alla Casa Bruna e venisse arrestata, che ne sarebbe dei suoi figli?
Si inginocchiò. “Padre mio, ho bisogno del tuo aiuto”, gridò. “Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza. Tu hai promesso che mi libererai dalla trappola del cacciatore. Rivendico questa promessa in questo momento. Affido me stessa e i miei figli alle tue cure”.
Mentre si alzava, una calma si posò su di lei.
Tutto ciò che disse ai bambini fu che lunedì avrebbe dovuto visitare la Casa Bruna e che avrebbero dovuto pregare per questo. Il Sabato, prima dell’inizio del culto religioso, Helene prese da parte vari membri della chiesa e tenne con loro consultazioni sussurrate. Prima del culto, ebbero momenti di preghiera, intercedendo per lei e implorando il Signore di tenerla al sicuro.
Arrivò il lunedì mattina:
-Bambini-, disse Helene-, oggi non andrete a scuola. Resterete qui a casa. Non uscite. Non guardate fuori dalle finestre. E siate molto silenziosi, in modo che i Doering non sappiano che siete qui. Promettetemi.
Con gli occhi sgranati, loro promisero solennemente.
Poi lei portò Kurt in camera da letto e chiuse la porta. Qualche minuto dopo, lui riapparve, con l’aria spaventata.
-Lotte-, disse Helene rapidamente-. È il tuo turno. Vieni in camera da letto.
-Kurt-, chiese Gerd, dopo che entrambe erano scomparse-. Perché hai un aspetto così strano? Che succede?
Kurt strinse le labbra e scosse silenziosamente la testa.
Poi fu il turno di Gerd. Dopo aver chiuso saldamente la porta, Helene gli disse:
-Ascolta molto attentamente quello che ho da dirti, perché ho il tempo di dirtelo solo una volta e la tua vita potrebbe dipendere da questo. Devo andare alla Casa Bruna tra pochi minuti. Tu resterai tranquillamente nell’appartamento per tutta la mattina. Non andare in giro e non fare rumore, così i vicini non ti sentiranno. Hai capito?
Gerd deglutì e annuì.
-Se tutto va bene, tornerò molto prima di mezzogiorno. Ma la Casa Bruna è un posto pericoloso e potrei non tornare. Ho preso accordi con le famiglie della chiesa per prendersi cura di tutti e tre. Se non torno per le 12:00, voglio che voi, uno alla volta, sgattaiolate fuori dalla casa con molta calma. Tu, Gerd, andrai alla fermata del tram e prenderai il tram numero 23. Alla settima fermata, scendi e prendi il numero 17 per quattro fermate. Scendi, e qualcuno della chiesa ti aspetterà lì e ti porterà in un nascondiglio segreto. Ricordatevi che con la chiesa sarete al sicuro. Ognuno di voi ha direzioni diverse.
Non dire a Lotte e Kurt quello che ti ho detto. In questo modo, se la Gestapo vi trova, non potrete tradirvi a vicenda. Ora, ripetimi le indicazioni in modo che io sappia che le hai capite bene.
Gerd aveva solo 7 anni, ma recitò accuratamente le istruzioni. Aveva capito la gravità della situazione. Helene si inginocchiò con lui e pregò per la protezione di Dio su di lui e su di lei.
-Ricordati sempre, Gerd-, gli disse-, che Dio è il nostro Padre celeste, e sarà con te anche se mi succede qualcosa.
Gli prese la mano e lo condusse fuori. Dopo aver indossato il cappotto e il cappello, sussurrò:
-Potrei non vedervi più. Loro non cercano me, cercano voi. Sanno che non possono farmi cambiare idea. Ma se si impadroniscono di voi mentre siete giovani, pensano di potervi far cambiare idea. Restate fedeli a Dio qualunque cosa accada. Ricordatevi di non aspettare oltre mezzogiorno.
Con questo chiuse silenziosamente la porta d’ingresso dietro di sé. Stando ben lontani dalla finestra, i tre bambini sbirciarono attraverso la tenda di pizzo e la guardarono farsi strada lungo il marciapiede fino alla fermata del tram nota come Lindenbaum, così chiamata per via di un tiglio di 400 anni.
Si sistemarono tranquillamente con i libri. Si sforzavano di leggere, ma trovavano difficile concentrarsi, e spesso alzavano gli occhi per incontrare lo sguardo spaventato dell’altro. Con timore guardavano l’orologio mentre passava un’ora dopo l’altra.
Alle 11:45 la madre non era ancora tornata.
In piedi al centro della stanza, scrutarono ansiosamente verso la fermata del tram. Nessun segno della madre.
-Dobbiamo vestirci-, sussurrò Kurt.
Entrarono in punta di piedi nell’ingresso e si misero scarpe e cappotti.
Cinque minuti prima delle 12.00 sentirono la campana di un tram che si allontanava da Lindenbaum. Un’ultima occhiata fuori dalla finestra. Poi videro una figura che correva sul marciapiede. Gettata al vento ogni prudenza, i tre si precipitarono alla porta:
-Mutti, Mutti, sei tornata! Cosa è successo?
Abbracciando ognuno di loro, Helene si sedette e disse:
-Ora ringrazieremo Dio perché ha fatto un miracolo-. Poi raccontò loro la sua mattinata.
Si era incamminata verso il centro, arrivando alla Casa Bruna un po’ prima delle 10:00. Alzando lo sguardo verso la minacciosa facciata, vide finestre sbarrate incastonate in muri di pietra spessi 30 centimetri. Notò che non c’era una maniglia nella porta d’acciaio. Sembrava più una prigione che un edificio governativo!
Perplessa, si chiese come entrare quando notò un piccolo pulsante incastonato nel muro. Lo premette e sentì un campanello lontano. Quando un cicalino suonò, spinse la porta aperta ed entrò. Dietro di lei la porta si richiuse con uno scatto morbido. Si girò e vide che non c’era nemmeno una maniglia all’interno. Una volta dentro, solo qualcuno con una chiave poteva farti uscire.
Un uomo in uniforme sbirciò attraverso una piccola finestra:
-Posso aiutarla?
Helene deglutì-. Ho un appuntamento qui alle 10.
-Mi faccia vedere la sua convocazione-. Lui diede un’occhiata alla lettera che Helene aveva ricevuto.
-Oh, sì. Con Herr Springer. Terzo piano, numero 11 a sinistra. La finestra si chiuse con un botto.
Helene salì con timore le scale nella casa inquietante e buia. Non incontrò nessuno, ma si sentì circondata dagli angeli. Bussò alla porta.
Una volta dentro, si avvicinò a una scrivania di noce scuro sulla quale c’era una spessa cartella e una targhetta di ottone lucido con inciso “Gauleiter Springer” (capo distretto Springer). L’uomo dietro la scrivania era snello, con la fronte alta, i capelli castani arruffati e gli occhi azzurri piccoli e stretti.
Lui tirò verso di sé una spessa cartella:
-Frau Hasel, ho qui dei documenti che sono molto compromettenti. Lei si rifiuta di iscriversi al partito o alla Lega delle donne. I suoi figli non vanno a scuola il Sabato. Lei ha scritto una lettera sovversiva a suo marito. Per anni ha resistito a tutti i nostri sforzi. Sembra una situazione molto sospetta. Lei è ebrea?
-No, sono ariana da 10 generazioni e ho dei documenti che lo provano.
-Allora cosa succede? Perché si rifiuta di collaborare?
-Signore, sono Avventista del Settimo Giorno.
Mentre parlava, Helene si sentì improvvisamente leggera e libera. Tutta la paura era sparita. Con coraggio continuò:
-Nei dieci comandamenti Dio ci chiede di adorarlo il settimo giorno e di santificare quel giorno. Le leggi di Dio sono valide ancora oggi. Ecco perché osservo il Sabato.
Mentre parlava, studiò il volto dell’uomo, ma non riuscì a leggere nulla nella sua espressione severa. Lui prese la cornetta del telefono e parlò al suo assistente.
-Per favore, controlli se Frau Helene Hasel è un membro della Chiesa Avventista del Settimo Giorno.
In pochi minuti il telefono squillò:
-Informazione confermata.
-Frau Hasel. Lei ha una bella faccia tosta a parlare apertamente di rispettare il Sabato in questo momento pericoloso, e proprio in questo edificio! -Fece una pausa, studiandola per un momento. Infine disse:
-Si dà il caso che io conosco gli Avventisti del Settimo Giorno. Conosce gli Schneider?
Helene li conosceva bene. Il fratello Schneider era un anziano della chiesa.
-Gli Schneider sono i nostri vicini. Quando siamo stati bombardati e ci siamo trasferiti accanto a loro, ci invitarono a cena e ci diedero asciugamani e lenzuola per poter ricominciare. Sappiamo che è stato un grande sacrificio per loro. Sono persone meravigliose. Ho molto rispetto per gli avventisti.
Helene era stupita.
Gli Schneider non avevano mai menzionato che il crudele capo del partito era il loro vicino.
-Ora, Frau Hasel-, disse-, voglio andare in fondo a tutta questa situazione. Lei dice di non aver ricevuto i pagamenti per il mantenimento dei suoi figli. Quale pensa sia il motivo? Per favore, mi dica liberamente quali sono i suoi sospetti.
Helene raccontò delle continue molestie da parte dei membri del partito e del loro odio verso di lei perché non si era unita.
-Voglio che lei sappia che non mi unirò mai, disse rispettosamente ma fermamente.
-Continuerò ad osservare il Sabato. Sarò fedele a Dio, non importa quali siano le conseguenze. Devo seguire la mia coscienza.
-Frau Hasel, ammiro il suo spirito- disse mentre si alzava in piedi-. Mi informerò su questo. Credo che ognuno debba essere libero di credere come vuole. Non si preoccupi, farò in modo che riceva i soldi.
Helene era stordita. Alla fine riuscì a far uscire qualche parola:
-Signor Springer-, disse-, non so come ringraziarla per la sua gentilezza. Che Dio la benedica!
Con un’espressione imperscrutabile sul volto, l’uomo si alzò per aprirle la porta:
-Frau Hasel-, disse-, Herr Springer si è svegliato molto male questa mattina. Non ha potuto venire al lavoro. Sto semplicemente sostituendo lui oggi.
Helene volò giù per le scale a cuor leggero. Evidentemente informato del suo arrivo, l’uomo dietro la finestra la aspettava con la chiave per aprire la porta. Le fece un inchino formale mentre la faceva uscire.
Qualche giorno dopo Helene fu avvisata che poteva presentarsi all’ufficio dell’assistenza all’infanzia per ritirare un assegno. Conteneva anche tutti i pagamenti arretrati.
Lontano a est, Franz e gli Zappatori avanzavano a passo sostenuto attraverso la Russia e l’Ucraina. All’inizio le cose erano andate bene per la Wehrmacht tedesca: nell’agosto del 1941 i sovietici avevano perso 3 milioni di uomini.
In Ucraina tuttavia, i tedeschi incontrarono problemi che nessuno aveva previsto. Marciando giorno dopo giorno attraverso campi pianeggianti di mais e grano, avevano poco su cui misurare i loro progressi. Da ragazzi erano cresciuti tra colline e alberi, e trovavano questa piatta vastità deprimente e disorientante; il morale era molto basso. E con l’arrivo dell’autunno, le piogge divennero più frequenti, trasformando le strade in pantani che erano impraticabili per tutti tranne che per i carri armati.
Ciononostante, gli Zappatori continuarono verso est. Raggiunsero Kremenchuk, dove la Compagnia 699 si separò dal resto del battaglione. Per una settimana rimasero isolati senza provviste di alcun tipo, e i soldati affamati cominciarono a mormorare di ammutinamento.
Una mattina Franz andò nei grandi campi a cercare qualcosa da mangiare. Tutto quello che riuscì a vedere fu il mais. Il mais non veniva coltivato in Germania e lui non sapeva che gli uomini potessero mangiarlo.
Con cautela, staccò una pannocchia e iniziò a sbucciarla. Poi diede un morso incerto. Il mais non era ancora maturo e i chicchi erano morbidi, lattiginosi e molto dolci. Franz mangiò a sazietà. Poi si caricò le braccia con tutte le pannocchie che poteva portare e tornò velocemente all’accampamento. “Chissà cosa penseranno”, si chiese. “Si prendono sempre gioco del mio vegetarianismo”.
-Ho trovato qualcosa da mangiare-, annunciò mentre entrava nell’accampamento.
Gli uomini accorsero con impazienza. Quando videro quello che portava, la loro eccitazione si trasformò in rabbia:
-Hasel, non ti aspetterai che mangiamo quella spazzatura! Questo è cibo per maiali!
-Non proprio- disse Franz-. Hanno un sapore molto buono.
Due o tre soldati imprecarono girando sui tacchi.
-Guardate, uomini. State morendo di fame-, implorò Franz-. Provate e basta. Farò un accordo con voi. Se non vi piace, vi lascerò sputare i chicchi sulla mia faccia!
Finalmente una mano si allungò e prese una spiga. Senza parole, l’uomo la morse, poi la mangiò rapidamente fino al tutolo della pannocchia e ne prese un’altra. Più di qualsiasi cosa che Franz potesse dire, questo convinse gli altri. Ben presto tutta la compagnia si diresse verso il campo e soddisfò la propria fame. Il vegetariano aveva salvato la giornata! Dopo qualche giorno si ricongiunsero con il resto della compagnia e la crisi finì.
A quel tempo pioveva a dirotto, e il freddo era diventato pungente. A Novomoskovsk gli Zappatori dovettero rimanere per un mese prima che le strade fossero abbastanza asciutte per continuare. Quando continuarono, riuscirono a percorrere solo 50 miglia al giorno.
Poi in ottobre cadde la neve. Fu presto evidente che le uniformi estive tedesche e gli stivali leggeri erano tristemente inadeguati in questo clima inospitale. Ma continuarono ad avanzare.
-Hasel, vieni qui-, disse un giorno il sergente Erich Neuhaus. -Sì, sergente? -Voglio vederti immediatamente nei miei alloggi.
Una volta lì, il sergente disse:
-Hasel, ho notato che sei l’unico uomo della nostra compagnia che non si è fatto neanche un graffio o un livido in questa guerra. Sembra che i proiettili stessi ti schivino.
-Non ci avevo pensato in questo modo, ma forse ha ragione-, rispose Franz, chiedendosi dove stesse andando questa conversazione.
Il sergente Neuhaus sorrise.
-D’ora in poi io e te condivideremo lo stesso alloggio! Sarai il mio angelo custode!
-Sì, signore! Certamente, signore! -Franz salutò portando la mano destra al cappello.
Il sergente Neuhaus scosse la testa manifestando diniego al continuo rifiuto di Franz di fare il saluto hitleriano, ma da allora Franz e il sergente Erich condivisero l’alloggio. Franz scoprì presto che loro due stavano spesso meglio dell’Hauptmann stesso, dato che il sergente aveva un talento straordinario per scoprire comodi nascondigli. Era un accordo che i due mantennero per il resto della guerra. Comunque, gli alloggi più belli, erano freddi, sporchi e infestati da pulci e pidocchi.
Una notte, in un kolchoz, l’intera compagnia decise di dormire in una gigantesca stalla riscaldata dai corpi di centinaia di mucche. Mentre raccoglievano fasci di paglia per i loro letti, notarono che il posto era invaso dai ratti. Disgustati, gli uomini salirono sulle travi e posero delle tavole su di esse per creare delle piattaforme per dormire. Misero i loro sacchi, che contenevano tutto il loro cibo, saldamente sotto le loro teste per protezione, e dormirono più in alto dal pavimento infestato dai ratti.
La mattina dopo scoprirono che i ratti avevano sgattaiolato lungo le travi, avevano rosicchiato buchi nei sacchi e mangiato il cibo da sotto le loro teste. Non era rimasta neanche una briciola. Furiosi, gli uomini si misero a cercare le tane dei ratti fuori dalla stalla. Armandosi di robusti bastoni, presero posizione. Ogni volta che vedevano una faccia di ratto che sbirciava fuori, li colpivano con tutte le loro forze. In questo modo uccisero 30 ratti in 10 minuti. Si erano vendicati e ora potevano proseguire.
Solo una volta in tutto il loro viaggio videro un bel villaggio. Controllando la mappa, scoprirono che si trattava di Huttich. Le case, anche se costruite in fango secondo la moda rurale russa, erano ricoperte di stucco bianco che brillava al sole. Le strade erano pulite e prive di spazzatura. I pavimenti di terra erano ben spazzati, e le finestre avevano tende brillanti fatte di stampe di cotone colorato. Che gioia era passare anche una sola notte in un posto che sembrava la propria casa!
La prossima meta era Kramatorsk a sud. La temperatura scendeva costantemente. Non c’era foresta in questo terreno agricolo, così i soldati abbatterono lampioni in legno, anche dagli edifici decrepiti che trovavano lungo il loro percorso, per usarli come legna da ardere in modo che potessero riscaldare i loro alloggi durante la notte.
-Resterete qui per un po’ di tempo- è stato detto loro-. Dovete riparare una segheria, perché diversi ponti devono essere costruiti attraverso il fiume Donec.
Presto gli Zappatori furono impegnati a fare alcuni dei lavori per i quali erano stati addestrati: tagliare il legno e preparare capriate d’acciaio.
Così arrivò un altro Natale. Com’era diverso dalle feste chiassose degli anni precedenti! La vigilia di Natale l’Hauptmann condusse un lugubre culto religioso per ricordare i molti compagni che avevano perso la vita.
In seguito non ci furono tavole imbandite con torte di spezie e vino. Invece una sorpresa diversa attendeva i soldati. Nel pomeriggio erano arrivati 12 sacchi di posta. Ora, mentre ogni soldato riceveva i tanto desiderati messaggi da casa, c’era più felicità nell’unità di quanta ce ne fosse mai stata alle feste rumorose e ubriache delle feste precedenti. Era il miglior regalo di Natale per gli uomini. Tranquillamente tornarono ai loro alloggi per leggere le loro lettere e passare mentalmente la vigilia di Natale con i loro cari.
Franz scoprì che una lettera di sua madre aveva impiegato 85 giorni per raggiungerlo, e una di Helene aveva impiegato più di tre mesi. Lui stesso aveva scritto una lettera di Natale alla sua famiglia settimane prima. La fece decorare da un compagno con un disegno della stalla di Betlemme, con una mucca, un asino e delle pecore. Sopra di loro brillava una brillante stella dorata. Si chiese se l’avessero ricevuta.
Anche la vigilia di capodanno fu diversa. Si riunirono insieme nella sala della comunità a chiacchierare. Per la maggior parte degli uomini era la prima volta nella loro vita che accoglievano il nuovo anno senza una goccia di alcol. Presto la conversazione si rivolse alla politica e alle loro speranze per il futuro.
Improvvisamente il tenente Gutschalk disse: Il Führer è il mio dio! La mia fiducia è in lui!
-Signore-, esclamò Franz senza pensarci-, Lei ha un dio triste! Con la faccia rossa, Peter Gutschalk saltò in piedi. -Cosa? Come osi dire una cosa del genere? Franz si rese conto di aver preso un abbaglio. Frettolosamente cercò di rimediare:
-Sì, l’ho detto-, disse-, e lo dirò di nuovo. Ma quello che volevo dire è che Hitler è umano come lei e me. E un giorno morirà come lei e me. E quando sarà morto, non avrà più un dio. Non è triste?
Poi Franz indicò un pezzo di pane sul tavolo.
-Vede questo pane, Peter? Hitler non ha fatto il grano da cui è cresciuto, solo il nostro Dio Creatore può farlo.
Il suo mento fremeva di rabbia. Il tenente ruggì:
-Hasel, questa volta hai esagerato! Farò in modo che ci siano delle ripercussioni!
Improvvisamente l’Hauptmann saltò in piedi. Con una voce tagliente come l’acciaio, disse nel silenzio:
-Uomini, questa è la vigilia di capodanno. Solo stiamo avendo una conversazione privata. Non ci saranno ripercussioni! Buona notte! -Con ciò girò il tacco e uscì.
L’atmosfera si era rotta, e anche gli altri andarono nei loro alloggi. Franz si rese conto di aver detto troppo questa notte. Nella sua stanza prese la sua Bibbia e rilesse Amos 5:13 “Ecco perché, in tempi come questi, il saggio tace; perché i tempi sono malvagi”. Decise quindi di essere più prudente in futuro.
In superficie le cose si sistemarono di nuovo, ma quando pochi giorni dopo Franz passò davanti a Gutschalk e vide l’odio puro nei suoi occhi, seppe che l’insulto non era stato dimenticato.
In gennaio ci furono scaramucce quotidiane con le truppe sovietiche. Durante uno scontro a fuoco un zappatore sembrava essere leggermente ferito. Quando gli uomini riuscirono a portarlo in salvo, era già morto. Nel silenzio scioccante lo esaminarono e scoprirono che oltre al colpo che gli aveva sfiorato la coscia, un’altro proiettile gli aveva raggiunto il cuore contemporaneamente. Lo stesso pomeriggio scavarono una tomba per il loro camerata e poi si riunirono per la breve cerimonia funebre che l’Hauptmann condusse. Dopo 10 minuti di freddo pungente, le orecchie dell’Hauptmann erano congelate. La temperatura era di -37°C.
In patria il Reichsleiter Goebbels (Ministro della Propaganda), incapace di procurare uniformi calde per la Wehrmacht, aveva lanciato una campagna di raccolta di abiti invernali e pellicce da donna dal popolo tedesco. Le donazioni, tuttavia, erano tristemente inadeguate, e nessuna di esse raggiunse mai gli Zappatori.
Pieno di risorse come sempre, Franz passò la sera dopo il funerale a pensare a come proteggersi dal freddo. Prese due calzini, tagliò le punte e li mise da parte. Poi aprì ciascuna delle parti lunghe e le cucì insieme. Infine, raccolse un’estremità del tubo largo e lo cucì insieme. Ora aveva una sorta di berretto copriorecchie.
La mattina, quando uscì dal suo alloggio, tutti gli puntarono il dito e risero:
-Vegetariano, che idea folle hai avuto ora? Sembri uno spaventapasseri! Sei una vergogna per la Wehrmacht tedesca!
Imperturbabile, Franz sorrise. -Continuate pure a ridere. Almeno le mie orecchie sono calde!
Nel corso della giornata, la temperatura era scesa a -43°C. Altri venti uomini avevano le orecchie gelate. La mattina seguente, ogni membro della Compagnia 699 indossava un berretto fatto di calzini.
Franz era fortunato ad avere un lavoro d’ufficio. Anche se il ghiaccio sui vetri delle finestre del suo ufficio era a volte spesso cinque centimetri, finché era al chiuso poteva stare al caldo. E quando aveva delle commissioni da fare fuori, si infagottava. Indossava tre paia di pantaloni, due cappotti e due paia di guanti. Sulla testa indossava due berretti da “spaventapasseri” e li copriva con il suo cappello militare regolamentare. Infine, si avvolgeva una sciarpa intorno al viso in modo che solo i suoi occhi fossero liberi. Poi si avventurava fuori.
Quando la compagnia doveva riunirsi all’esterno, i loro nasi erano congelati entro tre o quattro minuti. I tedeschi, non abituati a tali condizioni, tentarono il rimedio più logico. Portavano dentro gli uomini che soffrivano di congelamento e li mettevano vicino alla stufa calda. Il rapido riscaldamento creava spesso un danno maggiore.
-No-, dissero gli ucraini che videro cosa stava succedendo-. Bisogna prima strofinare la parte congelata con la neve finché non diventa rossa e calda e inizi a sentire una sensazione di formicolio. Allora saprete che la circolazione del sangue è stata ristabilita e la parte è stata salvata.
Ciononostante, gli Zappatori e il resto dell’esercito tedesco subirono pesanti perdite a causa del freddo: dita, orecchie, nasi. Spesso piedi e gambe dovettero essere amputati. Durante la parte più fredda dell’inverno, in un periodo di sole due settimane, completamente un quarto della Wehrmacht di stanza in Unione Sovietica divenne disabile a causa dei danni da congelamento. Le temperature brutali, che a volte scendevano a -51°C, duravano per molte settimane.
Tuttavia, mentre i tedeschi erano quasi paralizzati dal freddo, l’effetto sull’Armata Rossa sembrava essere minimo. Per tutto il mese di gennaio, gli Zappatori furono oggetto di bombardamenti quotidiani e attacchi di artiglieria. Ogni volta c’erano vittime, sia soldati che civili. Gli aerei tedeschi fornivano agli Zappatori munizioni e cibo, e trasportavano i malati e i feriti.
Mentre si stabilirono in una zona di Donetsk, gli aerei smisero di arrivare, e la Compagnia 699 fu tagliata fuori dalle linee di rifornimento per un paio di settimane. Erano appena usciti da una pesante battaglia che li aveva lasciati con un solo carro armato funzionante e nessuna munizione.
Circondati dalle forze russe, ricorsero all’inganno per confondere il nemico. Portavano il carro armato sulla collina a destra, lo guidavano lungo la cresta per un po’, poi rapidamente a valle, cambiavano targa, successivamente lo portavano su per il lato sinistro, e poi lo facevano scendere, e così andò avanti e indietro ripetutamente. Ventiquattro ore al giorno continuavano a farlo. Fortunatamente i molti pozzi di petrolio ucraini li tenevano ben riforniti di gasolio, e il singolo carro armato sembrava onnipresente. I russi, intimiditi da questa dimostrazione di prodezza militare, non osavano attaccare, e alla fine le merci trasportate per via aerea arrivarono di nuovo.
Con il passare dei mesi, la temperatura si riscaldava lentamente, raggiungendo a volte -17°C. Come animali in letargo, la Wehrmacht emerse dai suoi alloggi dove si era rintanata per i mesi più freddi. Così l’avanzata tedesca riprese.
A differenza dell’estate e dell’autunno precedenti, però, l’Armata Rossa contrattaccò ferocemente. I tedeschi non potevano più sfilare con sicurezza, ma dovevano avanzare a piccoli passi sotto il fuoco dell’artiglieria pesante. Gli Zappatori costruirono un ponte sul fiume Torez, fatto interamente di tubi d’acciaio saldati insieme, e continuarono verso est. Più tardi in primavera tutti i sopravvissuti della battaglia invernale furono premiati con una medaglia. Tuttavia, nessun risarcimento poteva compensare le avversità che avevano sopportato.
Una sera, in un grande villaggio, un’altra unità li raggiunse e condivise il loro alloggio. Gli uomini alti nelle loro caratteristiche tuniche nere su misura con le insegne argentate a forma di teschio e ossa incrociate sui loro berretti da campo con visiera, appartenevano allo Schutzstaffel (le SS), il corpo militare e di polizia d’elite di Hitler. Sulle loro braccia c’erano bracciali rosso sangue con la svastica nera in un cerchio bianco. Conosciuti per la loro crudeltà e la loro indiscussa fedeltà a Hitler, ispiravano paura anche in Germania.
A notte fonda Franz fu strappato al sonno da un tumulto nel villaggio. Si sentiva che correvano, sbattevano, lo scricchiolio delle porte di legno che si scheggiavano, voci tedesche che imprecavano, le urla di donne e bambini. Alla fine si fece silenzio. Pensò di aver sentito degli spari in lontananza, ma non ne era sicuro.
Alla fine della coda per il cibo, la mattina dopo, Franz cercò informazioni da Willi Fischer.
-Willi, hai sentito quel rumore ieri sera? Cosa stava succedendo?
Willi guardò furtivamente intorno.
-Erano le SS-, sussurrò-, che facevano il loro dovere.
-Il loro dovere? Cosa vuoi dire?
La voce di Willi si abbassò ancora di più.
-La soluzione finale di Hitler!
Franz lo guardò senza capire-. Non ti capisco.
-Dove sei stato, amico? Stanno liquidando gli ebrei. Li radunano, li portano nella foresta e li fucilano come animali.
Stordito, Franz si limitò a fissare Willi. -Impossibile. -Franz. Vai avanti, e qualunque cosa tu faccia, non parlarne. Franz prese il suo piatto di latta.
-So come ti senti-, disse Willi-. Nemmeno io sono favorevole a Hitler. Ma non siamo responsabili di quello che fanno le SS. Noi abbiamo i nostri doveri, e loro hanno i loro. È sulla loro coscienza, non sulla nostra. Se vuoi salvarti il collo, Franz, stanne fuori. Non interferire!
-Willi, non posso stare a guardare e…
Willi si chinò sul tavolo finché il suo viso non fu a pochi centimetri da quello di Franz.
-So come sei-, sibilò furioso-. Aprirai la tua grande bocca e ti ritroverai davanti alla corte marziale!
Franz tornò al suo alloggio profondamente turbato da ciò che aveva appreso. Non poteva essere d’accordo con Willi sul fatto che non avevano alcuna responsabilità in questo. Se rimanevano a guardare mentre avveniva un omicidio, non erano anch’essi colpevoli di omicidio? Come era sua abitudine, Franz portò questo dilemma al Signore:
“Padre celeste”, pregò, “per favore mostrami come rapportarmi a questa situazione. Cosa vuoi che io faccia?”.
Il giorno dopo, quando gli Zappatori stavano andando via, ebbe la sua risposta. Capì allora perché non era stato assegnato al gruppo dei paramedici. Dio evidentemente voleva che arrivasse agli ebrei prima delle SS.
Da quel momento in poi, ogni volta che la sua compagnia attraversava un villaggio, Franz sgattaiolava via ed entrava nei negozi, nelle aziende e in tutte le case che poteva raggiungere. Poiché l’Ucraina era popolata per lo più da ex tedeschi che avevano accettato l’offerta di Caterina la Grande di emigrare in Russia e coltivare la terra, poteva comunicare facilmente con loro.
Ripeteva ovunque lo stesso messaggio:
“Le SS ci seguono uno o due giorni dopo di noi. Le riconoscerete dalle loro uniformi nere con il teschio e le ossa incrociate sul cappello. Quando arriveranno qui, raduneranno gli ebrei come bestiame e li uccideranno. Se siete ebrei, prendete del cibo e le vostre famiglie e andate via subito. Nascondetevi nella foresta o nelle grotte, ovunque possiate trovare un buco ove nascondervi. Andate in fretta, non c’è tempo da perdere. Spargete la voce! Fate in fretta, fate in fretta! E che Dio sia con voi!”
Molti salvarono la loro vita perché ascoltarono il suo avvertimento e si nascosero nelle foreste. La maggior parte di loro, tuttavia, era più preoccupata di proteggere le loro proprietà. Aggrappandosi ai loro beni, persero la vita.
Le misteriose visite di Franz al villaggio non erano sfuggite agli occhi dei suoi compagni:
-Che cosa ha Hasel da fraternizzare continuamente con i civili? -si chiedevano con sospetto.
Nessuno lo sapeva con certezza; solo Willi e Karl sospettavano la verità. Vennero lealmente in difesa del loro amico:
-Lasciatelo in pace. Dovresti essere contenti che vada in giro a comprare la merce locale. Altrimenti perché pensate che il suo negozio sia sempre così ben fornito? Se non lavorasse così duramente per voi, non sareste in grado di avere uova fresche e caramelle e altri lussi.
Questo effettivamente tacitò gli uomini.
Qualche settimana dopo, la battaglia costrinse gli Zappatori a tornare in un villaggio che avevano lasciato il giorno prima. Nel bosco Franz sentì voci tedesche che gridavano e imprecavano. La sua curiosità fu risvegliata. Nascondendosi dietro gli alberi, seguì le voci. Presto arrivò in una radura alveolata da trincee che i soldati russi avevano scavato.
Gli uomini delle SS stavano guidando i civili ebrei attraverso il bosco. Uomini, donne e bambini, diverse dozzine di loro. Inorridito, Franz capì che questi erano gli ebrei che non avevano ascoltato il suo avvertimento del giorno prima. Silenziosi e a piedi nudi camminarono sulla neve.
Quando raggiunsero la radura, i soldati ordinarono loro di inginocchiarsi di fronte alle trincee. Poi, fila dopo fila, li colpirono alla nuca e lasciarono i loro corpi cadere nelle trincee. Per ultima arrivò una madre con i suoi sei figli. Singhiozzando, i bambini terrorizzati si aggrapparono alla madre.
-Prima lei! -gridarono le SS.
Le strapparono brutalmente i bambini dalle sue braccia, la costrinsero a inginocchiarsi e le spararono nel collo.
Franz aveva visto abbastanza. Scendendo dagli alberi, si avvicinò agli uomini:
-Come potete fare una cosa del genere e sparare a questi bambini innocenti?
Le SS lo fissarono:
-Amico, dove sei stato tutta la vita? Sono soprattutto i bambini che devono essere uccisi! Se vivono per crescere, diventeranno i nostri più grandi nemici. Ecco! -presero una pala-. Visto che ti dispiace così tanto per loro, puoi almeno dargli una sepoltura decente. Ecco, coprili!
Gettò la pala a Franz. Gli altri risero raucamente. Sempre ridendo, si allontanarono di corsa.
Franz si sentì male. Dovette appoggiarsi a un albero per un po’ per recuperare la sua compostezza. Infine si avvicinò alle trincee e cominciò tristemente a coprire i corpi con la terra.
Improvvisamente si fermò. Pensò di aver sentito un gemito provenire da una delle trincee. Sì, sentì un altra volta il gemito. Lasciò cadere la pala e scrutò i corpi. Erano immobili. Poi notò un piccolo movimento sotto uno dei bambini che era stato colpito con la madre. Saltò nella trincea e raccolse delicatamente il corpo insanguinato di una bambina. Era morta, dopo tutto, e la depose con cura su un lato.
Ma sotto di lei un uomo era ancora vivo. Con tutte le sue forze, Franz lo raccolse e lo tirò fuori dalla trincea. L’uomo era incosciente ma respirava ancora. Una pallottola gli aveva attraversato la testa. Non sembrava aver sanguinato molto. Forse poteva essere salvato. Franz si issò l’uomo sulla schiena e si diresse verso il villaggio. Il suo piano era di portarlo tranquillamente nei suoi alloggi e di fasciarlo lì.
Quando si avvicinò al campo, barcollando sotto il suo carico, fu avvicinato da un uomo delle SS:
-Che cosa stai portando lì?
-Quest’uomo è gravemente ferito e ha bisogno di cure mediche immediate!
L’uomo delle SS notò che non era uno dei soldati tedeschi:
Dannazione! -urlò-. Stiamo uccidendo gli ebrei, non li stiamo salvando! Come osi interferire!
A questo punto altri zappatori erano usciti di corsa, tra cui il tenente Peter Gutschalk. Diede un’occhiata, e capì esattamente cosa era successo. Strappò l’uomo dalla schiena di Franz. Quando l’uomo cadde a terra, il tenente gli mise la pistola in bocca e premette il grilletto:
-Hasel, ancora tu! -ringhiò, tremando di rabbia-. Avrei dovuto saperlo! Ti dico una volta per tutte che ne ho abbastanza del tuo comportamento sovversivo. Il mio obiettivo è vederti distrutto. Non sei migliore del porco ebreo che hai cercato di salvare! Non mi sfuggirai. Se potrò, ti cercherò su tutta la terra. Non c’è posto nel nuovo mondo che stiamo costruendo per gente come te! E questo vale anche per i tuoi due amici!
L’inimicizia aperta era stata dichiarata. Franz si chiese se avrebbe perso la vita in guerra non per mano del nemico, ma di un suo compatriota.
“Dacci oggi”, mormorò Helene, “il nostro pane quotidiano”.
Era una preghiera che faceva spesso in quei giorni. Anche se riceveva di nuovo il suo regolare assegno di mantenimento, il cibo era sempre più difficile da trovare.
Ancora peggio, Helene era malata da un po’ di tempo. Non aveva molta fiducia nei medici, così li evitava il più a lungo possibile. Alla fine, quando trovò difficile persino alzarsi in piedi, andò dal dottor Richels.
Dopo un’accurata visita, egli disse:
-Frau Hasel, lei è incinta.
Helene rimase a bocca aperta. Quando riuscì a recuperare il senno, protestò:
-Non sono incinta.
-Lei è incinta-, insistette lui.
-Le scriverò un attestato che le darà diritto a razioni extra di pane, riso, latte e burro.
-Dottore, so di non essere incinta. Mio marito è in Russia. Non è stato in licenza per mesi.
La voce del dottor Richels era gentile.
-Non si affligga, Frau Hasel. Vedo sempre donne incinte i cui mariti non sono in casa. È solo la natura umana: le persone si 95
sentono sole. Nel frattempo, qui c’è il certificato che le farà avere delle tessere di razionamento in più. Torni tra un mese.
Helene lasciò il suo ufficio scuotendo la testa. Ma il cibo extra era una manna dal cielo per i bambini, e completava il loro piccolo orto.
Prima della guerra, lei e suo marito avevano affittato questo appezzamento, e ora lei ci lavorava ogni giorno, usando ogni centimetro di terra per coltivare verdure, che li aiutavano a superare l’estate. Quello che non potevano mangiare, lei lo conservava per l’inverno. E in autunno, andavano di nuovo a raccogliere le patate lasciate nei campi dai contadini dopo il raccolto. Prendevano anche il tram alla sua fermata terminale e facevano un’escursione nei boschi dove il terreno era coperto di noci di faggio. Ne riempivano secchi e secchi, e tornati a casa, Helene schiacciava le piccole noci e ne estraeva alcune tazze di prezioso olio.
-Come sta il bambino? -Il dottor Richels le chiedeva, mese dopo mese:
-Non sono incinta-, insisteva lei.
Lui ridacchiava gentilmente e le rinnovava le razioni extra. Alla fine, a sette mesi, ammise di aver fatto una diagnosi sbagliata. Questo, naturalmente, non fece molto per la fiducia di Helene nei medici. Tuttavia, riconobbe che Dio si era servito di quest’uomo per provvedere alla sua famiglia.
Nel frattempo il bombardamento di Francoforte continuava. Notte dopo notte, Helene e i bambini venivano strappati dal sonno dalle urla delle sirene dei raid aerei. Notte dopo notte si affrettavano attraverso le strade spaventose verso il bunker.
Una notte l’attacco fu particolarmente terribile:
-Kurt! Lotte! Gerd!- Helene urlò-. Alzatevi, alzatevi!
Ma non riuscì a svegliare i bambini che dormivano giá da un bel po’, e quando finalmente raggiunsero la strada, questa era deserta. Attorno si sentiva il sottile fischio delle bombe che cadevano, e poi le esplosioni fragorose.
“Non ce la faremo ad arrivare al nostro bunker”, pensò Helene.
In preda alla disperazione, si era accalcata con i bambini verso il rifugio sotterraneo di una casa che si trovava lungo la strada. Aggrappandosi alla porta, la aprì di scatto. Le mani di qualcuno si allungarono, li tirarono dentro e sbatterono la porta.
Alla luce fioca di una lanterna a cherosene, Helene scorse delle forme rannicchiate. Vide che i proprietari avevano obbedito alle norme governative e avevano equipaggiato il rifugio con maschere antigas, secchi d’acqua e coperte per spegnere le fiamme. Contro un’altra parete erano allineati dei secchi di sabbia. Una delle armi temute dagli alleati era la bomba al fosforo. Quando una goccia di fosforo ti colpiva la mano, ti faceva un buco da parte a parte. L’acqua non avrebbe fermato la combustione; ma mettendo la mano nella sabbia il fosforo si sarebbe spento.
Mentre le bombe si avvicinavano sempre di più, il pavimento del seminterrato tremava. Come era stato insegnato loro, le persone si sdraiarono in silenzio a pancia in giù nel rifugio, si misero le dita nelle orecchie per evitare che i timpani si rompessero per la commozione, e aprirono la bocca per evitare che i polmoni scoppiassero per la pressione dell’aria.
Finalmente il bombardamento cominciò a diminuire. Il gruppo nel rifugio stava finendo l’ossigeno. Cautamente qualcuno aprì la porta di uno spiraglio per rivelare un muro di fuoco appena fuori.
Tutti sembravano troppo scioccati per fare qualcosa. Nella disperazione, Helene prese il comando:
-Dobbiamo uscire-, disse-, o soffocheremo.
Prese le coperte, le immerse nei secchi d’acqua e ne diede una ad ogni persona. Strettamente avvolte, le persone si tuffarono tra le fiamme. Kurt corse per primo, poi Lotte e Gerd, mentre lei seguì per ultima. Gerd, curioso di vedere cosa stava succedendo, sbirciò fuori dalla sua coperta. Una fiamma gli lambì il viso, e quando arrivarono dall’altra parte della strada, le sue sopracciglia erano state bruciate.
Tremanti e stanchi, si trascinarono fino al loro appartamento. Miracolosamente, era illeso.
La famiglia non riceveva notizie di Franz da mesi. Era ancora vivo? Solo di tanto in tanto i notiziari rivelavano dove si trovavano gli Zappatori. Su una mappa dell’Europa dell’Est, Helene e i bambini tracciavano la sua rotta come meglio potevano.
Una tetra sera di fine gennaio, bussarono alla porta. Gerd corse ad aprire:
-Guten Tag-, disse gentilmente ad uno sconosciuto alto e fangoso. Poi i suoi occhi si allargarono.
-Papa-a-a-a-a-a!
Era vero, Franz era a casa. Gli erano state concesse tre settimane di licenza. Facendo l’autostop su treni e camion dell’esercito, gli ci era voluta una di quelle settimane per arrivare a casa. Ma ora era a casa, ed era vivo.
La famiglia trascorse molte serate ricordando i pericoli che avevano attraversato e raccontando la meravigliosa protezione di Dio. Di giorno Franz attraversava la città alla ricerca di commercianti di carbone che potessero integrare le scarse scorte di carburante che Helene aveva lasciato. Lei, a sua volta, usava le sue razioni di zucchero accuratamente accumulate in una torta fatta di farina d’avena, porridge, un po’ di farina di grano e del lievito in polvere. Non aveva né uova né olio. Anche se la torta era pesante e grossolana, la famiglia banchettò con quella prelibatezza e la apprezzò più dei bignè leggeri come una piuma che avevano assaggiato prima della guerra.
Con gli occhi lucidi Gerd esaminava le medaglie che Franz aveva riportato. Una mattina le portò di nascosto a scuola e le mostrò ai suoi amici.
-Il mio papà è un grande soldato-, si vantava-. Sta aiutando la Germania a vincere la guerra-. Orgoglioso si dirigeva verso il prossimo gruppo di bambini.
Helene trovò le medaglie nelle tasche dei pantaloni di Gerd dopo che lui si era cambiato nei suoi vestiti da gioco.
Quella sera Franz riunì la famiglia intorno a sé. Disse:
-Voglio che immaginiate un paese come nessun altro sulla terra. La gente è prosperosa e vive in belle case. Hanno macchine e cibo meraviglioso ogni giorno. Il paese ha molte leggi. Una delle leggi proclama che è vietato adorare Dio. Un’altra legge dice che il governo ucciderà i bambini e gli adulti che sono diversi. Solo le persone che sono forti, sane e intelligenti e che seguono tutte le leggi del governo potranno vivere.
I bambini seguirono questo fantastico scenario con gli occhi spalancati. Ora Franz chiese loro:
-Vi piacerebbe vivere in un paese del genere? -Sarebbe orribile! Se non gli piacessimo, potrebbero ucciderci! Gerd aveva riassunto meglio la situazione.
-Non potrei godermi nessuna delle cose meravigliose perché avrei troppa paura di uscire di casa. Non potrei nemmeno andare a scuola, nel caso in cui l’insegnante pensasse che non sono abbastanza intelligente!
Franz fece una lunga pausa. Infine disse:
-Bambini, se la Germania vince la guerra, diventerà il paese che vi ho appena descritto.
Molto scossi, si inginocchiarono per pregare. “Caro Signore, ti preghiamo di non permettere che vinciamo la guerra. Fa’ che la Germania perda presto, in modo che la sofferenza finisca”.
Troppo presto arrivò il momento degli addii. Questa separazione fu ancora più dura della prima, perché ora si rendevano conto più che mai che avrebbero potuto non rivedersi più.
Dopo la partenza di Franz, Helene si sentì di nuovo male e presto si rese conto che questa volta era davvero incinta. Con il cuore pesante tornò dal dottor Richels. Come sarebbe stata in grado di prendersi cura di un quarto figlio, senza la fine della guerra in vista?
Il dottor Richels confermò la gravidanza e diede di nuovo razioni extra. Almeno avrebbero superato un’altra estate.
Mentre la guerra si intensificava, gli alleati intensificarono i loro bombardamenti sulla Germania. Ogni notte gli avvisi di raid aerei suonavano mentre squadriglie di bombardieri ronzavano sopra le loro teste. Giorno dopo giorno, quando Helene riceveva la posta, scrutava ansiosamente le buste. Sussurrava una preghiera di ringraziamento ogni volta che non ce n’era una con i bordi neri. Sapeva la temuta notizia che contenevano quelle lettere: “Siamo spiacenti…” cominciavano, e continuavano: “Suo marito è morto da eroe per la Patria”. Migliaia di donne tedesche ricevevano simili lettere. Ogni edizione del giornale, il Frankfurter Generalanzeiger, conteneva lunghe colonne bordate di nero piene di nomi di soldati locali uccisi in azione.
Ora il quinto inverno di guerra era alle porte, e un bambino stava per nascere. Per le altre tre nascite, Helene era stata ricoverata in ospedale. Ma questa volta sarebbe stata diversa. Gran parte del centro di Francoforte giaceva in rovine fumanti. Gli ospedali che ancora funzionavano accettavano solo casi di emergenza. Aiutate solo da un’ostetrica, le donne dovevano partorire a casa.
In una notte gelida e piovigginosa di fine settembre Helene si riposò sul divano della minuscola cucina mentre Lotte e Gerd lavavano i piatti e riordinavano. Faceva freddo, le razioni di carbone che avevano ricevuto per l’inverno erano sufficienti solo per riscaldare questa stanza, e il radiatore era spento se non era assolutamente necessario.
Kurt andò sistematicamente di finestra in finestra assicurandosi che le tende oscuranti fossero ben chiuse. Capiva che anche uno spiraglio di luce poteva rivelare la posizione degli edifici agli aerei nemici che volavano a bassa quota in cerca di obiettivi. La disattenzione poteva causare la morte di molte persone.
Per tutto il pomeriggio Helene era stata nelle prime fasi del travaglio. I bambini sembravano rendersi conto di quanto si sentisse impotente e avvilita.
-Mutti-, disse Lotte confortante-. Non avere paura.
-Ci prenderemo cura di te-, disse Gerd.
Helene sorrise nonostante il dolore. Le contrazioni si susseguivano a intervalli regolari.
-Lotte. Gerd-. La sua voce suonava debole-. È ora che andate a letto.
Mentre i due bambini andavano obbedientemente nella loro stanza, lei girò la testa verso Kurt:
-Kurt, vestiti bene. Mettiti la sciarpa e i guanti e vai a chiamare Frau Gabel, la levatrice.
Kurt camminò con esitazione fuori nella notte pungente. Le regole dell’oscuramento esigevano che non ci fossero luci accese, e nessun barlume di luce brillava da nessuna delle abitazioni. L’unica illuminazione era un bagliore arancione nel cielo, proveniente dagli incendi che stavano consumando Francoforte.
Mentre si affrettava, sentì il familiare ronzio degli aerei e il fischio delle bombe, poi il rombo delle esplosioni. L’urto delle esplosioni scuoteva le case e faceva tremare i vetri delle finestre, e l’aria fredda gli passava davanti alle orecchie e gli toglieva il respiro. Alla fine raggiunse la casa di Frau Gabel che afferrò la sua borsa nera e lo seguì nella notte.
Tornati all’appartamento, lei cominciò a dargli ordini:
-Kurt, fai bollire molta acqua-, disse-. Poi prendi delle lenzuola pulite e portale nella stanza di tua madre, fa troppo freddo qui.
-Ho acceso il radiatore poco tempo fa.
-Bene-, disse lei-. Ora rimani qui fuori in cucina. Ti faccio sapere se ho bisogno di te.
Alcune ore dopo, Kurt sentì un piccolo lamento.
Come per magia, Lotte e Gerd apparvero sulla porta della loro stanza con le coperte avvolte intorno a loro.
-Non riuscivamo a dormire-, disse Gerd-. È nato?
I tre andarono in punta di piedi in camera da letto. Lotte aprì la porta di uno spiraglio, sbirciò dentro e poi spalancò la porta:
-Oh Mutti-, esclamò-, il bambino è qui. Ha fatto molto male? È un fratello o una sorella?
Helene sorrise debolmente e indicò la culla dove la bambina giaceva già vestita e con il pannolino.
-Avete una sorellina. Si chiama Susi.
Felici, si misero intorno alla culla e ammirarono il bel faccino e le piccole dita che avevano già le unghie. Avevano una sorellina! Si inginocchiarono accanto al letto di Helene e insieme ringraziarono Dio per il parto sicuro e per la bambina sana.
-Vado a casa-, disse infine Frau Gabel-. Non dovreste avere più bisogno di me. Cercate di riposare un poco.
I bambini tornarono strisciando nei loro letti e si addormentarono. Ma alle quattro gli avvisi di raid aereo li strapparono dal loro sonno. Gli aerei nemici erano di nuovo sopra di loro, e nessuno sapeva dove avrebbero potuto sganciare il loro carico letale di bombe.
Kurt entrò barcollante e stordito nella camera da letto di Helene.
-Mutti, cosa dobbiamo fare?
-Sveglia i bambini-, disse Helene-. Dobbiamo andare al rifugio antiaereo.
-Ce la fai? O devo prendere Lotte e Gerd mentre tu resti qui? -No, dobbiamo restare insieme. Andremo tutti. Io me la caverò. Velocemente si vestirono, avvolsero la bambina nelle coperte e
si affrettarono a uscire nella notte gelida. Figure scure si riversarono verso il bunker a mezzo miglio di distanza. Appena Helene entrò, il bombardamento iniziò in lontananza. Qualcuno sbatté e sprangò le porte ermetiche del rifugio.
Quasi immediatamente l’elettricità si spense e la circolazione dell’aria si fermò. In silenzio e nell’oscurità totale la gente aspettava. C’erano solo posti in piedi.
-Scusate-, sussurrò Helene-, ma ho partorito solo tre ore fa.
-Qui-, disse qualcuno-, si sposti qui così può appoggiarsi al muro. Fate spazio a questa donna, per favore!
Non che fosse strettamente necessario appoggiarsi a qualcosa. Il bunker, costruito per contenere 2.000 persone, spesso era pieno di 6.000. Molto tempo fa, Gerd aveva imparato che bastava tirare su i piedi ed era sospeso tra i corpi ammassati. A volte si addormentava anche in quella posizione eretta, con le gambe penzoloni. Più spesso, però, doveva lottare per respirare, e fu in quel bunker buio che sviluppò gli inizi di una claustrofobia che durò tutta la vita.
Il rifugio cominciò a oscillare per la pressione delle esplosioni, mentre le bombe si avvicinavano sempre di più. Helene si sentì male mentre l’aria diventava calda e sgradevole.
“La mia bambina, la mia Susi… Soffocherà per la calca dei corpi”. Protettivamente tenne la piccola testa contro il suo petto. Lotte si mise a piangere. Un prete mormorò il Padre Nostro. Le donne svenivano, ma non c’era spazio per adagiarle, e rimanevano in piedi per la pressione dei molti altri corpi.
Un’eternità dopo, suonarono le sirene di cessato allarme. Qualcuno aprì le pesanti porte d’acciaio e l’aria fredda e fresca entrò. Imbevute di sudore per il caldo opprimente, le persone uscirono nella notte gelida.
Quando Helene e i bambini tornarono a casa, erano tutti vicini al collasso. Helene guardò i suoi figli esausti e spettinati e prese una decisione:
-Non cercheremo mai più rifugio nel bunker-, dichiarò-. D’ora in poi andremo nel seminterrato.
Il seminterrato del condominio era stato rinforzato, ed era buono per tutto tranne che per un colpo diretto di una bomba. “Se Dio vuole che sopravviviamo”, si disse, “può salvarci sia qui che nel bunker”.
Diverse volte ogni notte suonavano gli avvisi di allarme aereo, ed Helene doveva trascinare i bambini fuori dal letto e giù per le scale. Ma anche questi viaggi al piano di sotto diventavano troppo faticosi. Desiderosa di un sonno ininterrotto, finalmente preparò i loro letti nell’inospitale seminterrato e tutti e cinque dormivano lì.
Quando Susi ebbe appena tre settimane, arrivò l’ordine che tutte le donne con bambini dovevano lasciare la città. Costernata, Helene cercò il consiglio della sorella Geiser:
-Chi prenderà in campagna una donna con quattro figli?-, si lamentò.
-Non preoccuparti-, la consolò la sorella Geiser. -Verrò con voi e mi assicurerò che vi sistemiate. Con gratitudine, Helene abbracciò la sua amica.
Alle quattro del mattino, caricarono i bambini e si diressero alla piccola stazione locale per prendere un treno per il terminal principale di Francoforte. Quando il treno arrivò, era già strapieno. La sorella Geiser e i tre bambini più grandi riuscirono a infilarsi nel primo vagone. Ma Helene con il passeggino correva disperatamente per tutta la lunghezza del treno senza trovare posto. All’ultimo minuto, un soldato sollevò il passeggino in un vagone e subito dopo sollevò Helene.
Al terminal principale regnava il pandemonio. Centinaia di donne con i loro bambini si accalcavano intorno, mentre i funzionari della Lega delle Donne cercavano di indirizzarle verso i treni giusti. Helene fu mandata su un treno diretto a Eschenrod, un piccolo villaggio sulle montagne di Vogelsberg. Lì, come altrove, ogni contadino aveva ricevuto l’ordine di ospitare gli sfollati dalla città.
Per cinque ore le famiglie aspettarono alla stazione ferroviaria. Quando chiesero spiegazioni sul ritardo, i capotreno affannati dissero loro che i treni non potevano circolare perché i binari erano sotto un pesante attacco aereo. Helene si sentì svenire e dovette sedersi sui bagagli. I bambini, anche se pronti a lasciarsi cadere, fecero a turno per spingere il passeggino avanti e indietro per cullare la bambina e farla addormentare.
Finalmente il treno arrivò, e le porte furono aperte. La gente si precipitò attraverso di esse, ognuno ansioso di ottenere un posto a sedere. La sorella Geiser aiutò Helene ad alzarsi, e lentamente seguirono la folla. Sbirciando in ogni carrozza mentre passavano, videro che il treno era stipato. Finalmente raggiunsero l’ultimo vagone:
-Saremo lasciate indietro? -Chiese Lotte.
-Ecco. Questo-, disse Helene-. C’è un intero banco vuoto dentro. Presto, presto!
Caricarono tutti e sprofondarono con gratitudine sui sedili. Il treno uscì dalla stazione.
La parte superiore dei vagoni era stata accuratamente drappeggiata con le bandiere della Croce Rossa per segnalare ai piloti nemici che questo treno era protetto da un accordo internazionale e non doveva essere attaccato. Ma questa era la guerra, e i trattati venivano infranti da entrambe le parti del conflitto.
Aerei che volavano a bassa quota scesero in picchiata: alcuni bersagliarono il treno con mitragliatrici, mentre altri lanciarono bombe a mano sui vagoni. Donne urlanti trascinarono i loro bambini sotto le panchine di legno per proteggerli. Ci furono feriti in ogni vagone, tranne nell’ultimo. Lì nessun proiettile colpì, nessuna granata esplose. Susi dormì tranquillamente durante tutto l’attacco.
-Dio ci ha tenuto un posto in questo vagone-, disse Helene a bassa voce.
Improvvisamente gli aerei girarono e scomparvero. I passeggeri non feriti fasciavano e confortavano le donne e i bambini feriti, mentre il treno era rimasto fermo per ore in mezzo al nulla. Il viaggio ricominciò a passo di lumaca, e a notte fonda il treno entrò nella stazione più vicina a Eschenrod. Ci era voluto tutto il giorno per coprire la distanza di 85 km. Un autobus li aspettava per l’ultima parte del viaggio, e il suo motore rombava mentre le famiglie salivano a bordo.
A Eschenrod faceva un freddo pungente, e 45 cm di neve coprivano il terreno. La donna comandante del trasporto, un alto funzionario della Lega delle Donne, mise i rifugiati in una scuola a diversi chilometri dalla stazione, e da lì furono assegnati ai diversi agricoltori. Una delle donne aveva sette figli. Furono rapidamente divisi tra diverse case.
-Non voglio essere separata dai miei figli-, insistette Helene. “Se lo faccio”, pensò tra sé e sé, “dovranno mangiare carne di maiale e non potranno rispettare il Sabato”. Aspettò e aspettò nella scuola, ma nessuno era disposto ad accogliere una famiglia di cinque persone. Alla fine tutte le sistemazioni erano state fatte e rimanevano solo Helene, la sorella Geiser e i bambini.
Esasperata, la direttrice del trasporto ordinò alla locandiera del villaggio di fornire loro una stanza per la notte fino a quando non fosse stata in grado di prendere accordi più permanenti il giorno
seguente. Disgustata per l’inconveniente, la padrona di casa assegnò loro una piccola stanza al piano superiore. Faceva un freddo pungente. L’acqua del lavandino era ghiacciata, e sui vetri della finestra sbocciavano fiori di ghiaccio. Le lenzuola erano umide, e quando Helene cercò di accendere il fuoco con la legna bagnata, fumava e sibilava ma dava pochissimo calore. Susi, con i pannolini bagnati, prese freddo, e al mattino aveva la febbre alta e aveva difficoltà a respirare.
-Kurt-, disse Helene mentre svegliava il ragazzo stanco la mattina dopo-, mi hanno appena detto che i contadini ci forniranno l’alloggio, ma noi dovremo fornire le nostre lenzuola e i nostri piatti. Dovrai tornare a Francoforte a prenderli.
Kurt partì subito, camminando per chilometri nella neve fino alla stazione. Lì salì sul treno per Francoforte.
Non appena il treno entrò nella stazione, le sirene dell’allarme aereo suonarono e le bombe caddero dal cielo. Il ragazzo terrorizzato si rifugiò nel seminterrato di un edificio già bombardato. Si rannicchiò in un angolo mentre la terra tremava e i ratti strisciavano sul pavimento. Quando l’attacco cessò, continuò il pericoloso viaggio verso la loro casa.
Allo stesso tempo, a Eschenrod, Helene sentì un minaccioso ronzio nel cielo. Uscì fuori e vide squadriglie di bombardieri nemici che volavano in formazione verso Francoforte per scaricare lì le loro bombe.
“Signore”, pregò, intrecciando le dita e stringendo fino a far diventare bianche le nocche, “ci sarà mai una fine a questo orrore? Finora ci hai portato al sicuro. Ora perderò mio figlio nell’inferno di Francoforte e la mia bambina per una polmonite? Non ho più forza. Aiutaci tutti”.
Era di nuovo primavera, e un altro amaro inverno era finito. Facendo del loro meglio per raccogliere le forze, la Wehrmacht penetrò sempre più a est in Russia. Nella loro scia spietata lasciavano corpi distrutti e un paese distrutto.
Ignorando gli avvertimenti del tenente Gutschalk, Franz cercò di alleviare la sofferenza ovunque potesse. A volte i suoi compagni feriti o morenti avevano bisogno di assistenza; altre volte aiutava gli ebrei e gli ucraini. Non distingueva tra amici e nemici, sapendo che anche Gesù li avrebbe trattati allo stesso modo.
I tedeschi presero centinaia di migliaia di soldati russi prigionieri di guerra. Mentre Franz guardava le truppe delle SS che li ammassavano in campi improvvisati pesantemente sorvegliati, il suo cuore andava a questi uomini rudi e sconfitti. Vivevano come bestiame in uno spazio inadeguato, ma la loro miseria era appena iniziata. I tedeschi non avevano abbastanza cibo per nutrire i loro uomini, tanto meno i prigionieri, e presto i campi divennero un inferno di fame.
Durante un soggiorno prolungato in una zona, Franz apprese che un campo di prigionieri non era lontano. Anche se era proibito, visitò il campo la sera. Lungo la strada pensò: “Tante cose sono proibite al giorno d’oggi. Non posso lasciare che questo decida il mio comportamento”. Quando arrivò, gli si spezzò il cuore nel vedere gli uomini oltre il recinto di filo spinato alzare le loro mani scheletriche verso di lui in segno di supplica.
Andò dal suo amico in cucina:
-Willi-, disse con urgenza-. Ho una richiesta speciale. Mi lasceresti prendere gli avanzi di cibo dopo ogni pasto?
Willi fissò a lungo Franz. Ormai si era abituato ai modi poco ortodossi del suo amico, così roteando gli occhi disse:
-Ok, ok. Prendi tutto quello che vuoi. Ma non dirmi che cosa stai tramando adesso!
Tre volte al giorno Franz raccoglieva di nascosto gli avanzi. La sera si recava al campo di prigionia carico di sacchi di croste di pane, patate bollite e verdure.
Per parecchi giorni rimase indisturbato. Poi la guardia di turno lo notò e si avvicinò di corsa.
-Fermo!
Quando vide le insegne di rango di Franz, divenne più rispettoso.
-Che cosa ci fa qui, caporale? -Ho del cibo avanzato che sto portando ai prigionieri. -Mi dispiace, caporale, ma questo è strettamente proibito.
-Lo so-, disse Franz seriamente-. Ma questi uomini sono esseri umani come noi. Sono indifesi e alla nostra mercé. E se tu ed io diventassimo prigionieri di guerra dei russi, e fossimo affamati come lupi?
La guardia rabbrividì e si fece il segno della croce-. Dio non voglia!
-Non saremmo grati se qualcuno ci portasse del cibo?
La guardia annuì.
-Ha ragione, naturalmente. Ma non posso ancora permetterlo.
-Ora ascolta-, disse Franz in modo persuasivo.
-Tu sei una guardia. Il tuo dovere è quello di pattugliare. Cammina fino all’angolo del campo laggiù. Mentre sei girato di spalle, getterò il cibo oltre il recinto, e quando tornerai, me ne sarò già andato. Non mi avrai visto e non ne sarai responsabile.
Facendo un rapido saluto “Heil Hitler”, il soldato dal cuore tenero si voltò senza dire altro e riprese il suo giro di pattuglia, sapendo bene che così facendo stava rischiando la vita.
Frettolosamente, Franz gettò il cibo oltre il recinto. Cadendovi sopra come leoni affamati, i prigionieri divorarono ciò che poterono afferrare. Un uomo riuscì ad afferrare una patata bollita, e nella sua frenesia l’afferrò così forte che la poltiglia bianca gli si infilò tra le dita. Altri gli afferrarono il polso e glielo leccarono dalle mani. Con pietà Franz guardò prima di scappare via. C’era poca speranza per la loro sopravvivenza. Dei 750.000 prigionieri presi nella sola Kiev, solo 22.000 tornarono vivi.
La guerra era andata avanti per quattro anni. Franz sentiva la mancanza della sua famiglia e trovava difficile vivere in un ambiente così estraneo alla sua natura. La sua più grande soddisfazione arrivava quando aveva la possibilità di dare studi biblici:
-Hasel-, chiese un soldato curioso-, come mai sei così attento a non lavorare di Sabato?
-È una lunga storia. Vieni al mio alloggio dopo cena e te la racconterò. La voce si sparse tra gli altri soldati, ed egli ebbe molte opportunità di studiare le verità e le profezie della Bibbia con gli uomini. Alla fine, non c’era un soldato nella compagnia che non avesse sentito la sua testimonianza. Trovò molti degli uomini assai aperti e interessati, e li condusse attraverso un’intera serie di studi biblici.
Alle 8:00 di un piovoso lunedì mattina il sergente Erich e altri ufficiali si riunirono negli alloggi di Franz per giocare a skat, il gioco di carte preferito da loro. Franz portò presto la conversazione sulle profezie di Daniele sulla seconda venuta di Cristo e la fine del mondo:
-Guardate questo-, disse-. Mise la mano nella tasca della sua Bibbia, tirò fuori una piccola cartolina con una foto dell’immagine di Daniele 2 e la diede a tutti. Aprendo la sua Bibbia, spiegò che questi erano gli ultimi giorni della storia della terra.
-Hitler non sarà mai in grado di unire il mondo sotto il dominio tedesco-, disse con fiducia-, perché questo non è in armonia con la profezia della Bibbia. Il prossimo evento sarà la roccia che distruggerà la statua, e questo segnerà la fine del nostro mondo. Poi Dio stabilirà il suo regno.
Affascinati, gli uomini ascoltavano, facendo molte domande. Franz sembrava sempre trovare la risposta giusta.
Finalmente qualcuno guardò l’orologio:
-È mezzogiorno! Siamo seduti qui a parlare da quattro ore. Dobbiamo affrettarci se vogliamo avere qualcosa da mangiare!
Nella mensa degli ufficiali, gli uomini condivisero con entusiasmo ciò che avevano appena sentito. Non ci volle molto perché la notizia arrivasse all’Hauptmann Miekus, che aveva sostituito Brandt due anni prima. Non perse tempo a convocare Franz nel suo alloggio alle 13.
-Hasel-. C’era un ringhio sconosciuto nella sua voce. Anche se normalmente era ben disposto verso Franz, questa volta era chiaramente indignato-. È vero che ha parlato per quattro ore con i miei ufficiali sulla fine del mondo?
-Sì, signore, l’ho fatto.
-Come osa dire queste cose?
-Signore?
-Sa perfettamente che Hitler sta creando il Terzo Reich. Quel Reich durerà 1.000 anni!
Franz rimase a guardarlo, non sapendo bene cosa dire.
-Non ci sarà la fine del mondo, Hasel!- Hauptmann Miekus si alzò in piedi e puntò il dito contro Franz.
-Questa volta sono riuscito a malapena a difenderti davanti ai miei ufficiali. Ma ti proibisco assolutamente di parlarne ancora. Hai capito?
-Sì, signore-. Franz disse, con un deferente saluto con la mano sul cappello.
-Spero solo-, disse Miekus, a bassa voce, mentre Franz si allontanava-, che tu non abbia ancora condiviso queste sciocchezze con le truppe.
“Se solo sapesse”, pensò Franz.
Uscì dalla stanza, lasciando l’Hauptmann che scuoteva la testa. Da due anni tutti i militari tedeschi avevano ricevuto l’ordine di salutare solo con un braccio rigidamente teso e un secco “Heil Hitler!”. In qualche modo l’incorreggibile caporale Hasel lo ignorava sempre.
Nella sua adorazione quella notte, Franz si rivolse di nuovo ad Amos 5:13: “Ecco perché, in tempi come questi, il saggio tace; perché i tempi sono malvagi”. Seguì questo consiglio e decise di diventare molto più cauto quando parlava con i soldati. Ma comunque non perdeva mai un’occasione appropriata per parlare di Cristo, della Sua seconda venuta e della obbedienza a Dio.
Negli anni passati si era guadagnato il rispetto della maggior parte degli uomini. Solo alcuni di loro, soprattutto i nuovi arrivati, lo schernivano. Leo, che si era unito da poco agli Zappatori, era il peggiore. Si credeva un comico e usava Franz come bersaglio delle sue battute:
-Ehi, Franz-, gridava-. Stai diventando giallo per aver mangiato tutte quelle carote.
Un’altra volta, si mise a ridere.
-Leggi ancora la Bibbia, Hasel? Dovremo metterti in uno zoo con i nostri antenati, le scimmie!
Infine, la pazienza di Franz si esaurì:
-Leo-, disse con quella che sperava fosse una voce macabra-. Ti avverto. Se mi prendi in giro un’altra volta, ti spacco!
Tutti quelli che avevano l’udito si voltarono immediatamente a guardare.
Leo misurò Franz con gli occhi. “Hasel è alto”, sembrava pensare, “ma lavora tutto il giorno in ufficio, mentre io sono fuori a costruire ponti. Posso batterlo, facilmente”.
-Dai, Hasel-, sogghignò-, non ho paura del pugno di un mangiatore di cavoli.
Con un poderoso colpo di pugno, Franz fece svenire Leo, facendolo atterrare a un metro di distanza nel fango. Franz si sfregò le mani in un gesto che diceva più forte delle parole:
“Ecco, ti ho fatto vedere!”
I suoi compagni fischiarono e applaudirono. Lo sfortunato Leo, ancora spento come una candela, non aveva modo di sapere quello che gli altri sapevano: sebbene avesse quasi il doppio dell’età della maggior parte dei più giovani, Franz vinceva regolarmente le gare di sollevamento pesi.
Ma mentre Leo cominciava a rinsavire, anche Franz rinsavì. Sapeva cosa doveva fare. Per prima cosa andò nel suo ufficio e si inginocchiò vicino alla sua scrivania:
“Signore”, pregò, “ho peccato contro Leo e contro di Te. Ho confidato nella mia forza piuttosto che ascoltare la tua guida. Che ipocrita sono, parlando agli uomini di una vita simile a quella di Cristo mentre mi comporto come un comune attaccabrighe di strada. Non voglio essere questo tipo di persona. Ti prego, perdonami”.
Poi Franz uscì e si scusò con Leo, che ormai era seduto cercando di schiarirsi le idee. Mentre questo incidente fece guadagnare a Franz l’ammirazione di molti soldati, lui si vergognava del suo comportamento. Non voleva che il rispetto fosse basato sulla violenza.
Nel frattempo, la fanteria tedesca aveva preso un villaggio con un nodo ferroviario nel cuore dell’Ucraina, non lontano da dove gli Zappatori erano di stanza. Franz e altri cinque soldati furono mandati in questa città con l’ordine di preparare gli alloggi per il resto dell’unità, che li avrebbero raggiunti in pochi giorni. Dato che non ci si aspettava alcun pericolo, a Franz fu anche chiesto di portare con sé i documenti della compagnia, tutto il denaro e le merci del negozio. Presero una jeep e un camion con un rimorchio, li caricarono di provviste e partirono.
Quando arrivarono all’incrocio, trovarono uomini di altri battaglioni che già stazionavano lì. Proprio di fronte alla stazione ferroviaria, Franz scoprì un edificio che la gente del posto considerava un albergo. Le sue stanze avevano il pavimento in terra battuta ed erano state spogliate di tutti i mobili. All’esterno c’erano una dependance e un pozzo d’acqua. Decidendo di stare in una delle stanze non occupate, gettò la sua stuoia di paglia sul pavimento e ammucchiò i documenti in un angolo. Gli altri trovarono un fienile dove fecero i loro letti sul fieno.
Poiché si trattava di un incrocio importante, tutti dovevano stare attenti. Due volte al giorno Franz saliva sulla torre di osservazione di legno attaccata alla stazione ferroviaria e scrutava l’orizzonte. Di notte i soldati dormivano completamente vestiti, tranne che per gli stivali. La situazione era comunque tranquilla, ed era facile lasciarsi sfuggire la vigilanza.
Il venerdì, finita la contabilità, Franz si lucidò gli stivali e si spazzolò l’uniforme, come era sua abitudine nel giorno di preparazione. Al tramonto era pronto a ricevere il Sabato. Decise di passare il giorno successivo nel bosco non lontano. Qui sarebbe stato indisturbato nello studio della Bibbia e nella meditazione. Ogni giorno leggeva coscienziosamente la Bibbia e pregava, ma sapeva da tempo che aveva bisogno di un po’ di tempo tranquillo da solo con il Signore. Dall’incidente con Leo, Dio sembrava in qualche modo lontano.
Il Sabato mattina a colazione prese delle fette di pane in più e se ne andò, portando la sua Bibbia in una tasca, il pane e una tanica d’acqua nell’altra.
“Mi chiedo se vale la pena rischiare”, si chiese. “Quando sono separato dall’unità, sono più vulnerabile. Un cecchino potrebbe farmi fuori e nessuno mi troverebbe. Potrei calpestare una mina ed essere fatto a pezzi. Dovrei rimanere nel mio alloggio?”
“No”, decise infine. “Devo andare. Devo ritrovare la mia vicinanza a Dio”.
Nel bosco, trovò un tronco rotto su cui sedersi e aprì la sua Bibbia. Quasi immediatamente fu distratto da uno scoiattolo che si lamentava tra i rami sopra di lui. Riportò gli occhi sulla pagina:
“Nel mondo avrete tribolazioni…”. Un corvo gracchiò forte. Lo seguì con gli occhi, poi riportò la sua attenzione sulle Scritture. Forse doveva leggere un altro passo:
“Chi dimora nel riparo dell’Altissimo, riposa all’ombra dell’Onnipotente…”. Non riusciva a mantenere i suoi pensieri su ciò che stava leggendo. Strano che si sentisse così vuoto. La guerra gli stava dando alla testa? Era preoccupato… no, peggio. Aveva paura. Non dei cecchini o delle mine o di Hitler. Aveva paura perché anche se si era disciplinato a leggere la Bibbia ogni giorno, non sentiva più Dio che gli parlava. Aveva perso il senso della presenza di Dio.
Ora, seduto lì da solo nella foresta, a più di 1.600 Km di distanza dalla sua famiglia, sentiva una profonda depressione. Man mano che il giorno passava, diventava sempre più scoraggiato. Si sentiva lontano da Dio come non lo era mai stato.
Alla fine, prima di tornare al campo, pregò: “Signore, Tu vedi lo stato d’animo in cui sono. Se sei ancora con me, allora dammi un segno”.
Sulla via del ritorno al campo Franz cantò le parole di un antico inno: “Se migliaia di demoni, ne volessero inghiottire, le malefiche legioni, non vedranci impallidire, con tutti i lor terror, si mostrin pure il cuor, no, non ci trema, a un detto dell’Eterno, fia depresso il re d’inferno”.
Passarono due settimane, durante le quali i sovietici intensificarono costantemente la loro offensiva. Ogni giorno i carri armati russi avanzavano verso il villaggio, e altrettanto spesso venivano respinti dagli Stukas tedeschi che li bombardavano dal cielo. Ogni parte lanciava granate, sparava e si bombardava a vicenda con l’artiglieria. Gli spari erano incessanti. Quando la loro unità non si unì a loro come previsto, gli sei Zappatori si sentirono sempre più inquieti.
Un altro Sabbath arrivò. Ora, naturalmente, non c’era alcuna possibilità di un giorno tranquillo nel bosco, così Franz rimase da solo nella sua stanza vuota con il pavimento in terra battuta. Mentre sfogliava la Bibbia, i suoi occhi caddero sulle parole familiari del Salmo 91: “Poiché egli comanderà ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie. Essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in alcuna pietra”. Le aveva lette spesso, ma nel suo stato di vuoto spirituale gli sembravano lontane e impersonali. Infine, quando venne la sera, cadde in un sonno pesante.
La mattina dopo si svegliò di soprassalto. C’era qualcosa che non andava. Rimase immobile per un momento. Poi lo sentì: un suono basso e rombante, molto lontano.
“Tuoni?” Si chiese assonnato. “No, non può essere un tuono. Ha un suono troppo stabile, troppo… umano”.
“Umano?”
Saltò giù dal letto, si infilò gli stivali e si precipitò fuori dalla stanza e attraversò la strada sterrata fino alla torre di osservazione. Salendo le scale due alla volta, alla fine raggiunse la cima. Il rombo minaccioso era più forte quassù, e mentre scrutava l’alba, riusciva appena a distinguere le masse ombrose dei carri armati russi che convergevano sul villaggio da tutte le direzioni. Altri veicoli, più vicini, si allontanavano: la fanteria tedesca stava fuggendo in fretta.
“Ci hanno preso”, pensò Franz. “È la fine. Questa è la fine. Caro Dio, aiutaci. Siamo persi?”
Si guardò intorno. “No! Una strada è ancora aperta! È la nostra unica speranza”.
Franz scese le scale e attraversò di corsa la piazza del villaggio fino al fienile.
-Su, su! .-gridò agli altri Zappatori-. I russi stanno arrivando! Lasciate tutto e usciamo subito! Prendiamo la strada verso sud. È la nostra unica possibilità.
Gli altri si riversarono fuori dall’edificio. Misero in moto la jeep e il camion, mentre Franz si precipitava nel suo alloggio. Nella sua stanza c’era la paga dei soldati, da consegnare agli uomini mercoledì. In quegli archivi di documenti c’erano bollettini top-secret sulle future mosse dell’esercito tedesco. I suoi ordini permanenti erano di bruciare tutto piuttosto che lasciarli cadere nelle mani del nemico. Ma non c’era tempo.
“Che cosa farò?” si chiese Franz disperatamente. Opzioni e obiezioni gli balenavano nella mente. “Questa porta non ha nemmeno una serratura. Se rimango qui, sono sicuro di essere ucciso o fatto prigioniero. Nella mia fondina non ho altro che un pezzo di legno annerito dalla lucidatura degli stivali. E anche se avessi un’arma vera, cosa potrebbe fare un soldato solo per difendere questi documenti? Eppure ne sono responsabile, e se i russi trovano i nostri piani e li usano, sarò processato dalla corte marziale come traditore e giustiziato”.
Prese un pezzo di gesso e lasciò la stanza, sbattendo la porta dopo di lui. Fuori, disegnò un teschio e delle ossa incrociate sulla porta. Sotto, scrisse a caratteri cubitali,
PERICOLO! MINE – NON ENTRARE!
Poi corse via fino a dove l’enorme camion diesel, con il suo rimorchio, si stava allontanando. La piccola jeep si infilò davanti. Nella confusione i suoi camerati non si erano accorti che lui era rimasto indietro. Con un balzo in corsa, Franz atterrò sulla barra di traino e si aggrappò al giunto, cercando disperatamente di mantenere l’equilibrio mentre il camion rimbalzava sulle buche, spargendo fango e ghiaia.
“Ce la faremo”, pregò ad alta voce. “Grazie, Signore”.
Ma da dove stava Franz non riusciva a vedere una curva che si avvicinava. L’autista fece una brusca curva a destra, e il pianale del camion si inclinò verso Franz e lo fece cadere dal suo sito. Atterrò sulla strada, con la testa a 60 cm dalla ruota anteriore del rimorchio.
In quel lampo di tempo capì che la ruota stava per schiacciargli la testa. Tutta la sua vita gli passò davanti agli occhi come un film, cominciando da quell’attimo e risalendo fino al momento in cui a due anni, cadde dalle scale del seminterrato nella fattoria dei suoi nonni.
“Quindi questa è la fine, non la battaglia. Salvami, Signore! Perdona i miei peccati! Veglia sulla mia famiglia”.
La ruota sfiorò il suo cranio. Franz chiuse gli occhi aspettando l’impatto finale.
Proprio allora, qualcuno lo afferrò per il colletto della sua uniforme, lo strappò via dalla ruota e con un gigantesco movimento di sollevamento, lo depositò sulla piattaforma del rimorchio. Per un momento si distese lì, stordito e tremante. Poi alzò la testa e si guardò intorno per trovare il suo soccorritore e ringraziarlo.
Non c’era nessuno.
Tremando, quasi singhiozzando, per il sollievo, Franz ringraziò Dio per avergli dato il segno per cui aveva pregato. Stupito, ricordò le parole che gli erano sembrate così impersonali il Sabato: “Poiché egli comanderà ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie. Essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in alcuna pietra.” Salmi 91:11, 12.
Presto i veicoli raggiunsero una zona boscosa dove si nascosero per il resto del giorno. In lontananza sentirono il crepitio dei colpi di fucile, e ogni tanto sentivano la terra tremare per la forza delle tremende esplosioni.
-Aspettate un attimo-, disse uno degli uomini. Cosa sta succedendo? Hai visto i nostri ritirarsi, vero, Hasel?
-Esattamente-, rispose Franz con voce perplessa.
-Non ci sono più tedeschi che combattono i russi, eppure sembra che laggiù sia in corso una specie di battaglia.
Nel tardo pomeriggio l’intera campagna era diventata stranamente silenziosa, e si avventurarono indietro. Strisciando verso un punto panoramico sicuro, scrutarono una strada intasata da un’intera linea di carri armati russi. Non c’era alcun segno di vita.
-Attenzione-, sussurrò uno dei camerati di Franz-. Potrebbe essere una trappola.
-Giusto-, disse un altro-. È già successo prima. Intere unità sono state attirate in imboscate come questa.
-Improvvisamente videro un movimento. -Va tutto bene-, gridò qualcuno-. Sono tedesco. Non sparate.
Un soldato solitario apparve e si diresse verso di loro.
-Chi sei? -gridarono con sospetto.
Sorrise debolmente, e poterono vedere che il suo viso era pallido.
-Il mio nome è Hans Kessler. -Dov’è la tua unità? -Andata via. -Sei rimasto indietro?
-Esatto. Appartengo a un battaglione anticarro. Quando i russi attaccarono, la mia unità partì prima che io sapessi che stavano andando via. Presi il mio piccolo cannone anticarro e corsi lungo la strada cercando di raggiungerli, ma capii subito che non li avrei mai raggiunti. Così decisi di nascondermi dietro una fitta siepe accanto alla strada. Da dove ero nascosto, vidi i russi entrare nella città e saccheggiare tutti gli edifici. Quando non trovarono nessun soldato, risalirono sui loro carri armati e poi scesero lungo questa strada nella mia direzione, perché quella era la direzione che presero i nostri soldati. Non potevano vedermi dietro la siepe. E io ero pronto per attaccarli. Nel mio addestramento avevo imparato che i carri armati russi sono pesantemente corazzati davanti e sui lati, ma praticamente senza protezione nella parte posteriore. Così aspettai che ogni carro armato mi passasse accanto, e poi sparai un colpo alla camera di munizioni situata nella parte posteriore, e naturalmente esplose con un boato.
Ebbene, questo deve aver fatto impazzire i russi. Tutto quello che potevano vedere era un carro armato dopo l’altro che scoppiava in una palla di fuoco. Non riuscivano a capire da dove accidenti venisse l’attacco, quindi immagino che si siano fatti prendere dal panico. Fermarono l’intera linea di carri armati, li abbandonarono e corsero a perdifiato per i campi.
Per aver respinto da solo i russi, Hans Kessler ricevette in seguito la Croce di Ferro di prima e seconda classe. E una promozione.
-Beh-, disse Franz dopo aver sentito la storia sorprendente-, Immagino che non ci sia nulla che ci trattenga dal tornare in città.
Quando arrivarono ai loro alloggi, trovarono tutti i loro averi distrutti o rubati. Quello che i russi non erano stati in grado di prendere, lo avevano fatto a pezzi, baionettato e calpestato. Le mascelle si serrarono per l’apprensione, Franz si diresse di corsa verso la stanza dove aveva lasciato il denaro e i documenti. Si fermò fuori dalla porta per un secondo o due, temendo di entrare.
Ma quando finalmente aprì la porta, trovò la stanza intatta. I registri e gli ordini segreti erano tutti al loro posto. La paga dei soldati era dove l’aveva lasciata. Dio aveva mandato i suoi angeli anche qui.
Mentre Kurt cercava disperatamente di raggiungere il loro appartamento a Francoforte, la padrona di casa della locanda disse bruscamente a Helene:
-Non posso proprio tenerla a casa mia con i suoi quattro figli. Mi segua e le mostrerò un posto dove potrete vivere.
La condusse dall’altra parte della strada attraverso la neve alta fino a un vecchio lavatoio. Una volta alla settimana, le contadine accendevano qui il fuoco sotto gli enormi calderoni per bollire il loro bucato. Ora l’edificio era caduto in rovina e non veniva più utilizzato. Consisteva in una stanza vuota con un pavimento di cemento. Le pareti umide erano coperte di ghiaccio, e i ghiaccioli pendevano dal soffitto. C’era una piccola finestra rotta e mancava la porta. In un angolo c’era una latrina aperta che emanava un fetore opprimente.
Vedendo l’espressione inorridita di Helene, la donna disse:
-Qual è il problema? Non le piace? Sia grata che almeno le sto dando questo! non ho nient’altro per voi!
Attraverso la porta aperta la padrona di casa urlò:
-Jacques, Jacques, porta qui alcune stuoie. datti una mossa, sporco maiale pigro!
Un giovane, catturato in Francia e trasportato in Germania per lavorare come schiavo, apparve sul portico della locanda seguito dalla padrona di casa, la quale gli diede un calcio sui gradini con un’imprecazione, poi lo colpì con una frusta sulla schiena mentre atterrava sulla strada. Helene corse dal giovane e lo aiutò ad alzarsi, spazzandogli via la neve. Poi tornò nella sua stanza ghiacciata.
Per la prima volta in tutti gli anni della guerra, cedette alla disperazione. Nel freddo pungente si sedette sul letto e pianse come se le si spezzasse il cuore. Vedere la loro madre forte e coraggiosa in lacrime terrorizzò Lotte e Gerd. In silenzio rimasero al suo fianco, senza sapere come confortarla.
Sentirono un leggero bussare. Jacques stava sulla porta con una pentola fumante di Ersatzkaffee, un sostituto del caffè fatto con grano tostato.
-Lei una brava donna-, disse in tedesco limitato-. Padrona non brava. Io aiutare lei.
Con gratitudine, Helene e i bambini bevvero, sentendosi riscaldati non solo dal liquido caldo ma anche dalla gentilezza del giovane.
Più tardi arrivò la sorella Geiser. Era stata assegnata a un’altra famiglia ed era venuta a vedere come stavano i suoi amici. Il racconto di Helene la fece infuriare.
-Dai su!-, ordinò-. Andiamo a fare una visita ai leader nazisti del villaggio.
Irruppero da Herr Schaefer proprio quando si era seduto a fare colazione con l’ufficiale della Lega delle Donne responsabile del trasporto di evacuazione. La sua tavola era piena di salsicce, prosciutto, burro, pane, torta, caffè e latte fino a non poterne più. C’erano sempre molte provviste per i capi del partito.
-Cosa volete?-, chiese piuttosto sgarbatamente.
L’ufficiale di evacuazione fu ancora più belligerante.
-Come osate irrompere qui in questo modo?-, urlò-. Andatevene, subito!
La minuscola Sorella Geiser rimase in piedi, con i piedi ben piantati a terra e i pugni sui fianchi.
-Ora ascoltatemi-, disse con una voce di calma mortale.
-Se pensa che quel lavatoio sia un alloggio adatto a una famiglia, può andare a vivere lì lei stessa. Non metterei nemmeno un animale in un posto del genere-, e fece un gesto verso Helene.
-Questa donna ha quattro figli e il più piccolo è solo un neonato che allatta. Sono due giorni che non mangiano, mentre lei sta seduta qui a rimpinzarsi.
-Mi dica una cosa-, disse lei, guardando l’ufficiale di evacuazione-. Lei ha un marito?
Stupefatta da questa dimostrazione di audacia, l’ufficiale donna balbettò:
-Sì, ce l’ho. Che importanza ha per lei?
-È in casa?
-Sì. Ma questa conversazione è finita-, disse rapidamente l’ufficiale-. Vi ordino di andarvene immediatamente!
-Oh, no, non ho ancora finito-, continuò impavidamente la sorella Geiser, senza muoversi-. Quello che dobbiamo fare è mandare suo marito al fronte e riportare il padre di questi quattro bambini a casa affinché possa occuparsi della sua famiglia. Questa sarebbe giustizia!- puntò i piedi più in alto che poteva, e lanciò le sue ultime parole con tutta l’autorità di un soldato d’assalto-. Se non risolve questa situazione in breve tempo, la denuncerò alle autorità, anche se dovessi andare fino ad Adolf Hitler in persona. Come sa bene, lui promuove le famiglie numerose e sostiene le donne con figli.
Dietro le spalle dell’ufficiale, il capo del partito gesticolò freneticamente alla sorella Geiser perché se ne andasse e gli indicò che l’avrebbe seguita presto. Maestosamente, la sorella Geiser prese il braccio di Helene e la condusse fuori dalla stanza.
Due ore dopo, Herr Schaefer arrivò effettivamente nel gelido alloggio di Helene. Le strinse la mano e si scusò per le difficoltà che aveva passato. Helene percepì subito che aveva un cuore gentile.
-Frau Hasel-, disse-, ho visitato personalmente tutti i contadini del villaggio. Nessuno vuole prenderla con quattro bambini. Ma le contadine mi dicono tutte che lei fa bene a non separarsi dai suoi bambini. Loro farebbero lo stesso. I bambini devono stare con la loro madre.
Helene annuì. Eppure il suo cuore sprofondò a queste parole scoraggianti.
-Ma-, disse lui-, ho trovato una possibile casa per voi. Si tratta di una coppia di anziani, i Jost, che hanno settant’anni. A causa della loro età non sono obbligati ad accogliere nessun sfollato. Ma sono dispiaciuti per voi e vorrebbero conoscerla prima di prendere una decisione.
Insieme Herr Schaefer e Helene andarono a casa dei Jost. Il vecchio Herr Jost era seduto su una panca vicino alla loro stufa di maiolica, e sua moglie sedeva al loro tavolo. La faccia di Frau Jost era rugosa come una prugna. Aveva i capelli grigi raccolti in un ciuffo e in bocca aveva un solo dente.
Con le loro espressioni gentili sembravano i nonni ideali. Mentre si guardavano in silenzio, Helene li prese subito in simpatia. “Grazie a Dio”, pensò. “Ecco dove voglio stare. Ti prego, caro Signore, fa’ che sia così”.
Frau Jost parlò per prima.
-Frau Hasel, nessuno vuole prenderla con i suoi figli. Questo è difficile. Vi terrò io. Le altre famiglie dovrebbero vergognarsi-. Lei sorrise timidamente-. Spero solo che andremo d’accordo, non abbiamo mai avuto figli nostri, e ora siamo vecchi, e ci piace una vita tranquilla. Suppongo che ci sarà molto rumore, giusto?
-No, no-, la rassicurò Helene-. Farò in modo che i bambini non vi disturbino. Se vogliono fare rumore, possono andare fuori. Sono così contenta che lei ci dia un rifugio.
-Bene, allora-, disse Frau Jost gentilmente-, siete i benvenuti qui.
Herr Jost si alzò dal suo banco.
-Trasferitevi subito-, disse con entusiasmo-. Consideratela casa vostra. Porti i suoi bambini. Mi piacciono i bambini-. Con gli occhi umidi strinse la mano di Helene.
Helene preparò i bambini e Jacques li aiutò a portare i loro bagagli fino all’altra casa.
Frau Jost aveva già acceso il fuoco nella stufa a legna nella loro stanza, così quando arrivarono, la stanza era bella calda.
-Entrate, entrate-, disse lei-. Ho una pentola di camomilla che sta bollendo sulla stufa. Forse metterà un po’ di umidità nell’aria per aiutare la sua bambina a respirare meglio.
In effetti, nei giorni successivi Susi si riprese completamente.
In tarda serata Kurt arrivò sano e salvo con le loro lenzuola e i loro piatti, e si sentirono ancora più a casa.
Era davvero l’inizio di tempi migliori. Ogni giorno Frau Jost forniva burro, uova, pane e panna. Quando preparava una torta, gliene dava un po’, infatti non c’era nulla che questa cara coppia avesse che non condividesse con i suoi inquilini.
Helene mostrò la sua gratitudine pulendo vigorosamente la casa da cima a fondo fino a farla risplendere, e persino spazzando la strada fuori, mentre i bambini badavano al bestiame e aiutavano nella fattoria. Sembrava che nessun lavoro fosse troppo difficile per loro. Frau Jost diceva spesso a Helene:
-Frau Hasel, Dio vi ha portato da noi!
Non passò molto tempo prima che i vicini cominciassero a notare questo turbinio di attività. I loro stessi sfollati non muovevano un dito per aiutarli, e uno dopo l’altro cominciarono ad avvicinarsi a Helene per strada.
-Frau Hasel, come sta?
-Bene, grazie-, rispondeva Helene, mentre si dedicava alla scopa.
-Voglio che sappia che sarei felice di ospitare lei e la sua famiglia in casa mia. Ho spazio disponibile ora. Avreste una stanza molto più grande di quella che i Jost vi forniscono.
Educatamente, Helene rifiutava.
-I Jost ci hanno ricevuto quando nessun altro ci voleva-, diceva Helene-. Loro hanno capito i nostri bisogni e ci hanno trattato con gentilezza. Siamo molto felici lì, e abbiamo intenzione di rimanere.
I Jost erano devoti luterani e la domenica andavano nell’unica chiesa del villaggio. Quando Frau Jost indossava il suo costume regionale che era una camicetta bianca con grandi maniche a sbuffo, una gonna di velluto nero, un grembiule di taffetà frusciante, uno scialle di seta colorato e piccole pantofole di velluto nero sembrava un’immagine uscita da un libro di viaggi.
Dato che non c’erano avventisti con cui fare il culto, Helene li accompagnava regolarmente. Il pastore era stato arruolato, ma aveva nominato un semplice contadino per guidare la chiesa in sua assenza. Sebbene quest’uomo avesse poca istruzione, Helene era spesso profondamente commossa dai potenti sermoni che predicava.
Una volta alla settimana un gruppo di donne si riuniva in casa Jost per gli studi biblici. La moglie del pastore prese in simpatia Helene.
-Venite a vivere con me, Frau Hasel. Helene si mise a ridere.
-Ha fatto i calcoli? Tra me e lei avremmo nove figli in casa. Non sopravviveremmo! -ridendo, scartarono quell’idea.
Un giorno Helene seppe che un camion sarebbe andato a Francoforte a prendere dei mobili per gli sfollati. Helene ottenne il permesso dal capo del partito Herr Schaefer di andare con l’autista e portare alcune delle sue cose indietro.
-Sta andando a Francoforte, Frau Hasel? -chiese Frau Jost-. Sarebbe disposta a farmi un favore? Se io preparassi una cesta con i prodotti della fattoria, la porteresti lì e la scambieresti con della stoffa di cotone e forse con altre cose che non posso trovare in paese?
-Certamente!-, rispose Helene.
Presto la donna anziana ebbe il suo cesto pronto. Sopra stese uno spesso strato di muschio in cui mise con cura 50 uova fresche. Poi coprì tutto con il fieno e fissò saldamente la tela di iuta sopra.
Helene e Kurt salirono sul retro del camion e si sistemarono su alcuni sacchi di farina.
In una curva a gomito della strada, Kurt perse l’equilibrio e atterrò con tutta la forza sul cesto. Sentendo il crack, Helene capì che le uova erano schiacciate. Aveva paura di guardare. “Caro Signore”, pregò, “cosa dirà Frau Jost? Sarebbe chiedere troppo a Te, per favore, di rendere queste uova di nuovo intere?”
Quando arrivarono a Francoforte, risultò che alla fine non c’era spazio per i loro mobili, e non c’era tempo per fare affari. Quando tornarono a tarda notte, il camion si fermò nel villaggio vicino dove erano stati scaricati i mobili di altre persone. Poi l’autista portò Helene e Kurt a Eschenrod:
-Dov’è il nostro cesto? -chiese all’autista.
Lui sgranò gli occhi.
-Mi dispiace-, disse-. Devo averlo scaricato insieme ai mobili. Non si preoccupi. Domani torno a prenderlo e ve lo lascio a casa vostra davanti alla porta sul retro.
Il giorno dopo Helene controllò parecchie volte la porta sul retro, ma non c’era nessun cestino. Spiegò a Frau Jost quello che era successo come meglio poteva, ma poteva vedere che la donna non le credeva.
Ogni mattina, quando sentiva il camion delle consegne, Helene sgattaiolava fuori dalla porta sul retro sperando di vedere il cestino. Ogni volta trovava a Frau Jost in camicia da notte facendo la stessa cosa! Helene ridacchiava, ma Frau Jost non vedeva il lato umoristico della situazione:
-Cosa è successo al mio cesto? -chiese in modo piuttosto sprezzante-. Comincio a pensare che mi sta raccontando una grande storia. Ha venduto il cibo a Francoforte e ha fatto un sacco di soldi?
La coscienza di Helene era pulita, ma si chiedeva cosa avrebbe detto Frau Jost quando avrebbe finalmente riavuto il suo cestino e scoperto che le uova erano schiacciate. Smise di controllare la porta.
Dopo una settimana, Frau Jost bussò dolcemente alla porta di Helene dicendo:
-Frau Hasel, il cestino è qui. Venga ad aiutarmi a disfarlo.
Con il terrore nel cuore Helene si vestì in fretta e andò in salotto. Lungo la strada pregò di nuovo: “Signore, ti prego, rendi di nuovo intere quelle uova”. Frau Jost aveva già tolto il sacco che copriva la cesta. Ora rimosse con cura il fieno e il muschio che aveva usato per l’imballaggio. Una per una, tirò fuori le uova.
Nessun uovo era rotto.
-Frau Hasel-, disse la anziana-, mi dispiace di aver dubitato di lei. Non dubiterò mai più di lei.
Un giorno, poco dopo, una banda di prigionieri di guerra polacchi entrarono marciando nel villaggio. Un ragazzino sporco e cencioso zoppicava accanto a loro. Il sindaco assegnò il bambino zoppo a vivere con i Jost e ad aiutarli nella fattoria.
Frau Jost immediatamente chiese l’aiuto di Helene.
-Vorrei portare Adam in chiesa con noi la domenica-, disse-. Ma prima deve essere pulito. Non ho esperienza in queste cose. Potrebbe aiutarmi?
Helene prese dell’acqua calda e una grande ciotola. Per prima cosa gli fece un vigoroso shampoo ai capelli, poi lo mise al sole per tagliarglieli e farli asciugare. Nel frattempo, sotto la direzione di Helene, Frau Jost aveva preparato la vasca di zinco, l’aveva riempita di acqua calda e aggiunto persino della soda.
-Questo ragazzo-, mormorò Frau Jost cupamente-, non fa un bagno da mesi.
Dopo avergli tolto i vestiti sporchi, lei li raccolse con cautela, li portò fuori e li bruciò. La sua pelle era così incrostata di sporcizia che dovette rimanere a mollo nell’acqua calda per un po’ prima che potessero lavarlo.
Le unghie di Adam erano lunghe e lucide, e si incurvavano oltre le estremità dei polpastrelli come artigli. Sopportò pazientemente lo shampoo, l’ammollo e la raschiatura. Protestò solo una volta, quando vollero tagliare un vecchio spago che portava al collo. Si rifiutò di lasciare che lo toccassero.
-Frau Jost, guardi i suoi piedi-, disse Helene.
Le unghie dei piedi di Adam erano cresciute come artigli, si arricciavano completamente intorno alla punta dei piedi e poi sotto. Le forbici non erano abbastanza forti per tagliarle.
-Ho delle cesoie da giardino-, disse lei dubbiosa.
-Potrebbero bastare.
Certamente le cesoie fecero il trucco e fecero un piccolo miracolo. Perché quando Adam uscì dalla vasca pulito e lucido, e mise piede sul pavimento, non era affatto zoppo! Erano le lunghe unghie dei piedi che gli avevano reso quasi impossibile camminare.
Helene tirò fuori una lozione per bambini e la spalmò delicatamente sulla sua pelle screpolata. Poi gli portò alcuni vestiti di Kurt: biancheria intima, una camicia, un paio di pantaloni, scarpe e calzini. Frau Jost trovò un piccolo gilet di lana che gli andava bene. Da allora, ogni domenica, Adam li accompagnò in chiesa, e la trasformazione fu così grande che gli altri polacchi non lo riconobbero nemmeno finché Adam non li salutò e li chiamò.
A 12 anni, Adam era piccolo ed emaciato per la sua età, tuttavia lavorava molto duramente, e presto imparò frammenti di tedesco per poter comunicare con loro. Era tutt’altro che pigro, ma spesso scendeva tardi per la colazione.
-Mi chiedo cosa lo trattenga-, disse Frau Jost a Helene una mattina.
-Vado di sopra a sbirciare dal buco della serratura.
Tornò qualche minuto dopo.
-Sapete una cosa? Adam è inginocchiato accanto al suo letto a recitare il rosario.
Sembrava desiderare altre cose del suo giovane passato, perché al tramonto si fermava vicino al cancello del giardino e guardava in lontananza.
-Adam casa, Adam casa lì-, diceva, indicando tristemente l’est.
Frau Jost aveva accolto in casa sua un altro rifugiato polacco, un giovane di nome Josef. Lei gli aveva dato un angolo di fronte alla stanza di Helene dove poter dormire. Mentre gli altri contadini tedeschi trattavano i polacchi come animali e li facevano morire di fame, Josef mangiava a tavola con Frau Jost e la famiglia di Helene.
Poiché Helene non aveva spazio nell’armadio, piantò un chiodo nel muro del corridoio e appese uno dei vestiti di lana buoni di papà. Spesso conservava gli avanzi di cibo sopra una vecchia cassa ornata nel corridoio. Josef non toccava mai nulla.
-Josef-, propose-, se mai volesse andare in chiesa o a un ballo, può indossare il vestito che è appeso qui.
Anche se vestito di stracci e molto povero, Josef scosse la testa.
-Il vestito appartiene a suo marito. Non lo indosserò. Grazie, grazie.
-Josef raccontò loro un po’ del passato di Adam. Suo padre e suo fratello maggiore erano caduti al fronte. Erano rimasti solo sua madre e sua sorella di due anni. Poi sua madre contrasse la tubercolosi. Prima di morire, gli legò al collo un piccolo medaglione con un’immagine di Maria e Gesù. Era l’unico ricordo che Adam aveva di sua madre. Dopo la sua morte, qualcuno prese la bambina, ma Adam fu lasciato a vagare per le strade. È lì che i soldati lo trovarono e lo portarono con sé in Germania. Il cuore tenero di Frau Jost fu toccato. In silenzio fece dei piani per il futuro di Adam.
Una mattina Helene guardò fuori dalla finestra e vide Adam già impegnato in giardino. Ma si comportava in modo strano.
-Cosa sta facendo là fuori? -chiese a Frau Jost.
L’altra donna venne a guardare fuori dalla finestra. Sembra che è chinato-, disse-. Sta solo vagando lungo i filari di verdure guardando sotto ogni foglia.
Dopo che Adam ebbe attraversato il giardino, andò nel cortile e ispezionò attentamente il terreno.
-Oh, no-, disse Helene-. Ricorda il medaglione che aveva al collo? Quel vecchio spago deve essersi rotto e lui ha perso il suo unico tesoro. Lotte! Kurt! Gerd! Venite qui!
Presto tutta la famiglia, compresi Herr e Frau Jost, misero a soqquadro la casa, il cortile e il fienile. Esaminarono anche il bagno. Ma senza successo. Il medaglione era perduto e Adam era inconsolabile. A notte fonda, lo sentirono singhiozzare sul cuscino.
Qualche giorno dopo Frau Jost decise di sostituire la paglia del materasso di Adam. Quando scosse la paglia, sentì qualcosa tintinnare. Si trattava del prezioso medaglione. Doveva essersi staccato durante la notte ed essere caduto nella paglia. Eccitata, chiamò Adam, e quando lui vide l’oggetto luccicante nella sua mano, scoppiò in lacrime e la baciò con fervore. Appeso ad un nuovo e robusto spago, lo portò presto di nuovo al collo.
Poiché i Jost non avevano eredi, decisero di adottare Adam e di lasciargli la fattoria. Ma quando Josef spiegò la sua buona fortuna al ragazzo, questo scosse la testa tristemente e disse che non poteva accettare, perché dopo la guerra doveva tornare a casa e trovare la sua sorellina. I Jost capirono, e lo amarono ancora di più per la sua devozione alla famiglia.
Ma non lontano da queste dolci scene familiari, la brutalità nazista usciva allo scoperto. A circa 12 miglia da Eschenrod c’era un campo delle SS, le forze d’elite di Hitler. Cinquanta ragazze tedesche lavoravano come segretarie.
Tutte erano bionde, con gli occhi azzurri e belle. Si diceva che i nazisti le mettessero incinte come parte dello sforzo di creare una super razza ariana.
Quando divenne ovvio che la guerra sarebbe stata persa, le SS spararono alle ragazze per impedire loro di rivelare i loro segreti e le gettarono in una fossa comune scavata in fretta. Quando gli americani lo scoprirono, ordinarono ai tedeschi di disseppellirle e seppellirle correttamente. A loro volta, i tedeschi ordinarono ai polacchi di fare questo spiacevole compito.
Quando gli americani arrivarono e liberarono i polacchi, questi ultimi videro la loro occasione per vendicarsi della degradazione e del trattamento disumano che avevano subito per mano dei tedeschi. Un giorno si impegnarono in una serie di saccheggi e distruzioni che lasciarono ben poco. Rubarono maiali, polli, conigli.
Strapparono le verdure dagli orti e le calpestarono, tagliarono i vestiti appesi ad asciugare, squarciarono i pagliai e ne sparsero il fieno.
La mattina dopo, Frau Jost notò con meraviglia che nessuna delle sue cose era stata toccata. E i vestiti di Helene stavano ancora svolazzando nel vento.
Nel frattempo i combattimenti sul fronte orientale accelerarono. La Wehrmacht aveva inviato i rimpiazzi per i soldati caduti, e l’esercito lanciò un’offensiva che ebbe un enorme successo: i russi furono respinti. A sud i tedeschi attraversarono il Volga, e questo permise agli Zappatori di lasciare finalmente il bacino di Donetsk dove erano stati per diversi mesi. Gli ordini erano di continuare a muoversi verso est.
Un pomeriggio, mentre Franz era impegnato a far quadrare i conti, con la posta arrivò l’ordine agli Zappatori di girare rapidamente verso Stalingrado. Hitler stava mandando lì la sua sesta armata per conquistare e sorvegliare questa importante città, e gli Zappatori dovevano aiutare a costruire ponti e a spianare le strade sterrate.
Franz corse dall’Hauptmann portando gli ordini.
-Stalingrado! -disse l’Hauptmann dopo averli studiati.
-Non ho un buon presentimento. Ho sentito dire che la città è una roccaforte dell’esercito sovietico. Ho paura che perderemo molti uomini lì-. Sospirò e consegnò a Franz gli ordini da archiviare-. Ma credo che non ci sia niente da fare. Gli ordini sono ordini.
Gli Zappatori si misero in marcia e presto attraversarono il confine orientale dell’Ucraina per entrare nella Russia stessa.
Raggiunsero la città di Rostov, quando improvvisamente gli ordini cambiarono.
-Erich, guarda qui- chiamò Franz eccitato dall’altra parte della stanza al sergente, che era appena entrato-. Non andiamo più a Stalingrado, ma nel Caucaso!
Erich diede un’occhiata al documento,
-Amico, questa è una buona notizia. Stalingrado è un inferno!- Guardò speculativamente Franz e disse: -Non credo che questo abbia a che fare con il tuo Dio. Ti sta proteggendo di nuovo?
Gli Zappatori cambiarono rotta, attraversarono il fiume Don e si diressero a sud-est verso le montagne del Caucaso. Molto più tardi vennero a sapere che la sesta armata di Stalingrado era stata quasi completamente distrutta nella peggiore battaglia della seconda guerra mondiale.
Presto gli Zappatori raggiunsero la vasta steppa di Kalmykia, una pianura semi-arida coperta di erba che arrivava fino al Mar Caspio. Mentre iniziavano cautamente la loro marcia, si imbatterono in piccoli insediamenti dove la gente sembrava indietro di secoli rispetto alla civiltà moderna. Accendevano ancora il fuoco battendo insieme due pietre focaie finché una scintilla non faceva ardere dei brandelli di muschio secco. Quando i soldati tiravano fuori i loro accendini, spingevano un pulsante e producevano fiamme istantanee, la gente li fissava incredula.
Per diversi giorni i soldati tedeschi trovarono così poca acqua che la preziosa fornitura dovette essere razionata. Al mattino ogni uomo riceveva una tazza di latta piena di acqua leggermente salmastra, che era tutto ciò che avevano per lavarsi, radersi e lavarsi i denti. Franz sviluppò un sistema che funzionava abbastanza efficacemente. Immergeva il suo spazzolino da denti nell’acqua, si lavava i denti e li sciacquava con una grande boccata d’acqua. Questa veniva sputava di nuovo nella tazza. Poi bagnava il pennello da barba, si insaponava il viso e si faceva la barba. Infine, si bagnava le mani con l’acqua ormai insaponata e le passava sul viso e sul collo. A quel punto non ne rimaneva neanche una goccia.
A metà strada attraverso la steppa di Kalmykia, gli Zappatori si fermarono vicino a un grande cartello di legno che proclamava in diverse lingue: “Vi trovate sul confine tra Europa e Asia”. Decisero di accamparsi lì per la notte. In qualche modo stare all’ombra di quel cartello fece loro capire quanto fossero lontani da casa.
Quella sera tardi Franz uscì dalla tenda. Non c’era la luna, solo le stelle brillavano nel cielo di velluto. Sembravano così vicine da poterle toccare.
Guardandole, si chiese dove fossero i suoi cari. Erano ancora vivi? Forse in quel momento anche loro stavano guardando il cielo e pensavano a lui. E sapeva che lo stesso Dio che vegliava sulle stelle nel loro corso vegliava anche su di lui e sulla sua famiglia. Rassicurato, tornò alla sua tenda.
Finalmente la compagnia raggiunse il Caucaso. Venuti dalla steppa desertica, si sentirono come se fossero arrivati nell’Eden. Molto al di sotto delle cime ghiacciate della sua catena montuosa, viti e melograni pendevano pesanti di frutta. L’acqua era fresca e dolce. I prati di montagna sbocciavano di fiori selvatici.
La cosa migliore è che la gente era amichevole, e accolsero i tedeschi come liberatori dal dominio comunista. Diedero con piacere ai soldati i migliori alloggi e barattavano volentieri beni con gli uomini. In quei giorni, gli Zappatori erano di stanza all’ombra del monte Elbrus, alto 5.653 metri. Era il più alto d’Europa.
Durante questo tranquillo interludio Franz ricevette una lettera dall’aspetto ufficiale dal governo dello stato di Baviera. Non poteva immaginare di cosa si trattasse.
Guardando il timbro postale, vide che la lettera era stata in transito per più di quattro mesi prima di arrivare a lui. Mentre apriva la busta e iniziava a leggere, improvvisamente si ricordò.
Più di otto anni prima, aveva trascorso del tempo nella città cattolica di Passau, in Baviera, vendendo il libro “La Speranza dell’uomo” di porta in porta. Un prete lo aveva falsamente accusato di aver travisato il contenuto del libro e di aver ingannato il popolo cattolico, e le autorità lo avevano imprigionato. Quando il suo caso andò in tribunale, fu trovato innocente delle accuse, ma nonostante il verdetto, il giudice lo condannò comunque a otto anni di libertà vigilata.
E ora, finalmente, aveva in mano la lettera del governo bavarese che gli informava che la sua libertà condizionata era finita e che ora era libero di muoversi senza restrizioni.
“Ah, che ironia!” pensò Franz. “Sono qui ai confini dell’Asia, coinvolto in un’aspra guerra. E ora i bavaresi mi dicono che sono un uomo libero!”
Scuotendo la testa, Franz gettò la lettera nella spazzatura.
Mentre i tedeschi si trinceravano saldamente nel Caucaso, i sovietici radunarono presto le loro forze e lanciarono un contrattacco, colpendo i loro nemici quasi ogni giorno dal cielo. La Compagnia 699 degli Zappatori, insieme alla fanteria e all’artiglieria tedesca, doveva essere in servizio attivo per difendere i territori catturati. Durante questo terribile periodo, il disarmato Franz rimase illeso mentre molti dei suoi camerati caddero.
La guerra spesso tira fuori il peggio o il meglio delle persone, e durante gli intensi combattimenti un incidente dimostrò la gentilezza di Hauptmann Miekus. Uno dei soldati, un uomo di nome Grimm, possedeva una spilla dorata del partito, che indicava che era un membro del partito nazista di alto livello. Aveva servito fedelmente il suo paese durante tutta la campagna di Russia, ma ora era arrivato al punto di svolta.
Un giorno il soldato Grimm si avvicinò a un amico.
-Sai una cosa? -disse-. Ne ho abbastanza di questo inferno. Non ne posso più. Romperò il mio fucile, diserterò e mi arrenderò all’esercito russo. Allora la guerra sarà finita per me. Perché non vieni con me?
Molto allarmato, l’amico riferì la conversazione al tenente Gutschalk che andò immediatamente dall’Hauptmann.
-Hauptmann, sono spiacente di riferire che il soldato Grimm ha parlato alle truppe di arrendersi ai russi e ha esortato altri a farlo. Come sapete, secondo la legge marziale, deve essere fucilato immediatamente prima che possa minare ulteriormente il morale della compagnia. Chiedo che venga giustiziato.
L’Hauptmann fece una pausa di riflessione.
-Tenente-, disse infine-, mandi l’uomo da me. Voglio parlare con lui.
Il soldato Grimm fu portato nell’alloggio dell’Hauptmann, dove rimase per più di un’ora. Quella sera, durante l’appello, l’Hauptmann si rivolse agli Zappatori riuniti che aspettavano con tensione il verdetto.
-Soldati-, disse-, valutando attentamente il soldato Grimm, sono giunto alla conclusione che è mentalmente squilibrato. I suoi commenti non possono essere presi sul serio-, fece una pausa per un momento e guardò intorno alla stanza, con un lieve sorriso all’angolo della bocca-. Mi sembra evidente che siete già al corrente delle sue condizioni, visto che nessuno di voi ha preso sul serio il suo suggerimento di disertare.
La tensione dei soldati si dissolse in una risata.
Grimm rimase impunito.
Dopo alcune settimane di pesanti combattimenti, i russi scoprirono che non potevano sfondare le linee tedesche così facilmente come pensavano. Si ritirarono frettolosamente, e la Wehrmacht proseguì ancora una volta verso sud. La gente del posto, che spesso era amica dei tedeschi, sabotò i russi ovunque fosse possibile.
L’avanzata seguì il solito ordine. La Compagnia 699 degli Zappatori fece strada, riparando o costruendo ponti. Le SS seguivano, scovando e uccidendo quanti più ebrei potevano trovare. Infine la fanteria e l’artiglieria arrivavano e occupavano i territori “ripuliti”. Di nuovo Franz riprese il suo schema di andare di casa in casa per avvertire gli ebrei.
Andando più a sud, arrivarono in una regione coperta da immensi campi di girasoli le cui facce dorate erano rivolte verso il sole a perdita d’occhio. Quando la Compagnia 699 raggiunse la città successiva, scoprirono un grande frantoio. Montagne di chicchi di girasole erano ammucchiati sulla strada in attesa di essere trasformati in delizioso olio di semi di girasole spremuto a freddo, il migliore del mondo. All’interno, gli uomini scoprirono vasche gigantesche piene fino all’orlo di olio trasparente. Più tardi appresero che c’erano 200.000 litri di olio in magazzino. Agli Zappatori fu ordinato di far saltare il mulino.
Non volendo vedere tutto quell’olio sprecato, Franz escogitò un piano e andò a parlare con l’Hauptmann.
-Hauptmann Miekus, vorrei fare una proposta.
-Sì, Hasel?
-Sarebbe un peccato distruggere tutto quell’olio. Se mi desse il permesso, signore, penso che potrei distribuirlo equamente tra i soldati. Potremmo riempire delle latte e mandarle a casa. Lei sa quanto sia difficile ottenere qualsiasi tipo di olio o grasso in Germania. Sarebbe un grande aiuto per le nostre famiglie. Poi possiamo far saltare il mulino quando sia vuoto.
L’Hauptmann strizzò gli occhi in modo scettico.
-Non riesco a immaginare come farà a compiere questa impresa. Ma ha ragione, l’olio è come l’oro. Se ce la fa, ha il mio consenso.
Franz si mise a organizzare gli Zappatori in squadre. Alcuni raccolsero dei barattoli di latta vuoti che erano stati scartati dalla cucina; il gruppo successivo pulì i barattoli fino a renderli igienici, mentre altri li portarono a quattro lattonieri professionisti che saldarono i coperchi su ogni barattoli lasciando solo una piccola apertura sopra. Poi le latte furono riempite d’olio e riportate dai saldatori, che saldarono piccoli quadrati di latta sopra ogni buco. Le latte venivano distribuite tra gli uomini che le impacchettavano, le indirizzavano e le spedivano a casa.
Dopo il primo giorno, quando l’operazione andava bene, Franz prese un cavallo e un carro, riempì un barile da 100 litri di olio e guidò per diverse ore fino all’ospedale da campo per prendere altre lattine. Sapeva che i feriti dell’ospedale non ricevevano altro che cibo in scatola, così scambiò il barile d’olio con un intero carro pieno di lattine vuote.
La sera Franz invitava segretamente i civili locali a prendere dell’olio. Venivano con taniche d’acqua, bottiglie di vodka e barattoli di gres, e Franz li riempiva tutti. Grazie a questa gentilezza, la popolazione riconoscente non causò problemi ai tedeschi. Nel giro di tre giorni la Compagnia 699 aveva svuotato la vasca dell’olio e fatto saltare il mulino con la dinamite.
A casa l’olio fu una manna dal cielo. Helene ne scambiò una parte con del cibo. Diede una lattina al farmacista, e come risultato fu in grado di ottenere farmaci che non erano normalmente disponibili. Un’altra lattina andò all’amministratore del condominio in cui viveva, che a sua volta riparò rapidamente qualsiasi danno al suo appartamento e sostituì le finestre rotte dalla pressione dell’aria durante i bombardamenti.
Ancora una volta gli Zappatori andarono avanti. L’avanzata, tuttavia, rallentò quando una divisione di carri armati dopo l’altra fu ritirata dal Caucaso e inviata ad assistere nella battaglia di Stalingrado. Infine, ai campi petroliferi di Baku sul Mar Caspio, vicino al confine iraniano, l’avanzata tedesca si fermò. I battaglioni rimasti nel Caucaso erano troppo decimati per continuare.
Dopo mesi a Eschenrod, Helene e i bambini desideravano l’intimità e le comodità della loro casa.
-Ti prego, Mutti, ti prego, torniamo a casa-, implorarono i bambini-. Vogliamo vedere i nostri cugini e i nostri amici. Dio può proteggerci lì come qui!
Alla fine Helene cedette. Impacchettarono rapidamente le loro cose e le ammucchiarono sui tre veicoli che possedevano: una bicicletta nera malconcia, il passeggino e la carrozzina.
La mattina presto partirono. Questa volta non potevano prendere il treno, perché ampie porzioni dei binari erano state distrutte; avrebbero dovuto coprire le 40 miglia a piedi.
-Dove state andando? -chiedeva la gente lungo la strada.
-Francoforte.
-Non ce la farete mai a passare-, diceva la gente-. Tutte le strade sono bloccate dai carri armati.
Helene annuiva educatamente, ma dentro di sé pensava:
“Anche se mille carri armati bloccano le strade, io porterò i miei figli a casa. Se il Signore è con noi, non ci succederà nulla”.
Percorsero i chilometri ad un ritmo costante in salita e in discesa. I ragazzi facevano a turno sulla bicicletta carica, Lotte spingeva il passeggino ed Helene li seguiva con la carrozzina. L’andatura diventava sempre più dura man mano che la giornata diventava più calda. Alla fine, quando iniziarono a salire una lunga collina, Lotte non aveva più forze. Helene chiamò i ragazzi e Gerd arrivò di corsa.
-Ecco-, disse quando vide le condizioni di sua sorella-, dammelo.
Afferrò le maniglie del passeggino con entrambi i pugni e con uno sforzo poderoso lo spinse per il resto della strada su per la montagna, mentre Lotte si aggrappava al passeggino che Helene stava spingendo. Arrivando in cima si riposarono.
Helene indicò verso il basso-. Guardate-, disse-. Laggiù vedo una casa. Se riusciamo ad arrivare fin lì, possiamo prendere qualcosa da mangiare e da bere, e ci sentiremo meglio.
Incoraggiati, i bambini proseguirono a fatica. Quando raggiunsero la casa, una donna era affacciata alla finestra e osservava tranquillamente il loro arrivo.
Helene la salutò-. Stiamo andando a Francoforte. Ho quattro bambini. Potrebbe darci qualcosa da mangiare e da bere? Lo apprezzeremmo molto.
Mentre si riposavano all’ombra di un melo, la donna tornò con nient’altro che una brocca d’acqua.
-Ora bevete-, disse-, e poi andatevene. Non voglio vagabondi in giro per casa mia!
Helene era vicina alle lacrime. Bevvero tutti a lungo e anche la piccola Susi bevve l’acqua. Poi proseguirono lungo la strada polverosa. Quando arrivò la notte, si infilarono in un fienile vuoto e dormirono.
Il mattino seguente continuarono affamati e stanchi. Presto si sentirono esausti. Il sole nel cielo bruciava, facendo scorrere il sudore come acqua dai loro corpi. Helene, il cui cuore batteva come se stesse per scoppiare, doveva lottare per ogni respiro. Il viso di Lotte era gonfio e bluastro. Temendo un colpo di calore, Helene la fece sdraiare sul ciglio della strada all’ombra di un campo di grano e le parlò in silenzio, pulendole il viso con una manciata di erba fresca.
-Non essere triste-, disse-. Andremo solo un po’ più lontano e poi troveremo un’altra casa. Ci sarà l’ombra dove potremo riposare. Sii coraggiosa, Lotte. Dio si prenderà cura di noi. Continuiamo ancora un po’.
Si alzarono in piedi e ripresero a fatica gli interminabili chilometri, nel caldo insopportabile.
Finalmente, Lotte esclamò:
-Mutti, Mutti, vedo una casa!
Mentre si avvicinavano, una donna uscì. Li guardò e Helene rabbrividì dentro di sé, aspettando un altro rifiuto. Ma questa donna era diversa.
-Avanti, venite con me, qui dentro il cancello, disse, prendendo in mano il passeggino-. Riposatevi all’ombra mentre vi porto qualcosa da mangiare.
Presto tornò con un fresco tè alla menta, e poi un sostanzioso stufato di verdure e spesse fette di pane della fattoria, che anche la piccola Susi riuscì a mangiare. Ben presto la piccola famiglia si sentì rinvigorita e proseguì con rinnovata forza.
Quella sera, in lontananza, videro la torre dell’acqua che non era lontana dalla loro casa. Helene sapeva che c’era un coprifuoco alle 20, dopo il quale non era permesso a nessuno di stare in strada. “Non faremo mai in tempo”, pensò Helene. Ma andarono avanti, e quando le guardie armate videro il gruppo malandato, li fecero passare.
“È ancora in piedi”, si meravigliò Helene mentre giravano nella loro strada e vedevano il palazzo. “Miracolosamente, è ancora in piedi”. Le finestre erano di nuovo tutte rotte, ma non importava. Erano a casa.
-Mutti-, implorarono i bambini-, restiamo qui e non andiamo più via, mai più.
-Lo prometto-, sospirò Helene.
Per il suo bene e per quello dei bambini, era una promessa che sperava disperatamente di poter mantenere.
Ma con l’arrivo dell’autunno e poi dell’inverno, cominciò a chiedersi se alla fine sarebbe stata in grado di mantenerla. Il cibo era ancora più scarso di prima. Ora, oltre a elencare i soldati caduti, i giornali stampavano i nomi delle persone che erano morte di fame. Anche i viaggi erano limitati. Quando volevano visitare zia Anni, la sorella di papà, e i suoi due figli, che vivevano nel centro di Francoforte, dovevano chiedere un lasciapassare della polizia, che spesso veniva negato. Eppure notarono che i membri del partito nazista potevano muoversi liberamente.
Il cibo, naturalmente, era la priorità assoluta. Ogni notte a mezzanotte, Helene svegliava Kurt. Appesantito dal sonno, inciampava fuori dal letto, e con le dita rigide e viola-azzurre si metteva addosso diversi strati di vestiti, e infine le sue scarpe aperte. Come gli altri bambini, era diventato troppo grande per indossarle, e non avrebbe avuto diritto a un altro paio di scarpe fino alla primavera; così Helene tagliò il davanti delle scarpe per fare spazio ai piedi che crescevano.
Dopo aver trangugiato una tazza calda di Ersatzkaffee, Kurt uscì nella notte dalla loro camera da letto provvisoria nel seminterrato. Alzando il colletto e scavando le mani nelle tasche del cappotto, chinò la testa contro il vento pungente e camminò per le strade per prendere il suo posto nella fila per il pane. Altre figure isolate, scure e solitarie, arrivavano da altre parti della città. Alla fine raggiungevano la loro destinazione: la fila davanti alla panetteria, lunga a volte 20 persone, a volte 50, tutte fredde e silenziose, in attesa della loro razione quotidiana di pane.
Due ore dopo un assonnato Gerd arrivava per dare il cambio al fratello, e Kurt tornava a casa, si infilava nel letto completamente vestito, e sperava di potersi riscaldare abbastanza per tornare a dormire. Lotte dava poi il cambio a Gerd, e nei giorni fortunati il pane arrivava durante il suo turno in fila. Se c’era un ritardo, Kurt faceva un altro turno. Spesso quando il portatore di pane tornava a casa, l’estremo della pagnotta era già stato mangiato. Helene non aveva il cuore di rimproverare i bambini affamati.
L’inverno freddo come la pietra finalmente lasciò il posto ad un’altra primavera, e appena poté, Helene piantò degli spinaci in un posto protetto e soleggiato nel loro giardino. Presto germogliarono. I bambini sapevano che erano riservati alla bambina che aveva un gran bisogno di arricchire la sua dieta.
Una mattina Lotte tornò a casa piangendo dopo aver fatto la fila per il pane. Si sedette al tavolo della cucina ancora vestita con il suo cappotto logoro. I suoi polsi erano irritati dal freddo, dove le maniche ormai strette non li coprivano più.
-Cos’è successo?
-Alcuni dei bambini più grandi mi hanno spinto fuori dalla fila-, singhiozzò lei-. Ho dovuto andare fino alla fine della fila. Quando finalmente sono arrivata alla panetteria, il pane era finito. E ho tanta fame!
-Abbiamo ancora un po’ di riso-, disse Helene confortandola-. Staremo bene fino a domani.
Più tardi andò in giardino a prendere degli spinaci per Susi, ma scoprì che il piccolo appezzamento era stato raccolto. Con sgomento tornò a casa e chiese una spiegazione. Kurt confessò di aver mangiato gli spinaci. Cosa poteva fare Helene? Stavano tutti morendo di fame.
Un giorno ebbero una compagnia inaspettata. La sorella di papà, Tante Anni e suo marito Onkel Fritz erano alla porta. Onkel Fritz era tornato a casa in licenza. Era stato inviato a Breslau dove serviva nell’artiglieria contraerea, e disse alla famiglia che i combattimenti lì erano terribili.
-Non so se ce la farò-, concluse.
Pregarono insieme e dopo qualche giorno tornò al suo avamposto. Fu l’ultima volta che lo videro. Le forze tedesche a Breslau furono completamente spazzate via, senza sopravvissuti. Onkel Fritz fu dichiarato disperso in azione.
Qualche tempo dopo, Tante Anni e i cugini, Annalisa e Herbert, erano di nuovo alla porta. La notte precedente, mentre erano in un bunker, il loro appartamento nel centro di Francoforte era stato bombardato e completamente distrutto. Per qualche giorno rimasero con gli Hasel, poi furono evacuati in una piccola città sul fiume Reno. L’orrore non sarebbe mai finito?
A Helene fu assegnata una ragazza di 14 anni per aiutarla nelle faccende domestiche. Hitler aveva decretato che dopo aver lasciato la scuola elementare, tutte le ragazze dovevano fornire un anno di lavoro gratuito come contributo allo sforzo bellico. Thekla era una bambina illegittima non voluta a casa, ed era felice di stare con Helene, che la trattava con gentilezza. Tuttavia, non aveva idea di come prendersi cura di un bambino e di una casa, così Helene le insegnò pazientemente i compiti necessari. Thekla si affezionò molto a loro, e visitò la famiglia Hasel diverse volte dopo la guerra.
Come prima, i bambini andavano in chiesa il Sabato invece di andare a scuola, rendendoli impopolari con tutti i loro insegnanti. L’insegnante di matematica di Gerd, Herr Neumann, prese particolarmente in antipatia il suo piccolo allievo.
-Hasel-, disse in tono piccato-, tu mi stai sfidando. Ti rifiuti di usare il saluto hitleriano e manchi a scuola ogni Sabato. Ma io so come raddrizzarti!
Herr Neumann organizzava le sue lezioni in modo che il Sabato fosse il giorno in cui avrebbe introdotto ogni nuovo concetto di matematica. Quindi, ogni lunedì mattina, tirava fuori dalla valigetta il suo libro rosso dei voti, lo apriva, dava un’occhiata alla lista dei nomi e poi invitava Gerd a venire alla lavagna e a lavorare sui nuovi problemi. Le prime due volte, umiliato e spaventato, Gerd rimase impotente alla lavagna a guardare il suo insegnante che segnava il voto negativo sul libro rosso, mentre i suoi compagni di classe sogghignavano.
Alla fine adottò la routine che Kurt e Lotte avevano sempre seguito. La domenica, i tre arrancavano fino alle case dei loro compagni di scuola e chiedevano loro cosa avessero trattato gli insegnanti il giorno prima e quali fossero i compiti per il lunedì. Poiché pochi dei suoi compagni di classe erano molto interessati alla matematica, Gerd di solito riceveva tre o quattro versioni diverse. Ma a casa, prendeva il suo libro di matematica e studiava i problemi da solo fino a quando non padroneggiava i concetti.
L’antipaticissimo Herr Neumann ce l’aveva anche con altri due ragazzi, e non perdeva occasione per svergognarli e segnarli nel suo odiato libro rosso.
-Vendichiamoci-, dissero.
Così i tre cercarono un’opportunità. L’ultimo giorno di scuola, ebbero la loro occasione.
-Herr Neumann ha lasciato il libro dei voti sul suo banco!
Due dei ragazzi fecero da palo, mentre il terzo si intrufolò nell’aula e lo prese.
Dopo un po’ di discussioni, decisero per un atto cerimoniale di distruzione. Si divisero i compiti e si accordarono per incontrarsi tra mezz’ora sulle rive del fiume Nidda.
Lì si misero al lavoro. Prima sfogliarono le pagine e ricontrollarono i voti. Videro la lunga fila di 6 accanto ai loro nomi, mentre altri studenti avevano punteggi di 1 e 2.
-Ecco-, disse uno di loro-. Siamo pronti?
Misero il libro in una ciotola di latta malconcia, lo inzupparono di benzina e lo misero in acqua. Stando indietro, accesero un fiammifero e lo gettarono nella ciotola. Mentre il libro prendeva fuoco, qualcuno diede un colpetto alla ciotola con il piede, e guardarono allegramente come la corrente portò l’odiato libro rosso a valle.
Herr Doering, intanto, aveva rinnovato la sua campagna di molestie. Ben presto Helene ricevette un’altra lettera dalla scuola. Ancor prima di aprirla, sapeva di cosa si trattava. Spiegò la sua situazione al nuovo preside.
-Frau Hasel-, rispose il preside, lei e la sua famiglia siete accusati di essere ebrei travestiti. Le ordino di mandare i suoi figli a scuola il Sabato!
Helene aveva già vissuto tutto questo in passato, e fu ferma.
-I miei figli non verranno-, disse-, e voi non potete farci niente. Dio è in grado di prendersi cura di noi.
Lui sbatté la mano aperta sulla sua scrivania.
-Lo vedremo-, sibilò.
Arrivata a casa, Helene comunicò ai suoi figli costernati la notizia.
-Oh, Mutti-, si lamentò Lotte-, i miei compagni mi prendono già in giro. Sono così cattivi. Ora sarà ancora peggio.
-Non avere paura-, la consolò Helene-. Dio ha migliaia di angeli che ci tengono al sicuro. Lui può fare un miracolo.
Il Sabato mattina, la famiglia si inginocchiò per pregare. Prima che si alzassero, suonò la sirena dell’allarme aereo.
-Arrivano i bombardieri-, disse Lotte.
Gli occhi di Kurt si spalancarono.
-Perché dovrebbero volare di giorno quando la nostra contraerea può facilmente abbatterli? Poi aggiunse eccitato: -Mutti, questo significa niente scuola! La scuola è chiusa durante i raid.
Notevolmente, da allora fino alla fine della guerra, tra le incessanti incursioni aeree notturne su Francoforte, ce n’era una ogni Sabato mattina.
Tante Koehler era un fedele membro avventista e una delle amiche di Helene. Il suo unico figlio si era espresso contro il governo ed era stato arrestato e deportato nel campo di concentramento di Dachau. Contrariamente alla politica, le era stato dato il permesso di visitarlo lì una volta e quindi era una delle poche persone che sapeva delle atrocità commesse nei campi di sterminio.
Lei conosceva un po’ d’inglese, così di notte metteva segretamente la sua piccola radio sotto le coperte del letto e ascoltava le notizie sulla stazione nemica, un’offesa che l’avrebbe fatta finire nel campo di sterminio se fosse stata scoperta.
Il notiziario tedesco, naturalmente, era pieno di propaganda per mantenere il morale il più alto possibile. “Altre battaglie sono state vinte!” gridavano i giornali. “Il Führer fa altri progressi a est!”. Sempre, sempre, la Germania era vittoriosa.
Ma la BBC di Londra raccontava una storia diversa. Quando Tante Koehler veniva in visita, lei e Helene bisbigliavano a porte chiuse. La verità era che gli alleati stavano battendo i tedeschi senza pietà, respingendoli su tutti i fronti.
“Non può durare ancora a lungo”, pregava Helene. “Caro Dio, aiuta a fermare la guerra”.
Ormai anche le persone che non ascoltavano la BBC sapevano che il vento stava cambiando. Tutto quello che dovevano fare era guardare il cielo. Ogni giorno, come uccelli d’argento nel cielo, gli aerei nemici potevano essere visti volare in formazione verso destinazioni sconosciute. Kurt e Gerd una volta contarono 1.100 aerei in una sola squadriglia.
Ogni sera, succedeva sempre la stessa cosa. Prima arrivavano gli aerei da ricognizione, che volavano in alto e individuavano gli obiettivi della serata, poi lanciavano razzi infuocati che illuminavano l’area alla luce del giorno mentre scendevano lentamente. Poiché i segnalatori avevano una forma triangolare, i tedeschi li soprannominarono “Alberi di Natale”. Poi i bombardieri passavano in squadroni di 20, rilasciando il loro carico di morte nello stesso momento in modo che le aree designate fossero ricoperte di bombe.
Ogni volta che le sirene d’allarme della sera suonavano, Helene correva fuori a guardare il cielo notturno. Spesso vedeva gli abbaglianti alberi di Natale sorvegliare il suo complesso di sei condomini, probabilmente scambiandoli per un campo dell’esercito tedesco situato a 30 km di distanza.
Allora cominciava a pregare.
“Padre nostro, proteggici questa notte. Tu sei forte e potente. So che i tuoi angeli stanno circondando questi appartamenti. Tienici al sicuro”.
Mentre lei guardava, uno dopo l’altro gli alberi di Natale si spegnevano. Quando i bombardieri arrivavano, il loro obiettivo non era più segnato, e lasciavano cadere il loro carico a caso.
Helene e i bambini si rannicchiavano nella piccola stanza del seminterrato, incapaci di dormire con quel rumore fragoroso e stanchi fino allo sfinimento. Per ore ogni notte sentivano le bombe fischiare e sibilare mentre si avvicinavano al suolo, seguite da un’esplosione sconvolgente. Se il colpo era vicino, l’intero edificio tremava e il pavimento ondeggiava come un terremoto. La pressione dell’aria mandava in frantumi le finestre e squarciava le porte. Se qualcuno non aveva fatto in tempo a raggiungere il seminterrato, veniva scagliato giù per le scale. Le schegge spruzzavano nell’aria. I bombardamenti erano infiniti. Il pericolo costante, la mancanza di sonno e il freddo logoravano i nervi di tutti. Ma durante tutta la guerra, nessuna bomba colpì direttamente quei sei condomini.
Dopo gli attacchi extra pesanti, Kurt e Gerd prendevano il carretto di legno della famiglia e lo tiravano per 8 km nel centro della città. Dovevano farsi strada con cautela tra le macerie che disseminavano le strade. Spesso c’erano corpi carbonizzati ridotti a un terzo delle loro dimensioni normali (resti di persone che erano fuggite dalle loro case durante un raid e che erano state bruciate dalle bombe al fosforo).
Gli edifici erano ancora fumanti dopo i violenti incendi. Con attenzione, i ragazzi tiravano fuori travi, porte, telai di finestre, qualsiasi altra cosa che potesse bruciare. A volte trovavano mine inesplose, che mettevano da parte e continuavano il loro cammino. Non compresero appieno il pericolo di questi ordigni fino a quando uno dei compagni di scuola di Kurt si fece saltare la mano quando maneggiò una granata. Quando il loro carretto era carico, portavano a casa il loro carico a Helene chi li usava per riscaldarsi e cucinare.
Uno dei passatempi preferiti dei ragazzi era cercare sul terreno pezzi di schegge di forma insolita. Questi erano molto apprezzati dai bambini e potevano essere usati per barattare altri tesori.
Nel frattempo Herr Doering continuò a tramare contro Helene. Escogitò un nuovo piano: a Kurt, quasi quattordicenne, fu ordinato di unirsi al Jungvolk, l’organizzazione di Hitler per ragazzi tra i 10 e i 14 anni. Questi giovani imparavano abilità di sopravvivenza, facevano assistenza sociale, cantavano canzoni patriottiche e partecipavano a vigorosi esercizi fisici.
“Forse questo è un modo in cui mio figlio può partecipare senza violare i suoi principi”, pensò Helene. “Sembra innocuo e benevolo. Perché inimicarsi i nazisti quando non è necessario?”.
Kurt obbedì alla convocazione e andò all’ufficio di arruolamento. Dopo aver compilato i documenti, gli fu consegnata l’uniforme regolamentare della Jungvolk: pantaloni marrone, una camicia marrone a quattro bottoni con il colletto rovesciato e due tasche sul petto, un berretto di panno marrone con visiera, un fazzoletto da collo nero raccolto alla gola da un anello di cuoio marrone e una cintura di cuoio nero, sulla cui fibbia lucida era impressa l’aquila tedesca che stringeva la svastica e circondata dalla scritta in grassetto “Sangue e onore”.
Tuttavia, mentre ascoltava le chiacchiere che gli giravano intorno, Kurt cominciò a chiedersi quanto sarebbe stata innocua questa impresa. Pavoneggiandosi con orgoglio nelle loro uniformi, gli altri ragazzi si vantavano delle future posizioni di potere e di come essere promossi nella Gioventù Hitleriana fosse la via sicura per entrare negli stimati ranghi delle SS, le forze d’elite di Hitler. Forse questa non era un’organizzazione adatta a un giovane cristiano, dopo tutto.
Immediatamente Kurt fu assegnato al servizio del Sabato. Silenziosamente prese la decisione di rimanere a casa. C’erano così tanti ragazzi che forse non avrebbero notato la sua assenza. Si sbagliava.
Il leader della Gioventù Hitleriana, lui stesso un immaturo giovane di 17 anni, venne nell’appartamento degli Hasel una mattina presto.
-Frau Hasel-, disse in tono insolente quando lei aprì la porta-, Kurt il Sabato marina la scuola. Sono qui per esigere che si presenti questo Sabato!
Helene lo guardò con calma.
-Non puoi dirmi cosa fare-, disse lei-. Anche tu sei poco più grande di Kurt. Sono sua madre, e sono io che decido dove va, non tu.
Il giovane capo aveva evidentemente osservato i suoi superiori, perché si comportò esattamente come loro. Si irrigidì.
-Le faccio vedere io chi comanda qui-, urlò-. La denuncerò al partito. Poi vedremo chi comanda!
-Tu fai quello che devi fare-. Ed Helene gli chiuse la porta in faccia.
La volta successiva che vide Kurt, il capo sibilò:
-Vorrei darti un calcio così forte che non potresti più camminare. Pensi di essere troppo in alto e superiore. Ti aggiusterò io!
La risposta del partito fu immediata. Kurt ricevette una lettera consegnata a mano. Era stato arruolato nell’esercito per essere inviato immediatamente al fronte. Doveva presentarsi in servizio quel pomeriggio alle 16.00.
Quando Helene lesse l’avviso, ebbe l’impressione che qualcuno la toccava sulla spalla. Quando si girò, non c’era nessuno. Le sembrò di sentire una voce che sussurrava: “Presto, sbrigati! Cosa aspetti?” La voce aumentò di intensità.
Improvvisamente Helene sapeva cosa doveva fare.
-Kurt-, disse-. Prendi la tua bicicletta e vai a Eschenrod. Ecco un piccolo pezzo di pane. Mettilo in tasca.
-Non posso portare altro cibo nel mio zaino?
Helene scosse la testa.
-Non puoi portare niente con te. Altrimenti i vicini sapranno che stai scappando.
Kurt fece un respiro profondo e scosse la testa sconcertato da queste rapide decisioni.
-E tu? Verranno a prenderti. -Io ti seguirò con i bambini. Gerd? -Eccomi, Mutti. -Gerd, vai fuori a vedere se qualcuno ci guarda.
Quando non videro nessuno per strada, Kurt si avviò e sparì rapidamente dalla vista.
Helene corse attraverso l’appartamento raccogliendo alcuni degli oggetti più necessari. Con questi imbottì accuratamente la carrozzina. Non poteva prendere molto. Doveva sembrare che stessero solo portando la bambina alla sua abituale passeggiata pomeridiana. Mise Susi nel passeggino e raccolse Gerd e Lotte intorno a sé.
-Restate qui un attimo-, disse, e attraversò il pianerottolo fino alla porta di una vicina di fiducia. Bussò leggermente.
La porta si aprì appena una fessura, poi più larga, e la donna tirò dentro Helene.
-Sono venuta a salutarti di nuovo-, cominciò Helene-. Stiamo andando in campagna. Non posso dirle dove.
-Capisco-, la donna fece un occhiolino-. Andate in pace.
-Se qualcuno me lo chiede, non so niente. Starò attenta se torna suo marito.
Helene le strinse la mano con gratitudine. Poi lei e i bambini uscirono. Nessuno li vide uscire.
Qualche tempo dopo, Helene apprese dalla sua vicina cosa era successo quel pomeriggio. Alle 17.00 il capo della Gioventù Hitleriana accompagnò Herr Doering e un altro funzionario del partito all’appartamento. Trovarono solo una porta chiusa. Suonarono il campanello, bussarono e diedero un calcio alla porta. Guardarono nelle finestre e videro che non c’era nessuno.
-Aspetta e vedrai!-, gridarono con frustrazione-. Ti prenderemo. Ritorneremo e ti tireremo fuori dal letto, disertore! Allora avrai finalmente quello che ti meriti!
Suonarono al campanello del vicino.
-Frau Hasel è in casa?
-Mi dispiace-, disse lei in tutta sincerità-, non so dove sia. Avete provato a suonare il suo campanello?
-Torneremo stasera e prenderemo Kurt, anche se dovremo forzare la porta.
Con un’alzata di spalle, la donna tornò dentro.
A mezzanotte tornarono. Bussarono con forza alla porta degli Hasel per un po’ e suonarono di nuovo il campanello della vicina. Lei era pronta per loro.
-Ne ho abbastanza di tutto questo! -urlò-. È mezzanotte! Andatevene e lasciatemi in pace!
Sbatté la porta e la chiuse a doppia serratura. Gli uomini bussarono alle porte degli altri appartamenti, ma nessuno aprì. Infuriati, alla fine se ne andarono.
Per tutto questo tempo Helene e i bambini camminarono lungo la strada ormai conosciuta. I chilometri si estendevano all’infinito. I prigionieri di guerra russi camminavano nella stessa direzione, scheletri viventi, i piedi insanguinati avvolti in stracci. Quando Helene si fermò per dare ai bambini una fetta di pane, loro li guardarono con occhi brucianti e vuoti. Helene prese la sua fetta e ne diede metà a uno degli uomini. Lui la divorò avidamente.
Mentre camminavano, uno dei russi, un giovane, guardò la carrozzina. Quando vide Susi, le accarezzò dolcemente la piccola guancia. Poi camminò per chilometri accanto alla carrozza tenendo la mano della bambina, con le lacrime che gli scorrevano sul viso emaciato e cadevano nella polvere della strada. Il cuore di Helene ebbe compassione di lui. Si chiese se anche lui avesse un bambino a casa.
Impolverati e affamati, arrivarono a Eschenrod due giorni dopo. I Jost, che non si aspettavano di rivederli, avevano accolto altri sfollati in casa loro. Ma Herr Straub, il sindaco del villaggio, accettò di dare loro un riparo. Quando si misero a letto, si chiesero cosa li aspettasse.
Mentre la sua famiglia lottava per sopravvivere a Francoforte, Franz aveva contratto la malaria. Dopo mesi di malattia, si riprese lentamente. Un giorno gli fu detto di andare dall’Hauptmann Miekus.
Come al solito, Franz salutò mettendosi all’attenti.
-Voleva vedermi, signore?
-Hasel, è stato malato e non ha avuto una licenza per molto tempo. Ha diritto a una licenza. Se parte subito, potrebbe essere a casa per Natale. Torni fra tre settimane. Buona fortuna! Buon viaggio!
Miekus tese la mano e Franz gliela strinse calorosamente. “Ma è possibile?” Si chiese Franz. “Posso davvero essere a casa
per Natale? Troverò la mia famiglia? Ho ancora una casa?”
Fece le valigie in fretta e furia, riempiendo i sacchi di lattine d’olio, pane, burro, scatolame e formaggio locale che aveva comprato dai contadini. Poi partì. Non si potevano fare piani di viaggio sistematici. I treni andavano dove i binari erano intatti, e questo cambiava di giorno in giorno.
Salì su un treno merci e si diresse verso la Polonia. Alla fine raggiunse il confine di Brest-Litovsk. Da lì salì su un treno che lo avrebbe portato a ovest, attraverso la Polonia, verso la Germania.
Non appena Franz trovò un posto a sedere e il treno iniziò a viaggiare, ci fu un tumulto all’esterno. Suonarono dei fischietti. Gli uomini delle SS correvano lungo la banchina gridando al macchinista di fermarsi.
-Cosa sta succedendo? -chiese Franz a un soldato.
-Hanno dimenticato di mettere un vagone vuoto davanti al motore.
Franz guardò senza capire.
-Perché hanno bisogno di un vagone vuoto?
-Dove sei stato? Non sai che i partigiani polacchi mettono degli esplosivi sui binari? Se colpiamo uno di quei punti, salterà in aria solo il vagone vuoto, non tutto il treno.
No, Franz non lo sapeva. Nel Caucaso i rapporti tra la Wehrmacht e i civili erano amichevoli e cordiali. Non c’era stato alcun sabotaggio.
Il viaggio continuava. A volte il treno doveva fare una deviazione perché i binari erano danneggiati. Altre volte rimaneva fermo su un binario di raccordo per ore mentre le bombe cadevano. Malgrado tutto questo, la mattina di Natale arrivarono sani e salvi a Francoforte. Che aspetto terribile aveva la città! Le bombe ne avevano distrutto quasi la metà. Le strade erano coperte da macerie e cenere fumante.
Franz si affrettò a tornare a casa chiedendosi cosa avrebbe trovato. In lontananza poteva già vedere i palazzi degli appartamenti. Erano ancora in piedi! Quando si avvicinò alla porta, Helene la aprì e gli cadde tra le braccia. Lo aveva riconosciuto dalla sua andatura.
-Ragazzi, ragazzi, venite presto! Papà è tornato!
Che festa di Natale che hanno fatto! Con il cibo portato da Franz, Helene preparò un banchetto. Non si erano sentiti per molti mesi. E ora erano di nuovo tutti insieme, sani e salvi. C’era così tanto da condividere. La sera, stanchi e felici, fecero un culto di lode e ringraziamento.
Il giorno dopo Franz andò a visitare i membri della chiesa. Prima di uscire di casa, avvertì i suoi figli di non toccare le sue cose. Ma la tentazione era troppo grande per Gerd. Si intrufolò in camera da letto ed esplorò l’attrezzatura del padre. Indossò il casco militare di Franz, si mise la fondina e si pavoneggiò fingendo di essere un grande e potente soldato. Improvvisamente suo padre gli si parò davanti, con la faccia bianca come il gesso. Chiuse la porta e si rivolse al suo bambino.
-Gerd, cosa hai fatto? Non ti avevo detto di stare lontano dalle mie cose?
-Papà, io… soltanto… Non ho ferito a nessuno, lo prometto!
-Gerd, vieni qui. Hai scoperto qualcosa che nessun altro al mondo sa. Hai notato che nella mia fondina ho un pezzo di legno al posto della pistola? Lo porto in modo che satana non possa tentarmi di uccidere qualcuno e infrangere i comandamenti di Dio. Ma è un tradimento e un crimine essere un soldato senza un’arma. Se qualcuno lo scopre, mi sparerà e tu non avrai più un papà. Devi promettermi di non dirlo a nessuno.
Spaventato e singhiozzante Gerd balbettò:
-Te lo prometto, papà! Non lo sapevo! Non voglio che tu venga ucciso! Non lo dirò mai a nessuno!
-Vai allora a giocare. Dimentica quello che hai visto qui!
Il piccolo Gerd sentiva il peso di portare una responsabilità così grande. Naturalmente non avrebbe mai tradito il suo papà. Era, tuttavia, una meravigliosa opportunità per dimostrare la sua importanza al fratello e alla sorella maggiori. Non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione. Quando li trovò cantò:
-So qualcosa che voi non sapete! È un grande segreto tra me e papà, e nessuno tranne noi due deve saperlo! Se lo dico, lo uccideranno!
Con questo se ne andò saltellando, lasciando gli altri due a morire di curiosità e arrabbiati perché non erano stati messi al corrente del segreto. Quando Gerd decise di guardare meglio la pistola di legno, trovò la porta della camera da letto chiusa a chiave.
Troppo presto la visita finì e Franz tornò in Russia. Le condizioni di viaggio erano tali che gli ci vollero ben tre mesi per riunirsi alla sua unità. Lungo la strada incontrò i suoi due vecchi amici, Willi e Karl.
Ad un certo punto di quel viaggio di tre mesi, gli uomini trovarono una grande radio. Sapendo che se fossero stati sorpresi ad ascoltare le stazioni nemiche sarebbero stati puniti, continuarono comunque a girare la manopola della radio cercando di trovare notizie della guerra. La BBC di Londra raccontava delle avanzate russe e delle sconfitte tedesche, mentre la stazione tedesca mandava in onda un entusiasmante discorso di Goebbels che affermava che la Germania stava mobilitando 50 nuove divisioni in patria ed era pronta a lanciare un’offensiva totale che sarebbe stata l’inizio della vittoria finale.
Franz e i suoi amici si guardarono e scossero lentamente la testa.
-È assurdo-, sussurrò Karl-. Dove mai la Germania troverà abbastanza uomini per creare 50 nuove divisioni?
Finalmente arrivarono a Dzankoj, in Crimea. Camminando per la strada, Willi improvvisamente indicò l’altro lato.
-Accidenti-, mormorò-. Guardate chi c’è qui. Gli altri uomini si voltarono e videro il tenente “Seltenfroehlich” (Raramente felice) Gutschalk che camminava con passo deciso.
I tre attraversarono la strada, salutarono e tornarono in servizio. Il tenente, che era arrivato quel giorno per consultare un dentista dell’esercito, chiese loro con riluttanza di raggiungerlo nella sua stanza per la notte. La Compagnia 699 era di stanza a Simferopol, a un giorno di viaggio, e gli uomini avrebbero dovuto aspettare fino a domani per raggiungerla.
Quando raggiunsero l’alloggio del tenente, scoprirono un unico letto di ottone. Naturalmente l’ufficiale più anziano ne aveva diritto, così gli altri si sdraiarono sul pavimento. Mezz’ora dopo, un Peter Gutschalk imprecante saltò fuori dal letto.
-Qual è il problema, tenente?
-Non lo sopporto! Il letto brulica di cimici, e mi stanno mangiando vivo!
Quando gli uomini accesero la luce, centinaia di cimici fuggirono su per le pareti e scomparvero mentre il malcapitato tenente si grattava i segni che avevano lasciato sul suo corpo. Raggiunse gli altri sul pavimento, dove non erano stati disturbati affatto.
Il giorno dopo Franz, Willi e Karl si riunirono con la Compagnia 699 del Parco degli Zappatori in Crimea. Franz trovò il suo ufficio intatto e anche i suoi ultimi beni privati indisturbati.
Un caldo mercoledì Franz si sedette sulla panchina di legno fuori dal suo alloggio. Aveva appena finito il suo pranzo e si stava godendo qualche minuto al sole. Come era sua abitudine quando faceva una pausa, stava leggendo la sua Bibbia. Proprio in quel momento passò il tenente Gutschalk. La sola vista di Franz gli fece drizzare le antenne.
-Hasel, vedo che stai leggendo di nuovo il tuo libro di favole ebraiche. Non riesco a capire come una persona intelligente possa credere a quella spazzatura. Tu non sei altro che un ebreo travestito e un comunista. Se fosse per me, saresti liquidato come loro.
Appena in tempo Franz si ricordò del testo di Amos 5:13: “Ecco perché, in tempi come questi, il saggio tace; perché i tempi sono malvagi”.
Il silenzio di Franz fece infuriare ancora di più Gutschalk. Le vene gli spuntavano sul collo come corde mentre si infuriava:
-Ti tengo d’occhio. Un giorno farai un passo falso, e allora ti distruggerò!
Pochi giorni dopo l’Hauptmann Miekus entrò nell’ufficio e chiuse la porta alle sue spalle.
-Allora Hasel-, disse-, sai molte cose sulla Bibbia, vero?
-So alcune cose-, rispose Franz con cautela.
-Vieni con la tua Bibbia nel mio alloggio domani mattina alle 8 esatte. Ho alcune domande che voglio farti.
-Sì, signore! -disse Franz.
“Che cosa ha in mente?” Si chiese. “Quale nuova prova mi aspetta ora?”
All’orario in punto la mattina seguente Franz entrò nella stanza dell’Hauptmann. Con sua sorpresa, erano presenti anche il sergente Erich e il tenente Gutschalk. Miekus fece cenno a Franz di sedersi sulla sedia rimasta vuota al tavolo.
Senza indugio l’Hauptmann chiese:
-Da qualche parte nella Bibbia c’è scritto qualcosa sull’essere puniti fino alla terza e quarta generazione. Di cosa si tratta?
-Fa parte dei dieci comandamenti.
Quindi Franz lesse Esodo 20 per loro.
-Ricordo dalla mia infanzia che parlavano di un lago di fuoco.
-Sì, è in Apocalisse 20, dove si parla del giudizio finale-. Franz trovò il passo e ne spiegò il significato.
Alla fine le sopracciglia dell’Hauptmann si aggrottarono in ammirazione.
-Così conosci la Bibbia dentro e fuori.
Gli occhi di Franz scintillarono. Strinse la sua Bibbia tra il pollice e l’indice e la tenne in alto.
-Conosco l’esterno-, disse-. È di pelle nera. E conosco anche un po’ l’interno.
Lanciò un’occhiata agli altri, e dato che nessuno interruppe la conversazione, decise di prendere l’iniziativa.
-Hauptmann Miekus-, cominciò-. Ho saputo che nella vita civile lei è un professore di storia.
-È vero. -Mi chiedo se lei possa aiutarmi. L’Hauptmann annuì con la testa gentilmente. -Farò del mio meglio.
-La Bibbia contiene alcune profezie con contenuto storico che sono state scritte intorno al 600 a.C.-, disse Franz-. E ho sempre voluto verificarle con un esperto del settore. Lei sarebbe disposto a lasciarmele presentare e poi a darmi il suo parere sull’esattezza dei fatti?
Lusingato, l’ignaro Hauptmann rispose:
-Ne sarei felice. Faccia pure.
Franz tirò fuori la cartolina consunta che portava nel portafoglio dal 1921, quando era stato battezzato come convertito dal cattolicesimo. Sul fronte della cartolina c’era il disegno dell’immagine descritta in Daniele 2, e sul retro, Franz aveva accuratamente digitato le date e gli eventi corrispondenti ad ogni parte dell’immagine.
Passò attentamente attraverso il capitolo, versetto per versetto, raccontando su gli imperi di Babilonia, Medo-Persia, Grecia e Roma. Dopo tre ore e mezza si rivolse all’Hauptmann.
-Ho detto tutto giusto?-, chiese-. Come ho detto, non sono un esperto di storia. Le sarei grato se mi facesse notare eventuali errori.
-No-, rispose l’ufficiale stupito-. Nessun errore. Tutto è accurato.
Guardò il sergente e il tenente, poi di nuovo Franz.
-Hasel, non ho mai sentito niente di così sorprendente in vita mia.
-Lei vede che libro cronologicamente esatto è la Bibbia, signore-. Franz fece una pausa di effetto-. Eppure può immaginare-, continuò-, che ci sono ancora individui nel Terzo Reich che dicono che le persone che leggono la Bibbia sono ebrei e comunisti mascherati e devono essere liquidati?
Le sopracciglia dell’Hauptmann si abbassarono in un cipiglio perplesso.
-Come mai? La gente dice davvero così?
-Sì, Herr Hauptmann! -Franz lasciò che il suo sguardo si posasse solo per un momento sulle orecchie di Peter Gutschalk.
Erano rosso fuoco, e il tenente sembrava non sapere dove guardare nel suo imbarazzo.
-Bene, Franz-, disse l’Hauptmann Miekus-. Torna al libro. Non hai finito. Siamo arrivati fino alle gambe di ferro di Roma. Cosa rappresentano i piedi?
Franz spiegò che le 10 dita rappresentano le 10 tribù dell’Europa moderna. Descrisse le caratteristiche del ferro e dell’argilla che rendono impossibile che queste due sostanze stiano insieme. Con questo, concluse lo studio della Bibbia.
L’Hauptmann rimase in silenzio per un momento. -Allora? -chiese finalmente-. Che cosa significa? Franz fece un respiro attento e pregò per avere coraggio.
-Herr Hauptmann-, disse-, l’unica conclusione a cui può giungere uno studente della Bibbia è che il Führer non può vincere questa guerra. Non sarà possibile per lui unire l’Europa sotto la sua guida e stabilire il suo Terzo Reich di 1000 anni.
Guardò seriamente il viso dell’Hauptmann.
-Signore, le previsioni della Bibbia sono state dimostrate come accurate più e più volte. E se sono accurate qui, significa che stiamo combattendo una battaglia persa.
Silenzio tombale.
Infine, l’Hauptmann guardò l’orologio.
-È mezzogiorno! Dobbiamo sbrigarci, altrimenti non avremo niente da mangiare! Come è volato il tempo!
Si alzò in piedi, e gli altri si alzarono immediatamente in segno di rispetto.
-Hasel.
-Sì, Herr Hauptmann?
-Posso prendere in prestito la sua Bibbia per qualche giorno?
-Certamente, signore. Ne ho un’altra copia nella mia stanza. Ecco, mi lasci togliere i miei appunti. La tenga pure quanto vuole.
In uno stato di stordimento gli uomini lasciarono l’alloggio dell’Hauptmann. Il tenente Gutschalk evitò con cura il contatto visivo con Franz.
Una settimana dopo l’Hauptmann restituì la Bibbia.
-Hasel-, disse-, apprezzo quello che hai condiviso con me-. Si guardò intorno e abbassò la voce-. D’ora in poi non utilizzeremo più un terzo dei nostri veicoli a motore. Risparmieremo le razioni di benzina. Voglio che le conserviate in fusti e taniche, in modo che quando arriverà la fine, avremo abbastanza carburante per tornare a casa.
-Sì, signore. -E ricorda, Hasel. Questo è solo tra te e me.
Helene fu strappata dal sonno da spari e urla. Con il cuore che batteva, ascoltò i suoni all’alba. Durante sei anni di guerra aveva lottato per tenere in vita se stessa e i suoi quattro figli. Ora credeva che era arrivata la fine.
“I russi sono qui”, pensò con orrore. “E non c’è posto per nascondersi nel nostro appartamento. Solo Dio può aiutarci ora.”
Sdraiata, paralizzata dalla paura, ascoltava il crescente frastuono all’esterno.
“Aspettate. Quelli non sono suoni russi. Quegli uomini parlano il dialetto dei contadini dell’Alta Assia. Perché sono a Francoforte?”
Improvvisamente tutto le tornò chiaro. Lei e i bambini erano fuggiti da Francoforte ed erano arrivati a Eschenrod la sera precedente.
Allora cos’era questo rumore? Non c’erano state notizie che i russi fossero vicini. Ora, completamente sveglia, scivolò fuori dal letto, camminò a piedi nudi sulle assi del pavimento ruvido fino alla finestra e guardò fuori.
L’aia era piena di uomini. La loro attenzione era concentrata su un maiale coperto di fango che cercava disperatamente di rompere il loro cerchio. Ancora e ancora, mentre gli uomini si lanciavano verso di lui, il maiale infangato scivolava tra le loro mani. Herr Straub, il loro padrone di casa, sparò con il suo fucile in aria, aggiungendo confusione alla confusione.
Improvvisamente Kurt, Lotte e Gerd si affollarono alla finestra.
-Cosa stanno facendo al maiale, Mutti? -chiese Lotte.
-Vogliono macellarlo.
-Ma il maiale ha paura. Basta sentire come strilla. Come possono farlo?
Helene le mise un braccio confortante intorno.
-Lotte, è così che si ottiene la carne. Sai che a volte mangiamo carne di manzo. Viene dalle mucche che vengono macellate.
Gli uomini avevano ormai preso il maiale e bloccato a terra. Herr Straub gli piantò un pugnale nel collo, e una fontana di sangue si mescolò al fango. L’undicenne Lotte si staccò dalla finestra e si gettò sul letto, singhiozzando e con voglia di vomitare.
-Non mangerò mai, mai più carne! -pianse.
Helene si vestì, poi prese la piccola Susi e le cambiò i pannolini sul letto, mentre gli altri si lavavano a turno nell’acqua gelida che era rimasta tutta la notte nella brocca sul lavabo.
Al piano di sotto, nella cucina della fattoria, Frau Straub aveva già sfornato diverse pagnotte di pane. Aveva invitato Helene e i bambini a unirsi a loro per una colazione di pane imburrato e Ersatzkaffee.
-Quali sono le condizioni nella vostra città? -Le chiese Herr Straub.
-La maggior parte di Francoforte è in rovina-, disse Helene-. Ogni notte c’è una grandinata di bombe perché squadroni di aerei nemici coprono sistematicamente la città.
-Menomale siete venuti qui-, disse gentilmente Herr Straub-. Con noi sarete al sicuro. Francoforte non è un posto per bambini in un momento come questo.
Prese il suo cappello di feltro grigio malconcio e andò fuori a tagliare il maiale. Presto i lati di pancetta furono appesi nell’affumicatoio a stagionare, e Frau Straub stava bollendo le salsicce nei grandi bollitori usati di solito per fare il bucato.
Helene e i bambini, nauseati dall’odore di maiale in cottura, tornarono di sopra nella stanza che gli Straub li avevano assegnato. Rapidamente prepararono i tre letti. Poi il quattordicenne Kurt prese la Bibbia e lesse la storia della protezione di Dio sul fedele Giuseppe. Helene guidò la famiglia nella preghiera.
“Grazie, Signore”, pregò, “per averci protetto ancora una volta e averci portato al sicuro in questo rifugio nel profondo delle montagne di Vogelsberg. Nessuno a casa ci ha visto partire e nessuno sa dove siamo. Ti prego, Dio, facci avere un po’ di pace qui. E ti prego, veglia sul nostro papà. Sono passati mesi dall’ultima volta che abbiamo avuto le sue notizie. Allora era in Russia. Tu sai dov’è adesso, e puoi proteggerlo là così come stai proteggendo noi qui”.
I bambini fecero eco con fervore al suo “Amen”.
Passarono tutta la mattina a sistemare gli oggetti che avevano portato nella vecchia cassettiera della loro stanza, e ad appendere i vestiti nell’antico armadio intagliato le cui ante mangiate dalle tarme erano decorate con rose dipinte. Quando tutto fu riposto, Helene chiuse le ante scricchiolanti e girò la pesante chiave ornata.
Poi andò in cucina dove Lotte era già impegnata a pelare le patate e a raschiare le carote per una semplice zuppa di verdure. Più tardi, mentre Susi faceva il suo pisolino, gli altri tre bambini andarono fuori a esplorare.
Ben presto Kurt si precipitò di nuovo in casa, con il volto coperto di cenere.
-Kurt, Kurt, cos’è successo? -Helene gridò.
Incapace di parlare, lui tese un oggetto gocciolante. Lei lo prese dalle sue mani tremanti e lo stese sul tavolo della cucina. Era un manifesto che chiedeva ai giovani che erano sfuggiti alla leva di presentarsi immediatamente all’ufficio di reclutamento. Qualsiasi giovane disertore sorpreso a nascondersi sarebbe stato immediatamente fucilato.
-Kurt-. La voce di Helene tremò-. Da dove viene questo?
-Ho visto un ufficiale nazista che lo inchiodava sulla bacheca del villaggio. Dopo che se n’è andato, il vento ha strappato il manifesto e l’ha gettato nel torrente. Ero curioso di sapere cosa c’era scritto, così l’ho ripescato con un lungo bastone. Oh Mutti, cosa facciamo?
-Dobbiamo dirlo al sindaco-, disse lei risolutamente-. È stato gentile ad accoglierci. Ma se si scopre che ospita un fuggitivo, sarà giustiziato. Non possiamo fargli questo.
Helene andò nel cortile dove continuava la macellazione.
-Herr Straub-, disse a bassa voce-. Vedendo la sua evidente angoscia, lui la seguì in cucina pulendosi le mani insanguinate sui pantaloni.
-C’è qualcosa che non va, Frau Hasel? -chiese lui.
Helene quindi spiegò il ritrovamento di Kurt. In silenzio il sindaco lesse il manifesto steso sul tavolo. Poi lo accartocciò e lo gettò sui carboni ardenti della stufa.
-Herr Straub, devo confessarle qualcosa-. Helene sussurrò.
-Siamo venuti qui perché Kurt è stato convocato per la leva. Non possiamo mettervi in un tale pericolo. Oh, cosa dobbiamo fare?
-Frau Hasel-, disse il sindaco a bassa voce-, il vento ha strappato un manifesto e l’ha gettato nel torrente. Non ho visto niente e non ne so niente.
Si avvicinò alla finestra, guardò fuori e tornò al suo fianco.
-Ho anch’io una confessione da fare-, le disse sobriamente-, ho ascoltato di nascosto le trasmissioni in lingua tedesca della BBC da Londra. Come lei sa, è vietato ascoltare la stazione nemica, e se mi scoprono, sarò arrestato. Ma questi, Frau Hasel, sono tempi disperati che richiedono un comportamento disperato. Ho imparato che i tedeschi non trasmettono altro che bugie. Non stiamo vincendo la guerra. Infatti, la guerra finirà presto. Gli americani sono molto vicini a Eschenrod e arriveranno presto. E non manderemo suo figlio nelle linee di combattimento a questo stadio avanzato. Migliaia di bambini non addestrati come lui vengono massacrati ogni giorno-, fece un gesto verso la finestra -proprio come quel maiale là fuori. Questa è una follia. Deve tenere Kurt nascosto in casa, perché non venga sacrificato.
Helene strinse fortemente la mano di Herr Straub. Le era impossibile parlare.
Due settimane dopo circolavano voci che gli americani si stavano avvicinando. Un flusso costante di soldati tedeschi in ritirata passava per Eschenrod. Kurt uscì per guardare le truppe cenciose del suo paese sconfitto passare. Il capitano di un’unità lo notò.
-Ragazzo. Vieni qui.
-Sì, signore?
-Ho qui diverse scatole di documenti riservati-, disse l’ufficiale-. Non possiamo più trasportarli. Ti ordino di bruciarli. Mostrami il forno del villaggio.
Kurt lo portò al grande forno di mattoni dove tutti i contadini cuocevano il pane. Il capitano ordinò ai suoi soldati di portare lì le scatole. Le scaricarono a terra, poi si affrettarono a seguire i loro compagni che stavano scomparendo, mentre Kurt cominciò a gettare le carte tra le fiamme. Per diverse ore bruciò un mucchio di documenti uno dopo l’altro fino a quando il forno fu arroventato e nuvole di cenere volarono fuori dal camino. Il fuoco arroventato consumò i documenti marcati “Segreto” e “Top Secret” in cui Hitler stesso aveva dato ordini che dirigevano i combattimenti sulla Linea Maginot.
Nel primo pomeriggio Herr Straub si catapultò in cucina.
-Gli americani sono a otto chilometri!-, gridò-. Saranno qui in un paio d’ore. Oh, cosa dovrei fare?
Pensando in fretta, Helene cercò di calmarlo.
-Perché non manda dei messaggeri in ogni casa per dire alla gente di appendere lenzuola bianche alle finestre? Questo segnalerà loro che ci stiamo arrendendo.
Grato per la raccomandazione, Herr Straub fece come lei aveva detto, e presto le lenzuola bianche si gonfiarono da ogni finestra quando i primi camion americani entrarono nel villaggio. Era il venerdì santo del 1945.
“Attenzione! Attenzione!” crepitavano in tedesco gli altoparlanti dei camion. “Chiunque lasci le proprie case sarà fucilato. Restate nelle vostre case”.
Presto i soldati bussarono ad ogni porta. Helene aprì la porta degli Straub e 35 uomini si affollarono in casa. Erano molto amichevoli, andarono in cucina e cominciarono a tirare fuori pentole e padelle. Usando il linguaggio dei segni chiesero del pane e del grasso per friggere delle uova.
Helene cercò la terrorizzata Frau Straub, che era nascosta in soffitta.
-Guardi, gli uomini hanno fame-, ragionò con lei-. Non gli faccia aspettare così a lungo. Dia loro del cibo. E’ tutto quello che vogliono.
-Si consumeranno tutte le mie scorte-, si lamentò Frau Straub-. Ma se deve essere così, dia loro un pezzo di lardo e una pagnotta di pane.
Helene scosse la testa.
-Non funzionerà-, insistette-. Non essere assurda. Dobbiamo dare loro da mangiare a sufficienza, altrimenti si prenderanno tutto. La vita è più importante di una pentola di lardo.
Infine Frau Straub disse:
-Frau Hasel, prenda lei il comando. Faccia quello che ritenga giusto.
Helene si precipitò in cantina e prese burro, uova, pagnotte croccanti, brocche di sidro fatto in casa e il barattolo blu di lardo. Poi accese il fuoco e iniziò a friggere le uova. Il comandante dei G.I. conosceva qualche parola di tedesco e chiese a Helene questo e quello. Lei portò rapidamente il necessario.
Mentre era in piedi davanti al fuoco caldo, uno degli uomini arrivò dietro di lei, le mise un braccio intorno e iniziò a baciarla. In un attimo il comandante fu al suo fianco. Rimproverò a gran voce il soldato e lo sbattè in un angolo. Dopo di che, nessuno osò più disturbarla.
Quella notte, mentre Helene, stanca morta, saliva le scale buie verso la sua stanza, qualcuno le tirò la manica.
-Chi è? -lei sobbalzò spaventata.
Una voce femminile sussurrò: -Frau Hasel, per favore mi lasci nascondere nella sua stanza. Non mi sento al sicuro da sola.
Era Frau Haar, un’altra donna di Francoforte che aveva trovato rifugio presso gli Straub. Era stata in grande pericolo a casa sua perché aveva aiutato un prigioniero di guerra russo a fuggire. La notizia si diffuse nel quartiere, e lei dovette fuggire per evitare di essere arrestata e mandata in un campo di concentramento.
Senza una parola, Helene la prese per mano e la condusse nella stanza. Susi stava già dormendo nella sua culla, e gli altri bambini si preparavano per andare a letto. Kurt e Gerd di 9 anni condivisero un letto, Lotte ne aveva un altro, e Helene e Frau Haar decisero di condividere il letto matrimoniale. Prima che i bambini salissero nei loro letti, Helene si inginocchiò con loro e pregò di proteggerli quella notte.
-Frau Haar-, disse dopo che i bambini furono messi a letto-, non sappiamo cosa ci porterà questa notte. È meglio che non ci spogliamo. Così potremo essere pronte in un attimo.
Improvvisamente sentì un timido bussare alla porta. Helene aprì la porta di uno spiraglio e vide la dodicenne orfana che gli Straub avevano assunto per pascolare le loro mucche.
-Frau Hasel, ho tanta paura. La prego, mi faccia stare nella sua stanza-, implorò la ragazza tremante. Helene la tirò dentro e chiuse di nuovo la porta.
-Puoi dividere il letto con Lotte-, disse, e le rimboccò le coperte. Presto tutto fu tranquillo ed Helene si addormentò. Alle 2 del mattino fu svegliata da urla, schiamazzi e risate sguaiate. Poi sentì dei passi che stavano salendo le scale. Immediatamente la voce di Frau Straub si ascoltò fuori dalla porta.
-Frau Hasel, apra subito! Gli americani vogliono ispezionare la sua stanza!
Helene saltò giù dal letto pensando: “Ora io e Frau Haar siamo rovinate”. I soldati erano già saliti per le scale, puzzando di alcol.
Aprendo la porta, vide in piedi il comandante della truppa che l’aveva protetta prima in cucina:
-Oh-, disse in semplice tedesco-. Lei qui.
Fece brillare la sua torcia negli angoli della stanza e sotto i letti. Poi la passò attentamente sopra ogni letto. Gli altri uomini volevano spingersi oltre, ma lui rimase a gambe larghe sulla porta gridando agli altri:
-Fuori!
Si voltò verso Helene e chiese:
I suoi figli? -In silenzio Helene annuì con la testa. Lui disse: -E’ una brava donna. Dorma.
Si girò e le fece cenno di chiudere la porta dietro di sé.
La mattina del Sabato, quando Helene scese in cucina per scaldare del latte per la colazione, vi trovò riunite diverse donne del villaggio.
-Come ha superato la notte, Frau Hasel? -volevano sapere. -Non ho avuto problemi. Ho dormito. -Come, i soldati non l’hanno molestata?
Con orrore, Helene apprese che gli uomini ubriachi avevano violentato le donne del villaggio, dalle bambine alle nonne. Nessuna era stata risparmiata. Singhiozzando, le donne sedevano intorno al tavolo e raccontavano i terrori della notte.
Helene sentiva anche storie di contadini che fingevano di non avere più nulla quando i soldati venivano a chiedere cibo. I G.I. infuriati andavano nelle cantine dove erano conservate le scorte di cibo e facevano a pezzi tutto quello che trovavano.
La figlia di una famiglia stava per essere cresimata in chiesa la domenica successiva. Per mesi avevano accumulato cibo per la festa e lo nascosero dietro alcuni pannelli finti nel soggiorno. I soldati, battendo con i loro fucili alle pareti, scoprirono l’intercapedine, sfondarono il rivestimento e trovarono pancetta, prosciutto, burro, uova e un grande vaso pieno di miele dorato.
Infuriati per essere stati ingannati, gli uomini gettarono tutto per terra e lo calpestarono fino a rovinare tutto. Lasciarono il vasetto di miele per ultimo. Alla fine uno degli uomini lo afferrò e ci defecò dentro.
-Abbiamo dovuto buttare via anche il vaso-, riferì la donna sconsolata.
Più tardi quel giorno il comandante americano diede ordine che, sotto pena di morte, nessuna donna doveva essere molestata. Ma il danno era già stato fatto. Solo le donne intorno a Helene erano state risparmiate.
Dopo la colazione Helene riunì i bambini intorno a sé e condusse la scuola del Sabato. Cantarono la loro canzone preferita: “Forte rocca è il nostro Dio, nostra speme in Lui si fonda. Ne sostien benigno e pio, nell’angoscia più profonda”.
Le strade del villaggio erano deserte, ma nessun’altra violenza si verificò quel giorno o la notte seguente, ma gli abitanti terrorizzati passarono quelle notti con le porte sprangate e le finestre chiuse.
La vita si stabilizzò in una routine sotto le forze di occupazione. Gli americani governavano con mano leggera e diventavano spietati solo di fronte a ciò che consideravano tradimento…
In un villaggio vicino a Eschenrod viveva un contadino che aveva quattro figli. Ne aveva persi tre in guerra, e quello ancora vivo era un membro delle truppe d’elite delle SS di Hitler. Come tutti gli uomini delle SS, aveva fatto un giuramento di fedeltà a Hitler e sentiva che non poteva tradirlo e arrendersi al nemico. Quando gli americani lo scoprirono, lo portarono in un campo e gli spararono, poi gli tagliarono la testa con una vanga. I bambini del villaggio trovarono il suo corpo mutilato, e fu riportato ai suoi genitori su un carro di buoi coperto di paglia. Con il cuore spezzato, i genitori addolorati seppellirono il loro ultimo figlio.
A Eschenrod, Kurt, Gerd e Lotte si divertivano a guardare i soldati. Erano bonari e allegri e amavano i bambini, e a volte davano loro delle caramelle. Un giorno i primi uomini neri che i bambini avessero mai visto si unirono agli altri G.I. e i bambini li guardarono affascinati, chiedendosi se il colore nero della pelle potesse essere lucido da scarpe.
Sempre audace, Gerd decise che era il momento di fare un po’ di indagine scientifica pratica. Si avvicinò a uno dei soldati neri e tese la mano per una stretta di mano. Quando la ritirò, ispezionò attentamente il suo palmo per vedere se il colore si era staccato. Il G.I. notando la sua curiosità, ridacchiò e lo incoraggiò a toccare la sua pelle. Gerd strofinò e strofinò sul suo braccio, ma rimase nero.
Soddisfatto che fosse autentico, Gerd fece un grande sorriso all’uomo. Il soldato tirò fuori un pacchetto di gomme Juicy Fruit, e Gerd lo afferrò avidamente, ma poi non sapeva cosa farci. L’uomo fece una pantomima del masticare, e quando Gerd provò un pezzo scoprì improvvisamente perché gli americani masticavano in continuazione.
Con l’arrivo della primavera, l’offensiva alleata si intensificò. Di notte, Mutti e Kurt guardavano il cielo arancione mentre a molte miglia di distanza Francoforte stava bruciando. Poi un giorno sentirono che Eschersheim, il loro sobborgo, era stato completamente distrutto.
-Kurt-, disse Mutti-. Non avrò pace finché non saprò se è vero.
-Perché non prendi la bicicletta di papà e vai a Francoforte a vedere se rimane qualcosa del nostro appartamento?
-Certo-, disse Kurt, sempre pronto all’avventura-. Se l’appartamento non c’è più, troverò qualcuno con cui passare la notte.
-Ti darò del burro e della farina per l’amministratore dell’appartamento. E ti aspetterò domani all’ingresso della foresta con pane e tè alla menta perché so che avrai fame. Ora sbrigati. E non indugiare da nessuna parte perché le foreste sono pericolose.
Quando Kurt raggiunse una zona di campi aperti, improvvisamente sentì il ronzio dei bombardieri in avvicinamento dall’alto. Le bombe cominciarono a esplodere intorno a lui, e lui cadde dalla bicicletta e rimase sdraiato. Gli aerei avevano evidentemente mirato alla stazione ferroviaria della vicina Gedern, ma avevano mancato l’obiettivo.
Una volta cessate le fragorose esplosioni, montò sulla sua bicicletta e continuò a pedalare. Poi gli aerei a bassa quota si avvicinarono e cominciarono a sparare su di lui. Si gettò in un fosso e nascose la testa tra le braccia, pregando Dio di proteggerlo. Dopo alcune ore, vide in lontananza la torre dell’acqua di Eschersheim, il punto di riferimento che si trovava vicino al suo condominio. Avvicinandosi, si stupì nel vedere che in mezzo alle rovine fumanti, il loro complesso di sei edifici si stagliava ancora alto contro il cielo.
Aprì la porta dell’appartamento ed entrò. Era buio. La commozione delle bombe aveva fatto saltare i vetri delle finestre, e Herr Georg, l’amministratore, aveva inchiodato del cartone pesante alle cornici. Kurt gli diede gli oggetti che aveva portato da Eschenrod, e lui e sua moglie, che aveva la tubercolosi, accettarono con gratitudine il cibo di cui avevano bisogno.
La mattina seguente Kurt si lasciò alle spalle i tristi panorami e si diresse ancora una volta verso la campagna. Faceva caldo ed era sempre più debole per la fame, ma finalmente apparve la foresta di Eschenrod, e vide Mutti che lo aspettava all’ombra come aveva promesso.
Mentre girava l’ultima curva verso di lei, un polacco saltò fuori dai cespugli, afferrò il manubrio di Kurt e lo costrinse a scendere dalla bicicletta. Spinse Kurt di lato, montò sulla bicicletta e se ne andò.
Mutti aveva visto cosa era successo. Proprio in quel momento una fila di carri armati americani girò la curva dietro di lei. Lei sfrecciò sulla strada e si mise davanti loro con le braccia tese per chiedere il loro aiuto. Si fermarono, ma nessuno riusciva a capire il tedesco, e dopo alcuni frustranti minuti continuarono per la loro strada. Mutti e Kurt camminarono fino al villaggio e si affrettarono verso la scuola dove erano appostati gli americani.
-C’è qualcuno qui che parla tedesco?-. Chiese Mutti.
Un giovane soldato biondo che stava intagliando un pezzo di legno seduto sulla sua branda si fece avanti e chiese in perfetto tedesco:
-Cosa volete?
-Abbiamo bisogno di aiuto. Un polacco ci ha appena rubato la bicicletta di mio marito.
-Beh, dov’è suo marito?
-Mio marito è in Russia.
Mentre parlavano, Mutti gli chiese come un americano potesse parlare così bene il tedesco.
-Mia madre nacque in un villaggio non lontano da qui-, disse-. Aveva molta nostalgia di casa e desiderava tornare, ma mio padre non mostrava comprensione. Così, quando ero piccolo, mi teneva in grembo e mi insegnava le canzoni natalizie tedesche. Mi diceva spesso: “Jim, noi celebriamo il Natale facendo regali, ma ci ricordiamo anche di Dio. Non dimenticare mai che Gesù è venuto al mondo per noi”. Aveva un cuore così buono, ma mio padre non le permise mai di visitare la sua patria ed è morta di crepacuore. Le sue ultime parole per me furono: “Jim, trova il mio villaggio. Trova la casa di mio padre. Ci sono dei bellissimi fiori alle finestre”. Ora spero di andarci.
Jim sorrise a Mutti-. Non si preoccupi. Se riesce a descrivere attentamente quella bicicletta, la troveremo e ve la riporteremo. Venga il prossimo mercoledì mattina. La lascerò nello scantinato di quella casa lì di fronte-. Indicò l’altro lato della strada.
Mutti riconobbe la casa; un ex avventista vi si era trasferito da non molto tempo.
Il mercoledì Mutti andò alla casa e bussò alla porta.
-Non ci sono biciclette qui-, disse la donna con enfasi quando Mutti glielo chiese.
Scoraggiata, Mutti si allontanò. Ma un momento dopo notò il padrone di casa, che aveva sentito tutto, muoversi verso di lei.
-Sta mentendo-, sussurrò-. Quella bicicletta è stata consegnata. Il soldato mi ha detto di tenerla d’occhio, così ho controllato, ma lei l’ha chiusa in cantina e l’ha nascosta con delle coperte.
Mutti attraversò la strada fino alla scuola, trovò Jim e gli raccontò quello che era successo.
Il volto di Jim si indurì.
-Lo vedremo-, disse, raddrizzandosi il berretto. Attraversarono la strada insieme, e Jim bussò alla porta della donna.
-Ho portato qui una bicicletta ieri-, disse-. La porti.
-Non ne so niente-, disse la donna in modo blando.
-O mi porta quella bicicletta-, disse Jim con todo autoritario come da soldato delle SS-, o la arresto!
Le labbra della donna si strinsero, ma i suoi occhi si abbassarono. Senza parole li condusse alla sua cantina e diede loro la bicicletta.
“Oh”, pensò Mutti tra sé e sé mentre la portava via. “se la guerra potesse finire così facilmente!”. Che fine avrebbero fatto tutti loro? Suo marito era ancora vivo?
Una domenica mattina, il rombo dei carri armati che cingolavano per le strade svegliò la popolazione spaventata. Kurt, con l’occhio incollato a uno spiraglio della persiana, sussurrò:
-Si stanno allineando sul ponte. Ora i soldati si stanno mettendo in posizione dall’altra parte.
Improvvisamente sentirono una voce dall’accento pesante che annunciava da un megafono montato su una jeep dell’esercito: “Achtung! Achtung! Tutte le donne e i bambini devono immediatamente riunirsi sul ponte del villaggio! Questo è un ordine!” Mentre la jeep scompariva, l’ordine fu ripetuto ancora e ancora, i suoi echi rimbalzavano sui muri delle case.
Spaventato, Gerd si aggrappò alla mano di sua madre. Lotte, bianca come un lenzuolo, chiese:
-Mutti, dobbiamo andare? Cosa ci succederà?
Helene prese una rapida decisione.
-Kurt, voglio che tu vada in soffitta a nasconderti. Assicurati che nessuno ti veda. Sembra che stia per succedere qualcosa di brutto e potremmo non tornare. Se vostro padre torna dalla guerra, qualcuno deve essere in grado di dirgli cosa ci è successo. Sbrigati!
Mentre Kurt correva su per le scale scricchiolanti della soffitta, Helene avvolse rapidamente gli altri tre in maglioni e scialli, pregando silenziosamente per la protezione. Poi, prese Susi a braccetto e ordinò agli altri due di aggrapparsi alla sua gonna, si precipitò verso il ponte. Era già affollato di donne e bambini, e i loro sussurri ansiosi risuonavano intorno a lei: “Che cosa è successo? Cosa sta succedendo? Che cosa significa questo?”
Helene sentì improvvisamente una pace scendere su di lei. Nella sua mente vedeva gli angeli che vegliavano su di loro.
In soffitta, Kurt trovò un buco attraverso il quale poteva vedere la piazza del villaggio. Vide le donne e i bambini sul ponte. Erano circondati dagli americani: da una parte i soldati con le loro mitragliatrici puntate sul ponte; dall’altra i carri armati con le loro armi puntate sulle donne. Non c’era via di fuga.
Kurt vide le linee impostate nei volti degli uomini e sentì la tensione di quel momento. Non potendo più assistere a quello che sarebbe sicuramente finito in un bagno di sangue, si voltò dallo spioncino, cadde in ginocchio e cominciò a supplicare Dio.
“Signore”, pregò con tutta l’intensità della sua giovinezza, “non so cosa stia succedendo laggiù. Ma sembra che i soldati intendano uccidere le donne e i bambini. Ti prego, non permettere che venga tolta loro la vita così vicino alla fine della guerra. Metti i tuoi angeli intorno a loro”. Con angoscia, continuò a pregare.
Giù, sul ponte, Helene si guardò intorno. Conosceva molte delle donne. C’era la padrona della locanda del villaggio che era stata così scortese con lei la prima volta che era stata evacuata a Eschenrod. In pieno inverno, con la piccola Susi di soli due mesi, questa donna l’aveva mandata a vivere nel gelido lavatoio. C’era l’anziana Frau Jost che aveva avuto pietà di lei e l’aveva invitata a casa sua. C’era Frau Straub, la moglie del sindaco, e la bionda Frau Bergmann, la moglie del pastore, con i suoi cinque figli. Il più giovane era solo un neonato ed era nato il giorno in cui aveva ricevuto la notizia che suo marito era stato ucciso al fronte. Helene aveva imparato a voler bene a questa giovane donna che conduceva studi biblici settimanali nella sua casa e si assumeva la responsabilità della cura spirituale del gregge di suo marito. Studiando la Bibbia insieme, le due donne avevano potuto sostenersi a vicenda ed erano diventate molto unite.
Buoni e cattivi, erano tutti lì. Che fine avrebbero fatto tutti loro? Il comandante americano dal volto cupo si fece avanti e annunciò attraverso un interprete.
-Vi ho chiesto di riunirvi qui perché ho saputo che avete commesso un grave crimine. I prigionieri di guerra polacchi liberati ci hanno rivelato che state nascondendo soldati tedeschi nel villaggio. Come sapete, questo è un tradimento. Vi daremo una lezione e vi fucileremo su questo ponte.
Pallide e silenziose le donne si guardarono.
Poi Frau Bergmann, con il suo bambino in braccio e gli altri figli intorno, si fece avanti. Con le ginocchia tremanti disse:
-Herr Comandante, garantisco che non ci sono soldati nascosti in questo villaggio. I polacchi hanno diffuso questa menzogna per vendetta. Noi siamo innocenti. Siamo indifesi. Sicuramente non ci falcerette come un campo di grano, vero?
Con tono severo il comandante rispose:
-Sì, è proprio quello che ho intenzione di fare. Voi tedeschi avete fatto lo stesso con i vostri nemici.
Frau Bergmann parlò di nuovo: -Crede in Dio? Lui rispose: -La vendetta è mia. Io li ripagherò! -Hai dei figli a casa?
L’uomo annuì e abbassò la testa.
-Sua moglie sa di questo piano? -continuò lei.
-Cosa penserà di Lei? Ha fede? Lo sa che Dio vede tutto. Non è sufficiente che mio marito sia caduto in Russia? Dovete ora uccidere noi e i nostri figli innocenti? Non pensavo che voi americani foste così duri!
A questo punto il comandante fece segno ai soldati di abbassare le armi.
Per tutto questo tempo Kurt aveva pregato in soffitta. Aspettava di sentire degli spari prima o poi. Quando tutto rimase tranquillo, si avvicinò al buco e guardò. Pur non potendo sentire ciò che veniva detto, vide subito che l’atmosfera sul ponte era cambiata. I soldati avevano allentato la loro posizione. Le donne non sembravano più paralizzate dalla paura.
Il comandante si rivolse loro ancora una volta.
-Portatemi due ostaggi. Poi vi lascerò andare.
Ben presto due giovani uomini si offrirono volontari. Erano feriti di guerra, tornati dal fronte, uno senza un braccio, l’altro senza una gamba. Vedere questi giovani invalidi convinse il comandante che non c’erano soldati tedeschi nascosti nel villaggio. Prese i giovani e li mandò nei campi in America. Questi ragazzi videro una buona parte del paese, mangiarono cibo meraviglioso e tornarono dopo diversi mesi raccontando agli abitanti invidiosi del villaggio la più grande avventura della loro vita.
Il tenente Gutschalk non disturbava più Franz per la sua lettura della Bibbia.
Il suo astio, però, non si era placato, e aspettava il momento giusto per mettere Franz nei guai.
Una domenica pomeriggio l’Hauptmann diede una festa in onore di uno degli uomini che era stato promosso sergente. Tutti erano invitati. Franz, che non aveva lavorato il Sabato, aveva dei conti da sistemare, così quando arrivò, la festa era già in pieno svolgimento. C’era del vero caffè e grandi piatti di torta, e queste rare prelibatezze contribuivano così tanto all’atmosfera di festa che la conversazione era vivace.
Durante una pausa, il tenente Gutschalk si rivolse improvvisamente a Franz.
-Dica, Hasel-, disse-, cosa pensa di Hitler?
Colto di sorpresa, Franz sbottò la prima cosa che gli venne in mente:
-È il più grande imbroglione sotto il sole!
Per un momento ci fu silenzio. Poi si scatenò l’inferno. Le sedie caddero a terra, mentre i soldati saltarono in piedi e cominciarono a colpire i tavoli di legno con i loro pugni. In un lampo, due vecchi soldati d’assalto, membri della speciale Sturmabteilung di Hitler, le SA, estrassero le loro pistole e le puntarono contro Franz.
-Questo è un tradimento del più alto grado! -urlarono infuriati. Nella loro furia sputarono saliva e briciole della torta che avevano appena mangiato. -Ti spareremo! Adesso! Toglietevi di mezzo, voialtri!
Nel tumulto tuonò la voce dell’Hauptmann.
-Silenzio qui! Vi ho detto che voglio silenzio! -Il tumulto si placò, ma la voce di Miekus no. -Soldati-, ruggì-, questa è una festa privata! Siamo qui per festeggiare. Siamo fuori servizio! Non ci saranno discussioni politiche, e questo è un ordine! Come osate rovinare la nostra festa!
A malincuore gli uomini si sedettero. Le truppe d’assalto rimisero le loro armi nelle fondine, imprecando sottovoce. Gli occhi di Gutschalk brillavano di ostilità. Poco dopo la festa terminò.
Karl e Willi furono i primi a raggiungere l’alloggio di Franz.
-Franz-, disse Karl, con la voce leggermente tremolante-, se non stai zitto ti farai uccidere, proprio ora, alla fine della guerra!
Willi afferrò la spalla di Franz in una stretta dolorosa. -Controllati amico. Tieniti per te il tuo pensiero! -Lo so, lo so! -Franz si scosse e si liberò-. La mia lingua mi ha
tradito. Starò più attento. -Sai che Hitler non ci piace più di quanto non piaccia a te-,
disse Willi-. Ma non devi sempre dire quello che pensi. -Lo so-, ripeté Franz-. Grazie per il consiglio. Quell’estate l’esercito tedesco cominciò a sentire come se una
morsa gigantesca lo stesse stringendo. Le truppe alleate sbarcarono in Francia e combatterono verso est, mentre sul fronte orientale l’Armata Rossa spingeva i tedeschi indietro passo dopo passo. La Luftwaffe (forza aerea tedesca) aveva perso da tempo il comando dei cieli e la Wehrmacht (l’esercito) non si era mai veramente ripresa dalle pesanti perdite dell’inverno precedente.
In Crimea gli Zappatori stessi subirono pesanti perdite. I soldati inviati come rimpiazzi erano spesso semplici ragazzi di 15 o 16 anni. Non addestrati e inesperti, caddero quasi immediatamente. Giorno e notte il suono del fuoco delle granate, dei mortai e dei cannoni infuriava mentre i russi intensificavano gli attacchi. La paura attanagliava anche i soldati più esperti. A volte andavano da Franz con vergogna a chiedere un nuovo paio di pantaloni: i loro li avevano cagati addosso in trincea.
Quando arrivò l’inverno, la compagnia ricevette finalmente l’ordine di ritirarsi. Fecero i bagagli in fretta e furia e si diressero verso nord, raggiungendo infine Odessa, sulle rive del Mar Nero. Si aspettavano qualche giorno di riposo, ma arrivò la notizia che i russi erano vicini. Il mattino seguente, presto, fuggirono per salvarsi, lasciando la periferia occidentale di Odessa mentre l’Armata Rossa entrava nella città a est. Proseguendo nella neve alta, gli Zappatori raggiunsero in tempo il Dnestrovskij Liman, un estuario del Mar Nero largo circa un miglio e mezzo.
Qui un guazzabuglio di soldati, civili, carri trainati dai buoi, camion, carri e animali erano allineati in attesa di attraversare il Liman sulla chiatta che serviva da traghetto. Arrivarono gli ordini che solo i militari potevano attraversare, ma quando Franz vide le donne e i bambini piangere, disse loro:
-Sentite, se siete disposti a lasciare tutti i vostri averi e a fuggire per la vostra vita, vi metterò sui miei carri e vi farò attraversare di nascosto. Ma dovete essere completamente silenziosi. È streng verboten (rigorosamente vietato) aiutare i civili.
Con gratitudine, le donne salirono, solo alcune per ogni carro, e Franz le nascose dietro fagotti e scatole. Alle 19 gli ultimi Zappatori attraversarono. Alle 21 l’Armata Rossa prese il sopravvento, catturando un intero battaglione tedesco che aveva ricevuto l’ordine di costruire un molo di sbarco.
Agli Zappatori fu ordinato di trovare alloggi nella città successiva. Ma il loro soggiorno non fu facile: i russi lanciarono attacchi di bombe giorno e notte. Ogni volta che le bombe cadevano, i tedeschi si gettavano a terra, era l’unico modo per avere una possibilità contro le schegge che volavano orizzontalmente.
Presto arrivò l’ordine di ritirarsi. Frettolosamente Franz mise dei cartelli per aiutare gli Zappatori rimasti indietro, a sapere dove trovare il resto della Compagnia 699. Quando i camerati finalmente li raggiunsero, molti di loro avevano perso scarpe, cinture e berretti nella fuga precipitosa.
L’Hauptmann riunì la compagnia.
-Uomini-, si rivolse loro dopo l’appello-, la maggior parte di voi possiede un paio di scarpe e un paio di stivali. Ma alcuni hanno perso tutto. Siete stati disposti a passare attraverso il fuoco l’uno per l’altro. Confido che vi prenderete cura dei bisogni dei vostri camerati.
Rapidamente i soldati condivisero i loro vestiti di ricambio con quelli che non avevano nulla. Poi, ancora inseguiti dai russi, gli Zappatori continuarono verso ovest, viaggiando giorno e notte fino a quando attraversarono il confine con la Romania. Gli uomini esausti si riposarono per qualche giorno nella città di Braila prima di dirigersi a nord verso i Carpazi.
Durante questa fuga precipitosa, Franz perse la cognizione del tempo. Un giorno passò alcuni momenti a studiare il calendario, cercando di orientarsi. Con suo grande dispiacere, scoprì che durante la ritirata frenetica, si era perso un Sabbath. Durante tutti gli anni della guerra, era l’unico Sabato che non aveva rispettato.
Per tutto il tragitto da Odessa, gli Zappatori erano stati impegnati a rinforzare o costruire ponti attraverso i corsi d’acqua, in modo che la Wehrmacht potesse portare indietro le sue attrezzature pesanti e i carri armati. I tedeschi avevano anche migliaia di carri trainati da cavalli pieni di munizioni, vestiti, cibo e tutte le attrezzature necessarie per la guerra. Ora arrivarono ordini che solo i veicoli motorizzati erano ammessi sulle strade, così i soldati caricarono quello che potevano sui camion e fecero saltare i carri. I cavalli li legarono insieme e li condussero lungo il lato della strada.
Tuttavia Franz aveva ancora la responsabilità di 30 carri trainati da cavalli. Nonostante gli ordini, li tenne sulla strada dove il traffico si muoveva a passo di lumaca. Solo ai ponti furono costretti a lasciare la strada.
-Herr Hauptmann-, chiese un giorno Franz-, noi stessi abbiamo costruito questo ponte e non possiamo nemmeno attraversarlo? Non si può fare niente?
L’Hauptmann sospirò e scosse la testa-. Temo di no. Stiamo già andando contro gli ordini, mantenendo quei carri a cavallo. Dovrete cercare di guadare il fiume a piedi.
Franz lo fece, e guidò i carri di nuovo sulla strada dall’altra parte. In alto, nei Carpazi, raggiunsero il quartier del loro Generale. Quando lui vide la compagnia con i loro carri, corse fuori infuriato e urlando.
-Non sapete che i carri non sono più ammessi sulle strade? È streng verboten! Da dove venite? Chi comanda qui?
Hauptmann Miekus si fece avanti. Tanto nell’esercito tedesco erano streng verboten tante cose.
-Siamo la Compagnia 699 del Parco degli Zappatori-, disse-. Siamo uno dei “battaglioni volanti” di Hitler e come tali prendiamo ordini direttamente da lui.
-Ah, ecco-, disse il generale-, è diverso, naturalmente. Vi dirò una cosa. Voi togliete i vostri carri dalla strada qui e aspettate la notte. Potete procedere dalle 18 alle 6 del mattino, ma non durante il giorno. Altrimenti gli altri mi si rivolteranno addosso.
Contenti di questo accordo, gli Zappatori si accamparono mentre migliaia di soldati passavano. Nessuno capiva come potessero essere così rilassati con i russi alle calcagna. La compagnia mangiava alle 17, poi faceva i bagagli e alle 18 partiva come un fulmine.
Poiché le strade erano vuote di notte, il loro viaggio procedeva effettivamente più velocemente dei veicoli motorizzati che si muovevano di giorno.
In cima alle montagne raggiunsero un cartello: “Budapest, Ungheria – 897 miglia (1.495 chilometri)”. Pensavano di poter coprire 30 miglia (50 chilometri) per notte e raggiungere Budapest in 20 giorni.
Mentre il loro viaggio notturno continuava, si accorsero di un inquietante bagliore all’orizzonte in direzione di Budapest.
Willi si avvicinò a Franz e chiese: -Franz, cosa pensi che sia? -Penso che l’intera città stia bruciando-, rispose Franz. Gli Zappatori si affrettarono e raggiunsero Budapest nel
tempo record di 18 giorni. Lì ebbero una grande sorpresa: tutta la città era illuminata di notte. Nessun blackout. Nessuna guardia camminava di notte per le strade alla ricerca di spiragli di luce che potessero mettere in pericolo un intero quartiere. Era uno spettacolo che i soldati non vedevano da anni. In effetti, la città era poco colpita dalla guerra, e gli ungheresi trattavano i tedeschi con gentilezza.
L’Hauptmann Miekus decise di procedere solo con i camion. Molte altre unità avevano già dovuto abbandonare i loro veicoli a causa della mancanza di carburante, ma grazie alla benzina che gli Zappatori avevano accumulato per 18 mesi, avevano abbastanza carburante per arrivare a casa. Caricarono le loro cose sui camion e diedero i loro carri e cavalli a compagnie che non avevano mezzi di trasporto.
Agli Zappatori fu ordinato di costruire un ponte attraverso il Danubio per il mare di truppe tedesche che tornavano indietro. Il ponte fu completato in quattro giorni. La ritirata divenne sempre più frenetica. Al punto di esaurimento, gli Zappatori raggiunsero il lago Balaton in Ungheria.
Ma non ci fu riposo per gli uomini stanchi. Alle 2 del mattino seguente furono svegliati da colpi di pistola.
Sconvolto, un Hauptmann con gli occhi annebbiati si precipitò nella stanza di Franz.
-Hasel. Cos’è questo rumore?
Pochi secondi prima, Franz era tornato da una spedizione di esplorazione.
-Sono i russi che sparano con i mortai da trincea, signore. Sono solo a poche centinaia di metri!
-Cosa devo fare?
-Signore-. Franz mantenne la voce livellata e il più possibile sicura-. Vuole diventare un prigioniero di guerra russo? Ordini la partenza immediata, o siamo perduti!
-Non posso farlo. Non ho ordini dall’alto!
-Herr Hauptmann, non possiamo aspettare ordini! Questo è il momento di agire da soli!
Nell’oscurità totale della notte gli Zappatori partirono. Tre ore dopo incontrarono il comandante del battaglione che li cercava a cavallo.
-Sono felice di vedervi! -urlò-. Non riuscivamo a contattarvi. Non sapevamo dove foste. Siete l’ultima compagnia del battaglione a raggiungerci.
Si affrettarono, e alla fine attraversarono il confine con l’Austria. Poiché i russi avevano già occupato la zona intorno a Vienna, il battaglione fu costretto a fare una deviazione che li portò a Graz, sul confine meridionale dell’Austria. Presto ricevettero l’ordine di dirigersi direttamente a nord verso Bruck an der Mur e da lì di nuovo a nord verso St. Poelten. Dopo solo una settimana arrivò l’ordine di andare di nuovo a sud verso Mariazell. Non c’era più logica nei loro spostamenti. Le strade erano intasate dalla Wehrmacht che avanzava verso nord o verso sud. Era impossibile coprire qualsiasi distanza.
Franz, che aveva vissuto e aveva fatto colportaggio in Austria per nove anni, andò dall’Hauptmann.
-Signore, conosco questo paese come il palmo della mia mano. Posso portare tutti a Mariazell su strade secondarie, se vuole.
Il sollievo si riversò sul volto del comandante stanco-. Assolutamente, Hasel. Assuma il comando!
Gli Zappatori lasciarono le strade principali e strisciarono lungo strade non asfaltate su e giù per le Alpi. Tuttavia raggiunsero Mariazell prima di chiunque altro, e furono in grado di alloggiare in un grande albergo.
Mentre la compagnia occupava le postazioni e teneva a freno i russi, Franz preparò il suo ufficio e installò l’unica radio che gli era rimasta. Per mesi aveva ascoltato la stazione nemica: l’unico modo per avere notizie affidabili sull’andamento della guerra.
La domenica Franz passeggiava per Mariazell, una famosa città di pellegrinaggio. Nella chiesa era appena iniziata la predica. Franz ascoltò con curiosità.
-Cari fratelli-, disse il prete-, non preoccupatevi. Se non possiamo entrare in paradiso dalla porta principale, Dio ha sempre una porta sul retro attraverso la quale possiamo intrufolarci. In qualche modo ci arriveremo tutti.
Franz aveva sentito abbastanza. Scuotendo la testa, andò avanti.
Il 1° maggio 1945, mentre Franz stava ascoltando il notiziario radiofonico, vide il tenente Gutschalk passare all’esterno. Franz aprì la finestra e mise la testa fuori.
-Peter-, chiamò-. Peter, hai sentito la notizia? Voglio esprimere le mie condoglianze.
Il tenente si voltò, aveva il viso bianco come il gesso- Cosa?- balbettò-. Che cosa è successo? Hai ricevuto cattive notizie sulla mia famiglia?
-No, Peter, è peggio di così. Il tuo dio è appena morto. Si è ucciso ieri.
La faccia di Peter passò dal bianco al rosso barbabietola. Sparò a Franz uno sguardo pieno d’odio e proseguì camminando.
Qualche giorno dopo, quando diversi uomini erano raggruppati intorno alla radio, Miekus entrò. Un annuncio era appena uscito dall’altoparlante: “Achtung, Achtung! Chiediamo la resa totale della Wehrmacht tedesca! Arrendetevi! Consegnate le armi!”.
Miekus era infuriato.
-Chi ha sintonizzato la stazione nemica? È streng verboten!-, ruggì.
-Herr Hauptmann-, disse Franz con rispetto-, non c’è più un’altra stazione. Siamo circondati dai nemici. Le uniche due zone rimaste che sono ancora occupate dai tedeschi sono Praga e qui a Mariazell.
-Ti dico, Hasel-, scattò Miekus-, non perderemo la guerra. Questa è tutta propaganda del nemico.
-Con cosa vinceremo la guerra, signore? -Chiese Franz, chiedendosi se Miekus credesse davvero a quello che stava dicendo-. Non abbiamo più cibo, vestiti o munizioni. Da mesi ormai mangiamo pane che consiste al 50% polvere di segatura. E non possiamo ottenere altri rifornimenti perché il nemico ha il controllo di tutto.
Miekus era stato chiaro quando era solo con Franz, ma ora mostrava un raro momento di indecisione di fronte agli altri membri della truppa:
-Hai ragione-, disse a bassa voce-. Francamente, sono così confuso che non so cosa fare.
-Perché non va dal comandante del battaglione e chiede indicazioni?
Mezz’ora dopo, Miekus telefonò a Franz.
-Hasel, richiama i nostri soldati dal fronte e brucia tutti i documenti segreti. Salva soltanto i documenti non classificati.
Franz mandò subito dei messaggeri a richiamare i suoi compagni dalle loro postazioni e li fece caricare sui veicoli. Nel cortile accese un fuoco scoppiettante e vi gettò tutti i documenti, quelli non classificati insieme a quelli segreti.
Miekus entrò a grandi passi-. Cosa state facendo? Dovevate solo bruciare i documenti segreti.
-Signore-, disse Franz-, la guerra è finita. Non avremo più bisogno di queste cose, e non vogliamo che i russi le trovino. Distruggiamoli e teniamo solo i nostri soldi e i nostri documenti di servizio.
Il tenente Gutschalk si avvicinò al fuoco per recuperare i documenti.
-Non ci arrenderemo mai!
-Tenente-, disse Franz-, deve imparare qualcosa di importante. Il vento è cambiato. Finora era lei a comandare, ma non può più danneggiarmi. A causa delle mie convinzioni cristiane, lei ha voluto eliminarmi durante tutta la guerra. Ora quelle stesse convinzioni cristiane saranno la sua salvezza, perché non la denuncerò per crimini di guerra.
Proprio a quel momento, una voce rimbombò alla radio: “La Germania si è arresa! Ripeto, la Germania si è arresa!”
Era l’8 maggio 1945.
L’Hauptmann chiamò il quartier generale, poi riunì i suoi uomini e disse loro:
-Uomini, la resa è ufficiale. I nemici hanno firmato un trattato che stabilisce che tutti i soldati tedeschi che attraverseranno il fiume Enns entro le 11 di domani mattina diventeranno prigionieri di guerra americani. Quelli che non ce la faranno cadranno nelle mani dei russi. D’ora in poi ognuno agirà per conto proprio. Prendete i veicoli e partite. Buona fortuna a tutti!
-Franz, Karl, Willi e il sergente Erich decisero di restare uniti. Si ritirarono alle 10. I russi entrarono a Mariazell 30 minuti dopo. Orde di tedeschi stavano già strisciando attraverso gli altipassi alpini, tutti diretti verso l’obiettivo comune: raggiungere gli americani prima che fosse troppo tardi. Se un carro perdeva una ruota, veniva spinto oltre i dirupi. Quando i camion finivano la benzina, 20 uomini lo circondavano immediatamente e lo spedivano alla stessa destinazione. A volte si perdeva un’ora prima che la strada fosse di nuovo libera.
Durante queste fermate involontarie, Franz e Karl si arrampicavano sul fianco della montagna e cercavano tra i veicoli scartati. Ritornavano con scorte di cibo in scatola, sigarette e pelli di bovino. Caricavano le cose sul loro camion e proseguivano.
L’uno o l’altro guardava l’orologio e calcolava ansiosamente la distanza ancora da percorrere. Il ritardo successivo arrivò quando la strada costeggiò un chiaro torrente di montagna pieno di trote. Guardando giù, Willi disse:
-Ehi ragazzi, spariamo a qualche pesce!
Quando la colonna riprese, Karl e Willi avevano ottenuto un bel numero di trote fresche.
Infine, dalla cima di una montagna, videro il fiume scintillare in lontananza come un nastro d’argento. Ce l’avrebbero fatta? La Wehrmacht sconfitta si precipitò verso la meta lontana. Alle 10:30 Franz, Karl, Willi ed Erich attraversarono il ponte sul fiume Enns. Per loro la guerra era finita.
I soldati americani li aspettavano dall’altra parte.
-Fermi! -dissero in semplice tedesco, e fecero un gesto verso una pila.
-Armi qui-, dissero, gesticolando verso una pila-. e munizioni là.
Franz si sbottonò la fondina e gettò la sua “pistola” di legno sul mucchio. Gli occhi di Willi uscirono dalle orbite.
-Franz-, chiese-, Che diamine è quella cosa?
-È la mia pistola-, disse Franz, con gli occhi spiritati-. L’ho fatta fare in Polonia e lì mi sono sbarazzato di quella vera.
-Ma sei pazzo?
-Sai, non volevo mai trovarmi in una posizione in cui sarei stato tentato di sparare a qualcuno.
Il sergente Erich fissò Franz ancora più intensamente. Questo era l’uomo che aveva scelto come suo angelo custode durante tutta la guerra!
Puntando verso ovest, i soldati americani dissero: “Braunau. Campo di prigionia”.
Gli uomini capirono, ma ora non c’era più fretta. Potevano finalmente rilassarsi, perché finalmente erano al sicuro. Guidarono per qualche chilometro, poi si fermarono per il pranzo, dove su un fuoco all’aperto Willi e Karl arrostirono le trote fresche. Il giorno seguente a mezzogiorno, poco prima che finisse la benzina, raggiunsero il campo e si unirono ai 140.000 prigionieri di guerra tedeschi già presenti. Quando iniziò la ritirata, gli Zappatori erano tra le truppe più lontane dalla Germania; avevano coperto la distanza maggiore. Ora avevano raggiunto il loro ultimo obiettivo della guerra: essere nelle mani degli americani e non dei russi.
Quando Karl, Willi, Erich e Franz varcarono i cancelli del campo di prigionia, si rallegrarono della loro fortuna di essere caduti nelle mani degli umani americani.
-Io rimango nel camion-, disse Franz agli altri tre-. Perché non andate a cercare agli altri Zappatori?
“Signore”, pregò, mentre la vita frenetica del campo passava davanti al suo parabrezza, “Tu hai mantenuto le tue promesse! Tu solo meriti lode e ringraziamento per avermi portato in vita attraverso i pericoli della guerra. Non dimenticherò mai la Tua bontà”.
Poi rovistò nel retro del camion, tirò fuori la scatola che conteneva i registri dell’esercito, e cominciò a far quadrare i conti e a chiudere i libri.
“Achtung! Achtung!” urlò l’altoparlante la mattina dopo, chiamando il battaglione di cui gli Zappatori facevano parte a mettersi in fila per l’appello. Diverse unità si presentarono, ma l’intera quarta unità era dispersa in azione e probabilmente morti.
Non tutti gli Zappatori avevano raggiunto il campo. L’Hauptmann Miekus disse a quelli rimasti di presentarsi alla caserma di Franz quella sera dopo cena. Qui Franz diede ad ogni uomo l’ultima paga di servizio che gli spettava e il Wehrpass contenente il suo stato di servizio.
-Guarda, Willi-, disse-. Tutti gli uomini hanno fame. Gli americani non hanno il personale di cucina per preparare il cibo per così tanti soldati. Perché non ti occupi di nuovo della cucina per la nostra compagnia?
-Buona idea-, rispose Willi, e il giorno dopo andò alla cucina del campo e portò indietro verdure e patate. Le mescolò in un denso stufato, e lo completò con frittelle fatte con la farina che avevano portato dalla Romania.
Nel frattempo Franz andò dal cassiere del battaglione e consegnò i registri contabili e il denaro rimanente per il quale ricevette una ricevuta. Aveva fatto il suo dovere fedelmente e bene. Poi lui e Karl divisero gli altri beni tra gli uomini: zucchero, olio di girasole e abbastanza sigarette da dare ad ogni uomo una valigia piena.
“Attenzione, per favore!” crepitava l’altoparlante poco più di una settimana dopo. “Tutti gli uomini che vanno a Francoforte devono presentarsi per il congedo! Tutti gli uomini che vanno a Francoforte si presentino immediatamente!”.
-Karl-, disse Franz-, io non ci vado ancora. Tra un po’ vedrò quel cumulo di rovine ma voglio prima finire qui. Comunque non ho ancora fatto i bagagli. Stasera metterò insieme le mie cose, così sarò pronto per la prossima chiamata.
Anche Karl, Willi ed Erich decisero di restare.
Dopo cena Franz dispose con cura le sue cose. Oltre al cibo, aveva un paio di pantaloni e stivali nuovi di zecca che aveva comprato in Romania: “i miei abiti da congedo”, aveva detto agli altri.
Poi preparò lo zaino, la borsa del pane e il sacco della biancheria con le sue cose. Con la tela di iuta cucì un coperchio per una tanica di olio di girasole da cinque galloni, in modo che si vedesse solo il manico. Quando finì, la sua merce pesava 70 chili.
Due giorni dopo, l’altoparlante chiamò di nuovo gli uomini che tornavano a Francoforte. I quattro amici corsero a salutare l’Hauptmann Miekus che come ufficiale superiore, doveva rimanere. Poi raccolsero le loro cose e iniziarono la camminata di 8 chilometri verso il centro di congedo.
Dopo solo un breve tratto, Franz si fermò. Ansimava e il sudore gli scorreva sul viso.
-Amici, non ce la faremo mai così. Karl, corri indietro e prendi in prestito la bicicletta della nostra compagnia. Possiamo restituirla più tardi.
Karl tornò presto. Appesero gli zaini al manubrio, drappeggiarono i sacchi della biancheria sul telaio e legarono i contenitori dell’olio allo stretto portapacchi sul retro. Franz guidava e Karl spingeva, mentre gli altri due tenevano l’equilibrio. In questo modo riuscirono a fare buoni progressi. Altri soldati trovarono i loro carichi troppo pesanti e lasciarono la maggior parte delle loro cose.
Finalmente raggiunsero il campo di congedo. Qui un maggiore tedesco con un megafono ordinò a tutti di formare una colonna. Quando vide i quattro con la loro bicicletta, urlò: “Cosa fate con una bicicletta? Non vi mettete in fila?”. Rapidamente posarono la bicicletta a terra e si misero in fila. Poi abbaiò: “Tutti gli uomini delle SS, fate un passo a sinistra”. Diversi uomini uscirono e furono rimandati al campo principale con una guardia. Gli altri furono condotti ad un treno in cui era stato allestito il centro di dimissione.
Nel primo vagone un medico condusse un esame fisico. Dopo che gli uomini si spogliavano, prendeva loro la pressione del sangue e ascoltava il loro cuore e i loro polmoni. Infine diceva a ciascuno di loro: “Alza il braccio destro. Bene. Alza il braccio sinistro. Bene. Potete rivestirvi”.
Franz, totalmente confuso da questa manovra, guardava con curiosità gli altri che eseguivano la routine. Quando fu il turno del sergente Erich di alzare le braccia, Franz notò che aveva un numero tatuato sulla parte inferiore del braccio.
-Aha-, disse il dottore-, ne abbiamo preso uno! Gli uomini delle SS non saranno rilasciati. Per favore, aspetta fuori finché non arriva una guardia.
-Erich-, disse Franz quando i quattro uomini si riunirono di nuovo attorno alla bicicletta.
-Non sapevo che tu appartenessi alle SS. Non sei nemmeno un sostenitore dei nazisti. Cos’è successo?
Erich sospirò-. Sono entrato nelle SS anni prima della guerra-, disse-. Ma poi mi sono disilluso e ho lasciato. Quando è arrivata la guerra, mi sono offerto volontario per combattere nell’esercito regolare. Immagino che tornerò al campo, quindi restituirò la bicicletta.
Con molta tristezza gli amici si salutarono.
Franz, Karl e Willi portarono i loro documenti di congedo al vagone successivo per l’approvazione finale.
-Sull’attenti!-, disse il colonnello americano dietro il tavolo.
Gli uomini si irrigidirono. Per abitudine, Karl, anche se era stato un forte oppositore del Führer, allungò il braccio destro e disse: Heil Hitler!
-Congedo negato!-, ringhiò.
-Ora-, disse, rivolgendosi a Franz-. Mi dia i suoi documenti. Dopo avergli dato un’occhiata, disse in tedesco fluente:
-Vedo nel suo stato di servizio una annotazione secondo la quale lei sarà sottoposto alla corte marziale dopo la guerra.
-Sì, signore-. Franz aveva studiato attentamente questa annotazione.
-Che cosa ha fatto per guadagnarsi questo?
-Ho rifiutato un ordine per motivi religiosi. Sono un Avventista del Settimo Giorno, e osservo il Sabato come ci chiede la Bibbia. Una volta, nel mio giorno di riposo, ci fu un attacco e mi rifiutai di fare il mio dovere perché era Sabato.
-Aspetti un attimo-. Le sopracciglia e la voce del colonnello mostrarono la sua incredulità-. Non può parlare sul serio. Per tutta la guerra ha osservato il Sabato nell’esercito nazista, ed è sopravvissuto?
-Sì, signore. Dio mi ha protetto, anche nell’esercito tedesco.
-È incredibile-, disse il colonnello-. A proposito, anch’io sono ebreo. Ma anche nell’esercito americano non osservo il Sabato perché è troppo difficile.
-Colonnello-, disse Franz audacemente, le consiglio di osservare il Sabato.
-Suppongo che dovrei davvero-, rispose l’uomo. Scuotendo ancora la testa per lo stupore, continuò l’intervista-. Qual è la sua occupazione?
-Sono un ministro del Vangelo, un colportore. Vendo libri religiosi porta a porta.
-Mi dispiace. In questo periodo siamo autorizzati a rilasciare solo lavoratori agricoli. Sa qualcosa di agricoltura?
-Beh, dai 6 ai 14 anni ho vissuto con mio nonno. Era un agricoltore nella Germania meridionale. So fare tutti i lavori agricoli.
Il colonnello scosse la testa-. Non funzionerà. La sua esperienza non è attuale.
Improvvisamente gli venne un’idea. Mi dica, ha per caso un giardino?
-Sì, abbiamo un piccolo giardino a Francoforte.
-Ecco fatto! -Scarabocchiò qualcosa su uno dei fogli. -La congedo per lavorare nella vigna del Signore!
Con un sorriso raggiante, restituì i fogli a Franz. Su di essi aveva scritto “Ispettore agricolo”.
Presto arrivarono i camion americani. Franz fu il primo a salire, e mentre Willi consegnava i loro bagagli, Franz li mise rapidamente sotto un sedile in modo che non fossero così evidenti. Erano finalmente in viaggio: Braunau, Regensburg, Nuernberg, Francoforte. Gli uomini appresero che ogni pochi giorni un convoglio di camion andava in Lussemburgo per trasportare i rifornimenti di cibo al campo di prigionia e al ritorno, i camion venivano caricati con i prigionieri di guerra rilasciati. Due autisti, a turno, raggiungevano Francoforte in 24 ore. Alla periferia della città gli uomini scesero.
Era il 21 maggio 1945. Franz era libero.
Della compagnia originale di 1.200 zappatori, solo sette sopravvissero; solo tre di loro non furono feriti. Franz Hasel, l’uomo con la pistola di legno, era uno dei tre.
Appena due settimane prima, il selvaggio suono delle campane della chiesa di Eschenrod aveva svegliato Helene. Fuori si sentiva la gente che correva e gridava. Herr Straub bussò alla sua porta gridando: “Frau Hasel, Frau Hasel. Scenda subito!”
Helene si mise dei vestiti e si precipitò fuori. Per strada vide tedeschi e americani che ridevano, piangevano e si abbracciavano. Era l’8 maggio 1945. La guerra era finita. Agli abitanti del villaggio fu detto che Hitler si era suicidato, che la Germania aveva capitolato e che le forze alleate avevano diviso il paese in quattro parti.
Eschenrod si trovava nella zona occupata dagli americani, e fino a quando non fosse stato possibile stabilire un governo, dovevano obbedire ai regolamenti americani. E fino a nuovo ordine, nessuno degli sfollati delle città doveva tornare a casa.
-Bambini, bambini, venite a casa, li chiamò Helene. Tornati nella loro stanza, la piccola famiglia si inginocchiò con cuore grato e ringraziò Dio per averli portati sani e salvi attraverso la guerra.
-Ma dov’è papà? -sussurrò Lotte al termine della preghiera-. È ancora vivo?
“Ti prego, Dio”, pregò Helene. “Riportalo da noi”.
Lentamente i giorni e le settimane passarono. Le cose non erano molto diverse dalle ultime settimane di guerra, tranne il fatto che la città di Francoforte in fiamme non gettava più un bagliore arancione nel cielo notturno.
I bambini andavano a scuola e aiutavano nei campi perché erano rimasti in pochi a lavorare. Da molto, molto tempo non si avevano notizie di papà. La sua ultima lettera era stata spedita dalle montagne del Caucaso in Russia, e si sussurrava che i soldati tedeschi catturati lì erano stati mandati nei campi di lavoro in Siberia.
Alla periferia di Francoforte, Franz e Willi fissavano il mucchio di bagagli ammucchiati sul marciapiede intorno a loro.
-Willi, non c’è modo di portare tutto questo-, disse l’uomo più grande.
-Tu stai qui e fai la guardia mentre io cerco di trovare qualcosa per trasportarlo.
Franz rimase scioccato nel vedere la distruzione della città. Più tardi apprese che l’80% di Francoforte era stata rasa al suolo. Qua e là le donne scavavano tra le macerie per trovare utensili ancora utilizzabili. Un ragazzo stava togliendo il calcestruzzo dai mattoni per poterli riciclare.
Venendo verso di lui, Franz vide un vecchio che tirava un carretto di legno. Era esattamente ciò di cui aveva bisogno.
-Mi scusi, questo è il suo carretto? -Sì. -Siamo appena stati rilasciati dal campo di prigionia. Abbiamo
molte cose da trasportare. Se ci presta il suo carretto, le darò a sua scelta 100 marchi, o cinque libbre di tabacco per sigarette, o mezzo litro di olio di girasole. Le restituiremo il carro tra qualche giorno.
L’uomo lo osservò attentamente.
-Bene, sto tornando a casa dalla stazione ferroviaria. Ho trovato del carbone lì, se capisce cosa intendo dire.
-Nessun problema-, rispose Franz. La accompagno a casa e la aiuto a scaricare il carbone.
-Jawohl-, convenne l’uomo-. A proposito, vorrei prendere l’olio.
L’uomo non chiese mai il nome o l’indirizzo di Franz, ma gli prestò volentieri il carro. Quando Franz lo riportò a Willi, caricarono le loro cose e le coprirono con un telo per proteggerle da occhi indiscreti. Poi, tirando e spingendo, si fecero strada tra le macerie.
-Oh oh-, disse Willi-. Vedo che non arriveremo presto. -Perché? -Guarda chi sta arrivando: le mogli. Vedendo i soldati, le donne convergevano da tutte le direzioni.
I loro corpi emaciati e i loro vestiti a brandelli raccontavano la storia delle devastazioni della guerra in casa. In silenzio guardavano gli uomini con occhi pieni di speranza e di paura.
Poi iniziarono le domande. -Da dove venite? -Veniamo dal fronte orientale-, disse Willi. -Anche mio marito era lì-, disse una delle donne, e gli altri
fecero eco con le loro domande, chiamando nome dopo nome-. Hai visto Georg Schneider? Avete notizie di Heinrich Gerber?
-Ascoltate signore, siate ragionevoli-, risposero i due uomini-, non possiamo conoscere tutti quelli che hanno combattuto in Russia.
Franz si rivolse a Willi-. Se questo non si ferma, non torneremo mai a casa. D’ora in poi diremo che siamo arrivati da poco dall’Austria.
Un’altra donna si diresse verso di loro: -Da dove venite? -Siamo appena arrivati dall’Austria. -Il mio figlio più giovane, Hans Kimmel, era lì. Non ho sue
notizie da mesi. Gli altri miei tre figli sono caduti in Russia. Sapete qualcosa?
-No, ci dispiace. Non conosciamo questo nome. Non abbiamo notizie.
-Franz, non funzionerà-, disse Willi-. Proviamo a dire che siamo appena arrivati dal campo di prigionia.
I soldati americani erano appostati su tutti i ponti che dovevano attraversare. Ogni volta dovevano mostrare i loro documenti. I documenti erano in ordine, ma i G.I. guardavano il carrello con sospetto. Tuttavia, nessuno fece obiezioni.
Un’altra donna li seguì di corsa. -Da dove venite? -Siamo appena usciti dal campo dei prigionieri di guerra. -In quale unità eravate? -Compagnia 699 del parco degli Zappatori. -Anche mio marito lo era. Conoscete Ludwig Keller? -Frau Keller-, disse Franz-, suo marito era sullo stesso camion
con noi. Forse è già davanti alla sua porta e non può entrare! Con un grido di gioia la donna si voltò e corse. -Willi-, disse Franz poco dopo-, è meglio andare prima al mio appartamento. È ancora dall’altra parte della città, ma è più vicino del tuo.
-Benissimo, se per te va bene.
Finalmente, la sera, raggiunsero il loro obiettivo. Dopo aver visto una sezione dopo l’altra della città rasa al suolo, fu quasi uno shock vedere il blocco di sei grandi palazzi intatti. Come un’enorme fortezza si ergevano sopra le macerie.
Mentre Franz e Willi trascinavano il carrello all’ingresso, una vicina mise la testa fuori dalla porta.
-Herr Hasel, è tornato! Benvenuto, mille volte benvenuto! Lei è uno dei primi uomini a tornare.
-Frau Jaeckel, sono così felice di vederla. -La sua famiglia non è qui. Sono a Eschenrod. Franz rimase per un momento sconcertato. -Eschenrod? -Lo conosce? É il villaggio sulle montagne di Vogelsberg. Lui annuì e sospirò. -Grazie mille e buona giornata.
-Franz aprì la porta con la chiave che aveva conservato per tutta la guerra. Lui e Willi scaricarono il carrello, e mentre Willi faceva il bagno, Franz esaminò l’appartamento. Le finestre erano rotte e le tende volavano nel vento, ma non mancava nulla. I mobili, la biancheria da letto, i piatti, i libri, persino la motocicletta di Franz, parcheggiata nella stanza degli ospiti, c’era tutto. Più tardi Franz apprese che i prigionieri di guerra polacchi erano rimasti nella scuola elementare a un quarto di miglio di distanza, e quando erano stati liberati avevano saccheggiato liberamente e preso tutto ciò che non era inchiodato. Dio aveva evidentemente tenuto la mano sull’appartamento degli Hasel.
Finalmente Franz si lavò e si fece la barba, e dopo aver mangiato un pasto, gli uomini si ritirarono a dormire. Il mattino seguente, gli amici si salutarono calorosamente e Willi partì per la sua casa sulle montagne del Taunus, lasciando metà delle sue cose nell’appartamento per riprenderle più tardi.
Sapendo che la sua famiglia era probabilmente al sicuro in quel villaggio isolato, Franz camminò per otto miglia fino all’ufficio della conferenza per informare il suo ritorno. Il presidente della conferenza gli diede il benvenuto.
-Fratello Hasel, è il primo impiegato della conferenza che è ritornato dalla guerra! -esclamò.
-Potrebbe aiutarci per un po’ come pastore? Abbiamo un bisogno disperato, perché molti dei miei uomini hanno perso la vita. Al momento non c’è lavoro editoriale. Infatti, non sappiamo nemmeno se la casa editrice è ancora in piedi perché non ci sono treni, né posta, né telefoni.
-Le dico una cosa-, disse Franz-. Se Dio ha bisogno che io sia un pastore, sarò un pastore. Ma la mia famiglia non è qui. Non li vedo da molto, molto tempo. Mi lasci andare a riportarli a casa, e sarò pronto a cominciare il primo luglio.
-Oh, fratello Hasel, non può immaginare quanto le sono grato. Dio la benedica!
Il giorno seguente Franz restituì il carretto al suo proprietario, insieme all’olio promesso, e iniziò il viaggio di 40 miglia verso Eschenrod. Le miglia si estendevano all’infinito. Passò la notte in un fienile, poi continuò.
Finalmente vide un cartello che diceva “Eschenrod 5 km“. Franz si fermò presso un ruscello limpido nel bosco, si pulì e si fece la barba. Quando sentì un carro che sferragliava sulla strada, chiese al cocchiere:
-Mi dica, va a Eschenrod? Il cocchiere annuì-. Io vivo lì. -Sono appena tornato dalla guerra-, disse Franz-. Mia moglie è una degli sfollati. Conosce una certa Frau Hasel? -Oh sì, sta dal sindaco-, disse il cocchiere mentre scendeva dal
carro-. Metta i bagagli sul carro. Non c’è abbastanza spazio per tutti e due, quindi la accompagnerò a piedi per il resto della strada.
Mancando solo una certa distanza dal villaggio, Franz vide un bambino che veniva lungo la strada polverosa. Il bambino si coprì gli occhi dal sole con la mano e guardò verso di loro. Improvvisamente, cominciò a correre.
-Papà! -gridò-. Papà! Sei tornato! Si gettò tra le braccia del padre. -Gerd? -Franz disse con voce tremante-. È il mio piccolo Gerd? -Oh, sono così felice! -Gerd sussultò-. Ho camminato lungo
questa strada ogni giorno sperando di essere il primo a vederti! Oh, papà!
Il cocchiere ridacchiò.
-Sali sul carro, figliolo-, disse-. E credo sia meglio che io salga accanto a te e mi assicuri che tu non scappi con i cavalli.
-Camminerò-, disse Franz-. Non potrei stare fermo un momento.
In quel fresco pomeriggio di maggio, Helene sedeva sulla panchina grezza fuori dalla casa colonica, sgranando piselli. I bambini più grandi erano fuori a giocare, mentre la piccola Susi faceva galleggiare i gusci dei piselli in una pentola d’acqua.
In lontananza vide il vicino tornare dal mercato con il suo carro trainato da due cavalli. Un uomo alto e abbronzato seguiva a distanza. Helene non immaginava chi fosse quell’uomo e si chiese dove fosse diretto. Proprio allora notò Gerd che cavalcava sul sedile del carro accanto al vicino e sorrideva orgoglioso.
Quando si avvicinarono, il carro si fermò e il vicino la chiamò: -Signora Hasel, le porto una visita. Spero che ne sia felice.
Leggermente sorpresa, Helene rispose: -È stato molto gentile a dare un passaggio a Gerd. A questo punto lo sconosciuto alto aveva raggiunto e stava
sollevando alcuni bagagli dal carro. Si avvicinò mentre Helene fissava il suo viso bruno. Poi lo sconosciuto cominciò a ridere, ed Helene lo riconobbe.
-Bambini! -gridò con gioia quando riuscì a riprendere fiato-. Bambini! Venite presto: è successo qualcosa di meraviglioso. Papà è tornato!
Dopo sei anni di guerra e di separazione, la famiglia Hasel era di nuovo insieme.
-Helene-, disse un giorno Franz-, penso che sia meglio che tu e i bambini torniate a casa a Francoforte mentre io resto qui per un po’ ad aiutare i contadini a raccogliere il fieno.
-Non ho voglia di fare il viaggio-, disse lei-, ma forse è meglio così.
Per l’ultima volta prepararono le loro cose e caricarono le biciclette e il passeggino. Di nuovo dovettero fare il viaggio di 40 miglia a piedi (non c’erano ancora molti treni in funzione), ma finalmente arrivarono al loro appartamento. Francoforte era devastata, ma le cose sembravano molto più speranzose di quanto non fossero mai state prima.
-Portate sui nostri letti dalla cantina, ragazzi, disse Helene.
-Accidenti! Niente più raid aerei, niente più bombardamenti-, disse Kurt.
-Niente più rifugi antiaerei-, mormorò Gerd, rabbrividendo al pensiero delle notti buie e strette che aveva trascorso.
Franz arrivò due settimane dopo. Portò olio, burro, patate e pane che i contadini riconoscenti gli avevano dato.
Il giorno dopo Franz andò in centro all’ufficio della Conferenza. Lì apprese che la casa editrice tedesca, la Advent Verlag di Amburgo, era stata distrutta e che tutto il lavoro di colportaggio si era fermato. La conferenza assunse immediatamente Franz come pastore di alcune chiese alla periferia di Francoforte, perché a quel punto nessuno sapeva quali lavoratori della conferenza fossero sopravvissuti e quali fossero periti. Nessun pastore avventista era ancora tornato dall’esercito.
Usando la bicicletta restituita a Helene dal soldato americano Jim a Eschenrod, Franz percorreva distanze fino a 75 miglia finchè non avesse visitato tutti i membri della chiesa nel suo distretto. Spesso passava la notte con loro, e a volte stava via per diversi giorni o addirittura una settimana.
Nessuna famiglia con cui parlava era rimasta indenne dalla guerra. Le case erano state distrutte dalle bombe, i beni erano stati saccheggiati. Mariti, figli, fratelli, zii, cugini erano stati uccisi in azione. E molte delle famiglie non sapevano ancora il destino dei loro uomini. Alcuni, come l’Onkel (zio) Fritz degli Hasel, erano dispersi in azione, e la maggior parte non era ancora tornata dalla guerra.
Ormai tutti erano poveri: l’agricoltura e la produzione erano ferme. Uomini silenziosi, amareggiati e sconfitti facevano interminabili file da disoccupati in attesa di un lavoro.
I membri della chiesa che vivevano in campagna non avevano soldi per pagare la decima, ma a volte erano in grado di dare del cibo a Franz. Dato che la conferenza poteva pagare a Franz appena un salario molto basso, gli dissero che poteva accettare il cibo come supplemento al suo stipendio. Una volta tornò a casa con 45 kg di mangime per polli. Helene ne cucinò una porzione per colazione ogni giorno, e la famiglia mangiò quella roba ruvida come un porridge. Lasciava le loro voci rauche per la maggior parte della giornata.
Arrivò il primo inverno. Non c’era mai abbastanza di niente; cibo, vestiti e carbone erano ancora razionati. Il peggioramento del tempo fece sì che Franz non potesse più andare in bicicletta, così dovette andare in treno, e a causa dei cattivi collegamenti e del sovraffollamento, era via ancora più spesso di prima.
-Ragazzi! Ragazzi!
Un gelido giorno di novembre Franz si precipitò alla porta con delle novità-. Prendete il carretto di legno, le biciclette dalla cantina, e tutti i sacchi vuoti che potete!
Mentre mangiava un po’ di zuppa calda, disse alla famiglia che la strada di Oberursel, a 10 miglia di distanza, era stata distrutta e che la gente poteva portare via i pezzi rotti di asfalto e usarli per riscaldarsi.
Per i tre giorni successivi Franz, Kurt e Gerd viaggiarono avanti e indietro da Oberursel. Ogni sera tornavano congelati e sporchi, ma con il carrello e le biciclette cariche di asfalto. Quando Helene gettò i primi pezzi di asfalto nella fornace, Lotte iniziò a piangere.
-Puzza come un pozzo di catrame-, singhiozzò-, e mi fa venire il mal di testa.
-Finché staremo al caldo quest’inverno, ci abitueremo all’odore-, la consolò Helene.
Non appena Lotte si calmò, Gerd entrò di corsa. -La stufa sta trasbordando-, disse-. Venite a vedere. Quando Helene aprì la porta, vide che l’asfalto si era sciolto e aveva completamente intasato l’interno della fornace. Un rivolo di catrame liquido trasudava dalla porta anteriore. Spensero il fuoco, e quando la stufa si raffreddò, passarono ore a raschiare l’interno per poterla riutilizzare.
A questo punto buttarono via l’asfalto. Una sera di febbraio, dopo cena, Helene guardò Franz. -Questo è tutto-, disse-. La nostra razione settimanale di cibo è esaurita. Ci è rimasta solo mezza pagnotta di pane, e ci vorranno cinque giorni prima di poterne avere dell’altro. Cosa faremo?
Franz pensò per un momento.
-Domani devo celebrare un funerale-, disse infine-. Pensi che potresti andare a Eschenrod e “hamsterare” del cibo?
Hamstern era il termine che i tedeschi avevano coniato quando parlavano di andare in campagna a mendicare o comprare cibo dai contadini. Proprio come un criceto si riempie le guance e porta il cibo al suo nido, la gente riempiva borse e tasche per portare cibo ai propri figli.
Helene accettò con riluttanza, e Franz partì presto la mattina dopo per il funerale. Quando Kurt entrò in cucina, anche Helene si stava preparando a partire. Lui guardò lo zaino e le due borse della spesa sul pavimento.
-Mutti-, disse-, vengo con te. Sai che farai fatica ad attraversare tutta quella neve.
-No, darebbe troppo nell’occhio. Ricorda, hamsterare del cibo è tecnicamente illegale. Ma non è un furto, e dobbiamo vivere in qualche modo.
-Potrei magari seguirti a distanza?
Helene scosse la testa-. No, Kurt. Tu sei il più grande, e devi sorvegliare i bambini.
Mentre Helene si infilava gli stivali, diede a Kurt alcune istruzioni finali:
-Tutti voi dovete restare a casa, non andrete a scuola oggi e domani. È rimasto un po’ di pane. Razionatelo con cura e mangiatelo lentamente. Avvolgetevi nelle coperte per stare al caldo. Papà potrebbe non essere in grado di tornare per diversi giorni, ma vi prometto che domani sera sarò a casa con del cibo per voi.
Si allacciò lo zaino e prese le due borse.
-Torna a letto e dormi ancora un po’. Non preoccuparti se faccio tardi. I treni non sono puntuali.
-Mutti-, disse Kurt-, pregheremo per te. Si abbracciarono rapidamente e lei se ne andò. Anche a quell’ora, la stazione ferroviaria di Francoforte era affollata. Come Helene, molte persone stavano andando in campagna a cercare cibo, e il treno per Eschenrod era già strapieno al suo arrivo. Si spinse all’interno di un vagone, era grata di aver trovato uno spazio libero, nonostante fosse in piedi, e contenta di non dover stare tra un vagone e l’altro piena di spifferi, o addirittura sui gradini all’esterno, aggrappata ai corrimano, come facevano alcuni.
Stretta nello scompartimento, Helene si rilassò. Guardò i suoi silenziosi compagni di viaggio, che ondeggiavano all’unisono con il ruggito della locomotiva a vapore, e la loro vicinanza le dava calore. Erano per lo più di mezza età, alcuni giovani, alcuni molto vecchi, nessun bambino. Gli uomini avevano la barba irsuta e colletti logori, e molti portavano una fascia nera al braccio che diceva “Kriegsversehrt” (ferito di guerra).
Le donne indossavano cappotti che calzavano male e che non si addicevano a loro. Erano donazioni che questo popolo sconfitto aveva accettato con gratitudine.
A Francoforte aveva nevicato, ma quando il treno si avvicinò ai monti Vogelsberg, le nuvole si diradarono. Quando si fermò alla stazione, Helene respirò profondamente l’aria fresca del mattino mentre si incamminava per i tre chilometri di cammino verso il villaggio. Anche se faceva molto freddo, l’aria era limpida. Di tanto in tanto il sole entrava e faceva brillare come gioielli gli abeti rossi con la loro spessa coltre di neve. Nella foresta non si muoveva nulla. Nessun uccello cantava, nessuna ape ronzava, nessuna rana frusciava tra le foglie secche, nient’altro che una fredda e cristallina bellezza invernale. A un certo punto Helene si fermò e ringraziò Dio per aver creato una tale bellezza. Poi alcuni corvi gracchiarono aspramente e la fecero uscire da quel bel momento.
Quando uscì dal bosco, la neve ricominciò a cadere dolcemente. Sperava che i Jost la ospitassero per la notte. Quando si avvicinò alla casa, Frau Jost uscì dalla stalla con un secchio di latte fumante in ogni mano.
-Frau Hasel, è lei? Non ci credo! Deve essere congelata. Entri e si riposi.
-Herr Jost era seduto al tavolo della cucina e leggeva il giornale. Sentendo dei passi sconosciuti, si voltò, poi saltò in piedi e afferrò la mano di Helene.
-Bentornata!-, gridò-. Come stanno i bambini? Come sta la piccola?
Helene si sedette su una delle sedie di legno e cominciò a raccontare dei bambini.
Improvvisamente Herr Jost guardò i sacchi di Helene. -È venuta per cibo. Le cose vanno davvero male in città? Mentre Frau Jost metteva sul tavolo alcune spesse fette di pane, un panetto di burro e del latte caldo, Helene raccontò le difficoltà di quei primi mesi postbellici in città.
-Bene-, disse Frau Jost-, non si preoccupi di nulla. Faremo in modo che lei possa portare a casa una buona scorta di cibo. Cominciò a darsi da fare e subito preparò olio, burro, farina, pane, zucchero, uova, patate e molte altre cose. Poi mandò Helene dai tutti i suoi parenti Jost. Quando seppero della fame in città, diedero anche loro del cibo a Helene, fino a farla sembrare Babbo Natale piena di regali per i bambini. La fame sarebbe stata bandita per molte settimane.
Tornò alla fattoria Jost dove era stata invitata a passare la notte. Frau Jost insistette perché si ritirasse presto e le promise di svegliarla in tempo per prendere la slitta trainata da cavalli che ogni mattina presto andava alla stazione ferroviaria.
La piccola camera accanto alla cucina con il suo spesso letto di piume era invitante. Il calore della grande stufa di piastrelle verdi in cucina filtrava attraverso il muro e toglieva il freddo pungente. Con il cuore pieno, Helene si inginocchiò accanto al letto ringraziando il suo Padre celeste per aver soddisfatto i suoi bisogni e chiedendo protezione per i bambini e per sé stessa il giorno dopo. Poi si mise a letto e cadde rapidamente in un sonno profondo.
Quando sentì bussare alla porta Frau Jost, le sembrò impossibile che la notte fosse già passata. Frau Jost infilò la testa nella porta.
-Frau Hasel, può anche restare a letto. -Perché? -Helene mormorò, ancora mezza addormentata. -Oggi sarà per lei impossibile partire. Ha nevicato tutta la notte. La slitta non andrà alla stazione questa mattina. Anche lo spazzaneve non uscirà finché la tempesta non sarà finita.
-Helene si avvicinò alla finestra e il suo cuore sprofondò. Profondi cumuli bianchi coprivano ogni cosa in vista, ed enormi fiocchi cadevano ancora dal cielo.
Disperatamente si rivolse alla vecchia donna.
-Devo andarmene-, disse-. I bambini non hanno da mangiare e ho promesso loro che sarei tornata stasera. Saranno così preoccupati se non vengo. Dio veglierà su di me, e se parto subito, posso arrivare in tempo per il treno del pomeriggio per Francoforte.
-Frau Hasel, lei ha almeno 80 libbre di cibo, e non c’è modo di camminare. Se le succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai.
-Devo andare-, disse Helene con fermezza.
Vedendo che Helene non poteva essere dissuasa dal suo piano, Frau Jost preparò una robusta colazione di patate bollite con latticello, pane, marmellata di prugne fatto in casa e Ersatzkaffee.
Mentre la giovane donna mangiava, Frau Jost andò nella sua dispensa e tornò con mele secche, pere, prugne, noci e un’intera torta di semi di papavero.
-Un regalino per i bambini-, disse mentre riempiva ogni angolo dei sacchi rigonfi.
Helene non riuscì a trattenere le lacrime di gratitudine. -Come potrò mai ringraziarla? -Non c’è bisogno di ringraziarmi-, disse Frau Jost, con gli occhi bagnati di lacrime-. Sono felice di aiutare. Passi il favore a qualcun altro quando potrà farlo. Che Dio la protegga.
Helene abbracciò la vecchia coppia e poi si mise in cammino. Quando raggiunse la curva della strada, si voltò un’ultima volta. Erano ancora in piedi a guardare sulla porta di casa. Helene si fermò per un momento per osservare la scena: l’accogliente villaggio sotto la sua coltre di neve, il caratteristico cottage dove aveva trascorso tanti mesi di angoscia durante la guerra. Alzò la mano e la coppia rispose con un ultimo saluto. Poi si voltò e iniziò a risalire la collina. Anche se allora non lo sapeva, quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto i Jost.
Per tutto il tempo nevicava e nevicava, e presto Helene non riuscì a vedere dieci passi davanti a sé. I suoi piedi sembravano sempre più pesanti, e il suo carico premeva. “Caro Dio“, pregò di nuovo, “aiutami, dammi forza”.
Le sue membra le dolevano mentre tirava fuori a fatica ogni piede dalla neve profonda. Il suo respiro divenne affannoso, e l’aria gelida le tagliava i polmoni come coltelli. Raggiunse la collina che portava al bosco, e mentre saliva, il suo peso la opprimeva ancora di più.
“Signore, aiutami. Oh, chi potrà aiutarmi?” Improvvisamente non poté andare oltre. Le ginocchia cominciarono a cedere sotto di lei, e nel panico barcollò fino a un’alta pietra miliare sul lato della strada. -Manca ancora un miglio alla stazione-, lesse.
Esausta si appoggiò alla pietra, appoggiando su di essa anche lo zaino. Le borse piene scivolarono dalle sue mani, quasi scomparendo nella neve profonda. Chiuse gli occhi per un momento.
“Non devo addormentarmi. Non devo addormentarmi. Ho solo bisogno di qualche minuto per riprendere fiato e poi continuerò”.
I suoi pensieri vagarono ai suoi bambini affamati a casa. Chiuse di nuovo gli occhi, poi li aprì di scatto. “Se mi addormento, potrei non svegliarmi più”. Cominciava a sentirsi pesante e così comodamente calda. Ancora una volta gli occhi si chiusero, e questa volta rimasero così.
La neve si posò su di lei. Appoggiata alla pietra, sembrava un ceppo d’albero nodoso, come se fosse parte del paesaggio silenzioso. Cominciò a immaginare di essere in piedi nella neve con soffici fiocchi di neve che ondeggiavano in un cielo plumbeo. All’improvviso, fu avvolta da un cerchio di luce, e quando guardò di nuovo, non erano più fiocchi di neve, ma angeli vestiti di bianco che la circondavano.
“Quanta pace”, pensò, “che pace meravigliosa…”
Il rumore di un motore che si avvicinava la svegliò di colpo. Un camion stava arrampicando su per la collina. Cercò di alzare la mano per fargli segno di fermarsi, ma le sue membra rigide non le obbedivano. Disperata vide il camion continuare la sua lenta corsa, e il sonno la invase ancora una volta.
Una voce improvvisamente disse: “Ora vedrai un miracolo di Dio”.
-Tornerò di nuovo a casa? -chiese alla voce.
E la risposta arrivò: “La tua sofferenza è quasi finita, aspetta solo un altro istante”.
Una mano pesante la scosse per la spalla. Ogni volta che cercava di alzare la testa, questa cadeva di nuovo in avanti. Lo scuotimento, il sobbalzo, continuò senza sosta.
“Lasciami in pace”, pensò. Sono così meravigliosamente calda, e non ho energia per muovermi.
-Svegliati, svegliati!-, continuava a dire una voce rauca-. Devi svegliarti, stai per morire congelata.
Infastidita, aprì finalmente gli occhi e vide un uomo in piedi davanti a lei.
-Ho parcheggiato il mio camion in cima alla collina-, disse-. Non potevo fermarmi qui o non sarei mai riuscito a salire. Ora venga con me e le darò un passaggio.
La donna cercò di alzarsi da sola senza che il suo corpo rigido collaborasse. Capendo che aveva bisogno di aiuto, l’autista prese le borse e lo zaino e iniziò a salire la collina. Poi ritornò e prendendola in braccio la portò fino alla cabina. Le diede da bere dal suo thermos del tè caldo, le avvolse delle coperte e alzò il riscaldamento prima di continuare il suo viaggio.
-C’è mancato poco-, disse l’uomo-, stava proprio morendo congelata. Per poco non la vedevo, era così coperta di neve. Cosa fa fuori in una giornata come questa?
Helene cominciava a scongelarsi. Gli raccontò dei suoi quattro figli affamati a casa e dei suoi sforzi per procurare del cibo.
-Grazie mille per essere venuto a prendermi. Dio lo ha mandato per aiutarmi-, concluse-. So che non avrei dovuto fermarmi a riposare… ma ero così stanca. Appena mi sono fermata, il calore mi ha invaso. Non riuscivo a stare sveglia. Sarebbe di grande aiuto se lei potesse portarmi alla stazione ferroviaria.
-Sa una cosa?- disse-, la cosa interessante è che non vengo mai da queste parti. Oggi è la prima volta che percorro questa strada. Per quanto riguarda l’accompagnarla alla stazione ferroviaria, sarà inutile. So da fonti affidabili che tutti i treni vengono perquisiti. Qualsiasi cibo del mercato nero viene confiscato. Sarebbe un peccato perderlo dopo tutto quello che ha passato per ottenerlo. Comunque, dove vive?
-A Eschersheim. E’ un sobborgo di Francoforte.
-Le dico una cosa. La porterò lì. Eschersheim non è molto fuori mano.
Helene accettò con gratitudine. Ora guardò l’autista con più attenzione. Di mezza età, insignificante, vestiti grossolani, mani ruvide, capelli castani striati di grigio, probabilmente sposato e con figli. A questo punto divenne piuttosto taciturno e cominciò a rispondere alla sua conversazione con monosillabi. Alla fine, lei si arrese e si appisolò. Si svegliò solo quando il camion finalmente si fermò.
-Bene, eccoci qui-, disse l’autista, spegnendo il motore. Gli sollevò i sacchi, poi l’aiutò a scendere il ripido gradino.
Lei gli prese la mano con gratitudine-. Non so proprio come ringraziarla abbastanza.
-Sono felice di averla trovato prima che fosse troppo tardi. In futuro dovra restare a casa con un tempo così brutto. Ora devo andare per la mia strada. Con un ultimo cenno della testa risalì nella cabina. Lei si chinò per infilarsi le cinghie dello zaino sulle spalle, chiedendosi ancora come ci fosse arrivata. Poi si voltò per dare un’ultima occhiata al camion prima che partisse. Guardò lungo la strada. Non c’era nessun camion. E non c’erano nemmeno impronte delle ruote del camion sulla neve!
Alla fine, le scorte di cibo portate a casa da Eschenrod si esaurirono, e la famiglia ebbe di nuovo fame. Ma Dio provvedeva sempre. I fedeli membri della chiesa continuarono a pagare la loro decima in generi alimentari, una testa di cavolo qui, qualche patata là.
Una volta Franz portò a casa un sacco da 45 chili di fagioli bianchi. Che profumo delizioso avevano quando Helene li cucinò! Dopo averli versati nelle ciotole, però, i bambini persero rapidamente l’appetito quando notarono i tonchi che galleggiavano sopra. Ma alla fine la fame prevalse. Tolsero i tonchi e mangiarono il resto.
A volte in mezzo alla desolazione, c’erano dei momenti di gioia. Era compito di Lotte camminare per 3 chilometri alla Huegelstrasse ogni due giorni per comprare la scorta di latte per la famiglia.
Un giorno burrascoso, mentre cercava di farsi strada attraverso una tempesta pungente, una jeep dell’esercito piena di soldati americani le passò accanto. Qualcosa colpì il suo corpo. Quando alzò lo sguardo, vide che i giovani G.I. la stavano salutando. A terra intorno a lei c’erano confezioni di caramelle “Life Savers”, i primi che avesse mai visto. Con piacere afferrò le caramelle colorate e le nascose in tasca.
Un’altra volta, all’inizio della primavera, Helene voleva fare una salsa da servire con fiochi d’avena, così mandò Gerd al loro orto in affitto per vedere se qualche stelo di rabarbaro era abbastanza grande da essere raccolto. Sebbene guardasse attentamente il giardino, vide solo germogli di rabarbaro.
Sconsolato, stava tornando indietro lungo il sentiero fangoso quando vide un soldato americano solitario in piedi nel campo con un enorme sacchetto di carta marrone. Fece un cenno a Gerd e gli mise il sacchetto in braccio.
-Per favore, portalo subito a tua madre-, disse in tedesco fluente.
Stupefatto, Gerd prese il sacchetto e lo portò a casa barcollando.
Dentro il sacchetto, la famiglia scoprì abbastanza generi alimentari per una settimana: uova in polvere, latte in polvere, burro, frutta secca e farina.
-Gerd, hai ringraziato quest’uomo? -No, Mutti, ero troppo sorpreso per sapere cosa dire. -Torna subito indietro e ringrazialo. Questa è una risposta alla nostra preghiera. -Gerd tornò indietro, ma anche se poteva vedere lontano attraverso i campi piatti, non c’era nessuno. Qualche tempo dopo Helene mandò Gerd in cantina a prendere le patate per la colazione. Gerd cercò attentamente qualcosa di commestibile. Ma gli scaffali erano vuoti, i sacchi giacevano flosci. In uno dei barili trovò una sola piccola patata. Helene la tagliò in sei fette e le frisse per la colazione.
Una fettina di patata per ciascuno.
Quella mattina Franz passò molto tempo a dire la preghiera. Ricordò a Dio come aveva provveduto durante tutti gli anni difficili e gli chiese di continuare a sostenere la famiglia. Con lo stomaco che brontolava, i bambini aspettavano che l’interminabile preghiera finisse.
Poi Helene disse:
-Mangiate il vostro cibo molto lentamente. Dio vi ha dato 32 denti in modo che possiate masticare ogni boccone 32 volte. Se mangiate lentamente, il cibo è più saziante.
Mangiarono lentamente, ma lasciarono comunque la tavola affamati.
I bambini più grandi andarono a scuola. Poco dopo Franz prese la bicicletta per fare qualche visita pastorale.
-Tornerò a mezzogiorno-, disse-, così puoi avere il pranzo pronto per allora.
Helene sgranò gli occhi-. Lo farò, se avrò qualcosa da preparare. Ricordati che abbiamo finito il cibo!
Helene passò la mattina a fare i lavori di casa mentre Susi la seguiva spolverando e lucidando i mobili. Helene aveva il cuore pesante sapendo che i bambini sarebbero stati affamati quando sarebbero tornati da scuola.
Alle 12 meno un quarto, decise che avrebbe fatto bollire dell’acqua e ci avrebbe messo un po’ di sale. Dovremo far finta che sia una zuppa, pensò.
Mentre riempiva di acqua la pentola, guardò fuori dalla finestra della cucina e notò che il furgone della posta si era fermato fuori casa. Helene guardò con curiosità mentre il postino tirava fuori un pacco gigantesco. “Chissà per chi è?” Pensò. Poi si voltò e mise la pentola sul fuoco.
In quel momento suonò il campanello. Susi andò a rispondere, poi tornò di corsa:
-Mutti, ti cerca un uomo.
Helene andò alla porta dove il postino le porse il libretto delle consegne da firmare.
-Frau Hasel, ho un pacco per lei dall’America. La prego di firmare che l’ha ricevuto.
-Oh-, disse Helene, delusa-. Se viene dall’America, non è per noi. Non conosciamo nessuno lì. Dev’essere un errore.
-È per voi-, disse il postino-. Guardi. È il vostro indirizzo, vero?
Helene si chinò sull’involucro marrone. L’indirizzo era scritto a grandi lettere: Familie Hasel, Frankfurt am Main, Nusszeil 97. Non ci si poteva sbagliare. Incuriosita, guardò il pacco. Sull’involucro, in grassetto rosso, c’erano le parole: GIFT PARCEL.
Il viso di Helene impallidì. Si aggrappò allo stipite della porta per sostenersi. Gift in tedesco significa “veleno”.
Stordita, disse:
-Perché ci mandano un pacco di veleno dall’America? Chi vuole distruggerci adesso? Non lo voglio!
Il postino sorrise-. Frau Hasel, in inglese un Gift è un regalo. -Oh-. Helene fece un respiro di sollievo -. Allora lo accetto. In uno stato di stordimento firmò il registro delle consegne e caricò il pesante pacchetto sul tavolo della cucina. Tagliò lo spago sporco e strappò la carta da pacchi consumata.
Venne fuori una robusta scatola di cartone piena di cibo! C’era un sacchetto di farina Pillsbury, un barattolo di olio vegetale idrogenato Crisco, maccheroni, latte in polvere, uova in polvere, riso, zucchero, patate disidratate, biscotti, preparati per zuppe, noci, fichi secchi della California e altra frutta. Un misterioso sacchetto rumoroso si rivelò essere M&M’s. Il tavolo era stracolmo.
Helene sentì le ginocchia cedere. Si sedette rapidamente.
“Grazie, Signore”, sussurrò con fervore. “Perché mai ho dubitato di te? Un pacco dall’America! Tu hai promesso che anche prima di chiamarti, tu ci risponderai. Questo pacco ha viaggiato attraverso l’oceano per settimane, e non sapevamo allora che ne avremmo avuto così tanto bisogno proprio oggi. Ma Tu l’hai sempre saputo”.
Ora Helene saltò in piedi. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno. L’acqua salata stava già bollendo. Velocemente vi gettò dentro dei maccheroni e in un’altra pentola mise a bollire delle prugne. Ben presto odori deliziosi attraversarono la casa.
Il campanello suonò come al solito, due squilli brevi e uno lungo. Era il segnale della famiglia. I bambini sfondarono la porta.
-Oh, Mutti-, esclamarono-. Siamo così affamati. E qualcuno da qualche parte sta cucinando del cibo meraviglioso!
-Venite in cucina-, disse Helene con un sorriso radioso-. Ho una sorpresa per voi.
I loro occhi si gonfiarono quando videro il tavolo della cucina carico. Ora sapevano che era il loro stesso pasto che avevano annusato nel corridoio fuori. Presto furono tutti seduti intorno al tavolo, e per la prima volta dopo settimane mangiarono tutti a sazietà.
Dopo il pasto la famiglia si interrogò sulle origini di questo misterioso pacchetto. Con attenzione, ricomposero l’involucro strappato e decifrarono l’indirizzo di ritorno. Un nome, una strada di Lodi, California. Non avevano mai sentito parlare di Lodi e non conoscevano nessuno lì. Immediatamente scrissero una lettera di ringraziamento, raccontando il misterioso e miracoloso arrivo del pacco.
Erano passati diversi mesi. Nessuna risposta. Non sapendo che Lodi aveva una grande comunità di tedeschi, determinarono che il mittente probabilmente non poteva capire il tedesco. Così scrissero una seconda lettera e la fecero tradurre in inglese da qualcuno della chiesa. Dopo sei mesi la lettera tornò indietro, la busta strappata e sporca con un grande timbro rosso del servizio postale: RESTITUIRE AL MITTENTE. DESTINATARIO SCONOSCIUTO. Chi era il misterioso benefattore?
Circa un anno dopo quell’enigmatico pacco, arrivò un altro pacco da Lodi, California. Questa volta il mittente era una certa Lillian Bunch, che viveva ad un altro indirizzo. A grandi lettere portava di nuovo la scritta GIFT PARCEL.
Nel panico, Helene dimenticò ciò che il postino le aveva detto tempo fa.
-State lontani da questa scatola-, gridò ai bambini-, o moriremo tutti!
-Mutti, va tutto bene-. Fortunatamente, Kurt aveva imparato qualche parola di inglese a scuola e riuscì a tranquillizzarla; spiegando a sua madre che Gift era un regalo.
-Oh, è vero-. Sollevata, Helene aprì il pacchetto. Di nuovo c’era del cibo. Ancora una volta gli Hasel composero una lettera di ringraziamento, e questa volta ottennero una risposta. Una volta che Lillian apprese che gli Hasel avevano Susi di 3 anni, rispose che anche lei aveva un figlio di 3 anni, Tom. Da quel momento in poi, incluse sempre un piccolo giocattolo nel pacchetto di cibo. Una volta era un set di piatti per bambole con Mickey Mouse. I bambini erano incuriositi ma confusi, visto che i bambini tedeschi non sapevano nulla di Topolino.
Un’altra volta ricevettero quattro puzzle, ognuno composto da sette pezzi grandi. Di volta in volta Susi li metteva insieme con cura e poi studiava le immagini: una bella ragazza con i riccioli biondi in un vestito rosa-rosso che giocava con una casa delle bambole, un ragazzo lentigginoso che rastrellava le foglie in una piccola carriola davanti alla sua casa di legno bianco. Le scene erano esotiche e sconosciute, immagini di qualcosa che Susi non aveva mai visto, da un paese non devastato dalla guerra.
Un altro pacchetto che arrivò dopo, conteneva un bambolotto lungo otto centimetri; e un altro conteneva uno strano utensile che aveva delle lame che giravano quando lo si spingeva. Nessuno riusciva a capire cosa fosse. Susi lo usava per fingere di montare la panna o di temperare una matita. Solo quando venne in America, 15 anni dopo, scoprì il suo uso: era un tosaerba giocattolo a spinta manuale.
Ma la cosa più meravigliosa di tutte fu una piccola slitta celeste con guide curve, intricate decorazioni di pan di zenzero e due sedili gialli. Un San Bernardo vi era agganciato con una cinghia rossa. E due bambini minuscoli agitavano le loro mani mentre si muovevano allegramente. L’intero giocattolo entrava nel palmo della piccola mano di Susi.
Per diversi anni, i pacchi di Lillian arrivarono a intervalli regolari, e contenevano sempre gli alimenti più essenziali. Oltre al giocattolo di Susi, c’erano altre delizie: una barretta di cioccolato Hershey o un sacchetto di caramelle dure. A volte il cibo era sconcertante, come il barattolo pieno di una densa pasta marrone. Lotte provò a mangiarne una cucchiaiata e scoprì che, pur avendo un buon sapore, le si attaccava alla bocca. Quella fu l’introduzione degli Hasel al burro di arachidi.
Con il passare degli anni e la ripresa del paese dalla guerra, la fame non era più una minaccia costante. A 6 anni, Susi stava per iniziare la scuola quando si ammalò di pertosse. Giorno e notte era tormentata da spasmi di tosse che le rendevano impossibile respirare. Per settimane ebbe la terrificante sensazione che stava per soffocare, e la mamma e Lotte facevano a turno per sedersi accanto al suo letto e asciugare il sudore dal suo piccolo viso blu.
Alla fine si riprese ed Helene preparò i vestiti che le sarebbero serviti per la scuola. Durante la malattia della figlia aveva lavato e stirato i pochi vestiti di Susi, e ora li provava su di lei.
-Oh, orrore-, sussurrò-. Lotte, guarda. Susi è cresciuta mentre era malata!
-Domani inizia la scuola-, disse Lotte-. Cosa facciamo?
Quel pomeriggio arrivò un altro pacco da Lillian Bunch. Questi erano sempre giorni da celebrare, e di nuovo tutta la famiglia si riunì e aspettò con ansia che lo spago venisse tagliato. Quando la carta da pacchi si staccò, si sentì l’odore ormai familiare che associavano all’America.
Quando i lembi furono ripiegati, tutti sussultarono di sorpresa. Per la prima volta in tre anni, la scatola non conteneva cibo. Invece era piena di vestiti per una bambina di 6 anni: un vestito a strisce bianche e blu con un bavaglino bianco, un vestito a quadri con volant e maniche a sbuffo, un vestito rosso a pois che si allacciava dietro. Ogni vestito era squisito. Erano vestiti come quelli che indossavano le ragazze nelle foto del puzzle. Nessuno in Germania possedeva qualcosa di così bello.
Con gli occhi tondi, Susi guardò mentre il meraviglioso cartone veniva disimballato. In fondo c’era un piccolo cardigan rosso con i bottoni.
Questo cardigan rosso attirò immediatamente l’attenzione di Susi. Di tutti i vestiti che possedeva, era quello che amava di più. Lo indossò finché i gomiti non si consumarono e Helene dovette tagliare le maniche e farne un maglione a maniche corte. Servì per un altro anno. A quel punto era diventato troppo piccolo ed era molto malandato. Eppure, per quanto Helene l’abbia persuasa e supplicata, Susi non poteva essere convinta a sbarazzarsene.
Poi, un giorno, scomparve. Quando Susi si svegliò la mattina, il maglione era semplicemente scomparso.
-Kurt, Gerd, Lotte, Mutti, avete visto il mio maglione?
Sconsolata, Susi corse di stanza in stanza e cercò negli armadi e nei cassetti. Non c’era traccia del maglione rosso. Alla fine si rese conto che era sparito per sempre. Non ne parlava più molto, ma si ricordava.
Arrivò l’autunno, poi l’inverno. Finalmente arrivò il Natale. Sotto l’albero c’era un piccolo regalo per tutti. Ma nascosta in fondo c’era una scatola per Susi. Con impazienza voleva strappare la carta, ma papà Franz le disse:
-Rallenta. Non strappare la carta o il nastro. Apri gli involucri con attenzione, così possiamo usarli di nuovo.
Con pazienza, le sue piccole mani scartarono l’involucro. Finalmente il coperchio si staccò. Susi diede un’occhiata all’interno e gridò di gioia. C’era un intero vestito per la sua bambola. Un cappello, una sciarpa, guanti, un maglione e dei pantaloni. La mamma aveva tagliato con cura il suo maglione rosso e l’aveva trasformato in abiti da bambola. Susi era entusiasta. Ora poteva tenere il suo maglione rosso per sempre.
Molti anni più tardi, dopo che Susi emigrò negli Stati Uniti e si stabilì al Pacific Union College di Angwin, in California, scoprì che Lodi non era troppo lontana. Contattò il pastore e si accordò per visitare la chiesa un Sabato mattina.
Raccontò la storia di quel miracoloso primo pacco di cibo nella speranza che un membro della chiesa si ricordasse di averlo mandato. Nessuno lo fece. A quel punto Susi non ricordava il nome di Lillian Bunch, e Lillian non era presente quel Sabato e quindi non ascoltò la storia di Susi.
Diversi anni dopo, Susi ricevette una telefonata al lavoro.
-Mi chiamo Lillian Bunch-, disse la voce al telefono-. Ho mandato dei pacchi alla tua famiglia dopo la guerra.
-Oh! -gridò Susi-, come ha fatto a trovarmi? L’ho cercata per anni!
Le due donne si accordarono per incontrarsi e Lillian venne ad Angwin a trovare Susi. Raccontò una strana storia. Lei e sua sorella stavano progettando un viaggio in Germania. Lillian si ricordò della famiglia Hasel e si chiese se poteva rintracciare qualcuno di loro. Cercò il nome nell’annuario degli Avventisti del Settimo Giorno e trovò Kurt Hasel elencato come pastore in Germania. Riconoscendo che era uno dei figli, gli scrisse e chiese di fargli visita. Lui, a sua volta, le disse che sua sorella viveva al Pacific Union College.
Ora, finalmente, Susi era in grado di dire alla sua benefattrice come i generosi pacchetti di Lillian avessero letteralmente tenuto in vita la famiglia Hasel. Mostrò a Lillian la piccola slitta blu e i vestiti da bambola fatti con il maglione, regali che aveva conservato per ben 30 anni e che aveva portato con sé in America. Le due donne si abbracciarono e piansero insieme.
-Come le è venuto in mente di mandarci dei pacchi? -Chiese Susi mentre si asciugava le lacrime.
-Avevo sentito parlare della terribile povertà in Germania-, disse Lillian-. Ero una madre con bambini piccoli allora, e il mio cuore si rivolse al popolo tedesco. Volevo aiutare qualche famiglia bisognosa, così andai dal mio pastore. Insieme scegliemmo un nome dall’annuario SDA, ed era quello di tuo padre.
-Quando avete iniziato a mandarci i pacchi? -Nel 1947. Ciò significava che qualcun altro aveva mandato quel primo
pacco, dato che era arrivato un anno intero prima. Lillian non ne sapeva nulla. Da dove era arrivato?
Nell’autunno del 1945 era evidente che, sebbene la guerra fosse finita, il pregiudizio contro gli osservanti del Sabato continuava. Kurt, che ora frequentava il Gymnasium, l’equivalente tedesco della scuola superiore, tornava a casa ripetutamente con racconti di discriminazione.
-Gli insegnanti programmano tutti gli esami di Sabato in modo che io li perda. Non mi permettono di recuperare-, si lamentava.
Un’altra volta fu:
-Non mi permettono partecipare al concorso di arte oratoria perché non ero in classe il Sabato.
Ogni settimana c’erano nuove lamentele mentre i voti di Kurt crollavano.
A causa dei problemi col Sabato, Franz ed Helene avevano già deciso in precedenza che non avrebbero mandato Lotte al Gymnasium ma le avrebbero fatto finire solo le otto classi obbligatorie della scuola elementare. Ora decisero di togliere anche Kurt dalla scuola e di fargli imparare un mestiere, sapendo che senza il completamento del Gymnasium non avrebbe mai potuto frequentare l’università.
Alle 8 di una mattina Franz si recò al palazzo di giustizia del centro, dove si trovava l’ufficio di collocamento, per cercare un apprendistato per suo figlio.
Mentre saliva le scale, sentì qualcuno chiamare: -Franz, Franz! La voce gli sembrò familiare, ma nel buio del corridoio Franz
non poteva essere sicuro di chi fosse. Poi vide un uomo seduto sulla panchina: il tenente Gutschalk, Peter Gutschalk.
-Peter, cosa ci fa qui?
-Devo entrare-, rispose Peter, scuotendo la testa in direzione di un’aula vicina.
-Cosa sta succedendo?
-È un tribunale militare americano che sta processando tutti i nazisti.
-Mi interessa molto questo processo-, disse Franz-. Quando avrò finito al piano di sopra, verrò ad ascoltare.
Franz fu felice di scoprire che era disponibile un apprendistato di orticoltura. Era l’ideale per Kurt, che amava la natura e tutti gli esseri viventi, ed era abbastanza vicino all’appartamento in modo che Kurt poteva tornare a casa in bicicletta per il pranzo ogni giorno. Respirando una preghiera di gratitudine, Franz se ne andò.
Al piano di sotto, il tribunale era già in seduta. Franz, l’unico spettatore civile, prese posto nell’ultima fila. Mentre prendeva posto, sentì il giudice leggere l’elenco delle accuse contro Peter Gutschalk. Franz si meravigliò di quanti dettagli il giudice conoscesse. Anche prima dell’inizio della guerra, Peter era stato una guardia del campo di concentramento accusato di insolita crudeltà. Più tardi partecipò alla Kristallnacht (Notte dei Cristalli), l’8 novembre 1938, una notte di persecuzione contro gli ebrei che prese il nome da tutti i vetri rotti delle vetrine dei negozi. In meno di 20 ore furono fatti 23 milioni di dollari di danni.
Ad ogni accusa, Gutschalk rispondeva semplicemente: “Non so niente di questo. Non ricordo nulla di tutto quello che è successo”.
Senza parole, Franz scosse la testa. Nell’esercito Gutschalk si era spesso vantato delle sue prodezze. Nella Notte dei Cristalli egli aveva guidato personalmente un distaccamento di nazisti che aveva bruciato una sinagoga ebraica.
Il giudice, che non accettava queste perdite di memoria, conosceva molti dettagli di questo evento. Sapeva la marca del camion su cui era salito Gutschalk e l’ora esatta dell’incidente, perché l’autista del camion aveva testimoniato contro di lui.
Citando i dettagli, il giudice disse:
-Herr Gutschalk, voglio che mi dica cosa fece durante quei 15 minuti.
Ancora una volta Gutschalk disse: -Non riesco a ricordare nulla! Nel frattempo l’ufficiale giudiziario si avvicinò a Franz. -Vedo che scuote la testa. Conosce quest’uomo? -Oh sì-, disse Franz-. Lo conosco molto bene. Sono solo sorpreso che non ricordi nulla. Siamo stati insieme durante la guerra e ci ha raccontato molte storie.
-Sarebbe disposto a fare da testimone?
-No, signore. Io sono un cristiano. Non testimonierò contro di lui.
Il processo durò fino alle 11. Con disgusto, il giudice disse a Gutschalk:
-Lei mi ricorda un operaio della fabbrica di moto Adler. Aveva rubato un motore e portandoselo in spalla, era pronto a uscire dal cancello quando fu fermato e interrogato dalla guardia.
-Cos’hai sulla spalla? -Cosa? Dove? -Qui sulla spalla. Stai trasportando un motore! -Non ne so niente. Qualcuno deve avermelo caricato sulla spalla mentre non prestavo attenzione! Girandosi verso Gutschalk, il giudice continuò: -Lei mi sembra proprio uguale. Le do una settimana di tempo.
Se in questo tempo non riesce a trovare nessun testimone che possa garantire la sua innocenza durante quei 15 minuti, per lei sarà la fine. La corte si aggiorna!
Franz e Gutschalk uscirono insieme.
-Peter-, disse Franz-, come può mentire così? Si vantava con noi di aver ucciso ebrei e distrutto negozi e la sinagoga di Francoforte. E si ricorda l’ebreo in Ucraina che io presi dalla fossa? Se avessi detto tutto quello che so, ora andrebbe in prigione. Durante tutta la guerra lei è stato mio nemico e ha cercato di farmi fuori perché sono cristiano. Ora, il mio cristianesimo è la sua salvezza. Per questo, sono rimasto in silenzio piuttosto che testimoniare contro di lei.
Sulle scale gli uomini si separarono. Franz non seppe mai cosa accadde al tenente Gutschalk.
Franz ricevette la notizia che anche il suo amico Karl era stato rilasciato. Karl viveva di fronte alla chiesa avventista di Francoforte, così ogni venerdì sera prima dei vespri, Franz andava a trovarlo. Una sera, Karl si presentò alla porta molto agitato.
-Franz, ho ricevuto una lettera dall’Hauptmann Miekus. Per essere assunto di nuovo come professore di storia, ha bisogno di un Affidavit (dichiarazione giurata) che attesti che non ha commesso crimini di guerra. Ti ricordi come voleva fucilarmi nel 1942 perché avevo detto che avevamo già perso la guerra? Non ho intenzione di scrivere niente del genere. Ce l’ha sempre avuta con me. Che faccia tosta!
In silenzio, Franz ascoltava mentre elaborava i suoi piani. La settimana seguente visitò il loro amico in comune Willi, e chiese casualmente l’indirizzo dell’Hauptmann nella città di Lahn. Poi scrisse la sua propria dichiarazione giurata. Diede le proprie credenziali: nome, data di nascita, luogo di nascita, che non era mai stato membro del partito e che era un pastore della Chiesa Avventista del Settimo Giorno.
La dichiarazione giurata diceva: “Anche se il signor Miekus era un membro fedele del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, era un membro di squadra che avrebbe affrontato il fuoco per noi”. Poi raccontò la volta in cui Miekus lasciò andare un soldato che si era ubriacato durante il servizio di guardia; raccontò come salvò il soldato che aveva parlato di disertare passando al nemico, come aveva salvato Franz quando disse che Hitler era un imbroglione, e molti altri incidenti. Inviò questo documento con una lettera di accompagnamento all’Hauptmann Miekus.
Tre giorni dopo Franz ricevette una risposta:
“Caro camerata Hasel! Mi permetta di chiamarla così. Non ho mai avuto idea che lei non fosse un membro del partito. La prego di accettare il mio più sincero apprezzamento per la sua dichiarazione!”. Come risultato di questo affidavit, il professor Miekus fu assolto e gli fu permesso di insegnare di nuovo.
Un Sabato del 1953 Franz stava predicando nella città di Lahn. In seguito, l’anziano della chiesa, un dentista, lo invitò a casa a cena:
-Non posso restare molto a lungo-, spiegò Franz-. Il mio vecchio Hauptmann vive da qualche parte qui intorno e voglio andare a trovarlo.
-Oh-, disse il dentista-, chi è? Conosco tutti. -Si chiama Miekus. -Mi dispiace dirtelo, ma il professor Miekus è morto l’anno scorso. -Sono addolorato nel sentirlo-, disse Franz-. Mi permetta di
parlarle un po’ su di lui. Raccontò alcune delle sue esperienze di guerra con l’Hauptmann, e raccontò come aveva dato all’ufficiale uno studio biblico sull’immagine di Daniele, e come Miekus aveva preso in prestito la sua Bibbia.
Con un interesse crescente negli occhi, il dentista seguì la storia. Quando Franz finì, annuì con la testa.
-Ora-, disse-, capisco qualcosa che mi ha lasciato perplesso per anni. Non so se lei se ne accorto quando ha servito all’esercito con lui, ma Miekus era cattolico. Si ricorda come i cattolici creavano tante difficoltà ai bambini avventisti che non frequentavano la scuola di sabato? Bene, tutti i miei figli hanno avuto Miekus come insegnante. Ha sempre dato loro il Sabato libero e non ha mai, mai programmato esami di Sabato. Mi sono spesso chiesto perché, ma ora capisco. Sono così grato che tutti i miei figli abbiano potuto finire il Gymnasium.
Prima che Franz se ne andasse, la famiglia formò un cerchio e pregò. Insieme ringraziarono Dio per averli sempre guidati.
Tornando a casa Franz rifletté su ciò che aveva sentito. “Signore, tu hai preparato un percorso per questi bambini per ottenere un’istruzione, ma la porta sembra chiusa per i miei. Cosa vorresti che facessimo?”
La decisione di mandare un bambino al Gymnasium doveva essere presa alla fine della quarta elementare. Era il momento di decidere per Gerd. La famiglia si riunì una sera in salotto per l’adorazione.
-Gerd-, cominciò Franz-. ti ricordi i problemi che Kurt ha avuto nel Gymnasium? Ho fatto delle indagini e ho saputo che i suoi vecchi insegnanti sono ancora lì. Da altri avventisti ho sentito che per avere successo hanno dovuto frequentare la scuola di Sabato-. Franz tirò fuori il fazzoletto e si soffiò rumorosamente il naso-. So quanto ami imparare-, continuò-. Ti piacerebbe studiare in un’università? Se non ti mandiamo al Gymnasium non avrai questa opportunità. Cosa vuoi fare?
Gli occhi di tutti erano puntati su Gerd che deglutiva a fatica. Poi, senza esitare, disse:
-Papà, non voglio passare quello che ha passato Kurt. E voglio rispettare i Comandamenti. Dopo la scuola elementare farò un apprendistato.
Helene mise le braccia intorno a Gerd e lo strinse forte. Capiva il sacrificio che lui stava facendo.
Poi la famiglia si inginocchiò insieme mentre Franz pregava.
“Signore, per tutta la guerra ci hai protetto e alla fine ci hai riportato insieme sani e salvi. Ora Gerd ha deciso di rimanere fedele nell’osservanza del Sabato piuttosto che ottenere un’istruzione superiore. Prego che Tu non permetta che questo sia uno svantaggio per lui mentre si prepara a lavorare per Te”.
La famiglia si alzò, formò un cerchio e ancora una volta cantarono il loro inno preferito:
“Forte rocca è il nostro Dio… Ma da lor Dio ne difende
È perduto immantinente, Quei che solo in sé confida. Per noi pugna un Uom possente, Che Dio scelse a nostra guida…
EPILOGO
Franz servì come pastore nella zona di Francoforte fino alla ripresa del lavoro editoriale nel 1950. Alla fine divenne segretario editoriale per la Divisione Europa Centrale. Oltre al suo lavoro, scelse di visitare a rotazione ogni chiesa avventista in Germania e predicare nel sermone del Sabato. Dopo il suo ritiro nel 1965, continuò a fare il colportore con lo scopo di trovare persone con cui studiare la Bibbia. Continuò a farlo fino alla sua morte all’età di 92 anni. Come risultato del suo lavoro molti furono battezzati. Alla fine della sua vita aveva letto la Bibbia 89 volte. Molti giovani con cui aveva stretto amicizia parteciparono al suo funerale. Uno di loro sintetizzò la grande perdita provata chiedendo sconsolatamente: “Ora chi pregherà per noi?”
Helene sviluppò l’artrite reumatoide dopo la guerra. Soffrì di dolori fino a quando morì all’età di 82 anni. Durante gli ultimi 20 anni della sua vita era così paralizzata da essere costretta a letto. Spesso si chiedeva perché Dio permettesse la sua sofferenza. Fu solo dopo essere stata unta, secondo l’unzione descritta in Giacomo 5, che accettò la sua malattia e poté trovare pace. Durante questi ultimi 20 anni scrisse più di 2.000 poesie.
Kurt finì il suo apprendistato in orticoltura, poi andò al seminario di Marienhoehe e fece il corso ministeriale. Frequentò il Newbold College per un anno, poi diventò pastore ed evangelista in Germania. Attualmente è in pensione e vive nel sud della Germania. È ancora attivo nel condurre seminari di enfasi spirituale. Kurt e sua moglie, Berbel, hanno tre figli: Frank, Jutta e Bettina. Frank ottenne un dottorato alla Andrews University e fa parte del dipartimento di teologia al seminario avventista di Bogenhofen in Austria. Jutta è un’infermiera. Lei sta crescendo a casa i suoi due bambini piccoli. Bettina vive con suo marito a Berna, dove lavora come segretaria per la Divisione Intereuropea (Ex Euro-Africa).
Liselotte (Lotte) sposò un militare americano ed emigrò negli Stati Uniti. Fino al suo pensionamento, ha lavorato nell’ufficio del servizio di educazione sanitaria domiciliare della Conferenza dell’Unione del Pacifico. Vive nel sud della California. Lei e suo marito William hanno due figli: Tedd e Susan. Tedd è un fisioterapista e Susan è un’insegnante della scuola di chiesa.
Gerhard (Gerd) portò a termine gli studi da elettricista, poi andò al seminario di Marienhoehe e frequentò il corso ministeriale. Non potendo frequentare un’università in Germania, venne negli Stati Uniti per completare la sua formazione all’Atlantic Union College, alla Andrews University e alla Vanderbilt University, dove ottenne il dottorato in Filosofia. Per molti anni è stato professore e decano al Seminario Teologico Avventista del Settimo Giorno della Andrews University a Berrien Springs, Michigan, ed é stato un rinomato studioso dell’Antico Testamento a livello internazionale. Pubblicò 14 libri e più di 300 articoli. Morì in un incidente d’auto nel 1994. Il suo inno preferito, “Forte rocca è il nostro Dio”, fu eseguito al suo funerale. Sua moglie, Hilde, vive ancora a Berrien Springs, Michigan, dove insegna in una scuola della chiesa. Hanno tre figli: Michael, Marlena e Melissa. Michael ottenne un dottorato dall’ Università dell’Arizona. Fa parte della facoltà di teologia alla Southern Adventist University in Tennessee. Marlena è una dietista. Melissa è un’insegnante della scuola della chiesa.
Susi studiò per due anni al Newbold College. Quando Gerhard ricevette una chiamata ad insegnare al Southern Missionary College (ora Southern Adventist University) nel Tennessee, la invitò a raggiungere lui e Hilde per completare la sua formazione. Alla SMC conobbe e sposò suo marito, Bill. Dal 1975, lei e la sua famiglia lavorano al Pacific Union College, dove Bill è professore di fisica. Susi ottenne un Master in psicologia clinica ed esercita la professione di terapeuta di coppia, familiare e infantile. Per più di 10 anni ha svolto attività di consulenza privata.
Quando divenne segretaria generale al Pacific Union College in California nel 1993, apprese che il figlio di Lillian Bunch, Tom, era segretario generale al Southwestern Adventist College (ora Southwestern Adventist University) in Texas. Per quattro estati è stata in Russia a condurre incontri evangelistici per bambini. Lei e Bill hanno due figli: Rico e Marcus. Rico lavora nel centro informatico del Pacific Union College. Marcus è un assistente di fisioterapia.
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